Rovigno nel Medioevo

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SCUOLA MEDIA SUPERIORE ITALIANA TALIJANSKA SREDNJA ŠKOLA ROVINJ - ROVIGNO

ROVIGNO NEL MEDIOEVO



Scuola media superiore italiana Rovigno Talijanska srednja škola Rovinj a cura di: prof.ssa mentore Maria Sciolis, prof. Marko Kalčić Alunni/e: Nicole Banko, Greta Đekić, Ruben Finderle, Klas Medak, Debora Mofardin, Anna Tonello, Lorentz Vail Žufić, Lucija Bosek, Sintia Djerdj, Alessia Petrović, Marc Jr. Borghigiani, Giacomo Corazza, Tereza Rosalie Dohnalova, Manuel Gottwald, Simone Marangon, Ilaria Suman, Martina Šuštić, Mario Tanushi, Paolo Trani, Teo Apollonio, Alessio Giuricin, Sara Jozić, Gaia Poretti. design della copertina: Gabriel Lleshdedaj redattore: Ines Venier, prof.ssa Stampa: Grafomat, Rovigno Tiratura: 500 copie Rovigno, marzo 2017


RINGRAZIAMENTI I nostri ringraziamenti più sentiti vanno: - al signor Giovanni Trani per l’ideazione e la costruzione della porta - alla prof.ssa Adriana Ive per il supporto tecnico - alla prof.ssa Larisa Degobbis per la correzione dei testi - alla signora Nives Giuricin per l’aiuto logistico - a Thomas Garbin per il design - alla famiglia Šuštić per il trasporto - per l’ideazione della copertina Gabriel Lleshdedaj, alunno della III liceo generale


LA PORTA Lunedì 13 marzo, il prof. Giovanni Trani coadiuvato dagli alunni della IV liceo generale, ha montato il rifacimento di una delle porte di Rovigno da lui realizzata con lo “stirodur”. La porta verrà utilizzata (a maggio 2017) a cornice alla presentazione del progetto “Rovigno nel Medioevo” a Pisino.

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Alcuni dettagli della porta

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PREAMBOLO Sono Paolo Trani, oggi alunno della IV liceo della SMSI di Rovigno. Ho il compito di spiegare perché abbiamo deciso di fare questo lavoro di ricerca. Presto detto. La motivazione, la causa della nostra ricerca, è stata una constatazione fatta lo scorso anno scolastico durante un'ora di italiano: "In prima abbiamo trattato il Medioevo in quasi tutte le materie: dall'italiano alla storia, dal croato all'inglese, dalla geografia all'arte. Ma che cosa c'è di quel Medioevo a Rovigno?" La prof.ssa Maria Sciolis non ha lasciato perdere la domanda che le avevamo posto forse, all’inizio, da parte nostra solamente retorica. In men che non si dica era nato un progetto ed aveva coinvolto il prof. di storia Marko Kalčić, il prof. di storia e archeologo Damir Matošević, curatore del Museo Civico, il prof. di storia del Centro di Ricerche Storiche, nonché vicesindaco di Rovigno, Marino Budicin, il prof. del CRS Rino Cigui, la prof.ssa Gracijela Benčić, la preside, prof. Ines Venier e la ricerca è iniziata coinvolgendo in varie fasi gli alunni di tutte le classi liceali. Ora a conclusione del lavoro siamo contenti di aver posto quella domanda riguardante il Medioevo e Rovigno, perché abbiamo appreso un'infinità di nozioni riguardanti l’argomento. Sono più che convinto che tutto ciò che abbiamo imparato farà parte del nostro bagaglio culturale e non lo dimenticheremo tanto facilmente.

Accanto alla Torre di Boraso: il prof. Marko Kalčić, Simone Marangon, la prof.ssa mentore Maria Sciolis, Ilaria Suman, Manuel Gottwald, Giacomo Corazza, Klas Medak, Paolo Trani, Nicole Banko, Lorentz Vail Žufić, Anna Tonello, Ruben Finderle, Greta Đekić, Marc Jr. Borghigiani, Debora Mofardin, Mario Tanushi, Martina Šuštić e Tereza Rozalie Dohnalova

