Ispirazioni ed echi paganiniani. Camillo Sivori davanti alle sue platee

A Alma Brughera Capaldo (1911-2006) Fondatrice e Presidente dell’Associazione Amici di Paganini dal 1999 al 2006

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Il volume è stato realizzato con il supporto di Regione Liguria e Genova 2004 s.r.l.

Progetto grafico, impaginazione e pre-press a cura di SerEl International s.r.l.

Videoimpaginazione e redazione: Mara Ferrando In copertina: Anonimo,«Paganini direttore, virtuoso e chitarrista», disegno a matita e acquerello, 1820 ca.

Genova, Casa Paganini, proprietà Amici di Paganini

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ISBN: 88-89401-04-4

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Atti del Convegno internazionale

Paganini Divo e Comunicatore Genova, 3-5 dicembre 2004

a cura di Maria Rosa Moretti, Anna Sorrento, Stefano Termanini, Enrico Volpato

SerEl International EEditrice.com

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STEFANO TERMANINI ISPIRAZIONI ED ECHI PAGANINIANI. CAMILLO SIVORI DAVANTI ALLE SUE PLATEE

L’ipotesi di studio tentata in questo lavoro è quella secondo cui, appena rimarginata la grande ‘ferita’ lasciata dalla scomparsa di Paganini e a valle di quella, il 1843 è un anno di approfondimento per la carriera di Camillo Sivori. Anno non diverso da altri, non almeno in quanto ai viaggi e alla frenesia degli spostamenti, il 1843 è anche l’anno in cui Sivori – forse per la prima volta da quando ha acquisito una simile maturità artistica e di giudizio – ha occasione di interrogarsi sul proprio repertorio e sul rapporto con il maestro Paganini. L’ultima volta che lo ha incontrato, a Nizza, Paganini gli ha dato alcuni suggerimenti, che Sivori può ora mettere in pratica. Sono, per lo più e per quanto è possibile dedurre dai documenti in cui ne è rimasta traccia (cronache e soprattutto le numerose lettere alla famiglia), suggerimenti pratici sul modo migliore di comunicare se stessi alle folle e di – come si direbbe oggi – ottenere successo.

Dopo la morte di Paganini i tempi sono abbastanza maturi per poter fare una scelta. Camillo Sivori si trova davanti a due strade: o continuerà a qualificarsi ‘allievo’ di Paganini o cercherà per sé un destino autonomo. La prima, è evidente, è la più facile e offre vantaggi importanti, soprattutto nel breve periodo e quando si tratta di dover comunicare se stessi, la propria attività, la propria immagine. Ma non basta. Anche perché la scelta non prescinde da conseguenze di ordine musicale, di cui Sivori è ben consapevole. E porta con sé scelte stilistiche, interpretative, di repertorio. Dentro un progetto che lascia intravedere l’orizzonte inglese1 e fa indovinare, in un futuro prossimo, altre mete ancora più impegnative (quelle americane, a cui Sivori approderà nel 1846), prende forma l’idea di un percorso tra le città e i paesi europei che lo porti anche dove Paganini non è mai stato.

1 L’idea di spostarsi da Parigi a Londra, piuttosto che maturare via via, sembra implicita e nota sin dall’inizio. A Londra Camillo Sivori era giunto per la prima volta nel 1828, introdotto dalla cantante Giuditta Pasta (cfr. FLAVIO MENARDI NOGUERA, Camillo Sivori.

La vita, i concerti, le musiche, Genova, Graphos, 1991, p. 69). Nel 1843, quando Sivori arrivava a Londra, una lettera di Francesco Molino, discepolo come lui di Agostino Dellepiane, lo aveva già presentato al contrabbassista Domenico Dragonetti, da lungo tempo residente nella capitale inglese (Inzaghi ha pubblicato il testo integrale della lettera di Molino, conservata presso la British Library. Cfr. LUIGI INZAGHI, Camillo Sivori. Carteggi del grande violinista e compositore allievo di Paganini, Milano, Zecchini Editore, 2004, p. 112).

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1. Preparandosi, con Paganini, per Parigi: Nizza, marzo 1840 Parigi è una città diversa da ogni altra. Anche Paganini, quando Sivori è andato a trovarlo a Nizza, lo ha avvertito che soltanto a Parigi si può raccogliere il vero successo2. Paganini, anzi, che ben conosce i meccanismi della comunicazione e altrettanto bene conosce Parigi, raccomanda al giovane Sivori la meta parigina proprio perché non c’è città in Europa che possa vantare un’uguale concentrazione di giornali. Non si sbaglia, dunque, se si fa cominciare la storia del secondo viaggio di Sivori a Parigi dal viaggio che lo aveva portato, qualche anno prima, a Nizza. Il ritorno a Parigi è, infatti, anticipato da un progetto di ritorno, condiviso con Paganini, durante l’ultimo incontro a Nizza. Da quello, dunque, dobbiamo partire.

Adele Pierrottet ne ha fatto una descrizione in toni romantici, benché degna di essere tenuta in considerazione. Più che alla sua testimonianza (indiretta, peraltro), ricorreremo alle due lettere nell’epistolario alla famiglia, in cui la memoria dell’incontro è registrata puntualmente. Camillo non ne scrive. Gli basta, anzi, rimandare a quanto ha già scritto il fratello («Da Baciccino avrà inteso tutto l’accaduto»3), che ne è, invece, il solo vero cronista. Paganini è malato, ma non è moribondo4. Sivori è andato da lui 2 Di quella visita – nota agli studiosi di Paganini e Sivori – rimangono nell’Archivio Sivori almeno tre testimonianze. La lettera con cui Paganini invitò Sivori ad andare a trovarlo, che Adele Pierrottet attribuì ai giorni estremi di Paganini (per una riproduzione in facsimile cfr. STEFANO TERMANINI, Camillo Sivori. La fama, l’immagine, la musica, Catalogo della mostra, Chiesa di S. Pietro, Genova-Prà, 16-26 giugno 1999, Genova, Serel Edizioni, 1999, p. 9), e due lettere, di pugno di Giovanni Battista Sivori, inviate ad Alessandro Sivori, da Nizza, il 25 e il 31 marzo 1840. Di queste si è già parzialmente trattato in STEFANO TERMANINI, “Andare in tournée”: Camillo Sivori in Europa tra il 1827 e il 1841, in Paganini, Genova e la musica. Saggi in onore di Alma Brughera Capaldo, a cura di GIUSEPPE ISOLERI, MARIA ROSA MORETTI, ENRICO VOLPATO, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2003, p. 100, nn. 40 e 42.

3 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Nizza, 31 marzo 1840. Trascrivo qui e di seguito le lettere di Camillo e Giovanni Battista Sivori attenendomi ai manoscritti. Emendo sviste ortografiche dovute alla fretta e riconduco l’impiego delle maiuscole all’uso contemporaneo.

4 Come ha scritto Arturo Codignola, Paganini partì per Nizza augurandosi che la mitezza del clima avrebbe giovato al suo stato di salute. Durante i sei mesi trascorsi a Nizza la condizione di Paganini peggiorò, anziché migliorare. Si sa che la morte sopraggiunse dopo un lento e doloroso aggravarsi della malattia e che Paganini, alla fine dei suoi giorni, era divenuto completamente afono. All’altezza della visita di Camillo Sivori, tuttavia, la percezione della fine imminente non doveva essere così chiara. Quando Sivori lo incontra, Paganini è un uomo lucido, capace di dare consigli e studiare, insieme all’allievo, le scelte più opportune per la sua carriera. Cfr. ARTURO CODIGNOLA, Paganini intimo, Genova, Municipio di Genova, 1935, pp. 80-83.

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per avere consigli, oltreché per salutarlo, e c’è andato, sempre soggiornando a Nizza, a più riprese. Nizza, d’altra parte, è la città in cui passa l’inverno il ‘bel mondo’ francese e Camillo potrà tenervi un concerto5.

A Nizza, secondo la testimonianza di Giovanni Battista, i Sivori giungono alle sette e mezza della sera del 24 marzo 1840. Nonostante per il calendario la primavera sia cominciata già da qualche giorno, il clima è dei più rigidi e il viaggio da Genova a Nizza, avversato da pioggia e neve, dura ventisette ore. Già il giorno seguente, però, Camillo, insieme a «Sesol»6, va a visitare Paganini. Il tempo di composizione della lettera di Giovanni Battista si sovrappone al tempo della visita e poiché, come accade abbastanza spesso, la lettera rimane sullo scrittorio per alcune ore (può accadere che vi rimanga anche per giorni), leggiamo nella prima facciata che Camillo «è andato in questo momento da Sesol» e che «col medesimo Camillo si condurrà da Paganini». Nelle ultime righe, dove si riprende il filo del racconto, leggiamo, invece, che Camillo «è andato […] da Paganini con Sesol ed ancora non è ritornato». La lettera parte, così, senza nessuna aggiunta di pugno di Camillo: «ormai sono le tre – scrive Giovanni Battista – e temo che la posta parta».

In questa scansione quasi oraria del soggiorno nizzardo di Giovanni Battista e Camillo Sivori, la lettera del 31 marzo 1840 interviene a colmare un vuoto del racconto e fissa i contenuti delle conversazioni che Paganini e Sivori ebbero in quella circostanza.

Il primo e più urgente tema dell’incontro, nell’annuncio della lettera del 25 marzo, è il concerto che Camillo dovrà tenere nei giorni seguenti.

5 Dalla lettera di Giovanni Battista Sivori a Alessandro Sivori, da Nizza, 25 marzo 1840: «Camillo si condurrà da Paganini e parleranno del concerto del quale gli parlerò con altra occasione e più certezza col corriere di domani».

6 «Camillo è andato in questo momento da Sesol il quale abita nella casa attigua ove siamo alloggiati […] col medesimo Camillo si condurrà da Paganini». Giovanni Battista appone al di sotto del nome «Sesol» una sottolineatura mossa ed è probabile che ciò significhi che è incerto della corretta grafia del nome o che si tratta di nome oralmente noto a entrambi, scrivente e destinatario, ma che si mette per iscritto per la prima volta.

Nella lettera successiva, già citata, del 31 marzo 1840 Giovanni Battista scrive «De Cessole».

Si tratta, evidentemente, della stessa persona, ovvero di un membro della famiglia Spitalieri di Cessole, il cui appellativo, in francese, suona assai simile al primo e incerto tentativo di trascrizione di Giovanni Battista. Nel tempo che intercorre tra la prima e la seconda lettera Giovanni Battista deve aver avuto occasione di meglio conoscere lo Spitalieri e di leggerne il nome, accertandosi, di conseguenza, della sua corretta grafia. Così, nella lettera del 31 marzo corregge la grafia precedentemente adottata trasformandola dal «Sesol» ‘orecchiato’ all’anagrafico «De Cessole». Difficile identificare con certezza l’accompagnatore di Camillo durante la prima visita a Paganini. Si sa che egli era ospite, a Nizza, di Ilarione Spitalieri di Cessole, presidente del Senato della città. Ugualmente si sa che i figli di quest’ultimo, Eugenio, di professione avvocato, ed Enrico, andavano spesso a visitare Paganini (cfr. lettera di Paganini a Germi, da Nizza, 4 aprile 1840, cit. in ARTURO CODIGNOLA, op. cit., p. 642).

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Nelle premesse dell’incontro pare che nessun argomento debba passare davanti a questo. Ciò nonostante, anche perché Camillo sta per intraprendere una nuova, lunga tournée, pesa sull’orizzonte dell’incontro un senso di profonda fatalità: quel che Paganini ha da dire deve dirlo, senza reticenze e per intero, perché è probabile (come poi davvero accadrà) che non vi saranno altre occasioni di incontrarlo. Tutto questo, però, quasi correzione dell’indirizzo che l’incontro avrebbe dovuto prendere (o ci si attendeva che avrebbe preso), emerge in seguito. «Camillo – scrive Giovanni Battista Sivori – fu ricevuto da Paganini molto bene, anzi ebbe dallo stesso come le altre volte dei consigli sì riguardo al suonare come nel modo contenendi nel viaggiare tanto più in Parigi luogo che non cessa ripeterle ove debba andare quanto prima dicendole che oltre ad essere una piazza di risorsa, è la sola che possa con gl’innumerevoli fogli divolgare la di lui fama»7.

