Stadium n. 1-2/2010

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• I diritti del fanciullo • Gazzetta Cup 2010 • Amarcord: Fausto Coppi • Day Arbitro

Il magazine di chi ama lo sport pulito

Fondato nel 1906 - N. 1/2 gennaio/febbraio 2010

CRIMI: PIÙ’ SPORT, E PER TUTTI Intervista al sottosegretario allo sport.

CLERICUS CUP GLORIA AL MATER

DA ASSISI LA LUCE PER IL 2010

SI RIACCENDE LA PASSIONE


PAROLA DI PRESIDENTE

Massimo Achini Presidente nazionale CSI

I bambini aspettano noi

Alcune pagine di questo numero di Stadium sono dedicate alla Carta ONU dei diritti del bambino, che ha compiuto venti anni ad inizio 2010. Il documento è stato fatto proprio da tanti paesi del mondo, Italia compresa, che firmandolo si sono impegnati ad applicarne i principi, ma - per quanto si apprende - in due decenni è cambiato ben poco. La realtà dell'infanzia nei paesi poveri, ma anche in quelli emergenti, continua ad essere caratterizzata da malnutrizione, analfabetismo, carenze sanitarie, sfruttamento a largo raggio, con la tragedia dei bambini venduti e di quelli arruolati con la forza in milizie armate. Può sembrare azzardato, in queste condizioni, stare a rivendicare diritti più "impalpabili", come il diritto al gioco e all'educazione, ma non è detto che non ci sia un modo di conciliare le cose. Proprio mentre si celebravano i vent'anni della Carta, il CSI volava in Giordania per accompagnarvi i medici di Operation Smile. Lì si è capito che potevamo essere una presenza non simbolica, che potevamo avere un ruolo effettivo stando accanto ai bambini in attesa di operazione, andando a trovarli nei campi profughi, animando per qualche giorno la loro vita quotidiana. C'è molto da fare per i bambini oltre le nostre frontiere. Forse più che dettare da lontano elenchi di diritti che poi nessuno applica, è urgente calarsi in certe realtà per dare esempi, magari piccoli ma concreti, di cosa si può fare per crescere un'infanzia più felice. È un impegno che ci sentiamo di assumere. L'anniversario della Carta ONU dell'infanzia è stata anche l'occasione per verificare quanto succede in casa nostra. Passi avanti importanti sono stati fatti a livello di diritti primari, tanto altro resta da fare, mentre bussano alle porte dell'emergenza questioni nuove, come il bullismo, l'integrazione dei figli degli immigrati, l'accoglienza ai minori stranieri non accompagnati. Servirebbe un'autentica politica per l'infanzia, coordinata, globale, progettuale, ma non c'è e difficilmente ci sarà in un prossimo futuro. La palla, sostengono molti autorevoli osservatori, passa nelle mani delle associazioni di promozione sociale. Dovranno essere loro ad intercettare i diritti negati dell'infanzia e curarne l'applicazione. Non sarà facile, ma anche questo è un impegno che ci sentiamo di assumere.

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ANGELI & DEMONI

mons. Claudio Paganini Consulente Ecclesiastico Nazionale CSI

Oggi è il tempo opportuno

Ci fu un tempo, di cui ancor oggi molti parroci anziani conservano memoria, in cui un sacerdote che andava in bicicletta rischiava la "sospensione a divinis". Ed oggi, invece, molti sacerdoti giocano in calzoncini corti nella Clericus Cup. Ci fu un tempo, alla fine anni cinquanta, in cui i Vescovi lanciarono la campagna "Un gruppo sportivo in ogni parrocchia". Ed oggi moltissime parrocchie hanno un campetto da gioco e molti ragazzi vocianti che lo frequentano. Ci fu anche un tempo in cui, avviene in ogni comunità parrocchiale, si ricorda con simpatia quel parroco particolare, che con tanto entusiasmo e coraggio promosse lo sport in mezzo ai suoi giovani.

Si comincia sempre dicendo: ci fu un tempo… ma sarebbe meglio accantonare le nostalgie che ci rattristano per affermare con più entusiasmo "oggi è il tempo opportuno!". Da circa un secolo il rapporto tra sport e mondo ecclesiale vive di innamoramenti e tensioni, di profezie e fallimenti, di scommesse, talvolta vinte ed altre rimaste sopite. Ma questo non scoraggia. In ogni luogo e tempo della nostra penisola, comunità ecclesiale e associativa, cercano oggi di promuovere sport e vita cristiana attraverso riflessioni culturali e proposte concrete. Di far nascere nuovi entusiasmi e disponibilità alla collaborazione. È sempre motivo di grande gioia constatare che anche Papa Benedetto XVI ci invita costantemente a non perdere l'entusiasmo: "Lo sport possiede un notevole potenziale educativo soprattutto in ambito giovanile …. Se questo è vero per l'attività sportiva in generale, tanto più lo è per quella svolta negli oratori, nelle scuole e nelle associazioni sportive, con lo scopo di assicurare una formazione umana e cristiana alle nuove generazioni…" E continua nel suo messaggio agli sportivi: "Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, fornendo un ambito adatto alla sua crescita umana e

spirituale. Infatti, quando sono finalizzate allo sviluppo integrale della persona e gestite da personale qualificato e competente, le iniziative sportive si rivelano occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani". Nella conclusione il Santo Padre ci sorprende indicando nuove vie: "la Chiesa continui a sostenere lo sport per i giovani, valorizzando appieno anche l'attività agonistica nei suoi aspetti positivi". Se qualcuno fosse stanco della profezia nella parrocchia, campo immenso in cui ancora bisogna dissodare e seminare, si ricordi che gli compete anche uscire nelle piazze, nei municipi e nei campi da gioco per testimoniare i valori sportivi. Ecco perché vi esorto a non guardare più al passato con nostalgia, quanto piuttosto a essere protagonisti del presente e del futuro. Nello sport e nella Chiesa. Nella nostra Asso ciazione.

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SOMMARIO

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24 2 PAROLA DI PRESIDENTE I bambini aspettano noi 3 ANGELI E DEMONI Oggi è il tempo opportuno

11 CHIESA E SPORT Ad Achini la delega per i rapporti tra il Coni e la Chiesa 12 ZOOM Ricordando Fausto 14 FORMAZIONE Il dovere dell'efficienza

5 PRIMO PIANO L'infanzia tradita attende il non profit

16 FOCUS Io parlo catalitico

8 L’INTERVISTA Più sport, e per tutti

17 FISCALE Gli obblighi contabili delle ASD

20 18 COMUNICAZIONE "Un giornale solo di "buone notizie" 20 VITACSI Clericus Cup: Gloria al Mater 24 EVENTI Un sogno chiamato Gazzetta Cup 2010 26 SPECIALE ASSISI All'appuntamento con la storia

Mensile del Centro Sportivo Italiano www.csi-net.it Autorizzazione del Tribunale Civile di Roma n. 423 del 15/12/2008 Direttore responsabile Claudio Paganini claudio.paganini@csi-net.it Hanno collaborato a questo numero Massimo Achini. Felice Alborghetti, Andrea De Pascalis, Claudio Paganini, Mauro Stefani Redazione: stampa@csi-net.it Tel. 06 68404592/93 Fax 06 68802940


PRIMO PIANO

Diritti del fanciullo

L'infanzia tradita attende il non profit Il 26 gennaio 1990 l'Onu presentava la "Convenzione sui diritti dell'infanzia", poi ratificata anche dall'Italia. Nel ventennale del documento, ricordiamone i principali contenuti e proviamo a fare un bilancio del suo stato di applicazione in Italia e nel mondo, chiedendoci infine in che modo tutto questo interpelli anche il Csi. di Andrea De Pascalis

enti anni fa, il 26 gennaio 1990, l'Onu presentava alla firma dei paesi membri la "Convenzione sui diritti dell'infanzia", che fu ratificata dall'Italia con la Legge n. 176 del 27 maggio 1991. Il documento, piuttosto corposo (una premessa e 54 articoli), si proponeva di dettare le condizioni necessarie per garantire, in ogni parte del mondo, e soprattutto nei paesi del Terzo Mondo, la tutela dei minori, migliorando le loro condizioni di vita e consentendo il loro completo e armonioso sviluppo "fisico, mentale, spirituale, morale e sociale". Diritto alla vita, al rispetto della propria identità personale, etnica e culturale, al mantenimento dei legami familiari, all'istruzione, alla libertà religiosa, alla salute, alla sicurezza sociale, alla protezione contro ogni forma di sfruttamento (economica, sessuale…) sono solo alcuni dei principi di salvaguardia elencati nella "Convenzione".

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Alcuni dei diritti tracciati nella Convenzione riguardano piuttosto da vicino il terreno su cui si svolge la mission del Csi: diritto a cure e interventi specifici per i disabili (art. 23), diritto a raggiungere il miglior stato di salute possibile (art. 24), diritto all'educazione (art. 29), diritto al riposo, al tempo libero, al gioco e alle attività ricreative (art.

31), diritto ad essere protetti contro l'uso di droghe (art. 33), diritto al recupero psico-fisico e alla reintegrazione per le vittime di maltrattamenti e negligenze (art. 39). Quale applicazione ha trovato la Convenzione in Italia? Nel 2000, nove anni dopo la ratifica, le zone d'ombra e le inadempienze erano numerose, come evidenziato da un Rapporto redatto su incarico del Governo. Il report dei diritti negati comprendeva tra l'altro: maltrattamenti e sfruttamento sessuale; la non applicazione della Convenzione "al massimo livello con-

sentito dalle risorse disponibili"; il non sufficiente coordinamento tra le politiche e i programmi sull'infanzia a livello nazionale, regionale e locale; il verificarsi di episodi di razzismo contro minoranze; le disparità nel godimento di diritti economici e sociali, in particolare nei settori della salute, dell'assistenza sociale, dell'istruzione e delle condizioni abitative sperimentate da bambini poveri, rom, stranieri, minori non accompagnati e disabili; la non piena applicazione del principio del "superiore interesse del fanciullo" nelle politiche e nei programmi dello Stato; il non adeguato rispetto del diritto dei bambini ad essere ascoltati nei procedimenti che hanno diretto impatto su di loro, in particolare nei casi di separazione dei genitori, divorzio, adozione, affidamento, o relativamente all'istruzione; l'elevato numero di bambini che si trovavano in istituto a scopo di protezione sociale, spesso con lunghi periodi di permanenza; le difficoltà incontrate dai bambini appartenenti a gruppi vulnerabili nell'utilizzare gli esistenti servizi sanitari; l'alto tasso di abbandono scolastico nella scuola secondaria; i risultati disomogenei ottenuti nel rendimento scolastico dei bambini causati dalla differente provenienza socio-economica e culturale, o di altri fattori come in genere, la disabilità, l'origine etnica; 5


l'incremento del bullismo nelle scuole; la non adeguata tutela dei minori non accompagnati; l'alta diffusione del lavoro minorile.

IL DIRITTO ALL'EDUCAZIONE Secondo la Convenzione dei diritti dell'infanzia, l'educazione del fanciullo deve avere come finalità: a) favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità; b) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite; c) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua; d) preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona; e) sviluppare nel fanciullo il rispetto dell'ambiente naturale.

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Una successiva indagine, effettuata nel 2009, ha mostrato un lieve miglioramento del quadro generale, dovuto all'inaugurarsi di politiche finalmente in linea con i principi individuati dall'Onu. Ma, come sottolineato dal X Rapporto di Eurispes e Telefono Azzurro sulla condizione di infanzia e adolescenza, presentato a fine 2009, non poche questioni persistono. Tra le gravi violazioni dei diritti dei bambini ci sono quelle che riguardano accattonaggio, violenza domestica, adescamento e cyberbullismo, scomparsa e sottrazione di minori, incidenti stradali e lavoro minorile. Acquista sempre più incidenza il problema dei minori stranieri - accompagnati e non accompagnati, comunitari ed extracomunitari - i cui diritti nella nostra società vengono spesso violati. "Ne sono un esempio - dice Telefono Azzurro - le mutilazioni genitali femminili, lo sfruttamento nella criminalità organizzata, ma anche l'irrisolta questione della tutela dei minori non accompagnati al compimento del diciottesimo anno di età e la sfida interculturale nelle scuole". Assodato che i bambini e i ragazzi hanno bisogno di essere maggiormente ascoltati, riconosciuti e garantiti, come vincere la sfida? La parola ancora a Eurispes/Telefono Azzurro, con conclusioni che interessano da vicino anche il Csi. "Sono in aumento - sostengono i due istituti di ricerca - i settori in cui i minori incontrano il non profit, anche a causa di bisogni che non riescono ad essere soddisfatti dallo Stato. Secondo il settimanale del non profit Vita, i quasi 10 milioni di bambini e adolescenti italiani saranno accompagnati nel loro cammino, prima o poi, da una realtà del privato sociale: a partire dai nidi privati, fino a realtà ricreative, sportive e culturali gestite dai volontari, nelle

L'INFANZIA NEGATA NEL MONDO Quanta strada ci sia ancora da fare per tutelare i diritti fondamentali del fanciullo in ogni angolo del mondo è chiaro da queste cifre fornite dall'organizzazione "Save the children" • 1 bambino su 4 vive in estrema povertà. • 10 milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono ogni anno a causa di malattie facilmente prevenibili. • Oltre 70 milioni di bambini non vanno a scuola. • 40 milioni vivono in paesi in guerra o post conflitto.

associazioni di promozione sociale o nelle realtà della cooperazione, della difesa dei diritti, del volontariato. Anche i minori meno fortunati saranno "intercettati" dal mondo della solidarietà: il privato sociale è una forza pervasiva dell'intero sistema di welfare italiano e la tipologia di "utenti minorenni" attraversa tutta la sfera dei servizi possibili offerti oggi da simili realtà". La soluzione del pieno rispetto dei diritti e dei bisogni dei minori dipende dalla instaurazione di un circolo virtuoso che colleghi Governo, Amministrazioni locali e associazionismo. Formazione di operatori, interdisciplinarietà e coordinamento degli interventi, progettazione e sperimentazione di nuove metodologie e nuovi strumenti sono tra le parole d'ordine da adottare nell'ottica di una politica che punti alla prevenzione delle marginalità. L'altra priorità è fare rete, legando istituzioni, privato sociale e mondo aziendale, allargando, quando possibile, la sfera d'azione all'ambito internazionale. Ma per ora il circolo virtuoso non c'è, non ancora. Mancano - sono sempre le conclusioni di Telefono Azzurro - risposte adeguate da parte del livello politico centrale e locale. E senza l'apporto convinto dei policy makers sarà difficile venirne fuori.



