Lady Gaga: La seduzione del mostro — MASS MEDIA @ abaroma

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LADY GAGA

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L’immaginario della popular culture, ereditato da Madonna, è dominato da una decina d’anni da Stefani Germanotta alias Lady Gaga, star internazionale, nonché brand, che ha costruito un enorme impero finanziario. La peculiarità dell’artista sta nella capacità di rinnovare l’immaginario pop nel connubio tra provocazione e sperimentazione visiva, e linguaggi dell’alta moda e arti visive. Si serve di ciò per aumentare il potenziale di seduzione, che però attrae attraverso l’eccesso e il parossismo, l’anamorfico e il mostruoso piuttosto che la bellezza, il glamour e la dimensione erotica. La sua ricerca polare è tesa tra concetti inconciliabili: amore/odio, nascita/morte, naturale/artificiale.

Attraverso l’analisi dei suoi video e dell’apparato estetico complessivo, questo saggio evidenzia come il videoclip musicale si dimostri uno degli ambiti più produttivi del rinnovamento estetico.

Gaga si è imposta nella scena internazionale della pop music nel 2008, regnando nell’immaginario comune fino ad una pausa, nel 2018, causata da una malattia. Le esperienze professionali dell’artista pongono le basi per argomentazioni filosofiche mettendo in questione temi essenziali del dibattico estetico contemporaneo, come il rapporto tra arte e globalizzazione; il destino della “bellezza” nell’orizzonte massmediale odierno; il significato attribuibile al postmoderno in relazione alla circolazione massiva di beni di consumo, e le tecniche di messa in scena della star. Il tutto facendo del rifiuto della banalità e dell’ovvio il fulcro delle strategie di imposizione sulla scena globale.

La ricerca del saggio si è rivolta principalmente alla letteratura critica e teorica di Lady Gaga negli Stati Uniti: è collocata nell’orizzonte dei Gender Studies o dei Cultural Studies. Il prodotto La seduzione del mostro va oltre il cronachismo, e mette in luce tutta la complessità del fenomeno Gaga, adottando strumenti speculativi estetico-critici per la completezza di documentazione, tra cui un linguaggio debitore alla teoria critica e all’estetica di Theodor W. Adorno. È un’indagine estetica rivolta alla modalità di costruzione della star, concependo il settore videomusicale come scenario ideale della sua esaltazione celebrativa; un processo che dimostra che le forze trainanti della globalizzazione sono legate alla più ampia diffusione della dimensione estetica. Matteucci mette in evidenza la centralità della figura del “brivido” estetico come incontro tra paura e piacere, e si chiede cosa ne rimane oggi: se recuperabile, sarà dovuto all’astuzia della globalizzazione commerciale contemporanea che sperimenta e saccheggia soluzioni stilistiche passate, come per esempio quelle delle avanguardie artistiche. L’interessamento all’analisi filosofica e dell’estetica per i fenomeni di massa può rivelarsi utile alla ricerca filosofia e all’estetica stessa, sennonché all’antropologia e alla sociologia.

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GAGA TRA IPERCAPITALISMO E TRANSESTETICA

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In Lady Gaga, le strategie di fascinazione dirette e indirette si coniugano alla ricerca video narrativa, a quella visiva e quella formale: scrivere canzoni e realizzare videoclip sono parte di un medesimo processo creativo.

La cantante esibisce la propria contraffazione attraverso una dimensione promozionale che si perpetua con una strategia autroriflessiva che propone al pubblico un mondo parallelo a sua immagine nei video di cui è protagonista.

La maggior parte dell’attenzione, critica e accademica, volta al fenomeno ha coinvolto il dibattito sulla cultura transgender e LGBT, nell’interpretazione in cui Gaga è paladina dei diritti civili e del suo travestitismo. Nonostante ciò, l’intero fenomeno non è riducibile alla sfera morale: sono, piuttosto, fondamentali la redefinizione dell’identità e l’ibridazione come caratteri fondativi della sua forza estetica e seduttiva.

La sua sperimentazione si accompagna ad una strategia sofisticata di autopromozione e marketing, incentrata sul superamento delle dicotomie su cui si basano esistenza e morale: donna/uomo, bene/male, vittima/carnefice. A ciò affianca la logica dell’eccesso e dell’ipervisione, la sua dichiarata “mostruosità”. In tutta la sua produzione multimediale Gaga non si mostra come icona sensuale in posa provocatoria, ma diventa un eccesso.

Ogni angolatura della realtà ha un fine commerciale: un’operazione iconoclasta di celebrazione del personaggio, basata sulla trasversalità, la s-differenziazione e sugli effetti iperspettacolari transestetici. Il capitalismo estetico della società dello spettacolo produceva nuovi idoli di massa, mentre la società dell’iperspettacolo ricicla vecchie icone amplificando il consumo nostalgico.

Analizzare Lady Gaga significa addentrarsi in una rete poliedrica di ambiti: l’estetica contemporanea, il dibattito sul post-umano, la moda e i gender studies. È lei stessa un fenomeno della moda, ed è diventata parte del discorso della moda stessa: fa del fashion lo strumento performativo privilegiato per la costruzione incessante del suo personaggio, riutilizzando in modo creativo le idee del passato. La sua estetica cangiante è tipica della moda contemporanea, che sfrutta anch’essa la strategia della ri-appropriazione.

L’estetizzazione dell’economia è l’ambito principale nel quale il capitalismo globalizzato si sviluppa, ma lo fa avvalendosi di un’abbondanza di narrazioni, stili, produzioni. È proprio nel settore dei “mercati della sensibilità” nella moda, nel design e nella cultura pop che si affermano le innovazioni più significative, caratterizzate dalla deregolamentazione delle distinzioni tra l’economico e l’estetico. Viviamo in un mondo di sovrabbondanza estetica ipnotizzante, segnato dall’eccesso. Ora l’arte contamina tutti gli ambiti della vita privata e della produzione industriale. È finito il mondo dell’arte contro l’industria, e Lady Gaga rappresenta il risultato più coerente ed efficace della tendenza transestetica, che crea immaginari dove l’arte legittima ed eleva culturalmente i brand. Si parla dell’affermazione dell’homo aestheticus, consumatore drogato dal consumo che si affida più a uno sguardo estetico che utilitaristico. Il fashion assume assoluta centralità, contaminando tutti i settori: la moda è tutt’uno con la spettacolizzazione.

Caratteristici della terza fase del capitalismo estetico sono il revival, il neo-retrò e il pastiche postmoderno, fenomeni accumunati dal concetto di riportare in auge il passato come dimensione sensibile, attestando dunque un sentimento di nostalgia. Ma in nome della dimensione estetica, quella etica viene meno, come nell’immaginario di Gaga: Storia e passato sono svuotati di valore, si fanno simulacri con potere attrattivo. Il passato si equalizza in sincronia con un eterno presente. La violenza, nello spettacolo diventa stile, estetica del film: fa parte della sua stessa essenza.

Tra la seconda e la terza fase del capitalismo estetico (pre-ipermodernità transestetica), si supera la seduzione erotica tradizionale che si serve della forza provocatoria della controcultura dissidente.

La terza fase è l’era delle ibridazioni e del pastiche, riabilitando il decorativo e l’eccesso baroccheggiante. Nel consumo nostalgico il godimento emerge dalle associazioni immaginarie attraenti emotivamente, seppur illogiche, dove i segni rimandano unicamente a se stessi. Emerge qui la nozione di trash in rapporto dialettico col kitsch, che storicamente rispondeva alle tendenze rigide dell’estetica classica mentre il neokitsch contemporaneo gioca col cattivo gusto fino all’eccesso. Eco lo interpreta come prefabbricazione dell’imposizione e dell’effetto.

L’eccesso, quindi il trash, diventa l’arma per approdare al neokitsch, che ha coscienza di essere tale ed è volontario. La sovraesposizione del cattivo gusto è diventata cool e giocare col trash è di grande tendenza. Il sistema si nutre di essi per riprodursi. Gli eccessi fungono da strategie di attrazione dei linguaggi audiovisivi massmediali. L’estetica del neokitsch ipermoderna abbraccia le logiche del lusso e della moda del gusto del postmoderno e della trasgressione, come la comunicazione delle grandi marche di lusso.

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SEDUZIONE COME SUPERAMENTO DELL’EROTISMO

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Lady Gaga è una figura tipica della seduzione contemporanea; concetto che, secondo Baudrillard, si accosta al postmoderno, e ne indica lo snaturamento della seduzione nell’orizzonte del consumo massificato.

“La seduzione non appartiene mai alla sfera della natura, ma a quella dell’artificio” scrive il sociologo, mettendo in evidenza come la seduzione non si affida più alla libido ma alla ritualità e al culto. Tutti i segni sono reversibili. L’apparenza domina l’orizzonte, e la seduzione è infatti il trionfo dell’apparenza, ovvero dei segni e della superficie. Il dominio delle apparenze e il trionfo di segni è una cifra estetica dell’immaginario di Lady Gaga; questa superficializzazione coincide con il fashion design, la moda e la consumistica estrema.

Craig N. Owens interpreta Gaga come “celebrità priva di organi”, che in qualità di tale anatomizza un modo di celebrità pop femminile non nuovo ma oggi dominante, di artista abile a mutare forma e abitare identità temporanee lasciandosi andare nel flusso.