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INCONTRI – ESCURSIONI - LEZIONI - lunedì 1 febbraio 2016 i nostri docenti espongono all’archeologo Matošević l’idea del progetto e cercano il suo contributo - lunedì 8 febbraio 2016 l’archeologo Matošević ci porta del materiale e ci dà ulteriori informazioni - lunedì 22 febbraio 2016 l’archeologo Matošević tratta l’argomento riguardante le chiesette di campagna - venerdì 26 febbraio 2016 incontro con il prof. Budicin - venerdì 13 maggio 2016 siamo stati sul monte della Torre e nella chiesetta di S. Tommaso - venerdì 29 maggio 2016 il prof. Cigui ha tenuto una lezione riguardante le malattie nel Medioevo - lunedì 19 settembre 2016 abbiamo trattato in classe l’argomento inerente al modo in cui si svolgeva la vita quotidiana nel Medioevo e i cereali che si coltivavano - venerdì 2 dicembre 2016 siamo stati a Val Faborso e nella chiesetta di S. Eufemia di Saline - sabato 28 gennaio 2017 siamo stati a Vestre e nella chiesetta di S. Damiano di Palù - venerdì 17 febbraio 2017 il prof. Marino Budicin ci ha portato lungo le mura della città - venerdì 10 marzo il ricercatore Josip Višnjić ha esposto i risultati delle ricerche effettuate sui resti archeologici trovati a monte della Torre.

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Presso il Centro di Ricerche Storiche di Rovigno il prof. nonché vicesindaco di Rovigno Marino Budicin, presenta ai ragazzi della IV liceo generale i segreti delle mura di Rovigno


IL MEDIOEVO

Accanto alla chiesetta di S. Tommaso si vedono i binari dove una volta passava il treno Rovigno-Canfanaro

Il Medioevo è un periodo storico definito così per la prima volta nel Rinascimento. È stato considerato un’età di mezzo tra due periodi storici più importanti: l’Impero romano e il Rinascimento. Inizialmente si è data all’età una connotazione negativa. Oggi si sostiene che il Medioevo sia una fusione, un incontro di popoli, nella quale è nato il concetto di Europa, inteso in senso moderno. La fusione è avvenuta tra l’Impero romano d’Occidente e i barbari o, per usare altri termini che hanno però lo stesso significato, tra Latini e Germani. L’incontro è avvenuto tra il V e VIII secolo, quando molte province che avevano costituito l’Impero Romano d’Occidente sono state conquistate da popolazioni barbariche che vi hanno creato dei regni nei quali Romani e barbari si sono integrati, talvolta con pieno successo, in altri casi solo parzialmente. L’integrazione è dipesa da molti elementi: la religione, la conoscenza dei barbari della civiltà romana e la capacità di stabilire rapporti pacifici. Nel Medioevo si incontra un sincretismo culturale tra le popolazioni. Sovente nei regni romanobarbarici l’esercito era affidato ai popoli barbari conquistatori e l’amministrazione dello stato ai Romani conquistati, ciò provocò una sensazione di continuità. Le date simboliche di apertura e di chisura del Medioevo sono rispettivamente il 476 (anno del crollo dell’Impero romano d’occidente) e il 1492 (anno della scoperta dell’America). Sono mille e sedici anni divisi però in due parti: alto (dal 476 fino al 1000) e basso (dal 1000 al 1492) Medioevo. 5


Il Medioevo in Istria è contrassegnato dal susseguirsi di alcune dominazioni:

- 476-539 periodo dei regni romano-barbarici

- 1040-1209 periodo del Magraviato d’Istria

- 539-751 periodo bizantino

- periodo del patriarcato di Aquileia de facto dal 1209 al 1304 ma de iure dal 1420

- 751-774 periodo dei Longobardi - 774-1040 periodo franco/Sacro Romano Impero

- 1283-1797 periodo di Venezia

Nell’Istria ci furono brevi incursioni o lo stanziamento di popoli diversi quali: gli Eruli, i Visigoti, gli Ostrogoti, i Bizantini, i Longobardi, gli Avari, gli Slavi-Vendi, i Franchi, i Saraceni, ecc. Nel Medioevo dal sermo vulgaris si sono evolute le lingue neolatine o romanze. Testimonianza della trasformazione della lingua parlata è il celeberrimo “Indovinello veronese”, fine VIII inizi IX secolo, il “Placito capuano” del 960 e sicuramente, nella nostra terra si poteva sentire discorrere in questo modo:

Iulia: Flavia!

Iulia: Ozie die calda est. Imus in campo.

Flavia, soror mea, ubi tu est?

Flavia: Oh no soror mea! Mea bucca trema. Bucca et pedes!

