Specchio magazine n9

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LO SPECCHIO www.specchiomagazine.it • info@associazionelospecchio.it

MAGAZINE

Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità - distribuzione gratuita

N. 9 - marzo 2014 - ANNO IV

“Il mar che senza termini apparìa”, ebrezza dell’immenso.


CANTI POPOLARI

NAPOLEONE, IL NEMICO DI DIO - Lino Palanca 5

STORIE ADRIATICHE

SACERDOS JESUS, SANCTI IGNATII SOCIUS - Marco Moroni 8

STORIA

CODICE 1631: OPERAZIONE TACITO - Janula Malizia 12

LETTERATURA

TRAIANO BOCCALINI, UN REPORTER IN PARNASO - Claudio De Angelis 16

CINEMA

LA FENICE DI OSIMO: NONSOLOTEATRO - Massimo Morroni 19

IL NOSTRO MARE

CHE QUALCUNO CI ASCOLTI, FOSSE LA VOLTA BUONA - Aurora Foglia 23

LA NOSTRA TERRA

LA RUSPA ASSASSINA - Marco Bianchi 25 VENUS ET VINIS IGNIS IN IGNE FUIT - Alfredo Pirchio 27

ANNIVERSARI

ENRICO MEDI, AL SERVIZIO DELLA SCIENZA E DELLA FEDE - Lo Specchio memorie 29

SCUOLA IN @RETE

RESPONSABILITA’ E TECNOLOGIA: IL BINOMIO CHE FA CRESCERE LA SCUOLA - ORA DI BULLISMO PARLIAMO NOI RAGAZZI pagine a cura di Paola Acciarresi 31- 33

ARTE

NELLO SCRIGNO MARCHIGIANO, UN TESORO DA PRESERVARE - Mauro Mazziero 37

PERSONAGGI

BEATI I MITI, PERCHÉ EREDITERANNO LA TERRA - Luciana Interlenghi 39 IL PRETE CHE AMAVA I POVERI - Paolo Onofri 43 IL GLADIATORE - Intervista raccolta dal Direttore 45

ATTIVITA’ LO SPECCHIO

FORZA DELLA PASSIONE PER LA CULTURA E LA QUALITA’ DEL VIVERE - Eleonora Tiseni 47

POESIA

PER UN MONDO MIGLIORE - Anna Maria Ragaini 49 PREMIO DI POESIA DIALETTALE ‘’LA PURTANNARA’’ 2013 51

LETTURE

BIRBOTECA COMUNALE DI POTENZA PICENA - Roberto Marconi 52

MILITARIA

IL BERSAGLIER CAMMINA E NON SI STANCA MAI - Mario Mancinelli 54

RECENSIONI

CITANÒ DEI MISTERI - Alvise Manni 56 VIVERE ET PHILOSOPHARI. IL DIALETTO AIUTA. - Vincenzo Oliveri 57 OH! CHE BEL CASTELLO … - di Enrico Santini 58 PAESE MIO, CHE STAI SULLA COLLINA … - Loris Capovilla 59

ARTI MARZIALI

ALLA SCOPERTA DEL KUNG FU - Gennaro Ferrara 60 Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità.

Proprietà: Associazione Lo Specchio, C.so Matteotti, 34 - 62017- Porto Recanati (MC) Direttore responsabile: Lino Palanca - cell. 347.1931215; e-mail: lino.palanca@gmail.com Direttore editoriale: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: info@associazionelospecchio.it Capi servizio: Giorgio Corvatta - cell. 338.7648664; e-mail: giorgiocor@alice.it Aurora Foglia - e-mail: aurorafoglia@hotmail.it Emilio Pierini - cell. 338.7370016; e-mail: emiliopierini@alice.it In redazione: Cristina Castellani - castellanicristina@hotmail.it Eleonora Tiseni - eleonoratiseni@hotmail.it Pubblicità: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: info@associazionelospecchio.it Distribuzione gratuita Registrazione Tribunale di Macerata Registro 599 del 5 aprile 2011 Hanno collaborato a questo numero: Lino Palanca – Vanni Semplici - Marco Moroni – Janula Malizia – Claudio De Angelis – Massimo Morroni - – Aurora Foglia – Marco Bianchi – Alfredo Pirchio – Paola Acciarresi – Mauro Mazziero - Luciana Interlenghi – Maria Teresa Bonifazi – Paolo Onofri – Eleonora Tiseni – Anna Maria Ragaini – Roberto Marconi – Mario Mancinelli – Alvise Manni – Vincenzo Oliveri – Enrico Santini – Loris Capovilla – Gennaro Ferrara. La foto in copertina: Progetto Dreamerlandscape (info: www.dreamerlandscape.com). Vignetta di Giorgio Corvatta.

Chiuso in redazione il 25 marzo 2014



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CANTI POPOLARI

NAPOLEONE, IL NEMICO DI DIO di Lino Palanca**

Leonello Spada - foto: Archivio Storico del Comune di Osimo

In un canto popolare raccolto da Leonello Spada, la storia del trafugamento della statua della Vergine di Loreto e la sua deportazione a Parigi. Sgomento, incredulità , orrore del popolo cristiano nel rivivere l’inaudito sacrilegio. 5


CANTI POPOLARI

I

n un manoscritto conservato nell’archivio storico del comune di Osimo, databile al 1905 o poco dopo, c’è anche il testo di una canzone (con due varianti) dove si ricorda, nel dialetto “senza testa”, lo scippo della statua della Vergine nera operato dai soldati francesi del generale Auguste de Marmont, esecutore di un ordine di Napoleone. La canzone risale presumibilmente agli anni tra il 1797 e i primissimi del XIX secolo. Avverte Leonello Spada che è stata da lui trascritta “… sotto la dettatura di due contadine più che settuagenarie, che l’avevano appresa dai loro bisnonni”. Fatti due conti, per forza un tantino approssimativi, i citati antenati potrebbero aver avuto tra i 50 e i 60 anni quando nel 1797 Napoleone commise il fattaccio; quelle persone cantavano nel dialetto osimano ereditato dai propri genitori, oggi antico, perciò, di circa 300 anni. Bonaparte arrivò a Loreto il 13 febbraio 1797, proveniente da Ancona. Predispose la requisizione di tutto quanto fosse asportabile e avesse, ben inteso, un valore venale importante; compresa la statua della Madonna, inviata il 16 febbraio a Parigi per finire relegata in un angolo dei sotterranei del Louvre. Il 4 gennaio 1801, il parigino Journal des débats scrisse che dieci giorni prima, il 25 dicembre, la statua era tornata a Loreto: Napoleone aveva presto capito quanto poco gli sarebbe stato utile un conflitto permanente con la Chiesa e già pensava a un concordato.

Quattro anni prima era entrato a Loreto a capo di una forza cui nessuno poteva opporre resistenza e lo aveva fatto sotto le insegne della Francia rivoluzionaria; non era un frequentatore di chiese né si sentiva destinatario di un qualunque castigo decretato in cielo. Contro di lui, poca cosa: una popolazione e una chiesa inermi: i pori loretani, atterriti dalla prospettiva prossima ventura di restare orfani del venerato simulacro della loro Madonna e i sacerdoti in lacrime, inermi testimoni di una tragedia inimmaginabile fino a quel giorno. Che il trafugamento della statua abbia sollevato clamore e scandalo nella popolazione, e sgomento grande per l’ardire del blasfemo generale, è del tutto comprensibile. Soli, di fronte all’anti-Cristo, si levano minacciosi verso chi ha osato l’inosabile, i segni di un’oltraggiata giustizia divina che, di certo, un giorno avrebbe scagliato il suo fulmine vendicatore. Il racconto è condotto su uno schema lineare, senza aggiunta di episodi incidentali, secondari: arrivo dei predatori, loro fretta di mettere le mani su ori e perle, immediato castigo dei sacrileghi (della manovalanza, per adesso, non dei mandanti). L’essenzialità dell’apparato linguistico popolare sottolinea con singolare vigore la disperazione dei credenti per l’enormità del peccato e la sua temporanea vittoria.

Il testo: Sapennu li franzesi, / s’è partiti pre venì / a prenne la Madonna. 1 Caminennu; la Madonna già nsugnava: li Franzesi / quannu che fuce a Luretu 2 / ‘ddopra l’engegnu e l’arte e allora Bonaparte / sa la truppa rivò. 3 Mirennu a le fortezze / ancora li cannoni, / campane e campanoni sona sa le ‘llegrezze / pre pulella calà. 4 Quannu fu giò pre la chiesa / dragoni e fantaria sa lu genocchiu a tera / ‘na bella reverenzia / a Maria vinne a fa’. Andece in Santa Casa / truvò le porte chiuse: / disse quà nun se po’ ntrà: chiamamu el sagrestà / che porta giò la chiave / che no’ vulemu entrà. So’ bè, che ‘ntrati drentu / dà un sguardu a Maria dicennu nun ce se ria / la scala ce la vo’. Andati in sagrestia / ai preti che piagnea / co’ fa che nun sapea, prestu la scala, disse / pijà vulemu Maria, / timennu la portò. 5 Quannu che in Santa Casa / fu per salì’ la scala unu aremase mortu / e ‘naltru fu ccecatu / che rmase tramurtitu, dicia me so pentitu, / più ‘nsu nun possu andà. Se parte do franzesi / sa schioppu e bajunetta prenné do sacerdoti / piagnennu e lagrimannu sal fazzulettu biancu / j occhi se va a sciuccà. Se nginucchionne gione / disse le lettanie all’ultima parola / Maria vinne a calà. Sci nun era papa Sistu / che volse fa la pace 6 ancò la Santa Casa / vuleva cannunà. La Madonna è calata /quannu fu for della porta Sopraggiunse ‘na gran nebbia / che i franzesi nun sapea quellu che duveva fa. E riturnati avanti / quindici o vinti passi sa la ‘ntenziò de prenne / la statua de Maria 7 tutti remase ciechi / e nun rquistò la vista / finché in Francia nun rturnò. 6


CANTI POPOLARI La canzone incolonna 68 versi settenari. La rima è largamente libera; di tanto in tanto appaiono rime baciate o, com’è più tipico della poesia popolare, assonanzate. Napoleone adopera l’engegno e l’arte per prendere Loreto dove i cannoni tacciono, ma non la voce antica della fede popolare. Il còrso non ha interesse a tirare troppo la corda: i generali, i dragoni e i fanti (che la Madonna già nsugnava 1) sperano di trovare a Loreto chissà quali ricchezze ad attenderli. Ma evidentemente hanno l’ordine di mostrare rispetto per il luogo e accattivarsi la simpatia della gente; così piegano il ginocchio a terra, fanno la reverenzia a Maria. Le porte della Santa Casa sono chiuse; vengono chiamati sacrestano, frati e preti cui si ordina di portare una scala: servirà per mettere le mani sulla statua, situata troppo in alto 2. Due sono i francesi che se parte per eseguire l’ordine, mentre i sacerdoti piangono (piagnennu e lagrimennu); appena mettono le mani sulla statua in Santa Casa, i presuntuosi sono colpiti: uno muore all’istante e l’altro viene tramortito. La manifestazione più dura della collera celeste è la perdita della vista subita da tutti i soldati francesi che, in modi diversi, hanno partecipato attivamente al sacrilegio; la riacquisteranno solo una volta tornati in Francia, nel regno senza Dio. Tra i fatti portentosi dell’evento, c’è pure la gran nebbia che si solleva appena la statua viene calata a terra. Sconforto e disperazione dei loretani, che piangono e si asciugano gli occhi con fazzoletti bianchi: smarrito lamento per la perdita di un’immagine sacra carissima non solo a loro, ma a tutto il popolo cristiano.

1 pre < per; metatesi molto frequente nel dialetto osimano (v. anche pri = per i …). Nell’incipit si dà per scontata la convinzione dei francesi di essere attesi in basilica da grandi tesori (Sapennu li franzesi …) il cui splendore cresceva passo dopo passo nella loro immaginazione, vivacizzata dalla brama del ricco bottino. 2 fuce>furono: la forma verbale è ormai del tutto scomparsa dal dialetto osimano; si vedano anche, di seguito, le altre forme dece, andece (diedero, andarono), forse costruite a imitazione di fece-fecero. 3 sa = con. 4 Suonano a festa. 5 Soggetti di timennu (temendo) sono i preti. 6 Pio VI (Sistu) firmò il 19 febbraio 1797 il trattato di Tolentino con Napoleone. 7 Il passaggio è poco chiaro: la statua della Madonna i francesi l’avevano già arraffata e non si vede come mai l’intenziò di prenderla venga loro nuovamente attribuita a questo punto. 8 Nei dialetti del territorio è regola l’impiego del verbo alla terza singolare anche per il soggetto “essi”, in questo caso i francesi. Vedi anche, più sotto, se parte. 9 Per sagrestanu (citato al verso 23: sagrestà), è da intendere il sacerdote sacrestano del tesoro, che era don Bernardino Capodagli (sull’episodio si veda Sandro Petrucci, Insorgenti marchigiani, il trattato di Tolentino e i moti antifrancesi del 1797, Macerata, SICO editore, 1996 p. 124).

Ciociari in pellegrinaggio a Loreto Foto Rivista Marchigiana Illustrata, 1906

** La vicenda nella sua completezza, comprese le due varianti della canzone, si legge nel n. 1 di Storia/Storie nelle Marche, Recanati, Spazio cultura, 2013, pp. 37-48.

Leonello Spada (1849-1918), assistente tecnico nel liceo Campana di Osimo, ha scritto di storia, arte, geologia, entomologia e mineralogia del territorio osimano; di lui ho potuto pubblicare un manoscritto del 1903, conservato nei sotterranei della biblioteca di Osimo, “Porto Recanati – memorie storiche”, che ha visto la luce nel 2007 sulla rivista del Centro Studi Portorecanatesi (Potentia.Archivi di Porto Recanati e dintorni, n. 25). 7


STORIE ADRIATICHE

SACERDOS JESUS, SANCTI IGNATII SOCIUS di Marco Moroni

Nicolò Bobadilla - Wikipedia

Padre Nicolò Bobadilla, milite ignoto, ma glorioso, dell’esercito di Sant’Ignazio di Loyola, dedicò ogni attimo della sua vita all’annuncio della parola di Dio, di qua e di là dell’Adriatico, da Palermo fino in Germania. Inesausto soldato della fede. 8


N

icolò Bobadilla, uno dei nove compagni con i quali sant’Ignazio di Loyola fonda la Compagnia di Gesù, è sepolto nella chiesa di San Vito di Recanati. Benché sia quasi completamente sconosciuto al grande pubblico, Bobadilla è un personaggio di notevole rilievo nell’Europa del Cinquecento. Era morto a Loreto nel 1590, ma viene sepolto a Recanati dove i Gesuiti avevano un altro Collegio. La chiesa di San Vito a Recanati, dove ancora oggi si conserva la tomba, era stata concessa alla Compagnia di Gesù nel 1578, insieme con vari altri edifici dove era stato realizzato un grande Collegio. Alla realizzazione di quest’opera avevano contribuito i Leopardi, ma anche il Comune aveva concesso una somma annua, avendo stabilito di affidare ai gesuiti le scuole pubbliche. Negli anni del Concilio di Trento (1545-1563) Loreto e Recanati svolgono un ruolo importante. In particolare Loreto (non ancora definitivamente autonoma da Recanati) è il luogo dove, già prima della conclusione del Concilio, si individuano e si concretizzano i pilastri della “riforma cattolica”. I primi padri della Compagnia di Gesù erano giunti a Loreto nel dicembre 1554 chiamati dal cardinale protettore del santuario e dal governatore della Santa Casa, entrambi in contatto con Ignazio di Loyola. L’anno seguente erano già diciotto e, appartenendo a varie nazionalità, si occupavano del servizio delle confessioni, garantendo la conoscenza delle principali lingue. Ben presto, dopo aver costituito un Collegio, oltre ad accrescere la loro presenza nella Marca, avevano fatto di Loreto la base per una intensa attività missionaria. In tal modo il Collegio della Compagnia di Gesù di Loreto era divenuto il centro di una ampia azione apostolica rivolta alle “altre Indie”. Dopo aver inviato missionari nelle Indie più lontane, infatti, i gesuiti avevano incominciato a orientare molti dei loro uomini migliori all’impegno missionario nelle “Indie della parte di qua”, cioè nelle regioni interne dei Paesi cattolici. Loreto, con il suo grande santuario, meta di un numero crescente di pellegrini, diviene così il laboratorio dove si sperimenta la risposta cattolica alla Riforma protestante; è una risposta che indica nelle pratiche pie e nell’intensificazione di confessione e comunione la via per giungere

STORIE ADRIATICHE

Ritratto di Bobadilla - Wikipedia

a quella conversione interiore e a quel cambiamento di vita richiesti dall’adesione al Cristianesimo. In questa direzione uno dei primi impulsi viene proprio da Nicolò Bobadilla che fin dal novembre 1553 tiene a Loreto 22 lezioni sul sacramento della penitenza e 17 lezioni sull’eucaristia. L’intensa pratica sacramentale, il pellegrinaggio come cammino di conversione interiore e i riti intercessori diventano così le colonne portanti del nuovo modello di vita cristiana che diverrà dominante nella pastorale post-tridentina. Ma chi era Nicolò Bobadilla? Nato come Sant’Ignazio in Spagna, si era formato nell’università di Valladolid. Perfezionatosi a Parigi, dove aveva trascorso tre anni, Bobadilla nel 1537 si era recato prima a Venezia e poi a Roma insieme con altri otto compagni, fra cui Francesco Saverio. Ordinato sacerdote a Venezia e celebrata la prima messa a Vicenza insieme con Ignazio e i primi otto “gesuiti”, Bobadilla inizia la sua attività missionaria. Dopo essere stato a Bologna e a Ferrara, è costretto a fermarsi a Roma perché colpito da alte febbri intermittenti. Nel 1539, avendo il re del Portogallo Giovanni III chiesto dei missionari da inviare in India, Ignazio di Loyola indica, 9


STORIE ADRIATICHE oltre a Simon Rodriguez, proprio Nicolò Bobadilla; poiché però Bobadilla era ancora malato, al suo posto partì Francesco Saverio. Ripresosi dalla malattia, viene inviato in Calabria, nella diocesi di Bisignano; in quella difficile realtà predica, pacifica i discordi e opera per la riforma del clero locale. Nel 1541 è a Viterbo e poi a Roma; nel 1542 parte per la Germania dove vive, spesso da protagonista, molte delle vicende che in quegli anni contrappongono duramente cattolici e protestanti: prima va a Spira, poi a Innsbruck, a Vienna, a Praga, Nel 1545 è a Bruxelles, poi a Worms, quindi a Colonia. Nel 1547 è a Ratisbona e l’anno seguente ad Augusta. Tornato a Roma, va a predicare a Napoli e poi in Calabria. Dopo il 1551 fa la spola tra Roma, Napoli e Salerno. Nel 1553 torna di nuovo in Calabria: a Catanzaro, a Reggio, a Cosenza. Nominato visitatore del clero di Loreto, nell’ottobre è nelle Marche: nei mesi seguenti opera tra Loreto, Ancona e Recanati; rientrato per qualche mese a Roma, nel 1555 predica di nuovo nella Marca: a Senigallia, a Recanati, a Macerata, a Fabriano. All’inizio del 1556 torna a Recanati, da dove parte per Macerata, Tolentino, Camerino, Ancona, poi ancora a Fabriano, da dove rientra a Roma. L’anno seguente è a Foligno, poi a Forlì, da dove passa in Lombardia: a Bergamo, a Como, quindi in Valtellina. Dal 1559 inizia la sua missione in Dalmazia: da Venezia salpa in direzione di Zara; visitata la diocesi di Pola, si reca a Ragusa (l’attuale Dubrovnik), poi a Trebinje, quindi a Zara, a Venezia e di nuovo a Ragusa. Malato di febbre quartana, nel 1561 torna nelle Marche e si ferma a Loreto; ristabilitosi, passa a Tolentino, Camerino, Perugia, Foligno e infine a Roma, da dove torna in Calabria e giunge fino a Messina. Negli anni Sessanta predica in numerosissimi centri della Calabria, anche se più volte torna a Roma e nelle Marche: è a Loreto nel 1564 e nel 1566. Nei primi anni Settanta si porta in Sicilia, sostando a Messina, a Palermo e a Monreale; poi predica in varie località del Regno di Napoli, ma torna di nuovo in Sicilia e a Roma. Nei primi giorni del settembre 1579 parte in pellegrinaggio per il santuario della Santa Casa:

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l’8 settembre 1579 arriva a Loreto nello stesso giorno in cui vi giunge il cardinale Carlo Borromeo, anch’egli pellegrino. Bobadilla vi torna nel settembre 1583, dopo essere stato di nuovo in Calabria e in Sicilia. L’anno seguente inizia una lunga missione in Lombardia, Piemonte e Liguria che termina nell’estate del 1585, quando rientra a Roma. A settembre è di nuovo pellegrino a Loreto; dopo una nuova missione nel Regno di Napoli, nel settembre 1586 torna a Loreto, dove si stabilisce per qualche mese per predicare nella Marca. Nel 1587 prima è a Mantova, poi a Roma, da dove nel 1588 parte per la Sicilia; nei due anni seguenti opera nel Regno di Napoli. Rientrato a Roma nell’agosto 1590, nel settembre si reca ancora in pellegrinaggio alla Santa Casa; giunto a Loreto a metà settembre, vi muore il 23 dello stesso mese. Viene sepolto, come si è detto, nella Chiesa di San Vito a Recanati, dove ancora oggi si conserva il suo corpo, dietro un pietra sepolcrale nella quale viene definito “Hispanus Sancti Ignatii socius ex primis novem”. Quelle indicate in precedenza non sono tutte le località toccate da Bobadilla. Infatti, per evitare un elenco interminabile, sono state riportate soltanto le località principali. Il lungo elenco serve però a far comprendere quale sia la vita di un tipico missionario del Cinquecento. Nicolò Bobadilla, infatti, incarna alla perfezione la figura del gesuita che dedica il suo ministero alla missione itinerante secondo il modello degli apostoli e della prima predicazione del Cristianesimo. Per i primi gesuiti le missioni sono spedizioni temporanee attuate per “aiutare le anime” e “convertire i cuori” dovunque fosse necessario; per tutto il Cinquecento, infatti, nella Compagnia di Gesù la missione si caratterizzò come predicazione itinerante e si vietò di trasformarla in una residenza fissa. In tutti i luoghi toccati da Bobadilla e dai gesuiti che operavano secondo il modello apostolico le missioni popolari avevano caratteri comuni: la predicazione iniziale, la confessione generale, infine la comunione, con l’obiettivo di risvegliare le coscienze e di rinnovare la vita religiosa tramite nuove pratiche devozionali e nuove forme associative, in genere congregazioni organizzate secondo i mestieri o le funzioni sociali.