La negazione del corpo come destino risale alle società più antiche, nell’atto del rito volto alla seduzione delle divinità, degli spiriti, dei morti. La violenza partecipa a questa dimensione seduttiva, ed è proprio in ciò che si gioca il passaggio dalla dimensione etica a quella radicalmente estetica. La parade, attrazione estetica, sostituisce la valutazione morale del giudizio relativo all’atto osceno.

L’effetto di straniamento è raggiunto tramite svariati espedienti: nel movie promozionale The Fame una voce narrante over in francese, seguita da sottotitoli orientali, fa da sottofondo a uno scambio di effusioni lesbo tra le tre protagoniste, Lady Gaga, Coco e Dina, vestite di costumi ipergriffati, nei sobborghi di una metropoli del terzo mondo. Le interpreti sono circondate da gente povera, bambini malnutriti e gente maltrattata.

La seduzione rimette in discussione la dicotomia rigida di maschile e femminile; Baudrillard parla di “trans-sessualità della seduzione”, nella quale il femminile non abdica ma emerge sotto una nuova luce. Gaga è espressione della potenza pura del femminile seduttivo: “seduzione e femminilità sono ineluttabili come il rovescio stesso del sesso, del senso, del potere”. È una “non-donna” o “terza donna”: una donna/non- donna che emana un fascino puro, più seduttore che sessuale.

In precedenza, la tecnica del divismo delle star dell’industria culturale è stata quella dell’attrazione erotico- sessuale, mentre Gaga radicalizza l’estetica fino al parossismo e all’eccesso sfociando nel mostruoso.

L’ambito della seduzione e della perversione sono scissi da Baudrillard: pervertire significa invertire l’ordine dei termini, ed è strettamente connesso alla dimensione erotica, mentre la seduzione è una sessualità che si traduce in gioco e teatro. La seduzione, in quanto distaccata da ogni moralità, può dunque riscoprirsi perversa, ma anche oscena se tendente all’estremo, come fregio seduttore.

Gaga sfida nella produzione videomusicale e nelle esibizioni l’ordine naturale e l’ambito morale. La teatralizzazione rende il tutto un gioco ironico e seducente, lo stesso che caratterizza la queer culture: non vi è più sesso, ciò che li appassiona è sedurre i segni stessi. Il tutto è potenziato da una parodia trionfante.

Gaga seduce violando l’eros, convertendolo, contaminandolo e anamorfizzandolo. Il concetto di fascinazione, è lo sviluppo dialettico della seduzione: si tratta della seduzione delle merci e dello star system, basato sul rilancio perpetuo del desiderio eternamente insoddisfatto e sul “raffreddamento dei sessi”, perché permette agli individui di evitare contatti diretti col prossimo.

Il rinnovamento che propone il brand Gaga esorta a una rivalutazione delle proposte culturali ed estetiche attuali. Confusione dei generi, parossismo, eccesso ipervisivo, estetizzazione barocca e parodismo sono le cifre di seduzione dell’inumano, adottate dalla star nel suo immaginario centralmente definito dall’universo del fashion.

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TRIONFO DEL “CAMP” E CONFRONTO CON LE ALTRE ICONE POP

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Dal punto di vista dell’approccio “comparativistico” nel mondo pop, il fenomeno Lady Gaga può essere compreso solo considerando l’ampio panorama di idoli pop a partire da Elvis. Il manierismo preraffaelita, l’eccesso barocco ricordano il “glam rock”: la musica a partire da metà degli anni Settanta si consegna all’edonismo estetico, fino a tendere al grottesco. Il travestitismo è svuotato di significato, ma attrae per la propria stimolazione sensoriale e stravaganza del look. Susan Sontag a tal proposito definisce l’estetica “camp”: un “amore per l’innaturale, per l’artificio, per l’eccesso”. Il camp rifiuta la comune distinzione tra bello e brutto tanto quanto il suo grado di artificiosità e stilizzazione. La teatralizzazione dell’esperienza implica un rapporto passionale col camp, che quando si riduce a meno decorativismo diventa “chic”.

Il profilo di Gaga è tipicamente camp, ma, a differenza di quello “ingenuo”, spontaneo, puro, si avvicina più al “campy”, intenzionale, cosciente di esserlo, manovrato. Gaga è una manifestazione artistica che rifiuta le armonie della serietà tradizionale, e ciò fa di lei un personaggio cinico, perché consapevole della sua stessa mistificazione; un cinismo che Sontag definisce “dolce”, perché “solo apparentemente è malizioso e cinico”.

L’estrema dichiarazione del camp è “bello perché è orribile”, sin dagli anni Settanta movimenti come il glam o il punk hanno iniziato un percorso di ricerca aprendo la strada ad un consumo di immagini totalmente nuovo, proseguito poi da Lady Gaga.

Da un lato il camp ingenuo e autentico, il glam britannico, e dall’altro il camp volontario, glam americano. Gaga assorbe entrambe le prospettive glam: da un lato il trionfo del visivo e l’esuberanza segnica per l’estetica, fanno di lei l’erede del trionfalismo visionario della pop music americana; dall’altro, i riferimenti ad artisti come Bowie e Mercury indicano il valore della dimensione drammatica. A loro volta, le allusioni punk di Gaga s’iscrivono nel sex appeal dell’inorganico, una dimensione che diventa serbatoio prezioso per essere investito solo nell’ambito estetico, attrattivo e seduttivo.

Come opposizione alla star è sorta la carriera di Katy Perry, neo-pin-up che reitera il sogno americano con un sex appeal classico, di matrice erotica, che è l’opposto dell’immaginario di Gaga. Gli spettacoli di entrambe le artiste sono stati in grande stile, racchiudendo i numerosi elementi della cultura americana in questa dimensione trionfalistica direzionata al parossismo spettacolare, seppur in forme diverse. Mentre Perry passa per caratteri ludici tipi dell’universo della “bambola”, in Gaga tutto si manifesta: rock, amorfismo, tribalismo, post human, ma anche dimensione politica e morale svuotata nello spettacolo.

Da Grace Jones recepisce l’osmosi tra arti visuali, mondo del fashion ed esibizione musicale pop, ma soprattutto l’ipermodernismo dell’elettronica del look. La dinamica dell’immaginario che unisce cyberpunk post-umano e indigeno pre-umanizzato seduce perché inquieta, e sarà il fondamento espressivo della proposta di Lady Gaga.

Madonna e Michael Jackson, pilastri della cultura di massa degli anni Ottanta, seguono strade divergenti seppur intraprese da un’origine condivisa.

Madonna si contende con Gaga il titolo di regina del pop: mentre la carriera della prima era marchio pioneristico del femminismo, la carriera di Gaga Disturbia la copia enfatizzando la natura costruita dell’identità. Madonna sta alla televisione come Gaga sta al web. Madonna è tra i primi a sfruttare l’efficacia dello strumento video, trasformandosi continuamente fino a proclamare, in tempi recenti, la propria autorità artistica: Madonna è la totalità di queste molteplicità. La pluralità delle identità in divenire è ciò che segna la continuità tra le due artiste. Esse manovrano “esternamente” la propria creazione immaginaria, tenendo un giusto distacco tra scena e realtà per non rischiare di rimanerne inghiottite. La molteplicità identitaria di Madonna si sviluppa orizzontalmente, switchando da un’identità all’altra, mantenendo una coerenza estetica che in Gaga invece esplode nell’anamorfico, nell’informe e nell’eccesso.

Per la scrittrice Camille Paglia, la provocazione di Gaga è frutto sia di un plagio perpetuo che la rende “diva del déjà vu”, sia un’ideologia mortale lontana dalla valorosa forza vitale di Madonna.

L’era Lady Gaga segna il tramonto della sensualità: la seduzione investe gli elementi in termini macabri. Sostiene che i suoi video siano narcisisti perché evidenziano una sua propria “paralisi spirituale”.

L’analisi di Paglia non è banale, ma bisogna riconoscere come l’operazione di raddoppiamento semantico sia proprio la strategia seduttiva di Gaga, che sfrutta il fascino amorale per l’impalcatura estetica globale adornata di simulacri visuali, ma soprattutto la complessità e la sperimentazione di di questo tipo di linguaggio seduttivo. La seduzione dell’alieno e dell’eccesso è la seduzione inquietante dell’inumano e del mostruoso, stravolgendo i criteri classici di seduzione erotica della cultura pop.

Da Michael Jackson recepisce le fattezze aliene e androgine; la plastificazione nell’elevazione a un essere superiore. L’artista stesso ha poi ceduto all’estetismo, che consiste nella sovrapposizione di arte e vita, arrivando alla chirurgia estetica per costruirsi minuziosamente, creando, secondo Baudrillard, un androgino artificiale, un bambino-protesi, embrione di tutte le forme. La connotazione “mostruosa” di MJ è assunta da Gaga con coscienza, mentenendo lo iato tra persona e personaggio.

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DALLA POP ART AL POP: RIDEFINIZIONI DEL RAPPORTO TRA ARTE E MERCATO

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Comprendere l’arte contemporanea significa comprendere l’approccio eretico e blasfemo. Il discorso su Lady Gaga verte in gran misura sul rapporto fra arte e mercato, che ha segnato la modernità culturale occidentale da metà Ottocento assumendo varie forme, trasformando le categorie dell’arte e l’idea stessa di arte. Nel secondo dopoguerra si è posto il conflitto ideologico della diatriba tra arte e consumo.