A Nizza, dunque, con Paganini, Sivori parla di Parigi8 e di violini9, ma anche di quale sia il modo più efficace per rendersi noti al pubblico. Inoltre, nuovi sistemi di promozione dell’evento musicale vengono sperimentati. È, 7 Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Nizza, 31 marzo 1840. Del concerto che Camillo Sivori tenne a Nizza in quei giorni non si ha, allo stato attuale delle ricerche, alcuna traccia. La sola testimonianza che ne resta (ed è un’anticipazione, un progetto in corso, non un resoconto) è contenuta nella stessa lettera inviata a Alessandro Sivori da Nizza il 31 marzo 1840. Apprendiamo da qui che la prova e i preparativi erano stati tutt’altro che felici («Secondo il consueto alla vigilia della prova per ultimare il programma e dalla disperazione abbiamo dovuto ricorrere dai professori militari per framezzarlo; domenica sera successe la prova si può dire con la metà dell’orchestra perché parte de’ professori e dilettanti non v’intervennero. Dio ce la mandi buona all’esecuzione tanto più avendo che fare con un reggimento d’orecchianti […] Camillo non ostante vi sudò grandemente senza rimaner contento»). Ma, a partire dalla testimonianza della stessa lettera, siamo anche in grado di segnare gli estremi cronologici del – breve – soggiorno nizzardo: «Giovedì a sera se potremo avere il posto e se non riceveremo da loro lettere in contrario, spero che saremo in Genova, a meno che, non ricevendo loro lettere per l’affare di Firenze, Camillo facesse un entusiasmo tale da essere sicuri di un buon successo per una seconda accademia; in questo solo caso, quando la cosa sia di due o tre giorni, si fermeremo, altrimenti a rivedersi in Genova».

8 La fulminea lettera di raccomandazione scritta da Paganini per la tournée parigina di Sivori, in preparazione, poi ripresa da tutti i biografi di quest’ultimo (cfr. ADELE PIERROTTET, Camillo Sivori, Milano, Ricordi, 1896, p. 27; FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., p. 60; LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 16) ha per ‘capostipite’ la testimonianza di Giovanni Battista, che ne racconta a sua volta al padre e alla famiglia («Abbiamo avuta la lettera di Paganini per Parigi scritta in un quarto di foglio di carta espressa in questi termini: Mio caro Camillo, voi non avete bisogno di raccomandazioni in Parigi. Basta che vi presentiate dal sig. Paccini, Boulevard des Italiens n. 11. Nicolò Paganini. Nizza li 28 marzo 1840».

9 Sempre nella lettera del 31 marzo 1840, Giovanni Battista Sivori scrive che Paganini «le fece suonare [a Sivori] il noto violino».

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infatti, proprio per il – misterioso – concerto annunciato nella lettera del 31 marzo 1840 che i Sivori, con il probabile avvallo di Paganini, fanno stampare e poi distribuire dei manifesti («sono due giorni che un facchino di Posta da noi pagato porta manifesti in tutte le case de’ migliori signori e forestieri, onde vedere di divulgare bene la cosa»). Ma non basta: anche gli angoli delle strade sono un ‘buon posto’ per affiggervi manifesti. La notizia del concerto di Sivori viene fatta conoscere anche in questo modo. Camillo ne prende spunto per un tratto scherzoso, che così mette sulla carta, nella parte di lettera che gli compete10: «Dalla finestra sto osservando che leggono i miei manifesti due spazzini (biglietti sicuri)».

2. «…e abbiamo lasciato tutti perfettamente contenti»: passaggio in Belgio Camillo Sivori giunge a Parigi, in compagnia del fratello Giovanni Battista, verso la fine del 1842. La città, il movimento continuo delle persone, il fatto che non vi siano mai interruzioni delle attività quotidiane e che «il giorno di Natale si lavorava come tutti gli altri giorni»11, insieme a osservazioni più comuni, come il buon prezzo degli abiti e dei pasti, colpiscono Giovanni Battista, che ne fa un ampio racconto al padre e, attraverso di lui, alla famiglia. A Parigi Sivori c’era già stato, nel 1827, e molte erano state le lodi e altrettante le difficoltà12. Camillo, allora troppo giovane, non aveva avuto né il tempo né il modo di guardarsi attorno, cogliendo le peculiarità e le differenze dei luoghi. Anche lo zio Nicolò, troppo indaffarato – di necessità – a tessere relazioni, troppo impegnato nella ricerca di una strada attraverso la quale dare a Camillo l’occasione di esibirsi in un grande teatro, troppo occupato in un lavoro di cui sentiva la responsabilità e il peso, non aveva avuto (né aveva cercato) il tempo per diffondersi a narrare gli usi della città. Giovanni Battista, però, e c’è lui, ora, a fianco di Camillo, ha un temperamento diverso. Osservatore, curioso, critico, uomo ‘moderno’ che si lascia attrarre, più che da tutto il resto, dall’efficienza dei mezzi di trasporto, dalla rapidità con cui la ferrovia li porta da un capo 10 Come spesso, infatti, anche la lettera inviata a Alessandro Sivori da Nizza il 31 marzo 1840 è divisa in due parti. Nella prima Giovanni Battista fa una puntuale cronaca di quanto è accaduto, dell’incontro con Paganini, delle prove per il concerto e di altri progetti d’affari che seguiva in parallelo alla sua funzione di accompagnatore. Nella seconda, più brevemente, Camillo aggiunge di suo pugno alcune righe di racconto e di saluto.

11 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma prob. prima metà di gennaio 1843.

12 Per una descrizione di questa tournée rimando al mio lavoro: STEFANO TERMANINI, “Andare in tournée”: Camillo Sivori in Europa tra il 1827 e il 1841, cit., pp. 78-93.

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all’altro di un paese, dall’organizzazione del lavoro nei grandi opifici francesi e inglesi, Giovanni Battista sa cogliere la distanza che separa Genova da una grande capitale europea. Parigi, scrive al padre, «è veramente quel grande oceano, per vastità, ricchezza e divertimenti continui»13. Qui «ognuno tira e fa gli affari suoi e non cercano sul conto di nessuno come in Genova, si può andare vestiti da ministri all’osteria, e nemmeno si è guardati in faccia una sol volta»14. Sono le prime impressioni. Più avanti nel viaggio, passando dalla Francia all’Inghilterra, racconterà alla famiglia di quanto numerosi siano i bastimenti che affollano le acque del Tamigi, della produzione dell’acciaio di Sheffield, delle ciminiere che riversano su Londra uno spesso strato di fuliggine.

Ma non è del ritorno di Camillo Sivori a Parigi che ci occupiamo qui15.

Al racconto dei mesi passati a Parigi e dei successi là conquistati basta, infatti, la raccolta di cronache pubblicate dai giornali del tempo16, a cui, eventualmente, potrebbe affiancarsi il racconto famigliare dell’epistolario. Ci 13 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma prob. prima metà di gennaio 1843.

14 Ivi. 15 Peraltro questo ritorno è un tema consapevolmente affrontato da Camillo Sivori, nelle sue lettere alla famiglia. Già nella prima lettera inviata da Parigi (ivi), in un post scriptum, Camillo annota un messaggio per il fratello Nicolò o ‘Nicolino’, suo accompagnatore nella tournée del 1827-28: «Dirà a Nicolino che in cima ai Boulevards St. Martin hanno innalzata una colonna in bronzo simile a quella della piazza Vendôme con tutta la descrizione della rivoluzione del 1830, e che è ultimata la grandiosa, e veramente sorprendente chiesa della Madalena». Più avanti, nella lettera inviata al padre Alessandro da Parigi verso l’inizio di febbraio 1843 (la lettera è priva di data), Camillo Sivori commenta l’arrivo del piccolo violino Amati – che gli è stato spedito da Genova affinché, a Parigi, possa venderlo – con parole nostalgiche: «Sento dall’ultima sua che il piccolo violino sta per venire a visitare per la seconda volta Parigi, e con tutto il diritto; lui che fu il primo a raccogliere al Conservatorio, quindici anni, or sono, i primi plausi che colà mi furono tributati, e forse sarà il luogo ove il povero infelice finirà i suoi giorni». Altrove l’idea del ritorno è declinata al futuro: è previsione del ritorno. Quand’è così, lasciare un buon ricordo di sé è di fondamentale importanza («come successe nel Belgio nel quale anche abbiamo dato parola di ritornare dopo l’Olanda […]. Anche a Parigi ci attendono in gennaro, e mi è caro tornare in un luogo ove la tromba dei giornali constaterà per una seconda volta in tutta l’Europa la fama di Camillo», lettera di Giovanni Battista Sivori a Alessandro Sivori, da Leeds, 11 ottobre 1843).

16 Il libro di FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., vero caposaldo nella rigorosa ricostruzione della biografia di Camillo Sivori, procede già secondo un metodo d’indagine fondato sull’analisi comparativa di documenti in gran parte tratti dalle cronache musicali dell’epoca, ampiamente citate nel volume. Tali fonti, insieme a numerose altre, emerse a seguito di ulteriori ricerche presso archivi e biblioteche, sono state recentemente riunite in una sezione (‘La stampa quotidiana e periodica’, pp. 181-323) del ricco volume di LUIGI INZAGHI, op. cit.

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interessano di più, poiché è questo il tema che stiamo trattando, i mezzi, gli strumenti, le strategie messi in campo per ‘comunicare’ se stessi e la propria arte. Ovvero per «divolgare» la propria fama: così come si era detto e pensato, tre anni prima, a Nizza, nei pochi giorni trascorsi con Paganini, nella fase estrema (o quasi) della sua malattia.

Ebbene, Parigi: anche Chopin, nel 1831, aveva paragonato Parigi a «un paradiso», dove «nessuno si preoccupa di quello che fa il suo vicino»17.

Questa indifferenza dei parigini, la stessa che, durante la prima tournée, aveva colpito Nicolò Sivori e aveva reso più faticosi i suoi sforzi di trasformarla in attenzione, è in contrasto con la tranquillità del Belgio, tappa successiva della tournée. Quando, il 6 maggio 1843, dopo un «breve soggiorno» di poco più di una quindicina di giorni18, Giovanni Battista e Camillo Sivori stanno per lasciare – per la seconda volta in pochi mesi – il Belgio19, l’impressione che ne portano con sé e che riferiscono ai famigliari è quella di un paese in cui «non vi è gran cosa a vedere e quasi nessuna». Il Belgio è un luogo «di tranquillità, tanto più quando si arriva da Parigi, pare un paese morto»20. Là, come scrive, già la prima volta che vi si reca, Camillo ottiene onori di gran lunga maggiori di tutti quelli fino ad allora avuti21. Inoltre, il soggiorno belga consente a Sivori di riflettere su alcuni temi ‘aperti’ e di farlo con una lucidità che la frenesia della tournée finora non gli ha permesso. Il vero problema – uno dei tanti, ma uno, di sicuro, dei più presenti – è ANDRÉ LAVAGNE, Chopin, Milano, Sugarco, 1979.

Nella lettera inviata al padre Alessandro da Parigi il 17 aprile 1843 leggiamo della partenza imminente («Fra una mezz’ora si mettiamo in diligenza»). MARIO BATTISTINI (Camillo Sivori in Belgio, «Giornale Storico e Letterario della Liguria», 1933, p. 219) riporta la notizia secondo cui «imprevedute circostanze trattennero l’artista a Parigi fino al 19». È possibile che un imprevisto dell’ultima ora (anzi, dell’ultima mezz’ora) abbia trattenuto Sivori a Parigi. Imprevisti di questo tipo erano allora non rari.

19 Il primo viaggio verso il Belgio non è documentato dall’epistolario alla famiglia, che qui fa registrare una lacuna. Secondo MENARDI NOGUERA (op. cit., p. 95), che riprende la notizia da MARIO BATTISTINI (op. cit., p. 215), Sivori giunse a Bruxelles il 15 marzo 1843 e ripartì per Parigi il 6 aprile. Di quest’ultima data si trova conferma anche nell’epistolario. È del giorno seguente la lettera inviata da Giovanni Battista e Camillo Sivori al padre Alessandro, da Parigi, purtroppo incompleta, in cui Camillo esordisce con le parole: «eccomi giunto glorioso e trionfante, sano e salvo in Parigi». Il progetto di un ritorno in Belgio era a questo punto già nitido e Giovanni Battista lo esprimeva, scherzosamente, dicendo di volervi fare tappa sulla via di Londra («Prima di andare in Londra passeremo ancora nel Belgio ove ci attendono per darci ancora qualche migliaio di franchi che ci conservano», ivi).

20 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Bruxelles, 6 maggio 1843.

21 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, 7 aprile 1843: «Gli onori che colà ho ricevuti sorpassarono tutti quelli avuti fino adesso».

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capire come amministrarsi riguardo alla musica che si è composta e a quella che si sceglierà di inserire nei propri programmi. È in gioco un cambiamento di immagine e di ruolo22. Un conto, infatti, è presentarsi come esecutore di musica; altro è presentarsi come autore. E poi sono due cose diverse – anche più diverse – presentarsi come esecutore virtuoso e brillante oppure come interprete dei classici. Sivori è alla ricerca di un modo «di regolarsi»: ci lavora con la mente, chiede consigli e ne riceve anche da celebri artisti, come Henry e de Bériot. Con quest’ultimo dice di essere entrato «in stretta relazione di amicizia». La frequentazione diventa in breve abbastanza approfondita: de Bériot è tra i sostenitori di Sivori, non si lascia sfuggire nessuno dei suoi concerti, sta addirittura componendo un concerto «sul <suo> genere», che ha intenzione di dedicargli23. Lo stesso de Bériot fa previsioni sulla carriera di Camillo. Giovanni Battista le annota: De Beriot non ha mai lasciato ogni concerto di Camillo; ieri vi andai per invitarlo e a portarle come d’uso i biglietti per la sera, e secondo il solito gli accettò volentieri, e nel mentre mi fece i più grandi eloggi di Camillo tanto per il suo suonare come per il suo carattere, dicendomi anche che non gli potrà mancare presto una fortuna, e che nessuno artista attualmente in voga a suo parere non potrà mai sorpassarlo in abilità, come difficilmente lo potrebbero anche quelli che verranno, essendo cosa rarissima che si possa arrivare alla sua forza in età così giovanile24.