STORIE ADRIATICHE E quanto fanno anche a Recanati dove il Collegio garantisce una presenza fissa: fin dal 1582, infatti, i gesuiti danno vita a quattro congregazioni, distinte come altrove: la congregazione dei nobili, quella degli artisti (cioè degli artigiani), quella dei contadini e quella degli studenti. La Congregazione dei nobili, come è noto, sarà frequentata anche da Giacomo Leopardi. Fin dall’inizio della loro attività pastorale i gesuiti recanatesi insistono sulla centralità dei sacramenti e sull’importanza della conversione interiore, ma, secondo il modello posttridentino, progressivamente pongono particolare enfasi sul momento celebrativo e sugli aspetti rituali della vita religiosa collettiva. Feste e processioni ottengono un crescente consenso nel laicato devoto e contribuiscono a diffondere le nuove forme di religiosità che caratterizzano il Cattolicesimo del Seicento e del Settecento. Sono i gesuiti a gestire una delle maggiori manifestazioni del cerimoniale post-tridentino a Recanati: la processione del Venerdì santo. Per l’occasione la chiesa di San Vito si trasforma in un grande luogo scenico; gli apparati e l’illuminazione la ridisegnano in una sorta di teatro sacro all’interno del quale si svolgono, come nelle sacre rappresentazioni medievali, i momenti centrali della passione di Cristo: la crocifissione, la deposizione (rappresentata con realismo grazie alle giunture snodate della statua) e, infine, quando già incomincia a imbrunire, la processione del

Cristo morto che, seguito dalle statue a grandezza naturale della Madonna, di San Giovanni e della Maddalena, percorre le vie della città rientrando nella chiesa di San Vito a notte ormai inoltrata. Intanto, con un sapiente uso non solo della predicazione, ma anche delle immagini i gesuiti celebrano i successi delle loro missioni o il coraggio dei loro martiri. Come quello di Loreto, al quale è strettamente unito il Collegio Illirico, anche il Collegio di Recanati è particolarmente legato all’azione missionaria nei Balcani conquistati dagli Ottomani, ma non mancano i richiami alle Indie orientali. Nella chiesa di San Vito un grande quadro raffigura San Francesco Saverio, ma il dipinto che fin dagli inizi del Seicento ha colpito di più l’immaginazione dei recanatesi e di tutti i visitatori è una strana crocifissione nella quale non sono rappresentati Cristo e i due “ladroni”, ma tre gesuiti. Restaurato di recente e temporaneamente trasferito nel museo civico di Villa Colloredo Mels, il quadro ricorda i tre martiri giapponesi fatti giustiziare nel 1597 dallo shogun Toyotomi Hideyoshi; questi temeva un intervento militare degli spagnoli, sostenitori dei missionari francescani che, a differenza dei gesuiti (appoggiati dai portoghesi), erano molto meno disposti a quelle forme di “accomodamento” con la cultura locale praticate, in Cina, da padre Matteo Ricci e prima di lui, in Giappone, dal suo antico maestro Alessandro Valignano.

Crocifissione - foto di Antonio Baleani

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STORIA

CODICE 1631: OPERAZIONE TACITO di Janula Malizia

Le vicissitudini del manoscritto della “Germania” di Tacito, copiato a mano da Stefano Guarnieri da Osimo nel XV secolo, scampato alla caccia ossessiva dei nazisti di Himmler, che lo cercavano come fosse il Santo Graal.

Palazzo Guarneri - foto di Janula Malizia

I

l maestoso Palazzo Guarnieri, così come è giunto fino a noi impreziosito da alcune eleganti bifore in pietra d’Istria, si affaccia sulla centralissima Piazza del Comune di Osimo ed è costituito da due corpi, uno più antico e l’altro più recente. Il nucleo più antico risale con molta probabilità ai primi decenni del

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1500, mentre quello più nuovo è stato realizzato nel 1892 sulle rovine preesistenti dell’ex Palazzo Civico di Osimo. Alcuni membri dell’antica famiglia dei Guarnieri, ritiratisi nei possedimenti Osimani all’inizio del tredicesimo secolo, furono Vescovi e rettori di Abbazie, altri si distinsero in battaglia ed entrarono nell’Ordine dei Ca-

valieri di Malta ed altri ancora condussero una vita di studio appassionato. Stefano Guarnieri può essere annoverato tra quest’ultimi, nacque ad Osimo nella prima metà del secolo XV e, dopo molte peripezie che lo videro impegnato in altri lidi, tornò ad abitare nel palazzo di famiglia fino al 1495, anno della sua


STORIA morte. Il fine umanista mise insieme una ricca biblioteca a cui venne poi aggiunta quella del fratello Francesco e così una preziosa collezione di antichi libri venne custodita nel palazzo osimano fino al 1793, quando Sperandia Guarnieri, ultima discendente della casata, la trasferì a Jesi nella dimora del marito, il conte Balleani. Un manoscritto in particolare vi rimase per lunghi secoli al sicuro, cullato nell’oblio, mentre gli studiosi lo consideravano irrimediabilmente perduto. Tutto ebbe inizio nel 1425. Mentre Stefano Guarnieri muoveva i primi passi sul pavimento in cotto del palazzo nobiliare di famiglia, posto su di un arieggiato colle della marca anconetana, agli attenti orecchi della curia romana giungeva una notizia: in un monastero prussiano presso Hersfeld era custodita una “aliquota opera Cornelii Taciti nobis ignota”, di cui si erano perse le tracce fin dal Medioevo. Nel 1455 Enoch d’Ascoli ricevette l’incarico di recarsi ad Hersfeld per conto di Niccolò V al fine di recuperare tale codice miscellaneo contenente alcune opere di Tacito, dietro la promessa di una lauta remunerazione. Purtroppo Enoch tornò a Roma che il Papa era morente. Il successore al soglio di Pietro non mostrava alcun interesse per gli antichi manoscritti, per cui Enoch si ritirò ad Ascoli dove smembrò il codice in tre parti apografe, cioè copiate direttamente dall’originale, con l’intento di venderle più facilmente. Quando Enoch da Ascoli morì, del codice hersfeldens (che conteneva, seppur smembrate, l’Agricola, Il Dialogus de oratoribus e la Germania che scrisse Tacito nel 98 d.C.) si persero nuovamente le tracce. Intanto Stefano Guarnieri, diventato gonfaloniere di Osimo nel 1493, continuò ad arricchire di opere preziose la sua amata biblioteca finché Dio glielo concesse. Passarono alcuni secoli, e nel 1902 mons. Marco Vattasso, prefetto della biblioteca apostolica vaticana, in compagnia dello studioso Cesare Annibaldi, ritrovò nella biblioteca del conte Aurelio Baldeschi Balleani di Jesi un libello di otto pagine intitolato “De origine et moribus Germanorum” ad opera di Tacito. Lo studioso Cesare Annibaldi, professore nel locale liceo, riconobbe su quelle antiche carte la mano dell’antenato dei conti Baldeschi Balleani, che era vissuto nel XV secolo. Le trame perdute attraverso i secoli stavano finalmente per essere ricucite. Il professor

Annibaldi dedusse che l’umanista Stefano Guarnieri da Osimo ad un certo punto entrò in possesso del manoscritto appartenuto ad Enoch da Ascoli e, constatandone le pessime condizioni, lo risistemò e lo integrò nelle parti mancanti in veste di sopraffino “doctus copista”, per poi conservarlo degnamente nella biblioteca di famiglia. Il Codex Aesinas Latinus o codice Esinate-Hersfeldense scritto da Tacito quasi duemila anni prima, unica opera latina giunta fino a noi contenente ciò che veniva considerato il resoconto antico del popolo germanico, era ritornato alla luce. Pagine apparentemente innocue emersero dalla polvere della storia e nessuno poteva immaginare che incubassero inconsapevolmente un virus temibile che sarebbe poi sfociato in una delle crisi più atroci del XX secolo. Quando nel 1907 ne uscì la prima pubblicazione la popolarità si diffuse in Germania. Anche se il testo era disponibile già da ben 400 anni nella versione in latino, le traduzioni moderne si diffusero velocemente e vennero inserite nei programmi scolastici tedeschi. Le descrizioni riportate da Tacito di una popolazione fiera, forte e indomabile che stanziava a nord del Reno al tempo in cui l’impero romano era in preda alla corruzione e alla decadenza, quasi duemila anni prima, vennero interpretate in una chiave completamente differente e diventarono di lì a poco le citazioni più frequenti negli articoli dei nazisti per argomentare le loro tesi di superiorità della razza. Quello che per Tacito costituiva un aspro monito all’impero romano in piena decadenza, venne travisato e strumentalizzato dagli ideologi nazisti del ventesimo secolo. Entrare in possesso di quelle pagine sarebbe stata la prova certa dell’esistenza di una antica razza germanica pura e incontaminata, ed è stata questa bramosia che spinse Himmler, capo delle SS, a desiderare di impossessarsi dell’originale ad ogni costo. Ripetutamente e per diversi anni arrivarono pressioni in Italia affinché il Codex Aesinas venisse consegnato ai gerarchi tedeschi, ma gli studiosi e il conte Aurelio Baldeschi Balleani riuscirono ogni volta ad evitarlo. Arrivò l’autunno del 1943 e l’Italia si lasciò alle spalle l’armistizio. Ma la speranza che gli italiani avevano di porre fine a un lungo periodo di guerra sanguinosa e di sofferenze venne presto spazzata via dall’occupazione nazista. Le truppe 13


STORIA

grotte Osimo sito del Comune

sala affreschi baldeschi foto sito beniculturali.marche.it

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alleate avevano appena iniziato a sbarcare nell’Italia del sud, quando gli uomini delle SS inviati da Heinrich Himmler misero a soqquadro la residenza di Fontedamo di Jesi del conte Baldeschi Balleani senza trovare quanto cercavano. Il conte aveva da tempo abbandonato il domicilio jesino, poiché a causa della vicinanza con l’aeroporto non lo riteneva più sicuro per sé e per la sua famiglia. Si era invece trasferito ad Osimo, pensando che l’antico Palazzo Guarnieri sarebbe stato più sicuro. Osimo è una città dotata di una intricata rete di cunicoli sotterranei accessibili dai palazzi del Centro Storico, scavati nell’arenaria giallo ocra; è in una grotta come questa che se ne restarono nascosti il conte, la moglie e i suoi tre figli, con l’assistenza di persone di fiducia. I costruttori del passato, anziché trasportare la rena dal Musone fino in città, scavavano delle lunghe gallerie nel sottosuolo su cui intendevano erigere gli edifici, per ricavarne tufo polverizzato da usare come rena fine da impastare con la calce e da utilizzare nelle costruzioni. Le gallerie naturalmente seguivano un percorso ben diverso da quello delle fondazioni. Tutte queste grotte sono comunicanti tra loro e hanno pareti lisce, qualcuna riporta lo stemma della famiglia proprietaria del palazzo sovrastante mentre altre sono istoriate con simboli e figure a mezzo rilievo. Nelle grotte di Osimo sotto l’antico palazzo Guarnieri, i discendenti di Stefano cercavano riparo dalle incursioni, dai bombardamenti e dalle cannonate mentre stivali chiodati abituati al passo dell’oca calpestavano il pavimento di villa Fontedamo a Jesi. I soldati delle SS rovistavano e mettevano a soqquadro ogni stanza alla ricerca spasmodica di un manoscritto vecchio di quasi 2000 anni (98 d.c.), tutto questo mentre il mondo era attanagliato da una guerra sanguinosa, nel nome della superiorità di una “razza” che Tacito neanche si era sognato di intendere con i suoi scritti. Intanto, gli eventi stavano precipitando e gli emissari di Himmler lasciarono Jesi tornandosene da dove erano venuti a mani vuote, senza aver trovato il piccolo libricino dell’antico autore latino a cui le loro menti offuscate avevano attribuito poteri quasi taumaturgici, come se entrandone in possesso sarebbero potute cambiare le sorti della storia. Il Codex Aesinas venne portato a Firenze alla fine della guerra dal conte


STORIA Aurelio Baldeschi Balleani, che lo depositò al sicuro in una cassetta di sicurezza del Banco di Sicilia. Ma il codice scampato ai nazisti non scampò all’alluvione del 1966, che lo danneggiò. Venne restaurato dai monaci di Grottaferrata per poi essere riportato a Firenze. Oggi si trova custodito presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma con l’identificativo: codice 1631. Ogni mattina da più di dieci anni, prima di sedermi alla scrivania apro la finestra per cambiare l’aria nella stanza in cui lavoro. Ogni mattina, che sia bello o cattivo tempo guardo il panorama e i palazzi che mi trovo di fronte. La Chiesa del Sacramento e il Palazzo Baldeschi Balleani. Ad un certo punto le finestre del palazzo sono state chiuse, sono iniziati lavori di manutenzione e consolidamento. Mi sono affezionata a questa facciata, austera ed elegante al tempo stesso, così che ho iniziato a interessarmi alla sua storia e a cercare testimonianze: “Mio padre scelse di andare a Osimo, ritenuto da lui più sicuro, non per il Tacito, ma per la sua famiglia. Infatti Villa Fontedamo a Jesi era di fronte all’aeroporto, situato dove ora c’è l’area industriale Zipa. Non so se il Tacito rimase nell’archivio di Jesi o venne trasferito nell’archivio di Osimo. Quello che so di sicuro è che noi ci siamo dovuti trasferire nelle grotte di Osimo, per proteggerci dai bombardamenti della città (bombardamenti non aerei, ma di cannoni) e non per nasconderci dalle SS, che non sono mai entrate in casa nostra.

Quindi mio padre per proteggere la sua famiglia, moglie e tre figli, dalle cannonate si rifugiò nelle grotte dove abbiamo trascorso 18 giorni, risalendo in casa quando qualche tregua ce lo consentiva. Nelle grotte erano state aperte delle brande con cuscini e coperte per poter riposare meglio. Essendo esse tutte comunicanti, c’erano altre famiglie insieme a noi, anche loro con bambini. E’ ovvio che tutti gli adulti hanno cercato di rendere il soggiorno là sotto il più tranquillo possibile, per non spaventare i bambini e farci sembrare il tutto come un gioco. Purtroppo però in una delle volte che siamo saliti a giocare in cortile, come di consuetudine, con i figli del nostro fattore, una granata ha ferito i due figli di Otello Del Curto, Lino, lievemente, ma molto gravemente l’altro, Eros. Il ricordo dei lamenti incessanti di questo povero bambino tanto amico nostro, rifugiato anche lui con noi nelle grotte, ancora oggi mi riempie di tristezza. Il povero Eros morì un mese dopo per le ferite riportate alla spina dorsale. Ormai gli alleati avevano liberato Osimo, ma le cannonate dei tedeschi continuavano ad arrivare.Qui ricordo che mia madre Silvia ed Antonio Barberini, giovanissimo figlio del Principe Giulio Barberini, decisero di attraversare la piazza per andare in Comune per ottenere il permesso di lasciare Osimo ed andare a Fermo da mia zia Giulia Vinci Gigliucci. Arrivò un altro attacco che colpì il Comune e mia madre, il Barberini ed il Sindaco finirono tutti sotto un tavolo, rimanendo così per fortuna illesi.”

Molte piccole cose messe insieme danno un tutto abbastanza completo.(*) E’ così che ho fatto, ho messo insieme tante piccole cose e grazie a Luca Lasca, il titolare della rivendita di giornali sotto il loggiato del palazzo comunale, ho potuto contattare prima il conte Gaetano e poi tramite lui la contessa Francesca Baldeschi Balleani, persone squisite a cui sono molto grata. La contessa Francesca mi ha concesso i suoi ricordi di bambina di quei giorni trascorsi al riparo nelle grotte sotterrane del palazzo, che io ho integralmente sopra riportato.

Fonti: *La Storia di Osimo di Don Carlo Grillantini Un libro molto pericoloso Christopher B. Krebs Archivio fotografico della Regione Marche Testimonianza della Contessa Francesca Baldeschi Balleani

foto sito liceoclassicojesi.it

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LETTERATURA

TRAIANO BOCCALINI, UN REPORTER IN PARNASO di Claudio De Angelis

C’è un tema centrale e costante nell’Opera del Nostro ed è questo: è solo grazie alle “Buone Lettere”, cioè allo studio e alla cultura che i popoli, da sudditi ignari e inermi, possono diventare consapevoli e padroni del proprio destino.

Nicolas Poussin, 1630 - Il Parnaso - Museo del Prado

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quattrocento anni dalla sua morte, il mondo letterario italiano ha reso omaggio a Traiano Boccalini. Il merito va al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata che, in collaborazione con il Comune di Loreto, ha organizzato, a metà ottobre dello scorso anno, un Convegno di Studi sulla figura e l’opera dello scrittore lauretano. Ad esso hanno partecipato 24 Docenti provenienti da 16 Università italiane. Il convegno, durato tre giorni, si è articolato in 4 sessioni, equamente distribuite fra Macerata e Loreto. I Relatori han16

no scandagliato, portando nuovi e interessanti contributi e punti di vista, gli aspetti di satira politica e di critica letteraria del Nostro Autore. Invitando quanti fossero interessati a conoscere più a fondo il Boccalini, alla lettura degli Atti del convegno, di prossima pubblicazione, proverò a dare un profilo sommario della vita, dell’opera e della personalità dell’autore marchigiano. Quando vi nacque nel 1556, Loreto era un piccolo borgo di un migliaio di anime, operoso e tranquillo, in cui arrivavano molto attutiti gli echi


LETTERATURA delle guerre di religione che laceravano allora l’Europa. In quegli anni la scena politica europea e italiana era dominata dalla Spagna., che con le sue mire egemoniche, con la sua presenza invadente e arrogante, provocò per reazione, in molti spiriti liberi, e anche in Traiano, un fortissimo sentimento antispagnolo. Il giovane Boccalini si formò prima sulla lettura dei classici, e in seguito studiò, anche se malvolentieri, diritto, conseguendo comunque la laurea in utroque. Ciò gli consentì di esercitare dapprima le funzioni di giudice in Roma, e in seguito di governatore in varie cittadine dello Stato pontificio, e di mantenere così la sua numerosa famiglia. In quegli anni veniva componendo sia i Commentari a Tacito sia i Ragguagli di Parnaso. Resosi conto che questi ultimi piacevano a quanti avevano l’occasione di leggerli a spizzico nei manoscritti, si decise a stamparli, con la speranza di ricavarne onore e vantaggi economici. La scelta cadde su Venezia, grande centro editoriale e modello di Repubblica libera e civile. Trasferitosi colà nel 1612, riuscì a pubblicare le prime due Centurie, non la terza perché impedito dalla morte che lo colse il 26 novembre 1613. L’opera cui è maggiormente legata la fama del Lauretano sono, per l’appunto, i Ragguagli di Parnaso. Essi, composti sul principio del ‘600, si possono definire un’ opera allegorico - satirica in prosa, nella quale l’Autore esprime le sue idee in materia storico- politica e letteraria. La struttura è nota: il Boccalini immagina di essere il “menante”, cioè il “reporter”, diremmo oggi, di tutto ciò che accade nel mitico regno di Parnaso, abitato da uomini di ogni tempo e paese, eccellenti o come li chiama l’autore “virtuosi” nelle lettere, nelle scienze, nella politica, nelle armi e nelle arti. Sovrano ne è Apollo, ora saggio, giusto, e olimpicamente calmo; ora indignato, capriccioso, autoritario. A lui vengono presentate, come a giudice supremo, le questioni più disparate. Egli prima di deliberare ascolta in assemblea il parere dei suoi “ virtuosi”, fra i quali spiccano Tacito, esperto in problemi politici, Tito Livio in quelli storici e Castelvetro in quelli letterari. Lo scopo che il Boccalini si propone con questa opera è quello di “giovare e dilettare” il lettore “mischiando il serio col piacevole”, secondo il vecchio principio oraziano. E piacevole è davvero la lettura di parecchie pagine, come quella che prende in giro i pedanti che si scazzottano per la grafia di una parola; o l’altra i cui si mette a nudo l’ipocrisia di un letterato che frequenta notte e giorno i salotti delle poetesse, con la scusa di leggere loro ogni giorno un capitolo

foto dal sito it-it.abctribe.com

del “De consolatione philosophiae” di Boezio. Indimenticabili, infine, le immagini di Machiavelli che viene sorpreso di notte mentre tenta di mettere denti posticci di cane alle pecore (i popoli) con grave pericolo dei pecorai (i sovrani), o la figura di Tacito che ha costruito un occhiale acutissimo che permetteva di scorgere “fino dentro le budella” i segreti maneggi dei principi. I Ragguagli di Parnaso incontrarono per tutto il Seicento, e anche oltre, un immediato, straordinario e costante favore presso i lettori sia italiani che stranieri, testimoniato dalle numerosissime edizioni e ristampe apparse in Italia e dalle traduzioni fatte in molti paesi d’Europa. Il successo fu dovuto alla novità della forma, alla vivacità del linguaggio, ma soprattutto alla spregiudicatezza della polemica politica diretta contro la Spagna, allora fortemente invisa in Europa, e della satira di costume. Nei tre secoli seguenti, il coro di consensi non fu unanime. Con il mutare dei tempi, cambiò anche il gusto dei lettori e dei critici. Nell’Ottocento, accanto a coloro che elogiavano il Boccalini come anticipatore di sentimenti risorgimentali, comparvero anche giudizi negativi, come quello del De Sanctis (“ I Ragguagli sono opera di nessunissima serietà”). Nel Novecento il Croce lamentava nell’autore marchigiano mancanza di pensiero organico e una certa frigidezza 17


LETTERATURA nella forma. Valutazioni più equilibrate espressero eminenti critici come lo Jannaco, il Flora, il Varese e il Firpo. A quest’ultimo dobbiamo l’edizione critica delle tre Centurie che pubblicò nel 1948 presso Laterza.

foto dal sito carpeoro.com

E’ ancora viva e attuale, almeno in parte, l’opera del Boccalini? E’ una domanda che non possiamo eludere. Io direi di si. Per quanto riguarda i contenuti concettuali, segnalo tre punti del suo pensiero: - Il suo amore per la patria e la libertà. La patria, per meritare il nostro amore, non può che essere libera. Lo stesso Apollo preferisce le patrie libere, anche per amore delle scienze; infatti solo in esse, le leggi sono dirette al bene comune degli uomini e gli animi dei cittadini sono più disposti a intraprendere e ad eseguire opere virtuose, e a preparare il terreno per farvi fiorire le scienze. - Il suo antimilitarismo. Egli polemizza contro la vita e la gloria militare. Condanna gli orrori della guerra e non risparmia nessuna irrisione nei suoi frequenti spunti contro i soldati mercenari. I macellai stessi protestano contro l’onore di chiamare: “scienza e disciplina il mestiere crudelissimo di macellare uomini, di disertare il mondo, e di fare con la spada in mano del mio il tuo”. - La cultura come forza liberatrice. C’è un’ idea centrale nella sua riflessione: è solo grazie alle “Buone Lettere”, cioè allo studio e alla cultura che i popoli, da sudditi ignari e inermi, possono diventare consapevoli e padroni del proprio destino. L’ignoranza, infatti, favorisce i regimi autoritari e corrotti, mentre il sapere e la cultura ne minano le basi, smascherando la rapace avidità dei potenti. Infine, due parole sulla forma. Grande ammiratore di Tacito, non imita però il suo stile rapido e concettoso. I suoi periodi, secondo il gusto latineggiante del tempo, hanno un andamento lento e sinuoso, come quello dei fiumi che, arrivati in pianura, indugiano alquanto e si avviano pigri e con ampie anse verso la foce. Concludo con le parole di Luigi Firpo: “Le sue pagine più vive e felici sono quelle in cui vibrano l’amore di patria, la sete di libertà, l’odio per gli oppressori, quel suo sentirsi straniero ad un‘età sempre più avara di sincerità e di coraggio”.