Oggi lo scenario artistico-culturale vede artisti che prendono l’arte e la contaminano rivolgendosi alla popular culture, e icone della popular culture come Gaga che rimandano a una dimensione extra-artistica.

Il rapporto tra Gaga e Jeff Koons rende la star autocelebrazione del Pop non inteso come Pop Art, ma nella sua diretta connessione col consumo di massa; a questo proposito, Lady Gaga fa riferimento a Warhol con “Pop ate my heart”, dove lei stessa sottolinea nel video come la liberazione e la nascita della star passano per il superamento della dimensione morale ed emotiva.

L’autentica fusione tra pop e mercato è avvenuta quando l’arte ha perso la priorità lasciando le redini alla pop culture. È la cultura di massa ad attingere all’arte, e non il contrario. Gaga passa attraverso il mondo dell’arte per autocelebrarsi come icona pop, e partecipa alla riqualificazione del senso del “godimento” avviata dall’arte contemporanea dalle prime avanguardie.

Koons comprende che l’arte ha smarrito il suo carisma, e rintraccia le nuove icone visive in pornostar, personaggi sportivi e popstar. Gaga assorbe però il cinismo in sua funzione, inglobandolo nel suo mondo.

Innumerevoli sono le produzioni con artisti di tutti i tipi, ad esempio il videoartista italiano Francesco Vezzoli; egli arruola per Gaga nel 2009 una squadra di creativi per creare performance site-specific in occasione del trentennale del MOCA (Museum of Contemporary Art di Los Angeles), in cui sono coinvolte figure come Damien Hirst, Baz Luhrmann, Catherine Martin, accessori firmati Prada. Gaga suona al pianoforte circondata da farfalle kitsch con un copricapo a forma di occhio gigante con protagonisti i ballerini del Teatro Bol’šoj. L’intera performance è stata ripresa e montata da Åkerlund, che collaborerà anche successivamente con Gaga. Vezzoli crede nel valore dell’universo creativo della popular culture, ne riconosce l’innovazione tecnica ma anche seduttiva. Realizza quindi dei video che ammiccano ai programmi televisivi, ai talk show, senza polemizzare, proponendo un raddoppiamento semiontico attraverso un processo di decontestualizzazione. Le immagini diventano materiale testimoniale e concettuale.

Il metodo Gaga si consegna con estrema venerazione a Marina Abramović, con la quale collabora sin dal 2013, prendendo parte a esercizi del “metodo Abramović”: Lady Gaga viene ripresa per la prima volta completamente nuda in un bosco nell’atto, ripercorrendo l’idea abramoviciana d’arte, di abbandonare la bellezza e la quiete per dedicarsi al dubbio, assunto in video dall’icona popolare per eccellenza. L’arte e l’Abramović le consentono una riappropriazione dell’originarietà perduta nello spettacolo; il corpo nudo è corpo che si integra nella natura, non più corpo dell’icona performativa.

L’arte di Vezzoli si fa principio e criterio della ri-comprensione dell’industria culturale, adottando le icone di persona, al contrario di Warhol che si limitava a sfruttare le immagini delle icone. Lady Gaga adotta il processo “dalla Pop Art all’Art Pop”, ovvero l’arte nel pop.

Né l’arte di Andy Warhol né la musica pop avrebbero senso in assenza di un’industria che le gestisca; per raggiungere il successo sono necessarie la strategia del processo di iconicizzazione e la pratica della ripetizione. Mentre Warhol sfruttava già la popolarità di alcuni personaggi noti a livello internazionale adottando un concetto di ripetitività, la musica pop concede l’emersione dell’ennesima star: in entrambi è assente un’opposizione allo star system. Nell’accostamento tra Warhol e le figure istituzionali dell’industria musicale, egli sfruttò lo spettacolo trasformandolo in arte tramite processo “auto-cosciente”, ed è col divenire arte che l’immagine trasforma il proprio significato: tra le due immagini avviene un processo che ci permette di allontanarci e vedere le cose dalla giusta distanza. Nella musica pop questo spazio è soppresso, e recuperabile solo dalla dimensione critica. Gaga è “un’opera d’arte”, perché l’ambito mercantile e commerciale le appartiene in partenza. Oggi ciò che agisce maggiormente sull’immaginario collettivo è una forza consegnata a settori limitrofi all’arte, che stimolano e sono stimolati da essa.

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RIVOLUZIONE GAGA: L’ORIGINE DELL’ESTETICA DELL’ECCESSO

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Il primo album, The Fame (2008), nella propria videografia musicale dimostra una graduale presa di coscienza degli strumenti e delle strategie che tendono al successo internazionale. Il titolo, “La fama”, allude alla fama prima della fama stessa, sostenendo che “la celebrità non è stata trasformata, è la vera natura della sua stessa identità”. Fama e musica sono culturalmente costruite in un’interrelazione.

La prima apparizione musicale arriva con la clip Just Dance di Melina Matsoukas. Da qui l’artista inizia a collaborare con artisti come RedOne, Akon e Lauriann Gibson. Il gusto vintage e gli omaggi agli anni Ottanta, a una festa in una casa privata, omaggiando Bowie col trucco. Due elementi interessanti sono che la prima comparsa di Gaga arriva in automobile, e si copre metà volto con la mano, gesto che diventerà elemento distintivo dell’identità-non identità. I jump cuts rendono il movimento a scatti robotico e artificiale, che annuncia una parte consistente della ricerca estetica della star.

Poker Face ostenta una maturità radicale: Gaga emerge dalla piscina in un body latex nero lucido tra due alani sotto a un cielo tempestoso, in una villa dove si svolge uno strip poker. Con esso compie il passo verso l’iper-estetizzazione visiva, verso il parossismo eccessivo, curato dal collettivo Haus of Gaga. La sua iconicizzazione fotografica riprende il profilo della “guerriera” aggressiva: l’artista gioca sul confine tra essere anfibio e profilazione postmoderna, dove ricopre tanto la parte di subordinazione all’uomo quanto di rivalsa nei suoi confronti. La musica allude a un gruppo storico pop anni Settanta, i Boney M., con la sillabazione ipnotica. La linea vocale piatta conferma la dimensione inumana e robotica: sia nell’intro che nell’outro il montaggio si fa ultrarapido, per accentuare tale dimensione. La sensualità dell’inumano sarà perseguito in vario modo negli anni a seguire.

Lovegame si apre con un’intro lo-fi ambientato in un contesto metropolitano suburbano; l’intera costruzione gioca sul contrasto tra ambientazione post-industrial alternata a una Lady Gaga “angelica” ma vilipesa, gettata su un tavolo piena di diamantini, che inevitabilmente ci rimanda alla scultura-teschio arricchita di diamanti, For the love of God, opera di Damien Hirst. Il set poi si sposta su un vagone dove i referenti fashion solo altri per un orizzonte più cinematografico, ispirato a Bad di Michael Jackson. Il singolo segna una simpatia artistica con Marilyn Manson, un’altra icona della pop music contemporanea.

I rispettivi immaginari hanno molto in comune: l’androginia, l’attrazione perversa per l’orrido, il fascino degli elementi ortopedici e per le protesi, ma anche la dialettica di oscurità e visibilità, il movimento a scatti; espedienti tipici del rock che Gaga li assorbirà per applicarli al pop.

