Speechless Magazine N° 3

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noscendo che sottintendono richiami subliminali con effetto a lungo termine, a volte perversi, come cattivi modelli di riferimento. Come quello, a cui mi riferivo prima, di una comunicazione sbagliata che ha come utenza le bambine. Pensiamo, per un attimo, al ruolo in cui vogliono collocarle i media. Osserviamo quali strumenti ludici propongono loro. Bambolotti da vestire e accudire come delle piccole mamme. Oppure Bratz o Monster High, bambole caricatura con occhi bistrati e una quarta di reggiseno, griffatissime, come modelli a cui voler somigliare. Il rischio, allora, è quello di far credere che si potrà essere accettate dalla società solo nel ruolo di madre e moglie, o nella ricerca esasperata del successo e della bellezza a ogni costo come lasciapassare per la felicità. Insomma, l'accettazione sociale sulla base di quanto si sia capaci di adattarsi un ruolo o a una certa immagine. Eppure, non è così che va il mondo. La figura reale della donna di oggi, della bambina di ieri, è ben lontana dall’immagine stereotipata delle fiction o delle pubblicità. Basta sfogliare le ultime pagine di cronaca e rendersi conto che il femminicidio è un fenomeno in ascesa; o leggere, a tale proposito, il saggio di Riccardo Icona “Se questi sono uomini” edito da Chiarelettere. Tante, troppe donne sono ancora sotto il giogo di un ruolo che ha radici ataviche e che le riduce al silenzio. A morire, in silenzio. Ruolo, quello del maschio dominatore, che i media tendono ancora a veicolare con messaggi subliminali. Chi ricorda, ad esempio, la pubblicità della “patatina” con testimonial Rocco Siffredi? Di esempi se ne potrebbero fare a centinaia. Esiste un baratro tra modelli reali e modelli fittizi. Le donne, oggi, non sono le Cenerentole in cerca del principe azzurro, eppure continuano a essere manipolate sulla base di stereotipi che non le rappresentano più. Un meccanismo perverso, quello dei media, che può essere spezzato solo rifiutando determinati modelli per proporne di nuovi. Troppo spesso dimentichiamo che possediamo due strumenti potenti per opporci al bombardamento mediatico, due filtri che possono metterci sulla strada dei liberi pensatori: si chiamano cervello e cultura.

Letteratura

té denudato, che si offre di entrare in politica. Ora, se è pur vero che siamo stati testimoni, e non vittime, di personaggi simili, è anche vero, a mio modesto parere, che questo tipo di comunicazione sminuisce il compito e la rappresentanza femminile in politica. Sminuisce il ruolo di tutte quelle donne che ancora ci credono, che lavorano in silenzio, che non mettono in mostra il corpo ma la mente. Insomma, presentare certi tipi di cliché non è rivoluzione, ma, piuttosto, involuzione. Così come è involuzione il veicolare, da parte dei media, determinati messaggi destinati alle bambine, che saranno le donne di domani. Basta dare un’occhiata ai programmi tv dei ragazzi, o alle pubblicità dei giocattoli: bambole dalle labbra e dai seni siliconati, vestitini di marca, macchine di lusso. Apparenza non essenza. Il gap è che mancano messaggi educativi, che vadano oltre la plastica patinata. Mancano contenitori di qualità. La cultura è ormai relegata ad appendice. È quello che davvero vogliamo? Crescere le nostre figlie, sacrificandole a un destino dove ciò che fa la differenza è il vestito che s’indossa? Dov’è la fantasia, la creatività, lo stimolo necessario a fare di loro donne con una personalità propria che non deve necessariamente uniformarsi alle leggi di massa? Cito le parole di Lorella Zanardo, autrice, tra l’altro, del saggio “Senza chiedere il permesso” (Giangiacomo Feltrinelli Editore): “Non aspettate, ragazzi. Non attendete istruzioni, ragazze, perché non arriveranno o forse arriveranno troppo tardi, e il tempo è prezioso. Alcuni tra noi adulti vi daranno una mano, il tempo necessario per costruire ponti sulle macerie prodotte dai crolli di questo mondo in disarmo. Voi percorreteli. Poi sarà ora. Non attendete oltre. Tocca a voi. Senza chiedere il permesso.” Ecco, questo dovremmo fare: riappropriarci di uno spirito critico, smuovere l’apatia delle menti. Scavalcare la differenziazione tra i ruoli maschio/femmina che non ha più motivo di esistere, ma che rimane ancora uno dei baluardi di un certo tipo di comunicazione. Cambiando i media, si può cambiare la società. Non tutte le ragazze vogliono fare le veline, non tutti i ragazzi vogliono fare i calciatori o i tronisti. Allo stato attuale delle cose, l’unica difesa è cercare di filtrare e decodificare i messaggi dei media attraverso una visione consapevole, rico-

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