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CINEMA

LA FENICE DI OSIMO: NONSOLOTEATRO di Massimo Morroni - foto dell’Archivio Storico Comunale di Osimo

Mentre a Parigi Louis Lumière profetizzava per la sua invenzione un disastroso destino commerciale, nella nostra piccola città il fenomeno veniva giudicato “attraente e importante”. Quando si dice la saggezza marchigiana.

Teatro di Osimo

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al Teatro “La Fenice” al Teatro “La Nuova Fenice” Il Teatro “La Fenice” fu aperto in occasione del carnevale nel 1782. Era stato realizzato su disegni di Cosimo Morelli (1) ed il contributo di suo fratello Luigi e di Vincenzo Mazza (2), nonché dei pittori Melchiorre Jelli (3) e Giuliano Alberti di Macerata. Dopo un secolo, nel 1885, si decise di demolire l’edificio per ragioni di sicurezza e due anni dopo si iniziarono i lavori di ricostruzione su progetto dell’ingegnere Gaetano Canedi (4). I palchi ed il soffitto furono dipinti da Ferdinando Torchi e Giovanni Diana. Il Teatro “La Nuova Fenice” fu inaugurato il 16

settembre 1894 con la Carmen di Georges Bizet, cui seguirono La forza del destino di Giuseppe Verdi e Paron Giovanni di Antonio Castracane nel settembre 1895, le operette La gran via di Federico Chueca-Joaquin Valverde e Il marchese del Grillo di Giovanni Mascetti il 4 novembre 1896. Il primo “cinema” nel Teatro “La Nuova Fenice” Il mese successivo, esattamente il 19 dicembre 1896, si ebbe il primo avvenimento “cinematografico” osimano, di cui si abbia notizia, tenutosi all’interno del Teatro stesso. Come recita 19


CINEMA

1896 19 dicembre

boulevards di Parigi, la toilette, la notte tormentosa, lo sbarco degli emigranti, la colazione in famiglia, l’incoronazione dello Zar, il falegname, la danza serpentina, la scena di gelosia, il gioco di fanciulli, l’arrivo dello Zar a Parigi, i vapori inglesi, la disputa sulla riva e i lottatori. Il giorno seguente, 20 dicembre 1896, sempre alle ore 20, i nuovi soggetti erano: le feste dello Zar a Mosca, Piazza della Repubblica, le lavandaie, la scena in famiglia, l’assalto di lotta, i pompieri, il ballo dei fanciulli, il ponte dei marescialli, la prima sera di matrimonio, l’uscita degli operai dall’officina, i soldati in piazza d’armi, la raccolta del fieno, la piazza del mercato a Vienna e il duello fra due donne. Il prezzo di ingresso per la platea, i palchi e le poltrone era di L 0,40, che, in valuta odierna, si aggira attorno ad 1,20 euro, la metà per il loggione; si pagava circa il 50% del costo d’ingresso per le opere teatrali. E’ da rammentare che stava iniziando il periodo della “grande emigrazione”, che avrebbe portato migliaia di marchigiani fuori d’Italia. Il settimanale locale, “La Sentinella del Musone” (5), nel dare notizia delle proiezioni, così commentava: “La riuscita non fu molto felice per la poca perfezione della macchina, che dava oscillazioni continue e soverchie, cosicché nella seconda sera il pubblico accorso fu abbastanza scarso. Tuttavia il fenomeno è sempre attraente ed importante”.

la locandina, si tratta di “straordinarie rappresentazioni di fotografia animata ottenute col Cinematografo Excelsior Edison perfezionato con più recenti progressi della scienza, fotografie di assoluta novità”. E la novità era talmente assoluta che nella locandina stessa ci si premurava di spiegare che cosa fosse il cinematografo: “Il Cinematografo è un apparecchio che per mezzo di una serie di fotografie, produce colla massima esattezza le scene della vita. Esso presenta le figure al naturale; lo spettatore che assiste a questa projezioni fotografiche si sente trasportato nel luogo I primi “cinema” nelle Marche Nella nostra regione risuldove succede l’azione e gode le illusioni della realtà”. I sog- ta (6) che la prima proiezione getti delle proiezioni erano: i pubblica era stata effettuata 20

due mesi prima, l’11 ottobre 1896, ad Ancona, nel Caffè Centrale, dove la Compagnia Anglo-italiana aveva presentato “esperimenti di proiezione”. Siamo nella prima fase della storia del cinema, chiamata “cinema delle attrazioni”, che arriverà al 1915. In essa si distinguono due sottoperiodi: il SAM (Sistema delle Attrazioni Mostrative), dal 1895 al 1906, con singole vedute indipendenti, ed il SIN (Sistema dell’Integrazione Narrativa), con inquadrature in successione che creano una narrazione. Lo scopo principale era di mostrare scene in movimento, raccontate da un narratore presente in sala. I film veri e propri verranno successivamente. Anche le sale da proiezione non sorsero subito: vi erano infatti “cinematografi ambulanti” e svariati macchinari di proiezione, che venivano ospitati di solito nei teatri cittadini. I primi passi del cinema Si è visto che ad Osimo si esibì il Cinematografo Excelsior Edison. Nel 1889 Thomas Alva Edison, l’inventore dai mille brevetti, aveva ideato una cinepresa (kinetograph) per scattare fotografie in rapida successione su di una pellicola da 35 millimetri, ed una macchina da visione, detta kinetoscopio, con la quale un singolo osservatore le guardava, ricevendone l’effetto del movimento. L’apparecchio, sviluppato dal suo collaboratore William Dickson, era contenuto in un armadio ed era manovrato a mano o con un motore elettrico, e muoveva un film fotografico alla velocità di 48 immagini al secondo; questo film era illuminato da una lam-


CINEMA pada incandescente e poteva essere seguito dall’osservatore attraverso una fessura protetta da una lente. Il kinetoscopio si diffuse dal 1894 in America ed in Europa (7), ma, nonostante tutti i tentativi, non consentiva di proiettare il film su di uno schermo. In quegli anni (1894 e 1895) si inventarono diversi tipi di proiettori (dovuti a C. F. Jenkins, R. W. Paul, W. Latham, T. Armat), ma il primo tipo di proiezione collettiva, che arrivò allo stato di pratico sfruttamento, fu quello dei Lumière. Essi, invece di utilizzare una serie di fotografie successive riprese sopra un nastro di celluloide, inventarono un apparecchio capace di riprendere e proiettare le immagini fissate sul nastro sensibile, mediante un sistema ottico-meccanico a movimento intermittente. Esso era in grado di riprendere, stampare il film e proiettarlo. La velocità di proiezione fu ridotta da 48 a 16 immagini al secondo. La

richiesta di brevetto fu fatta dai Lumière il 13 febbraio 1895. Seguirono per tutto l’anno proiezioni ristrette, e il primo spettacolo cinematografico risale al 25 dicembre 1895, tenuto nei sotterranei del Grand Café al Boulevard des Capucins a Parigi. Si trattava di una piccola serie di film documentari, di 16 o 17 metri, come: La sortie des usines à Lyon, Querelle de bebé, Bassin des Tuileries, Le train, Le régiment, Partie d’écarté, Mauvaises herbes, Le Mur, La mer. Già nel 1896, oltre alle proiezioni di Georges Méliès, circolavano anche quelle di Edison, come visto per Osimo. L’anno seguente troviamo le rappresentazioni del “Cinematografo Edison” per esempio a Fano (8), accanto al “Reale cinematografo Lumière” (9). A questi due colossi si affiancarono ben presto il Bios-Cronofotografo Demeny di Léon Gaumont (10), l’americano Biograph di Lauste e Dickson, il Pathé ed altri.

1 - Architetto (Imola, 1733-1812). Autore di diverse opere ad Imola, Macerata (teatro Rossi), Fossombrone (cattedrale), Roma (sacrestia vaticana), Forlì (teatro) ecc. 2 - Architetto, allievo del Bettini e di Antonio Bibiena. 3 - o Jeli (Austria, sec. XVII-XVIII). Pittore, risiedette per un periodo a Filottrano. Affrescò diversi palazzi (Gallo-Carradori, Bellini, Dionisi, Dittaiuti, Traluci). 4 - Ingegnere ed architetto (Bologna, 1836-Roma, c. 1889). Si formò a Milano; divenuto famoso per i teatri, dal 1884 iniziò l’attività romana, durante la quale fu anche imprenditore. Progettò teatri in Italia (Vigevano, Milano, Alessandria, Palermo) ed all’estero (Filadelfia). Forse è autore anche della facciata del palazzo Campanelli e dell’ex palazzo Jonna (Via Cinque Torri). 5 - Anno 1896, n. 52 6 - Cfr. Angelini-F. Pucci, 1896-1914. Materiali per una storia del cinema delle origini, Torino 1981, p. 10. 7 - Per le Marche, cfr. Angelini-F. Pucci, op. cit., p. 57, 109 - 8 - Cfr. Angelini-F. Pucci, op. cit., p. 16 s., 99, 114. 9 - Cfr. Angelini-F. Pucci, op. cit., pp. 21, 24 s., 28 s., 31 s., 34, 100 ss. - 10 - Cfr. Angelini-F. Pucci, op. cit., p. 48 ss., 108.

1892 fotografia animata

1895 Kinetoscope

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IL NOSTRO MARE

CHE QUALCUNO CI ASCOLTI, FOSSE LA VOLTA BUONA. di Aurora Foglia - le foto, dell’autrice, sono della costa portorecanatese dopo la recente mareggiata

Corsivo molto ironico su fatti che lasciano ben poco da ridere per una telenovela che non ha proprio l’aria di promettere un lieto fine.

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nni fa, dopo un intero pomeriggio passato sui libri, scandagliando la libreria di casa in cerca di qualcosa in grado di svagarmi un po’, mi sono imbattuta in un libricino bianco, dalla copertina che sembra presa in prestito. Scorrendo le prime righe, leggo che si tratta del Discorso del terremoto di Federico Zerenghi da Narni1, dottore di filosofia e medicina. Scorrendo il testo, si discute di quali siano le cause del moto della Terra, secondo il senso delli Filosofi, de

gl’Astrologi, de’ Teologi & delli Cattolici Cristiani, con li rimedii cattolici, filosofici e medici. Vi si nomina la maggior parte delli Terremoti, che dalla Natività di Nostro Signore fino all’età nostra siano successi, si mettono alcuni segni, che vogliono predire il Terremoto, con quello, di che il moto della Terra suol esser portento & annunciatore. Al solo associare la volontà Divina alle calamità naturali la comunità scientifica di oggi impallidirebbe, ça va sans dire. Eppure, leggere il 23


IL NOSTRO MARE

volere di Dio in fatti apparentemente inspiegabili in altro modo, oltre ad essere il cardine della spiritualità di ogni popolo, potrebbe quasi fornire una spiegazione a piccole e grandi calamità degli ultimi anni, dai terremoti alle inondazioni, alle frane, che all’oggettiva drammaticità degli episodi accompagnano spesso un codazzo di polemiche più o meno sterili su chi e come ha costruito cosa, sul perché siano state operate alcune scelte piuttosto che altre, a favore di chissà chi. Ad osservare gli eventi che hanno flagellato Porto Recanati nel mese di febbraio 2014, sembrerebbe si sia trattato quasi di un poco democratico repulisti dall’alto, come se a fermare o per lo meno rallentare l’ipertrofico sviluppo edilizio costiero degli ultimi anni riesca solo Chi tutto può, là dove il buon senso, più del vigente regolamento edilizio, sembra ormai aver alzato bandiera bianca. Leggendo e rileggendo quanto proposto dalla stampa2 in quei giorni, emerge un quadro talmente allarmante da spingere quasi ad invocare il Divino per porre un freno ad un quadro speculativo che assume tratti grotteschi. Ma non, sia chiaro, un Dio benevolo che, con un solo sguardo amorevole riesca a risarcire i proprietari di abitazioni ed esercizi commerciali, mettere al sicuro una volta per tutte le spiagge dai fenomeni più nefasti e punire i cattivi che hanno permesso tutto ciò. Verrebbe quasi da sperare in un Dio vendicativo, un po’ stile Vecchio Testamento, che termini l’opera appena avviata e, con un colpo da maestro che non faccia né morti né feriti, spazzi tutto quanto via; via le case a meno di due passi dal mare, le torri colorate, i mezzi grattacieli grigi. Senza sé e senza ma. Si ricomincia tutti daccapo, e sia chiaro, stavolta la legge è uguale per tutti. Un Dio così, mi verrebbe da pensare, dovrebbe essere nato sotto il segno

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dello Scorpione. Vendicativo ad un punto tale da sembrare cattivo, talmente cattivo da risultare perfino simpatico. Lungi da me l’auspicare una soluzione tanto ardita e radicale ai mali che affliggono Porto Recanati, ma di fronte al ciclico ripetersi degli eventi, e all’ormai assodata impossibilità di trovare una soluzione che veda d’accordo tutti i portatori di interesse, verrebbe quasi da unirsi al coro dei fontamaresi di Silone3 a sospirare al cielo “Che fare?”. Che Qualcuno ci ascolti, fosse la volta buona.

*All’Ing. G. Bravi, per la strada fatta insieme, per quella che sono certa farà, e per quella che manca a me da percorrere. Grazie e buona fortuna per tutto. 1 Federico Zerenghi da Narni, Discorso del terremoto, Macerata, 1626. Il testo, del quale è disponibile una copia anastatica presso la Biblioteca Comunale Mozzi Borgetti di Macerata, è stato ripresentato al pubblico nel 1995 dall’Osservatorio geofisico Sperimentale di Macerata, prestigiosa istituzione impegnata anche nel campo della sismologia. 2 Interessante il contributo di Jacopo Pasotti, apparso su Repubblica del 3 febbraio 2014, secondo il quale la costa adriatica sarebbe ormai ridotta ad una macro incrostazione urbana. 3 L’opera Fontamara, scritta da Ignazio Silone (Pescina (AQ), 1 maggio 1900 – Ginevra, 22 agosto 1978), nel 1930, è la storia di un paese calpestato nei diritti, narrata con toni talmente epici da elevarla a manifesto delle vittime di soprusi che, si sa, non hanno colore o epoca. Nel testo, “Che fare?” è il titolo della rivista di denuncia edita dai fontamaresi, ripetuto come una nenia.


LA NOSTRA TERRA

LA RUSPA ASSASSINA di Marco Bianchi

Chissà perché, letto questo articolo, ci è venuta l’idea che quanto vi è descritto somiglia assai a qualche cosa che sta per succedere al nostro territorio?

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uando all’architetto Mies Van Der Rohe (uno dei maestri dell’architettura del ‘900) fu chiesto di progettare la sede della Seagram Company Ltd nel cuore di New York, era probabilmente chiaro che questo edificio avrebbe dovuto rappresentare la potenza economica della più grande compagnia di distillazione al mondo. Ciò che rese celebre questo edificio, oltre alla raffinata scelta di motivi mediati dalla cultura classica, fu la rinuncia dei proprietari a sfruttare completamente la capacità edificatoria nonostante l’enorme valore intrinseco del suolo. Il lusso e la ricchezza, dunque, si espressero in questo caso come adozione di appropriate scelte architettoniche ma anche come offerta alla comunità di un luogo di potenziale aggregazione. L’obiettivo mediatico di trasporre simbolicamente la potenza del gruppo fu raggiunto. Un altro grande maestro del ‘900 (Le Corbusier) ebbe a scrivere “E’ stata l’acropoli a fare di me un ribelle”. Questa esplicita dichiarazione di intenti ritorna effettivamente in tutta la sua opera assolutamente permeata di quegli stilemi. Quel fortunato periodo della storia umana (la Grecia del V° sec. a.c.) ha prodotto, in molteplici settori dell’arte e dello scibile, linguaggi espressivi destinati a restare eterni poiché non suscettibili dei giudizi parziali che ogni epoca storica fornisce rispetto a quelle che l’hanno preceduta. Forse non è un caso che proprio in quel periodo si formava il concetto di democrazia quasi che il fiorire delle arti sia generalmente connesso in modo biunivoco ad un clima politico “positivo” a sua volta possibile solo in relazione ad una classe dirigente capace. Tempo dopo, Marco Vitruvio

Pollione (80 a.c. - 15 a.c.), architetto romano, osservava che “l’architettura è una scienza che si compone di più discipline”. In particolare egli sosteneva che l’architetto, oltre alle competenze specifiche della sua professione, deve al tempo stesso avere un’istruzione letteraria e storica, si deve intendere di filosofia, musica, giurisprudenza, astrologia, e via dicendo. Tutto questo perché l’opera dell’architetto influenza, in modo sensibile, il mondo in cui viviamo. Un edificio 25


LA NOSTRA TERRA

sgradevole, inutile o peggio ancora male inserito in un particolare contesto finisce per costituire un elemento di negatività sulla stessa qualità della vita dei cittadini che ne fruiscono. Ma Vitruvio aveva dalla sua una indiscutibile fortuna ... Quella di vivere in un periodo storico nel quale i rappresentanti del potere politico erano per lo più colti ed illuminati. Mi piace ricordare, facendo sempre riferimento al “mondo romano”, come due degli edifici più insigni della Roma imperiale (la domus aurea ed il pantheon) siano stati fortemente voluti da due imperatori (rispettivamente Nerone ed Adriano) la cui passione per l’arte greca era a tal punto nota che uno dei due (Adriano) veniva chiamato “graeculus” e l’altro (Nerone) affidò il suo canto del cigno (artisticamente parlando) all’amata terra greca. Due figure quelle di Nerone ed Adriano in controtendenza con i tempi. Colti come altri ma dotati di una particolare sensibilità che, pur non avendoli preservati dall’attuare forme anche raccapriccianti di violenza, ha tuttavia consentito loro di lasciare come eredità un patrimonio architettonico ed artistico di straordinario valore. Prima che si possa guardare 26

a queste poche righe come ad un modesto compendio di architettura classica (gli amanti del genere possono trovare in letteratura ben altri riferimenti!) vorrei chiarire che questo breve “viaggio emozionale” cela, forse male, un personale profondo disagio nel constatare quanto sia diverso il clima attuale rispetto a quello da me delineato. Occorre senza dubbio precisare che gli edifici cui ho fatto menzione rappresentavano delle eccellenze e che viceversa la situazione dell’edilizia comune, almeno in alcuni quartieri di Roma, era quella delle cosiddette “insulae” (una sorta di condomini a più piani) costruiti spesso con materiali poveri e facilmente infiammabili. Questa precisazione, pur con tutti i distinguo, mi serve tuttavia ad instaurare un paragone tra due diverse epoche, accomunate a livello architettonico dalla presenza di edifici pubblici e “privati”. E’ proprio questo apparente parallelo a fornire viceversa la chiave di lettura per una radicale differenza. In epoca romana sia gli edifici pubblici che quelli “popolari” avevano in effetti durata limitata nel tempo soprattutto durante il periodo imperiale perché era prassi che un imperatore potesse disporre più o meno

liberamente del suolo (anche di quello potenzialmente di natura privata). Oggi viceversa, citando un celebre slogan pubblicitario di qualche anno fa, “un mattone è per sempre” e per questo si comprenderà bene come la programmazione dell’attività edificatoria rivesta, oggi, una importanza decisiva poiché una volta che si è edificato un terreno vergine non vi sarà più modo, come invece accadeva nel passato, di riportarlo allo status quo ante. L’atteggiamento con il quale una qualsiasi entità politica si arroga il diritto di “bruciare” in pochi anni la capacità edificatoria di un territorio per sempre, è, senza mezzi termini, cieco e deprecabile! Nessuno può davvero conoscere quali saranno le reali necessità di un territorio nell’arco di qualche decennio e pertanto il potere politico dovrebbe farsi guidare, nel proprio operato, da prudenza, attenta ponderazione ed oculata scelta degli attori della trasformazione edilizia. Tutto ciò non accade nella stragrande maggioranza dei casi ed a pagare le scelte, spesso scellerate degli amministratori pro tempore, sono le generazioni a venire che hanno il solo torto di essere arrivate troppo tardi e di aver avuto predecessori cui è tristemente ignoto l’adagio secondo cui “il futuro ci è stato lasciato in eredità dai propri figli”. Un tempo, nelle città romane, c’era una fascia (il pomerium) inviolabile e sacra all’interno della quale era inibita l’attività edificatoria. Chissà che non fosse un principio di urbanistica ante litteram? Oggi le limitazioni hanno la durata di un battito d’ali di colibrì e le buone regole della cultura romana finiscono talvolta letteralmente sepolte sotto una colata di cemento o divorate da una ruspa assassina.


LA NOSTRA TERRA

VENUS ET VINIS IGNIS IN IGNE FUIT * di Alfredo Pirchio

Avreste mai pensato, prendendo in mano un calice di, “ambrosia vegetale e grano prezioso”, di finire per trovarvi dentro Baudelaire, tra “canti pieni di luce e di fraternità”, travaso di sensazioni e vortice dei sensi, mentre l’anima del vino intona nella bottiglia serenate di armonia? Vi spieghiamo noi come succede.