In Paparazzi, di Rob Fusari, è firmato Gibson e Åkerlund, autore di numerosi clip per band rock e pop. Il suo stile esalta l’eccesso e la visione plastificata, la messa in scena dell’illusorietà pop, e permette a Gaga di ribellarsi contro la bellezza traendone beneficio. Ciò che è straniante è un uso innaturale del montaggio, sfruttando il jump-cut che crea ellissi temporali e l’overlapping in corrispondenza delle battute ritmiche del brano, a cui si sovrappone l’effetto reverse. Queste strategie interrompono il fascino lineare dell’erotismo classico.Sin dal taglio del formato in apertura, il video mette in evidenza la strategia autoriflessiva che impone all’attenzione pubblica un mondo parallelo fantastico e visionario per via dell’eccesso. Il montaggio di apertura che offre scorci di una villa hollywoodiana, ci mostra negli interni scene di disordine tipiche del way of life californiano dei vip. I due protagonisti si scambiano effusioni dal letto al balcone, finché l’uomo non tenta di gettare giù la donna, il tutto ripreso dai paparazzi. Il carattere polemico del video è palese, e vuole essere possibilità di vendetta e riscatto per tutte le donne vittime di abusi. All’attacco della sessione ritmica del brano Gaga torna dall’aldilà in limousine, condotta all’interno da servitori su una sedia a rotelle. Il riferimento e il potenziale di attrazione della figura invalida è di un cinismo disarmante: l’attrazione per il post-umano qui si esprime nell’impossibilità umana all’azione e nell’adozione di protesi. La figura della star invalida sembra richiamare il profilo sacrificale cristico rinnovando il potenziale teologico e redentivo della star. Gaga poi compie la sua atroce vendetta stimolando un senso di godimento nei confronti dell’autorialità convalescente. L’immobilismo diventa seducente; si tratta della “estetica della disabilità”, riconosciuta per la prima volta come elemento seduttore nella popular culture. La figura del “dio ortopedico”, definizione coniata da Roberto Longhi in merito alla critica dell’arte di Depero e De Chirico ha affrontato nella storia figure come bambole monche, dove la serenità infantile del gioco passa attraverso la sofferenza, come quelle che troviamo in Fighter (2002) di Christina Aguilera, regia di Sigismondi; le figure erano presenti però già nei quadri di De Chirico, che fu criticato appunto da Longhi per aver sfruttato l’attrazione patetica per gli invalidi della Grande guerra. Il corpo ortopedico sfrutta l’immaginario perché gioca sul confine liminare di umano e inumano, post-umano ma anche “pre-umano”. Il video prosegue in un montaggio alternato tra la coreografia di gruppo con una Gaga donna-macchina malfunzionante e delle immagini di una Gaga lasciva che fa moine su un divano flirtando con altri, in un immobilismo che ricorda Manson con chiara ispirazione alle High Fashion Crime Scenes di Melanie Pullen. La star assume poi connotati inquietanti, dimostrandosi non solo vittima ma carnefice. Il montaggio si alterna anche con inquadrature rapide di atrici immobili, riversate nel sangue, che funzionano come manichini, interpretabili secondo la logica della moda come “icone commerciali immobili”. Lo smarcamento dal flusso di visione frenetico trova una corrispondenza nell’ambito commercial: la seduzione passa attraverso l’immobilismo dei corpi, dove le modelle sono ridotte alla passività della morte. La strategia cinica gioca proprio su tale fastidio, immerso da una superficie visiva alimentata da influenze neoclassiche e baroccheggianti. In corrispondenza della parte più acida e beat intravediamo Gaga nell’oscurità avvolta da pellicole cinematografiche, quasi a confermare la metatestualità citazionista del complesso pastiche. Al ritornello Gaga, in un abito che allude a Mickey Mouse, avvelena il compagno in una stanza; le inquadrature alla bocca truccata come fumettistica sottolinea come la morte sia resa elemento estetico attrattivo, gesto irrealizzato dalla dimensione demenziale nella quale si svolge. In seguito la scientifica compie indagini e arresta Gaga: qui la strategia narrativo-cinica esplicita le contraddizioni dello star system attraverso pagine di giornale che mostrano sia l’accusa di omicidio di Gaga che la sua celebrazione e il suo ritorno al successo. Tra le griffe d’alta moda troviamo Thierry Mugler, Dior, Tom Binns e Loree Rodkin, Giuseppe Zanotti, The Blonds, Emilio Pucci, Dolce & Gabbana, Michael Schmidt, Boudicca e Fendi.

La violenza applicata da Gaga può emanciparsi da qualsiasi considerazione morale e legale: la violenza tradotta nella pura dimensione estetica del godimento sensoriale troverà la sua attuazione nell’episodio successivo, Telephone.

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IL MOSTRO DELLA FAMA: L’EVOLUZIONE DELLA STAR TRA ALTA MODA E PERVERSIONI VISIONARIE

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Il secondo disco, concepito come prosecuzione ed evoluzione del primo, è The Fame Monster (2009). L’album sancisce un’evoluzione stilistica e di connessione con le maestranze del fashion, delle arti visive, della fotografia etc. Alla fama si aggiunge “la mostruosità”: così come per The Fame affermare promozionalmente la “fama” ancora prima che si instaurasse implicava una condizione ossimorica di autodeterminazione per la costruzione del proprio successo, così è adesso per la sua mostruosità: sembrano definire un ossimoro.

Qui si pone la prospettiva innovativa del linguaggio pop, che per stabilire una relazione produttiva col mercato deve rinnovarsi ma anche contraddirsi. Lo stile pastiche complessivo del disco accoglie influenze come il glam rock, la disco anni ’70/’80, R&B, trip-hop.

WvLa qualità della dimensione estetica di questa nuova fase è palese dalla copertina e dallo styling del booklet, di Hedi Slimane, artista che ha lavorato con Dior, Saint Laurent e curato look di band come Franz Ferdinand, Libertines, Daft Punk e These New Puritans, band sperimentale di art rock. Se fino a pochi anni fa era impossibile una collaborazione tra rock e high fashion, la band decadentista lavora con e per artisti di tutti i generi; l’immaginario gotico e crepuscolare fa interagire ambiti apparentemente inconciliabili, e non è un caso che si incontri con quello di Gaga, ritratta in copertina in gothic style, che sembra riferirsi a un’estetica espressionista e weimeriana.

Bad Romance (2009), il primo clip ufficiale del disco diretto da Francis Lawrence, segna la collaborazione tra Gaga e Alexander McQueen, stilista trasgressivo e rivoluzionario che ha sconvolto il mondo dell’high fashion, a cui la stessa star dedica Fashion of His Love. La sua strategia, il glamour dell’anti-glamour, la concezione disturbante della moda, l’attrazione per il post-umano, sembra riflettere i principi alla base della ricerca di Gaga. Lo stile delle sue campagne è in tinte scure e un connubio tra gothic-punk e una sensibilità preraffaelita. La carriera di McQueen conferma l’interazione tra avanguardia artistica e moda. Tra le sue influenze si annoverano Hirst e l’Abramović.

Gli outfit sono curati dalla Haus of Gaga, Alex Noble, Nicola Formichetti e Franc Fernandez, col suo stile vintage e iperestetizzato, divenuto famoso per il vestito di Gaga “The meat dress” (l’abito di carne) per gli Mtv Music Awards (2010). Costume interamente realizzato di carne fresca che è in realtà parte di una performance, vicino alla sensibilità hirstiana, che mette in connessione il carattere caduco della materia che marcisce all’elemento del tempo che scorre, forse allegoria della star fagocitata dal sistema e condannata ad invecchiare. Oppure può essere interpretato come messa in evidenza della cultura massificata, che sacrifica un bene primario per l’idolatria dell’icona.

Nell’incipit, un clavicembalo elettronico restituisce lo stesso straniamento del film kubrickiano Arancia Meccanica, mentre nel carrello frontale di apertura troviamo un tableaux vivant con al centro l’artista scomposta su una poltrona. Dopo aver spinto un bottone Gaga si “accende”, confermando la sua essenza robotica, per dar spazio al coro che accompagna la visione in ambienti sci-fi futuristi e bianchi, basati sull’assenza di spigoli, caratteristici della contemporaneità e dello stile Apple, che producono un’intensità stimolata dalla suggestione di protesi e invitano ad un desiderio tattile.

Da alcune bare emergono marziani ballerini in latex bianco che circondano Gaga, che attraverso uno stacco di montaggio vediamo gettata in una vasca. Lo stile coreografico, basato sullo staccato che segue il coro melismatico, richiama evidentemente Thriller di Michael Jackson.

In Bad Romance, l’androginia aliena diventa dimensione postumana para-organica di una creatura quasi anfibia. La dimensione sfuggente di questo essere, seducente perché a-erotico, si esprime nelle prime inquadrature che mostrano uno sguardo distorto, che allude alla condizione di Gaga di vittima della mafia russa, schiavizzata, maltrattata e costretta ad esibirsi.

Nell’incipit, la coreografia dei marziani non palesa la star: le altre inquadrature si negano alla visione diretta.

Il primo piano compare alla fine del primo ritornello: il volto angelico di Gaga in lacrime si pone come contrappunto alla narrazione. Viene poi vestita davanti al tavolo dei criminali, dopo di che si trova in una gabbia costretta dallo spazio; la sua posizione richiama sia la dimensione aliena che quella animalesca, e all’immaginario anime nipponico per la nudità deformata da protuberanze sulla schiena, simbolo dell’inumano.

Il ballo continua, per poi dar spazio al rincorrersi delle immagini della bambola allucinata iniziale, quelle da danzatrice e quelle da alieno in gabbia. In queste scene si esprime un raddoppiamento semiotico, dove le inquadrature basse e totali obliqui e frontali rendono l’illusione che Gaga, oltre ad esibirsi per il pubblico della mafia, si esibisca anche per noi. Gaga si avvicina al tavolo e viene “prezzata”; da qui, un bullet effect di immagini statiche registrate da apparecchi disposti a cerchio intorno alla figura, rendendola una statua immobile attorniata dai diamanti, e sospesa nel tempo. Si alternano i freezing circolari con la coreografia in costumi bianchi.

Nella nuova sequenza le assolvenze di luce rapidissime ci conduce nella camera dell’uomo sedotto da Gaga in total white, che trascina una pelle d’orso polare; si introduce nuovo set e nuova coreografia, rossi ed eleganti. Mentre si avvicina alla vittima per la vendetta torna il primo piano angelico, il cui pianto di rabbia esprime riscatto.

Tutti questi elementi evidenziano ancora come la dimensione seduttiva erotica è solo uno scorcio di un gioco narrativo molto più ampio, di cui la drammaticità: esplode la luce con l’ultimo ritornello, e la coreografia in rosso annuncia l’esplosione nella camera; Gaga è immobile come statua vincitrice con uno sfondo infuocato. Spegnimento di luci, finale di ballo precedono un carrello a retrocedere (opposto a quello iniziale, ad avanzare) che mostra un cadavere bruciato sul letto e Gaga in biancheria al suo fianco. Gaga è vittima e carnefice in due dimensioni in cui il riscatto, che arriva dopo la subordinazione e alla sottomissione all’uomo, è doppio.

Movimenti di macchina geometrici, di cui il referente ideale è Kubrick, che attraverso la rigidità scenografica e registica segnava l’orizzonte in cui l’esplosione della follia diventa sovversiva. Così è per il mostro gaga, che alimenta il thanatos come pulsione libidica cardine; l’immaginario della pop star che tutto fagocita, anche la morte, diventa pura espressione attrattiva.