L’INTERVISTA

Più sport, e per tutti La legge quadro sullo sport, il ruolo dello sport in oratorio, il sostegno all'incremento dell'attività giovanile, il volontariato: cosa aspettarsi nel 2010? Lo abbiamo chiesto al sottosegretario allo sport, on. Rocco Crimi. A cura di Felice Alborghetti Dopo poco più di un anno e mezzo come Sottosegretario con delega allo sport ha certamente maturato un quadro di sintesi della situazione dello sport italiano. Quali programmi e quali priorità ne sono scaturiti? Cosa dobbiamo aspettarci dal Governo in questo settore? Prima di discutere di programmi, vorrei ricordare ciò che il Governo ha realizzato in ambito sportivo nei primi 20 mesi di attività. Nel 2009 è stata approvata, all'unanimità, in Commissione Istruzione del Senato, la legge sugli stadi, una disposizione fondamentale per garantire la massima fruibilità degli impianti sportivi e la loro sicurezza. Questo, inoltre, consentirà alle società - in particolare ai club calcistici - di incrementare il proprio fatturato e di tornare a essere davvero competitive a livello internazionale. In questo modo si verificherà anche una riqualificazione del territorio e, grazie all'ammodernamento dell'impiantistica, l'Italia potrà ospitare i grandi eventi sportivi internazionali. Quasi in contemporanea con l'approvazione della legge sugli stadi, il Governo ha presentato alla Commissione Istruzione del Senato una legge quadro sullo sport dilettantistico, con cui regolamentare l'attività sportiva di base. Nel tentativo di sostenere lo sport per tutti, è stato anche avviato il progetto pilota per l'alfabetizzazione motoria nella scuola primaria, che 8

territoriali e dalle organizzazioni competenti ho individuato le linee guida per la realizzazione di un Piano Nazionale per la promozione dell'attività sportiva, da concordare con le Regioni, le Province, i Comuni e il Coni. In questo modo è possibile individuare settori di intervento omogenei su tutto il territorio (attività motoria a scuola, educazione ai valori olimpici, contrasto alla violenza, etc.), come previsto nella mia direttiva generale per l'anno 2009 sull'azione amministrativa.

coinvolgerà circa 250 mila alunni in tutta Italia. L'obiettivo è educare i ragazzi a un corretto stile di vita, anche dal punto di vista alimentare. Da sempre l'Italia aspetta una legge quadro sullo sport, diventata ancora più necessaria dopo il passaggio alle Regioni delle competenze sulla politica sportiva. Perché è così difficile colmare questa lacuna? Innanzitutto è doveroso precisare che in ambito sportivo sussiste la legislazione concorrente Stato-Regioni. Al fine di uniformare le azioni poste in essere dagli enti

In Italia esiste una rete di oltre 8.000 oratori. Il Csi è convinto che essi rappresentino il futuro, e non il passato, dello sport italiano, una risorsa da riattivare e valorizzare. Cosa ne pensa? Non c'è dubbio che gli oratori abbiano costituito per la mia generazione, come per tante altre, un luogo di aggregazione insostituibile. I pomeriggi trascorsi giocando a pallone sono un piacevole ricordo della mia infanzia ed è bello sapere che, ancora oggi, molti calciatori ricordano le loro prime partite all'oratorio. Paolo Maldini, ad esempio, ne ha parlato spesso nelle sue ultime interviste da calciatore e, non a caso, l'ex capitano del Milan è stato per anni un esempio di correttezza sia in campo che fuori. Sono convinto insomma che gli oratori possano far parte del futuro dello sport italiano. Al tal fine, nell'atto di indirizzo per l'attività dell'Istituto


per il Credito Sportivo ho individuato tra le priorità delle attività dell'istituto il fattivo contributo per lo sviluppo e l'utilizzo delle strutture sportive degli istituti parrocchiali e di oratorio. In questo periodo il Centro Sportivo Italiano è impegnato a ripensare progetti e programmi, anche per renderli più aderenti ai bisogni attuali del Paese. Cosa si attende dal Csi il Sottosegretario allo sport? I numeri del CSI parlano da soli: 850mila atleti in 72 discipline, 13mila società, decine di migliaia di volontari impegnati per 12 milioni di ore. Sono cifre impressionanti, che spiegano come da anni il Centro Sportivo Italiano riesca a perseguire i suoi scopi: avvicinare i giovani allo sport e promuovere l'attività fisica come momento di educazione e aggregazione. Per tale motivo invito il presidente Achini a continuare su questa strada: sono convinto che il CSI possa trasmettere i valori alti dello sport, in particolare il fair play e la lotta al doping, per insegnare ai nostri giovani che il successo deve essere raggiunto con impegno e sacrificio. A inizio legislatura l'idea di inserire il riconoscimento del valore sociale dello sport nella Costituzione aveva raccolto consensi bipartisan. Poi non se ne è più parlato. È ancora un'idea attuale? Certamente si. È all'esame del Senato un disegno di legge, a firma del senatore Adragna, sul riconoscimento della Carta dell'etica dello sport quale valore fondamentale delle attività sportive. La Carta dell'etica dello sport costituisce la tavola dei valori fondamentali cui è ispirato l'esercizio delle attività sportive riconosciute dal Comitato olimpico internazionale, ed è compresa nella materia di insegnamento dell'educazione fisica in tutte le scuole di ogni ordine e grado, sia pubbliche sia private. Le statistiche dicono che in Italia un ragazzo su due pratica lo sport, il che vuol dire anche che uno su

due non lo pratica. Lei come considera il "bicchiere": mezzo pieno o mezzo vuoto? Su cosa puntare per colmarlo? Occorre innanzitutto capire cosa si intende per "ragazzi". Il rapporto Censis-Coni del 2007 infatti rivela che il 65% dei giovani tra gli 11 ed i 14 anni pratica in modo organizzato una disciplina sportiva, mentre è noto che negli anni immediatamente successivi una percentuale consistente abbandona l'attività. Il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto si spiega anche così, con un naturale mutamento di interessi e prospettive. Le società sportive, in questa situazione, possono contribuire alla crescita dello sport tra i giovani interagendo maggiormente con la scuola. Al momento, infatti, soltanto una società su quattro organizza attività scolastiche. Il progetto pilota per l'alfabetizzazione motoria nella scuola primaria, realizzato con il Ministero dell'Istruzione e il Coni, nasce anche da questi dati: il nostro scopo è combattere la sedentarietà e introdurre un corretto stile alimentare e di vita tra i giovani. Mi auguro che si possa dare l'opportunità a tutti i ragazzi di praticare lo sport, compresi i 150 mila adolescenti diversamente abili che frequentano la scuola dell'obbligo. Come papà di tre gemelli di dieci anni, comunque, sono consapevole che si tratta di una questione particolarmente complessa: non è sufficiente proporre attività da praticare in gruppo, è necessario anche educare i ragazzi alla lealtà e al rispetto dell'avversario. Lo sport di base in Italia si regge su una fitta rete di società sportive non profit sostenute dal volontariato, che incontrano però crescenti difficoltà (burocratiche, finanziarie, di ricambio degli operatori…), dovendo affrontare anche la concorrenza di palestre e altre strutture profit. Come impedire una progressiva privatizzazione del settore? Il rapporto Coni-Censis 2007 rileva che mediamente in ogni associazione sportiva operano 10-12 volontari, che prestano in

una settimana 5 ore di lavoro volontario, per un controvalore complessivo annuo di 3,4 miliardi di euro di lavoro equivalente. E' evidente che si tratta di un contributo fondamentale per lo sport italiano: senza il supporto dei volontari, i ragazzi non avrebbero una società con cui allenarsi e giocare. Non credo, tuttavia, che si possa impedire lo sviluppo di palestre e strutture private: possono convivere con le società non profit, a patto che non tradiscano i valori dello sport nel nome degli interessi economici. Negli ultimi mesi il presidente del Coni Petrucci ha espresso più volte la necessità - come mission del quadriennio olimpico - di valorizzare lo sport per tutti, cominciando col promuovere una più diffusa cultura dello sport praticato. Il Governo è orientato a sostenere questo sforzo? La promozione dello sport per tutti è una priorità da giugno 2008. Non solo: la legge quadro sullo sport dilettantistico, il progetto pilota di alfabetizzazione motoria nella scuola primaria e tanti altri obiettivi raggiunti in questi mesi vanno proprio in questa direzione. Non posso dimenticare che, sempre secondo il rapporto Censis-Coni, soltanto 17,2 milioni di cittadini italiani affermano di praticare con continuità o saltuariamente uno o più sport: siamo a poco più del 30% del totale della popolazione. Una quota rilevante di cittadini, pari a 23,3 milioni, dichiara invece di non praticare alcuna attività fisica. È il popolo dei sedentari, a cui purtroppo appartiene il 41% della popolazione italiana, percentuale in continuo aumento rispetto al 1995 (37,8%), al 2000 (38,4%) e al 2006 (41%). Per ovvie ragioni, è necessaria un'inversione di tendenza, soprattutto nelle regioni con i tassi più alti di sedentarietà: Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia, Campania e Molise. È sempre utile sottolineare che lo sport aiuta a combattere molte patologie (obesità, malattie del sistema cardiovascolare e osteoarticolare) e costituisce un momento imprescindibile nella crescita, nell'età adulta e nella terza età. 9



CHIESA E SPORT

Voluta da Petrucci e deliberata dalla Giunta Nazionale

Ad Achini la delega per i rapporti tra il Coni e la Chiesa "Non nascondo che ho provato una certa emozione. Si tratta di una bella responsabilità che cercherò di onorare con impegno".

ell'ultima seduta del 2009, pochi giorni prima di Natale, la Giunta Nazionale del Coni, su proposta del presidente Petrucci, ha affidato al Presidente del Csi la delega per i rapporti con la Chiesa ed in particolare con la Cei e con il Vaticano. Nella motivazione della proposta il Presidente del Coni ha spiegato che, avendo in Giunta Nazionale il Presidente del Csi, questa delega diveniva "naturale" per quello che l'Associazione ha rappresentato nella sua storia circa i rapporti tra mondo dello sport e la Chiesa Italiana e Universale. Ancora una volta, dunque, l'Associazione ha ricevuto un importante rico-

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noscimento, che premia il prezioso lavoro svolto quotidianamente sul territorio da migliaia di dirigenti. "Desidero ringraziare pubblicamente il Presidente Petrucci - ha commentato Achini - per un incarico che affronto con grande entusiasmo. Da sempre il Presidente del CONI ha testimoniato una sensibilità infinita nei confronti della Chiesa e dei valori legati all'ispirazione cristiana ed ovviamente continuerà a seguire in prima persona i rapporti istituzionali.A me spetterà il compito di intensificare e dare sistematicità al rapporto tra il sistema sportivo italiano e la Chiesa, mettendo a servizio di tutti l'esperienza che il Csi ha maturato nella sua storia".

L'attribuzione da parte del Presidente del Coni della delega per i rapporti con la Chiesa al Presidente del Csi, va ben oltre il già importante ruolo che l'Associazione esercita in favore di quasi 100.000 ragazzi e giovani. Con tale incarico, infatti, il Presidente Achini diventa ipso facto una sorta di "ambasciatore" per tutti i giovani sportivi cattolici in Italia. Questa delega è una chiara manifestazione del desiderio espresso dal Presidente Petrucci al Pontificio Consiglio per i Laici, all'inizio del suo mandato, di "mettere i giovani al centro della sua attività".

Padre Kevin Lixey Direttore Ufficio Chiesa e Sport - Pontificio Consiglio Pro Laici 11


LA CREATURA ALATA Nel cinquantenario della morte di Coppi ripercorriamo lo speciale rapporto che legò il Csi e Stadium al campionissimo, un legame specchio di un'Italia che cercava di superare il dopoguerra tra paure e contraddizioni.

