PIANODELLEARTI




Viaggio nella storia e nelle tradizioni iblee"



Anno scoLAsTIco 2022/2023
A cuRA DELLE cLAssI quARTA A/B
Oggi conosciamo la bisnonna di una nostra amica: il suo nome è Lucia, ma nell’antichità i nomi venivano modificati al diminutivo, Pinuccia, Nela…
Lei ha 18 anni, e il suo volto racconta tutte le informazioni necessarie sulla vita di un secolo fa, poiché nessuno di noi era venuto al mondo, e proprio per questo, le foto si scattavano serie
perché un tempo il sorriso era simbolo di debolezza.
Lei era appena maggiorenne, quindi molto rilassata e tranquilla. Un tempo non ci si poteva truccare, e le donne avevano solo doveri, pochissimi diritti.
La maggior parte di loro non andava a scuola, ci andava fino a dieci anni, e solo i nobili potevano permettersi fino alle superiori, infatti c’era molta povertà e ignoranza. Tutti sapevano cucire, e le donne avevano un solo vestito, che non appena si sporcava lo si andava a lavare al fiume Irminio.
A quei tempi le donne erano povere e inferiori, ma fondamentali per la famiglia, dovevano dare del “vui” e del “ lei ” al padre e lo stesso facevano i figli.
A quei tempi tutti erano rispettosi in famiglia.
L’abbigliamento era relativo al tipo di situazione: se la donna era in lutto, si vestiva di nero, e per la
vita quotidiana non poteva indossare abiti colorati perché altrimenti veniva presa, per donna poco seria.
Non possiamo sapere com’è il suo carattere ma
deduciamo dalla foto che è simpatica, ma per nulla
ribelle perché non poteva esserlo.
La mia trisavola, indossa una bella giacchetta con un po’ di voilant sul corpetto e una lunga gonna che arriva ai piedi; ella mostra circa trentacinque anni, forse un po’ di più. La sua capigliatura è maestosa, setosa, castana ed è un po’ cotonata, a forma di rullo. Sua figlia è vestita uguale a lei, solo che la gonna è un po’ più chiara. La sua pettinatura è lunga e liscia, raccolta in un tondo tuppo nero. Le due donne non portano bracciali, collane, ma degli orecchini. Le signore indossano un ampio colletto in pizzo, e sono in una posa rigida, nella foto, sono in piedi, lo sfondo, un po’ di militare, essendo una pietra che dà inizio a una capiente caverna. Sarà che siamo nel 1910.
Questa foto rappresenta una famiglia di circa un secolo fa. Erano famiglie molto numerose composte il più delle volte da quattro o più figli. La nostra compagna Iole ha condiviso con noi, nei giorni scorsi, la notizia che un amico di suo nonno ha avuto diciannove figli. A quei tempi le figlie femmine rappresentavano un problema perché le famiglie
avevano difficoltà economiche e le femmine non potevano aiutare la famiglia perché non lavoravano nei campi ma si limitavano a lavorare in casa. I figli maschi, sia piccoli che grandi, potevano comandare sulle sorelle come ci ha raccontato Andrea.
Le donne del 1900 erano molto stanche e soffocate perché erano sottomesse dal padre o dal marito e si dava del voi, non potevano decidere né ribellarsi. Ai tempi le donne, quando i vestiti erano sporchi si cambiava il lato rovescio, infatti molte di esse erano povere.
In questa foto le donne hanno un corpetto bianco con un colletto che arrivava fino al collo e all'interno del corpetto avevano il corsetto che rendeva la loro vita piccola, e una lunghissima gonna per non mostrare le gambe. Nel tempo le donne si sono fatte valere, raggiungendo la parità di genere.
Nella fotografia, datata 1929-1930, vediamo la mia prozia (la sorella della mia bisnonna paterna), insieme a due sue amiche.
