Speleologia n. 74 - giugno 2016

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VIAGGIO IN BIBLIOTECA zo (Tirino-Gran Sasso, Acqua Marcia-Simbruini, Verde-Maiella, Serina e Caposele-Picentini) ha messo in evidenza una correlazione tra queste e la variazione climatica a lungo termine (Fiorillo et al.) (23). Oltre al depauperamento della risorsa idrica, un altro problema è l’intrusione marina in acquiferi costieri, particolarmente sentito nel Sud-Italia dove Romanazzi et al. (24) cercano di fare un modello idrologico del Salento (Puglia) per cercare di quantificare questo problema e suggerire alcuni possibili rimedi. Un altro contributo sulla modellizzazione idrogeologica è di Fiorillo et al. (25) e riguarda un modello matematico realizzato con l’ausilio dei GIS, per stimare i processi di ricarica dei massicci carbonatici; a tal fine sono stati presi in esame i bacini endoreici delle aree carsiche del Terminio e del Cervialto (Campaina). Per poter valutare la vulnerabilità di un acquifero carsico bisogna anche conoscerne il funzionamento, e la suddivisione in compartimenti più o meno indipendenti. Un metodo chiamato KARSYS consente di farlo utilizzando modellistica idrogeologica e geologica 3D, ed è stato testato con successo nel massiccio ricco in grotte del Canin tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia (Turk et al.) (26). Vigna e Banzato (27), dal canto loro, pubblicano il loro ultradecennale studio sull’idrogeologia degli acquiferi carbonatici del Piemonte meridionale, con sorgenti spesso alimentate da sistemi carsici molto sviluppati. Nella Grotta di Monte Conca (Sicilia) nei gessi Messiniani, la microbiologia e la chimica della sorgente sulfurea che affiora nella grotta sono state studiate in dettaglio, evidenziando le complesse reazioni chimiche e la specializzata associazione di batteri (Messina et al.) (28). Geofisica (29) Una serie di indagini geofisiche sono state eseguite per identificare i grandi vuoti sotterranei artificiali delle cave di Cutrofiano, in Puglia (Negri et al.) (29). Queste indagini possono permettere di pianificare meglio opere umane sovrastanti e di porre in essere i necessari rimedi per evitare il verificarsi di collassi. Studi paleoclimatici (30-33) Anche quest’anno i record climatici ottenuti da speleotemi presi in grotte italiane continua ad essere uno degli argomenti specialistici più pubblicati su riviste internazionali. Borsato et al. (30, 31) hanno eseguito misure di CO2 nell’aria di 8 grotte del Trentino-Alto Adige tra 200 e 2300 m s.l.m. e nei suoli so-

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prastanti. Esiste una chiara relazione tra quota, temperatura e quantità di CO2 con implicazioni sulla petrografia degli speleotemi e sui record paleoclimatici ottenibili da queste concrezioni. In una di queste grotte, quella di Ernesto (Trentino), gli stessi autori hanno anche fatto uno studio geochimico di dettaglio sul comportamento degli isotopi dello zolfo, con possibilità di capire dinamiche idrologiche dell’acquifero e datazioni recenti. Paone (32) riporta alcuni risultati molto preliminari su analisi isotopiche eseguite su tre concrezioni provenienti dalla grotta di Campo Braca (Matese, Molise), Buco del Trarro (Camerota, Campania) e dalla Grotta di Santa Barbara (Agerola, Salerno, Campania). Vicino a Scillato (Sicilia), studi petrografici e isotopici su concrezioni della Grotta del Travertino hanno appurato la stagionalità delle lamine di accrescimento, legata alla presenza o meno di CO2. (Macaluso, Scopelliti) (33). Archeologia e paleontologia (34-47) Continuano gli studi sugli importanti siti archeologici neanderthaliani dei Monti Lessini (Grotta delle Fumane), e dei Colli Berici (Grotta Broion e Grotta San Bernardino), in Veneto (Peresani et al.) (34). Da questi studi si è appurato che i Neanderthal erano capaci di riciclare gli oggetti litici, ma anche di utilizzare frammenti di ossa per produrre utensili (Romandini et al.) (35). Gli studi paleontologici sui micromammiferi della Grotta delle Fumane, inoltre, hanno consentito di ricostruire in dettaglio i vari cambiamenti climatici che si sono succeduti nel tempo, costringendo i Neanderthal ad adattarsi continuamente (Lòpez-García et al.) (36). l’Uomo di Altamura (Puglia) è uno dei più importanti reperti di Nenaderthal esistente al mondo, ed è tornato alla ribalta con progetti vari di estrazione dalla grotta e musealizzazione. Ora gli studi su un piccolo frammento di osso hanno appurato la sua età (172-130 mila anni) e la sua appartenenza all’Uomo di Neanderthal (Lari et al.) (37). Nella Grotta di Scaloria (Gargano, Puglia) tracce di taglio e scarnificazione su numerose ossa umane dimostrano rituali molto complessi di popolazioni risalenti a 7000 anni fa. Le ragioni di questo trattamento sui corpi dei morti non sono ancora pienamente decifrate, e molte ipotesi possono essere avanzate (Robb et al.) (38). Parise e Sammarco, invece, spiegano l’abilità dell’uomo di utilizzare e veicolare l’acqua in estese aree aride del Sud Italia (Basilicata e