Ricordando Fausto di Andrea De Pascalis uando, nel 1947, Stadium postbellico smise la veste di foglio volante di emergenza per tornare ad essere una rivista, una delle prime copertine fu dedicata alla pubblicazione di una foto di Fausto Coppi con dedica: "Al Centro Sportivo Italiano. Coppi Fausto". La didascalia esaltava il campione come esempio degli ideali sportivi proclamati dal Csi: "Il campionissimo condivide pienamente gli ideali del Centro Sportivo Italiano. Senza speculazioni, senza particolari interessi (e quali potrebbero essere?) egli aderisce volentieri al nostro movimento ed è lieto di inviare, da queste pagine, il suo cordiale saluto a tutti i soci del Csi. E noi gli rivolgiamo l'augurio di sempre maggiori affermazioni". Il Csi vedeva in Coppi, cattolico praticante, origini contadine, schivo e riservato, un altro grande esempio di atleta cristiano, al pari del "rivale" Gino Bartali, la cui dimensione "mitologica" è stata ampiamente esplorata da Stefano Pivato in Sia lodato Bartali. Ideologia, cultura e miti dello sport cattolico (1936-1948). Che non si vedesse contrapposizione tra i due assi della bicicletta fu confermato di lì a qualche mese, quando il Csi organizzò a Roma una grande manife-

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stazione per festeggiarli insieme. Stadium dedicò un'altra copertina (gennaio 1948) all'evento, con un'immagine che mostrava Bartali e Coppi che si stringevano la mano davanti al presidente del Csi, Luigi Gedda. Foto chiaramente emblematica, che celebrava l'alleanza dei due atleti cattolici più in vista, "sponsorizzata" da colui che a tutti gli effetti era l'ideologo della via cristiana allo sport. La significativa didascalia diceva: "Il campione d'Italia, Fausto Coppi, stringe la mano al neo cavaliere Gino Bartali.

Il presidente del Csi, prof. Gedda, è lieto della fraterna amicizia dei due campioni". Il significato simbolico della manifestazione organizzata dal Csi era ancora più chiaro alla luce del programma. Oltre alla sfida sportiva, una kermesse al Velodromo Appio, pubblicizzata in tutta Roma da manifesti che legavano il grande logo dell'associazione ai nomi dei due campioni, si ebbe un momento di "grande entusiasmo spirituale" (la frase è sempre di Stadium) quando questi, sempre accompagnati e "pre-


sentati" da Gedda, furono ricevuti da Pio XII in udienza speciale a Castel Gandolfo. I festeggiamenti proseguirono alla sera, con un affollato convivio all'interno del Collegio S. Giuseppe, presenti mons. Callori, dell'Anticamera del Santo Padre, e l'on. Giulio Andreotti, giovanissimo ma già Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Da allora Stadium seguì con non celata ammirazione le imprese di Coppi, davanti al quale le figure degli avversari erano inesistenti. All'indomani del Giro di Lombardia del 1948, Natale Bertocco parlava di "surrogati travolti dalla genuinità e dalla scintillante classe di Coppi, che avrebbe vinto in ogni modo e in qualunque punto del tracciato fosse stato posto il traguardo". Dietro di lui la muta degli inseguitori era inerme, "sembrava sparare con cartucce di stoppa contro un elefante dalle gambe di gazzella". "Ha vinto Coppi, come ha voluto e quando ha voluto, in pianura, in salita e in discesa…". Nel titoli del giornale del Csi Coppì diventò "La creatura alata" all'indomani di una vittoriosa Milano-Sanremo, mentre si esaltavano aspetti della sua personalità ricca di umanità: Coppi che regala una bicicletta alla piccolissima figlia di Loik, uno degli assi granata morti a Superga; Fausto che "ha un'anima di fanciullo, tanto è gentile e pio; e di poeta, tanto è sognatore"; Fausto che "ha il dono delle migliori qualità: fede in Dio, amore nella famiglia, nella Patria: generosità, fermezza, rettitudine di carattere". Tanto è grande l'ammirazione per l'uomo e per il campione che nel 1954 il capoufficio stampa del Csi, Natale

Bertocco, trascorre un intero giorno a casa Coppi, poco fuori Novi Ligure, per raccontare ai lettori la dimensione familiare di Fausto. Ma dopo di allora sulla vita e le imprese del campionissimo Stadium fa scendere una cappa di silenzio. Il ciclista Coppi vince ancora, ma l'uomo Coppi ha incrinato l'immagine che gli avevano ritagliato addosso, simbolo di un'Italia tutta "Dio, patria, famiglia". È successa qualcosa di grave: è diventata di dominio pubblico la relazione di Coppi con una signora che è già moglie e madre, per la quale alla fine il campione ha abbandonato la propria famiglia. Uno scandalo che fa rumore, che provoca parole di condanna da parte dello stesso Pio XII. Quando però, il 2 gennaio 1960, Coppi muore per un malanno non correttamente diagnosticato dai

medici, una malaria contratta in Africa, lo sgomento affiora su Stadium con un fondino non firmato in prima pagina: "Addio, Fausto!". Si rievocano la grandezza dell'atleta e la sua vicinanza al Csi, pur deprecando "la gravità dello scandalo contro la morale cristiana e contro l'integrità della famiglia", confidando che negli estremi momenti vi sia stato il desiderio di riparare. Il giudizio complessivo rimane immutato in articolo rievocativo pubblicato sul numero successivo di Stadium, e poi ancora in un altro pubblicato ad un anno dalla morte: il campione è stato grandissimo, immenso, e se l'uomo alla fine ha sbagliato merita comunque pietà e cristiano perdono. Per il Csi il modo migliore per ricordarlo - scrive Stadium - è invitare i propri atleti ad elevare al Cielo una preghiera. 13


Nuove linee per la formazione CSI

Il dovere dell'efficienza Tante idee e tanti nuovi strumenti per avere operatori - dirigenti e tecnici - sempre più preparati: la Convention della formazione Csi, che si è svolta a Trevi il 22-24 gennaio, ha prefigurato una vera rivoluzione del sistema formativo dell'associazione. Obiettivo: operatori che sappiano gestire al meglio le loro responsabilità.

di Andrea De Pascalis

resentate alla Convention di Trevi, alla metà di gennaio, le linee portanti della nuova stagione formativa. Tecnologie e strumenti anzitutto: serviranno a concretizzare il progetto degli albi nazionali, che certificheranno le competenze acquisite dalle varie figure di operatori, albi che in questo 2010 diventeranno sempre più realtà e che viaggeranno all'insegna dell'efficienza grazie alla procedura Skynet, una piattaforma multimediale che permette di registrare praticamente in tempo reale il percorso formativo di allenatori, arbitri e dirigenti nel momento stesso in cui esso diviene un fatto compiuto. C'è stato anche molto altro in ballo a Trevi. Vittorio Ferrero ed Eugenio Imperatori, direttori della SNAD (Scuola Nazionale Dirigenti) insieme a Rossella Graziano e Beppe Basso, direttori della SNES (Scuola Nazionale Educatori Sportivi), si sono presentati alla Convention sottoponendo alla platea alcune proposte innovative, tra le quali in prima linea la Scuola Associativa di

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Base (SAB), destinata a formare i nuovi dirigenti di società sportive e di comitato. Si tratta, ai due diversi livelli, di mettere in grado gli operatori di gestire al meglio le loro responsabilità, navigando con sapienza nel sistema sportivo italiano, ormai complesso anche a livello di base, e non solo sul piano normativo. Esigenza insopprimibile poi è imparare a darsi obiettivi e strategie perfettamente calate nella filosofia del Csi, che vede nello sport uno strumento per operare nel sociale. Ed ecco che nei programmi futuribili della SAB fa capolino l'addestramento a diventare soggetti di politica sportiva e di cittadinanza attiva sul territorio, in un rapporto propositivo con le istituzioni civili e sportive nonché con le comunità ecclesiali. Ad un livello superiore si colloca la proposta di una Scuola Associativa di Specializzazione (SAS), con corsi di livello interregionale o nazionale, cui potrebbero aggiungersi master per presidenti e collaboratori di comitato territoriale: cultura associativa, gestione

delle risorse umane e finanziarie, progettazione sociale e sportiva, comunicazione e politica sportiva tra le materie individuate. Il pensiero di massima è rivolto alla realizzazione di un sistema di formazione associativa continua, improntato su una successione di livelli, che dia azioni di sostegno e strumenti a chi si cala nel difficile ruolo di operatore Csi. A latere del rinnovamento del sistema, a Trevi si è discussa anche la realizzazione di sussidi specificamente pensati per gli iscritti ai nuovi corsi di formazione, sussidi che esprimano il progetto culturale del Csi, per il quale lo sport è anzitutto il "luogo" dove devono incontrarsi i bisogni formativi del ragazzo e l'intenzionalità educativa dell'adulto, e dunque non può consistere in una semplice sequenza di gesti tecnici da apprendere o di tempi e misure da realizzare, ma deve mettere in campo qualcosa in più: un'anima, una passione, una capacità particolare di essere luogo di relazioni significative.



L'osceno delle bestemmie ed il linguaggio dei segni

Io parlo catalitico Dopo l'invito del Presidente del Coni, Gianni Petrucci, il calcio ha deciso di dire basta alle bestemmie in campo: d'ora in avanti per gli eventuali trasgressori scatterà il cartellino rosso, ma sono possibili sanzioni anche successivamente grazie alla prova Tv. di don Alessio Albertini l provvedimento è stato preso per arginare un fenomeno che non si riscontra solo sui campi dei grandi campionati professionistici ma purtroppo anche nelle squadre di ragazzini, anche nei campionati di campetti di periferia. In molti hanno sottolineato che non è certo con la repressione che si risolvono i problemi. La regola, qualunque essa sia, sembra essere una limitazione alla propria libertà. Tuttavia ogni regola diventa anche la possibilità di far crescere e permettere una reale convivenza. È la sua paradossalità: da una parte proibisce ma dall'altra consente il divertimento. Senza regole precise e chiare il calcio non sarebbe un'occasione di festa, gioia e soddisfazione per coloro che lo praticano. La proibizione della bestemmia non è dettata esclusivamente dal rispetto religioso ma dalla convinzione che un'espressione tale rende osceno chi la pronuncia e il gioco stesso. "Osceno" nel senso di fuori dalla scena, estromesso dal contesto, fuori luogo e proprio per questo incapace di abbellire quello che dovrebbe essere il gioco più "bello" del mondo. Questo per alcuni motivi. Primo perché, spesso, la concitazione della gara, l'affanno agonistico, la presenza di un trauma sembrano attenuanti o giustificazioni per un parlare immorale. Si dovrebbe avere più coraggio per riconoscere che un gol mancato, un tiro sbilenco, una papera impossibile, un fischio errato non sono niente altro che un semplice limite di cui è dotato un atleta. Non è colpa di nessuno

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se il gesto atletico è compiuto da un essere umano che, pur ricco di invidiabile talento, è dotato anche di margine di errore. Fa parte dello scenario sportivo. Neppure è giustificabile lanciare improperi per rendere meno doloroso un tackle o una gomitata. Giustificato il richiamo dell'arbitro, il dolore ricorda a tutti che siamo fatti in carne ed ossa e che il ghiaccio spray o l'antica spugna imbevuta d'acqua leniscono di più la sofferenza che un improperio rivolto verso il cielo. Una giocata spaventa di più un avversario che un urlo misto a un falso religioso. C'è una seconda ragione che rende "osceno" il nominare il nome di Dio invano durante una partita ed è il ridurre la sua invocazione a una sorta di formula magica. Il giorno che si scoprisse che il nominare Dio non è invano perché risponde e sembra funzionare, il calcio si troverebbe davanti ad un ulteriore aiuto non consentito. Come il doping, le plusvalenze, i passaporti, le combine… tutte cose che non permettono ai giocatori di combattere ad armi pari, di mettere in mostra le loro vere capacità. È come trovare un aiuto dall'esterno, non permesso. Si rischia di non stare dentro il lecito. Ci sarebbe un uso esagerato di uno strumento che non è consentito. Perché cercare in alto quando sai che sei chiamato a dare il meglio di te stesso e devi contare sulle tue capacità? Qualcuno ha precisato che non si fa per cattiveria, per malizia ma semplicemente per abitudine, per vizio. Forse è più inquie-

tante perché impossibile da estirpare. Allora una semplice domanda: in un tempo in cui si parla tanto di tolleranza come capacità di accoglienza della diversità, d'integrazione dello straniero, di convivenza con chi è diverso da noi, non varrebbe la regola del rispetto di chi credente lo è, magari per davvero? Ultimamente la televisione con tutte le telecamere disposte lungo il terreno di gioco è diventata una sorta di passatempo enigmistico per indovinare la lettura del labiale. Se ciò non bastasse anche i microfoni appostati in zone strategiche, rendono meno complicato il lavoro a chi non ha ancora la capacità di interpretare il linguaggio dei segni. Sembra che non scappi nulla. Intanto, però, ci scappano le parole più belle. Nell'era della comunicazione digitale siamo diventati bravi ad abbreviare le parole che riempiono di emozione e abbiamo trasformato in segni ciò che è capace di scaldare il cuore. Così "ti voglio bene" è diventato tvb, i baci si racchiudono nelle x, le parentesi sostituiscono i sorrisi… Non varrebbe la pena pronunciare per intero i vocaboli che rendono bella la vita e cominciare ad abbreviare ciò che la imbruttisce fino a coprirlo con un'enorme X? Stiamo pur certi che non è invocando il cielo che Lui ci guarderà. È già impegnato a sorriderci nel vedere che ce la mettiamo tutta, giochiamo lealmente e stringiamo la mano all'avversario. Lo dice anche il Salmo: "Se la ride chi abita nei cieli".


