F O T O G R A F I A
In realtà ciò che mi interessa è riutilizzare i residui della memoria, sia pubblica che privata.
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Come possiamo, in una storia, tenere assieme il pubblico e il privato, il dentro (la cornice) e ciò che inevitabilmente costituisce un inafferrabile fuori campo? Come recuperare cioè gli scarti del tempo, dell’inquadratura, dello sviluppo...
Mi piace molto l’idea del recupero in un mondo iconografico in cui il cumulo delle immagini si autoalimenta in maniera frenetica senza scartare teoricamente nulla. In realtà ciò che mi interessa è riutilizzare i residui della memoria, sia pubblica che privata. Credo che la tendenza a vivere in una dimensione di eterno presente ci porti a filtrare in maniera estrema e pericolosa i ricordi e a eliminare porzioni importanti delle nostre esperienze. Mi attira lavorare con la fotografia per valorizzare questi residui di vita vissuta e credo che l’utilizzo del materiale analogico, con i suoi limiti fisici, si presti molto a rappresentare autenticamente questa attività di recupero.
Come sopravvive, secondo te, l’immagine nel museo virtuale della rete? Come si affermano la sua presenza e la sua necessità in tanta concorrenza visiva?
Nel sistema attuale le immagini assumono sempre più una valenza relazionale, sono destinate ad un consumo immediato nella rete. Per le immagini che aspirano a un valore qualitativo diverso, la possibilità di resistere e di aver una propria autonomia è minima, a causa del gorgo iconico che tende a risucchiarle in un movimento continuo. Si ha la sensazione che il destino di ciascuna immagine sia legato a quella delle altre e nessuna abbia la capacità di resistere a questa forza cinetica. La divulgazione della cultura visuale può rappresentare una delle soluzioni, ma avrebbe bisogno di essere più strutturata e istituzionalizzata, per non perdersi a sua volta in una miriade di iniziative estemporanee. In ogni caso, penso sia necessario riflettere sul fatto che le immagini in generale e le fotografie in particolare richiedono il tempo necessario per essere contemplate e apprezzate, e questa è una scelta che attiene all’osservatore, a prescindere dall’“ambiente” in cui si trova l’opera. In quest’ottica il libro e lo spazio espositivo, pubblico o privato che sia, costituiscono ancora un’efficace opportunità.
Oggi forse occorre sempre di più essere intermediali, cambiar mediatore lungo il viaggio comunicativo. Qual è secondo te la comunicazione che ci restituisce la pellicola, anche nella sua matericità?
La flessibilità nell’utilizzo dei media costituisce un innegabile vantaggio sia a livello comunicativo che artistico: consente di poter attingere a strumenti informativi e creativi molto efficaci. Penso che ogni autore debba tener conto di questo. Alla pellicola fotografica, all’emulsione fotografica, credo si possa riconoscere la capacità di essere protagonista sino al punto da intrecciarsi, con la sua materialità, al contenuto delle immagini. Senza contare che, per sua natura, porta i segni del tempo che passa.
Esiste una fotografia contemporanea?
Credo esista un modo contemporaneo di intendere e utilizzare la fotografia, più che una fotografia contemporanea. Mi sembra che il legame con l’epoca in cui viviamo venga stabilito più sulla base dei nuovi mezzi tecnologici che su una visione fotografica corrispondente al tempo attuale. Ma, quasi certamente, mi sbaglio…