L’aspetto è meno cupo e lo sfondo non è più tetro, possiamo notare una libertà maggiore nel vestirsi: abiti con bottoni e delle gonne non troppo lunghe in compenso mettevano delle lunghe calze doppie e inoltre nel vestito avevano un voilant.
Le bambine sono sedute su una panchina, penso di legno e il pavimento sembrerebbe di marmo.
Il fotografo concede la seduta alle ragazzine con le gambe accavallate. La mia prozia è castana e un po’ ondulata, però nasconde la sua chioma in uno chignon; ella indossa una veste molto originale che termina esattamente al ginocchio e, poiché le femmine all’epoca non potevano mostrare la pelle nuda, indossa dei collant neri e delle scarpe a ballerina.
Le due amiche saranno possibilmente bionde, vestite quasi uguale, con pizzi e bottoni e sandali a “occhio di bue”.
Le compagne sono in posizione libera con gambe incrociate, cosa raramente adottata nel secolo scorso.
Le famiglie di oggi sono formate da massimo due, tre bambini, ma un secolo fa non era così. Le famiglie di un secolo fa erano numerose e ricche di bambini: cinque, sei, sette, otto e anche nove alcune volte.
Nelle famiglie di un secolo fa il maschio aveva tutti i diritti e tutte le libertà. Invece, la donna doveva servire e obbedire all’uomo. Possiamo dire che era meglio nascere maschio invece che donna.
Le donne preparavano il cibo, lavavano, pulivano e svolgevano anche la funzione di baby sitter, perché si occupavano di tutti i bambini della famiglia. La donna era il pilastro della casa, senza di essa la casa sarebbe crollata. La mamma a volte affidava i figli ai nonni o ai parenti che potevano anche allattare e accudire i piccoli. Se non li potevano crescere li mandavano all’orfanotrofio. In orfanotrofio erano severi e se facevi monellerie, ti punivano con castighi come le bacchettate, sculacciate e lavori faticosi ecc… A scuola, chi era mancino doveva diventare destrorso, perché credevano che la mano sinistra era la mano del diavolo.
Quando tornavano a casa (che era solo una stanza dove si cucinava, si dormiva e si facevano tutte le faccende) dovevano ubbidire. Quando i bambini si addormentavano, le madri o le nonne, finalmente potevano accarezzarli, perché mostrare l’affetto ai propri figli era simbolo di debolezza. Dicevano infatti le nonne di un tempo che “i figghi s’allisciunu sulu quannu si rormi”; oggi non è più così, perché le mamme manifestano sempre il loro affetto con baci e abbracci.
Le donne erano molto severe, bastava il solo sguardo per far gelare il sangue nelle vene dei bambini che chiedevano troppo.
L'uomo, inoltre, era molto severo e non doveva essere frainteso e tutti dovevano sottostare ai suoi ordini. Spesso c'erano
ingiustizie e differenze, ad alcuni bambini davano pane e
nutella, ad altri invece davano pane e pomodoro e ai maschi
primogeniti riservavano un trattamento speciale. Il pane caldo e le focacce appena sfornate ad esempio, spettavano al maschio di casa, specie se aveva un importante ruolo sociale come essere un maestro o un prete.
In questa foto l’abbigliamento della donna è molto elegante, la signora indossa dei bracciali, probabilmente era invitata ad una cerimonia, forse ad un matrimonio.
La donna arriverà ad indossare anche la minigonna, ma solo nel 1963, quando una stilista inglese cambiò la moda
femminile. La Costituzione italiana garantisce la parità dell’uomo e della donna (art. 3)
Sappiamo tutti che il lavoro è molto importante. Lo è sempre stato e lo sarà sempre. Ci sono, al giorno d’oggi, dei lavori che, un tempo, non sarebbero mai stati nemmeno immaginati. I lavori dei nonni, cioè i lavori “di una volta” erano vissuti in un’atmosfera più calma, certamente più a “misura d’uomo”. Molti lavori esistono tuttora, non sono spariti. Altri, invece, sono scomparsi o in via d’estinzione, a causa delle nuove tecnologie, che sostituiscono la “macchina” all’uomo. Vediamo ciò che gli alunni delle classi IV A/B hanno scritto e disegnato riguardo ai lavori dei loro nonni.