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Telephone (2009), il sequel di Paparazzi, vede l’immaginario pop-citazionista prender definitivamente sostanza. Åkerlund omaggia Tarantino in una narrazione iper-estetizzata e plastificata: tutto si pone sotto il segno dell’eccesso e della stravaganza parossistica, in un look acid-pop, contaminato da elementi dell’urban-style, l’altra faccia del gotico che esplosderà con Alejandro. Il complesso delle stimolazioni sensoriali, tra psichedelia e kitsch, è alimentato da figure prestigiose del fashion contemporaneo: Butler Fred, Rachel Barrett, Oscar Olima, Christian Louboutin, Emilie Pirlot, Jean-Charles de Castelbajac, Mercura, Thierry Mugler e Viktor & Rolf, tutti coordinati da Nicola Formichetti, leader della Haus of Gaga.

La mutazione continua dell’outfit è segnale efficace della mutazione perpetua dell’immaginario Gaga, che sottolinea l’attitudine del “neo-pop” a recuperare un modello culturale del passato rilanciandolo con modifiche significative. La trasformazione di Madonna era sempre legata ad elementi adattivi, finalizzati alla creazione e al rinnovamento del fascino dell’icona. In Gaga non c’è più glamour, ma seduzione che passa per canali obliqui, dove l’opera dei maestri delle maison serve a disinnescare l’attrazione erotica: il barocchismo dell’outfit lo dimostra.

L’intro del video si apre col suono dell’arpa; e una serie di immagini ci presentano il penitenziario, con titoli in stile psichedelico con carattere rotondo e giocoso tipici del cinema, da cui emerge il primo ossimoro.

Inquadrature documentative del carcere ci introducono al carattere demenziale che animerà il film. Un’analisi di Telephone può includere il rapporto tra kitsch e trash: in entrambi i casi i tratta di celebrare il “brutto”, ma il kitsch ricerca l’effetto ponendosi dialetticamente con l’arte, mentre il trash è l’attrazione per ciò che è “più basso” (anche moralmente). Il kitsch è tipico del post-moderno, perché tipico del kitsch è lo svuotamento del significato storico da parte del significante espressivo. In questo senso, Gaga è kitsch.

Un carrello segue la cantante accompagnata dalle poliziotte tra le celle e Gaga arriva nel cortile del carcere, lasciandosi andare a effusioni e baci lesbo per portarci poi di nuovo nel penitenziario. Iniziano scene di lotta tra le detenute, e una chiamata per Gaga fa iniziare il brano. Il montaggio si serve di overlapping e glitch sia nell’audio che nel video. La coreografia fa mimare a Gaga gesti di lotta.

Tornando poi al corridoio del carcere, Gaga è in bikini tra detenute. I passi sono costretti e contenuti, elementi che rimandano all’elemento attrattivo dell’immobilismo. Ci troviamo di nuovo di fronte a dei tableaux vivants, strategia efficace perché fa irrompere nel flusso postmoderno ciò che si sottrae al divenire stesso: si tratta dell’apertura del baratro del senso, in cui le immagini creano un corto circuito. Gaga avvolta dal nastro della polizia passa da freeze-frames inizia a cantare, come se un manichino prendesse vita, e dopo alcune scene nel corridoio si torna nella cella dove inizia a muoversi in maniera iper-rapida, offrendo un effetto horror.

Gaga viene accompagnata fuori dal carcere alla Pussy Wagon, dove dentro la aspetta Beyoncé. Le due si intrattengono in un dialogo assurdo che richiama alcune scene di Tarantino; il viaggio in macchina sfrutta un chroma key palese e goffo. La successione degli elementi della mass culture ci porta alla scena cuore del video in un fast food. Beyoncé avvelena l’uomo come Gaga in Paparazzi in uno split screen moltiplicato in cui vediamo Gaga in cucina, che ci insegna in maniera delirante come preparare un hot dog, dove l’intento è mettere in evidenza la continuità tra la violenza esibita e l’immaginario innocuo della cultura televisiva. Beyoncé è introdotta nell’universo Gaga depotenziata dall’uso di overlapping e inquadrature in reverse, tramutandosi in figura grottesca. Tornando alla narrazione principale, Beyoncé in uno split che osserva soddisfatta l’uomo tossire dinnanzi a sé, e Gaga in un altro che porta la pietanza avvelenata al tavolo; mentre lui si abbuffa, Gaga assume una posizione statuaria. Lui muore, e dopo di lui tutti gli altri clienti. La strage diventa elemento di stimolazione sensoriale, perciò elemento della costruzione postmoderna complessiva. L’immobilismo delle comparse è la morte stessa, in mezzo alla quale il corpo di ballo continua a danzare: la morte è il punto limite, l’ignoto assoluto, la riduzione dell’uomo a cosa. Questa è la cifra caratteristica dell’estetica di Gaga che qui si palesa in maniera grottesca; ci dimostra che non solo il metal e il rock possono contemplare il thanatos, ma anche l’industria discografica pop, sembra stata opposta a tali principi. La morte dei commensali può essere vista come la soluzione della star al problema di essere “mangiati vivi” dai fan. Le due paladine fuggono, e il corto si chiude sul “To be continued”.

In Alejandro, Klein realizza un pastiche manierista che gioca sul confine tra iper-visione barocca e minimalismo scenografico.

L’effetto scioccante del video richiama il kitsch, mettendo in relazione stilemi decontestualizzati rispetto al proprio ambito di origine; l’universo cupo del video è firmato da Nasir Mazhar, Evandro Soldati, Giorgio Armani, Dolce & Gabbana, Francesco Scognamiglio, Atsuko Kudo. L’alta moda stride con l’oscurità e le tenebre della scenografia, ma anche col riferimento al nazi-fascismo; viene sfruttato il potenziale di fascinazione dell’universo autoritario, innocuo perché iperestetizzato.

Un giovane addormentato affianco a un fucile, seminudo, con scarpe a rete e calze femminili. Il set è scena teatrale, una sorta di cabaret weimariano, con giovani addormentati in divisa; ciò richiama l’universo simbolico del nazismo, innocuo perché iperestetizzato, che esplicita il potenziale di fascinazione dell’universo autoritario. Gaga nel giro di pochi secondi passa da vittima a carnefice. Assiste al funerale di Alejandro e poi, in maniera visionaria, sono mostrate immagini di violenza collettiva e tortura.

L’attrazione per il proprio carnefice e il ribaltamento del ruolo vittima/carnefice, sono gli elementi alla base del video, ma anche dell’immaginario di Gaga se non della popular culture attuale. Il livello metatestuale ci fa comprendere la nostra condizione di fruitori e consumatori, attraendoci con immagini svuotate di connotato testimoniale che richiamano l’orrore storico, lasciandoci attingere all’attrazione per il formale e per il perverso. Divise ispirate allo stile fascista, i ballerini ispirati ai balilla, alcuni elementi della coreografia richiamano il “passo dell’oca” e la lotta greco-romana.

Oltre alla dimensione di fascinazione sadomaso, un altro piano nel video è legato al malato, all’osceno, l’indistinzione androgina, paradossalmente quanto di più vicino al fascismo nell’ottica autodistruttiva che il fascismo non possa non applicarsi su se stesso. Il riferimento al nazismo permette a Gaga di ripensare la categoria dell’eccesso da un lato, dall’altro quella di “inumanità”. Il mostruoso dell’artista non può escludere la dimensione umana, perché tutto ciò che compie l’umano è un’azione umana.

Alejandro mette in scena il set stesso su cui si svolge, proprio per ribadire la sua falsità, seppur sia da essa che si fa ispirare; ciò è confermato anche dalla scenografia quasi onirica.

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Altro aspetto da considerare è la corrispondenza tra mercato e religione (sulla base di vittima e carnefice). Vestiti da abiti da suora ingoia un rosario; Klein ha spiegato la scena parlando di “teofagia”, giustificandola un “Cappuccetto Rosso” postmoderno che intende farsi tutt’uno con la divinità. Come ha fatto la star col suo immaginario: compenetrazione assoluta senza resti.

Gaga è l’emblema del consumatore di massa postmoderno: livellato e sfruttato da un ordine superiore, è tuttavia accondiscendente perché trascinato da quel potere. La violenza è la stessa ma ha cambiato forma, e l’attrazione per l’autorità si è tradotta nello star stystem, comune logica che accomuna le dittature e il capitalismo. L’artista porta per la prima volta tale identificazione all’evidenza.

A differenza dell’immaginario metal e hard rock degli anni Novanta, che faceva della dimensione blasfema un’opposizione ai codici morali ufficiali, Gaga eleva tale attrazione, sfruttandola ma nel momento in cui viene denunciata, a servizio del pop.

Il grande predecessore di identificazione di idolatria nel mondo dello spettacolo è Freddy Mercury, in Radio Gaga, brano che per l’appunto da il nome alla cantante. L’ispirazione deriva dal film muto Metropolis: i Queen si trovano nel film del ’33 che annuncia l’avvento della dittatura nazista, e come nel film originale, troviamo il terrore per il caos della società tedesca nella trasfigurazione fantascientifica. L’immaginario rock si identifica con l’immaginario del “totalitarismo distopico”, coniugato con l’estetica glam dei Queen, caratterizzata dall’androginismo transgender.

