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Manutenzione e buone regole di esecuzione delle opere in calcestruzzo armato

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MANUTENZIONE E BUONE REGOLE DI ESECUZIONE

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DELLE OPERE IN CALCESTRUZZO ARMATO

DELL’IMPORTANZA DELLA MANUTENZIONE SI È SEMPRE PARLATO, MA SOLO DOPO IL DISASTRO DEL VIADOTTO POLCEVERA L’ARGOMENTO È BALZATO PREPOTENTEMENTE ALLA RIBALTA, NON SOLO NELLA LETTERATURA TECNICA MA ANCHE NEGLI ARTICOLI DEI QUOTIDIANI. IN QUESTI ULTIMI, PERÒ, NON SEMPRE SONO STATI CENTRATI I PUNTI CHIAVE

Il fenomeno di corrosione delle armature per mancanza di adeguato copriferro

La manutenzione viene troppo spesso considerata come un puro costo e non come una spesa necessaria e qualche volta indifferibile che prolunga la vita dell’opera e ne fa aumentare nel breve anche il valore. Quando per un’opera nella elaborazione del progetto viene indicata la vita tecnica, è sottinteso che sarà tale se negli anni sarà stata eseguita la corretta e programmata manutenzione. Tale programmazione “originale” naturalmente sarà soggetta a variazioni e integrazioni quanto più le condizioni generali di progetto avranno subito delle variazioni nell’arco della vita tecnica di esercizio dell’opera. Nella mia lunga esperienza di lavoro nel campo della costruzione di infrastrutture in Italia e all’estero, ho constatato come per le forniture elettromeccaniche, anche nell’ambito di un progetto in cui l’opera civile è predominante, vengano richieste tutta una serie di informazioni relative al macchinario fornito, quali libretti d’uso e manutenzione, etichettature dei vari componenti, elenco delle parti ricambio e spesso stock di ricambi (spare parts) come da indicazione del Fornitore. Per le forniture più complesse, a volte vanno anche previsti dei corsi di formazione del Personale dipendente dell’Ente che prenderà in carico l’opera. Tutto questo non avviene invece per l’opera civile vera e propria come se il calcestruzzo e il ferro di armature non richiedessero negli anni alcuna manutenzione. La ragione di ciò risiede, a mio parere, sia nella povertà e nella semplicità dei materiali usati sia nel fatto che si ritiene di conoscere perfettamente le buone tecniche di messa in opera dei suddetti materiali e che quindi la loro futura manutenzione sarà ridotta al minimo se non nulla. Progettare un’opera non deve solo limitarsi alle strutture, all’impiantistica, all’impatto ambientale, ma anche comprendere i metodi di costruzione e di esercizio durante l’intero ciclo di vita che devono essere considerati come parte integrante del progetto. In fase di definizione del progetto, il dimensionamento dell’opera deve tenere conto dei costi di costruzione e dei costi di manutenzione: dal corretto compromesso di queste due voci deriva quello che potrebbe essere definito “progetto ottimale”. Tali voci possono avere valenza diversa nelle varie tipologie di opere. Mi riferisco per esempio a un’opera di architettura, che deve tenere conto dell’aspetto estetico, dell’impatto ambientale del carattere innovativo, del consumo energetico durante la vita tecnica, ecc.. Nelle opere marittime, per fare un altro esempio, più che in altre infrastrutture, l’ottimizzazione del progetto passa attraverso la valutazione dei costi di costruzione e di manutenzione. Infatti, fissate le ipotesi di progetto, si può prevedere un dimensionamento maggiore dell’opera, per esempio con scogliere formate da massi ed elementi prefabbricati in calcestruzzo più pesanti riducendo così i danni provocati da mareggiate, oppure impiegare elementi più leggeri mettendo però in conto il maggiore impegno (quindi costo) in manutenzione negli anni di esercizio. Modelli matematici sono in grado di eseguire valutazioni molto sofisticate, e anche le prove fisiche in canale nei laboratori idraulici danno nel merito indicazioni molto precise. Quando fu costruito il porto di Homs in Libia, modelli delle sezione dei frangiflutti furono sottoposte a prove di treni d’onda di progetto per valutare i danni che mareggiate con tali caratteristiche avrebbero arrecato alla struttura. Gli elementi prefabbricati previsti in progetto (tetrapodi), nel modello erano di colore diverso a seconda della fascia orizzontale in cui erano posati, in questo modo si poteva constatare a fine prova, quanti tetrapodi fossero “rotolati” da una fascia a quella sottostante permettendo così di risalire ai danni che le mareggiate avrebbero arrecato alla struttura e conseguentemente alla valutazione degli interventi di manutenzione. Ipotizzando quindi che la progettazione sia stata tale da aver dato alla luce il progetto ottimale secondo i criteri cui sopra