22 Cfr. FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., p. 94: «È […] confermato quanto scrisse Fétis nella sua Biographie Universelle, e cioè che fu proprio a Parigi ed in questa stagione che Sivori si fece conoscere anche come interprete dei classici: Haydn, Mozart e Beethoven. […] Conquistò così anche quel pubblico di intenditori “ultra severi artisti ed amatori” che non erano completamente soddisfatti dalle musiche di genere virtuosistico». Cfr. anche ibid., pp. 98-99: «In questo periodo [scilicet il periodo inglese, dalla metà del 1843 al settembre 1846] Sivori si affermerà non solo come virtuoso paganiniano ma anche come eccezionale interprete della musica classica».

23 «Di più degli onori che ho ricevuti qui non mi potevo aspettare, compreso dagli artisti più celebri, come Henry e Bériot, i quali non hanno mancato di assistere ad ogni mio concerto ed ogni volta che mi vedono mi fanno mille complimenti, per quanto pare, sinceri, ed il più che me ne persuada si è quella premura che si prendono nel darmi buoni e vantaggiosi consigli, tanto per i miei concerti, quanto per il modo di regolarmi, ed il desiderio che mostrano di voler assistere ad ognuno dei medesimi. Con Bériot in particolare siamo in stretta relazione di amicizia, come in passato, ed ogni volta che vado a casa sua, tanto lui, che sua moglie, non mancano di farmi tutte le attenzioni possibili. Lo stesso va componendo un concerto sul mio genere, per farmene la dedica. Mi fece sentire il primo solo che ha già scritto, e mi sembrò essere di molto effetto». Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori ai fratelli (benché indirizzata a Nicolò Sivori), da Bruxelles, 30 aprile 1843.

24 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Bruxelles, 6 maggio 1843.

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Proprio pensando al futuro, Camillo Sivori si chiede se la musica che ha composto debba essere pubblicata o tenuta per sé. La lettera, inviata da Bruxelles, il 30 aprile 1843, indirizzata ai fratelli e non, come di consueto, al padre, contiene alcune importanti riflessioni.

A Parigi non ho più fatto stampare le Variazioni fatte con Degola, perché mi consigliarono a non fare stampare nulla, e mi dissero che un artista che dà concerti non gli conviene mai, perché se stampa la musica che suona si pregiudica per essere in seguito da tutti conosciuta, e non farebbe ottimo affare, essendo musica che quasi tutti non potendola suonare non la comprerebber solo che pochi curiosi; se stampa della musica facile si pregiudica in quanto amor proprio da chi, non conoscendol che di fama, potrebbe sempre dire: «Come! Questa è la musica così difficile che suona il rinomato Sivori?»25.

Chi lo aveva convinto a non pubblicare – mostrandogli quanto poco conveniente fosse pubblicare – era un «grande artista in ritiro», che Sivori, senza farne il nome, dichiara essere stato «amico intrinseco di Paganini». È, in effetti, ancora una volta, Paganini stesso a indicare la strada. «Paganini – continua la stessa lettera – non fece stampare che i ventiquattro capricci, per far vedere di quanto era capace e per burlarli tutti con una musica che generalmente non poteano che guardare».

Il 7 aprile, appena giunto a Parigi, Giovanni Battista racconta di uno strepitoso concerto, tenuto la sera precedente al «gran Teatro italiano». Si tratta certamente del concerto conclusivo della prima tournée belga, il rituale saluto che ogni artista rivolgeva al suo pubblico prima di allontanarsi da una città o da una piazza. È all’incirca di quella data un lungo articolo comparso sul «Courrier Belge», citato da James26, che ben si accorda con la cronaca famigliare di Giovanni Battista Sivori. È il Carnevale di Venezia (O mamma mamma ca) M.S. 59, come sempre, a suscitare i maggiori entusiasmi. Il pubblico ne chiede la replica una volta e poi un’altra. Richiesto della terza replica, Sivori è troppo stanco e non può concederla. Allora il pubblico chiede la «Clochette»27. Camillo non l’ha provato con l’orchestra e non può soddisfare nemmeno questa seconda richiesta, nonostante il

25 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori ai fratelli (benché indirizzata a Nicolò Sivori), da Bruxelles, 30 aprile 1843.

26 E. JAMES, Camillo Sivori. A sketch of his life, talent, travels and successes, London, Pietro Rolandi - Cramer, Beale & Co., Musicsellers, 1845, pp. 38-40.

27 Si tratta, naturalmente, del Secondo Concerto M.S. 48 di Paganini, che Sivori cita puntualmente come «Clochette». È possibile che «il più delle volte» Sivori si riferisca al solo terzo tempo del concerto, noto anche come «Rondò col campanello». Cfr. Catalogo tematico, pp. 157-162 e FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., p. 235.

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fervore del pubblico («I gridi erano sì forti ed animati che sembravano tanti pazzi»28).

Il soggiorno in Belgio ha riservato sorprese di tale qualità che Camillo e Giovanni Battista Sivori subito progettano di ritornarvi29. Alla fine del concerto il presidente della Società pone una corona in capo a Camillo e lui se ne commuove30. Il direttore della Grande Armonia di Bruxelles e tutti i musicisti che hanno lavorato con Sivori gli scrivono per attestargli la propria stima e riconoscenza. Lo ringraziano per aver scelto di tenere il suo concerto nella loro sala, lo riconoscono «il primo violinista che ora percorra il mondo musicale»31.

Proprio perché i successi sono stati tanto grandi da riuscire addirittura insperati, in Belgio occorre tornare, in cerca di risultati ancora maggiori.

Scrivendo al padre, Camillo usa un’immagine felice, che strappa il sorriso: «credo di aver seminati degli aghi per coglierne in seguito pali di ferro»32.

3. L’artista, il suo status e la sua immagine L’artista deve saper gestire la propria personale immagine. Certo, sottoporsi a lunghe sedute perché pittori più o meno dotati possano ‘annotare’ sulla tela la verace fisionomia del ritrattato può essere stancante e, per Camillo Sivori, nemico dell’ozio, lo è senza dubbio («son sempre in giro perché tutti vogliono prendere il mio ritratto»33, «la più parte delle volte son fuori, o per le sedute di questi benedetti ritratti in littografia, olio, e busti»34). È vero, d’altra parte, che chi, per mestiere, cerca di guadagnarsi 28 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, 7 aprile 1843.

29 Ivi: «Abbiamo scritto a Lumley direttore dell’Opera Italiana a Londra, e ci rispose che anche ai primi di maggio saremo ancora in tempo essendo quella sola l’epoca che cominciano i concerti». C’era, dunque, la possibilità di estendere il momento del ‘passaggio’ in Belgio, in modo tale da ricavarne una breve tournée. Giovanni Battista Sivori aggiungeva scherzosamente: «e così non perderemo tutto ciò che i Belgisti ci vogliono ancora dare».

30 Ivi: «quando il Presidente della Società mi fece la sorpresa di mettermi la corona in testa in faccia a tutto il pubblico, fui commosso di maniera che per lungo tempo non potevo nemmeno quasi più rispondere alle domande che mi venivano fatte».

31 Ivi. 32 Ivi. 33 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma, prob. inizio febbraio 1843.

34 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, 4 marzo 1843.

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l’approvazione del pubblico con le proprie capacità, non può trascurare il potere mediatico (ante litteram) dell’immagine. Se si vuole esser conosciuti e apprezzati, come artisti alla moda, bisogna sforzarsi di non tralasciare alcuna opportunità. Non per vezzo, ma per utile: ‘farsi vedere’ è parte del proprio impegno quotidiano. Farsi vedere in società, nelle sale da concerto, nei salotti e, quando ciò diviene possibile, portare la propria immagine oltre i confini naturali della propria mobilità: con l’esposizione di un ritratto, per esempio. Camillo Sivori non pare alla ricerca di quest’altro mezzo di comunicazione, ma, quando gli si presenta un’opportunità, sa coglierla (sa che deve coglierla). E dimostra di intenderne tutta l’importanza: «me ne stanno facendo uno [ritratto] ad olio seduto col violino alla mano.

Il pittore lo fa espressamente per esporlo sabato prossimo all’Accademia delle Scienze, quale sarà da tutto Parigi ben visto e visitato, quindi anderà all’esposizione di Londra e così il mio nome si divolgherà anche per questo oggetto»35.

Vedremo tra breve come in questi anni sia diventato centrale nelle preoccupazioni di Sivori e di chi lo accompagna il rapporto con i giornalisti. Se si fa breccia nei giornali, si ottiene l’attenzione del pubblico – e quindi fama e profitto. Bisogna comparire sui giornali per far parlare di sé. Se, nel 1843, lo strumento dell’annuncio sui giornali e della recensione si sostituisce, per efficacia di introduzione, allo strumento della lettera di raccomandazione, tanto usato nelle tournée affrontate da Sivori nel 182728 e nel 1840-4136, è la buona gestione della propria fama a essere al centro delle preoccupazioni dell’artista. Almeno finché non sia diventato artista ‘alla moda’ – ma, in ogni caso, anche dopo, perché l’artista in tournée non può tirarsi indietro: deve saper amministrare la propria ‘fama’. Non c’è tappa o passaggio, in tal senso, che non ne prepari un altro. Anche in Inghilterra, benché abbia accettato un ingaggio e, quindi, un compenso fisso37, Sivori ha ragione di credere che l’ottimo risultato della tournée aprirà le porte a successive occasioni di onore e di profitto. Camillo, tra l’altro, come ben spiega Giovanni Battista, è riuscito a superare le attese; ha stupito anche chi era preparato. Il ‘meccanismo’ della curiosità si è

35 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma, prob. inizio febbraio 1843.

36 Cfr. STEFANO TERMANINI, “Andare in tournée”: Camillo Sivori in Europa tra il 1827 e il 1841, cit., in particolare il paragrafo 3, pp. 80-84.

37 Secondo la «Gazzetta Musicale di Milano» del 16 luglio 1843 Sivori ricevette un ingaggio di 80.000 franchi per tre mesi. Traggo la citazione da FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., p. 103, n. 1.

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messo in moto e Giovanni Battista dimostra di conoscerne piuttosto bene, per esperienza oltreché per istinto, la fenomenologia di massa.

Per quanto poi riguardi l’effetto fatto da Camillo […] tutti dicono che lo credevano un gran suonatore per quanto i fogli ne hanno detto, ma che non si aspettavano mai che fosse a quel punto in cui lo hanno trovato, e sono sicuro che tutti quelli che non lo credevano tale e che non sono venuti ai suoi concerti perché la di lui fama non era ancora troppo bene conosciuta, né di vecchia data, che un altr’anno non mancheranno certamente e che si faranno dei bellissimi affari. Con uno o due concerti che si fanno per ogni paese non vi si mette che la curiosità, ed in altra epoca vi si faranno spero dei denari38.

Nel 1843, tra i mesi parigini e la defatigante tournée inglese, Camillo Sivori sperimenta gradi e modi diversi di comunicazione. Poi, e abbastanza presto, l’attività e l’impegno per far conoscere la sua arte vengono a coincidere con la comunicazione di se stesso. La lettera di raccomandazione era utile quando a doversi attivare era la catena delle conoscenze personali e, in questo senso, conferma la sua validità e, per così dire, ‘resiste’39; non serve più, non è abbastanza, se l’orizzonte si allarga.

A Parigi conquistarsi l’attenzione dei giornalisti è tuttaltro che facile. È, anzi, voce comune che i giornalisti a Parigi siano intrattabili, cosicché un conto è far pubblicare un annuncio, un conto è ottenere una recensione o dar loro da pubblicare un articolo («Al nostro qui arrivo – scrive Camillo Sivori al padre – ho procurato subito di fare annunciare per mezzo della Gazzetta Musicale la mia venuta in Parigi. Mi si dice da tutti che questi giornalisti sono tanti cani e che nemmeno per mille franchi farebbero un articolo detato, se non sono veramente convinti dell’abilità di un artista»40). D’altra parte, la difficile trattabilità dei giornalisti parigini, insieme al fatto che i giornali di Parigi circolano per tutta Europa, fa sì che comparire sulle loro pagine sia un risultato assai ambìto.

A Parigi il clima è quello della competizione, qualche volta la competizione volge in malignità. In Belgio, invece – come in parte si è già visto 38 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Newcastle, 28 agosto 1843.