FISCALE

Gli obblighi contabili delle ASD La rendicontazione delle Associazioni Sportive Dilettantistiche alla luce del recente provvedimento EAS.

di Francesco Tramaglino Terminato il ciclone "EAS" che non più di due mesi fa ha tenuto in uno stato di apprensione e incertezza i dirigenti di molti sodalizi sportivi, il mondo dello sport dilettantistico è tornato al suo abituale stato di torpore nei confronti delle tematiche amministrative. In questa fase "sonnacchiosa" che si alterna a quella ben più adrenalinica vissuta in chiusura d'anno, sono in molti però a chiedersi quale sarà l'impatto finale del provvedimento sugli accertamenti fiscali, che il comparto sportivo subirà di qui a venire. Il problema degli adempimenti contabili (leggasi tenuta delle scritture contabili e redazione del rendiconto annuale) delle ASD si pone in tutta la sua urgenza per un duplice ordine di motivi: a) la Legge obbliga le ASD alla redazione del rendiconto annuale a carattere economico e finanziario ma nulla dice espressamente in ordine alle modalità (partita doppia? partita semplice? rilevazioni solo economiche?) con cui le scritture vanno tenute. Su dubbi e perplessità varie, una certezza domina incontrastata: la contabilità della ASD, qualunque sia il metodo adottato, deve evidenziare con chiarezza e trasparenza che l'eventuale avanzo di gestione non sia stato distribuito direttamente né indirettamente ai soci o ai terzi e che sarà interamente investito nella attività statutaria del club; b) la dichiarazione EAS, anche nel formato semplificato, previsto per il mondo delle ASD riconosciute dal CONI, ha imposto ai sodalizi di dichia-

rare l'oggetto dell'attività sociale (sport dilettantistico) e la tipologia di attività svolte per il conseguimento del medesimo (organizzazione eventi, formazione, gestione impianti ecc.). Pertanto la contabilità delle ASD dovrà evidenziare (separandole) le attività di tipo statutario - denunciate ai fini EAS - escluse dall'applicazione delle imposte, e tutte le altre attività che, al contrario, dovranno gravitare nei registri IVA ed essere quindi assoggettate ad imposta. Ma in concreto gli operatori del settore come si comportano? I sistemi adottati variano da forme estremamente semplificate di contabilità (semplice conservazione di scontrini, fatture, ecc.) sino all'adozione dei metodi più sofisticati (contabilità in partita doppia con adozione del principio di competenza) che dipendono sovente dalla dimensione delle associazioni, dalle risorse a disposizione e dal grado di cultura amministrativa dei preposti (quasi sempre semplici volontari). Sarebbe interessante poi apprendere il punto di vista espresso dalle istituzioni contabili: secondo il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti non v'è dubbio che le aziende no- profit debbano adottare i sistemi contabili delle aziende private, redigendo la contabilità per competenza e in partita doppia. Secondo l'Agenzia delle Onlus, decisamente più possibilista, le associazioni di piccola e media dimensione (fino a 100.000 euro di volume d'affari) possono invece approcciare la ben più semplice ed intuitiva contabilità tenuta secondo il principio di cassa, evitando

al contempo le scritture in partita doppia.

Il parere del fiscalista Anche l'ufficio fiscale del CSI, attento alle esigenze di correttezza fiscale del proprio circuito, ma anche a quelle di semplificazione burocratica, propende per la contabilità di cassa che, nel caso delle associazioni è un sistema naturale oltre che intuitivo. Spieghiamo meglio. Esso si fonda su un principio di base: entrate e uscite vanno rilevati solo al momento del concreto incasso/esborso indicando altresì la modalità dell'incasso o del pagamento (cassa, banca, posta, ecc.) , né prima né dopo. Se, alla chiusura dell'esercizio, sussistono costi non pagati (es. fatture, bollette ecc.) o quote non incassate se ne terrà conto in bilancio, in sede extracontabile come debiti/crediti. Con lo stesso criterio si omette il calcolo di ratei, risconti o ammortamenti, rimanenze e qualsiasi altra scrittura di rettifica o integrazione. L'inventario di fine anno, allegato al bilancio, darà conto del valore di beni durevoli di scorte e di rimanenze di servizi. È un sistema semplice, non certo idoneo a rappresentare la situazione di enti molto grandi o con attività complesse. Ma per la stragrande maggioranza delle associazioni sportive è sicuramente il modo più organico e coerente di tenere una contabilità ordinata e ciò è anche quanto a cuore alle autorità fiscali.

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COMUNICAZIONE

Direttori e giornalisti a confronto per dare valore allo sport più vero

"Un giornale solo di “buone notizie” Nella comunicazione sportiva l'unico mezzo per aprire la via al "Giornale di solo buone notizie" è imparare a scegliere, sacrificando le storie che attraggono i lettori per privilegiare quelle che danno un segnale positivo, che dimostrano come superare le problematiche, ad esempio legate alla disabilità e a coltivare un'alternativa. Una scelta che può essere realizzata anche attraverso il linguaggio, enfatizzando la positività ed abolendo tutti quei termini che offendono le minoranze, le diversità, le fragilità o che possono istigare alla violenza. di Felice Alborghetti

"Non pensate che noi giornalisti abbiamo qualche torto nell'occuparci solo delle vite sbagliate, trascurando i tanti esempi positivi che la cronaca ci offre? Certe volte mi viene voglia di fare un giornale fatto solo con belle notizie". Candido Cannavò 'esigenza del grande Direttore della Rosea di varcare un'ulteriore frontiera nel modo di fare giornalismo, attraverso una comunicazione capace di trasmettere fino in fondo anche i valori positivi dello sport, è l'idea che ha ispirato il Centro Sportivo Italiano nel proporre un momento di

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Da sinistra: Calathopoulos, De Paola, Verdelli, Achini, Cucci, Cucchi

riflessione su temi di ampio respiro in ambito sportivo. Il tentativo che si vuole portare avanti oggi è quello di confrontarsi su come far risaltare anche le "buone notizie": un percorso non semplice ma affascinante nella sua difficoltà. Il Forum tenutosi a fine gennaio, presso la Sala Montanelli del Circolo della Stampa a Milano, è nato dalla volontà di riscoprire il codice etico della comunicazione dello sport in una chiave autentica, contro la facile strumentalizzazione cui spesso si ricorre per presentare le notizie sportive all'opinione pubblica. La figura di Candido Cannavò è stata al centro di tutta la mattinata ed è stata ricordata anche da Paolo De Paola,

direttore di Tuttosport, che ha descritto il contatto con le "buone notizie" come una sorta di oasi, un momento di sollievo dalla frenesia ansiogena della realtà quotidiana e, per questo, ha invitato i colleghi ad uscire dalla polemica a cui sono abituati per raccontare non solo lo sport in maniera diversa, ma soprattutto le emozioni diverse che lo sport è in gradi di regalare. Nicola Calathopoulos ha definito il "Giornale di solo buone notizie" come una meravigliosa utopia, che porta però con se un messaggio morale e filosofico di grande significato. L'occasione, ha suggerito il vice direttore di Mediaset Sport, potrebbe essere la candidatura dell'Italia agli Europei 2016, che potreb-


be portare ad una sostanziale modifica degli stadi di calcio, con l'abbattimento delle barriere e la loro smilitarizzazione, che sarebbero un'opportunità per iniziare un percorso di educazione sportiva. Riccardo Cucchi, che ha recentemente festeggiato i 50 anni di "Tutto il calcio minuto per minuto" ha voluto immagi-

nare di accendere la radio ed ascoltare questa notizia "Splendida rete di Balotelli a Torino, che strappa l'applauso spontaneo della curva juventina". Cucchi ha sottolineato la necessità di impegnarsi per mettere a fuoco le buone notizie, non nascondendo le cattive, ma imparando a considerare le prime con pari dignità rispetto alle

seconde. Italo Cucci, ha testimoniato le sue numerose esperienze in tutti i settori del giornalismo sportivo, concludendo che per portare a galla gli aspetti positivi legati alla pratica sportiva sarebbe sufficiente che i giornalisti fossero competenti ed informati, obiettivo meno scontato di quello che si potrebbe pensare.

L'intervento di Carlo Verdelli direttore della Gazzetta dello Sport Candido non amava i paradossi. Per cui quando pensava a un "giornale solo di buone notizie", lo pensava sul serio. Confessò questa sua idea a don Gino Rigodi, forse ne accennò anche a me. "Ho in testa un giornale senza le lordure, le miserie cui ci siamo abituati, assuefatti, un giornale fatto di speranza e di speranze, un giornale per spiegare ai tanti giovani indolenti di oggi che si può, si può eccome, ecco come si fa…". L'idea che c'era dietro era quella di un giornale edificante ed educativo, pieno di atti generosi, bei gesti, esempi da imitare. Un giornale a prima vista impossibile, perché è impossibile separare la realtà come il mar Rosso, di qui le cose buone, di là le cattive. Quasi sempre un fatto, sportivo o no conta poco, ha in sé entrambe le componenti, con sfumature diverse, misture differenti, alchimie variabili. Ma al di là della praticabilità o meno del progetto, resta il fatto che Candido credeva ancora, nonostante le infinite controprove, nella fondamentale bontà dell'essere umano. L'ambito da cui partiva era naturalmente lo sport, essendo lui essenzialmente un uomo di sport, che però non vedeva questa dimensione come un limite ma, anzi, come un osservatorio privilegiato per guardare e imparare il mondo. Questo è il brodo di cultura in cui si forma l'uomo e il professionista Cannavò. Da qui parte per avventurarsi nella nuova frontiera, che caratterizzerà la seconda parte della sua carriera, quando smette di fare il direttore

Cannavò diventa amico di tutta questa umanità fuori dai riflettori, comincia a infilarla anche nei suoi pezzi quotidiani sulla Gazzetta, tifa per loro spudoratamente, e insegna, a noi della Gazzetta, che il mondo dello sport può benissimo comprendere anche loro, anzi può e deve averli come esempio: di sacrificio, di ostinazione, di umiltà e di tutte quelle cose, quei sentimenti antichi, che spesso lo sport di oggi sembra avere perso.

Lo sport è una lingua, che ha la sua grammatica e le sue regole, e che ha il vantaggio, incommensurabile, di essere una delle poche lingue che i giovani, la gran parte di loro, padroneggiano. Portarla dentro alla scuola significa gettare un ponte con le nuove generazioni, mettersi in comunicazione con loro, trovare un terreno comune di possibile scambio. Solo così, comunicando in una lingua comune, può venire tutto il resto. Solo così si può immaginare un percorso educativo profondo. Perché lo sport non è solo svago e scarico. Lo sport è cultura, lo sport insegna a convivere meglio col proprio corpo e con gli altri, lo sport insegna il rispetto delle regole e il rispetto dell'avversario, lo sport, che dio mi perdoni, vale di più, nella formazione di un ragazzo, di un canto di Dante (o diciamo, che dio mi perdoni lo stesso, non vale di meno).

In questo anno di sua mancanza, mi sono chiesto tante volte come avrebbe commentato questo o quel fatto, che peso gli avrebbe dato, che arrabbiatura gli avrebbe fatto prendere. Sono abbastanza sicuro che il Mourinho dell'altra sera, quello che ha evocato chissà quale complotto contro l'Inter, l'avrebbe mandato fuori dai gangheri. Come sono altrettanto sicuro che l'introduzione dell'Istruzione motoria alle elementari (finalmente, era ora!) gli avrebbe fatto scrivere un evviva temperato: bene, ma non lasciate, voi Coni, voi responsabili dell'Istruzione, che sia soltanto un pannicello caldo su una situazione che è tra le peggiori d'Europa.

È una buona notizia, più sport nelle scuole, che entrerebbe di filato nel giornale immaginato da Candido. Ma subito appresso ci sarebbe il corollario indispensabile di un avviso ai naviganti: sì però fate sul serio, sì però metteteci davvero soldi, strutture e passione, si però non accontentatevi di questo primo passo. Ma a furia di "però" si rischia di uscire dal giornale di sole buone notizie. A dimostrazione del fatto che ogni buona notizia, come ogni persona, ha incorporata un'ombra, ed è impossibile, almeno per noi cinici, pretendere di separla del tutto. Ma Candido, sono sicuro, mi perdonerà di non avere la capacità di intendere e di volare che aveva avuto in dono lui.

della Gazzetta e si inventa una strada parallela, che lo porta a cercare il contatto con altri mondi (il carcere, i pretacci, i disabili) dei quali inevitabilmente si innamora, catturato da storie umane di sofferenza e reazione alla sofferenza, di valori e del tentativo quotidiano di metterli in pratica, di cadute anche rovinose e di voglia poderosa di riscatto.

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ell'anno dei Mondiali di calcio in Sudafrica, la Chiesa non fa mancare il suo esempio e la sua testimonianza per uno sport pulito, al servizio della vita. Sabato 20 febbraio sui campi del Pontificio Oratorio di San Pietro mons. Paganini ha dato il calcio d'inizio alla quarta edizione della Clericus Cup, il campionato di calcio per sacerdoti e seminaristi dei collegi pontifici, organizzato dal Centro sportivo italiano (Csi), con il patrocinio del Pontificio Consiglio per i Laici, dell'Ufficio Nazionale per la pastorale tempo libero, turismo e sport della Conferenza Episcopale Italiana e della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport.