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enerdi’ 14 febbraio 2014, presso la splendida location dell’hotel Gallery di Recanati, si e’svolta, primo esperimento nelle Marche, una serata dedicata al Vino ed alla Sinestesia. Troppo spesso trattiamo il vino come una semplice bevanda, un liquido gradevole con il quale pasteggiare o

colloquiare; noi abbiamo voluto dargli una diversa collocazione, elevarlo a opera d’arte. Erano 40 gli invitati tra sommelier, degustatori e semplici appassionati, che comodamente seduti e armati di due calici di vino hanno vissuto un percorso emozionale sinestetico: godere, perdersi e ritrovarsi, attraverso versi di poesia, sapori e profu-

mi del vino, accompagnati per mano su sentieri di musica ….. Non vogliamo farla complicata e vi spieghiamo esattamente come si e’ svolta la serata: normalmente il vino si degusta sfruttando diversi sensi, ma sicuramente non tutti. L’udito non partecipa, la vista lo fa in maniera sommaria; ed e’ qui che interviene la sineste27


LA NOSTRA TERRA sia: a luci spente, un narratore leggeva una poesia dedicata all’amore ed al vino, la musica dolcissima di Einaudi, come un tappetino, riscaldava ed impreziosiva i sorseggi del vino, mentre sopra un mega schermo le fotografie di Marco Nisi Cerioni materializzavano con paesaggi, fiori e squarci di suggestioni, i profumi ed i sapori che, come sussurri, uscivano dal calice di vino … E’ stato emozionante chiudere gli occhi e perdersi per un istante sopra un bicchiere di vino, riaprirli e ritrovarsi in sentieri di ginestre o cespugli di biancospino ……. Hanno certo contribuito al successo della serata, tanto da far sì che ne è stata messa in programma una prossima quanto prima, i vini della cantina “Campo di Maggio” e la splendida cornice dell’Hotel Gallery. Un grazie al general manager Stefania Ghergo (gentilissima e competente), che ci ha messo a disposizione un salone nelle “segrete” dell’antico edificio, con tanto di archetti a volte e mattoncini a vista di stile medievale. Un grazie anche allo studio fotografico di Marco Nisi Cerioni, che con il suo grande e istancabile lavoro di fotografia ed immagini ha impreziosito la degustazione. Bravissimi il narratore Carlo Bugiolacchi ed il sommelier Gesue Sabbatinelli; un ultimo plauso al pittore Mario Palma che ha

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messo a disposizione due sue stupende opere pittoriche. Saluti dal relatore e tutor della serata (il sottoscritto) ed appuntamento alla prossima iniziativa in compagnia della Rivista Lo Specchio Magazine . * (Aggiungere vino a Venere è come aggiungere fuoco al fuoco – Ovidio “Ars amatoria”- le foto sono di Marco Nisi Cerioni).

LA FARFALLA NEL VINO (Hermann Hesse ) Una farfalla e’ volata nel mio bicchiere di vino / Ebbra si abbandona alla sua dolce rovina. / Remiga senza forze, ora sta per morire; / ecco, il mio dito la solleva via. / Cosi’ il mio cuore,accecato dai tuoi occhi, / Felice affonda nel denso calice, amore, / pronto a morire, ebbro del tuo incanto / se un cenno di tua mano / non compia il mio destino.


ANNIVERSARI

ENRICO MEDI, AL SERVIZIO DELLA SCIENZA E DELLA FEDE. Lo Specchio memorie

La scomparsa di Enrico Medi fu appresa da tutti, nel nostro territorio, con una stretta al cuore. Il cancro gli aveva mangiato la vita. Una grande anima era giunta alla conclusione del suo ciclo. La stiamo ricordando come merita?

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Enrico Medi in RAI - foto Wikipedia

l prossimo 26 maggio saranno quarant’anni dalla morte di Enrico Medi. Quando è successo, a Roma, aveva sessantatre anni. Il suo amico Federico Alessandrini venne a commemorarne la scomparsa, un anno dopo, a Porto Recanati: Egli era nato qui a Porto Recanati, dove suo padre fu medico condotto per alcuni anni, il 26 aprile 1911. Abitò poi in una casa della via Lepanto oggi segnata col numero civico 48 0 50. Qui fece le sue primissime scuole e c’è ancora chi gli fu compagno e lo ricorda. Chi vi parla lo conobbe nell’estate del 1913, piccolissimo; la differenza di anni, nella maturità, non significa molto; ma all’alba della vita è un ostacolo insormontabile: noi del ’05, eravamo grandi rispetto a lui. Più che con Enrico ce la dicevamo col fratello Gaddo, divenuto poi medico, e che dopo di allora, non vedemmo mai più, ma la sua faccia come quella del padre, ci resta nella memoria: molti anni più tardi, al termine della nostra vita universitaria quel ricordo ci permise di riconoscere a prima vista l’Enrico di un tempo per via di una inconfondibile aria di famiglia: di statura di poco superiore alla media, asciutto, aveva occhi chiari verde-acqua, in una faccia scavata e già segnata, grande bocca, capelli che 29


ANNIVERSARI gli ricadevano sulla fronte e che egli ricacciava indietro con un gesto del capo accompagnato dalla mano nervosa … Medi è stato un grande scienziato, capace, come ci insegnò la notte della luna, quando, alle 2.56 del 21 luglio 1969 l’uomo mise piede per la prima volta sul satellite della terra, di raccontare con semplicità a quanti stavano incollati davanti al televisore, un evento di straordinaria complessità. Era un grande divulgatore e di questa dote si serviva anche nei tanti incontri che lo videro protagonista in tutta Italia come testimone della fede. Non si risparmiò nello sforzo, tenace, di offrire le sue capacità e le sue conoscenze nell’impegno politico, nell’università, alla vice presidenza dell’Euratom, in famiglia. Portò sempre nel cuore la terra natale; sono rari i discorsi nei quali non facesse riferimento alla vergine nera di Loreto o all’amato Giacomo Leopardi: Io sono nato – disse una volta – nella terra di un grande ottimista poeta: Giacomo Leopardi. Il suo pianto non era pessimismo, era la tristezza di vedere la bellezza delle cose deturpata dalla malignità dell’uomo: “Intatta luna; tale / è lo stato mortale. / Ma tu mortal non sei, / e forse del mio dir poco ti cale ..”. Ma non era alla luna che diceva Leopardi: parlava dell’uomo, che della luna non sapeva raccogliere la vibrante speranza contenuta

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nella sua stanca luce. E allora noi guardiamo queste stelle, guardiamo questo cielo, ma sentiamo la gioia immensa di poter trasformare in parola vivente ciò che la materia inerte parola vivente non può rendere. Siamo noi i fabbricanti del mondo. E il mare del Porto, i giochi sulla spiaggia, la tata che lo teneva sulle ginocchia, i marinai. Anche tutto questo ha fatto parte del mondo di Enrico Medi, del quale tutti noi che viviamo sulle sponde del Potenza e del Musone dovremmo sentirci fieri. Se Porto Recanati gli ha

intitolato una scuola e una piazzetta, non troviamo invece nulla a Loreto, a Recanati e in gran parte del territorio. Discorsi e cerimonie, di tanto in tanto, ma poco di quel che può restare, vivere nel tempo e tramandare un’immagine bella della nostra terra. Mentre la Chiesa ha avviato la causa per la sua beatificazione, la società civile, le istituzioni, a volte un po’ precipitose nel collocare gente sull’altare del merito civile, dovrebbero sentire come un dovere rendere omaggio a un uomo che a noi continua a fare onore.


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RESPONSABILITA’ E TECNOLOGIA: IL BINOMIO CHE FA CRESCERE LA SCUOLA pagine a cura di Paola Acciarresi

Nell’intervista a Milena Brandoni, dirigente scolastico del Comprensivo Solari di Loreto, l’impegno della scuola a guardare all’Europa e al futuro, la passione per il confronto e la ricerca della condivisione. Persino lo stimolo ad amare l’arte della politica, un miracolo che non può attendere.

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lla direzione di una delle scuole più grandi della provincia di Ancona - l’Istituto Comprensivo “G. Solari” di Loreto con sette plessi, tre gradi di istruzione (Infanzia, Primaria e Secondaria di Secondo Grado), 120 docenti e 27 professionalità tra personale di segreteria e collaboratori scolastici - la Dott.ssa Milena Brandoni incontra “Lo Specchio Magazine” raccontando i primi due anni di insediamento con un focus sulle problematiche vissute nel “mondo scuola”. Dottoressa Brandoni, come ha impiegato la sua ricca formazione – due lauree, una in Lingue e letterature straniere moderne e una in Lettere moderne, master in Dirigenza Scolastica, esperienze d’insegnamento in Italia e incarichi all’estero come docente universitario in Messico e in Egitto - in questi due anni all’Istituto “Solari”?

Prima del Decreto 275/99 che ha normato la tanto attesa autonomia scolastica, il preside era un burocrate che aveva il compito di applicare le leggi ed organizzare la vita scolastica seguendo rigide regole statali. Oggi la figura del Preside è stata sostituita da quella del Dirigente che finalmente può decidere, supportato dai Collaboratori e dagli Organi Collegiali, la mission e la vision dell’Istituto che dirige. È aumentato il carico di responsabilità, ma contemporaneamente è aumentata la possibilità di indirizzare un’istituzione scolastica verso quelle che sono le necessità e i bisogni del territorio, rispettando ciò in cui si crede e valorizzando le competenze di ogni studente. Grazie, quindi, alle nuove disposizioni, ho avuto la possibilità d’intervenire in maniera incisiva sulle scelte gestionali dell’Istituto, innanzitutto aprendo la scuola verso l’esterno in una prospettiva internazionale, europea e mondiale. La mia for-

Milena Brandoni

mazione linguistico-letteraria e le esperienze vissute all’estero hanno maturato in me la convinzione che esiste la crescita solo nel momento in cui ci si apre a culture diverse dalla nostra: solo dal confronto e dalla condivisione può scaturire il miglioramento. Concretamente abbiamo avviato progetti di collaborazione con scuole estere e un gemellaggio con una scuola etiope di Addis Abeba che portiamo avanti grazie all’impegno di docenti e genitori. Abbiamo organizzato viaggi-studio all’estero e scambi culturali con Paesi Europei (Gran Bretagna, Francia, Polonia e Spagna) e facciamo vivere ai nostri ragazzi esperienze didattiche al di fuori delle mura scolastiche: viaggi di istruzione, visite guidate, mostre, manifestazioni sportive, concorsi, borse di studio, in collaborazione con il Comune di Loreto, Enti, Fondazio31


SCUOLA IN @RETE ni e Associazioni locali, in una fitta rete di sinergie. Al fine di arginare manifestazioni devianti, sono previsti nello staff docente esperti specializzati? In occasione del suo insediamento nel 2012 annunciò i suoi primi due obiettivi: l’introduzione Certo! Abbiamo persino un docente Funzione Strudi nuove tecnologie e una formazione costante mentale che si occupa di Educazione alla Legalidegli studenti nella cultura della legalità… tà. Quest’anno l’incarico è ricoperto da un’insegnante di scuola Primaria, Paola Frontone mentre Abbiamo investito molto nelle tecnologie in termini lo scorso anno si era impegnata la prof.ssa Laura di strumenti utili alla didattica e abbiamo partecipato Falasco della scuola Secondaria. Oltre a questa fia bandi ministeriali e ottenuto fondi da sponsor pri- gura di coordinamento, ci sono altri insegnanvati per l’investimento in questo senso. Lavorando in ti che frequentano corsi di formazione mirati alla stretto accordo con l’Assessore ai Lavori Pubblici, Ro- prevenzione, all’individuazione e alla rieducazioberto Bruni, si è provveduto a creare una nuova rete ne rispetto a possibili e diversi casi di bullismo. ADSL per l’ambito didattico e ad installare una rete wifi che stiamo potenziando. Ci siamo affidati alle ICT Nell’epoca della tecnologia, il bullismo interessa Apple acquistando 76 iPad, già consegnati a docenti anche il mondo del web: si sono riscontrate sie studenti in comodato d’uso gratuito. In ognuno dei tuazioni legate a questa problematica? tre plessi della scuola dell’Infanzia e in alcune classi della scuola Primaria abbiamo introdotto una Lavagna Il cyber bullismo è una realtà. Oggigiorno il pc, i social Interattiva Multimediale e in tutte le aule della scuola network, la rete, i cellulari rappresentano il pane quoSecondaria abbiamo installato una LIM o uno scher- tidiano dei ragazzi. Per capirli ed aiutarli dobbiamo mo televisivo collegato ad una Apple TV. Insomma, adeguarci alle loro modalità e ai loro strumenti. Non il percorso è bene avviato e siamo sulla strada giusta ci sono alternative: la scuola ha il dovere morale di agper poter essere considerati, a breve, “Scuola 2.0”. giornarsi e formarsi a riguardo. A Loreto, comunque, Riguardo il potenziamento della formazione dello le problematicità legate al cyber bullismo, almeno per studente in quanto cittadino consapevole e attivo, quanto riguarda gli studenti fino a quattordici anni, ammetto di essere più che soddisfatta! In collabora- non sono ancora affiorate in modo rilevante. Abbiamo zione con l’Assessore all’Istruzione, Franca Manzotti, riscontrato un solo caso di bullismo che si è esplicitato il Consiglio Comunale dei Ragazzi è in piena attività, in forma verbale e scritta (con l’utilizzo di un social con nuovi componenti eletti quest’anno, un nuovo network) da parte di un gruppo di ragazzi nei conMini-Sindaco, Michelangelo Alessandrini Socci, ed fronti di un loro compagno più piccolo. Abbiamo scoun neo Mini-Dirigente Scolastico, Elisabetta D’Attoli. perto, affrontato e risolto questa situazione grazie alla I docenti sono impegnati costantemente nell’aiuta- segnalazione di un genitore e con diversi colloqui tra re i Discenti a costruirsi una solida coscienza civica; Dirigente, docenti e studenti coinvolti. Credo che con quotidianamente gli insegnanti lavorano in maniera il dialogo, la presa di coscienza del caso e tanta buona trasversale per far sì che gli alunni sviluppino sen- volontà si possa e si riesca a fare molto in questo ambito. so di responsabilità, impegno sociale, rispetto delle norme, spirito di appartenenza, interesse verso pro- Forti delle esperienze vissute nei vari percorsi, blematiche giovanili, amore per l’arte della politica… quali altri progetti avete in cantiere per il futuro cercando di intercettare sempre più problemaParliamo di legalità e di bullismo: in un Istitu- tiche ed esigenze giovanili? to così grande, e diverse fasce d’età da formare, che situazione si vive in merito? Per il prossimo anno scolastico contiamo di proseguire e potenziare i diversi progetti in atto, intenzionati Il nostro Istituto non sottovaluta il fenomeno del soprattutto a far crescere tra i giovani la cultura della bullismo, che intende combattere con l’arma della legalità. Attiveremo nuovi incontri con l’Arma dei Calegalità. Sin dalla scuola dell’Infanzia i bambini ven- rabinieri, la Guardia di Finanza, gli Agenti di Polizia, gono coinvolti in attività ludiche finalizzate al rispet- un Avvocato e alcuni Psicologi. Il rispetto verso se to delle regole e del prossimo, uguale o diverso da stessi e verso il prossimo è alla base di un discorso di noi. La materia “Cittadinanza e Costituzione” viene costruzione corretta della propria personalità. Comuninsegnata in tutti e tre gli ordini di scuola, ovvia- que, coloro che sono in trincea e che per primi intermente con modalità diverse adeguate all’età. Siamo cettano le insofferenze ed i disagi dei giovani sono profondamente convinti che sia necessario interve- gli insegnanti: grazie al loro serio impegno e alla loro nire sin dalla più tenera età, prevenendo quei com- grande professionalità, la scuola è in grado di far fronportamenti che, se non corretti in tempo, potrebbero te ai diversi casi di bullismo che possono riscontrarsi sfociare in futuro in atti di bullismo vero e proprio. e ad operare in tal senso con successo.

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ORA DI BULLISMO PARLIAMO NOI RAGAZZI

“Se non hai un vestito firmato, se non bestemmi o dici parolacce, se non fumi, se non prendi in giro tutto il giorno, se non hai un certo numero di “mi piace” su Facebook, sei uno “sfigato”. È l’amaro commento di Gaia. Chi, invece, queste alzate d’ingegno le fa, è un “figo”. Vorrebbe dire un imbecille? Complimenti.

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li alunni delle classi III E e III C della scuola Secondaria di Primo grado dell’Istituto Comprensivo “Solari”, che hanno partecipato con un loro lavoro al concorso di teatro pedagogico indetto dalla Armando Curcio Editore per la lotta al bullismo, il 7 dicembre scorso hanno incontrato la scrittrice Annunziata Brandoni, in rappresentanza della casa editrice, e si sono confrontati con lei su questa complessa tematica. La dott.ssa Brandoni, che ha da poco pubblicato con la Curcio “Piccoli teppisti crescono. Storie di ragazzi e violenza”, ha raccontato ai ragazzi qual è stata la motivazione che l’ha ispirata a scrivere l’opera, e cioè il desiderio di aiutare i ragazzi a capire il fenomeno e a farsi ambasciatori nell’azione di contrasto dello stesso. La prof. ssa Laura Falasco ha letto magistralmente alcuni brani tratti dal libro, riuscendo a coinvolgere emotivamente tutti i ragazzi, che non solo hanno ascoltato con attenzione, ma hanno anche rivolto tante domande sui protagonisti delle storie, sul perché accadono certe cose, sulle conseguenze di certe azioni. La scrittrice ha quindi invitato gli studenti a scrivere in prima persona i loro pensieri, le loro riflessioni e, volendo, a creare delle storie in cui sono essi stessi che raccontano la propria esperienza come vittime, carnefici o solo spettatori di atti di bullismo. Fino ad ora, infatti, le storie di bullismo sono state raccontate dagli adulti e sarebbe interessante poter guardare al fenomeno, che ormai interessa tutte le scuole e non solo, dal punto di vista dei ragazzi. Annunziata Brandoni si interesserà presso la casa editrice per la pubblicazione dell’opera… Alcune delle riflessioni emerse dagli scritti dei ragazzi… “Lasciami stare! Ho detto lasciami stare!”. È questa la frase che mi è rimasta impressa nella mente più di tutte. La visione del bambino maltrattato da quei ragazzi mi affiora nella testa ogni volta che sento la parola “bullismo”. Passeggiavo tranquillamente con i miei genitori per il corso di Porto Recanati, quando vidi una vetrina con dei giocattoli in vista (…) improvvisamente sentii delle voci provenienti da un vicolo buio. Mi avvicinai cautamente e la visione che si pone davanti ai miei occhi è orribile. Due ragazzi di 15/16 anni stavano picchiando un bambino che si dimenava per liberarsi dalla presa di uno dei ragazzi. La sua voce era strozzata, credevo che non riuscisse più a respirare (…). Ecco perché, ogni volta che vedo uno dei miei amici subire o fare maltrattamenti intervengo sempre.

foto: piattaformainfanzia.org

Non sopporto l’idea che un ragazzo subisca o faccia atti di bullismo!... (Gonzalo F.) Aurora ha subito un atto di bullismo. Marco ha subito un atto di bullismo. Eva ha subito un atto di bullismo….. “Bullismo”, una parola molto usata ai nostri giorni (…) gli stupidi insultano le ragazzine con qualche chilo in più o che sono meno belle delle altre; ci sono dei casi in cui i bulli insultano quelle persone che hanno il colore della pelle più scuro… (Elena C.) Negli ultimi anni il bullismo si è diffuso a macchia d’olio, basta sfogliare un semplice giornale: tre pagine su cinque parlano di ragazzi e ragazze vittime di questo fenomeno che sono arrivati anche al suicidio. Il bullismo… ma che cos’è in realtà?... Penso che sia il risultato di una famiglia assente, cattivi modelli, solitudine, invidia e a volte desiderio di farsi notare… per essere “figo” (…) Per una società cattiva e senza scrupoli, devi rientrare in certi canoni e, se non li rispetti, vieni declassato a “sfigato/a” e per evitare questo si cerca sempre di apparire diversi da come si è veramente. A volte si cerca di porsi sopra gli altri credendosi migliori, diventando così un bullo.(…) Per me il colpevole è questa “merda” di società che ci porta a cambiare noi stessi e ad essere quello che non si è. (Anna Chiara C.) 33


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Scuola Primaria Marconi

Scuola Secondaria di Primo grado ‘Lorenzo Lotto’

La lezione della prof. Annunziata Brandoni, con la prof. Laura Falasco

(…) Penso che il bullismo sia una forma di comportamento violento, non saprei quale idea usare per oppormi ad esso, eppure bisognerebbe farlo perché ti lascia delle ferite indelebili nell’anima. (…) È successo che alle elementari c’era un bambino che ce l’aveva con me, senza motivo, e mi dava calci e pugni quasi tutti i giorni; io non avevo il coraggio di dirlo ai miei genitori e soffrivo… (Leonella T.) (…) Questo è il bullo: si distingue sempre dalla massa, sta la maggior parte del tempo a fare il gallo con le ragazze, con la sigaretta accesa sempre in bocca, ha un comportamento altezzoso, porta sempre la felpa con il cappuccio di due/tre taglie più grande, maglia dei giocatori di basket (che, precisiamo, la maggior parte delle volte non sa nemmeno chi siano), pantaloni larghi a vita bassissima e scarpe sempre, e dico sempre, firmate Nike e precisiamo con i lacci sciolti perché fa uno stile più “figo”… (Martina C.) (…) È brutto sentirlo, ma è così: il bullismo regna. Il bullo è colui che 34

si crede superiore e prende di mira una persona in modo continuo. Di solito è arrogante, prepotente, stupido (…) Ragazzi e ragazze che vengono picchiati, perseguitati… e tutto questo perché? Non c’è un motivo preciso, basta una parola sbagliata alla persona sbagliata, un pensiero contrario, o magari anche nulla. Alcune vittime vengono prese di mira senza un motivo, magari semplicemente perché non vanno a genio al bullo. (…) Un occhio nero, un labbro spaccato, tagli, ematomi… segni palesi che vengono nascosti. Le vittime hanno paura di dire, di raccontare, perché dopo la loro situazione potrebbe peggiorare (…) C’è anche il cyber bullismo, che avviene tramite computer, sulla rete. Per me è anche più grave della violenza fisica: non ti colpisce in faccia, ma nel cuore. E te lo spezza, ti sfinisce, ti ammazza. Ti riduce male perché le ferite interne sono ancora più gravi di quelle reali. Alcuni per questo si ammazzano, ed è solo quando ci scappa il morto che ci si rende conto del male fatto! (…) (Beatrice C.) (…) Si incominciano a creare i gruppi di bulli che si ritengono superiori perché fanno uso di droga, alcool, sigarette. Sono quelli che ogni due parole bestemmiano, sputano a terra, quelli che si guardano in giro per cercare le vittime, cioè quelli che non sono in grado di difendersi, o con problemi gravi come handicap… come è accaduto a Genova (…) Deridono e prendono in giro solamente per il gusto di farlo, per sentirsi meglio, o semplicemente per seguire la massa. E la vittima non ha il coraggio di denunciare il carnefice, che quindi rimane impunito… (Karla K.) (…) I gruppi, a questa età, rappresentano piccole comunità formate da adolescenti; di solito sono in rivalità perché composti da persone che la pensano diversamente: il gruppo A è formato da persone cosiddette “fighe” perché vestite in una certa maniera, con un proprio stile e con dei comportamenti che li caratterizzano, motorini con sopra sempre una ragazza diversa, sigarette a portata di mano e un linguaggio arricchito di parolacce e bestemmie. I componenti di questo gruppo sono gli idoli, quelli da imitare, perciò questo gruppo è sempre più numeroso. Il gruppo B è costituito da persone definite “sfigate” perché grasse, o mingherline, occhialute… e per questi motivi vengono discriminate. (…) Quelli del primo gruppo sono i bulli, i “predatori”, cercano infatti una vittima tra quelli del secondo gruppo.