39 Per es. Lambert Adolphe Quetelet (1796-1874), da cui i Sivori sono a pranzo il 28 aprile 1843, «primo astronomo del Belgio, uomo di distintissimo merito e dicono uno dei più celebri dell’Europa» si offre di introdurre Camillo, tramite una propria lettera di raccomandazione, presso «il marito della Regina d’Inghilterra», con cui è «in stretta relazione». Cfr. lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Bruxelles, 29 aprile 1843.

40 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma prob. prima metà di gennaio 1843.

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nel precedente paragrafo –, tutto è diverso. A Bruxelles, poiché il paese è più piccolo, «vi è meno da faticare per arrangiare concerti»41. Avendo più tempo, Giovanni Battista e Camillo spediscono alla famiglia distese relazioni su quanto va loro accadendo. In Belgio conoscere personalità, anche di primo piano, è relativamente facile. Un artista famoso, come de Bériot, offre il proprio aiuto. Camillo, forse perché ha vissuto l’esperienza di Parigi, se ne stupisce. Nella lettera inviata al padre da Parigi il 7 aprile 1843 dichiara che «ciò che Bériot fece per me nel predetto viaggio non glielo posso bastantemente spiegare; per verità non me l’avrei mai potuto immaginare, sopra tutto per essere un artista dello stesso strumento e colla fama colossale che lo precede».

In Belgio Sivori ha conosciuto – e ne è stato preso in grande simpatia – il chitarrista Marco Aurelio Zani de’ Ferranti, a cui, in una lettera del 6 maggio, si rivolge come al «mio migliore amico», apprezzandone «i talenti sopranaturali in tutte le cose» e l’«eccellente […] carattere»42. Ma ha conosciuto anche, come si è visto, persone importanti al di fuori dell’ambiente strettamente musicale e mondano, come l’astronomo Adolphe Quetelet.

Ogni città e ogni paese ha caratteri propri e richiede uno sforzo diverso. Il viaggio prosegue: agli occhi di Giovanni Battista che scrive (facendosi interprete, com’è probabile, anche del pensiero di Camillo, troppo impegnato per curare la corrispondenza), Londra è città «grandiosa quanto si possa immaginare, ma tristissima, e per giunta le case quasi tutte nere,

41 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori alla madre Anna Sivori Passera, da Bruxelles, 28 aprile 1843.

42 La lettera di Camillo Sivori a Marco Aurelio Zani de’ Ferranti è stata pubblicata nel libro di SIMON WYNBERG, Marco Aurelio Zani De Ferranti Guitarist (1801-1878), Heidelberg, Chanterelle Verlag, 1989, p. 86 e ora si può leggere anche in LUIGI INZAGHI, op. cit., p.

113. Di Zani de’ Ferranti Giovanni Battista scrive alla madre, da Bruxelles, il 28 aprile 1843: «un amico italiano giornalista, professore al conservatorio, che conosce inglese, francese, italiano, tedesco e spagnolo a perfezione, e la musica per eccellenza per la quale ha composto e stampato più di 70 pezzi e molto ben veduto dal re, si prese un impegno per i concerti di Camillo che un padre non gli potrebbe fare di più; questo si chiama De Ferranti, quello che scrisse per Camillo un lunghissimo articolo che mandai a papà; è un uomo di talento raro, ha girato il mondo dando concerti in prima di chitarra […] e la suona di modo che non ho mai sentito l’uguale. Mi rincresce che abbia tante occupazioni di giornale, lezioni in tutte le lingue e di chitarra per cui se la cava benissimo, e sia padre di due figli, altrimenti sarebbe l’unico che potrebbe accompagnare vantaggiosamente Camillo, essendo anche uomo di tutta illibatezza, probità, testa ferma e buona educazione, che gli potrebbe servire anche d’istruzione, sì civile, che religiosa, abbenché non ne abbia bisogno». Anche Paganini conobbe e apprezzò Zani de’ Ferranti, che dichiarò «superiore ad altri celebri» ascoltati durante i suoi viaggi in Europa (MARIO BATTISTINI, Niccolò Paganini nel Belgio nel 1834, «Giornale Storico e Letterario della Liguria», 1932, p. 199).

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che credo sieno tali per il gran fumo che sempre vi è del carbon fossile che pare tutta la città un continuo bastimento a vapore»43.

Arrivati a Londra da tre giorni44, i Sivori hanno trovato alloggio in un appartamento, che hanno potuto prendere in affitto a buon prezzo. La locanda sarebbe stata anche più economica, ma ‘non conveniente’ per loro.

Ora devono mettersi all’opera senza indugio: bisogna che si sappia che Camillo è giunto in quella città. Ecco, dunque, Giovanni Battista indaffarato a prendere contatti con giornalisti o «gazzettieri» e a dar loro – come oggi si farebbe con comunicati stampa o ‘veline’ – i giornali di Bruxelles.

Fare i divi – benché di necessità e non per vocazione – è un mestiere di progressivi rilanci. Compiuto un passo, si può andare un po’ più lontano.

Racconta Giovanni Battista Sivori al padre: I giornali di Bruxelles non glielo posso mandar più perché se ne siamo dovuti servire qui per dare a giornalisti onde fare annunziare l’arrivo in questa di Camillo, al quale al solito vogliono fare la biografia della sua vita, cosa che non si può impedire né evitare, poiché generalmente e tanto più gl’inglesi di naturale piuttosto curiosi e freddi, vogliono conoscere l’artista che si presenta, a fondo. Siamo pentiti di non aver portato seco noi una quantità dei giornali parlanti di Camillo, tanto più quelli di Francia ultimamente spediti loro per mezzo di Degola, perché qui ci avrebbero giovato di molto, anzi celi hanno richiesti per appoggiarvisi sopra in quello che devono dire, ma ora è inutile; io gli ho fatto come ho potuto in francese una breve descrizione di quanto essi hanno detto generalmente45.

L’accoglienza, a Londra, pare migliore che a Parigi. A Londra non si oppone all’artista che vi giunge un’eguale barriera di pregiudizi. L’interesse degli inglesi verso Camillo Sivori si spinge ben oltre la normale trasmissione e diffusione delle notizie che lo riguardano. I giornalisti inglesi, non appagati, vorrebbero scriverne – come si esprime Giovanni Battista, con ridondanza – «la biografia della sua vita». Le cronache di questi mesi testimoniano che l’attenzione dei giornalisti è rivolta, oltreché ai singoli 43 Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, 13 maggio 1843.

Il fumo e la fuliggine nell’aria di Londra rendono la vita in questa città insana e difficile.

Racconta ancora, nella stessa lettera, Giovanni Battista Sivori: «questa mattina colle finestre chiuse, svegliandomi, vedo il letto pieno, sembrava di nero fumo, che era entrato in tutta la camera dalle fessure per un poco di vento che questa notte ha tirato». Come si è già accennato, l’arrivo a Londra era stato preparato da una corrispondenza con il contrabbassista Domenico Dragonetti (cfr. FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., p. 95) e con il direttore dell’Opera Italiana a Londra (v. nota 29).

44 Si legge nella lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori ad Alessandro Sivori, da Londra, 13 maggio 1843: «scrivo in una carta un poco macchiata perché, quantunque arrivati da tre giorni felicemente, non abbiamo ancora aperto i bauli».

45 Ivi.

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episodi di cronaca musicale, al ‘personaggio’ Camillo Sivori, tutto intero e per tutta la sua storia46. Non dimentichiamo, inoltre, che la prima biografia autonoma di Sivori, quella di E. James, nasce proprio in Inghilterra e in questo giro di anni (1845). C’è da parte del pubblico inglese, e Giovanni Battista lo rileva, un atteggiamento di curiosità mista a freddezza che si ammorbidisce un po’ alla volta. Non è la supponenza dei parigini, convinti di avere il meglio. Gli inglesi, nota, «di naturale piuttosto curiosi e freddi, vogliono conoscere l’artista che si presenta, a fondo»47.

Comparire sui giornali, specie su quelli meno facilmente raggiungibili, consente un vantaggio importante. Essere protagonista di fatti, anche piccoli, benché tenuti in considerazione dalla stampa, può essere anche molto utile. Insomma, ciò che è più importante dei ritratti portati in giro tra le maggiori istituzioni di Parigi e Londra e degli onori, anche di quelli che non vengono assegnati se non in relazione a un merito riconosciuto (com’è nel caso di quelli che Camillo riceve dal Conservatorio di Parigi), è il fatto che gli uni e gli altri possano essere citati e commentati sulla stampa48. Anche nell’ottobre 1843, mentre i Sivori passano da una sala da concerto all’altra a ritmi quasi insostenibili, Giovanni Battista pensa al vantaggio di un ritorno a Parigi proprio perché là «la tromba dei giornali constaterà per una seconda volta in tutta l’Europa la fama di Camillo, facendone nascere da per tutto, per mezzo di quelli, da tutte le parti ricevuti, una volontà più animata di andarlo a sentire»49. Identico era, o almeno molto simile, il suggerimento di Paganini e lo si è visto. Quando i giornali avessero fatto crescere l’attesa dell’arrivo di Camillo e il desiderio di ascoltarlo, 46 Il 3 giugno 1843, per esempio, il cronista di «The Illustrated London News», in un lungo articolo, ripercorreva la biografia di Sivori fin dai suoi esordi genovesi e stabiliva la dipendenza di Sivori da Paganini, non solo in quanto a eredità tecnica, ma in quanto a ‘eredità dello spirito’ («Dall’epoca di Paganini numerosi esecutori hanno imitato la sua tecnica con più o meno successo […]. Riguardo a Sivori le cose stanno altrimenti: egli non ha soltanto ereditato il braccio e le dita del suo maestro, ma ne ha preso anche il suo spirito»). Cfr. LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 203.

47 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, 13 maggio 1843.

48 Se questo accade, poi, a Genova, far riprendere la notizia e darle eco è piuttosto facile. Così Camillo scrive al padre: «Mi ha fatto gran piacere il ricevere la medaglia dal Conservatorio di Parigi, con una compitissima lettera di ringraziamento ed eloggi complessivi, la qual cosa sarà messa in quasi tutti i giornali francesi. Desidererei che ciò fosse inserito anche nella Gazzetta di Genova […] ciocché credo vantaggioso per il mio nome ed interesse». Cfr. lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma prob. inizio febbraio 1843.

49 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Leeds, 11 ottobre 1843.

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allora anche Camillo, al pari di Paganini, avrebbe potuto applicare un sovrapprezzo ai biglietti dei propri concerti50. È tutta e soltanto una strategia – equilibratissima – di attese da suscitare e da soddisfare.

4. Paganini, un nume invisibile Rispetto ad altri gruppi, che si ritrovano piuttosto ben conservati e ordinati nell’Archivio Sivori, le diciotto lettere del 1843 si inseriscono in una narrazione epistolare che si immagina più ampia51. Mancano gli elementi per fare qualsiasi ipotesi riguardo alla dispersione di una parte consistente dell’epistolario di quell’anno ed è vero, d’altra parte, che le lettere si rarefanno quando il ritmo della tournée diventa incalzante. Parte della 50 Ivi: «anche con aumento di prezzo, come faceva Paganini». È noto che, proprio durante la tournée di Paganini, in Belgio (1834), e particolarmente a Bruxelles, dove diede tre concerti (il 15, 17 e 19 marzo), il prezzo dei biglietti fu molto più elevato del solito (cfr. MARIO BATTISTINI, Niccolò Paganini nel Belgio nel 1834, cit., p. 192).

51 In realtà, fare congetture riguardo all’entità della dispersione di lettere è, per quest’anno, piuttosto difficile. Vi sono ‘gruppi’ nell’epistolario alla famiglia in cui, per converso, congetture di questo tipo sono piuttosto facili: Nicolò Sivori, negli anni della prima tournée del 1827-28, usava numerare progressivamente le lettere che spediva a Genova.

Alcuni ‘vuoti’ del 1843 si giustificano con la mobilità dei Sivori: «se per tutti i casi non vi scrivessi più – Giovanni Battista avverte il padre, da Bruxelles, il 30 aprile 1843 – […] non state in alcuna ansietà che vi scriverò tutto l’occorso da Londra stesso dandovene avviso nell’istesso tempo del nostro arrivo e del felice viaggio che in questa stagione credo che anderemo a fare». Dopo l’avvertimento, d’altra parte, Giovanni Battista scrive ancora, sempre da Bruxelles, il 6 maggio, vigilia (prevista) della partenza: «Domenica mattina, ossia domani, partiamo per Anversa colla strada di ferro, e di là per Londra con bastimento a vapore». La partenza da Bruxelles per Londra avviene, invece, il 9 maggio e la lettera del 13 maggio 1843, spedita da Londra, ne dà puntuale resoconto. Ma, di qui alla successiva, del 3 giugno, pare intercorra un vuoto (almeno allo stato attuale delle ricerche, poiché numerose lettere dell’epistolario sono prive di data e di luogo e debbono essere collocate cronologicamente in via congetturale). Dalla Gran Bretagna le lettere si susseguono a distanza di circa un mese l’una dall’altra: (Londra) 6 luglio, (Dublino) 10 agosto, (Newcastle) 28 agosto, (Londra) 26 (?) settembre, (Leeds) 11 ottobre ecc. La lettera s.d. scritta a Londra tra il 23 (Giovanni Battista: «Ricevei ieri 22 corrente la cara sua») e il 25 (Camillo: «Oggi, giorno 25, sono impegnato in un concerto») comincia citando una lettera – assente nell’epistolario – in cui v’era «notizia del nostro felice arrivo in Londra, assieme alle relazioni de’ nostri viaggi fatti e da farsi». Va detto, inoltre, che varie lettere di questo gruppo ci sono giunte prive della prima parte, probabilmente andata dispersa o non conservata per ragioni che è difficile immaginare. Il racconto di Giovanni Battista, così, comincia abbastanza spesso, per noi, in medias res, mentre la parte di pugno di Camillo, sempre in chiusura, ci è giunta, quando c’è, per intero.