Clericus Cup: N Gloria al Mater di Felice Alborghetti Redemptoris ed Ecclesiae sono già le uniche a punteggio pieno nei rispettivi gironi. Le due sole vincitrici nelle edizioni precedenti sono partite fortissime. Dopo le tante polemiche sulle bestemmie in campo, sabato 20 febbraio è partita la quarta edizione del campionato pontificio di calcio per sacerdoti e seminaristi. Nell'anno dei Mondiali, il torneo vaticano vuole essere preludio e preparazione alla gioia dello stare insieme di "South Africa 2010". Sedici le squadre partecipanti divise in due gironi. In campo ogni sabato e domenica fino al 25 aprile. Il 22 maggio la finale. 20

In campo le prime due giornate di gara hanno messo in mostra le solite note, Redemptroris Mater e Mater Ecclesiae, che seppure con qualche affanno hanno portato a casa sei punti in due partite. Digiuno ed astinenza di gol invece per il Collegio Anglo Celtic United e per il Collegio Urbano. Una via crucis finora per i rispettivi allenatori Fabio Lopez (ex tecnico nella serie A


lituana) e per don Emile Dibongue (vicerettore del Collegio Urbano). L'Università Gregoriana rappresenta invece la più bella novità nel lotto delle sedici squadre partecipanti. Anche l'undici messicano sembra rinforzato rispetto ad un anno fa. Sarà una bella stagione a giudicare dal buon inizio del torneo, in campo e fuori. Sugli spalti la sorpresa è rappresentata dalla presenza di molte suore. Le "hermanas", presenti per sostenere i propri beniamini. Le più tifose sicuramente quelle del Pio Latinamericano, capaci di inventarsi una bella coreografia verso la propria squadra e di unirsi anche nei cori con i tifosi avversari. Ci sono poi quelle del S. Anselmo, sono quelle in servizio al collegio spagnolo, che ha molti giocatori nella squadra dell'Aventino. E ancora quelle paoline o brasiliane. I seminaristi statunitensi sono invece i più curiosi e colorati. Ogni sabato una maschera diversa: da Superman a Batman, dallo Zio Sam a Capitan America. I Supereroi insomma sono fuori dal campo, anche se nel rettangolo verde i Nackers non amano affatto la parola sconfitta.

si dell'Anglo-Celtic Colleges United (squadra che trova in rosa oltre ai seminaristi del collegio irlandese, quelli del Collegio Scozzese, del Venerabile Collegio Inglese, e del Collegio Beda). È finita con un "Gloria al Padre", tutti insieme a centrocampo, fra i verdi d'Irlanda e i bleus d'Oltralpe. Tanti abbracci ed un "Thank You" d'accento transalpino consolatorio, pronunciato dai seminaristi del PSG, quasi in segno di scuse, sotto al Cupolone di San Pietro. "La Francia aveva un debito con l'Irlanda, lo abbiamo ripagato noi oggi alla Clericus Cup". dice il seminarista francese, di Thionville, Thomas Weber, difensore e capitano del Pontificio

Seminario Gallico, al termine della gara d'esordio dei galletti francesi, persa ai rigori. Nessuna mano in aiuto dei francesi, stavolta. La rivincita per i seminaristi "irish" dell'Anglo Celtic, la formazione che unisce sportivamente (potere esclusivo del calcio religioso) scozzesi, irlandesi ed inglesi sotto un unico team, arriva dal dischetto. Dopo i regolamentari asciutti, con i portieri mai impegnati ed una piccola occaione per parte con Poidevin e lo scozzese Clarke, ecco così il 3-0 dagli undici metri per i verdi dello United. Il portiere scozzese Anthony Fionda che ne para tre ai transalpini e la soddisfazione del mister della squadra del Regno Unito, Fabio

Nel Mondiale pontificio l'Irlanda batte la Francia Sul campo della Petriana, quello con la tribuna "San Pietro", c'è stata subito la partita "pacificatrice" tra i francesi del Pontificio Seminario Gallico e gli irlande-

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I campioni in carica del Redemptoris Mater Lopez, italianissimo, con dei trascorsi da allenatore professionista nella serie A lituana. "Due punti meglio di niente, ma servono rinforzi". Dopo le scuse e le strette di mano iniziali, parole benedette anche quelle del sacerdote irlandese Billy Swan, felice per il riscatto odierno: "molti francesi hanno provato vergogna dopo il gesto di Henry e i tifosi dell'Eire sono rimasti delusissimi per quella grande ingiustizia. La vittoria di oggi nel Mondiale vaticano ci ripaga un po'". Gli errori fatali ai bleus all'ombra del Cupolone sono stati del congolese Crispin Mbumba, di capitan Weber ("desolè" verso i compagni dopo l'errore) e del "parisien" Antoine Roland Gosselin. Sarà contento il vecchio caro Trap, tifoso a distanza dei verdi oltre che degli italiani. Aveva detto infatti in apertura del torneo: "La Clericus Cup è una bella iniziativa, in uno spirito che è quello della fratellanza e che anima i valori del sacerdozio. Allenare la Nazionale vaticana? È vero me lo hanno chiesto. Adesso sarò per qualche giorno ancora in Irlanda, ma quando andrò in pensione, sì che mi piacerebbe". Nel Mondiale vaticano, più messicani Nel 2010 si conferma l'internazionalità della Clericus Cup: con i 373 giocatori 22

partecipanti sono rappresentati tutti i cinque continenti del pianeta, per un totale di 65 nazioni. Rispetto alla scorsa edizione diminuiscono gli italiani (45), che in numero vengono superati dai calciatori del Messico (49 giocatori). Seguono Brasile (24) e Usa (21). Tra gli atleti della Clericus Cup 2010 anche 4 giocatori di Haiti, 1 libanese, 1 maltese, 1 panamense, 1 vietnamita, 1 giocatore del Lesotho, paese nel cuore del Sudafrica, che a giugno ospiterà i Mondiali di calcio. Missione Sudafrica Il 22 maggio, con la finale della Clericus Cup, il campionato di calcio vaticano passerà il testimone proprio ai Mondiali di Sudafrica 2010. La speranza è che il campionato per sacerdoti, il cui inizio quest'anno coincide proprio con l'inizio della Quaresima, suggerisca a tutti un momento di riflessione e di presa di coscienza dell'autentico valore educativo del calcio, al di là di ogni violenza. Nell'anno dei Mondiali alla Clericus Cup non poteva mancare anche il sentito pensiero del cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, in una lettera inviata agli organizzatori: "Il Sudafrica ha l'onore quest'anno di accogliere la Coppa del Mondo di Calcio, per la prima volta nel continente africano. Un'occasione per

evidenziare l'importanza che lo sport riveste nella cultura moderna, all'insegna della pazienza, della perseveranza, del rispetto. A questo proposito la Clericus Cup è un fulgido esempio dell'attualità di questi valori e dell'opera di una Chiesa vitale". Le squadre Invariata la formula del torneo vaticano rispetto alle precedenti edizioni: due gironi di qualificazione, composti ciascuno da otto squadre, partite ogni sabato e domenica dal 20 febbraio fino al 25 aprile, interrotte, ovviamente, nella domenica delle Palme e nella settimana di Pasqua. Nel girone A figurano i campioni in carica del Redemptoris Mater (due scudetti nel 2009 e nel 2 0 0 7 ) , Collegio Sant'An selmo, Pontificio


Seminario Gallico, Anglo-Celtic Colleges United, Collegio Brasiliano, Pontificio Collegio San Paolo, Istituto Polacco e i lanciatissimi North American Martyrs (autori di prestazioni sempre in ascesa nelle tre precedenti edizioni Clericus Cup: 4° il primo anno, 3° il secondo, 2° nel 2009). Del girone B fanno parte Mater Ecclesiae (campione nel 2008), Collegio Messicano, Seminario Romano Maggiore, Guanelliani, Sedes Sapientiae, Pontificio Collegio Urbano, Collegio Pio Latino Americano e Pontificia Università Gregoriana. La Clericus Cup sul web, su Facebook e su TV2000 Novità telematica per la Clericus Cup 2010, che quest'anno disporrà di un sito web dedicato all'indirizzo www.clericuscup.it. Video, immagini, rassegna stampa, regolamento di gioco, classifiche, calendari e tutte le news dai campi del campionato di calcio vaticano: un portale al servizio degli addetti ai lavori e dei semplici appassionati. Per i fan dei social network, quest'anno la Clericus Cup si trova anche su Facebook, con foto, news sulla Clericus Cup e post in bacheca firmati dai sacerdoti-calciatori. Anche in questa edizione del Mondiale vaticano Tv2000, la tv della Cei, dedi-

cherà al torneo un'ampia parentesi ogni sabato nel corso della trasmissione Sport2000 con immagini, interviste, classifiche e le anticipazioni sulle partite domenicali. Gli sponsor Main sponsor della Clericus Cup 2010 è a2a, azienda di vendita e distribuzione di elettricità e gas. Le divise e i palloni del campionato pontificio saranno forniti quest'anno dallo sponsor tecnico Macron, mentre farmaci e strumenti per gli interventi di pronto soccorso in campo saranno messi a disposizione dall'azienda farmaceutica Bouty. Accanto alla Clericus Cup ci saranno anche Cortesi srl (società di trasporti e traslochi), Fondo Est (fondo di assistenza integrativa per i settori del ter-

ziario e del turismo) e GPA Wide Group (azienda operante nell'ambito assicurativo).

Da sinistra: Abete, Achini, Clemens, Paganini


EVENTI

In otto città italiane

Un sogno chiamato Gazzetta Cup 2010 Bari, Roma, Milano, Napoli, Reggio Emilia, Torino, Catania, Padova da aprile ospiteranno la più importante manifestazione di calcio a 7 giovanile nazionale. Otto fasi cittadine, 15mila ragazzi partecipanti, 1400 squadre e più di 2500 incontri: questi i numeri della seconda edizione del torneo rivolto ai ragazzi dai 9 ai 13 anni. di Felice Alborghetti

Il Mondiale che vorrei Ogni fase interna del torneo vedrà fuori dal campo un'iniziativa collaterale dal nome "Il Mondiale che vorrei". Di cosa si tratta? I giovani calciatori saranno invitati a realizzare un lavoro cartaceo, immaginando, mettendo così in gioco tutta la loro fantasia, uno slogan o un disegno con cui descrivere il loro ideale campionato del mondo. Da ogni fase interna ne verrà prescelto uno, che andrà ad essere valutato durante le successive fasi cittadine. I due migliori lavori (uno per categoria) finiranno sui tavoli della redazione della Gazzetta dello Sport, dove una giuria di esperti eleggerà i vincitori. Una squadra young ed una junior vinceranno allora anche fuori dal rettangolo verde. Per loro in palio c'è un viaggio-soggiorno a Coverciano per un Clinic tecnico giovanile.

Partirà ufficialmente il primo aprile la seconda edizione di Gazzetta Cup, il torneo di calcio a 7 rivolto ai ragazzi dai 9 ai 13 anni (categorie junior e young) ed organizzato dal noto quotidiano sportivo in collaborazione con il Centro Sportivo Italiano. Padrini d'eccezione

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della conferenza stampa di presentazione, il 1° marzo a Milano presso la sala Indro Montanelli, c'erano Davide Santon e Luca Antonini, i giovani difensori di Inter e Milan, che hanno raccontato le loro prime esperienze calcistiche e risposto alle tante domande dei pic-

coli atleti presenti in sala. Il torneo calcistico si svilupperà attraverso varie fasi: Fase interna Dall'1 aprile al 16 maggio saranno organizzati tornei di qualificazione sul territorio per le due categorie, Junior


(1997/1999) e Young (1999/2001). Accedono alla "Fase cittadina" le migliori squadre delle "Fasi interne" fino a 16 squadre per categoria.

no indimenticabile per le 16 squadre qualificate, ogni città infatti parteciperà con due squadre (una per

Fase cittadina Le "Fasi cittadine" verranno disputate il 30 maggio a Bari, Padova, Reggio Emilia, il 6 giugno a Torino, Milano, il 13 giugno a Catania, Roma, Napoli. Verranno dunque coinvolte, in ogni città, 32 squadre (16 per categoria) che si contenderanno l'accesso alla Finale Nazionale. Fase nazionale Si svolgerà a settembre e sarà un gior-

categoria) che arriveranno a vivere una giornata all'interno del Centro Tecnico Federale di Coverciano, location della Finale di Gazzetta Cup. Partecipare è semplicissimo. È sufficiente cliccare sul sito www.gazzetta.it/gazzettacup facendo pervenire il modulo d'iscrizione, sia individualmente sia per gruppi di persone, oppure inviando la richiesta via mail o via fax al Comitato territoriale del Csi di riferimento. Tutti i ragazzi che amano il calcio, i valori sani e puri dello sport, il divertimento e lo spirito di aggregazione stiano dunque attenti perché sarà possibile iscriversi sino al 1° maggio e le iscrizioni in costante crescita rischiano di far appendere il cartello "sold out" agli organizzatori.

