Monotema n. 4/2017

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SOLUZIONI LAVORO OSSERVATORIO PERMANENTE IN MATERIA DI LAVORO, SINDACATO E PREVIDENZA SOCIALE COORDINATO DA MARIA NOVELLA BETTINI DIRETTO DA FLAVIA DURVAL

LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE DEL SOCIO D’OPERA AMMINISTRATORE

MONOTEMA N. 4/2017

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LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE DEL SOCIO D’OPERA AMMINISTRATORE

GIOVANNI PIGLIALARMI 1. IL QUADRO NORMATIVO DELLA DISCIPLINA PREVIDENZIALE DEL SOCIO D’OPERA. Il tema del regime previdenziale applicabile alle diverse attività svolte da un unico soggetto è stata per lungo tempo oggetto di contrasti interpretativi.

La questione sorgeva in particolar modo per la figura del socio d’opera di una S.r.l. che, al contempo, fosse anche amministratore della medesima società e per tale attività percepisse un compenso.

A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 335/1995 è stata estesa in via generalizzata la protezione sociale ad ogni tipologia di lavoratore, con decorrenza dal 1° gennaio 1996. In particolare, l’obbligo di iscrizione ad una apposita gestione previdenziale separata è previsto per tutti i soggetti che esercitano un’attività abituale, ancorché non esclusiva, di lavoro autonomo e, tra questi, espressamente gli amministratori di società che percepiscano un compenso per tali attività.

Con l’entrata in vigore della L. n. 662/1996, il legislatore ha, poi, esteso l’obbligo di iscrizione alla gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali di cui alla L. n. 613/1966 a tutti i soggetti definiti lavoratori autonomi che operano nel settore terziario, escludendo espressamente solo gli artisti e i professionisti (art. 1, co. 202).

In tale quadro normativo, sorge un problema interpretativo per il socio d’opera di una società a responsabilità limitata che rivesta anche la carica di amministratore e percepisca un compenso per l’attività svolta. Ci si è chiesti, cioè, se nel caso di specie sussista un obbligo per il soggetto in questione di scriversi ad entrambe le gestioni previdenziali (c.d. doppia iscrizione): quella dei commercianti e quella separata.

2. IL CRITERIO DELLA PREVALENZA. La Corte di Cassazione, per lungo tempo, aveva applicato il c.d. criterio della prevalenza, per cui tra due attività, una delle quali prevalente, quella recessiva non comportava alcun obbligo di iscrizione a forme e/o gestioni previdenziali diverse (v. Cass. S.U. 12 febbraio 2010, n. 3240).

L’interpretazione della Corte si fondava sulle intenzioni del legislatore di estendere la copertura previdenziale ed assicurativa quanto più possibile ai soggetti fino a quel momento esclusi, senza alcuna duplicazione delle iscrizioni a più gestioni previdenziali e faceva leva su quanto disposto dall’ art. 1, co. 208, L. 23 dicembre 1996 n. 662, che, al fine di evitare la duplicazione dei rapporti assicurativi, ipotizzando lo svolgimento di una pluralità di attività contemporaneamente in una sola o in più imprese, istituiva il criterio della prevalenza (v. Cass. 17 gennaio 2008, n. 854; Cass. 5 ottobre 2007, n. 20886).

La tesi interpretativa sostenuta dall’Istituto di Previdenza era del tutto diversa: il soggetto che svolgeva più attività contemporaneamente avrebbe dovuto comunque iscriversi alle diverse gestioni previdenziali, in base alle differenti attività esercitate.

Nelle more, il legislatore, con l’art. 12, co. 11, L. n. 122/2010, di conversione del D.L. n. 78/2010, forniva un’interpretazione autentica dell’art. 1, co. 208, L. n. 662/1996, individuando la portata del criterio di prevalenza. Nello specifico, la nuova disciplina 2

affermava che la norma in questione si interpretava «…nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all'assicurazione prevista per l'attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d'impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell'Inps. Restano, pertanto, esclusi dall'applicazione dell'art. 1, comma 208, legge n. 662/96 i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l'iscrizione alla gestione previdenziale di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.

335».

La norma di interpretazione autentica avrebbe avuto efficacia ex tunc. A seguito dell’intervento legislativo del 2010, dunque, per il socio d’opera – che ai fini previdenziali era stato classificato dalla legge come esercente di un’attività commerciale – qualora avesse ricoperto anche la carica di amministratore di società e avesse percepito un compenso per le attività svolte, non poteva trovare più applicazione il criterio della prevalenza.