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dispersione può spiegarsi con il cambio di destinatario. Il padre Alessandro, privilegiato e, si può dire, unico destinatario della corrispondenza famigliare fino agli ultimi mesi del 1843, a quel punto e abbastanza improvvisamente muore52. La sua morte traccia nell’epistolario un solco accorato. Quando la notizia li raggiunge, Camillo e Giovanni Battista Sivori rispondono con reticenza alla madre e ai fratelli: tutti provano lo stesso dolore e non c’è molto da dire. D’altra parte, la scomparsa di Alessandro Sivori, giudicata «troppo accelerata» dallo stesso Camillo, segna l’epistolario anche in altra maniera. Pur mancandoci completamente le lettere che la famiglia inviava a Camillo e ai suoi accompagnatori, sempre membri della famiglia, ad eccezione che nella tournée europea e russa del 1841-42, è assai probabile che la preferenza data ad alcune informazioni su altre, le rassicurazioni, le conferme, la partecipazione alle scelte fondamentali fatta passare attraverso lo strumento epistolare, addirittura il tono stesso dell’epistolario, dipendessero in misura considerevole dalle richieste manifestate nelle lettere che partivano da Genova. Di più, trattandosi di un destinatario autoritario e, a quanto è dato capire, capace di far pesare il proprio giudizio e di ‘chiedere il conto’ di quanto si stava facendo ad ogni tappa della tournée, il padre Alessandro è una presenza tutt’altro che di secondo piano. Rispetto al corso dell’epistolario Alessandro è, insomma, un destinatario ‘influenzante’.

La data di nascita di Alessandro Sivori, figlio di Francesco, deve essere riportata, probabilmente, agli anni intorno al 178053. Alessandro Sivori 52 LUIGI INZAGHI (op. cit., p. 22) assegna al 18 dicembre del 1843 la corrispondenza di Sivori con la madre riguardo alla morte del padre. La prima lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori alla famiglia, in cui compare la notizia della morte del padre – notizia recente, recepita con dolore e a cui si dà una risposta tempestiva – è mutila della prima parte (di Giovanni Battista) e senza data. Camillo, la cui parte è, invece, conservata per intero, esprime il suo dolore («lascio a lei il considerare, mia cara madre, qual profondo dolore, e qual forte sensazione abbia cagionato al mio cuore una sì funesta notizia, [parola illeggibile] ahi! troppo accelerata morte dell’amatissimo mio buon padre») e riferisce poco dopo di un invito a pranzo – nell’intenzione di non lasciarli soli in un momento di grave lutto – presso la famiglia Arata per il giorno di Natale («Domenica, e lunedì, giorno di Natale, siamo stati sforzati dalla famiglia Arata a pranzare seco loro»). Siamo, dunque, poco lontani da quella data. Gli Arata erano parenti dei Sivori, poiché Luisa Sivori, figlia di Alessandro, aveva sposato Carlo Arata il 27 settembre 1822 (cfr. LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 102). Nell’epistolario famigliare, nel fascicolo che si riferisce al 1828, si conserva un gruppo di lettere inviate da Carlo Arata al suocero, Alessandro Sivori (da Milano: 31.5, 7.7, 28.7; da Torino: 23.8, 20.8).

53 Approfondimenti archivistici presso i registri parrocchiali, specie quelli della chiesa di San Donato, potranno fornire altri elementi per una più documentata e diretta indicazione degli estremi cronologici della vita di Alessandro Sivori.

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aveva, quindi, all’incirca, la stessa età di Paganini, con cui doveva avere una certa consuetudine, attestata sia nell’epistolario di Paganini54, sia attraverso le numerose affermazioni che si trovano nelle lettere di cui qui ci occupiamo, tra cui, esplicita, la richiesta di Nicolò Sivori, zio di Camillo ed efficiente amministratore durante la non facile tournée del 1827-2855.

Se Giovanni Battista si giustifica, spiega le ragioni per cui un certo successo di Camillo ha condotto a un risultato economico inferiore al previsto, mostra l’oculatezza con cui lui e Camillo stanno amministrando il loro tempo e il loro denaro, conferma la sobrietà e l’austerità delle loro scelte, i rigorosi criteri di economia ferreamente applicati, è lecito credere che lo faccia per soddisfare precise richieste o attese che gli derivano dal rapporto epistolare con il padre e della conoscenza del suo carattere.

L’ipotesi si conferma alla luce del tono più libero e più lieve che prendono le relazioni epistolari alla famiglia successive al 1843. Ci si convince, insomma, e con un buon numero di ragioni a sostegno di quest’impressione56, 54 Basta ricordare la nota lettera indirizzata a Luigi Guglielmo Germi, da Milano, il 18 giugno 1823: «Sivori mi ha scritto una lunga lettera dove mi vorrebbe disporre a scrivere un concerto per il Camillino, da farglielo nel suo Oratorio per il prossimo Gennaio. Sabbato risponderò alla sua lettera e […] lo terrò in speranza». Cit. in Epistolario, n. 63. D’altra parte, come proprio un passo di una lettera del 1843 testimonia, i Sivori erano anche in rapporti con Luigi Germi. Camillo Sivori scrive al padre, da Londra, il 6 luglio 1843: «Riguardo alla viola dell’avvocato Germi […] non abbiamo fatto ancora nulla, perché si tratta di un istrumento più di lusso che di necessità, per cui bisogna attendere il curioso che la brama, ed in questi tempi è ben difficile più che in quelli passati». Evidentemente, cioè, Luigi Germi aveva affidato a Camillo e Giovanni Battista Sivori una preziosa viola, affinché la portassero con sé nei viaggi europei e cercassero di venderla a un buon prezzo. La citazione della commissione affidata da Germi ai Sivori ci mette davanti a una situazione di rapporti fra la famiglia di Camillo, Germi e Paganini, assai più stretti e consuetudinari di quanto si pensasse. Può essere che i rapporti tra i Sivori e Luigi Germi avessero origine in subordine al rapporto tra i Sivori e Paganini, ciò è, anzi, probabile, ma la prova di una commissione di qualche importanza affidata ai Sivori fa pensare che, quali che fossero al tempo della cessione del Vuillaume (1840), i rapporti tra Germi e i Sivori erano divenuti, nel 1843, di assoluta fiducia, forse anche di familiarità.

55 Scrivendo al fratello Alessandro, da Parigi, il 10 novembre 1827, Nicolò Sivori chiedeva una lettera di raccomandazione di Paganini per Paër: «Abbenché sia in buona relazione con questo maestro, pure due righe di raccomandazione dell’amico Paganini per il Camillo mi sarebbero care». Cit. in STEFANO TERMANINI, “Andare in tournée”: Camillo Sivori in Europa tra il 1827 e il 1841, cit., p. 98, n. 15.

56 Il richiamo alle vicende di Paganini e l’implicito confronto con l’iter della tournée del giovanissimo Camillo Sivori compare già nelle lettere del 1827-28. Osserva Nicolò Sivori, allora accompagnatore del nipote Camillo, che per Paganini, a quel tempo già noto in tutta Europa, l’organizzazione della tournée è facile, mentre non lo è per loro. D’altra parte, andando avanti con la carriera, quando sarà diventato anch’egli famoso, Camillo potrà fare come Paganini (cfr. ibid., pp. 82-83 e 92).

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che, ben consapevole dell’ascesa di Paganini, e, addirittura, vicino alle vicende biografiche di Paganini, fosse proprio Alessandro Sivori a sollecitare il confronto tra Camillo e il suo maestro – un confronto che, a differenza di quello proposto dai cronisti musicali, ha quasi sempre una base di partenza pratica e oggettiva, misurandosi sul divario del risultato economico ancora prima che sull’eventuale divario di onori.

Pur all’interno della conversazione famigliare, Paganini è un costante riferimento. Camillo, per sua fortuna, non subisce l’eterno presente in cui la figura di Paganini e la sua straordinaria dimensione di virtuoso rimangono sospesi nell’immaginario famigliare. A giudicare dalle lettere di Giovanni Battista, la riflessione sulla carriera di Paganini, ora che la morte l’ha suggellata, è quanto mai flagrante tra i famigliari di Camillo. Il padre, in particolare – s’immagina dalle risposte di Giovanni Battista – evocava i successi raccolti da Paganini per proporre a Camillo quel modello che egli aveva già preso per riferimento musicale molto tempo prima. Lo si è già detto: la tournée è un’impresa. Questa sua dimensione non era meno chiara a Paganini di quanto fosse chiara ai Sivori. In tournée si andava per acquistare buon nome, fama, per farsi apprezzare, per nutrire il proprio talento con le frequentazioni più opportune e più stimolanti. La gloria e la fama sono ricompense, è chiaro, così come lo sono gli onori di cui i sovrani sono munifici. E, tuttavia, in ultimo, la motivazione dei viaggi all’estero, delle massacranti trasferte, delle prove estenuanti non può che essere economica. Si fa tutto quello che si fa, a prezzo di sacrifici quasi estremi, per guadagnarsi, oltre alla fama, al buon nome e alla gloria, qualche volta formalizzata sulle pagine di un rescritto reale o suggellata dentro qualche lettera patente, un’agiatezza anche maggiore di quella di cui si gode. Per diventare, da agiati, ricchi e, da ricchi, molto ricchi. È la legge del mondo – di quel mondo che, intanto che si viaggia, non ci si stanca di guardare, osservare, studiare, tentare di capire, in tutte le sue pieghe, in tutta la varietà dei costumi e delle opere umane.

Il riferimento a Paganini viene dunque fuori, tra le righe ordinate di Giovanni Battista, molto più che nelle mezze pagine coperte dalla grafia accavallata di Camillo e viene fuori, quasi sempre, accennando alla fortuna che Paganini era stato capace di accumulare. La storia personale di Paganini, l’illustre predecessore, può essere utile; deve essere tenuta presente come un’indicazione preziosa. Scrive Giovanni Battista: Non si può dire che Paganini abbi fatto una fortuna rapida, perché anzi la sua fu fatta pochissimi anni prima della sua morte, ed in età già avanzata, e con tutto che fosse l’unico ed il primo, ha dovuto battere la campagna in Italia per molti anni (e forse anche per colpa sua) senza mettere insieme quella fortuna che ha in ultimo

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lasciata; e spero che Camillo senza essere Paganini, ed il secondo per cui si è levato l’eco della novità, prima che giunga all’età che quello ha fatto la sua grande fortuna, se l’avrà egli invece goduta già da molti anni57.

Può essere che il giudizio di Giovanni Battista suoni riduttivo, specie se confrontato ad altri giudizi circolanti in famiglia, che è dato cogliere in altre pagine dell’epistolario, ora di pugno dello stesso Giovanni Battista, ora dell’accompagnatore e segretario Ramella58, ora, per risalire fino ai tempi della prima tournée, del maestro Dellepiane59. D’altra parte, il giudizio di Giovanni Battista compare proprio in quel giro di tempo in cui Camillo, chiusa la stagione di rigida sudditanza alla formula di allievo di Paganini, sta cercando una propria personalità artistica autonoma e quasi contemporaneamente ai giudizi entusiastici dei cronisti francesi e inglesi: lo dichiarano l’attrazione verso un repertorio nuovo, a cui Camillo si va avvicinando, sia perché diventato assiduo delle matinées musicales che il Conservatorio di Parigi (da cui, tra l’altro, è stato decorato con una medaglia) organizza ogni quindici giorni, sia perché l’etichetta di violinista ‘italiano’ e ‘brillante’, se esclusiva di ogni altra, comincia a essergli stretta. I tempi sono mutati: se non c’è un altro Paganini e qualcuno, consapevole della propria condizione di ‘allievo’, si fa avanti per colmare il vuoto dell’assenza, il gusto delle platee per un istrionismo come il suo si va ormai modificando. All’istrionismo vanno sostituite – a poco a poco, secondo i tempi e i luoghi – la precisione esecutiva e una più ampia cultura musicale.