MANUTENZIONE

1A e 1B. Esempi di getto non eseguito per strati orizzontali

si è accennato, è compito di chi mette in opera i materiali, del Costruttore quindi e della Direzione Lavori che controlla, che l’opera finita mantenga le aspettative progettuali. Precedentemente si è detto come nelle forniture elettromeccaniche vengono giustamente indicate tutte una serie di prescrizioni il cui rispetto garantisca la durata della macchina, mentre per il calcestruzzo, a parte il rispetto formale della Normativa di Legge, si trascurano troppo spesso le elementari regole della buona messa in opera. Ad alcune di queste semplici regole, che non si trovano generalmente nella letteratura tecnica, vorrei accennare di seguito in quanto determinanti per il contenimento dei costi di manutenzione e al fine di rispettare o prolungare la vita tecnica dell’opera. Il calcestruzzo è un conglomerato che per sua natura presenta microfessurazioni: queste dipendono, come tutti sanno, dal rapporto acqua/cemento, dalle modalità di stagionatura del getto, dal copriferro (copertura della armatura), dalla diffusione della armatura. Ai fini di ridurre le fessurazioni, a parità di chilogrammi di ferro a metrocubo, più l’armatura è diffusa minori saranno le fessurazioni. Inoltre il cemento usato ha sue caratteristiche intrinseche fra le quali il tempo di presa e di indurimento e di queste va tenuto conto per la corretta messa in opera del calcestruzzo. Per tempo di presa si intende il tempo in cui il calcestruzzo è ancora “lavorabile”, quindi può essere trasportato, immesso nel cassero e vibrato per compattarlo. Quando inizia la presa, il calcestruzzo diventa sempre meno deformabile e quindi lavorabile. Da questo momento in poi il calcestruzzo non può più essere compattato (vibrato) senza correre il rischio di creare un distacco dei ferri di armatura immersi nel getto e fessurazioni nella massa del conglomerato. Per una messa in opera ottimale è necessaria quindi una corretta programmazione delle operazioni, del Personale e dei mezzi d’opera necessari (Method Statment). Questo documento, che in Italia non viene mai richiesto, è obbligatorio all’estero ogni volta che si inizia una lavorazione impegnativa nella quale una cattiva programmazione potrebbe compromettere la qualità dell’opera finita. Nella costruzione di un muro, per esempio, è necessario che il getto avvenga per strati orizzontali di circa 30 cm di spessore e che lo strato successivo venga steso e vibrato prima che sia iniziato il tempo di presa dello strato inferiore. Inoltre, se il getto all’interno del cassero non avviene per strati orizzontali possono crearsi dei fenomeni di segregazione nel conglomerato creando delle disomogeneità nel calcestruzzo chiamate “vespai” (honeycomb). Da qui, quindi, l’importanza che la modalità di esecuzione dell’opera sia programmata; si dovrà prevedere quante autobetoniere sono necessarie per dare continuità al getto, quanti vibratori, ecc.. Le Figure 1A e 1B rappresentano bene le situazioni da evitare: si vede che il getto non è stato eseguito per strati orizzontali e che uno strato è stato posato su calcestruzzo che aveva già iniziato la presa. Viene così a formarsi il giunto freddo (cold joint) che di fatto crea, nella migliore delle ipotesi, una via di penetrazione di acqua che successivamente ossiderà i ferri di armatura, ma che, nel caso peggiore, potrebbe essere un punto debole della struttura. Ulteriore attenzione è necessario prestare nella posa del ferro strutturale di armatura perché sia assicurato il copriferro, che