Oh amici, salvete! Vidiste mea soror? Flavia: Ecce, ego sum ibi.

Iulia: Bucca tua trema? Pede tui tremant?

Iulia: Ozie cattum meo non trobo.

Flavia: Pater dicit in campo selvatici porci sunt.

Flavia: Catto tuo in vinia reposaba et cum Marco iocabat.

Iulia: Flavia, porci selvatici in montania vivunt, non inter omini.

Iulia: Bene, nunc catto non trobo!

Flavia: Ecce pater cum caballo veni.

Flavia: Fortasse... tene oricla! Udo catto tuo miaculare. Patre catto tuo trovaba.

Pater: Puelle, imus in domo manducare!

Il Medioevo è stata l’età in cui sono sorte le letterature nazionali europee: dal “Beowulf” alla “Canzone dei Nibelunghi”, alla “Canzone del Cid”, al “Canto della schiera di Igor”, alla poesia religiosa di Francesco d’Assisi, alla poesia di Dante e Petrarca, alla prosa del Boccaccio

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ROVIGNO

Una veduta delle merlature guelfe nascoste da una casa in via Švalba

La campagna rovignese e le isole circostanti erano abbondantemente popolate sia in epoca preistorica che in quella romana. Ciò si adduce dai numerosi reperti archelogici che vanno dai castellieri (Montero, Mondellarche, Monbello, Moncodogno, ecc.) ai resti di pavimentazione delle ville rustiche. Un esempio tutto particolare ne è la TORRE DI BORASO, oggi ancora particolamente visibile nei pressi di Rovigno (subito dopo la rotonda che conduce a Villa di Rovigno). Però insorge immediatamente un problema legato all'origine del nome della nostra città, che è tuttora incerta. Ad esempio Andrea Ravizzo (il cui nome latinizzato era Rapicius o Rapitius o Rapiccio), vescovo, giurista e letterato triestino (1533-1573), nel suo poemetto geografico in lingua latina “Istria” la descrive e la chiama Arupina: “Sunt et Arupinae cautes praeruptaque saxa, Huic ubi trecentum scopuli se in litore tollunt. Hos inter densos scopulos, quo frangitur unda, Quo dulces spirant aurae prope litoris oram ...................discendimus .......”

Ci sono gli scogli e i massi scoscesi di Arupino, Si elevano 300 scogli sulla spiaggia dove l’onda viene infranta tra questi densi scogli, dove spirano vicino alla spiaggia i dolci venti della costa. 7


Degli studiosi sostengono che il nome Rovigno derivi da una voce giapidica per cui il nome doveva essere ARUPINIUM. A tal proposito il signor Bartolomeo Vergottini nel suo opuscolo “Della antica origine, successive vicende ed attuale stato di Rovigno” opina che la nostra città dovesse il nome e l’origine agli abitanti di Arupino, città giapidica. E che gli abitanti di Arupinum, vinti da Augusto nel 14 a.C. venissero tradotti dai loro monti dell'Istria pedemontana e ricevessero l'assegnazione del territorio di Rovigno, allora inabitato. Altri farebbero derivare il nome Rovigno dal celtico RUVEN che significherebbe promontorio, altri ancora dal latino RUBENS, da Mons Rubens o Mons Rubiens, cioè monte rosso per via del sangue di alcuni monaci che si flagellavano. “Qui rubens vocatur,

Santa Croce n. 45

Le mura cittadine sovente s’ergevano anche sulla roccia viva com’è visibile da questa foto scattata nel cortile dell’albergo Angelo d’oro