Intervista a Luca Antonini di Giulj Picciolo

Qual è il primissimo ricordo che hai del calcio? Mi ricordo perfettamente i primi tiri al pallone dati insieme ai miei amici nel cortile di mia nonna. Potevo avere 4 anni e volevo solo giocare a calcio. Com'è iniziata la tua "avventura" nel mondo del calcio professionistico? Ho cominciato nella squadra del paese, a Borgonuovo. Lì un osservatore del Milan mi ha visto e mi ha chiesto di fare un provino. Così a 7 anni sono andato al Milan e ci sono rimasto fino a 19. Poi ho cominciato a girare per tutta Italia, anche se mi mancava troppo casa. Sono di Milano e giocare qui per me è tutto ciò che potevo desiderare. Quali sono le esperienze fuori

dal Milan che più ti hanno aiutato a crescere professionalmente? Sicuramente la primissima esperienza a Prato in C1 nel 2001 e poi ad Empoli con l'esordio in coppa Uefa. Mi hanno aiutato a crescere sia professionalmente sia umanamente. Il calcio è sinonimo di divertimento, ma anche di sacrificio, soprattutto quando si deve conciliare allenamenti e scuola. Sicuramente. Mi ricordo quando andavo al liceo, mi svegliavo la mattina presto e fino a sera non rientravo a casa. Dovevo ricavarmi gli spazi per studiare. Ma se hai voglia, lo fai con passione, riesci ad andare avanti e non mollare. Ed oggi sono soddisfatto anche del mio diploma di maturità scientifica.

Speri in una convocazione nella Nazionale e di partecipare ai Mondiali? Tutti i calciatori sognano e sperano di essere convocati e di giocare nella propria nazionale. Mi piacerebbe ovviamente andare ai mondiali e anche se rientro da un infortunio, sono sempre pronto per una telefonata di Mister Lippi. Qual è il tuo consiglio per i ragazzi di "Gazzetta Cup" e per tutti quelli che giocano a calcio e vorrebbero un giorno diventare come te? Divertitevi e vivete il calcio come un momento di gioco. C'è tanto tempo, perché il calcio possa diventare un lavoro. Ma se ci credete, i sogni come il mio, si possono avverare.

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SPECIALE ASSISI

Come consuetudine, Assisi ha ospitato nel primo week-end di dicembre 2009 il meeting di fine anno del CSI. Al centro dei lavori una questione di importanza fondamentale per il futuro: come realizzare uno sport ancora più ricco di senso, che contribuisca alla costruzione del bene comune. Per coloro che non erano presenti riproponiamo i momenti più significativi dell'evento.

di Andrea De Pascalis

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All'appuntamento con la storia


ome pellegrini messisi in viaggio tra sogni, ideali e grandi mete. Questo, nelle intenzioni del presidente nazionale Massimo Achini, doveva essere lo stato d'animo più adatto per partecipare al meeting di Assisi del 5-7 dicembre 2009. E così è stato, con 700 tra dirigenti, tecnici e altri operatori associativi a dibattere un tema che si specchiava direttamente nel futuro: "Lo sport di oggi per l'Italia di domani. Il contributo del Csi alla costruzione del bene comune". Un tema significativo, perché centrato sulle "responsabilità" dello sport nei confronti della società. Si può continuare a pensare allo sport come "bene di rifugio", un'attività di divertimento estemporanea, o finanche un servizio offerto al mercato, oppure lo si può guardare come si afferma nello Statuto Csi - quale strumento per promuovere la crescita della persona e della collettività. Avvertire la responsabilità sociale dell'Associazione significa individuare le piste lungo le quali mettersi in viaggio, considerando il difficile momento attraversato da ampi segmenti della società italiana. Quello odierno - ha confermato Achini ad Assisi - è un Csi "atteso da un grande appuntamento con la storia". Tre gli obiettivi su cui impegnarsi nei

C

prossimi anni. La sfida educativa, anzitutto, che proclamata dalla Chiesa italiana come pista di lavoro per il prossimo decennio, chiama in causa doppiamente il Csi: in quanto associazione di ispirazione cristiana, che è di casa nella Chiesa, e in quanto organizzazione sportiva convinta che il fine autentico dell'attività sportiva giovanile non possa che essere l'educazione. Il Csi, pertanto, deve dedicarsi da un lato ad affinare i parametri educativi delle sue proposte, e dall'altro mettere con rinnovate energie la propria esperienza specifica al servizio di diocesi, parrocchie, altre associazioni. Secondo obiettivo: la partecipazione ad un processo di ricostruzione ideale del Paese, che trasformi l'Italia attuale, stanca e povera di speranza, in una comunità capace di credere ancora nel proprio futuro. Toccherà ai dirigenti Csi, quali laici impegnati nel servizio al bene comune, sforzarsi di partecipare alla costruzione della "città dell'uomo", testimoniando in prima persona il vangelo nella vita pubblica e incidendo con le proprie proposte, ai vari livelli, nello sviluppo di una politica delle idee, ma senza farsi coinvolgere nelle dialettiche dei partiti. Terzo obiettivo: lavorare per il futuro dello sport italiano, arricchendone il ruolo 27


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SPECIALE ASSISI sociale. È un "mestiere" che l'associazione ha sempre svolto nel corso della sua storia, formulando in più occasioni proposte poi divenute patrimonio dell'intero sport nazionale. Oggi il Csi, essendo seduto nella Giunta Coni, deve cogliere questa sua nuova posizione come una grande occasione da vivere al meglio, una sfida di grande responsabilità, per fare sì che lo sport, diventato stile di vita per milioni di cittadini, vada a costituire un'attività che arricchisca di senso la vita. E qui il discorso investe la politica istituzionale, chiamata a definire cosa si vuol fare circa questioni essenziali, quali il riconoscimento del diritto di ogni cittadino allo sport, il riconoscimento delle funzioni sociali dell'attività sportiva, natura e competenze dello sport per tutti.

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PENSANDO ALLA PROSSIMA STAGIONE Assisi 2009 ha proposto ai partecipanti anche un lavoro di approfondimento sui percorsi formativi e di attività sportiva in rampa di lancio. Sale stracolme; nove in tutto i laboratori tematici. Per riassumere, sono stati presentati due nuovi testi: "Dio salvi lo sport" e "L'allenatore in età giovanile" con i dati emersi dalle indagini effettuate presso allenatori e giovani atleti coinvolti nei progetti "Ragazzi in sport" e "Smettila di crederci". Spazio anche alle testimonianze concrete (Csi Modena e Csi Roma) sull'azione efficace del Csi a favore della promozione dello sport in oratorio e nelle parrocchie. Sono poi state presentate le iniziative formative rivolte ai dirigenti per il 2010: Master Giovani Dirigenti, Master Dirigenti, Scuola di Management Sportivo. Sul fronte dell'attività sportiva sempre

vivo ed acceso il dibattito sul nuovo testo regolamentare del Csi, entrato in vigore da inizio stagione, e l'impegno per qualificare l'attenzione educativa verso gli atleti sotto i 12 anni. Riunito anche il "Tavolo delle Regioni", coordinato da Eugenio Taglietti: i 20 presidenti regionali del Csi hanno discusso sulle strategie future, dalla valorizzazione delle risorse regionali, alle soluzioni ad hoc per le attività dei piccoli comitati fino agli appuntamenti del tour "Casa Comitato", che toccherà diverse sedi. Infine il workshop dedicato agli "Sport emergenti", meno diffusi nel Csi. Ecco spuntare l'universo del Beach Sport, l'insieme di giochi su sabbia, e il Dodgeball, la versione agonistica della palla avvelenata.


CSI SENZA CONFINI Si estendo l'impegno internazionale del CSI, con l'obiettivo ultimo di mettere in rete le esperienze e le proposte, fino a costruire un unico grande progetto nazionale

La parola d'ordine è "Un Csi per il Mondo". Il gruppo di lavoro sulle attività internazionali, che si è riunito ad Assisi, ha evidenziato in questo modo molto suggestivo l'approccio che intende dare alle…"politiche estere" dell'associazione. "Per il mondo", cioè prestando attenzione a riconoscere i bisogni di chi ha avuto meno e poi impegnandosi a restituire equità e giustizia. Ma "per il mondo" anche perché c'è voglia di essere presenti in realtà territoriali, sociali ed umane tra loro anche molto diverse, con una specie di vagabondaggio su tutto il pianeta. E se Camerun, Repubblica Centrafricana, Zambia, Brasile, Uruguay, Moldavia, Albania rappresentano il mondo lontano dove recarsi, non va dimenticato il mondo che è venuto a trovarci a casa nostra, nei centri di accoglienza per immigrati. Una ricchezza culturale, non solo numerica. I progetti in essere, infatti, non si limitano a voler prestare aiuto materia-

le, ma soprattutto si occupano di formazione degli operatori locali, con l'obiettivo di lasciare un'eredità permanente nelle persone e renderle autonome poi nella gestione dello sport. Il passaggio prossimo è mettere insieme tutte le esperienze del territorio, quelle illustrate ad Assisi e le tante che coinvolgono comitati, società sportive, singoli soci, per costruire un unico progetto "Csi per il Mondo", aperto a tutta l'Associazione e capace di coinvolgere tutti sui progetti in atto e su quelli che saranno realizzati in futuro. Per una commissione nazionale che andrà nascendo, due sono già al lavoro. Assisi, infatti, è stato momento di verifica e di programmazione anche per la commissione nazionale sport e disabili (è in cantiere un logo per caratterizzarla) e quella dedicata all'attività giovanile. "C'è grande impegno e voglia di fare" hanno espresso con soddisfazione i due rispettivi referenti, Anna Maria Manara e Gilberto Pilati.

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I SALUTI DELLE AUTORITÀ

MARIANO CROCIATA Segretario Generale della CEI Mi è gradito comunque farvi giungere il mio saluto, con l'incoraggiamento a continuare a rendere presente e collaborativa la testimonianza dei cristiani nella costruzione del bene comune. Proprio l'ultima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, nel 2007, dedicata al tema "Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano", nel documento finale individua tra le opportunità e i nodi critici "l'interconnessione tra fenomeni problematici quali la condizione giovanile, l'educazione e il lavoro, la famiglia". Sottolineando che proprio in virtù di questa significativa relazione "il bene comune non può essere perseguito attraverso la parcellizzazione di interventi settoriali" e indicando nella questione educativa, al centro dell'attenzione della Cei nel prossimo decennio, un campo in cui anche "le grandi agenzie educative - famiglia, scuola, associazioni - appaiono depotenziate". È importante, allora, rinnovare ed intensificare il contributo che l'associazionismo cattolico ha sempre generosamente offerto sotto il profilo formativo, così come nella promozione di valori solidali. Proprio per questo il rapporto-proposta "La sfida educativa" del Comitato per il Progetto Culturale ha messo tra le parole-chiave su cui focalizzare l'attenzione anche "sport". La disciplina sportiva include, purtroppo, molti segnali legati all'emergenza giovanile (violenza, doping, intolleranza, eccessiva mercificazione), ma offre anche grandi possibilità per incidere positivamente sulla crescita dei ragazzi. Sono convinto che la vostra storia, la vostra competenza, il vostro servizio, il vostro impegno contribuiranno, nella Chiesa italiana e nelle Chiese particolari, nella società tutta, a rilanciare l'attenzione al rapporto sport ed educazione quale nodo significativo per l'edificazione del bene comune. Voglia cogliere, Signor Presidente, il mio vivo ringraziamento per il lavoro e l'impegno del Csi e l'assicurazione di un particolare ricordo nella preghiera.

GIANNI PETRUCCI

Presidente CONI A nome personale, e del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, voglio rivolgere un sincero saluto al Centro Sportivo Italiano per questo apprezzabile meeting che si prefigge di trattare l'importanza dello sport per la socialità. Ad Assisi sarà certamente sviluppato il concetto di attività agonistica finalizzato alla realizzazione del bene comune, punto nevralgico proprio della dottrina della Chiesa. Attraverso la valorizzazione delle capacità umane si possono certamente affrontare e risolvere tematiche di rilevanza quotidiana, che affondano chiaramente nel sociale. Lo sport ha valori etici di grande contenuto, la loro applicazione favorisce l'aggregazione, il rispetto per il prossimo, la cultura della vittoria e del confronto, senza dimenticare la lealtà e la trasparenza. Sono grato al Presidente Achini per l'opera di sensibilizzazione, che ci permette di radicare concetti diventati punti di forza del nostro modo di intendere e di vivere e che proviamo a veicolare ogni giorno attraverso ogni organismo legato al mondo Coni. Ritengo quindi doveroso sottolineare la grande importanza nel difendere ed esaltare il sodalizio che lega sport e mondo cattolico nella costruzione di un qualcosa che aiuti la società a compattarsi intorno ad alcuni principi-guida lineari e sicuri, che fungono da supporto e da riferimento. Esiste un bene comune e va certamente difeso, anche grazie a iniziative come queste che vivono sull'onda emotiva di ideali condivisi. Il Csi rappresenta un punto di riferimento per tutti, un patrimonio di idee al servizio della gente. L'occasione mi è quindi gradita per inviare un incoraggiamento ai partecipanti, affinché perseguano con sempre maggiore convinzione e determinazione questo indirizzo così nobile ed efficace per la collettività. Certo che sia questa la strada per costruire un solido futuro, all'insegna del dialogo e della reciprocità con lo sport come fattore di unione e di crescita.