I miei nonni materni, ancora oggi lavorano, e lo fanno in una gioielleria. Loro lavorano dalla mattina alla sera, fermandosi solo per la pausa pranzo. Mio nonno materno, prima di lavorare in gioielleria con mia nonna, faceva il rappresentante dell’Algida, cioè
andava nelle gelaterie e nei ristoranti della Provincia di Ragusa vendendo i gelati.
La nonna materna lavora nella gioielleria, ma vende bomboniere e regali da Idea Più, in Corso Vittorio Veneto.
Mia nonna paterna ha fatto la casalinga, e si è occupata della cura della casa e dell’educazione di mio padre e di mio zio.
Mio nonno paterno, invece, andava a lavorare, per mantenere la sua famiglia. Lavorava come rappresentante di bevande; per un breve tempo lavorò anche in un panificio a Punta Braccetto. Recentemente ha lavorato presso le Latterie Riunite.
Da circa tre anni, mio nonno è in pensione. Idea Più, era prima una bottega, dove lavorava anche la madre della nonna, cioè la mia bisnonna.
Chiedi ai nonni che mestiere facevano e fatti descrivere la loro giornata lavorativa.
Ieri ho intervistato mio nonno Enzo, perché (purtroppo i miei bisnonni non ci sono più), e mi sono fatto raccontare una giornata tipica del mio bisnonno a lavoro.
Egli faceva il ”PICIALUORO” ovvero aveva una fabbrica in cui si estraeva la “ pietra nera” (il bitume) per asfaltare le strade (Ancione Giuseppe, si chiamava).
La mattina, molto presto, andava alla cava. Erano le ore 05,00 e insieme agli operai, iniziava con le macchine ad estrarre la pece per poi lavorarla.
Era un lavoro abbastanza faticoso, infatti già alle 16,00 si tornava a casa per lavarsi e cenare. La mia bisnonna aveva già la cena pronta per le 18.00.
Questa che ho appena descritto era la giornata “
tipo” lavorativa del mio bisnonno.
CHE MESTIERE FACEVANO I TUOI NONNI?
Mia nonna lavorava in farmacia fino alle ore 20.
Il nonno, invece, era dentista.
Continuando il nostro viaggio lungo “La storia e le tradizioni iblee”, ci siamo soffermati sui luoghi in cui i bambini del passato giocavano e sul tipo di giochi che facevano.
Per questo motivo noi alunni delle Quarte A e B abbiamo intervistato i nostri nonni, quali testimoni di quel passato da noi sconosciuto.
Dalle loro risposte abbiamo compreso che la nostra città è molto cambiata e che nel passato risultava più sicura perché i mezzi a motore erano pochi, di tanto in tanto passava, per le strade, qualche carro o qualche bici e non c’erano grandi pericoli.
I luoghi privilegiati dai nostri nonni, per il loro tempo libero, erano gli spazi all’aperto: la strada, le piazze, i cortili o, per chi aveva la fortuna di vivere in campagna, i prati. Si praticavano giochi con i fratelli, i cuginetti oi bimbi del vicinato.
I giocattoli erano semplici e spesso costruiti dai bambini con i materiali di cui disponevano o che facilmente riuscivano a reperire.