Il bullo infatti non è mai solo (…). Specialmente tra ragazze la violenza avviene in modo psicologico, come vipere sputano veleno sulle coetanee, spesso a causa di un ragazzo... ( Irene G.). (…) Certe volte sono stata vittima di bullismo, e tutt’ora sono vittima di cyber bullismo, ma essendo forte non gli do peso (…) L’obiettivo del bullo è divertirsi a distruggere la vita di un altro facendolo sentire un “nessuno”. La violenza psicologica è la peggiore. Una parola offensiva sempre ripetuta, dei pettegolezzi messi in giro e l’esclusione dal gruppo sono ferite che rimangono nell’anima e sono difficili da cancellare. Si è bulli per farsi notare dagli altri e così si diventa un esempio negativo per tutti: per essere “fighi” bisogna essere bulli… (…). Sono sempre stata vittima perché sono di colore, e non ho amici stretti con i quali posso confidarmi e mi sento sola (…) un tipo di bullismo che non capisco è quello di giudicare dall’aspetto fisico… un libro non lo si giudica dalla copertina… dire che una persona è sfigata o popolare che senso ha? Perché fare discriminazioni tra le ragazze più belle e quelle meno? Che cosa ci può fare una persona se non è bella, se non può permettersi delle cose, o se è di colore? (…). Secondo me uno dei modi per contrastare il bullismo è cambiare carattere, come ho fatto io. Cambiando si può sorprendere il bullo, in modo da non saper più che cosa fare per offendere … ( Tracy O.) (…) Proprio nel periodo dell’adolescenza si cominciano a formare i primi gruppi, ed è in questi che il fenomeno del bullismo si presenta maggiormente. Inizia tutto prima che qualcuno provi ad entrare in un gruppo. I “capi”, per accettarti, ti fanno fare delle prove, delle sfide… ma le fanno fare solo ai “nuovi”, in modo da farli rinunciare per poi prenderli di mira e distruggerli sia fisicamente che psicologicamente (…) Il bullismo è come un’ossessione, una malattia, o addirittura una droga e senza si va quasi in “astinenza” e quindi bisogna trovare per forza un’altra vittima e distruggere anche quella... ( Francesco M.) (…) Si creano gruppi formati da persone molto vicine l’una all’altra, ma se i loro comportamenti degenerano, si trasformano in un branco, in cui l’unica cosa che li lega è la violenza. A volte esercitano anche il fenomeno del bullismo, distruggendo fisicamente o psicologicamente gli altri, le vitti-


SCUOLA IN @RETE me. (…). Nei cinque anni delle elementari ho vissuto una situazione di bullismo, come vittima dei miei compagni, e posso garantire che ti distrugge. Sì, è vero, non avevo quel corpo slanciato come tutte le mie compagne, ma forse avevo qualcos’altro da offrire, che nessuno si è mai preoccupato di scoprire. Sempre e solo quello: l’aspetto fisico. Ti guardano. Sembrava che avessi i pupazzetti in fronte… ogni volta che entravo o uscivo dall’aula compariva qualche risata… Io ci ridevo sopra perché odio farmi vedere triste, ma nessuno si è mai chiesto cosa provassi realmente… ( Alice O.) (…) Il bullo non si rende conto di quanto anche un soprannome, delle prese in giro, delle risate alle spalle possano far male. (…) Si diventa vuoti, spenti, freddi, soli; nessuno con cui sfogarsi e ciò può portare a fare del male a se stessi, sì, perché alla fine si incolpa se stessi: “se fossi carina, tutto questo non accadrebbe; se fossi più magra…”. Gira tutto intorno a un “se”, vorremmo essere perfetti, non ci accettiamo… Il bullismo alimenta le nostre insicurezze, i dubbi, le paure per il futuro che sarà, paura di come si appare e di conseguenza di ciò che pensano le altre persone. Soprattutto al giorno d’oggi, i giovani si sentono giudicati, inferiori ad altre persone, insicuri, perdono così la fiducia in se stessi… Il bullismo ti rovina la vita! ( Sara S.) (…) Fino a poco tempo fa eravamo tutti uniti in un gruppo comandato dai “capetti”, e questa cosa non mi andava a genio. I capetti non solo comandano, ma siccome si sentono superiori per un motivo a me sconosciuto, si sentono autorizzati a demoralizzare i membri più sensibili del gruppo. I ragazzi diventano macchine di offesa, mentre le ragazze diventano meschine con i loro pettegolezzi. (…) ma anche lì c’è una distinzione tra i più “fighi” perché fumano o perché hanno i muscoli (…). Ho conosciuto una forma di cyber bullismo subìto da una mia amica, lei stava facendo una video chat con il suo ragazzo e intanto si spogliava per scherzo. Poi lei ha lasciato il ragazzo e lui si è vendicato inviando le immagini a migliaia di utenti Facebook... ( Davide O). (…) Se io dovessi essere una vittima di bullismo, preferirei essere picchiato perché un cazzotto in faccia è diretto e sincero, quando invece ti prendono in giro o parlano alle spalle, sono offese che proprio non sopporto perché mi stimolano la rabbia e dopo tendo anch’io ad avere atteggiamenti violenti, ma con le mani non si risolve mai niente.(…), ho provato a parlarne a scuola e con i miei, ma non mi stavano nemmeno a sentire… (Piero Alessandro P.)

(perché senza di essi non fai parte del gruppo). Alcuni ragazzi addirittura fanno di tutto per essere considerati ed entrare nel gruppo. (…) Si inizia con il prendere di mira alcuni elementi esterni, la maggior parte delle volte più piccoli d’età. Li si prende in giro, per poi arrivare ad insulti pesanti, facendoli sentire inferiori, degli stracci, e a volte si arriva anche alle mani (…) Sinceramente non saprei come contrastare questo fenomeno perché l’unica persona capace di cambiare il bullo è lui stesso: è lui che deve modificare i propri atteggiamenti e comportamenti. La famiglia, gli amici, la scuola, i professori possono aiutare il bullo, ma la decisione spetta a quest’ultimo. Dipende tutto da lui ( Gaia C.) (…) A volte delle persone mi prendono in giro, ma non mi importa… ma non si accorgono che dentro soffro molto, soprattutto per una persona soffro di più; l’anno scorso eravamo molto amici, ci scambiavamo alcuni segreti, ridevamo, scherzavamo… ma adesso, non so perché, così, senza motivo, non può vedermi, mi prende in giro, e io soffro molto dentro. In effetti, da quando non ci parliamo più, a scuola sono “calato” abbastanza, non mi va di uscire e rimango a casa. (…) Secondo me è impossibile eliminare il bullismo, ma io non seguirò mai una persona che non sia per bene… basterebbe usare come modello di vita persone che se lo meritano… (Nicola P.) (…) Io ad esempio ad atletica faccio il pseudobullo verso i bambini più piccoli, ma senza esagerare… altri invece menano insultano le madri e tirano schiaffi, calci… adesso queste forme sono passate, ora ci sono sotto forma di scherzi. Secondo il mio parere, quando si viene preso di mira da un bullo, devi fare finta che non ci sia, non gli rispondere male, continua a camminare… (Alessandro S.) (…) Se io avessi assistito all’atto di bullismo avvenuto a Genova, dove quattro ragazzi hanno picchiato un disabile mentre lo riprendevano con il tablet, avrei chiamato i Carabinieri e avrei fatto arrestare quei quattro deficienti che si divertono a prendersela con i disabili (…) I bulli non hanno il cervello. Come dico io, “chi usa le mani non ha un cervello”. (Daniele G.)

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(…) I ragazzi e le ragazze, in questo periodo diventano meschini e perfidi e offendono le persone solo per mettersi in mostra e perché si sentono superiori. Personalmente ancora non mi è capitato di essere vittima di bulli, comunque in giro ne vedo tanti di fenomeni del genere, solo che non mi soffermo mai a osservarli e tiro avanti, mentre ci si dovrebbe fermare e cercare di interrompere certi eventi, ma noi ragazzi abbiamo paura nel fare questa cosa perché temiamo che dopo la prossima vittima saremo noi… ( Federico G.) (…) Se non hai un vestito firmato, se non bestemmi o dici parolacce, se non fumi, se non prendi in giro tutto il giorno, se non hai un certo numero di “mi piace” su Facebook, sei uno “sfigato”. E questa cosa te la fanno pesare. (…) I bulli si credono differenti, diversi dagli altri, ma sono tutti uguali: sigaretta in bocca, pantaloni calati per i maschi, le risate esagerate delle femmine, i vestiti firmati 35


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ARTE

NELLO SCRIGNO MARCHIGIANO, UN TESORO DA PRESERVARE di Mauro Mazziero

Il Trittico di Paolo Bontulli da Percanestro, ora in Urbino, sta per rivedere Potenza Picena dove, però, è rimasto senza casa. L’augurio è che possa presto tornare a farsi ammirare nella sua chiesa di San Giacomo maggiore.

N

ella chiesa di S. Giacomo Maggiore a Potenza Picena (oggi purtroppo chiusa perché dichiarata inagibile) era conservato uno dei più bei dipinti di un singolare artista marchigiano: Paolo Bontulli da Percanestro, pittore attivo nella prima metà del secolo XVI. Il 22 novembre 2013, dopo il crollo della volta centrale in camorcanna della chiesa di S. Giacomo, il trittico è stato smontato dai tecnici della Soprintendenza di Urbino sotto la direzione del dott. Gabriele Barucca ed è stato portato in Urbino. La pala è stata ripulita ed esposta all’interno della Galleria Nazionale delle Marche insieme ai capolavori del Rinascimento marchigiano. Rimarrà esposta fino al 6 aprile 2014, dopodiché dovrà far ritorno a Potenza Picena. La fondazione di questa chiesa risale agli ultimi decenni del Trecento e le sue vicende storiche, compresa anche la committenza del dipinto sopra citato, sono strettamente legate all’attività della Confraternita denominata “Corpus Domini”, detta anche di S. Giacomo. Il rosone, in pietra arenaria, ancora oggi visibile sulla facciata, sembra risalire proprio alla fine del secolo XIV. Uno dei primi documenti conosciuti è datato 13 novembre 1430; si tratta di un privilegio con il quale la curia vescovile di Fermo autorizza Ludovico di Tommaso, priore della Confraternita di S. Maria Maddalena di Monte Santo, a costruire un “ospedale” intitolato a S. Giacomo. La chiesa formerà un unico com-

Urbino - Il Trittico nella Galleria Nazionale delle Marche. Foto di Gabriele Onofri

plesso con l’ospedale. Una recente indagine storica ha portato alla luce un nuovo documento, presso l’archivio notarile di Ancona, datato 19 dicembre 1435. L’atto, che concerne la chiesa di S. Giacomo, fu redatto presso l’aula dell’Episcopato, alla presenza di Antonio Fuscarelli, priore della chiesa di S. Maria “a Pie’ di Potenza”. In esso la “Fraternitas S. Jacobi” viene citata autonomamente e non più in relazione con quella di S. Maria Maddalena. Il prestigio raggiunto dalla Confraternita di S. Giacomo porterà, nel 1502 (o nel 1507, secondo altri studiosi), alcuni suoi delegati a commissionare al pittore Paolo Bontulli la pala per l’altare maggiore. In essa dovranno essere raffigurati la Vergine in trono col Bambino, S. Giacomo

Maggiore, titolare della chiesa, e S. Rocco a protezione dalla peste, con riferimento all’ospedale. Il 3 ottobre 1643, a riprova dell’importanza acquisita nel tempo dalla Confraternita, Ottavio Marefoschi, membro della stessa e “capitano dei soldati a piedi di Nostro Signore”, nel suo testamento fa un lascito in favore del pio sodalizio. Nei secoli successivi l’ospedale perde il suo scopo iniziale, tanto che nel 1765 viene chiuso. La chiesa, totalmente ristrutturata alla fine dell’Ottocento e con la facciata parzialmente ridisegnata dall’architetto Eusebio Petetti nel 1943, conserva ancora il suo aspetto medievale. Ancora oggi è attiva la Confraternita di S. Giacomo che, con i suoi aderenti, prosegue nel tempo la sua opera nella comuni37


ARTE in relazione con il popolo dei credenti. In questa particolare fusione di componenti colte e popolari, di sacro e di quotidiano, Paolo Bontulli ha certamente realizzato questo lavoro, con l’intento di fornire un dipinto adeguatamente fastoso alla nobile committenza della Confraternita di S. Giacomo e, allo stesso tempo, eloquente ed espressivo per il culto del popolo. Infine ci auguriamo veramente che la chiesa di S. Giacomo Maggiore di Potenza Picena possa essere restaurata al più presto e che in essa, finalmente fuori pericolo, ciascuno possa nuovamente ammirare questo pregevole dipinto, uno dei frutti più puri della nostra tradizione marchigiana. Parti della predella. Foto di Gabriele Onofri

tà di Potenza Picena. Rimangono dell’antica chiesa il rosone trecentesco e il trittico di Paolo Bontulli. Su questo artista, che nel suo tempo dovette avere un discreto successo, considerato il buon numero di opere a noi giunte, è stata fatta una ricerca storica dallo studioso Matteo Mazzalupi. I suoi spostamenti, dedotti dalle opere firmate, sono limitati all’antico ducato di Camerino, tranne per un viaggio a Spoleto, così come i suoi riferimenti stilistici. Inevitabile quindi che i suoi principali modelli siano stati Carlo e Vittore Crivelli. Proprio ad essi fa riferimento il trittico di Potenza Picena, prima sua opera certa. Vi sono raffigurati, come abbiamo detto, la Madonna in trono col Bambino, incoronata da cinque angeli, alla sua destra S. Giacomo Maggiore, alla sua sinistra S. Rocco. Di notevole interesse è la predella, intatta e in buone condizioni, nella quale troviamo l’Annunciazione divisa nei due pilastrini laterali che contiene, anche simbolicamente, i dodici Apostoli ed il Cristo benedicente al centro. Ai piedi della Madonna si trova un vaso panciuto e dalla bocca stretta da cui esce un ramoscello di fiori bianchi. Le tinte usate sono calde e semplici: un rosso vermiglio, che nella veste di S. Giacomo si fa meno acceso e rosato; i bianchi del trono marmoreo, raffigurato in prospettiva, e delle piccole mattonelle, che sul pavimento si alternano alle rosse; il verde cupo dei festoni di foglie e frutti, che si trovano sullo sfondo; il dorato, che 38

ricopre il fondo in contrappunto con lo scuro degli altri colori; il blu della tunica di S. Giacomo. Questa armonia di luce e di ombra trova il suo culmine nel manto della Vergine, dove l’oro riccamente punzonato si accosta al nero della decorazione damascata, come nella migliore tradizione dei Crivelli. L’immagine nel suo complesso, che non poteva certo essere apprezzata da critici cresciuti nell’ambito di un gusto classico, rivela oggi, ad un esame più aperto, tutta la sua ricchezza di elementi, esemplari della cultura marchigiana di quel tempo, sia nel gusto raffinato ed aristocratico delle figure come anche nel loro porsi in maniera serena e comunicativa

Fonti archivistiche: Archiv. Stor. Diocesano Fermo, Inventari, b. 35. J. A. Vogel, Annali di Monte Santo, ms. in Bibl. Benedettucci, Recanati, n. 5 C III. 5. A. S. Ancona, a. not. AN, n. 114 not. T. Marchetti, a. 1435. Fonti bibliografiche: R. Gentili, Paolo Bontulli da Percanestro, tesi di Laurea – Università degli Studi di Macerata, a. a. 1974 – 75, relat. Prof. F. Barbieri. R. Domenichini, D. Corona, M. Campetella, Monte Santo. Itinerari storico-artistici del Comune di Potenza Picena, Pollenza 1998.

Particolare della predella del Trittico. Foto di Rodolfo Cingolani.


PERSONAGGI

BEATI I MITI, PERCHÉ EREDITERANNO LA TERRA di Luciana Interlenghi - foto di Antonio Baleani

Instancabile, la fede per compagna, ha percorso le strade tortuose e tormentate dell’anima, portando a tutti, con umiltà, il sorriso dell’amico e il rigore del maestro. Fin quasi alla soglia dei cent’anni ha insegnato, aiutato, condiviso. E guai a dargli del pensionato!

A

casa di quello che sarebbe diventato mio marito, accanto ad una madre da consolare per il figlio scavezzacollo, scampato fortunosamente ad un incidente; l’ho conosciuto così don Lauro Cingolani, sorridente, sempre e nonostante. Da allora quel sacerdote avrebbe segnato la mia vita di “cristiana a domeniche alterne”, insegnandomi cosa volesse dire fare. Una vita, la sua, respirata e gustata, seguendo quel Cristo che si cela in ognuno di noi. “Una di quelle figure alle quali corrisponde il significato vero del sacerdozio, come la Chiesa ce lo ha insegnato”. Così lo descrive Franco Foschi in un’intervista realizzata per una televisione locale, in occasione del suo sessantesimo anno di Sacerdozio. Una cerimonia all’Aula Magna del Comune di Recanati quella del 2003, durante la quale tutti i recanatesi gli si sono stretti attorno per dire grazie a quel sacerdote che si era fatto cireneo della loro storia. Ci sono tutti, parrocchiani e non, autorità e semplici amici e i rappresentanti delle tante Associazioni cui don Lauro ha dato il via. Qualcuno di loro si è perso nel tempo, ma rimangono pur sempre numerosi coloro che, nel passaggio degli anni, continuano a festeggiarlo ancora per lungo tempo. Così come in tanti si riuniranno il giorno di Santo Stefano nella Cattedrale di San Flaviano per dare l’ultimo saluto al sacerdote accomiatatosi dalla vita il 24 dicembre, in viaggio verso la casa del Padre, per rinascere in Lui proprio nello stesso Suo giorno. Se ne va lasciandoci increduli. Noi lo ritenevamo un Highlander, nonostante i suoi 94 anni compiuti, certi

di poter ricorrere ai suoi consigli e ai suoi sorrisi, fatti di verità e di fascino evangelico, ogni qual volta ne avessimo avuto bisogno. Ci consola il sentimento di speranza che don Lauro ha trasmesso e, ripensando a lui, ci vien da sorridere fiduciosi, come ci ha insegnato. Secondo di quattro figli, Lauro Cingolani nasce a Montecassiano. Dopo aver frequentato le scuole del suo paese (vivissimo il ricordo delle suore cappellone dell’asilo) si trasferisce a Loreto nel collegio dei padri Gesuiti, ai quali riconoscerà il merito di essere stato educato al bello e ai valori cardine della vita sacerdotale. In una delle tante registrazioni che ho conservato tra i miei personali ricordi, la sua voce si racconta ripensando agli anni di sacerdozio vissuti a Recanati. “Sono stati tempi bellissimi a cominciare da quelli della guerra, quando le piaghe erano tante e tanta la miseria, ma c’era ugualmente anche tanta felicità e gioia e con gioia sono venuto a Recanati. Sapevo che vi avrei trovato cultura, bontà, accoglimento e collaborazione per tutte le iniziative che il buon Dio mi ha aiutato poi a portare avanti. Quando sono stato ordinato sacerdote, avrei voluto continuare gli studi musicali, l’organo, la composizione a Roma, ma il Vescovo mi disse - La Provvidenza ti vuole a Recanati, quello che sai ti basta, a Recanati ti troverai bene -. Sono stato bene a Recanati, sono contento. Ci sono stati momenti non belli, ma oggi posso dire che le gioie sono state molte, molte di più dei momenti di tristezza. Ho battezzato, ho sposato tanta gente, ne ho aiutato tanti ad andare in cielo. L’entusiasmo non mi è mancato mai e

Luciana Interlenghi - ritratto di don Lauro

non andrò in pensione. Continuerò a fare il prete, aiutando chiunque verrà a bussare alla mia porta e soprattutto con i gruppi ecclesiali con i quali mi incontro spesso. Insieme preghiamo e lavoriamo.” “Alla fine delle elementari i miei genitori decisero di mandarmi a studiare presso i Gesuiti di Loreto e c’è un fatto che mi portò proprio nella città mariana. Frequentavo la quinta elementare. Il maestro mi chiamò per dirmi di andare a ritirare la divisa di balilla. Io ero contento di poter indossare, come tutti gli altri, i calzetti grigio-verdi, quei calzoni, la camicia nera e il fez sul capo. Presa la divisa, la portai a casa. Arrivato nella bottega di calzolaio di mio padre, soddisfatto, gliela feci vedere, ma lui, antifascista convinto, pretese che la riconsegnassi. Cosa che fece prontamente mia madre, nel cui amore mi rifugiavo sempre. Fui allontanato dalla scuola ed inserito in quella di Loreto.” 39