Anche i Residents hanno trattato sempre i legami sotterranei di fascismo e rock’n’roll; l’identità celata nei live fa parte di quelle operazioni che interrompono la seduzione classica dell’universo pop. Si può dire che stiano al dadaismo come Gaga sta alla Pop Art. Mettere a paragone Like a Prayer (1989) di Madonna con Alejandro aiuta a capire i mutamenti pop degli ultimi trent’anni: entrambi, all’epoca di uscita, furono criticati con acerba acredine. Le corrispondenze visive tra la violenza agita tra le forze dell’ordine e la violenza simbolica dell’autorità religiosa fanno di Madonna la redentrice che nel finale gospel supera la tragedia in prospettiva della fraternità universale. Una visione empatica della religione è data dall’alternarsi della storia di un’ingiustizia sociale (dove il martire è un ragazzo di colore) e la dimensione mistica dove la persecuzione sociale delle autorità si svolge in una chiesa. Il concludersi sul “The End” rappresenta un’escamotage tipica degli anni Ottanta, la dichiarata finzionalità: il video deve dichiararsi fittizio per non sembrare pretenzioso.

Alejandro non ne ha bisogno perché si accosta alla costruzione dello short-film: la violenza è proiettata su schermi e quindi astratta, e ancor più astratto è il video intero a causa della sua costruzione immaginifica ipercarica. L’ottica di denuncia sociale è quindi subito disinnescata e tradotta nel proprio potenziale fascinatorio. Nell’orizzonte contemporaneo assistiamo ad un intreccio di iconoclastia e dissacrazione continue come nuovo orizzonte di seduzione post-erotica.

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COSMOGONIA DEL MITO: L’ANAMORFICO E LA COESISTENZA DEGLI OPPOSTI

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Nick Knight è un altro autore essenziale dell’immaginario odierno, che fa dello stravolgimento formale e della mutazione dei corpi costante della sua produzione. La sua estetica riflette il superamento della seduzione erotica classica legata al glamour dei decenni precedenti verso una sensibilità seduttiva legata alla tensione verso l’indefinibile. McQueen, Klein e Knight hanno un rapporto molto stretto nel tempo, in cui si è inserito perfettamente l’immaginario Gaga, per cui ha realizzato il tour mondiale Monster Ball. In realtà, gli scatti di Born This Way lasciarono delusi critica e pubblico per la bruttezza, che però insiste sulla mostruosità della cantante, cogliendo il caos primigenio. È assente sulla copertina il nome dell’artista, che ormai, raggiunta la “mostruosità della fama”, non ha bisogno di ribadirlo: ciò consacra ulteriormente il mito pop della cantante. La copertina esprime il carattere meticcio dell’intero album: l’anima rock si palesa in maniera decisa.

Nel video di Born This Way (2011) dove la “nascita” è il concetto centrale, è in scena l’orrore amorfo e il momento dell’emersione dall’indistinzione brutale. In collaborazione con Bart Hess, giovane artista visuale e fashion designer, la cui ricerca si orienta sulla sperimentazione agita sul corpo umano, e sulla compenetrazione di organico e inorganico. Il post human si configura in lui come confusione e deturpazione dell’umano attraverso vestizioni organiche: configurazioni in cui la dimensione tattile ha il sopravvento. Gaga conosce bene il sensation seeking massmediale, ovvero la lotta per la percezione, dov’è il dominio della dimensione estetica. Ciò a volte produce nostalgia per l’esperienza aptica e tattile, richiamata da quegli elementi che stimolano prima di tutto il nostro sistema nervoso. Hess realizza per Gaga dei ritratti fotografici, in cui è avvolta da un liquido amniotico pastoso: ontogeneticamente, è un riferimento al brodo primordiale, ma filogeneticamente, al liquido del ventre materno, giocando sul tema dell’emersione. Una cosmogonia pop delle origini del bene e del male, due forze spirituali provenienti dalla stessa origine informe, come creazione di una razza alternativa a quella umana. L’intro del videoclip, in stile vintage proietta lo spettatore in un clima anni Settanta, mostra la nascita del “mostro”, essere irreale e mitico, la cui emersione ricorda quella di Poker Face: qui, però, si tratta di una divinità pagano-fantascientifica. Gran parte del lavoro è svolto in post-produzione; segue una sequenza di immagini astratte nel nero totale. Delle figure organiche difficilmente riconoscibili mostrano un parto: la nascita del “mostro della fama”, di cui si narrano le origini. È l’essere che regola l’universo: amore e odio, vita e morte; l’identità duplice dell’artista. Dal liquido amniotico emerge una testa mentre parole recitate parlano della nascita di una nuova razza. Referenti iconografici sono il surrealismo, Robert Mapplethorpe e Man Ray, il cinema delle origini, David Croenenberg per la sua visionarietà post human. Dopo un magma indefinito di corpi avvolti da veli, alla figura divina dell’inizio circondata da diamanti si contrappone una Gaga “archetipo del male”: una donna-ragno gigantesca, spara con dei fucili verso terra. La nascita simultanea del bene e del male. Finita l’intro inizia la musica: Gaga balla tra i corpi a terra. Il montaggio è molto veloce e attraverso un effetto flou le luci schizzano sulle superfici riflettenti dell’outfit di Gaga. Il tono è quasi epico. Nella coreografia Gaga esibisce il suo corpo anfibio in bikini; la nuova immagine ci presenta una Gaga irriconoscibile, truccata da morte. L’amore si esprime nell’insieme dei corpi avvinghiati nella vernice. Vediamo poi la testa di Gaga tra molte altre teste, moltiplicazione della diva nel segno della nuova razza. Tutta la struttura del video è una successione di stimolazioni sensoriali estreme, dinamica postmodernisa kitsch tipica degli anni Ottanta. L’epilogo è uno sketch: in uno scorcio suburbano invaso da luci e fumo, la star con guanti fluorescenti truccata in maniera mostruosa in forma aliena. Quest’immagine è immagine della co-presenza di cui il video ha mostrato l’origine: seduzione e repulsione, bene e male, amore e mostruosità. In Gaga tutto si gioca sul campo dei significanti, ma in seguito l’immaginario della star si avvicinerà all’orizzonte empatico e morale.

Judas (2011) segna l’ampliamento dell’immaginario mitologico di Gaga, che adesso affronta direttamente l’aspetto teologico.

Il riferimento religioso viene rinnovato attraverso la figura della Passione di Cristo in chiave pop, massima espressione di iconoclastia possibile, in quanto rivolta direttamente all’immaginario cristiano. Qui la star sfrutta gli archetipi religiosi per rinnovare la sua capacità di attrazione, e per mettere di nuovo in evidenza la coesistenza degli opposti, risalendo alla narrazione centrale della costituzione dell’identità occidentale. Insieme a Laurieann Gibson, Gaga stessa si è occupata della regia: supremo gesto di confluenza nel circuito della divinizzazione culturale. Rispetto alla figura cristica redentiva della produzione video precedente, ora si mostra nei panni di Maria Maddalena. Mentre prima la religione si serviva della pop culture per proselitismo, ora è la pop culture che si serve dell’immaginario mitologico-religioso per definire una tecnica di seduzione particolare. Gaga compie il processo inverso di Manson: dal post-human alieno all’iconoclastia religiosa. Giuda, condannato alla storia come traditore, appartiene in realtà al destino cristico: è quindi essenziale alla definizio di Cristo, che senza il suo tradimento non sarebbe risorto. La figura del redentore si determina solo in rapporto alla sua negazione, ovvero al suo traditore. Qui Maria Maddalena è attratta tanto da Gesù quanto da Giuda: l’amore sacro e quello profano. La Haus of Gaga lavora stavolta con Tom Tom, Mariana e Mugler, Capezio, Perry Meek, Erickson Beamon, Raquel Allegra, Alex Noble, Adrenna Landau. L’invasione dell’iper-esteticcazione del vangelo per mano di Gaga significa rivelare la comune struttura logica di fondo: da un lato la star elegante stagliata su un mare in tempesta rimandando alla Venere di Botticelli, dall’altro Gaga in un abito da sposa iper-barocco decorato con la corona. Tutto volge all’onnicomprensività del racconto, dove la visionarietà si pone nella differenziazione molteplice di elementi. La narrazione tragica si apre in stile anni Settanta, saturata, sospesa nel tempo, immortalando in maniera mitica i personaggi. Al coro dance si intuisce la continuità rispetto a “The Fame Monster”: la dimensione techno-dance, si avvicina al dubstep più che alla dance anni ’70. All’inizio del brano vediamo gioielli, monili e la protagonista, per poi passare al primo piano sorridente di Maria Maddalena, a capo della banda con Gesù Cristo. In Judas si rincorrono il piano mitico-religioso e la dimensione di modernizzazione della narrazione; ella coreografia si palesa inoltre una sorta di tribalismo postmoderno. La storia della fedeltà di Maddalena si svolge nell’alternanza tra coreografie e scene narrative su vari livelli: oltre al racconto mitico, al primitivismo, e alla gang di motociclisti, troviamo un riferimento alla cultura americana del XIX (il locale), ma anche stilemi iper-barocchi. Giuda è osservato da Cristo, che arriva alla festa e svolge il rito con Maria Maddalena; quest’ultima ostenta gesti di benevolenza, ma la festa viene interrotta da una rissa. I due vengono portati via. La sessione acid- techno del brano è visivamente rapida. Gaga con una pistola vuole uccidere Giuda, ma Cristo glielo impedisce, e allora le esce un rossetto dalla canna; cade a terra disperata. Il personaggio subisce qui diverse trasformazioni, in un tableaux vivant nel fuoco e nell’acqua che la travolge. Maria si trova in una vasca tra Cristo e Giuda, dove l’acqua agitata dal putto allude alla confusione inestricabile delle due dimensioni. Gaga viene lapidata in pubblico. Lei morta a terra si sacrifica prima ancora del Cristo, riscattando Giuda come figura di redenzione. Solo in lei luce e tenebre possono convivere.