Pertanto giocavano con bamboline di pezza, palloni realizzati con avanzi di stoffa, carrettini in legno, trottole, monetine, sassolini, noccioline…
Per le bambine anche un pezzo di stoffa o un fazzoletto diventava occasione per inventare un gioco, riuscivano a utilizzarlo in tante maniere, inventandosi sartine o mammine. Lo trasformavano
ripiegandolo su se stesso fino a ottenere il viso della «pupa» ed il suo corpicino
Con le risposte pervenute dall’indagine svolta su un campione di 20 nonni (per ciascuna classe), abbiamo realizzato l’areogramma
circolare che rileva i luoghi in cui si svolgevano i giochi e l’ideogramma dal quale si possono evincere i giochi più comuni
svolti dai bambini di quel tempo
Legenda:
…era “U TRUPPIETTU”, un gioco che oltre ai ragazzi
coinvolgeva anche i grandi e consisteva nel lanciare un oggetto fatto di legno , legato a una cordicella e farlo ruotare il più possibile per terra
…era fare finta di essere una parrucchiera: prendere una bambola e pettinarle i capelli con una spazzola di legno
era “A BANNERA LIBERA”: c’ erano due squadre e un arbitro che teneva una bandiera. Le due squadre si mettevano una a destra e una a sinistra dall’arbitro. Ogni bambino aveva un numero, l’arbitro chiamava uno di questi numeri e i due bambini uno a destra e uno a sinistra, che erano in possesso dello stesso numero, partivano verso l’arbitro per prendere il prima possibile la bandiera. Quello che prendeva la bandiera doveva tornare al suo posto senza essere ripreso dall’avversario
…era “A FOSSA”: il bambino che riusciva a fare buca, vinceva le noccioline e le poteva mangiare
…era “U ZICCO”:
ognuno metteva lo stesso numero di nocciole e una delle 2 le lanciava nella fossetta. Se nella fossetta entravano tutte le nocciole vinceva chi le aveva lanciate. Se ne entravano solo alcune ed erano di numero pari, provava a fare entrare quelle fuori una alla volta chi le aveva lanciate. Se la nocciola non entrava toccava all’altro giocatore e così fino a quando non finivano le nocciole fuori dalla fossetta. Se ne entrava un numero dispari iniziava il gioco chi non le aveva lanciate. Il gioco finiva quando l’ultima nocciola entrava nella fossetta. Il vincitore era colui che l’aveva fatta entrare.
era quello delle "CIAPPEDDE CHE SODDI”: la regola più importante era quella di rispettare il proprio turno per tirare la pietra
… era i “4 CANTUNERI”: cinque bambini che si posizionavano quattro agli angoli dell'incrocio delle due strade e uno al centro. Due bambini si facevano un cenno e si scambiavano velocemente di posizione. Il bambino del centro doveva intuire le mosse dei giocatori e cercare di occupare uno dei due angoli vuoti. Se riusciva, quello che aveva perso la posizione
andava al centro
era “ACCHIANA U PATRI CU TUTTI I SO’
FIGGHI” un bambino si metteva appoggiato e chino... tutti i bambini dovevano saltare
sulla schiena e lui se cadeva doveva pagare il pegno (perché aveva perso)
...era “U SCANIEDDU”: consisteva in un pezzetto di legno con due estremità ridotte a cono, una barretta di legno lunga circa 30cm e una base di partenza costituita da due pietre posizionate parallele. Le regole: si iniziava con la conta e chi usciva iniziava il gioco. Il gioco consisteva nel dare un colpo sul pezzetto di legno e vinceva chi lo
faceva arrivare più lontano
U NCANTISIMU” le regole erano che un bambino rincorreva i compagni e quando li toccava loro restavano immobili, nel frattempo aspettavano che qualcuno li toccasse per poter ricominciare a correre. Vinceva chi toccava tutti (il gioco è ora chiamato uomo di ghiaccio)