PERSONAGGI

Don Lauro con Luciana Interlenghi

Don Lauro

Sempre appassionato di musica, prende lezione dal Maestro Piero Giorgi e in seguito approfondisce lo studio del pianoforte e della composizione. Già a sette anni suona l’oboe, il suo primo strumento che, da grande, donerà all’Istituto musicale di Recanati. Trasferitosi nel 1935 al seminario regionale pontificio di Fano, dove apprende la filosofia e la teologia, vi resterà sino al giugno del 1942. Qui conosce tanti amici, tra cui l’ex arcivescovo di Fermo, Monsignor Cleto Bellucci, che frequenta quotidianamente, pur essendo quest’ultimo un anno indietro negli studi. Ordinato sacerdote nel 1942 a Loreto, dove celebra la prima Messa, trascorre un breve periodo nella sua Montecassiano, per poi trasferirsi a Recanati dove rimarrà per più di sessant’anni. Un approdo sicuro per l’intera comunità. A lui si sono rivolti uomini di fede e del mondo politico e culturale. Di quel suo lontanissimo primo giorno a Recanati ci narra spesso e sempre con dovizia di particolari, regalandoci emozioni e personalissime riflessioni. “Sono partito in bicicletta da Montecassiano” sa già da qualche tempo la sua destinazione. Il Vescovo Aloisio Cossio evidentemente ha per lui un preciso disegno. “Era tempo di guerra e la bicicletta era smontata – riferisce sorridendo - un pezzo preso qua, uno là ed una volta assemblati, diventarono il mio cavallo di San Francesco che mi portava dappertutto. Mi alzai presto, provavo ansia e contentezza nello stesso momento. La mia meta, Recanati, Chiesa di San Domenico; monsignor Galluzzi mi aspettava…Sì, quella mattina andai allo sbaraglio! Passando da Castelnuovo, salii per Spazzacamino, Beato Placido ed in fine Porta Romana con il suo stemma 40

sabaudo. Ebbi l’impressione di entrare in un paesetto con una strada stretta in cui passava solamente un militare. Arrivato in piazza, mi diressi a San Domenico, dove mi accolse Celestina, la donna di servizio, che mi disse di cambiare la maglietta sudata. Una volta entrato in Chiesa, piena di gente che mi guardava curiosa, perché aspettava il nuovo sacerdote, iniziai subito a darmi da fare. Confessai, poi celebrai la Messa e suonai un organo importante che non conoscevo, un organo antico del Rughini, tutt’altro che semplice. Impartii l’olio santo al padre morente dell’avvocato Marino Cingolani, poi, tornato in Chiesa, battezzai il figlio del falegname Venanzio che abitava in zona Mercato e, per finire, la benedizione eucaristica con il rosario… tutto in un sol giorno, il mio primo giorno a Recanati, un bellissimo giorno!” Nei primi anni di sacerdozio don Lauro riprende le fila del movimento scoutistico, nato tra il 1918 ed i 1925 presso l’Oratorio di San Filippo e bloccato nel periodo fascista. Una volta caduto il regime, il gruppo si riavvia con lui, primo responsabile del movimento, mentre a capo del reparto c’è l’avvocato Mario Mari, educatore dei lupetti. Prima sede, una piccola stanza messa a disposizione dalla Curia sul retro della sala Vittoria. Spirito di gruppo, gran divertimento, uscite indimenticabili, canti di voce e di cuore. Sempre animato da grande entusiasmo, don Lauro ci regala i tanti fatti che gli sono appartenuti con umorismo ed ironia.“Ricordo quando stava per morire un certo Tito ed io gli somministrai l’Estrema Unzione. Lui si svegliò protestando: “Ma Padre! L’olio è rànceco! Con quello buono ci cucina insieme con don Galluzzo?”. Don Galluzzi, un uomo che sembra burbero, è un vero amico, mai geloso, felice, al contrario, di insegnare al giovane Lauro che impara in fretta i compiti di buon sacerdote. Gli anni per don Lauro scivolano copiosi, densi di affetti, stima profonda, riconoscimenti, viaggi. Tante volte in Terra Santa, in Cina sulle orme di Padre Matteo Ricci. Sempre osservando le leggi della sua fede profonda.Molto don Lauro lavora per associare, per riunire o fondare nuovi gruppi operativi. L’Unitalsi nel 1980 con Domenico Berardi; l’Avuls con Germana Paoletti; dal 1998 è assistente spirituale del gruppo Gemellaggio Loreto-Nazaret; dal 1994 al 2000 segue il Cammino Neocatecumenale; dal 1958 sino ai giorni nostri consigliere ecclesiastico nella Coltivatori Diretti e molto altro ancora. La Schola Cantorum della Cattedrale di Recanati, è il suo fiore all’occhiello; è una delle istituzioni musicali più antiche della nostra regione, la cui storia è documentata sin dal XVI secolo.

Dapprima sotto la guida di don Amedeo Broccolo, quindi dal 1968 sotto quella di don Lauro Cingolani, la Cappella Musicale scandisce nel tempo le più importanti liturgie recanatesi. Certo non mancano, come spesso ci confida, momenti di tristezza, di contrarietà per non esser sempre compreso in quei suoi sogni, non sempre realizzati, di una Chiesa finestra aperta sulla piazza del mondo. Dal 1968 al 2002 è rettore della Chiesa di Sant’Anna riaperta al culto, dopo anni di restauri e di cui, nel marzo 2010, viene inaugurata la porta bronzea realizzata dallo scultore Sesto Americo Luchetti, amico e concittadino di don Lauro. Nelle due sezioni mediane, più estese, lo scultore, incide questa iscrizione che, da sinistra a destra, dice: A ricordo dei 60 anni di sacerdozio di Monsignor Lauro Cingolani custode di questa chiesa per 35 anni Deo gratias et Mariae A.D. MM.II Don Lauro si schernisce e umilmente sorride pensando a questo particolare, così come prova vera gioia quando le Stazioni della Via Crucis del Maestro Biagio Biagetti vengono restaurate e ricollocate lungo le navate della Cattedrale di San Flaviano, dopo anni di incuria. “La bellezza della Casa del Signore è a Sua gloria” ci dice sempre don Lauro Cingolani, quella gloria che in tutti i suoi anni, sgranati come rosari, canta con serenità ed allegria. In occasione del Settantesimo anno di sacerdozio il Comune di Recanati gli conferisce la Civica Benemerenza. Trascorre gli ultimi anni della sua esistenza e di quella che non chiama mai pensione, a Porto Recanati che l’accoglie con grande stima ed amicizia. Nella cittadina di mare ha la possibilità di continuare ad esercitare la sua attività pastorale presso la Chiesa del Suffragio, ricreando un folto gruppo di fedeli attivi, felici di seguire le sue catechesi. Anche nella malattia che non riesce a fiaccare la ferrea volontà e la caparbietà nel darsi agli altri, attua ogni suo programma senza risparmiarsi. Una vivace collaborazione con l’Uniporto presso la quale tiene corsi sulla storia della Chiesa (l’ultimo suo corso, purtroppo non conclusosi, sulla storia dei Papi). Da anni legge e commenta il Vangelo della domenica presso l’emittente radiofonica Radio Erre. “Ormai andiamo per i 95!” Ci saluta così don Lauro Cingolani nel giorno del suo 94° compleanno. È il 3 settembre 2013 e celebra la Messa presso la sacrestia della Chiesa del Suffragio di Porto Recanati, con la solita energia ed allegria. Chiusa per le lesioni provocate dal recente terremoto, l’interno della Chiesa è inagibile,


PERSONAGGI ma don Lauro non si dà per vinto. Alza energicamente la voce, per farsi sentire sino in fondo e va avanti come un treno, con la forza della fede e della fiducia nella gente, che non esita poi ad abbracciare e ringraziare, per essere intervenuta numerosa a festeggiarlo. Maria Teresa Bonifazi gli dedica una poesia in dialetto recanatese, paragonandolo ad una laboriosa formica, “un insettuccio picculetto e nero”, che porta su di sé pesi grossi. Anche don Lauro deve trasportare pesi grossi durante la lunga vita, ma non lo fa da solo. Quel Dio di cui ci ha sempre parlato nel suo predicare naturale e diretto, è con lui, sempre. Ci piace pensarlo così, con l’immagine della semplicità che lo rappresenta tutto, in una cornice fatta di silenzio e noi, senza chiasso, con discrezione e amore… ne accendiamo il ricordo.

Dedicata a Mons. Don Lauro Cingolani per i 60 anni di sacerdozio

MARIA TERESA BONIFAZI Nata e vissuta a Recanati, ha lasciato una consistente raccolta di poesie in dialetto recanatese. “Comm’un cristià” pubblicato nel 1998 dal Centro Nazionale di Studi Leopardiani e “Monno mio picculetto” nel 2004 per la Simonelli Editore. Ha condotto per anni la trasmissione radiofonica “Incontro con la poesia” sull’emittente recanatese Radio Erre e ideato e condotto il programma di giochi di parole e rebus “La radio a colori” destinata ai bambini, sempre sulla stessa emittente. 41


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PERSONAGGI

IL PRETE CHE AMAVA I POVERI di Paolo Onofri

Gli uomini dimenticano facilmente. Specie chi ha fatto loro del bene. E così, rischia di sparire anche la memoria di don Gustavo Spalvieri, insieme ai suoi 56 anni di servizio alla Comunità santese.

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al 1989 la Parrocchia di S.Giacomo Maggiore è stata incorporata con quella di S.Stefano. Oggi la chiesa è chiusa e si rischia di perdere anche la memoria storica di questa antica Parrocchia, dei Parroci che si sono succeduti alla sua guida dal giorno della sua erezione da parte dell’Arcivescovo di Fermo, il Cardinale Urbano Paracciani, il 20 ottobre 1774. Infatti nel libro curato da Renza Baiocco, con testi di Andrea Bovari “Il fascino della storia e il respiro del mare” pubblicato nel 2009 dal Comune di Potenza Picena, i parroci di S.Giacomo Maggiore non vengono neppure menzionati. Uno dei tanti parroci di cui comunque rimane nella memoria dei più anziani ancora oggi un fervido ricordo, a parte il Vescovo di Ripatransone Mons. Luigi Boschi, è sicuramente Mons.Gustavo Spalvieri, che ha retto la Parrocchia di S. Giacomo Maggiore in qualità di parroco dal 12/7/1919 fino alla sua morte, cioè il 27/11/1960. Nato a Montegiorgio il 7/10/1880 da Antonio e Flavia Costantini, riceve la prima educazione nell’ambito familiare profondamente religioso. Per maturare la sua vocazione al sacerdozio, entra nel Seminario di Fermo, ove si distinse per pietà e assiduità allo studio. Ordinato sacerdote il giorno 19 Marzo del 1904,viene subito nominato Vicario Cooperatore della Prepositura di S.Stefano di Potenza Picena, al fianco di don Giuseppe Gironelli, in cui esercitò il suo apostolato specialmente tra i giovani. Il 30 Dicem-

Mons. Gustavo Spalvieri. Foto: Armando Scataglini

bre del 1918, dopo che il parroco di S.Giacomo Maggiore don Giuseppe Miti era stato nominato Rettore della Prepositura della Parrocchia dei Santi Pietro, Paolo e Donato di Pausula (Corridonia), don Gustavo viene nominato dall’Arcivescovo di Fermo Mons. Carlo Castelli Economo Spirituale della Parrocchia. Il 12/7/1919 lo stesso 43


PERSONAGGI

Facciata della chiesa di S, Giacomo Maggiore prima del restauro del ‘43. Foto Archivio storico comunale

Trittico di Paolo Bontulli da Percanestro (Serravalle del Chienti), Madonna con Bambino tra i santi Giacomo Maggiore e Rocco. Foto Comune di Potenza Picena.

Arcivescovo lo nomina Parroco di S.Giacomo Maggiore, carica che ricoprirà fino alla sua morte, avvenuta il 27/11/1960 a Potenza Picena. Insieme a lui, per tutta la durata della sua perma-

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nenza a Potenza Picena, lo ha assistito la sorella Assunta, e per un periodo anche l’altra sorella Gemma, poi nel 1950 andata a Fermo. Come governante aveva la sig.ra Amelia Roseti. Diversi sono stati i cappellani che lo hanno affiancato nella gestione della Parrocchia di S. Giacomo Maggiore , tra cui ricordiamo don Giuseppe Mosconi, don Dante Marazzi, don Giovanni Viozzi “mezzarecchia”, don Elio Bastiani e per ultimo don Benedetto Nocelli. Il Pontefice Pio XII nel 1954 in occasione dei 50 anni di sacerdozio di don Gustavo Spalvieri lo nomina Prelato Domestico di sua Santità. Mons. Gustavo Spalvieri era una persona dai molteplici interessi, oltre quelli attinenti il suo ministero pastorale. Infatti si interessava di canto, in particolare musica sacra, delle operette al teatrino del ricreatorio festivo “Alessandro Manzoni” prima, poi “S.Stefano”, teatrino che lui aveva fatto costruire nel 1913 all’interno del Palazzo Marefoschi. Con lui fiorirono le Associazioni cattoliche, creò nell’ambito della Parrocchia di S.Giacomo Maggiore un ricreatorio per i giovani. Seguiva la Confraternità del Corpus Domini di S.Giacomo e quella di S.Rocco. Si adoperò per eseguire molti lavori nel contesto della Chiesa di S. Giacomo Maggiore, tra cui vengono ricordati quelli del 1943 sulla facciata della Chiesa, eseguiti dall’impresa di Persichini e Granati su progetto dell’architetto Eusebio Petetti. Nel 1956 fece eseguire un importante lavoro di restauro sul

trittico di Paolo Bontulli da Percanestro “Vergine col Bambino tra i Santi Giacomo Maggiore e Rocco” del 1507. È stato per molti anni Direttore dell’Associazione “Figlie di Maria” di Potenza Picena e Direttore Spirituale delle comunità religiose della città. Ma sopratutto Mons. Gustavo Spalvieri viene ricordato in un quartiere popolare e povero come quello di Galiziano, per l’aiuto che ha sempre dato alle famiglie bisognose della sua comunità. Alla sua morte ha lasciato con testamento tutti i suoi beni immobili e mobili alla Parrocchia di S. Giacomo Maggiore. Ricordo con molto affetto i racconti di questo parroco che amava i poveri, che mi ha battezzato il giorno 29/1/1956, fatti da mia madre Maria Pia Cardinali, che mi faceva osservare come don Gustavo cercava sempre di aiutare tutti, compresa la nostra famiglia, con vero spirito francescano. Questo scritto è il minimo che potessi fare per ricordare un parroco che è vissuto la bellezza di 56 anni a Potenza Picena, che la nostra città rischia di dimenticare completamente. E’ stato veramente fondamentale per la nostra comunità, in particolare per i più poveri. Dedico questo articolo anche alla memoria di mia madre, Maria Pia, donna di profonda fede che mi ha educato ai valori cristiani, con l’augurio che la piccola Chiesa di S.Giacomo Maggiore, con il suo trittico di Paolo Bontulli da Percanestro, possa essere recuperata alla fruizione della nostra comunità.


PERSONAGGI

IL GLADIATORE Intervista raccolta dal Direttore

Una vita da mediano. Fuori e dentro il campo di calcio. Riuscire ad assumersi le responsabilità che ci toccano, viverle, scommetterci sopra, con sacrificio, umiltà e umana ambizione quanto basta. E, per di più, riuscirci, com’è stato per Luigi Boccolini. Vita da mediano? Sì, e di gran lusso.

Ancona, stadio Dorico. Italia-Germania dilettanti, risultato 1-1, con gol di Luigi Boccolini foto SS Portorecanati

U

no come te che ha girato da nord a sud, per città grandi e piccole, insomma che è a lungo vissuto con la valigia in mano, che cosa si porta dentro delle sue origini? Del luogo dov’è nato e dove ha fatto l’apprendistato della vita e del mondo? I primi tempi non è stato facile dover convivere con realtà diverse e confrontarsi con compagni di altre regioni. Parliamo, comunque, di altri tempi: fine anni ’60 – inizio ’70. L’educazione e l’esempio della mia famiglia mi hanno sempre accompagnato: questo è quello che ho sempre portato con me.

Un giudizio sul calcio che vediamo oggi in Italia, soprattutto sull’agonismo sovente esasperato, speso fin troppo nell’impiego di una fisicità che a volte è assai vicina alla violenza. Il calcio è del tutto cambiato come è cambiato il modo di vivere. I valori non esistono più. Calcisticamente i ritmi sono sempre più intensi, diversa è la preparazione, le pressioni intorno ai giocatori fanno sì che spesso si arrivi a degli eccessi. Sei anche stato un allenatore di lungo corso, e di lungo successo. Oltre a quello di dare volti precisi

alla propria squadra, credi che un tecnico abbia da svolgere pure un ruolo di educatore nei confronti dei suoi atleti? Mi sento di dire che in serie A il ruolo dell’educatore è marginale, il rapporto allenatore-giocatore è concentrato sul risultato finale. Nelle categorie inferiori, pur lavorando per far sì che la squadra abbia una sua fisionomia, mi sono trovato spesso a dare consigli non solo dal punto di vista tecnico ma anche umano, educativo. Oggi i giovani vogliono tutto e subito, spalleggiati da procuratori sin dall’età di quindici anni, quindi il sostegno dell’allenatore diventa importante per il loro cammino. Ti sentiresti di citare quali sono stati, a tuo giudizio, i tre migliori calciatori nati in questo nostro territorio? Mi sento di citare per tutti Massimo Palanca, attaccante degli anni ’70, anche mio compagno di squadra. Tra tutte le tue esperienze di giocatore professionista, quale giudichi la più esaltante? E la più formativa? La più esaltante quella vissuta al Napoli, anno 1975-’76. È stato il mio primo campionato di serie A. Arrivavo dalla serie B, ho giocato titolare 28 partite su 30, abbiamo vinto la Coppa Italia. Da un mio 45


PERSONAGGI goal durante Lazio – Napoli 0-1, nacque l’inno del Napoli. Tutte le esperienze da giocatore professionista sono state formative, mi hanno arricchito e accresciuto (Luigi Boccolini ha giocato in serie A con Napoli, Lazio e Catanzaro) . Sei stato uno dei punti di riferimento basilari nell’esperienza Giugno ‘64, cineteatro Adriatico La festa della città per i suoi ragazzi foto Adriatica

L’Adriatica in trasferta

dell’Adriatica calcio, campione d’Italia CSI nel 1964. E’ stata davvero così importante, quella storia? E, soprattutto, lo è stato più come vicenda umana o sportiva? O entrambe pari sono? Tutti coloro che hanno partecipato a quell’avventura credo siano stati toccati nel profondo. Abbiamo raggiunto dal punto di vista sportivo un risultato impensabile. Ricordo il coinvolgimento dell’intera Porto Recanati. Vicenda umana e sportiva corrono parallele nei miei ricordi.

Nozze d’oro con il tricolore. Estate 1964. Luigi Boccolini e Nazzareno Grandinetti, taccuino in mano, intervistano una quindicina di loro coetanei, roba da 16 a 18 anni. Vogliamo fare una squadra per partecipare al campionato juniores del CSI. Così, per divertirci. Ci stai? Come no! Un campionato vero, con divise e scarpette da calcio vere! Una figata pazzesca. E via! Stravinto il proprio girone, siamo primi alle finali provinciali dopo uno sfibrante trio di 46

Ora usciamo dal campo di calcio: ci dici qual è il tuo film preferito? E se hai avuto modo di coltivare altri interessi fuori da quelli professionali? Il gladiatore, La vita è bella, La casa degli spiriti: sono i miei film preferiti. Fuori dal campo di gioco dedico il mio tempo ai miei quattro figli! In questa Patria nostra così ricca di magagne e dove un giorno sì e l’altro pure suonano le campane della corruzione, infuriano le risse politiche, cresce il senso di insicurezza dei cittadini, ti senti ancora fiero di essere italiano? Il senso di Patria credo che vacilli in molti di noi; il problema più grande è che cosa lasciamo ai nostri nipoti. Oggi si parla di globalità, ma c’è anche tanta ipocrisia. Ha un ruolo nella tua vita il sentimento religioso? E se sì, come e quanto? Il sentimento religioso è molto importante per me e le vicende della vita lo hanno intensificato. Un appello, un invito, una raccomandazione ai giovani che sognano la gloria sportiva. Ai giovani dico che sono migliaia quelli che desiderano realizzarsi, ma solo pochi quelli che arrivano. Essere umili ed ambiziosi nello stesso tempo è primario.

partite contro l’Orione di San Severino (0-1 – 2-0 e finale vinta ai rigori). Campioni regionali nella sfida di Osimo contro il Montecarotto (4-2) e interregionali a Fabriano contro una squadra di Perugina (6-0). Arriviamo alle finali nazionali di Rimini. Stadio Romeo Neri: il 29 maggio si rifila un 4-1 al Ponsacco (Pisa); il giorno dopo, a Riccione, è 4-0 sull’Altiora Pallanza (Novara); il 2 giugno (un martedì), la consacrazione con la vittoria sul COS Latina per 2-1 ai tempi supplementari. Si torna a casa

Intervistato da Enzo Tortora per la rubrica Linea Diretta dell’’Intrepido (n. 5, 1976), Boccolini dichiarò, tra l’altro: “Le raccomando, metta bene in evidenza che non sono, e non mi sono mai sentito, un “divo”. Anche se, da quando ho segnato quel gol alla Lazio, che ci diede il primato in classifica, mi sembra di essermi trasformato in fenomeno da baraccone. Non vorrei proprio tutta questa pubblicità. Anche concedere interviste è una sofferenza. Adesso, quando la gente mi riconosce, mi ferma per strada, è un’angoscia, perché sono timidissimo e non mi considero “diverso”. Secondo me merita più stima e considerazione l’operaio che si alza, magari alle cinque del mattino, per raggiungere il posto di lavoro”. Questo è il personaggio che siamo fieri di aver avuto per compagno di squadra in quella mitica Adriatica e con lui festeggeremo quest’anno il 50° anniversario di quell’impresa memorabile che ancora oggi, dopo mezzo secolo, conserva il sapore del miracolo.

con il titolo di Campione Nazionale CSI. Nati e arrivati: un’avventura tutta esaurita nel giro di otto mesi. Incredibile. Irripetibile e, finora, irripetuto. La formazione della finale: Natale Venusto, Luigi Matassini, Giorgio Monaldi; Giuseppe Panetti, Lino Palanca, Luigi Boccolini; Giacomo Palanca, Luigi Pepa, Roberto Pierini, Nazzareno Grandinetti, Vittorio Solazzi. Allenatore: Giovanni Monaldi.