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GAGA È MOLTI: TRASFORMISMO E DISSOLVENZA DELL’IDENTITÀ

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La caratterizzazione plurale dell’identità di Gaga è riconoscibile prima di tutto in un recupero dell’immaginario di passate decadi in una sensibilità vintage, in cui generi sono soppiantati dall’eccesso, risolto in una confusione di categorie attorno alla sua figura. Ora invece si tratta di incarnare personaggi sempre diversi, che però mantengono una coerenza all’interno del singolo prodotto. Secondo poi, tenta di recuperare anche la seduzione erotica attraverso l’estetica vintage, drammatica, appellandosi a Madonna, nelle prossime canzoni citate vedremo come.

Edge of Glory (2011) di Garibay, è commistione di elementi rock, disco e pop. Qui nello specifico i riferimenti sono gli Eighties, Madonna, Rocky e Springsteen, espressamente omaggiato da Clarence Clemons al sax. Se agli albori l’urban style era ingenuo, caratterizzato dalla semplicità ribelle del rock’n’roll, negli anni questa dimensione è stata assorbita dall’alta moda, e incarnata da Gaga. Per quanto si proietti nell’urban ribellistico, è sempre esibita una teatralizzazione di quell’universo. Un look naïf filtrato dall’alta moda, esaltazione di una linea di Versace. La scenografia dà sfoggio di sé senza declinarsi a narrazione: gli scorci metropolitani, le illuminazioni acide degl interni. Classica forma di iconicità anni ’80. Tutto è più composto, persino l’arrangiamento dance-rock, mentre il crescendo del ritornello rock caratterizza il tono epico. Un lungo piano-sequenza segue la cantante che si esibisce sulle scale esterne, per poi ampliare la visione perché “questa” Gaga fa tutt’uno con l’ambiente. È sempre in anticipo nei movimenti sull’inquadratura, uscendo e entrando a suo piacimento, volontà di mostrare l’anima libera al di là di quel personaggio. Mitizzazione e lirismo epico sono insite nel brano, seppur con ripetitività piatta.

In un movimento di macchina maldestro e dunque kitsch Gaga scende le scale ballando sulle note di Clemons che suona sulle scale, figura archetipa dell’immaginario urbano newyorkese. Il tutto si conclude su quel set; viene inquadrata mentre balla barcollando, in totale solitudine. La persistente indagine sulle (dis)identità si esplicita in questa nuova fase, quando prende corpo l’approccio di proliferazione radicale di identità e incarnazioni della star. Non le basta però travestirsi, decide di “sdoppiarsi”: così nasce Jo Calderone, alter ego maschile di Lady Gaga, concentrato di ispirazioni archetipe dell’immaginario maschile e del ribellismo, come James Dean, Bob Dylan, e Al Pacino.

Yoü and I (2011), girato ancora una volta da Gibson, mostra come la dualità irrisolta prende anima e corpo in maniera evidente, in cui Gaga diventa figura over-sexual. Rispetto all’anamorfica originarietà di Born This way, qui insiste sulla polarità di opposti che prendono figura nello sdoppiamento. Il video recupera alcuni caratteri dell’atmosfera Manson, ma rispetto all’originalità del passato si nota una perdita di smalto. Una sagoma sfocata si trasforma tramite un gioco di messe a fuoco in una Gaga molto teatrale con gambe malconce che cammina in una strada deserta. Va a comprare un gelato in un furgoncino (elemento horror- perturbante), ma subito si accascia a terra. In rapida successione vediamo flashback di un matrimonio con un uomo, e una tortura da parte dello stesso. I raccordi sono distorsioni ed effetti glitch, e legano scene di un laboratorio scientifico dove si trova Gaga completamente nuda. Un primo piano ci mostra una Gaga bionica in total black per dare il via alle brano, che stavolta ha melodia elegante. Torna poi il personaggio angelico di Bad Romance felice in un campo di grano, personalità femminile di Gaga (Yuyi) e quella mascolina (Jo), che beve birra e fuma su un pianoforte con Yuyi. Queste scene sono alternate alla narrazione centrale, con le immagini dell’uomo che tortura la ragazza. In un capannone, con coreografia collettiva, lei è vestita come un uccello meccanico. La confusione delle identità invece si risolve nel bacio che le due Gaga si scambiano. Nel finale, la donna si mette in strada per cercare l’uomo, lasciandoci con scene tenere della sirena e l’uomo, e del loro matrimonio. La confusione resta irrisolta, ma è come se il video cercasse di mettere in ordine la narrazione senza riuscirci.

Per Marry The Night (2011) l’ispirazione si fa pienamente cinematografica, affidata ancora una volta ad un approccio pop tradizionale, e ad artisti quali Richard Jackson, Brandon Maxwell, Atsuko Kudo, Koritaka Iateihana, Leeroy New, Christian Louboutin, Paco Robanne e Monchino, Calvin Klein, Yves Saint Laurent e Stephen Rolland. Basata su Il cigno nero di Aronofosky, le vicende ambientate a New York vedono protagonista una danzatrice talentuosa tra mille infortuni. In questo short-film di 13’’ supera la teatralizzazione iper-plastificata per raggiungere la vita autentica, alla scoperta della donna al di là dell’artista.

La dimensione straniante assume quindi un significato morale. Oscilla tra dramma e distorsione visionaria, come se le immagini iper- decorate fossero filtrate dalla coscienza malata della protagonista ricoverata. Il total white introduce il racconto in prima persona e il volto della cantante, sfatto e confuso. Ci troviamo in un letto d’ospedale. In un lungo piano sequenza le infermiere portano Gaga tra i corridoi; la confusione tra sogno e realtà e la cifra introduttiva del film. Gaga stessa, in una sorta di allucinazione, si riferisce ai brand dei costumi della scena: è come se la dimensione visionaria venisse qui meta-testualizzata.

La sua voce torna a sottolineare il piano genealogico di questa fase della carriera di Gaga. L’origine è subito separazione, scissione, ambiguità: il tema viene trattato in chiave biografico- cronachistica. Attraverso un racconto cinematrografico ci mostra com’è nata la star “terrestre” Gaga. Il dolore e le sofferenze concedono la rivalsa della ragazza piena di speranza ma anche di fragilità tipiche delle artisti giovani di talento. Il gioco teatrale si interrompe e irrompe la vita. Un movimento di macchina apre l’inquadratura e trasforma la sala in set. Entra un pianoforte, e l’ambiente si popola di personaggi folli, con il letto centrale della protagonista. In una nuova scena Gaga è vestita da ballerina classica, portata al letto, poi sul palco. Si torna nella sala, in cui l’artista, al telefono, ci fa capire la crisi della sua carriera. Il montaggio serrato traspira rabbia e delirio, la ballerina si lascia andare. Gaga è poi mostrata nella vasca da bagno, che si tinge i capelli, nuda, a segnare una ri-nascita; dopo aver perso tutto, va via in outfit griffato: tutti la guardano con disprezzo, accompagnato dal “matrimonio con la notte”, in un’ambientazione stile Edge of Glory. Ci ritroviamo nella scuola di ballo, con una coreografia che sembra un flashback. Le scene di lei nuda sono interrotte dall’omaggio alla New York notturna; torna grazie allo stile gothic l’iper-visionarietà, filtrata dalla follia di Gaga.

L’indirizzo che tiene poi tra le mani, dell’Interscope Records, segna l’autentica nascita del mostro della fama. Si chiude la parte urbana, e la nascita del mito è circondata da fiamme: è nata la figura post-umana.

Nicole Ehrlich gira una serie di video di brani dell’album Cheek to Cheek (2014), omaggio alla grande interpretazione vocale americana da Sinatra a Dean Martin. Si tratta anche qui di una strategia voluta, e non a caso i video sono costituiti da montaggi di scene delle registrazioni del disco. Un livello comunque di metatestualità, ma comunque tappa nella (non)definizione del suo personaggio, dove l’artista rilancia comunque la propria teatralizzazione. Un nuovo straniante tassello della sua polimorfa mutabilità.

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L’ANIMA DELL’INUMANO: LE DUE ESTREMITÀ DI ARTPOP E JOANNE

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La fase di ARTPOP (2013) segna un punto limite per comprendere le modalità di seduzione di Lady Gaga, in cui, a differenza di Born This Way, torna nell’alveo della seduzione post-erotica incentrata sull’attrazione per l’eccesso estetico. Come specificato precedentemente, è fondamentale il contributo di Koons in questa fase.