2. Il fenomeno di corrosione delle armature per mancanza di adeguato copriferro

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3. L’intradosso di impalcato di viadotto con inizio di ossidazione della armatura causato da insufficiente copriferro

4. Le barre di fissaggio del cassero che fuoriescono dal getto

va anche fissato in funzione delle dimensioni massime degli inerti usati nell’impasto del conglomerato. Dove il copriferro non è rispettato, attraverso le inevitabili microfessurazioni l’umidità entra più rapidamente nel calcestruzzo arrugginendo l’armatura che di conseguenza si gonfierà rompendo il calcestruzzo e creando ulteriore danno all’opera. In generale, per le strutture in calcestruzzo armato la durabilità è legata direttamente alla capacità del calcestruzzo di proteggere le armature metalliche dai processi di corrosione provocati dall’attacco degli agenti aggressivi presenti nell’aria. La durabilità, pertanto, è strettamente legata all’esposizione ambientale della struttura. Le Figure 2 e 3 mostrano chiaramente le problematiche che la mancanza di adeguato copriferro crea nelle struttura. La Figura 3 si riferisce all’intradosso di un viadotto e mostra perfettamente la maglia di ferro posata, si possono individuare alla semplice vista le posizioni dei singoli ferr: in questo caso la mancanza di sufficiente copriferro ottenuto con impiego di distanziatori certificati ha già causato l’inizio della ossidazione dell’armatura. Tra qualche anno sarà necessario un intervento di manutenzione costoso che con una corretta posa della maglia di ferro si sarebbe potuto evitare. Nella Figura 4 è mostrata una diffusa abitudine da evitare: dal corpo del pulvino escono delle barre di ferro di piccolo diametro. Queste barre non sono parte della armatura strutturale, ma sono tondini che durante il getto hanno il compito di mantenere ferma la casseratura. Nel caso raffigurato attraversano tutta la struttura tenendo serrate le due superfici contrapposte del cassero. Per la corretta esecuzione, dopo che l’opera è stata disarmata, si dovrebbe tagliare la parte esterna di questi ferri e stuccare con idoneo prodotto la superficie del getto. Operando così si eviterà che queste barre o a volte fili di ferro, rimanendo esposti, si trasformino in scorciatoie per fenomeni di ossidazione che resta la grande nemica dei calcestruzzi. Altra usanza, che definire “barbara” è poco, è quella di lasciare i ferri di ripresa esposti per successive sopraelevazioni. Quando e se queste riprese verranno mai fatte i ferri saranno completamente arrugginiti ed avranno perso le loro caratteristiche. Accenno brevemente ad altri due aspetti fondamentali da tenere presente per ottenere una opera che possa definirsi durevole e che sono la temperatura esterna durante il getto - che sia contenuta fra un minimo e un massimo - e il mantenimento umido con acqua o antievaporanti (curing) della superficie esterna del getto una volta che sia stato scasserato.

CONCLUSIONI

A conclusione di questo articolo mi piace riportare quanto l’Ing. Maurizio Gentilomo, già autore di numerose pubblicazioni [1] in materia, mi aveva inviato in una sua nota a proposito del disastro del viadotto Polcevera: “La qualità di progettazione, costruzione, esercizio deve essere un unicum avente l’obiettivo di raggiungere una sana (intera) vita di servizio. A proposito di qualità: un buon progetto costruito male, andrà a finire male; un cattivo progetto costruito male, anche se fosse poi gestito bene, andrà a finire male; un buon progetto costruito bene ma gestito male andrà a finire male (“bene” e “male” riassumono ventagli di valori: da “bene” a “molto bene” e da “male” a “molto male”)”. n

(1) Libero Professionista e Membro del Comitato Consultivo di Finco

Bibliografia

[1]. M. Gentilomo - “Realizzazione di opere marittime”, Aspetti costruttivi, Consiglio Sup LL.PP., Roma, 17 Marzo 1999.