ATTIVITA’ LO SPECCHIO

LA FORZA DELLA PASSIONE PER LA CULTURA E LA QUALITA’ DEL VIVERE di Eleonora Tiseni - foto di Max Serenelli

Dal 14 al 16 febbraio Recanati ha ospitato la seconda edizione de Lo Specchio Magazine Festival winter. Un altro grande successo

A

nche quest’anno, Lo Specchio Magazine Festival ha vissuto la sua versione invernale e per l’occasione ha traslocato a Recanati, anche grazie alla sempre più proficua collaborazione con l’Assessorato alle Culture e ArsLive Musica. Per tutto il weekend di San Valentino, al Café Opera del Gallery Hotel e alla sala concerti di Villa Colloredo Mels, nel cuore della città leopardiana, <La forza della passione> - dal titolo della rassegna – è stata celebrata con numerosi eventi, com’è ormai nel DNA dell’associazione Lo Specchio. Venerdì 14 febbraio, il Café Opera era gremito di curiosi e appassionati di cultura e di enogastronomia, che prima hanno ascoltato la presentazione del nostro prodotto editoriale, Lo Specchio Magazine - “Voce del territorio”, poi si sono lasciati condurre in un’esperienza multisensoriale nell’affascinante mondo del vino, tra degustazione e sinestesia, dal tutor Alfredo Pirchio *. In serata, un’altra notevole presenza di pubblico per il concerto <La forza della passione: l’amore, l’impegno, la rivolta>, con Marco Sonaglia, Giuliano Stacchiotti ed Edoardo Marani, che hanno portato in scena la canzone d’autore per raccontare il trait d’union tra passato e presente. In sala, anche l’assessore “padrone di casa” Andrea Marinelli e, da Numana, il Sindaco Marzio Carletti e l’assessore Gabriele Calducci, venuti ad applaudire l’emozionante omaggio a Marisa Biagini, curato da ArsLive e Lucia Brandoni. Per molti anni assessore alla Cultura del Comune di Numana, la Biagini, scomparsa tre anni fa, ha dedicato gran parte della sua vita ad avvicinare i giovanissimi alla musica, alla recitazione e al

L’assessore Marinelli con ArsLive

La serata con ArsLive

teatro e in suo nome verrà istituito nel prossimo futuro un premio rivolto proprio a loro. La serata di sabato 15 febbraio ha segnato un grande ritorno in città: quello dello scrittore, conduttore, autore televisivo e radiofonico Umberto Broccoli, che già l’estate scorsa ha passato due settimane a Recanati con il suo programma di Radio Uno “Con parole mie”. E’ venuto a presentare il suo 47


ATTIVITA’ LO SPECCHIO

Andrea Pagani

Umberto Broccoli

Vino, immagini e musica - foto di Marco Nisi Cerioni

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ultimo libro, “Luoghi comuni: da Catullo a Battisti il gioco eterno delle passioni”, le cui pagine hanno visto la luce proprio in quei giorni di luglio, come ha ricordato lo stesso Broccoli in apertura. <I luoghi comuni sono quelli in cui ci si riconosce e ci si ritrova tutti>, ha affermato. <Se da un lato è vero che il primo approccio che si ha con essi è “contro”, perché il luogo comune è stereotipo, ripetitivo, parente delle chiacchiere da bar, tutto quello che sostanzialmente vorremmo tenere fuori dalla nostra quotidianità, dall’altro lato, in realtà, il luogo comune è quello che ci appartiene: si ama, si litiga, si è gelosi, si ride tutti alla stessa maniera, da sempre, fin da quando l’uomo esiste e si è affacciato su questo pianeta chiamato Terra>. <Ci sono delle costanti storiche – ha proseguito -, che appartengono a Seneca ma che finiscono con Baglioni, passando per tutti quanti noi: questa è la chiave, trovare come esista un modo di vivere sempre simile a se stesso, perché, in fin dei conti, la Storia è fatta da persone come noi, è un insieme di piccole grandi storie quotidiane>. L’autore ha diviso la scena della sala concerti di Villa Colloredo con il pianista romano Andrea Pagani, che, insieme al contrabbassista Daniele Basirico, ha poi presentato il suo ultimo lavoro “Bravi bravi, ma ce l’avete la cantante?”. Broccoli e il musicista hanno dato vita ad un coinvolgente botta e risposta tra musica e parole, con l’amore e le sue diverse declinazioni a fare da filo conduttore. La tre giorni si è conclusa domenica 16 febbraio, di nuovo all’Hotel Gallery, dove, nel tardo pomeriggio, Moreno Strappato ha condotto un piacevole incontro con Gianluca Morozzi, autore del libro dall’emblematico titolo “L’unico scrittore buono è quello morto”. Gran finale in musica, con Serena Brancale, che accompagnata dal tastierista Peppe Fortunato ha affascinato la platea con la sua voce e i brani scritti, in inglese e in italiano, utilizzando uno strumento di nuova generazione, il Multipad. * vedi l’articolo in “La nostra terra”.


POESIA

PER UN MONDO MIGLIORE di Anna Maria Ragaini

Il poeta capta quanto si agita, gioisce e soffre, canta e si dispera intorno a lui. E riassume nel suo verbo l’inesausto desiderio dell’uomo di capire il mondo, forse assurdo, che è il nostro. Una ricerca alla quale il Premio Bastione Sangallo si offre come strumento e sostegno.

N

el 2013 ha celebrato la terza edizione il Premio Letterario Nazionale Bastione Sangallo, organizzato da Controvento Editrice, in collaborazione con il Comune di Loreto, la Fondazione CARILO s.p.a. e con il contributo di Tecnostampa srl. Il primo premio per la sezione poesia è stato assegnato alla raccolta di componimenti dal titolo “Tramature”, di Sandra Del Fabro, di Udine. Dai testi dell’opera vincitrice scaturiscono di volta in volta immagini e sequenze capaci di raccontare storie intense e dense di emozioni. “Storie –afferma la Giuria nel conferire il premio- che vengono percepite nella loro profondità, passando attraverso semplici descrizioni e che raggiungono il lettore con una ricchezza di suggestioni, capaci di coinvolgerlo e di trasportarne l’attenzione, a volte costringendolo a riflettere su temi e problematiche troppo spesso accantonate”. E’ stato, inoltre apprezzato “non solo l’aspetto lirico dei componimenti, ma anche il modo con il

quale essi riescono sovente ad affrontare in modo garbato e leggero delicate problematiche sociali e temi aspri ed importanti”. Le poesie premiate sono il frutto di una sensibilità che traspare e si indovina fin dalla prima lettura dei testi, tanto che, quando si conosce l’autrice, il fatto di sapere del suo impegno civile nel volontariato, costituisce sola una conferma di quel che si era già intuito. Sandra Del Fabro collabora attualmente con il Comune di Udine ad un progetto di integrazione scolastica per minori Rom e, quando te lo dice, tu ti accorgi che lo sapevi già perché te l’avevano detto le sue poesie, anche senza parlarne. Merita certamente grande considerazione l’opera vincitrice dell’ultima edizione, ma crediamo utile a questo punto fare un bilancio della storia del Premio Letterario per soffermare l’attenzione sulle tre raccolte di poesie che hanno vinto le edizioni dal 2011 al 2013 e per evidenziare come esse, nel loro insieme, ci inducano ad una importante riflessione sul valore che deve essere riconosciuto alla

poesia, valore che troppo spesso sembriamo ignorare o almeno dimenticare. Nel 2011 l’opera vincitrice è stata “Metrica Mantrica” di Barbara Cardinali di Ancona. “Tutto è già stato scritto/ inventato, disegnato/ un nuovo alfabeto vorrei coniare/ con lettere tutte da inventare.” Sono i versi con i quali prende il via la sua raccolta, versi che conducono immediatamente chi si avvicina ad essi a scoprire quale sia il dramma interiore, l’esigenza espressiva dell’autrice, che ha bisogno di capire se stessa e di comunicare con gli altri attraverso la poesia, che altro non è che la ricerca di parole che consentano di conoscersi e di comunicare con gli altri, per mantenere con loro un contatto vivo che consenta ad ognuno di uscire dalla propria solitudine. Comincia così un percorso che alla fine porterà la poetessa, come esprimono gli ultimi versi della raccolta, ad affermare: “E arriva il giorno/ in cui non ti fai più domande/ perché sei/ la risposta”. Nell’anno 2012 il premio per la 49


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Mauro Domenella

Lampi di fiaccola Barbara Cardinali

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POESIA

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Mauro Domenella

Lampi di fiaccola

Barbara Cardinali

Sandra Del Fabro

TramaTure

migliore raccolta di poesie è stato riconosciuto a Mauro Domenella, di Castelfidardo. I suoi versi parlano d’amore, di emozioni, di sentimenti mai corrotti dal desiderio di finzione o dal tentativo di emulare immagini ampollose. “Ciò che ispira l’autore non è un oggetto d’amore, bensì un soggetto da amare” afferma la Giuria nell’assegnargli il premio. L’intensità delle poesie di Domenella rappresenta momenti di lirica pura e le sue parole esauriscono il loro scopo nel raccontare la profondità dell’anima dell’autore, che si mette a nudo facendosi percepire nella sua più intima Essenza che costituisce la parte più vera di ognuno, capace di restare pura e immutabile, a dispetto del divenire *. Quanto abbiamo fin qui evidenziato mostra il percorso che attraverso la poesia si riesce a compiere e che parte dall’esigenza di ricerca delle parole come mezzo di espressione, di relazione e di contatto con il proprio sé, perché questo possa essere in primo luogo compreso da noi stessi prima di essere esternato per mettersi a confronto con gli altri. Dunque, la parola, anzi l’insieme delle parole che formano il linguaggio per divenire indispensabile strumento di relazione e di contatto, cui tuttavia deve corrispondere la necessità dell’ascolto, senza il quale ogni parola diventa inutile. E la ricerca delle parole, da cui è partita Barbara Cardinali con la sua raccolta Metrica Mantrica, alla fine ha consentito alla poetessa di trovare se stessa, permettendole nel contempo di comunicare agli altri un messaggio che sentiva l’esigenza di far conoscere perché anch’essi possano giovarsi della sua esperienza. La raccolta poetica premiata nella seconda edizione del concorso rappresenta una tappa ulteriore. Qui il poeta va oltre il bisogno del-

la ricerca delle parole, ma di raccontare momenti di vita particolarmente forti ed intensi, utilizzando i diversi componimenti quasi fossero una serie di istantanee. Le sue poesie sono liriche pure, dove sembra che null’altro interessi che fermare il momento per renderne eterna l’emozione e dove le parole sono ancora una volta importanti. Le troviamo sapientemente intrecciate tra loro, capaci di evocare immagini che consentono di leggere dentro l’anima. Ma la poesia che si esprime in forma lirica, svelando l’interiorità delle persone, non esaurisce in ciò il suo valore, poiché l’intensità dei sentimenti che racconta supera spesso la sfera personale e privata, diventando indignazione e rabbia di fronte all’ingiustizia e alla sofferenza per trasformarsi in grida di denuncia, di accusa e di contestazione. Attraverso la poesia viene dunque descritto il disagio sociale, viene raccontato il dolore e lanciata la speranza e la richiesta di cambiamento. Tutto questo è la poesia e questo è il positivo bilancio che possiamo tirare dopo le prime tre edizioni del Premio Bastione Sangallo, che ci ha dato la possibilità di conoscere tre autori che ci hanno indotto a riflettere sul passaggio che va dalla ricerca delle parole, del linguaggio e della comunicazione al racconto della profondità dei sentimenti della persona, al valore sociale del messaggio attraverso il quale il poeta guarda il mondo intorno a sé con il sogno di renderlo migliore.

* (Una recensione più estesa del libro di Domenella è apparsa nel n. 6 di questa Rivista).


POESIA

PREMIO DI POESIA DIALETTALE ‘’LA PURTANNARA’’ 2013 - V° EDIZIONE Gruppo culturale Leopardian Community Coro a più voci Associazione Lo Specchio P.R.

La giuria del Premio, formata da Lino PALANCA, Fedele RAGUSO, Pierubaldo BARTOLUCCI e Ida ANGELICI, con segretaria Novella TORREGIANI, il 28 gennaio 2014 ha redatto il verbale del Premio in oggetto di cui diamo qui le parti essenziali. Primo classificato: ‘’LU CORE E LA MENTE’’di GABRIELE DI GIORGIO di Città Sant’Angelo (PE ) Motivazione: In questi versi sciolti e dal tono confidenziale quasi fossero un “testamento” da lasciare a persona amata, l’Autore ha saputo cogliere le ragioni retrospettive della sua poetica, offrendone un bilancio complessivo. Secondo classificato: ‘’Ll’ammore è ‘na carezza perduta’’ di ANTONIO COVINO di Napoli Motivazione: L’amore è una carezza ceduta, un “paesaggio dell’anima” schizzato con pochi tocchi suggestivi, colto apparentemente dal vero, con vivacità d’impressioni, ma in realtà modulato su un ritmo di malinconia. Terzo classificato: ‘’A VREB A VDE’’’ - di FRANCO PONSEGGI di Bagnacavallo (RA) Motivazione: Ben strutturato il sonetto:”vorrei” è un “topos” letterario ma usato certamente d’istinto, dal fondo dell’anima quasi uscisse come un uccello notturno, incontrollabile. La svolta si realizza alla terza strofa quando emerge quello che l’Autore vuole veramente: vedere “quello che è più chiaro e misterioso”! MENZIONE D’ONORE PER: PIERPAOLO PAPIRII di Teramo - CARMELO CASTORINA di Catania - ANDREA EMERSBERGER PANZINI di Ancona - DANIELA GREGORINI di Ponte Sasso Fano PU - OLGA TAMANINI di Trento - UMBERTO ANTONIOLI di Casalfiumanese BO - ANITA PELOSO VALLARSA di Pescantina VR MASSIMO GIORGI di Mondavio RM - ANTONIO GIORDANO di Palermo - ALFONSINA CAMPISANO CANCEMI di Caltagirone CT - VALERIO CASCINI di Torino - MANFREDI M. DELL’AVERSANA di S.Marcellino Caserta - MARIO DE FANIS di Falconara Marittima AN - ANDREA LODOVICHETTI di Fano PU. La premiazione si è svolta il 21 marzo 2014 nella sala Biagetti della biblioteca comunale di Porto Recanati.

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LETTURE

BIRBOTECA COMUNALE DI POTENZA PICENA di Roberto Marconi **

Facciamoci furbi (birbi, diciamo qui) e leggiamo. Possiamo farlo, come raccomandava Flaubert, per vivere; o, se vi piace di più come la pensa Woody Allen, per legittima difesa. Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere. Gustave Flaubert Via Trento, capelli corti in salita vesti al vento in discesa, identica la meta… la caccia al tesoro… È mutato in 8 secoli il senso di religione ma si legge sempre: da ex-convento di francescani conventuali (si trovan ancora gli antifonari) ad ambito di propaganda politica con la casa del fascio (scorrevano gli editti?) e poi del popolo (divoravan il Capitale?): testimoni i fori all’esterno dell’edificio; da ambulatorio per i piccoli (mia madre mi portava per medicine, pastine, intuendo i bugiardini) a ufficio pubblico (sfogliavan ordinanze?)… 1975: con delibera del consiglio comunale (stilando pure il regolamento assai datato) si istituisce la Biblioteca comunale, ma si inaugura il «27 settembre 1980 e all’indomani… chiuso». «1983. La Biblioteca comunale esisteva solamente come struttura e ciò che doveva essere, per sua stessa definizione, il posto adibito alla custodia e consultazione dei libri, nella realtà era l’esatto contrario… confluivano tutti i libri dei centri di lettura e delle biblioteche scolastiche del Comune e per questo brillava dell’unicità di alcuni volumi quali un Manuale per la macellazione del “porco”; una gui52

Birbolettori in campo

da per la piantagione delle barbabietole; il vademecum del sapone con la cenere… libri che davano corpo a oggetti, situazioni e personaggi folcloristici di una realtà smarrita». Ricordo negli anni che ci passavo curioso, la vedevo un po’ scarna, chiedevo all’assessore se poteva avere più libri: - mancano i soldi! -. Poi dagli anni ‘90 una serie di volontari e un’amministrazione più sensibile davano alla Biblioteca e all’attiguo Archivio Storico una regolare apertura, riuscendo ad aumentare sostanzialmente il numero di libri (ideando pure un concorso pubblico per incaricati). 2005: un’associazione socio-culturale (dal ‘96 “Centro di Lettura Effetto Notte” e ora “Accademia dei Calaginosi”) gestisce Biblioteca e Archivio, aperte dal lunedì al venerdì dalle ore 15,30 alle 19,30 e il sabato dalle ore 18,45 alle 20,00; oltre al territorio e a parte dei comuni limitrofi non disdegna lontani avventori, nonostante vari ostacoli: barriere architettoniche (scale su scale), pochi parcheggi (alcuni a pagamento, altri distanti) e solo ¼ dei potentini la raggiunge

L’ingresso alla biblioteca

Interno - foto di Daniela Chiavacci

a piedi. La Biblioteca consta di oltre 27000 documenti tra fondo antico e moderno. Il primo, per lo spazio, è situato in parte in Archivio con «alcune pubblicazioni periodiche dei secoli XIX e XX, tra cui una “Collezione celerifera” (che analizza disposizioni di legge aventi valore locale), molti numeri di comics (anni 1939-45) tra cui: Robin-


LETTURE

Un singolare benvenuto

son, Bug Way, Cow Boy, La Freccia Nera, Un’avventura del Texas (firmato G. L. Bonelli) e una serie di rotocalchi della stessa epoca: La Tribuna Illustrata, La Domenica del Corriere, Il Corriere dei piccoli, Intervallo, Oggi, Il Mediterraneo, ecc.»; l’altra parte del fondo antico invece è ubicato in una sala al piano superiore (dove una volta c’era addirittura «un calzaturificio», poi - ahimè - la raccolta civica d’arte e tuttora è nascosta una gipsoteca), con «1.521 opere, tra opuscoli manoscritti e libri a stampa, di cui la maggior parte dei secc. XVII e XVIII… circa 140 sono le “cinquecentine” e un esemplare di incunabolo… acefalo… con bei capilettera dipinti a mano in vernice rossa e blu». Il fondo moderno consiste in documenti di vari temi, gran parte consultabili on-line nel catalogo (opac) del polo maceratese e quindi in quello nazionale (sbn), in continuo aumento tra acquisti e frequenti donazioni di privati ed enti pubblici. Consistenti le sezioni di storia, Marche, enciclopedie, letteratura (anche in lingua), narrativa, poesia e 126 collezioni di periodici (quotidiani, settimanali, mensili) di cui 22 correnti di letteratura, arte, politica, realtà locale e regionale. Un Fondo Diegi-Beltrami di 92 documenti musicali tra partiture italiane e straniere. I documenti audiovisivi son più di 1000 (enciclopedie multimediali, musiche, films - molti d’autore -, documentari tra cui alcuni di storia locale e programmi software). Per bimbi e adolescenti ci son più di 2600 pubblicazioni (anche per dislessici, per chi impara l’italiano, per gli ipo(non)vedenti con braille, audiolibri, ecc.) e 3 riviste attuali. Per ottimizzare gli spazi ridotti della struttura, e non solo, è stato

acquistato un’e-readers. La Biblioteca è così un centro polifunzionale con un punto internet (l’unico nel capoluogo): 4 postazioni di cui 1 con telecamera; un punto di informazioni e promozione turistica (l’unico aperto il pomeriggio); un dopo-scuola; una pseudo-ludoteca (per piccoli e grandi); un centro di aggregazione per italiani e stranieri per l’accoglienza e la massima disponibilità a soddisfare le richieste, plurime, degli utenti. Tra i servizi: prestito diretto, interbibliotecario, in alcuni casi domiciliare (grazie ai gestori o alle delegazioni comunali); Reference e ricerche bibliografiche (anche via email, su facebook); internet; stampe; fotocopie; visite guidate (scuole, turisti), rassegna stampa locale; corsi in lingua, Informagiovani e Lavoro (con uno spazio per domande e offerte di lavoro, su giornale, su fb e un tutor, su appuntamento, per compilare il curriculum o avere consigli). Tra gli eventi: Mostre-Mercato del libro; Cineforum (Rassegne di Cinema e Diritti “L’Alfabeto della Libertà”, spesso abbinate a fatti storici e a mostre librarie a tema; films poi in prestito in Biblioteca); “Umani Congegni” Rassegna sulla lettura e l’educazione con convegno, conferenza, mostra d’arte e fotografica e proiezione dedicata all’infanzia e al linguaggio; Rave di lett(erat)ura e musica; presentazioni di libri, Premio VersoMonteSanto (concorsi nazionali di poesia e small poetry slam). Tra le collaborazioni: Archivio: (che conserva documenti tra i secc. XII-XX tra cui 144 pergamene, la più antica del 1235) per le ricerche di tesi, tesine di studenti; Servizi Sociali: frequenti le richieste per inserire, con borse lavoro, ragazze e ragazzi; Scuole medie: giochi letterari, cineforum, dopo-scuola; Scuole elementari e materne: Birbo chi legge e i Trovatori d’Oro ossia letture animate, laboratori manuali, scrittura creativa, arrivati, con successo, alla 18ª edizione (con più di 800 incontri svolti e inseriti dal 2005 nel circuito nazionale di “Nati per leggere”) adibiti in una sala arredata ad hoc - anche se per tali esigenze purtroppo piccola -, sempre gratuiti

e con la preziosa collaborazione di volontari/e opportunamente formate/i, OZ Le letture condivise ovvero lettura collettiva e commentata di un libro, scelto con le insegnanti o con un gruppo libero; con le Scuole superiori (alternanza scuola-lavoro, crediti formativi) con le Università e Associazioni varie (stage, tirocini) e con semplici ma apprezzati volontari/e. Si pensava che un tal edificio fosse solo rimessa scordando che la “conoscenza” forma tante risorse umane e dà, seppur minimamente, un indotto. Anche la cittadinanza ignara non poteva farne a meno, in quel luogo di carte e correnti era possibile, spesso, avere almeno opportunità e informazioni. Nel giugno 2014 la nuova amministrazione non rinviò la nuova sistemazione, più ampia e più sicura, e pose, finalmente, le fondamenta del polo culturale a Potenza Picena: Biblioteca, Archivio e Museo (a Sant’Agostino oltre alle opere d’arte si potrà ammirare il Cinema!). 2018: dovreste vedere quant’è vivace lo spazio dedicato ai bambini! Han riservato pure un’area alla Ludoteca! Ma questa è un’altra storia… come sempre…

Tale articolo, nella sua richiesta brevità, poteva esser composto dai soli nomi e cognomi di tutti gli assidui utenti, volontari/e, gestori e donatori e donatrici che si sono succeduti e continueranno, ma non sarebbero bastate tutte le pagine di questa insolita rivista. Voglio almeno ringraziare per le notizie virgolettate: Giusi Riccobelli, Roberto Domenichini e Paolo Onofri.

** Roberto Marconi è presidente dell’Associazione “Effetto Notte” ora “Accademia dei “Caliginosi”. Gestisce la biblioteca con Laura Carota. Sue le foto, salvo indicazione diversa. Il ritratto è di Cinzia Canale. 53


MILITARIA

IL BERSAGLIER CAMMINA E NON SI STANCA MAI di Mario Mancinelli*

Sono stati nostri ospiti per il loro raduno regionale, i fanti piumati d’Italia, che nel triste quadriennio della prima guerra mondiale, furono a difesa del nostro litorale minacciato dal nemico austro-ungarico. Ce ne ricorderemo fra un anno, allo scoccare del secolo da quei giorni di dolore?

