Stile Italiano n°14

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Partiture dal cuore Dall’opera buffa settecentesca al melodramma fino ai nostri giorni: un’armonia di interpretazioni e musica senza tempo

N

di Anna Cepollaro

Nei secoli precedenti l’Ottocento si definiscono forma e struttura di quella che sarà la canzone napoletana. Grande importanza ha l’opera buffa settecentesca nella definizione di contenuti, forme dialettali ricche di onomatopee e stili musicali. Inoltre, l’opera buffa contribuisce a rivalutare la canzone come forma autonoma, essendo essa il momento di maggiore intensità all’interno di trame spesso assai scontate. Anche dal melodramma vengono nuovi elementi e molti compositori colti musicano canzoni: da ciò probabilmente la ricerca, non sempre genuina, che vede riferimenti operistici in melodie e testi. Basti il caso di Fenesta ca lucive, attribuita a Bellini perché in essa appaiono elementi melodici de La sonnambula, che si possono però trovare anche nel Mosè di Rossini e che quindi testimoniano semplicemente del

gusto dell’epoca. Non è sempre facile stabilire quando è il melodramma a prendere spunti dal canto popolare e quando, invece, è il popolo a far sue melodie d’opera. Il percorso più frequente è dal popolare al colto, vista l’attenzione dei musicisti verso le espressioni del popolo e l’interesse verso le tradizioni del nostro paese da parte di viaggiatori stranieri illustri. Frutto di reciproci “prestiti” è, ad esempio, il canto tradizionale ‘E spingole frangese. Nel 1903, a margine di una sua pubblicazione, il professore Carmine Calandra annota: “Si confronti con la canzone napoletana ben nota, che sembra dunque aver raccolto questo motivo popolare; ma non è escluso il caso inverso.” Dubbio legittimo ma infondato, poiché il canto è già nella compilazione di Antonio Casetti e Vittorio Imbriani del 1871-1872: proviene da Pomigliano


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