D’altra parte, Giovanni Battista ha imparato ormai come ci si debba rapportare alle platee. Lo ha imparato anche Camillo, attraverso la dura scuola delle tournée europee. Roma non fu costruita in un giorno: la fama è come un edificio, come una città, e la si mette insieme a poco a poco.

Quando poi c’è la fama, la strada dell’artista, anche in un nuovo ambiente, è in discesa. Basta affacciarsi dal palcoscenico per far scattare gli applausi. Ma non arrivano soltanto gli applausi, naturalmente. Arrivano anche i denari.

57 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, 3 giugno 1843.

58 Lettera di Giuseppe Ramella a Alessandro Sivori, da Pesth, 28 maggio 1841: «Camillo è un artista che in giornata è realmente superiore a tutti quanti battono la stessa carriera del violino». Cfr. anche la lettera dello stesso a Alessandro Sivori, da Vienna, 3 aprile 1841: «il talento di Camillo è come l’oro, superiore agli altri metalli, ed apprezzato dappertutto» (cit. in STEFANO TERMANINI, “Andare in tournée”: Camillo Sivori in Europa tra il 1827 e il 1841, cit., p. 95 e p. 100, n. 45).

59 Lettera di Agostino Dellepiane a Alessandro Sivori, da Parigi, 14 ottobre 1827: «Camillino […] fa di passi giganteschi nello studio del violino, e in tutte le società che ha suonato ha finito per incantarli» (ibid., p. 98, n. 16).

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Nel tentativo di spiegare al padre la sua esperienza di questa parte – almeno – di mondo, Giovanni Battista va a segno. «Si persuada – scrive – che generalmente è più prestigio che abilità e senza di questo non si fa nulla»60. Un artista può essere bravo quanto si vuole e persino eccellente, come, messo da parte ogni insensato e superficiale confronto con Paganini, Camillo è senza dubbio. Ciò non toglie che il prestigio vada costruito nel tempo. Alla bravura (o all’eccellenza, tanto meno difficile da riconoscere e tanto più difficile da far accettare) occorre fare una certa dose di abitudine. La bravura deve essere comunicata; il pubblico deve toccarla con mano, avere occasione di sperimentarla. Anche Paganini (con tutto che era Paganini, lo si dica relativamente alla sua genialità) avrebbe fallito nel riscuotere consensi di pubblico se fosse venuto a Londra o a Parigi prima di essere Paganini (lo si dica relativamente alla sua fama di artista geniale e virtuoso fuoriclasse). Giovanni Battista ne è certo e lo prova con un esempio dentro il quale il confronto è autoriferito. Paganini, ineguagliabile, si confronta soltanto a Paganini, al suo prima, al suo dopo, al suo essere un Paganini giovane o un Paganini maturo. Ma Paganini, a questo punto, modello e guida, sta diventando un ingombrante fantasma del cui aleggiare sia Giovanni Battista che Camillo vorrebbero finalmente liberarsi: «Se Paganini fosse venuto ne suoi primi anni a Londra o altrove – scrive schiettamente Giovanni Battista al padre Alessandro –, poteva essere più bravo che non era quando vi è venuto, ma non avrebbe fatto il decimo di quello che fece, con essere primo ed unico, e forse la sua abilità non sarebbe stata portata a sette cieli come hanno fatto»61.

A Londra i Sivori arrivano nella tarda mattinata del 10 maggio 184362. Il debutto londinese di Camillo avviene – entro una decina di giorni – ai Philarmonic Concerts, sotto la direzione di Louis Spohr. Con questi la conoscenza si sarebbe approfondita, al punto che, il 5 luglio, Sivori viene invitato, Lettera di Giovanni Battista Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, 3 giugno 1843.

Ivi. 62 Questa data si ricava dalla già citata lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, 13 maggio 1843 («arrivati da tre giorni felicemente»). Secondo il progetto originale, esposto da Giovanni Battista nella lettera inviata a Alessandro Sivori da Bruxelles il 6 maggio 1843, l’indomani, ovvero il 7 maggio, sarebbero dovuti partire «per Anversa colla strada di ferro e di là per Londra con bastimento a vapore». Ma così non accadde. Spiega Giovanni Battista nella lettera inviata a Alessandro Sivori, da Londra, il 13 maggio 1843 che «non abbimo il tempo di spicciarsi». Partirono, dunque, in treno da Bruxelles per Ostenda il 9 maggio, «di là si siamo fermati il rimanente della giornata ed abbiamo girato per il deserto paese sino alle 9 di sera in cui s’imbarcammo sul battello a vapore inglese per qui con tempo bellissimo facendo una traversata di 12 ore per mare e tre circa di canale senza nulla soffrire».

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con circa «90 dei più distinti artisti» a un pranzo in onore di Spohr63. Segue la tournée. Una tournée davvero frenetica64, in cui ciò che conta è l’immagine dell’artista brillante, dell’esecutore funambolico e – anche – del discepolo e degno successore di Paganini. Niente altro. Così, d’altra parte, anche i cronisti e i recensori musicali inglesi annunciavano e commentavano le performance di Sivori: «The possession of one of Paganini’s violins – scriveva, tracciando un profilo biografico e musicale di Sivori e accennando alla ‘leggenda’ del dono del violino da parte di Paganini, il cronista del «The Illustrated London News» il 3 giugno 1843 – has almost 63 Camillo stesso ne dà una compiuta relazione al padre, soffermandosi anche, con un proprio giudizio, sullo stile esecutivo di Spohr, nella lettera da Londra, inviata il 6 luglio 1843: «Ieri ebbe luogo il pranzo che abbiamo dato a Spohr, a Greneech [Greenwich] distante un’ora da Londra, in una bellissima campagna ove si respira un poco migliore aria che in Londra, non però mai come quella dell’Italia. Vi era una tavola veramente imponente fatta a scarpa di cavallo, ove saremo stati in numero di 90 dei più distinti artisti e compositori ed io ero piazzato in uno dei posti più distinti, vicino a Spohr. Tutti gli onori però erano per lui, poiché il pranzo fu dato espressamente a questo oggetto. In ogni evviva Spohr si dirigeva a me per toccare il bicchiere e bere alla mia salute. Finito il pranzo, lo fecero suonare ed avrebbero voluto ch’io facessi lo stesso, alla qual cosa io non volli aderire per non far dividere gli onori. Il suo genere di suonare è quello di un uomo di 60 anni; però si vede che doveva essere un gran suonatore, poiché ha ancora della facilità alla mano sinistra, ma a quest’ora però farebbe bene di rinunciare a suonare il violino e dedicarsi intieramente alla composizione, se le sue idee sono ancora tali, quali le dimostrò in tutto quello che ha composto che è veramente pieno di tutta quella scienza dei più distinti compositori che abbia inteso».

64 Giovanni Battista, scrivendo al padre da Newcastle, il 28 agosto 1843, dichiara di non aver «veduto propriamente se non che del gran fumo da stordire, passando, giacché non ci fermavamo che mezza giornata, o tutto al più una, tempo sufficiente da far colazione, cambiarsi, qualche volta provare, mettersi a pranzo, andare al concerto, e quindi a letto, quando però non ci toccava di metterci invece in vettura per andare in altre parti, ed ogni settimana Camillo ha avuto uno o due giorni in cui gli toccava dare un concerto alla mattina in un paese, ed alla sera uno, in un altro». I richiami alla velocità con cui viaggi e concerti si susseguono sono frequenti, specie in queste lettere inglesi. Da Leeds (11 ottobre 1843) Giovanni Battista scrive al padre: «Il nostro piccolo viaggio finì al sabato sera alle 10 di notte epoca in cui siamo arrivati a Londra, e la domenica mattina alle 9 abbiamo dovuto ripartire senza avere quasi il tempo di fare le valigie». Più avanti, nella stessa lettera scrive: «La corrispondenza forzosa che dobbiamo tenere con tutti quelli coi quali abbiamo interesse […] mi occupa molto e mi toglie quel poco tempo che avrei, fuori i continui viaggi». Da Leichfield (16 ottobre 1843) Giovanni Battista scrive, sempre al padre Alessandro: «è già l’ora avanzata, e domani mattina a buon ora dobbiamo partire per Shrewsbury ove abbiamo credo un lunghissimo viaggio da fare per arrivare forse in tempo solo a pranzare e quindi vestirsi ed andare al concerto». Tali descrizioni dànno sostanza al dato riportato da FLAVIO MENARDI NOGUERA (op. cit., p. 98): «Dalla metà del 1843, fino alla sua partenza per l’America […], Sivori sarebbe rimasto in Inghilterra […] impegnandosi in più di trecento concerti pubblici».

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as much contributed to render him an object of interest as the fact of his being his pupil […]. The first thing that strikes the eye is, that the young débutant is the complete reproduction of Paganini himself»65. Pareva quasi che Sivori volesse imitare Paganini: questa era una possibilità, per chi si doveva presentare davanti a un pubblico nuovo ed era normale che Sivori non si lasciasse sfuggire gli innegabili vantaggi di questa scelta. Restava, tuttavia, il bisogno – e, ad un certo punto, anche la naturale necessità – di farsi apprezzare per se stessi, per il proprio modo di suonare, per la propria autonoma personalità. Anche questo tratto non sfuggiva al cronista del «The Illustrated London News» che così commentava: «Of the style of Sivori as a violinist, and of his pretensions to be considered the first of his day, we must say as to the former, that it is unquestionably modelled upon that of his inspired master, but without any servile imitation […]. In fact, he is Paganini idem et alter»66.

Per i Sivori, Paganini è un modello anche ex contrario. Capita, dunque, di scrivere per dire che non si è fatto come Paganini o, addirittura, che ci si è guardati dal fare come Paganini. Nella seconda metà dell’aprile 1843 Giovanni Battista e Camillo Sivori sono prossimi a lasciare Parigi per Bruxelles. Progettano di fermarvisi soltanto pochi giorni, tanto che Giovanni Battista raccomanda al padre di non scriver loro, indirizzando a Bruxelles, se non una volta soltanto. Dopo, infatti, andranno a Londra. A Parigi, però, pensano di tornare. Appare, dunque, della più grande importanza lasciare dietro di sé un buon ricordo. Scrive Giovanni Battista al padre: Abbiamo regalato al primo violino che accompagnò i concerti di Camillo una spilla con piccoli brillanti del valore di 100 franchi, non che altri piccoli regali sia in danari che in bijou ad altri artisti o persone che lavorarono per i suoi concerti, perché non succeda che dicano ciò che hanno detto di Paganini, ed abbiamo lasciato tutti perfettamente contenti e solo a piangere la nostra partenza67.

LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 203.

La recensione, assai puntuale e del tutto favorevole a Sivori, sia nel riconoscimento della sua ‘matrice’ paganiniana e della sua capacità di interpretarla in sommo grado, sia della sua personalità autonoma («We heard Paganini in the height of his glory, we hear Sivori in the very outset of his fame, and yet we have difficulty to decide which, “at times ripe for competition”, shall be estimated as the greater genius»), si può leggere in LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 203.

67 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, 17 aprile 1843.

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5. Tra Paganini e i classici: un cambiamento di repertorio?

Uno dei culmini del successo giovanile di Camillo Sivori sono i concerti tenuti a Mosca e Pietroburgo nella primavera del 1842. Sono, anche, i primi successi pubblici, clamorosi, senza macchia, che Sivori può finalmente godere. Il tono delle lettere alla famiglia non conosce un solo cedimento: Sivori sa che reclinarsi sugli allori non è né vantaggioso né possibile. Finora, ogni volta ha ricominciato da capo. Forse, sulla via del ritorno dal viaggio in Russia, per la prima volta sperimenta che cosa possa voler dire aver ben seminato.

Nel luglio del 1842, di nuovo in Germania, Sivori riceveva un consenso certo, che si levava in maniera pressoché unanime dai fogli periodici e quotidiani. «Un fenomeno davvero prodigioso», scriveva il «Frankfort Journal» (28 luglio 1842)68; «Sivori, il meritevole successore di Paganini, merita di essere posto nei primi ranghi del violino», si leggeva sul periodico «Didaskalia», di Francoforte, il 24 agosto 184269. «The Cursaal» scriveva che, a differenza dei tanti violinisti che avevano preteso il ruolo di discepoli di Paganini, Sivori era sfuggito alla tentazione di imitare il maestro in maniera superficiale. Più di Paganini, Sivori possedeva «la vera natura poetica dell’artista». La sua capacità, riconosciuta dal cronista, era quella di produrre entusiasmo sia «in un posto dove la musica sia stata portata alla perfezione, sia in un altro, ove sia ancora alla sua infanzia»70.

Il cronista della «Gazzetta di Genova», dopo averlo ascoltato al Teatro Carlo Felice, al suo ritorno dalla tournée in Germania e Russia, apprezzava i passi avanti della sua arte («progressi, a cui uno studio incessante, l’emulazione, lo stimolo dell’onore han fatto salire il suo mirabile talento»; Genova, 23 novembre 1842)71. Il cambiamento riguardava soprattutto una più equilibrata maniera di alternare le difficoltà tecniche e la cantabilità. Il Sivori prima maniera aveva cercato soprattutto di stupire il suo pubblico; ora la sua arte era mutata, passando attraverso una «felice modificazione». Sivori «aveva sempre mostrato una troppo evidente e viziosa tendenza a sorprendere collo sfoggio d’immani difficoltà: ora egli, fattosi accorto che senza espressione la musica può quasi dirsi un vano suono, a quel linguaggio divino s’ispirò e seppe meritar il titolo di ottimo artista» («Gazzetta Musicale di Milano», 4 dicembre 1842)72.

LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 193.

Ibid., p. 194.

70 Ivi. 71 Ivi. 72 Ibid., p. 195.

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Così si concludeva l’anno. Dai successi moscoviti e pietroburghesi, coronati da riconoscimenti pubblici, da frequenti menzioni sulla stampa, da inviti, anche da parte di potenti, doni, lauti guadagni (finalmente!), ai rilievi della stampa italiana, venivano riconosciuti a Sivori, lungo il corso del 1842, un grandioso progresso artistico e il raggiungimento della maturità.

A questo si aggiungevano la presentazione delle sue musiche e una crescita, piuttosto evidente, nella capacità di far parlare di sé e della propria arte.

Sivori stava diventando un divo, anche lui, eppure, ciò che colpiva il cronista del «Cursaal», era proprio la modestia, la semplicità con cui si era fatto avanti, prima di essere riconosciuto come «una delle più meravigliose apparizioni nel mondo musicale»73.

Sivori stava per diventare – o lo era già – l’artista alla moda. Ma la crescita del suo ruolo, in questo senso, era avvenuta principalmente presentando se stesso come ‘allievo di Paganini’, successore di Paganini, ‘spingendo’ sul passaggio del testimone – ora lo si poteva fare, ora che Paganini non era più – tangibilmente simboleggiato nel passaggio dello strumento (un fatto che non manca di essere registrato anche dai cronisti parigini, al principio della stagione, floridissima per Sivori, della primavera 1843).

Sivori si presentava come successore ed erede di Paganini anche attraverso la musica dei suoi repertori. Tra i brani in programma – in parte lo abbiamo già visto – troviamo, frequentissimamente74, il Carnevale di Venezia (O mamma mamma ca) M.S. 59, un pezzo che gli permetteva di mostrare la sua capacità virtuosistico-evocativa75.

Anche le lettere alla famiglia contengono affermazioni in questo senso.

Ma c’era vera progettualità, oppure Sivori si limitava ad andare dietro alle richieste del suo pubblico, assecondandolo? C’è da credere che si trattasse di una via intermedia, ma da una lettera londinese priva di data, benché riferibile con tutta probabilità all’estate 1843, pare di capire che Sivori, qualche volta, fosse quasi annoiato dalla ripetizione dei programmi cui i gusti del pubblico lo obbligavano. Così scriveva al padre, con l’humour consueto: «a mezzo giorno devo far la ripetizione dei pezzi che devo suonare, cioè la

Ibid., p. 194.

La ripetizione di questo pezzo di musica virtuosistico-evocativa colpiva anche lo stesso Sivori che, accennando la cronaca del concerto del 25 settembre «in uno dei primi teatri di Londra», ne scriveva al padre: «finendo al solito con farmi ripetere il Carnevale di Venezia ad universale richiesta, dopo forse una ventina di volte che l’hanno inteso». Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, 26 (?) settembre 1843.

75 FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., pp. 99-100: «Il suo violino “descriveva” la sfilata delle maschere, simbolo di varia umanità e soprattutto d’italianità, in modo tale che il pubblico si trovava di fronte ad una “narrazione” sonora».

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Clochette, ed il Carnevale, per cambiare un poco, già che lo vogliono»76.

Bisognava variare il repertorio. Già al principio di quello stesso anno, da Parigi, Sivori aveva scritto ai parenti riguardo a una musica di Paganini che forse voleva gli cercassero77. Ma scriveva anche, per esempio: Sono ansioso di sentire se hanno potuto ottenere nulla in riguardo alle Variazioni delle Streghe di Paganini, e nel caso subito rimettetemele assieme a quelle che ho composto con Mireschi [Mirecki] che imprestai alla sorella di Küster, dalla quale per mezzo di suo fratello Vittorio, Beppino se le potrebbe far consegnare, avendogliene io parlato prima della mia partenza, onde non perderle prima ch’io ritorni, oltreché mi potrebbero venire a taglio per suonare in qualche conversazione78.

Il tentativo di procurarsi ‘nuovi’ pezzi di musica di Paganini andava avanti da anni: Camillo era da sempre alla ricerca di partiture che, meglio se ignote ad altri, gli permettessero di estendere il suo repertorio paganiniano e ‘brillante’. Già Nicolò Sivori, durante la tournée del 1827-28, chiedeva al fratello Alessandro di farsi tramite della richiesta sua e di Camillo di altre pagine di musica a Paganini79. Per il 1843, quando ormai il custode dei manoscritti paterni è Achille – custode piuttosto severo a quanto pare di capire –, l’epistolario registra il tentativo di procurarseli presso di lui.

Scrive Giovanni Battista Sivori: Il matrimonio del figlio di Paganini ha fatto sensazione a quanti lo hanno saputo per mezzo nostro, che lo conoscevano; tale cosa potrebbe esser buona per Camillo in riguardo alla musica per il nostro ritorno, in cui forse nella circostanza attuale non si occuperà più d’altro, e con facilità chi sa che non possa ottenerla, se non tutta, almeno in parte80.

76 Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, s.d. ma prob. 26 settembre 1843.

77 Il contesto della richiesta, purtroppo, non è del tutto chiaro. Non si capisce, per esempio, se le musiche di cui Sivori fa richiesta fossero già in suo possesso e, quindi, dovessero essergli procurate cercandole nel suo archivio, oppure se dovessero essergli procurate attraverso la catena delle conoscenze, presso amici e parenti di Paganini. Sappiamo, per esempio, da altre testimonianze, che Achille Paganini era in contatto con i Sivori (Camillo ne scrive: «Dirà ad Achille, quando lo vede, che Vieuxtemps, per quanto dicono, è il migliore violinista del Belgio, e qui dicono migliore d’ogni altro, di stile però sempre francese, non tanto apprezzato in generale», lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, 4 marzo 1843).

78 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma prob. prima metà di gennaio 1843.

79 Cfr. STEFANO TERMANINI, “Andare in tournée”: Camillo Sivori in Europa tra il 1827 e il 1841, cit., pp. 83-84.

80 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Dublino, 10 agosto 1843.

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A fine settembre 1843, in una lunga e ricchissima lettera, come quasi sempre a due mani, Giovanni Battista e Camillo fanno cenno ad alcune partiture di Paganini, che dovrebbero ricevere a Londra «per mezzo di Riva». Camillo è prossimo a partire per un viaggio che definisce «breve», ma che, stando a quanto dichiara Giovanni Battista poco sopra, dovrebbe pure avere la durata di circa un mese, e spera che la musica gli arrivi prima della partenza. È ovvio che intende servirsene, durante quello stesso viaggio, che farà, tra l’altro, con «i nostri impresarj», per variare e accrescere il programma dei propri concerti. Ma, quando le sospirate musiche lo raggiungono, Camillo si dichiara insoddisfatto. Non sono, infatti, le musiche che avrebbe voluto. Sulle musiche in sé Sivori non si esprime. Non c’è nulla da dire circa la loro qualità compositiva o estetica. Pensa, però, ai gusti del pubblico e, rapportandosi a questi, che ormai gli sono ben noti, teme che i pezzi che ha ricevuto non piaceranno: La musica di Paganini che hanno ricevuto, per mezzo di Riva, non credo che sarà tanto buona per il pubblico, come già me l’aspettavo, quando intesi che Paganini non l’ebbe mai suonata. L’Inno Patriotico ed il tema variato sono difficilissimi e non del genere desiderato in giornata da tutti, cioè difficoltà mista col canto e col gaio. Quella della Carmagnuola, che non ha finale, e che sarò obbligato a farglielo, sarà forse la più d’effetto, ma anch’esso non ha né adagio né canto alcuno nell’introduzione; tutto ciò però gli dico alla sfugata, perché non ho avuto nemmeno il tempo di provarne un solo. In seguito vedrò meglio e gliene saprò dire qualche cosa di più preciso81.

A Parigi, mentre Giovanni Battista risponde al padre, ansioso, forse, di fare confronti tra il successo tributato a Camillo e quello guadagnato da Paganini lungo il suo percorso europeo, Camillo sta già percorrendo una strada autonoma e, con lieta e curiosa disposizione d’animo, trova il tempo per studiare partiture estranee alla tradizione di cui è figlio e su cui si è formato. D’altra parte, far posto, dentro il proprio repertorio, a brani di musica ‘classica’ o ‘seria’ è un’esigenza che gli viene dai confronti con altri artisti attivi a Parigi.

L’ambiente musicale parigino è altamente competitivo. Tra il gennaio e il febbraio 1843 Sivori viene sfidato da Heinrich Panofka, «tenuto celebre più per la composizione che per il suonare del violino, abbenché egli molto ci pretenda» e da Haumann. Giovanni Battista racconta puntualmente dei due attacchi, il primo dei quali, portato sul terreno della tecnica violinistica, ha per cornice la casa stessa del compositore: 81 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Londra, 26 (?) settembre 1843.

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una mattina andando in casa sua, conoscevamo ch’egli aveva piacere di sentire questo Sivori che sentiva decantare senza averlo mai udito, ed egli infatti facendo vista di mostrare a Camillo il suo violino lo pregò a fare qualche accordo a cui Camillo aderì con piacere, e gliene fece tanti a capriccio che lo fece restare con tanto di barba; allora prende un pezzo di musica nuovo da lui recentemente fatto, ed ha l’impudenza di presentarlo a Camillo perché lo suonasse un poco, s’intende a prima vista, Camillo spiritosamente prese il violino, e pregò il compositore ad accompagnarlo col piano, e glielo suonò così bene filato, con tutto il suo impegno, che quello tremava tanto (credo dalla bile che lo rodeva) che non era più in caso quasi di seguitare ad accompagnarlo; ed infine disse a Camillo: Vraiment vous l’avez jouée comm’il faut, e d’allora in poi, che era curioso di vedere il violino di Camillo, non si lasciò più vedere82.

L’altro attacco di cui riferisce Giovanni Battista, poco dopo, nella stessa lettera, è, invece, diretto allo stile dell’esecuzione sivoriana. Non privato, come il precedente, bensì pubblico. Sivori ha suonato il Carnevale di Venezia M.S. 59 e la platea lo ha acclamato; ha, anzi, «fatto furore». Haumann ha cercato, allora, di affrontarlo sul suo stesso terreno delle «variazioni brillanti» e dello stile «italiano»: Altro Haumann celebre anche lui e decorato più volte, ha voluto suonare esso pure in una conversazione dove è andato, e dopo il furore fatto da Camillo con detto pezzo alla sua accademia, il Carnovale di Venezia, dicendo «sentiranno come si suona tal pezzo senza tante ciarlatanerie» e abbenché abbi suonato bene, si è fatto burlare da tutti, non essendo più né il Carnovale di Venezia, né quelle Variazioni brillanti, né quel canto, né quel gusto italiano che loro piace e che non sanno imitare83.

L’attacco di «Haumann», da identificarsi con il violinista Theodor Haumann (1808-1878)84, molto più dell’altro attacco, di cui abbiamo riferito, ci dà indizi, anche del tutto espliciti: le ‘gare di bravura’ a cui Sivori si sottopone, invitato dal pubblico, dalle circostanze o da sfidanti più o meno celebri e sicuri della propria arte, sono, in realtà, confronti tra scuole violinistiche85. Camillo Sivori lo sa bene; sa che, da scuola a scuola, cambiano 82 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d. ma prob. inizio febbraio 1843.

83 Ivi. 84 Cfr. PHILIPPE BORER, The Twenty-Four Caprices of Niccolò Paganini, their significance for the history of violin playing and the music of Romantic era, Zurich, Michel Scherrer, 1997, pp. 59-60.

Cfr. anche LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 113.

85 Quella del confronto o della ‘gara’ era un’abitudine in voga presso le platee dell’Ottocento.

Il 3 settembre 1840, a casa del milanese Paolo Branca, Sivori si era confrontato con Antonio Bazzini, ma rimase celebre, tra i molti, il confronto con il violinista francese Jean-Delphin Alard, avvenuto a Parigi nel 1862 (cfr. FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., pp. 82-83 e 149).