Una sposa sfila anche lei, sotto il tricolore

I

l raduno dei Bersaglieri a Porto Recanati, il 23 giugno del 2013, è stato l’evento più bello e commovente vissuto dalla città rivierasca per il grande affetto che la gente del posto ha verso il corpo dei fanti piumati. La festa è incominciata, sabato ventidue, nel pomeriggio, quando alle 17,30, la fanfara di Iesi- Ostra, proveniente dal lungomare nord, è giunta in piazza Brancondi sulle note di Flic Floc. Qui, alla presenza di Rosalba Ubaldi, sindaco della città ospitante, è stata deposta una corona di fiori sulla lapide che

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ricorda i caduti di tutte le guerre. L’appuntamento della sera è stato all’arena Gigli, intitolata all’indimenticabile tenore recanatese Beniamino Gigli, con il concerto della fanfara di Iesi Ostra, diretta dal maestro Buschi. E’ stata un’emozione unica. Le note dell’inno di Mameli e il silenzio fuori ordinanza hanno fatto scattare in piedi millecinquecento spettatori che si erano dati appuntamento, provenienti da tante parti, in quel luogo ricco di grandi tradizioni musicali. La commozione ha lasciato il posto all’entusiasmo quando la fan-

fara ha proposto alcune delle più belle canzoni dei Bersaglieri. La sveglia, domenica mattina, è stata data dalle fanfare di Acqualagna, Iesi Ostra ed Ascoli Piceno, poi è iniziata la sfilata. I Bersaglieri, al passo di corsa, hanno fatto il loro ingresso trionfale in città. Sono partiti da largo Porto Giulio, hanno attraversato tutto il lungomare ed il corso Matteotti. Diciotto bersaglieri reggevano un grande e lungo tricolore. E’ stato il primo raduno che ha portato in paese tanta allegria e tanti bersaglieri con le piume al vento. E’ stata una


MILITARIA

1957, Miano (NA) - cerimonia del giuramento delle reclute. Indicato dalla freccia, Mario Mancinelli.

Bersaglieri che sfilano sul lungomare

Il presidente nazionale dell’ANB, gen. Marcello Cataldi con il C.te Regione Esercito Marche, gen. Antonio Raffaele

gran bella festa che ha coinvolto un po’ tutti. C’erano il Prefetto di Macerata, dott. Pietro Giardina, Fernando Pezzola, presidente dei Bersaglieri della Regione Marche, i sindaci di Loreto, Recanati, Porto Recanati, Castelfidardo ed il presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, il generale Marcello Cataldi. E’ stato un grande e positivo ra-

duno, non solo per la presenza di tante autorità civili e militari, Bersaglieri e simboli del corpo, ma soprattutto per la risposta della gente che ci ha accolto con grande calore. Le case erano addobbate con bandiere che garrivano al vento, in una giornata baciata dal sole. Una coppia di sposi correva in mezzo ai bersaglieri, tra gli applausi della gente festosa. Avevano scelto proprio quella giornata per dire il loro fatidico sì. Tutti gridavano “Viva gli sposi”. “Quando abbiamo deciso di organizzare un raduno di bersaglieri a Porto Recanati”, dice il bersagliere Giuseppe Palanca, presidente del comitato organizzatore, “tutti hanno dato il loro sì incondizionato e tutti hanno collaborato perché l’iniziativa riuscisse nel migliore dei modi”. La città di Porto Recanati ha ospitato per tanto tempo, dopo la prima guerra mondiale, una compagnia di fanti piumati, il 64º B.T.G. (Battaglione) dell’11º R.G.T. (Reggimento), di stanza a Loreto, si stabilì nel palazzo delle Scuole Elementari di Corso Vittorio Emanuele II e vi rimase fino alla fine della guerra 15- 18 ed oltre. Que-

sti Bersaglieri giunsero nel luglio del 1916, quando la città di Porto Recanati era stata bombardata da navi della marina imperiale austro ungarica poche ore dopo l’inizio dello stato di guerra. Ci furono morti e feriti e più volte le autorità locali avevano invocato protezione militare. I fanti piumati rappresentavano la prima linea di difesa per le incursioni nemiche che venivano dal mare. Ci sono tante storie da raccontare sui Bersaglieri. Quelli che oggi sono diventati nonni e bisnonni si sono congedati dal corpo dei bersaglieri alla fine degli anni cinquanta e sessanta. Ma anche ora che abbiamo raggiunto la soglia degli ottanta anni abbiamo ancora le gambe che corrono e le piume svolazzano al vento. Bersagliere a vent’anni, ma anche per tutta la vita. Tutti noi che siamo entrati nel corpo dei Bersaglieri siamo orgogliosi di portare il cappello piumato. Quando le fanfare suonano le canzoni dei Bersaglieri, anche se siamo fermi, le nostre gambe fremono ed aspettano solo di partire al passo di corsa. Abbiamo trascorso una domenica piena di sole e di allegria. Abbiamo ritrovato tanti vecchi amici e sempre con quel grande spirito dei nostri vent’anni che si ha tuttora, come i colori della bandiera. Il verde è la speranza in una vera fratellanza, il bianco è la neve che cade lieve dal cielo, il rosso è il colore che ci suggerisce amore. “I Bersaglieri sono forti e fieri, ragazze belle vogliam sposar”, diceva così una vecchia canzone di tanti anni fa ed un’altra: “D’Italia simboli e fieri, ebbri di vita, sempre di corsa vanno i Bersaglieri”.

* Si ringrazia l’Ass.ne Nazionale Bersaglieri Marche per le foto del raduno. * La foto del giuramento è del bersagliere Mario Mancinelli 55


RECENSIONI

CITANÒ DEI MISTERI di Alvise Manni *

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opo “La sedia viennese n. 13” Un sensazionale delitto a Porto Civitanova nel 1902 del 2011 ecco il secondo raffinatissimo, dotto e complesso libretto giallo dello studioso civitanovese Antonio Eleuteri (edito in formato manabile in 1200 copie non numerate). All’opera è ancora il chimico triestino Umberto Z. che, dopo poco più di 5 anni dall’enigmatico omicidio estivo del casotto balneare (consumatosi al chiuso e lontano da occhi indiscreti), continua ad investigare alla marina: questa volta su di un sofisticato assassinio natalizio avvenuto paradossalmente sotto gli occhi di tutti durante uno spettacolo di alta prestidigitazione del Mago Fritz! Il nostro detective con l’inseparabile pipa in bocca – antesignano sia dell’Investigatore Hercule Poirot di Agatha Christie sia del Commissario J. A. F. Maigret di Georges Simenon - deve risolvere l’intricato caso di avvelenamento (con aconitina, alcaloide liquido). La vittima è il noto Dottor Ettore Roiaz ucciso il 28 Dicembre del 1907 a Porto Civitanova, ridente località costiera maceratese delle Marche. Ben 9 interessanti e poco note fotografie d’epoca del Porto di Civitanova e 2 disegni originali illustrano le 158 pagine del nostro giallo che amalgama abilmente e sapientemente l’anche pur minima Storia Locale alla cronaca mondana e non, nazionale ed inter56

nazionale della Belle Èpoque; il tutto condito con coloritissime espressioni in vernacolo indigeno (preziosissimo a nostro avviso è il gustoso Glossario finale a corredo del libro che riporta oltre una quarantina di espressioni gergali in dialetto: una per tutte lo vatti-chjàppe, “batti chiappe”, frac o marsina). E quindi in questo superbo affresco minuziosamente ricostruito dall’Autore della Civitanova di un secolo addietro fanno capolino ad ondate il Raid automobilistico estivo Pechino – Parigi e la costituenda Tranvia civitanovese, il noir del torbido caso della Contessa Maria Tarnowska e l’onnipotenza locale del Marchese Ricci o il Palazzo del Duca Lorenzo Sforza, l’invenzione della radiocomunicazione senza fili di Guglielmo Marconi e li focàracci de la Venuta (la Vigilia della Festa della Madonna di Loreto), il contrabbando marittimo con l’Impero Austro-ungarico ed il “Comitato Pro autonomia” del Porto (avvenuta solo nel 1913) o il Pastificio civitanovese dei fratelli Cingoli, la coeva bakelite e il recentissimo libro “Una donna” di Sibilla Aleramo o il quarto centenario della nascita di Annibale Caro. Un plauso quindi all’Eleuteri per aver annodato i fili di una storia poliziesca avvincente ricreandoci attorno un mondo oramai perduto con dovizia di particolari storici attendibili e poco noti (uno per tutti l’abitudine diffusissima di

usare giornalmente la spiaggia come gabinetto all’aria aperta…). Personalmente chi scrive ha imparato dal libro in oggetto un termine nuovo: ofelimità (in pratica utilità e piacere dato dal possedere un oggetto) ma da buon farghìtto (falchetto, abitante di Civitanova Alta) denoto una di fatto totale assenza della Città Alta nella trama narrativa! Antonio Eleuteri L’uomo che sfidava le onde con un filo Montegranaro, Finis s.r.l., 2013 pp. 160, prezzo non indicato.

* (Alvise Manni è il presidente del Centro Studi Civitanovesi)


RECENSIONI

VIVERE ET PHILOSOPHARI. IL DIALETTO AIUTA. di Vincenzo Oliveri

La traccia che si vuole lasciare è il ricordo dei luoghi, delle persone, delle vicende del paese”. Francesco Rapaccioni, direttore artistico dei “Teatri di Sanseverino”, ha definito in questo modo “Fiuri de zucca”, la nutrita raccolta di poesie in dialetto settempedano firmata da Mariella Scattolini, insegnante in pensione, recentemente pubblicata dalla Controvento Editrice di Loreto ancora una volta attenta a quelle opere che hanno la caratteristica di valorizzare i diversi aspetti della cultura legata al territorio. In questa prospettiva Mariella Scattolini dà spazio alla sua produzione in maniera semplice, lontana dalla idea di fare delle proprie poesie uno strumento di ricerca storica e filologica, ma piuttosto di avere una lente mediante la quale osservare e descrivere la quotidianità delle persone, i contorni delle vicende man mano che passano davanti ai suoi occhi e che meritano in qualche maniera di essere fissate dalla scrittura. Quando si parla di letteratura dialettale c’è chi storce la bocca, quasi che ci si trovasse davanti a pagine di scarso valore, originata più da sentimenti di nostalgia polverosa che da stimoli di contemporaneità. La poesia di Mariella Scattolini cancella totalmente questo pregiudizio, spaziando dai piccoli fatti familiari alle considerazioni su quanto accade nel mondo, dagli aspetti del costume ai ricordi di momenti speciali trascorsi in compagnia. Una sorta di diario affidato ai versi, dove lo spunto cronachistico fa da scintilla a riflessioni sulle quali il lettore non può astenersi quanto meno da un sorriso. Tutto viene presentato con leggerezza, con ironia intelligente, con spontaneità, senza titubanze e sempre accompagnato da una luminosa vivacità, che si fa contagiosa, a tratti

travolgente, aiutando chi scorre le composizioni di Mariella Scattolini a superare anche gli eventuali piccoli “ostacoli” dovuti appunto all’uso del dialetto di San Severino Marche. Il volume “Fiuri de zucca” è stato inserito dalla Controvento Editrice nella collana “Risonanze” per sottolineare una formula nella quale s’intrecciano momenti diversi, vicini e lontani. La raccolta si snoda attraverso cinque sezioni dal contenuto differente. “Storie e storielle” raccoglie apologhi e racconti su storie di paese, come sugli animali; “Personaggi” invece rappresenta una spiritosa galleria di persone che per qualche loro caratteristica fisica o per essere state protagoniste di fatti curiosi si sono ritagliate una qualche fama, spesso trasfigurata in leggenda e come tale capace di andare oltre il tempo della loro esistenza; “Casa mia” è la sezione nella quale l’autrice ha riunito le composizioni dedicate ai ricordi d’infanzia, alla famiglia, alle persone più care, alle usanze e curiosità locali; “San Severino” si occupa della cittadina settempedana, dei suoi angoli più caratteristici e tradizionali, dove si svolge la vita di una comunità che ancora guarda con rispetto alla propria identità collettiva; “Tempi nostri” racconta l’attualità, con le riflessioni sulla televisione, sulla sanità, sui concorsi di bellezza, sulle disavventure da turista all’estero, sui personaggi della politica, sulle “fatiche” in palestra per recuperare la forma fisica e su tanti altri argomenti che ogni giorno irrompono nella piccola, grande esperienza di ciascuno. Cinque sezioni per un viaggio letterario fatto di curiosità e divertimento, nel quale ogni pagina è una piacevole sorpresa, accompagnata dal dialetto che come una leggera pennellata di genuinità sgorga con naturalezza dall’animo di Mariella Scattolini e colora i

suoi racconti in versi. Lei di questa virtù ne fa uno strumento per riaffermare l’originalità di una città e di un territorio che sente suoi, non tanto e non solo perché lì è nata e cresciuta, ma perché lì vive la dimensione reale delle cose e delle persone, riuscendo a osservare ogni avvenimento con quel giusto grado di partecipazione che le permette di coglierne l’autentica essenza. Non stupisce allora che quei fiori di zucca colti nel vicino orto di casa e che danno il titolo al volume, si trasformano per incanto nel quotidiano tributo d’amore del marito “fonte inesauribile di energia rinnovabile e alternativa”. Come dire che ogni giorno si ha accanto la forza per guardare la vita in maniera positiva. Mariella Scattolini Fiuri de zucca Loreto, Controvento editrice, 2013 pp. 282, euro 15

Mariella Scattolini

Fiuri de zucca

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RECENSIONI

OH! CHE BEL CASTELLO… di Enrico Santini

foto: commons.wikimedia.org

F

ranco Luchetti. Geometra e interior-designer, pittore e dirigente sportivo. Un Castellano. Di quelli veri, veri perché della campagna castellana e, quindi, scrigno di ricordi legati a una vita che si dipanava tra attività e luoghi che hanno favorito la preservazione di tradizioni e valori propri della cultura del luogo. Ma è il pittore che più si manifesta in quest’opera autobiografica di Franco Luchetti. Il pittore che, proprio per il cromosoma agreste, ha come peculiarità il gusto cromatico acquisito quasi per osmosi dall’ambiente in cui è stato immerso. Ed ecco allora, come in un quadro astratto, genere caro a Franco Luchetti, le pennellate che si susseguono, le tinte che si giustappongono, le sfumature che si accostano. Le tinte principali: la fanciullezza, la campagna con i suoi riti e i suoi luoghi. La stalla, gli animali, la forgia, la fratta, gli odori e i sapori e i misfatti di questa e la

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vergogna di confessarli al rude P. Ilario. E poi, il sofferto Esame di Stato, prima delusione e poi soddisfazione e ponte verso il futuro. Il militare. Il caldo e il freddo. Dell’estate e dell’inverno bassanesi, che Castello, collina vicina al mare, non può e non vuole conoscere. Bassano, luogo dell’amicizia, della goliardia, del riconoscimento delle doti. Ma anche della presa di coscienza che “saper fare” e “voler fare”, prima che i meritati premi, portano oneri. Non certo il furbesco nascondimento. Infine, il lavoro. A gratis, prima! Poi, i primi soldi, le prime soddisfazioni personali, le prime costruzioni. Tutte originali! Come pretende il pittore che c’è dentro di lui. Un pittore che, se si impegna in edilizia, lo fa in maniera consapevole ed estetica. Per sé e per la città. E tenendosi distante da chi invece vede solo metri cubi di cemento che colano e i dobloni che tintinnano. È questo il

Franco Luchetti che si racconta e, raccontandosi, racconta una città. Di provincia. Ma che, con i suoi personaggi, attori consapevoli o non di queste storie, qualcosa da dire ce l’ha sempre. Franco Luchetti In sul calar del sole Macerata, Stampalibri, 2013 (senza indicazione di prezzo)


RECENSIONI

PAESE MIO, CHE STAI SULLA COLLINA… di Loris Capovilla*

S

ul mio tavolo di vecchio viandante (oh, come vorrei definirmi mendicante del cielo, cioè di futuro, di sopravvivenza e di immortalità!), fa bella mostra di sé Uno sguardo verso il mare, dattiloscritto di Valentino Lorenzetti, medico di professione, musico per ispirazione, sposo soave, padre tenerissimo, esemplare cittadino d’Italia e del mondo, discepolo di Cristo e conseguentemente uomo attratto dalle beatitudini evangeliche. I nitidi fogli, battuti in bella forma, nel rispetto della lingua, della sintassi, della retorica e dell’armonia, non contengono l’autobiografia completa dell’autore, non narrano favole e parabole; offrono invece al lettore intelligente (colui che riesce a penetrare nel profondo del pensiero) una magnifica raccolta di pennellate che abbozzano luoghi e volti in un clima mai turbato da tempeste, ancorché non esente, com’è naturale, dal ripetersi di momenti uggiosi e nebbiosi. L’opera non ostenta mirabolanti imprese e non fa sognare definitive palingenesi. In filigrana ho scoperto in essa alcune analogie con il mio stesso percorso, in altra terra, in altro clima, nel susseguirsi di eventi ordinari e straordinari contrassegnati dalla scoperta della mia vocazione, determinato a realizzarla

nel rigoroso rispetto dell’ordinamento che trascende i limiti umani, lieto di incontrare ovunque testimoni di verità e giustizia, amore e libertà… Uno sguardo verso il mare, è dedicato a Daniela, Marco, Paolo. Questi nomi ne evocano molti altri: congiunti, amici, conoscenti, conterranei, cittadini del mondo. Ho letto tutto, anche tra le righe. Mi sono allietato ed arricchito. Più volte ho dovuto contenere l’emozione. Ho assaporato i profumi del lavoro, delle feste di paese, dell’attaccamento alla terra, alle pietre, ai corsi d’acqua, alle cime delle montagne. Ho gustato le delizie dello sport e soprattutto il valore dell’amicizia, della nostalgia, del rispetto elevato a dignità di sacramento. Ho sognato orizzonti lontani ed esotici. È cresciuto in me l’apprezzamento per i drammi e i miracoli dell’emigrazione. Tutto bello, allora? Rispondo con la sentenza del poeta Orazio che mi accompagna da sempre: “Ubi plura nitent, non ego paucis offendar maculis, quas aut incuria fudit, aut humana parum cavit natura”: - Se un carme di più fregi fulgesse, non le poche macchie mi turberiano che l’incuria o la natura umana mal sa evitare Dall’alto della Cupola del Sangallo, La Donna dell’Incarnazio-

ne del Verbo, lustro e speranza dei Colli Lauretani incoraggia e benedice. Valentino Lorenzetti Uno sguardo verso il mare Loreto, Tecnostampa, 2013 pp. 144, non indicato il prezzo

* (Con il permesso dell’Autore, abbiamo qui riportato uno stralcio della prefazione al libro di Sua Eminenza il cardinale Capovilla)

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ARTI MARZIALI

ALLA SCOPERTA DEL KUNG FU di Gennaro Ferrara - foto di Savio Iliano

Montelupone: una scuola per la disciplina del corpo e dello spirito, alla ricerca dell’energia interiore. E non occorre andare in Giappone.

I

mparare un’arte marziale non è un mero e semplice apprendimento di tecniche finalizzate alla difesa o all’attacco, ma anche e soprattutto una disciplina del corpo e dello spirito che affonda le sue radici in tradizioni millenarie ricche di cultura e di esperienze pratiche e filosofiche. Ne è un esempio il Wushu, in occidente conosciuto come Kung Fu, la più antica arte marziale i cui capisaldi nascono dalla filosofia del Tao. Ogni aspetto della vita sia fisico, che psicologico, che spirituale, ossia il benessere di ciascuno, si fonda sull’equilibrio degli opposti: il Tao. Imparare la pratica del Kung Fu è prima di tutto imparare a conoscere se stessi e quindi il proprio Qi, ovvero l’ energia interiore, che scorre nel nostro corpo e che, come spiega ampiamente la medicina tradizionale cinese, condiziona il nostro benessere. Pertanto attraverso la conoscenza di quest’energia ed attraverso il lavoro su se stessi è possibile stabilire un equilibrio fra la parte interna legata alla sfera spirituale ed emozionale e quella esterna legata al corpo. Proprio ricercando questo equilibrio è possibile scoprire delle potenzialità che prima ignoravamo completamente. Fra le discipline marziali cinesi che più si addicono alla cura della parte

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ARTI MARZIALI interiore vi è il Taijiquan, noto anche per i suoi effetti benefici che derivano appunto dallo sviluppo consapevole della propria energia e dalla capacità di saperla equilibrare ed armonizzare. Tuttavia è bene tenere presente che il Kung Fu e’ prima di tutto arte marziale, pertanto insegna tecniche di difesa che possono essere apprese solo con costanza ed impegno, seguiti da tecnici competenti. Nasce proprio da queste premesse la scuola di Kung Fu dell’associazione sportiva “Shaolin Temple Montelupone”, seguita direttamente dal Capo Monaco Maestro Lazzarini (ben noto nel mondo delle arti marziali come dirigente e per il suo curriculum ricco di vittorie sia in campo nazionale che internazionale) e dai “monaci della Sorgente”. La loro scelta di diventare monaci nasce quattro anni fa dall’esigenza di vivere il Kung Fu fino in fondo, infatti nonostante gli anni di vittorie sia a livello nazionale che internazionale, nonostante le alte qualifiche raggiunte sia dal punto di vista tecnico che dal punto dirigenziale all’interno del CONI, nonostante gli anni di insegnamento in ospedali, scuole materne, medie, superiori ed università, ai futuri monaci mancava sempre una parte, quella essenziale e primordiale, che può nascere e svilupparsi solo lontano dai rumori e dalle distrazioni del mondo odierno, instaurando invece il contatto con la natura e seguendo i suoi ritmi ed il suo equilibrio. I monaci della Sorgente stanno così realizzando il loro sogno di vivere il Kung Fu come lo si viveva originariamente, applicando i suoi insegnamenti in ogni più piccolo gesto quotidiano. Ora dopo 4 anni di ritiro da tutte le attività esterne, i monaci hanno deciso di condividere la loro esperienza maturata con tutte quelle persone interessate a vivere il Kung Fu in modo tradizionale per scoprirne lo spirito e apprezzarne la profondità e la perfezione. Pertanto chi fosse interessato a conoscere i monaci più da vicino, condividendo non solo la loro arte ma allenandosi insieme a loro, può farlo partecipando alle lezioni di Kung Fu tradizionale che si terranno il lunedì, giovedì e venerdì dalle 18.00 alle 20.00 e alla lezione di Tai Chi Chuan tenuta personalmente dal Capo Monaco Maestro Lazzarini il martedì dalle 20.00 alle 21.30.

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