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RICCARDO AGABIO Presidente FGI Il tradizionale appuntamento di Assisi del Centro Sportivo Italiano è un'occasione imperdibile per tutti gli operatori della Promozione Sportiva e del Terzo Settore. Un'occasione di confronto dialettico sul processo di crescita del mondo dell'Associazionismo, in un comparto, quello dello Sport Italiano, che vive di dinamiche estremamente complesse. A cominciare dai rapporti con le Federazioni, che solo apparentemente, agli occhi dei non addetti ai lavori, possono sembrare in concorrenza nel progetto di valorizzazione delle attività motorie nel nostro Paese. La recente intesa tra la Federginnastica e il Centro Sportivo, dimostra l'esatto contrario. Grazie all'intuito e alla disponibilità del presidente Achini, infatti, abbiamo inaugurato, a Settembre, una fattiva collaborazione per la realizzazione di 20 eventi su tutto il territorio nazionale, durante quello che è stato definito, in riferimento alla stagione 2009/2010, "l'anno Csi della Ginnastica". L'obiettivo non dichiarato è quello di creare sinergie tra i nostri Enti e modelli di cooperazione riproducibili anche in altre discipline e contesti, con il fine ultimo di adempiere in pieno al mandato del Comitato Olimpico Nazionale, il principale sponsor di noi tutti. Il terzo pilastro dello Sport azzurro è rappresentato senz'altro dalla Scuola, con la quale il Presidente Petrucci sta portando avanti un dialogo costruttivo, i cui effetti si apprezzeranno, nella loro completezza, sui nostri figli. Mi auguro allora, nel salutare i partecipanti al meeting, che dalla discussione e dal confronto di Assisi escano ulteriormente rinforzate le fondamenta della nostra casa comune, perché, come predicava San Francesco, tutte le creature che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la sua natura, servono conoscono e obbediscono al loro creatore.

CARLO MAGRI Presidente FIPAV Cari Amici, quello appena trascorso per la nostra Federazione è stato un anno davvero ricco di appuntamenti e per fortuna di soddisfazioni. I successi della nostra nazionale femminile ai Giochi del Mediterraneo, alla Grand Champions Cup e soprattutto ai Campionati Europei, hanno portato ulteriore lustro all'intero movimento pallavolistico in Italia. E le fatiche non terminano qui, poiché nel 2010 saremo protagonisti nell'organizzazione dei Campionati del Mondo maschili, una fantastica occasione per mostrare le nostre capacità al mondo intero. Anche per il Csi l'anno che si va a chiudere è stato ricco di successi, siete un movimento straordinario, per capacità organizzative e per il numero di persone che riuscite a coinvolgere. Il tutto è poi svolto senza dimenticare la vostra precisa scelta di educare allo sport. Dunque, vi auguro che anche il 2010 sia altrettanto ricco di soddisfazioni, per continuare a contribuire alla crescita del panorama sportivo italiano.

SILVIO FALCIONI Presidente FISN Due motivi mi spingono ad esservi particolarmente vicini: l'amicizia con il Presidente Achini e avere all'interno della mia famiglia chi vive l'attività del Csi. Da anni infatti i miei figli sono tesserati Csi, e condivido a pieno la loro e vostra scelta di praticare sport, vivendolo prima di tutto come un momento aggregativo e portatore di valori sani. Auguro quindi a tutti un buon lavoro, nella speranza di salutarvi personalmente nell'edizione 2010.

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I SALUTI DELLE AUTORITÀ RENATO DI ROCCO Presidente FCI Considero il Csi componente fondamentale del movimento, variegato e pluralistico, che si riconosce nella cultura della bicicletta come strumento di educazione e formazione dei giovani, aggregazione e integrazione sociale, solidarietà verso i più deboli e gli emarginati, tutela della salute e dell'ambiente. Assistiamo oggi al revival della bicicletta, nel momento in cui la crisi globale evidenzia l'urgenza di una svolta capace di porre la persona e la qualità della vita al centro di uno sviluppo veramente a misura dell'uomo e sostenibile. Le istituzioni nazionali, regionali e locali hanno capito che il ciclismo, nelle sue varie espressioni di svago, turismo, attività ludica e agonistica, può rendere un servizio prezioso al bene comune del Paese se legato alle politiche per la salute, il risparmio energico, la mobilità pulita, il riassetto e la valorizzazione del territorio. Siamo una grande famiglia unita dal collante della bicicletta, composta da migliaia di società, atleti, dirigenti, tecnici e giudici volontari in grado di dare risposte concrete alla domanda e ai bisogni dei cittadini, in accordo con gli enti locali, le scuole, le realtà culturali e produttive. Abbiamo la storia, le esperienze, il bagaglio culturale e le pratiche virtuose già realizzate in tanti luoghi da spendere in un'azione sinergica, rivolta soprattutto alle nuove generazioni. Mi auguro di cuore che questo meeting ed il pregevole rapporto con il Presidente Massimo Achini, renda sempre più forte e consapevole la nostra collaborazione, per costruire insieme, con unità di intenti, l'Italia di domani.

ALBERTO MIGLIETTA Presidente FIBa Dello spirito di tutti voi che appartenete alla famiglia del Csi condivido la convinzione che il ruolo fondamentale dello sport sia educare e che il nostro principale obiettivo debba essere il coinvolgimento dei giovani. Chiunque si avvicina alla pratica sportiva può verificare come questa migliori la qualità di vita, aumenti la consapevolezza e la convinzione nei propri mezzi, ma nel caso dei giovani lo sport può assumere un ruolo ancora più determinante. Riuscire a trasmettere i veri valori dello sport significa formare un ragazzo, il suo carattere, la sua visione delle cose. Abbiamo quindi una grande responsabilità, di fronte alla quale non ci tiriamo indietro, convinti che praticare ed insegnare sport sia soprattutto un privilegio. Vi auguro quindi un buon lavoro e sono sicuro che questa occasione che vi vede riuniti sarà un momento di riflessione ulteriore dal quale ricaveremo tutti delle utili indicazioni per il futuro.

FRANCO FALCINELLI Presidente FPI Come ogni anno vi ritrovate nella mia Assisi per tirare le somme del grande lavoro svolto durante questi mesi e per discutere di come portare avanti i vostri ambiziosi progetti. In un momento di globale crisi di valori, come quello che stiamo vivendo, il vostro impegno è impagabile ed è la dimostrazione di come, attraverso lo sport, si possa educare e portare avanti un progetto concreto di promozione civile e sociale. Per tutti coloro che operano nell'ambiente sportivo, è importante ricordare la responsabilità che abbiamo soprattutto nei confronti dei giovani, ai quali dobbiamo trasmettere la fiducia in alcuni ideali come la lealtà, il coraggio, la coesione e la solidarietà, che rappresentano straordinari strumenti etici per combattere i disagi sociali, la solitudine, le difficoltà e le insidie della società contemporanea. È lo stesso spirito ed il determinato intento che ha sempre animato il mio lavoro e quello della federazione che ho l'onore di presiedere. In otto lunghi anni abbiamo tenacemente cercato di modificare il vecchio stereotipo popolare che coniugava il pugilato con la violenza gratuita ed abbiamo finalmente iniziato a mostrare alla gente il vero volto della nostra disciplina sportiva a partire dalla genuinità dei numerosi sportivi che lo praticano, dalla loro autentica passione, dalla capacità di offrire agli educatori sportivi un mezzo pedagogico importante per favorire lo sviluppo dell'autocontrollo e dell'autostima, del rispetto delle regole e del potenziamento dei caratteri più deboli e indifesi. Buon lavoro Presidente Achini! 32


Da padre Kevin Lixey, direttore dell'Ufficio Chiesa e sport del Pontificio Consiglio per i Laici, l'appello al CSI affinché le attività sportive sappiano accompagnare i ragazzi in un processo formativo e pieno di senso

“PROMUOVETE UNO SPORT CHE GENERA SPERANZA” Recentemente papa Benedetto XVI, parlando agli artisti, ha affermato che il momento attuale è segnato, oltre che da fenomeni negativi a livello economico, dal venire meno della speranza, da una certa sfiducia nelle relazioni umane, per cui si tende a vivere con maggior rassegnazione, aggressività, disperazione! Di qui la domanda: "Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l'animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull'orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza? [...] L'autentica bellezza schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l'Altro, verso l'Oltre da sé?". Ma anche lo sport può essere considerato una forma di arte, capace di concretizzare una sua bellezza. Ne deriva, per chi opera in campo sportivo, una seconda domanda: è possibile promuovere uno sport che crei le condizioni di una vita ricca di speranza? Partecipando al meeting Csi di Assisi si è rafforzata in me la convinzione che sia possibile. Vi ho trovato uomini e donne desiderosi di conciliare, con generosità, il servizio sportivo con

quello al bene comune. Anche a nome della Chiesa, del Pontificio Consiglio per i Laici, mi sento di ringraziarli. Ad essi vorrei ricordare che l'attività sportiva può effettivamente dare significato e prospettiva alla vita dei giovani se costruita su quattro tratti distintivi, così da essere: 1) uno sport che abbia intenzionalità educativa; 2) uno sport attento alla formazione degli educatori; 3) uno sport che valorizza gli aspetti aggregativi; 4) uno sport che, come l'arte, sia orientato verso Dio. L'intenzionalità educativa, soprattutto, deve essere nel cuore di tutti i dirigenti. Essa consiste nell'impegnarsi "proattivamente" affinché le attività sportive non siano considerate mero svago, o un'attività marginale, ma occasione

propizia per accompagnare i ragazzi in un processo formativo e pieno di senso. Confido che gli operatori del Csi, mettendo al centro l'intenzionalità educativa, formandosi permanentemente, valorizzando gli aspetti aggregativi, e soprattutto orientando lo sport "verso l'alto", possano fare emergere tutta la vera bellezza dello sport, tracciando la strada per fare di quest'attività profondamente umana uno strumento capace di creare le condizioni di una vita ricca di speranza.


VITACSI

SPECIALE ASSISI

L'ON. MARIO PESCANTE: "C'È BISOGNO ANCHE DI VOI NELLE ZONE DI CONFLITTO NEL MONDO, PER PORTARE LO SPORT, STRUMENTO DI PACE…."

IL CIO CHIAMA IL CSI di Felice Alborghetti

Ad Assisi c'era anche l'on. Mario Pescante, fresco di nomina a a membro permanente dell'Assemblea generale dell'Onu quale osservatore, in rappresentanza del Cio, di cui è vicepresidente. Un ruolo che lo impegnerà a portare avanti i progetti di "Sport e Pace" nelle varie aree ove operano le forze militari dell'Onu in missioni di peace-keeping. Proprio ad

Assisi il Centro Sportivo Italiano ha annunciato un forte rilancio della sua attività internazionale, seguendo il grande sogno del presidente Achini: portare in tutte le zone dove ci sono tensioni o conflitti lo sport come strumento di pace. Una coincidenza di programmi che al meeting umbro non è sfuggito al vicepresidente del Cio, che si è dichiarato pronto a

valutare un'azione coordinata. "Contatterò il Csi. Anticipo una richiesta di collaborazione che farò agli enti di promozione sportiva più attivi in tema di solidarietà all'estero. Da presidente della commissione rapporti internazionali del Cio, posso dire che il movimento olimpico si muoverà su due direttive: la solidarietà nei paesi dove si soffre e la diplomazia sportiva".


Ci spieghi la prima "In Darfur, Congo, Uganda, Timor, Palestina, Iraq esistono vari gradi di sofferenza: Ho visitato i campi dei rifugiati, veri e propri gironi danteschi dell'Inferno. In questi posti dove mancano le condizioni di sopravvivenza sembrerebbe strano parlare di sport. Abbiamo invece sperimentato che dare ai giovani - in molti casi stretti fra droga, prostituzione, criminalità locale - la possibilità di giocare con un pallone ed una maglia colorata può regalare speranza e fratellanza. Abbiamo in animo di costruire piccole infrastrutture sportive, dare materiale sportivo, inviare campioni dello sport, con il duplice obiettivo di rendere più accettabile la qualità della vita e al contempo, con piccoli tornei di pallavolo, calcio, pallacanestro, 'mischiare le carte', così da spingere i ragazzi a giocare, senza differenze di etnie, e di religione". E la seconda direttiva? "Riguarda la scelta della via diplomatica, già intrapresa nel progetto di riavvicinamento fra Palestina ed Israele, nel successo ottenuto con la squadra unica di Corea del Nord e Sud, nel colloquio fra Taiwan e la Cina prima dei Giochi Olimpici". E in Afghanistan? "L'input dell'Onu è di muoversi dove ci sono le sue truppe di 'Peace keeping", in modo di far conoscere parallelamente le divise militari e quelle sportive. In Afghanistan c'è la Nato, e il ministro Frattini vuole comunque proporre un'iniziativa per creare vicino alle scuole impianti sportivi di base. All'inizio del prossimo anno ne parleremo con Rogge, per partire già nel 2010 con un progetto del Cio e dei governi collegati”. 2010, anno di Vancouver, le Olimpiadi invernali e di Singapore, ovvero le prime Olimpiadi della Gioventù, volute dal CIO. Dove nascono e perché? "È un'esperienza che nasce in Italia

incarnando il concetto di solidarietà olimpica, partorito già da Onesti. L'Italia ha svolto finora una grande funzione nello sviluppo dell'impiantistica e della medicina sportiva. Parte degli introiti sportivi sono stati destinati alla solidarietà olimpica, finanziando costruzione di impianti, borse di studio, viaggi pagati ad atleti, che altrimenti non avrebbero potuto partecipare ad Olimpiadi o Mondiali. Ora Singapore dovrebbe aiutare i paesi emergenti. I Paesi del G8 hanno spinto per andare loro incontro. Magari quei paesi hanno delle buone leve a livello giovanile ma che poi si perdono per le difficoltà poste dalla vita sociale. Saranno atleti "teenagers", sotto i 18 ma per lo più in età di 15, 16 anni. Non li chiameremo però campioni olimpici della gioventù. Certamente uno che vince in una gara del genere diventerà un futuro campione. E una medaglia vinta da un giovanissimo di una nazione sottosviluppata è motore per quel Paese”. Passiamo alle questioni di… casa nostra. Il Csi siede in Giunta Coni, occasione importante per gli enti di promozione. Quale consiglio sente di dare a Massimo Achini? "Basta dualismi, avanti insieme per uno sport più forte. È la sola strada da percorrere. So che è un percorso condiviso anche in Giunta. Sono legato al Csi da molti ricordi. Conservo il diploma di una delle mie prime vittorie: era il '57, vinsi a Roma i mille metri dei Criteria Studenteschi del Csi (2'37"2 staccando gli altri 15 concorrenti ndr). Quel giorno c'era anche Berruti in pista negli 80 metri. Una volta sposato il concetto di sport a servizio della società, ecco che l'ente di promozione ci può aiutare di più rispetto alla federazione. Essa può inviare il campione testimonial. Il Csi può invece organizzare eventi come la maratona in Terra Santa, una corsa simbolica senza vincitori. Questo è sport, senza distinzione; è l'essenza dello sport".