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non soltanto il modo di impugnare il violino, la tecnica ed – eventualmente – il grado di istrionismo. Sa che da lui, in quanto rappresentante della scuola italiana e allievo di Paganini, il pubblico attende pezzi brillanti, descrittivi, dentro i quali possano trovarsi – qualche volta – vere e proprie stranezze, come l’imitazione del canto di un uccello tropicale, il «sinsonte»86. Il periodo americano (1846-50), più libero da vincoli di scuola e sottratto a obblighi di confronto, è quello in cui Sivori prende spunto, con incondizionata creatività, ora da un motivo popolare, ora dai canti (o dai versi) degli animali, ora dai rumori della natura. A Parigi spingersi tanto in là non è possibile. Sivori sa che cosa il suo pubblico si attende da lui, ma, insieme alla sua approvazione, desidera avere anche quella della ‘critica’ musicale. Ai propri programmi aggiunge, dal quel momento in avanti, brani di musica ‘seria’ e ‘classica’ – già ben conosciuti ed eseguiti in privato o davanti a più ristrette platee di amatori87. Ecco come si ritrova questo (parziale) cambiamento di indirizzo nella relazione di Giovanni Battista: Camillo […] ha voluto suonare un pezzo di musica seria nel suo concerto, come farà in avvenire, quale sarebbe giustamente il Trio di Mayseder e la suonata di

C’era, da parte del pubblico, anche quando il confronto non era ‘gara’, la disposizione mentale a interpretarlo come tale. Così anche da parte dei critici musicali, come dimostra, per citare almeno un esempio, la cronaca pubblicata su «The Musical Examiner» il 15 giugno 1844: «on Monday we had the advantage of hearing two first-rate English violinists (Blagrove and Willy), one first-rate Italian and one first-rate Frenchman (Sivori and Sainton)» (cfr. LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 217).

86 Il Carnevale di Cuba, variazioni burlesche in La, per violino e pianoforte o orchestra, composto da Sivori nel 1848 ed eseguito per la prima volta a Genova il 25 novembre 1850, era una composizione «in stile imitativo, famosa perché nel finale conteneva l’imitazione del canto d’un uccello tropicale, il “Sinsonte” appunto» (cfr. FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., p. 229). Il Carnevale di Cuba, catalogato da Menardi Noguera tra le opere inedite e perdute, manca tuttora, anche dopo il ritrovamento dell’Archivio Sivori, della parte di violino principale (cfr. FLAVIO MENARDI NOGUERA - STEFANO TERMANINI, Il ritrovamento dell’archivio di Camillo Sivori, QISP, 8, Genova, 1996, p. 15; LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 166).

87 Soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, sono frequenti e puntualmente registrate dalle cronache musicali le esecuzioni di Sivori di musica di Beethoven, Haydn e Mozart.

Sivori portò a Genova la musica, raffinata e difficile, dei Quartetti di Beethoven (la prima esecuzione documentata, dovuta a Sivori, avvenne il 17 marzo 1851). Inoltre, l’ultima opera composta da Sivori, dedicata all’amico degli ultimi anni, l’abate Szrejter, è una trascrizione da Beethoven, l’O Salutaris (1893), «quasi a suggellare una familiarità artistica protratta per oltre mezzo secolo» (FLAVIO MENARDI NOGUERA, op. cit., p. 211). Menardi Noguera ha trattato approfonditamente il tema (ibid., pp. 120-121, 126, 148 e, in particolare, i paragrafi «L’interprete dei classici», pp. 208-211, e «Nel segno di Beethoven», pp. 165-176).

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Beethoven, che suonerà in altro concerto per turare così la bocca a tutti i maligni e onde non dicano nulla a suo riguardo88.

Non potendo colpirlo sul terreno dell’abilità, né su quello dell’intonazione e della tecnica, i suoi nemici lo accusano di ‘ciarlataneria paganiniana’: Sivori è un istrione del violino, come lo era stato il suo maestro Paganini. Gli artisti ‘seri’ si cimentano con altro. Così, per esempio, già nel novembre 1841, il cronista dell’«Allgemeine Musikalische Zeitung» aveva scritto che nel «modo di suonare» di Sivori era stata «prevalente una grande quantità di artifici virtuosistici che alla fine, anche con un’esecuzione delle più brillanti, arriva a stancare, e ha un effetto tanto meno gradevole dal momento che si ha davanti a sé un artista che è in grado di dare cose migliori, anzi di dare il meglio, e che perciò dovrebbe anche darlo»89. I critici musicali che scrivono tra la fine del 1842 e i primi mesi del 1843 notano già il cambiamento in atto: in precedenza, scrive il cronista della «Gazzetta Musicale di Milano», il 4 dicembre 1842, Sivori «aveva sempre mostrato una troppo evidente e viziosa tendenza a sorprendere collo sfoggio d’immani difficoltà»90, ora, come nota il «Moniteur universel» il 13 febbraio 1843, Sivori mostra non più «un’eccentricità brillante e curiosa, ma la più felice e straordinaria unione delle qualità essenziali sia di un grande musicista sia di un violinista della scuola classica»91. Le recensioni negative sono rare eccezioni, così rare da far sospettare una specifica malevolenza92. In quelle positive, numerosissime, Sivori viene celebrato come «the star of the season»93, 88 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Parigi, s.d., ma prob. inizio febbraio 1843.

89 LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 193.

90 Ibid., p.195.

91 Ibid., p. 196. Il programma stesso offerto da Sivori nell’occasione del suo concerto prevedeva una presentazione su diversi livelli: nella prima parte aveva suonato «with majesty», nella seconda, dopo essersi elevato «to the beau idéal of the melodic expression», con la «Preghiera del Mosè» (Sonata a Preghiera M.S. 23), Sivori si era lasciato andare a «tutti i giocosi capricci della sua fantasia» («gives way to all the sportive caprices of his fancy»). La presentazione ‘su diversi livelli’ di virtuosismo e, anche, sul livello virtuosistico e su quello classico, diverrà abbastanza frequente per Sivori.

92 La corrispondenza pubblicata su «The Musical Examiner» di Londra, il 25 febbraio 1843, recitava, in riferimento al concerto dato da Sivori il 20 febbraio 1843: «The entire exhibition was so absurd as to make even Henry Blanchard cry out in dudgeon. This Sivori is a kind of monkey-Paganini. His style has all the ridiculous bombast, with but little of the impassioned expression of that great performer, and consequently presents but slight attraction to the musician» (cit. in LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 197. Il testo, qui e nelle citazioni che seguono, è in inglese poiché proviene dalla traduzione fattane da E. James per la sua biografia di Camillo Sivori).

93 Cfr. «La France Musicale», Parigi, 19 febbraio 1843. Ibidem, pp. 196-197.

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«one of the most amazing and original characters of the age»94. Sivori alterna programmi in cui compaiono pezzi di musica classica e performance altamente spettacolari. Secondo il recensore de «La France Musicale»95, nel concerto del 3 marzo alla Salle Herz, Sivori aveva saputo accostare a una prima parte ricca di fantasia, sentimento e vivacità, in cui aveva affrontato «fresh effects of the most amazing difficulty», una seconda parte in cui, eseguendo per la prima volta la Sonata in La (Kreutzer) di Beethoven, aveva dimostrato di aver inteso perfettamente la musica della scuola classica e di saperla eseguire alla perfezione96. Il doppio volto di Sivori, le due facies dei suoi programmi, non sfuggono all’attenzione dei critici parigini, anche di quelli che attribuiscono al Carnevale di Venezia M.S. 59 l’etichetta di «charming pièce of buffonery», ma che sanno riconoscere la capacità di Sivori di passare da un registro musicale all’altro, trovandosi a suo perfetto agio in entrambi: da Beethoven a Paganini97.

Intorno al 1843, insomma, è chiaro che Sivori sta pensando, più concretamente che in passato, se non sia il caso di accrescere e variare il proprio repertorio, sia attingendo a brani meno noti di Paganini – lo si è visto –, sia componendo brani propri, in uno stile diverso da quello, sia studiando altra musica «seria»98. Il suo pubblico, in realtà, non glielo richiede.

«Il programma è sempre lo stesso – scrive Camillo Sivori al padre – tutti i giorni, mattino e sera, ed io non son divenuto che una machina, la quale eseguisce, e replica quasi tutte le volte alla domanda generale il Campanello, le variazioni Nel cor più non mi sento di Paganini, ed il Carnevale di Venezia»99.

La tournée inglese, dove tutto è programmato, dai viaggi alla prenotazione delle sale, e niente dipende da Camillo e da Giovanni Battista, lo affligge Cfr. «La France Musicale», Parigi, 26 febbraio 1843. Ibidem, pp. 197.

Cfr. «La France Musicale», Parigi, 1843. Ivi. 96 Ivi. «In Beethoven’s sonate in A, Sivori proved that he understood the music of the classical school, and that he could play it in perfection: this must have given great delight to those ultra-severe artists and amateurs whom Sivori’s and even Paganini’s music does not completely satisfy. The execution of that master-piece was irreproachable from one end to the other». Per la datazione del concerto tenuto da Sivori, cfr. LUIGI INZAGHI, op. cit., p. 63, n. 144.

97 Cfr. «Journal des Debats», Parigi, 1843. Ibidem, p. 198. «To be fair, I need only add that Sivori made a point to prove in his three concerts that he was familiar with the most splendid of the productions of the great masters, and he played the classical sonata, the duett and trio of Beethoven, and the capricious evolutions of Paganini with equal success».

98 Così si esprimeva Giovanni Battista nella lettera inviata al padre Alessandro, da Parigi, s.d., ma prob. inizio febbraio 1843.

99 Lettera di Giovanni Battista e Camillo Sivori a Alessandro Sivori, da Newcastle, 28 agosto 1843.

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non poco nel suo animo d’artista. Oltre alla ripetizione inesausta degli stessi brani, che lo fa sentire simile a una macchina, con lui ci sono non di rado musicisti inadeguati o addirittura, dilettanti. Le città gli scorrono davanti con tale velocità che non le visita e nemmeno le vede; di tutta l’Inghilterra non gli resta nella memoria altro che «l’immenso spazio di terreno e bellissime e grandiosissime sale, nelle quali – così scrive – mi fanno dare i miei concerti, qualche volta accompagnati da una cattivissima orchestra e la maggior parte col semplice piano, di cui sono più contento per non dovermi impazzare con persone poco conoscenti di musica e colle quali non posso spiegarmi che col solo mezzo della pantomima»100.

Rispetto a quanto si è fatto a Parigi, e poi in Belgio, la tournée inglese, almeno sulle prime, è, dal punto di vista artistico, quasi un passo indietro.

Eppure, il successo presente «fa sperare che un altr’anno vi faremo dei molto migliori affari»101. Anche quando non pare, il proposito è sempre quello di far tesoro dell’esperienza.

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INDICE Saluto delle autorità VENERDÌ 3 DICEMBRE 2004 Alma Brughera Capaldo Apertura del convegno Maria Rosa Moretti Introduzione. Intorno a Paganini Maria Rosa Moretti Intorno a Paganini. Nuove acquisizioni sulla biografia e su alcuni cimeli paganiniani Carmela Bongiovanni Osservazioni sulla musica a Genova nell’età di Paganini Giuseppe Isoleri Politica ed economia a Genova nell’età paganiniana Stefano Fera Storia e progetto della nuova casa Paganini Alessandro Dal Lago Virtuosi di ieri e famosi di oggi Roberto Grisley Scrivere come parlare: la comunicazione epistolare di Paganini Marco Battaglia Mosaico ottocentesco.

Mazzini e Paganini tra musica, filosofia, lettere, memorie e due storiche chitarre Ingolf Turban Paganini comunicatore e ispiratore delle nuove generazioni di violinisti SABATO 4 DICEMBRE 2005 Mauro Balma La tradizione popolare fonte di ispirazione per Paganini Tatiana Berford Alessandro Rolla e Niccolò Paganini: il maestro e l’allievo Philippe Borer Cromatismo ed espressione delle passioni in Paganini Claudio Pavolini Fonti d’ispirazione del violinismo paganiniano

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p. 5

p. 15 p. 19 p. 23 p. 101 p. 161 p. 179 p. 187 p. 191

p. 205 p. 221

p. 227 p. 255 p. 265 p. 299

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Alberto Giordano Paganini e il Cannone Anna Maria Salone La vicenda Paganini – Cavanna Fausto Amalberti Paganini e la «Société pour l’exploitation du casino et des concerts» di Parigi Paola Brocero I documenti paganiniani del fondo Anzoletti della Biblioteca Comunale di Trento DOMENICA 5 DICEMBRE 2004 Antonio Delfino Paganini e la musica per organo Bozhanka Mocinova Compositori bulgari ispirati a Paganini Stefano Termanini Ispirazioni ed echi paganiniani: Camillo Sivori davanti alle sue platee Anna Sorrento Riflessioni e prospettive

p. 359 p. 371 p. 425 p. 449

p. 501 p. 517 p. 527 p. 559

APPENDICE Maria Rosa Moretti - Anna Sorrento Note di aggiornamento al Catalogo tematico

p. 565

Curricula dei convegnisti

p. 591

INDICI E APPARATI Nota metodologica Siglario Indice degli esempi musicali Indice delle figure Indice dei nomi

p. 598 p. 599 p. 601 p. 603 p. 609

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Finito di stampare nel febbraio 2007 da Tipolitografia Me.Ca di Recco (Ge) per conto di Serel International s.r.l.

Printed in Italy

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