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multorum sanctorum crure” come sta scritto nel codice membranaceo del XIII secolo. Però anche questa ipotesi è poco attendibile poiché, la vecchia strada, la principale, anzi l’unica, che portava dall'antica piazza di Rovigno (piazza del Trivio) alla sommità del monte, si chiamava sempre, e si chiama tuttodì, contrada Montalbano: segno evidente che il monte originariamente si chiamava Mons Albanus e non Mons Rubens. Di più il monte di S. Eufemia era ed è un ammasso di rocce calcari, bianche, nude, dirupate, all'opposto di tutti i monti e di tutte le isole circostanti riccamente coperte di terra rossa e di rigogliosa vegetazione. Alla fine, il prof. Mario Doria, docente ordinario di glottologia presso l'Ateneo triestino, autore del “Dizionario del Dialetto Triestino”, avanza l'ipotesi di un patronimico RUFINIUS. Per riflettere ancora sulla derivazione del nome della città è interessante osservare lo stemma di Rovigno che sino alla metà del XIII sec. era una melogranata semiaperta, forse a spiegare il nome di RUBINUM. L'ORIGINE DI ROVIGNO, nelle rovine nei ruderi ivi esistenti, conserva numerose pagine, ancora non lette della sua storia antica. Rovine di caseggiati, di torchi, di fornaci, rovine di cisterne, di pozzi, cave di pietra, tombe murate, embrici, tegole, ecc. presso Polari, Cisterna e Vestre. Il monte di S. Eufemia non era una penisola come lo è oggi, bensì un’isola e fra l’isola e la terraferma c’era un canale largo e profondo che divideva il monte di S. Eufemia da quello di S. Francesco. Con il passare del tempo il canale diventò un fondo basso limaccioso e fu interrato nel 1763, essendo cessato anche il pericolo delle scorrerie dei pirati Uscocchi e di altre popolazioni. Anche se già dopo il 1650 (il castrum Rubini, poi terra e negli anni della Repubblica di Venezia anche città, titolo che le fu conferito nell'organizzazione dell'Istria dal Commissario plenipotenziario conte Thurn col decreto del 6 luglio 1797) potè allargarsi anche fuori dalle mura. La città sul colle di S. Eufemia era cinta da una poderosa muraglia con merli e spalti sul versante orientale del monte, mentre il versante occidentale erto e roccioso, era validamente difeso dalla natura stessa. Le 9


mura furono probabilmente costruite tra l’VIII e IX secolo, ricostruite nel XII, mentre ciò che è visibile oggi risalirebbe al XVI secolo. Erano alte fino a 6-7 metri e nella parte dell’odierna Švalba anche fino a 12 metri. (Allegato pag. 34,35) Lungo le mura c’erano dodici torri che a volte erano più alte delle mura stesse. Queste sorgevano spesso sulla roccia viva come è ben visibile entrando (in Švalba) e percorrendo l’Angelo d’oro fino al terrazzo esterno del ristorante. Le mura finivano con una merlatura guelfa quadrata. I resti dei merli sono visibili ancora oggi entrando nella casa numero 45 di via Švalba (questa è stata costruita più tardi al di qua delle mura stesse). Entrando nella casa numero 45 di via S. Croce si percepisce che in un periodo successivo a quello Medioevale i rovignesi hanno iniziato a costruire al di là della mura e spesso quelle sono diventate parte integrante degli edifici. Però a causa dell’umidità che causavano le mura cittadine gli abitanti hanno pensato bene di lasciare degli spazi di circa 50 cm tra le mura e le loro case. Per difendere meglio il lato orientale, il più debole dell’isola, fu costruito un secondo muro che costeggiava il canale ed era rinforzato ai lati da due torrette sul mare, una per vento, dei porti di S. Caterina e di Valdibora: l’una tuttora sussistente presso l’attuale agenzia turistica Kompas e l’altra ridotta a casa di fronte al teatro con bar al pianterreno. Nel mezzo delle mura s’ergeva un ampio torrione dove c’era la porta d’ingresso con un ponte levatoio e la porta si chiamava “Porton del Ponte”. Nell’anno 1563, sulla trabeazione che sormontava l’arco toscano del Portone della torre c’era la scritta: LO REPOSSO DEI DESERTI, ed era posta dall’una e dall’altra parte. Gli studiosi sostengono che la scritta non si trovasse ab origine Porta. Il Porton del Ponte sorgeva di fronte all’odierno Museo civico. È stato fatto demolire perché impediva la vista ad una facoltosa famiglia che abitava proprio il palazzo del Museo. Comunque in uno degli spazi della “Splitska” banca c’è ancora una feritoia a testimoniare la presenza della seconda cerchia di mura e delle torri a difesa. 10