Le regole sono: tutti si mettono in cerchio tranne uno che, girando attorno e cantando la canzoncina del gioco, deve dare un pugnetto ad uno a sua scelta; chi ha ricevuto il pugno deve correre nel verso opposto di chi glielo ha dato; chi arriva per primo nel posto libero vince il posto e il gioco ricomincia…
CANZONCINA: Pugnu cutugnu
stu pugnu a ccu ciù dugnu u dugnu a me muggheri
ca è figghia di cavaleri
…era il gioco della “CAMPANA” o “RIA” o “TRICATO” o “RA PETRA”e le regole
erano: si disegnavano dei quadrati in strada, poi dentro questi quadrati si scrivevano dei numeri da 1 a 10. Il giocatore doveva tirare un sasso (petra) e doveva saltare solo con un piede, quando arrivava dove c'era il sasso lo saltava e continuava. Dopo che era arrivato si girava e tornava indietro. Quando arrivava dove c'era il sasso lo prendeva e andava avanti
..era “COMMARI”: ci mettevamo a circoletto in strada con le sedie e chiacchieravamo del più e del meno facendo finta di sorseggiare il caffè
…era il gioco del CALCIO
…era il gioco della PALLA DI STOFFA, il mio preferito, le regole erano molto semplici: ci si passava la palla e chi la faceva cadere per primo perdeva
era “U CALACIPITO” o "CARRAMMATTA" costruito con una tavola di legno e sotto c’ erano delle ruote, prese dai rottami delle moto e che ci davano i meccanici. Facevamo le gare con gli amici prendendo una discesa e frenavamo con i piedi rovinando le scarpe. Chi raggiungeva per primo il
traguardo vinceva
era "TESTA O LITTRA": si giocava con le monetine, non c’era limite di giocatori. prima del tiro in aria della monetina, si scommetteva su testa o croce.
Chi vinceva la scommessa poteva prendersi la monetina
…era "AMMUCCIA" : la parola
deriva dal termine
dialettale "ammucciare" che significa nascondersi, oggi
conosciuto come nascondino
“U calacipitu” era uno tra i giochi preferiti dai giovani di una volta.
Era costruito con assi di legno, cuscinetti e un manubrio che permetteva di cambiare direzione. Per realizzare “u calacipitu”, spesso si utilizzavano rottami di motociclette fornite dai
meccanici. Ci si sedeva sopra e iniziava la gara.
La bravura consisteva nel mantenere una certa velocità senza cadere da esso.
L’obiettivo era: ARRIVARE PRIMO AL TRAGUARDO STABILITO.
Le discese della città diventavano i percorsi preferiti dei fanciulli di ieri.
Oggi giocare con il “calacipitu” sarebbe più pericoloso rispetto al passato, per la presenza dei mezzi di trasporto e per il traffico in continuo aumento.
RINGRAZIAMO LE NONNE E I NONNI CHE CI HANNO DATO INFORMAZIONI E
MATERIALI PREZIOSI PER LA REALIZZAZIONE DEL PROFETTO, UTILI PER LA
SCOPERTA DI STORIA E TRADIZIONI LOCALI.
ALLA FINE DEL PERCORSO CI SIAMO DIVERTITI TANTO SPERIMENTANDO IN
PALESTRA I GIOCHI PRATICATI NEL PASSATO.
GLI ALUNNI:
Accetta Stefano, Anastasi Vittorio, D’angelo Giuseppe, Femminò Giorgio, Firrito
Adele, Guastella Lorenzo, Gulino Aurora, Gurrieri Carlotta, Interrigi Michele, Lacognata Cristiano, Migliorisi Giuseppe, Migliorisi Matteo, Minardo Anna, Nuzzarello Sara, Occhipinti Cristina, Scollo Miriam, Spatuzza Sandra, Tidona
Francesco, Tinè Adriana, Tumino Andrea, Anfuso Claudio, Bellio Nicole, Carfì
Irene, Criscione Marco, Di Gregorio Andrea, Di Mauro Alessio, Fiderio Carlotta, Firrito Ilaria, Garozzo Marta, Guastella Paolo, Lami Riccardo, Mantegna Maurizio, Marinelli Iole, Mirmina Spadalucente Marisol, Montoneri Gemma, Occhipinti
Samuele, Salafia Matteo, Savarino Gabriele, Sorce Ijoma, Tidona Federico.
Col supporto delle insegnanti: Accetta Stefania, Cavalieri Concetta, Dipasquale
Maria Grazia, Massari Grazia Lucia, Vitale Carmela