Il legislatore, infatti, aveva aderito al principio che ogni attività di lavoro o di impresa costituisce il presupposto automatico per costituzione del rapporto previdenziale, poiché rispondente all’interesse generale di rilevanza pubblicistica, e cioè garantire allo Stato i mezzi economici necessari al soddisfacimento dell’interesse pubblico della protezione sociale.

Così, il criterio della prevalenza (art. 1, commi 207 e 208 della L. n. 662/1996) troverebbe applicazione solo nei casi in cui un soggetto lavori all’interno di un’impresa la cui attività potrebbe determinare l’iscrizione a più gestioni. Solo in questo caso, la scelta di una sola tra le gestioni potenzialmente interessate è diretta ed evitare la doppia imposizione contributiva sulla medesima fonte di reddito.

3. LE SOCIETÀ IMMOBILIARI. Una delle vicende che di più ha impegnato la giurisprudenza è quella relativa alla posizione del socio di società aventi ad oggetto l’attività della gestione immobiliare.

Come noto, le società immobiliari si distinguono in base al tipo di attività. Una prima tipologia si limita a gestire gli immobili conferiti, mentre una seconda tipologia espande la propria attività con il progressivo acquisto di altri immobili da concedere in locazione. Infine, vi è una terza tipologia, vale a dire società operanti in un determinato settore (artigiano, industriale o terziario) che, cessando l’attività, abbiano concesso in locazione l’immobile utilizzato per l’esercizio sociale. In questo ultimo caso, si tratta di una variazione in concreto dell’esercizio sociale, che passa da quello originario a quello immobiliare. Nella prassi, questo tipo di scelta serve ad evitare il costo dello scioglimento della società ed i costi relativi all’assegnazione degli immobili ai soci.

Nel 2009, l’Inps ha stipulato una convenzione con l’Agenzia delle Entrate per ispezionare tutte le società commerciali su base personale (S.n.c. e S.a.s.) che avevano dichiarato di operare nel settore terziario, i cui soci avevano prestato attività per conto di esse in modo prevalente. A seguito della “campagna” ispettiva, l’Inps ha disposto l’iscrizione d’ufficio alla gestione previdenziale dei commercianti di tutti i soci che svolgessero attività per conto delle società immobiliari, consistente nell’attività di locazione di immobili di proprietà sociale. Molte società hanno contestato in giudizio il 3

fondamento di tale iscrizione, evidenziando come l’attività svolta non integrasse i requisiti previsti dalla legge per determinare la nascita dell’obbligazione contributiva.

L’Inps, invece, ha ribadito – anche alla luce della circolare n. 78/2013 – che la gestione immobiliare aveva natura di attività d’impresa, purché esercitata in forma societaria, aggiungendo che poteva ritenersi abituale un’attività svolta anche per poche ore al giorno quale quella della predisposizione della documentazione necessaria alla vendita degli immobili.

L’Ente fondava questa interpretazione richiamando una circolare dell’Agenzia delle Entrate (16 dicembre 2011, n. 126/E) in base alla quale «i connotati dell’abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica vanno intesi in senso non assoluto ma relativo, con la conseguenza che la qualifica di imprenditore può determinarsi anche in ragione del compimento di un unico affare, avente rilevanza economica e caratterizzato dalla complessità delle operazioni in cui si articola, che implicano la necessità di compiere una serie coordinata di atti economici».

4. LA TESI DELL’INPS. Secondo l’Inps, le società sopra delineate, esercitando l’attività di locazione di immobili, sono facilmente riconducibili al settore terziario perché eroganti un servizio, inteso come prestazione finalizzata a mettere a disposizione e consentire il godimento di un bene per soddisfare gli interessi dell’utilizzatore (art.

1571 c. c.).

Quindi, secondo l’Ente, tutte le volte in cui vi sia la concessione di un bene con l’obbligo di farlo godere all’utilizzatore si è in presenza dello schema contrattuale previsto dall’art. 1571 c.c., cioè un contratto di locazione. L’Istituto sostiene che se l’attività dell’affittacamere (consistente nella semplice messa a disposizione dell’alloggio) rientra nel settore del terziario, vi rientra anche la locazione degli immobili condotta da queste società, che si traduce in concreto nell’esercizio di un’attività imprenditoriale avente ad oggetto l’attività locatizia. In altre parole, è sottoposta a contribuzione l’attività svolta dal socio con sistematicità, continuità e rimuneratività nell’ambito di una organizzazione produttiva finalizzata allo scopo (art.