Applause, dalla regia firmata dai fotografi fashion Inez & Vinoodh, si pone da subito in una dimensione metatestuale di esaltazione della star, rivendicando come l’unica dimensione di esistenza possibile sia dello spettacolo; il video è quindi una rassegna di riferimenti iconografici e artistici. I titoli di apertura sono molto kitsch, seguiti da un b/n intenso che crea un contesto teatrale: un materasso polveroso dove Gaga si presenta in lingerie, seguita da un piano medio con un velo nero, poi di nuovo sul materasso. La seconda inquadratura è un chiaro riferimento al cinema espressionista tedesco, in cui la scena con Gaga incappucciata e vestita da sacerdotessa viene invasa da diversi sprazzi di colore. Le inquadrature sono statiche, per dimostrare la dimensione iconica e potersi soffermare sui dettagli delle maison: eccessi parossistici, “alieni”, eccessi neo-gothic/pop e accessori e abiti della Haus of Gaga. La dimensione complessiva è vicina allo stile dei fashion movies, e si serve di montaggio rapido ed effetti digitali. La coreografia arriva a metà video, mentre Gaga è vestita da sposa orientale. Il finale è molto dinamico, chiudendo su Gaga in un tunnel stroboscopico di luce. Si trova proiettata in un universo magnifico segnato dalla storia dell’arte e del cinema. Come in Alejandro per la Storia, qui per l’Arte, che diventa deposito di elementi visivi scollegati dal contesto.

Gaga si “veste” di ciò che l’arte le offre, perché l’arte è a suo servizio.

Nel video successivo G.U.Y. — An Artpop Film, strutturato su quattro brani, compierà un altro passaggio decisivo. Si avvale sempre di elementi efficaci visivamente, ed è indicativa per il dibattito su rapporto tra kitsch e trash. Al di là di questo, manca di un’organizzazione coerente, riducendosi ad una sequela di elementi scollegati tra loro che vogliono comporre un quadro compatto. Prodotto da Zedd, dj russo- tedesco celebre per vari remix dubstep. L’ambientazione è principalmente l’Heart Castle in California. Si confondono subito le vicende di Gaga, angelo caduto a terra, e la presenza di personaggi noti dei reality show. Le allusioni alla mitologia classica si sovrappongono a elementi pop-trash. La protagonista per terra è circondata da uomini che arraffano dollari; mentre se ne vanno, Gaga mostra sofferente di essere ferita da una freccia. Immersa in una natura bucolica, scende dal cielo approdando con un arco alla villa. I soldati di guardia la portano via di peso introducendola nella piscina. Qui parte Venus, in cui Gaga è protagonista di una sorta di rito funerario in acqua, attorniata da una siepe circondata di fiori. Il risultato di riferimenti all’estetica di LaChapelle, Brambilla, Annie Leibovitz è un’esaltazione esagerata del kitsch che raggiunge il punto limite di rovesciamento nel trash: il personaggio rinasce attraverso il trash televisivo: costume da panda, sembianze da bambola, nuoto sincronizzato. I costumi di Perry Meek, Brandon Maswell, Versace e Gaultier mette in evidenza il contrasto tra innocenza infantile e resurrezione.

Con l’inizio di G.U.Y. i movimenti di macchina e i gesti si fanno più taglienti. Il clima complessivamente pre- raffaelita di avvale di una scenografia dove domina l’oro; la dimensione del trash si riflette qui nella successione di riferimenti pop, che appaiono senza direzione di significato. Ci troviamo nell’ambito della seduzione “disinnescata”. L’outro è ambientata di notte, su una pista da ballo, con luce blu e bianca: appare una “macchina di clonazione” dove Gaga viene moltiplicata insieme ad altre icone pop: l’arte si invera nel personaggio. Nella scena finale, con cappotto che allude alla figura di un corvo, Gaga libera i cloni. Da qui Gaga tornerà all’ammissione della sua identità reale attraverso l’ostilità dei limiti del suo corpo, mettendo in evidenza la ridefinizione della tensione generata dal rapporto tra “persona” e “personaggio”.

Nel medley di G.U.Y. segue Aura, essenziale per comprendere il passaggio di Gaga compiuto con Joanne. Walter Benjamin parlava di aura in merito alla sua perdita, al processo di de-auratizzazione che ha investito l’arte e la società, concetto essenziale per comprendere il passaggio della cultura pre-scolarizzata affidata alla “distanza” come rapporto con autorità e immagini, alla cultura moderna del consumo di massa, che pone come requisito la soppressione di tale distanza: l’appropriazione delle immagini, affiancata alla democratizzazione del sapere. Trova nello star System una rinnovata strategia di riaurizzazione del mondo e del costumo, funzionale alle leggi del capitalismo globalizzato, puntata ad influenzare l’esistenza dei consumatori per colonizzare il desiderio. Un rovesciamento dei termini che sostituisce al “sacro” la “star”, che oggi offre una parvenza di prossimità, ed è star solo perché ci sei tu che la idolatri; in molti casi sente addirittura il bisogno di “scusarsi”, per mostrare che dietro c’è sempre una persona.

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In Aura annuncia il passaggio a Joanne (2016), riferendosi nel testo ad una ragazza che si trova dietro il velo, spogliata dell’aura. Il nome stesso, Joanne, richiama il suo nome di battesimo, segnando questo risalimento ad una presunta autenticità terrena. In un’analisi nietzschiana, il dietro non esiste, perché tutto si dà nell’esibizione della superficie. Non c’è alcuna dicotomia, ma profonda complementarietà. Come afferma Carbone, nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso. Perciò la polemica dell’artista nei confronti dell’industria è infondata, perché la critica è sempre orchestrata dallo spettacolo stesso, facendo dell’insoddisfazione una voce del marketing. Perciò le icone possono reagire a loro piacimento al movimento stesso, se le rifiuta.

Tra il 2017 e il 2018 Gaga si ammala di fibriomalgia. Se ne parla in Five Foot Two, documentario Netflix che dimostra finalmente l’esistenza della persona oltre il personaggio. La vita privata di Lady Gaga. Sia sul palco che fuori, l’artista si esibisce sempre: è sempre consapevole del suo pubblico. Ora, dopo l’eccesso, “torna” ad essere Stefani, interrompendo l’opera d’arte per lasciarci con la sua interprete. “...sento che la vita è un palcoscenico per la mia arte. [...] Ma c’è un momento di libertà, quando il palco scompare: quando piango.” dice Gaga; un paradosso della psicologia del web è quello di vedere la vita reale modellata da quella virtuale. Se pensiamo a come la star è nata, cresciuta e affermata nel cyberspazio, è evidente come i nuovi media siano strettamente connessi col capitalismo estetico. Il documentario però porta sempre il nome Gaga: è una performance che non finisce mai, di cui l’artista è molto consapevole. Diventa un’identità e una vita, perché quando l’io è raccontato, raffigurato, non è più io, è qualcosa d’altro. La logica divistica di Gaga si dimostra così “monistica”, strutturata quindi su una dimensione unica onnicomprensiva: lo spettacolo, completamente identificata con la vita. L’esibizione pubblica della celebrità è un’incarnazione della sua filosofia di successo e del suo messaggio ai fan; Gaga sostiene che una celebrità è qualcosa che sei, anche quando nessuno sta guardando. D’altronde con l’avvento del medium televisivo, il divo si è “normalizzato” e umanizzato, dai tempi di James Dean e Marilyn Monroe. In questo senso, l’estetica Gaga non occulta la sua sofferenza interiore, ma la esibisce per trasformarla in opera d’arte. Stefani Germanotta non è mai esistita, perché tra lei e Gaga non intercede alcuno spazio. Questo la rende più vicina a Michael Jackson che a Madonna. “Dallo spettacolo del quotidiano allo spettacolo nel quotidiano”; accade più che altro nella dimensione della musica pop, nella quale è difficile distinguere tra pubblico e privato.

Quest’ottica spiega l’intero lavoro di Joanne, nuova stagione per l’artista: look basic di Ruth Hogben e Andrea Gelardin, per un brano che vira verso il rock e abbandona la dimensione dance, passando per una seduzione erotica di tipo ribellistico. Il ritorno della “vita” in quest’album autobiografico e malinconico è segnato dalla ballata Million Reasons, in cui vediamo un’artista che si trucca e si “maschera” da Gaga, attestazione di un’esistenza anteriore della star che supera la connotazione divistica.

Anche se, paradossalmente, fa di questa un’ulteriore figura del proprio repertorio. Si mostra donna, incarnando il profilo di seduzione classico del reale, abbandonando il post-umano.

John Wayne, opera classica di Åkerlund, tra luci acide, scenografie eccessive e montaggio serrato. Fin dal titolo, è una palese volontà, apparentemente forzata, di riproiettarsi nell’universo iconico-popolare. Non è un caso che si chiuda con “The End” su Gaga vestita in completo rosa Versace come in Million Reasons: è solo un omaggio alla vecchia Gaga.

I Little Monsters di tutto il mondo sostengono che il messaggio di Gaga sia che la fama stessa è illusoria; in questo senso, la costruzione visiva non è mai un’operazione di horror vacui. Qui la sottile relazione tra fama e morte: Gaga sa che i media mainstream anticipano la sua decadenza, e sembra voler anticipare i media stessi. Proprio per questo la sua avventura non è finita: qualsiasi gesto proposto al pubblico rimetterà in questione l’immaginario iperspettacolare della diva.

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Lady Gaga - La seduzione del mostro © pubblicazione di Alessandro Alfieri Il documento corrente, relazione del suddetto libro, è a cura di Silvia Pesci realizzato per l’esame di Teoria e metodo dei mass media Accademia di Belle Arti di Roma 2019/2020