Puglia) (39). In Sardegna la Grotta di Monte Meana (Santadi) è stata studiata, con datazione di reperti e studi palinologici, mettendo in evidenza una deforestazione dovuta ad attività umane e cambiamenti climatici (Buosi et al.) (40). Dal punto di vista paleontologico meritano di essere riportati vari studi: Breda (41), su un cervo fossile rinvenuto nella Grotta di Valdemino (Borgio Verezzi, Liguria), Ghezzo et al. (42) sui resti di lince nella stessa grotta, Crezzini et al. (43) nella Grotta Paglicci (Gargano, Puglia) sui resti di iena maculato, e di Rosso et al. (44) sulla Grotta Rumena, a Custonaci (Sicilia). Qui un’abbondante fauna fossile è stata descritta e classificata, mostrando ancora una volta l’eccezionalità di questo sito, importante anche per la ricostruzione degli antichi livelli marini alti e, conseguentemente, del sollevamento tettonico Quaternario. Ugualmente interessante è lo studio sui numerosi resti di Pantera trovati nella Grotta di Equi (Toscana), unica per la quantità di resti ritrovati (Ghezzo e Rook) (45). Nella Grotta Paglicci (Puglia), inoltre, lo studio dettagliato di una macina e dei resti vegetali ha consentito di appurare che gli uomini che abitavano questa grotta erano già molto abili nel trattare i vegetali come l’avena (Mariotti Lippi et al.) (46). Studi sui resti carbonacei di vegetazione nella Grotta delle Mura, nei pressi di Monopoli (Puglia), hanno aiutato a ricostruire i cambiamenti di copertura arborea con variazioni del livello del mare e del clima (Fiorentino e Parra) (47). Biologia e Biospeleologia (48-51) Nella Grotta di Bossea (Piemonte) studi sulla lampenflora, e sull’ambiente in cui si sviluppa più o meno favorevolmente, consentiranno di porre rimedi a questa “malattia” delle grotte turistiche; primo passo per trovare una metodologia condivisa e globale per combattere le piante verdi che riescono a crescere con illuminazione artificiale (Piano et al.) (48). In questa stessa grotta è stata scoperta anche una nuova specie di diatomea (Nupela troglophila) descritta da Falasco et al. (49). La Grotta di Bergeggi (Liguria), invece, è una cavità in cui è stato trovato il crostaceo Harmelinella mariannae del quale Chevaldonné et al. (50) hanno pubblicato uno studio sulla distribuzione e l’ecologia. Un altro raro crostaceo, appartenente alla specie Niphargus poianoi presente nella sorgente dell’Auso sui Monti Alburni (Campania)è stato descritto da Karaman (51).

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