2082 c.c.).

In sostanza, occorre il requisito della professionalità dell’esercizio dell’attività economica. Questa verifica non è tuttavia necessaria nel caso in cui a svolgere l’attività di locazione sia una società commerciale, poiché – secondo la ricostruzione fornita dall’Inps – opererebbe la c.d. presunzione di imprenditorialità.

Secondo l’Ente, nelle società commerciali l’assunzione della qualità di imprenditore sarebbe requisito essenziale per la costituzione delle stesse e la locazione dei beni immobili appartenenti alla società, in conformità anche allo statuto, comporterebbe la sussistenza di un’attività imprenditoriale da cui scaturirebbe l’obbligo dei soci ad iscriversi alla gestione previdenziale dei commercianti, salvo il caso in cui i soci dimostrino che il contratto di società è simulato con la finalità di mascherare una comunione a scopo di godimento per la quale la legge vieta il ricorso alla forma societaria (v. art. 2248 c.c.).

5. L’ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA. La giurisprudenza prevalente ha dato un’interpretazione diversa rispetto a quella fornita dall’Inps. Secondo i giudici, infatti, 4

non è automatico che a seguito della costituzione di una società commerciale il socio amministratore debba obbligatoriamente iscriversi alla gestione previdenziale dei commercianti poiché va sempre verificata in concreto la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie.

Anche il Ministero del Lavoro si è espresso nel senso di negare un vero e proprio automatismo tra la qualifica di socio e l’iscrizione alla gestione dei commercianti (v.

Ministero del Lavoro, Interpello n. 78/2009). Ciò, sul presupposto che detto obbligo sussiste solo a fronte dell’esistenza dei seguenti requisiti: a) lo svolgimento di un’attività d’impresa di natura commerciale da parte della società; b) la partecipazione del socio al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; c) l’organizzazione e/o direzione della società da parte dei soci e/o dei loro familiari.

Anche la Corte di Cassazione si è orientata in tal senso, ritenendo sussistente l’obbligo assicurativo per il socio di società in nome collettivo e in accomandita semplice, ma a condizione che gestiscano imprese organizzate prevalentemente con il lavoro dei soci e di eventuali familiari (v. Cass. 11 febbraio 2013, n. 3145; Cass. 4 agosto 2010, n. 18128; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27824).

Anche la giurisprudenza di merito si è orientata in tal senso. In particolare, è stato accertato che l’attività di locazione di immobili da parte di chi ne sia proprietario non dà luogo ad attività d’impresa, anche quando si tratti di attività locativa esercitata da una società diversa dalla società semplice (cfr. Trib. Perugia 13 maggio 2015; Trib.

Monza 25 maggio 2014; Trib. Pisa n. 637/2013; Trib. Pisa n. 633/2013; Trib. Pisa n.

672/2011). Altre pronunce hanno escluso l’obbligo d’iscrizione alla gestione previdenziale dei commercianti dei soci la cui società abbia ad oggetto l’esclusiva locazione degli immobili di sua proprietà; in questo caso, mancherebbe l’attività di intermediazione immobiliare, quindi l’oggetto sociale non potrebbe essere ricondotto nel settore del terziario in quanto sarebbe carente l’attività di scambio e di prestazione dei servizi (v. Trib. Ivrea 3 luglio 2014; v. anche App. Firenze n.

279/2015). È stato anche accertato come, nel caso della estrema limitatezza dell’attività operativa di una società (trattasi delle c.d. società di mero godimento), l’attività operativa svolta dal socio non può essere desunta dalla dichiarazione dei redditi, ma occorre che vi sia un accertamento in concreto dell’attività svolta, demandato all’Ente creditore (cfr. Trib. Pesaro 25 ottobre 2013, n. 366, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, II, 658, con nota di OLIVELLI). Infine, è stata annullata l’iscrizione disposta d’ufficio dall’Inps alla gestione previdenziale dei commercianti di due lavoratrici subordinate e allo stesso tempo amministratrici di una S.r.l. poiché non avevano percepito alcun compenso per l’esigua attività svolta (Trib. Velletri 14 luglio 2016).

Pertanto, la società che svolga in concreto attività meramente locatizia dell’immobile o di immobili di sua proprietà non può essere assimilata alla piccola impresa commerciale di cui all’art. 2, L. n. 1397/1960 e, di conseguenza, i soci non sono obbligati ad iscriversi alla gestione previdenziale dei commercianti.

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