Qui ad Assisi il Csi è riunito intorno al tema del suo apporto alla costruzione del bene comune. Quale pensa debba essere il contributo del sistema sportivo al bene comune? "Credo che il bene comune sia in uno sport il più possibile diffuso. Spesso il movimento federale viene accusato di ricercare solo i campioni. Ecco perché servono vari soggetti per promuovere lo sport. L'associazionismo e il Csi devono aiutare le società federali che fanno selezione, contribuendo ad estendere lo sport ad altre categorie. Penso al miracolo dell'attività dei disabili, che dai podi delle Paralimpiadi, dall'agonismo, ha ottenuto una grande spinta. Questa è l'alleanza, la sinergia che ritengo dovrebbe esserci tra sport di base, che promuove lo sport a tutti i livelli, ed il movimento sportivo agonistico". Pescante, immagini di bere un caffè al bar con un presidente di una piccola società sportiva di parrocchia. Cosa gli direbbe? "Gli direi quello che ho scritto nella mozione in Parlamento. Non dimentico che la supplenza di quel lavoro che non fa la scuola, lo fanno l'associazionismo di base e le società dilettantistiche che reclutano ed avvicinano giovani allo sport. Per loro ho inventato la legge sul riconoscimento delle società sportive dilettantistiche, che ha dato benefici fiscali ed ammissione al credito. Sono più di 800.000 questi dirigenti sportivi, sono educatori, pedagoghi, persone magari umili ma che insegnano regole fondamentali. Una categoria straordinaria, che va aiutata, come vanno aiutate le società sportive. Penso a leggi regionali ad hoc, al Credito Sportivo che conceda mutui a tassi superagevolati, arrivo a dire con le Regioni che diano un piccolo contributo sugli interessi. Molto più di un caffè al bar".

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VITACSI

SPECIALE ASSISI Intervista a Julio Velasco

L'ARTE DI EDUCARE CON LO SPORT A cura di Andrea De Pascalis

Non è solo un allenatore di pallavolo tra i più vincenti degli ultimi decenni: Julio Velasco è anche un uomo di sport a tutto tondo, con un modo diverso di riflettere sullo sport, sulla sua natura, le sue ambiguità e le sue chance di essere strumento di educazione. Ecco cosa ci ha detto ad Assisi. Velasco tecnico di pallavolo, Velasco uomo di cultura, con una laurea in filosofia. Quale, nella sintesi delle due competenze, il suo punto di vista sullo sport educativo? Dobbiamo partire da una considerazione: all'origine lo sport è un gioco. La differenza tra lo sport e il gioco che fanno i bambini e che non è sport, tipo il nascondino, sta nel fatto che lo sport ha regole molto elaborate. Se il Cio mettesse il nascondino tra gli sport olimpici, il nascondino in pochissimi anni avrebbe tutte le caratteristiche che hanno gli altri sport: metterebbe delle regole, delimiterebbe il campo di gioco e diventerebbe uno sport. Quindi,

se lo sport all'origine è un gioco, bisogna dargli questo orientamento, soprattutto operando con i giovani. Qui inizia la discussione con molti educatori non sportivi, che affermano che: "I bambini si devono divertire". Diventa necessario capire cosa vuol dire per i bambini divertirsi quando giocano. Un secondo punto di discussione è il tema dell'agonismo. Quando si sostiene che i bambini si devono divertire, talvolta ci si confonde e si pensa che se si indirizzano i bambini a fare le cose seriamente, essi non si divertono; si pensa che si divertano solo se ridono, e se in una partita fanno un passaggio brutto non importa, tanto stanno giocando. Ma quando vediamo i bambini piccoli giocare, per esempio a fare una costruzione con il Lego, cosa non facile per loro quando sono piccoli, scopriamo che sono serissimi, perché il divertimento per loro sta nel riuscirci. Non è lo stesso per loro se ci riescono o non ci riescono, se va bene o se va male. Il divertimento è riuscire. Credo perciò che la possibilità di fare divertire i bambini facendo sport risieda in un equilibrio tra l'esigenza di fare le cose bene e l'esigenza che il compito non sia eccessivo al punto tale da diventare un peso. L'impegno a riuscire però ci deve essere. Quest'equilibrio è l'arte di educare, che non è una scienza; non si può dire quanto serva di una componente e quanto dell'altra. È un'arte che si impara nei corsi, ma soprattutto nell'esperienza con i ragazzi. Tornando all'altra grande questione, l'agonismo, credo ci sia una grande contraddizione tra l'esperienza del Csi ed anche dell'oratorio e la storia dello sport in Italia. Molte volte si dice in ambito scolastico: non facciamo entrare nelle scuole l'agonismo. Ma l'agonismo nelle scuole c'è già, perché l'agonismo c'è già anche nel momento in cui una maestra dice "Tu sei bravo e tu non lo sei". Il con-

fronto c'è già. L'agonismo non è solo la vittoria sportiva modello partita di calcio; l'agonismo è confrontarsi prima con se stessi, poi con le difficoltà e poi con gli altri, con gli altri compagni, con gli altri avversari.Credo si debba educare all'agonismo, non si può lasciare passare l'immagine che l'agonismo appartenga solo agli sport professionistici. L'agonismo non è il diavolo, è una cosa naturale. Educare all'agonismo significa soprattutto insegnare a vincere e a perdere. In questo fondamentale compito educativo lo sport riesce meglio che in altre cose, perché nello sport l'agonismo è esplicito. Viviamo in un'epoca di disinvoltura etica. Quanto passa attraverso lo sport la possibilità di educare al rispetto delle regole? Anche qui è rilevante il fattore agonismo. Si educa più chiaramente a rispettare le regole quando ci si gioca qualcosa con l'altro. È molto facile rispettare le regole se non ci giochiamo qualcosa. Diventa più difficile in una partita nella quale ci si gioca qualcosa cui teniamo molto e o vinco io o vince l'altro. Se pur tenendo molto alla posta in palio si riesce a giocare rispettando le regole, si acquista una ricchezza enorme che varrà nelle altre cose della vita sociale. Se non c'è agonismo guidato dalla regole, finisce che nel condominio ci caviamo gli occhi per un problema di parcheggio: andiamo oltre non appena ci giochiamo qualcosa. Qualche tempo fa, a proposito di sport educativo, Lei ha parlato di pregiudizio platonico, intendendo che nella nostra cultura c'è la tendenza a ritenere importante ciò che ha a che fare con l'anima e con la mente, e molto meno ciò che ha a che fare con la corporeità. Ci può approfondire questo concetto?


Parlavo di un pregiudizio presente in certi ambienti educativi. La scuola mira soprattutto all'educazione cognitiva, cioè i bambini devono imparare a leggere e scrivere, devono apprendere nozioni, e questo non è in discussione. Ci sono però due aspetti in parte trascurati: uno è il corpo in quanto tale, l'altro riguarda le emozioni, la parte emotiva, che sono altrettanto importanti. Nell'ambiente dell'educazione fisica noto una sorta di complesso di inferiorità, che consiste nel fatto che noi, per giustificare l'attività fisica quando andiamo a parlare con un preside o in un convegno sull'educazione, spesso affermiamo che l'attività fisica è importante perché aiuta a sviluppare la capacità di ragionare, perché aiuta lo sviluppo del cervello. In definitiva, secondo questa giustificazione si dovrebbe fare sport per sviluppare le capacità cognitive. Per contrastare questo modo di pensare ho lanciato delle provocazioni, dicendo che io insegno a dare colpi alla palla, non insegno a pensare, nel senso che la cura del corpo ha un valore in sé, anche se non sviluppasse niente nel cervello. Ovviamente lo sport sviluppa le capacità cognitive, perché senza movimento l'uomo non è uomo, così come non lo è senza comunicazione, perché non può sviluppare le capacità intellettuali. Ma dobbiamo rivendicare il valore in sé della cura del corpo, perché ha delle enormi ripercussioni sulla salute, sullo sviluppo dei ragazzi, sulla spesa pubblica: la sanità nazionale risparmierebbe milioni di euro se non ci fossero malattie cardiorespiratorie. Il secondo fattore, che spesso la scuola dimentica è la parte emotiva. Perché lo sport è così popolare tra i giovani? Molti genitori e professori non riescono a capire perché una ragazzina piange dopo aver perso una partita o non dorme la notte prima. Li senti che dicono increduli "Ma no, mia figlia piange perché ha perso una partita…" ma non si meravi-

gliano se piange per una poesia, se piange per un film romantico. Qual è la differenza? Sono emozioni, lo sport dà emozioni e a volte le emozioni non sono piacevoli. Ad esempio, a molte persone piace andare sulle montagne russe, a me non piace, non ci vado, ma la gente ne va matta. Non ditemi che è gradevole; non è gradevole, anzi si paga per sentirsi male. Perché? Perché pagano per sentirsi male? Perché dà emozioni forti. Dobbiamo capire che lo sport dà emozioni forti, anche quando si perde. E ai giovani piace provare emozioni forti. Parlando di sport educativo, una volta Lei ha sottolineato la differenza che si pone tra allenare una squadra maschile e una femminile… Quando sono andato ad allenare la nazionale femminile, dopo avere allenato per tanti anni una squadra maschile, ho visto che certi trucchi che utilizzavo con i maschi non funzionavano con le donne. Mi sono detto: "Qua è un'altra cosa, bisogna studiare un po' il tema". Per secoli l'uomo ha criticato la donna perché non è come l'uomo, dimenticando che la donna è diversa. E le donne hanno criticato noi per gli stessi motivi. Nello sport ho trovato una differenza notevole tra maschile e femminile. La prima e fondamentale è che per l'uomo la sfida è spesso con l'altro - chi è più veloce, chi è più forte, chi è più bravo - mentre per la donna la sfida principale è con se stessa. Ho chiesto lumi su questa differenza ad una mia amica, preside in una scuola elementare. Mi ha risposto con un esempio: hai presente chi risolve per primo un calcolo matematico, tra bambini e bambine? Non vince mai la bambina. Non perché non arriva per prima alla soluzione, ma perché aspetta, pur di non sbagliare, e non dà subito la soluzione. Invece i maschi già dicono di avere la soluzione ancora prima di aver finito il calcolo, per-

ché anche se sbagliano 10 volte non gliene frega niente, pur di indovinare una volta. Sbagliano 10 volte di fila, e quando l'indovinano fanno come i calciatori, esultano. La bambina, anche se sapeva già la soluzione e non l'ha detto, resta tranquilla perché pensa "Io lo sapevo" e già sta bene con se stessa. Questa differenza nello sport si vede molto. È molto nota la sua affermazione sugli occhi di tigre, e non di mucca, che gli atleti dovrebbero avere in campo. Ci può spiegare meglio? Una volta ero in televisione e parlando di una partita ho detto: "Si vede che i giocatori non hanno gli occhi della tigre, ma hanno gli occhi di mucca". Gli occhi di una mucca sono nostalgici, malinconici, mentre quelli della tigre… Mi piaceva quest'immagine (ora non la posso più usare perché i giocatori si mettono a ridere) perché la tigre ha un'aggressività che somiglia a quella che ci deve essere nello sport. Nello sport ci deve essere l'aggressività necessaria e sufficiente, il resto è isteria o nevrosi. L'aggressività della tigre va bene, quella delle scimmie no. Le scimmie urlano e litigano. L'aggressività nello sport non è insultare l'avversario, litigare con l'arbitro; l'aggressività giusta è quella della tigre, i cui occhi sembrano freddi, ma è pronta ad attaccare per mangiare; sta lì ferma, ma in realtà è già pronta per saltare sulla preda. Uno dei valori educativi dello sport è quello di incanalare, orientare l'aggressività, soprattutto dei maschi, perché le ragazze sono meno aggressive. Bisogna educare i ragazzi ad avere grande determinazione. Devono pensare: "I miei occhi sono sull'obiettivo, non mi distraggo, non ho paura, e però ho il controllo della mia aggressività, la oriento e non mi lascio andare". Lo sport insegna a non lasciarsi andare nell'aggressività e credo che quello della tigre sia un buon esempio.


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