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LA STORIA DI ROVIGNO È LEGATA INDISSOLUBILMENTE A CISSA ED ALL’ARRIVO DELL’ARCA DI S. EUFEMIA Cissa è un’isola che sarebbe dovuta esistere ma della quale ancora oggi non ci sono reperti certi. Cissa è l’Atlantide rovignese! La mitica Cissa è senz’altro esistita: troppi studiosi e geografi ne hanno parlato ed anche indicato il sito, seppure sbagliando. Di Cissa ne parla Plinio il Vecchio (nel I sec. a.C.) nella sua “Storia Naturale”: “.....iuxta Histrorum agrorum Cissa Pullaria...”, nel suo libro di geografia e discorre dell’Istria e delle isole sulla spiaggia orientale dell’Adriatico: Cissa, Pullarie e le Absirtidi. Quest’ultime corrispondono ad Ossero, sull’isola di Cherso, le Pullarie stavano dinanzi a Pola, Cissa ai tempi di Plinio, non aveva ancora la tintoria di porpora per la quale ebbe fama ma era di rilievo per l’estensione, tale da dare accoglienza a numerosi abitanti. Plinio per definirle usa l’epiteto "clarae", la celebrità delle isole doveva dedursi da qualche loro qualità. Anche l'Anonimo ravennate l’annovera fra le isole dell’Adriatico, ma non è accertato s’egli voglia intendere la Cissa istriana o l'omonima dalmata.

Un articolo pubblicato sul Glas Istre il 14 agosto 2007. Si parla di un terremoto con epicentro non lontano di Rovigno e di magnitudo 3,9 della scala Richter

Cissa sarebbe stata o un’isola dopo lo scoglio di S. Giovanni in Pelago (S. Andrea, Mascin, S. Giovanni, Sturago e S. Giovanni in Pelago) o tutto quel gruppo di isole, come oggidì si vedono, fosse unito a Cissa e avrebbero formato un'unica ampia isola grande quanto la maggiore delle Brioni. Non dimentichiamo che tutto il terreno dell’Istria è soggetto a un lento abbassamento, anche se non segue in tutta la penisola la stessa misura ed anche i terremoti si fanno sentire di tanto in tanto come risulta dall’articolo di giornale che qui riportiamo. Sarebbe azzardato dire l’epoca in cui Cissa sprofondò nel mare. Ai tempi di Plinio (I sec. a. C.) esisteva certamente, esisteva nel II e nel III sec. quando aveva lo stabilimento centrale della tintoria di porpora, esisteva nel IV sec. quando fu dettata la notizia dei due imperi, nella quale si fa menzione della tintoria di Cissa. Esisteva certamente nel 524, anno in cui le chiese istriane cominciarono ad avere i propri vescovi, poiché Cissa ebbe vescovi nel VI e VII sec. ma dei tempi posteri non si hanno notizie. Difatti pre Guido, ossia l’Anonimo Ravennate (quando l’Istria faceva capo a Ravenna per commerci e per la navigazione, per le cose del governo civile e militare, quando le chiese ravennati ed istriane erano in contatto per possidenza e per altro), non nomina Cissa ma Rovigno, forse perché Cissa non esisteva più e ciò concorderebbe anche col tempo di cessazione dei vescovi di Cissa. Il Benussi dice che il nome Ruven (celtico = promontorio) viene dato alla città sommersa, cioè si sarebbe perso il nome della città vecchia per battezzare quella nuova. Il canonico Tommaso Caenazzo (1819-1901), nei suoi manoscritti scrive: “Più volte presi ad interrogare persone attempate, specie pescatori e marinai, se avessero mai inteso di un luogo abitato detto Rubino.

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Alcuni mi risposero: sì, abbiamo da fanciulli udito dai vecchi che anticamente Rovigno era sulla cima d'una collina o monte, e che poi fu distrutto. Altri: abbiamo inteso che fuori S. Giovanni di Pelago era uno scoglio abitato, che si chiamava Rubino, e si è sommerso. Altri: i nostri vecchi ci dicevano che fra lo scoglio di S. Andrea e quello di S. Zuane di Pelago, vi era un’isola o scoglio chiamato Rubino vecchio che si è sprofondato e che in fondo al mare si vedono muraglie, sassi squadrati e anche strade, e che i pescatori là imbrogliano le reti, come in una sprì (fondo aspro, roccioso) ed hanno estratto oggetti di abitazione ed anche una pignatta. Interrogai i pescatori se in quella località avessero mai osservato il fondo. Risposero: dove è biancura passiamo avanti. Noi non crediamo che in quel sito sia stato uno scoglio e si sia inabissato fra S. Andrea e S. Zuane, perché fra questi due scogli ve ne sono altri due assai prossimi, uno piccolo presso S. Zuane che si chiama Storago, e l'altro, poco distante presso S. Andrea, più grande detto Resti archeologici a Vestre Valmaschin, il quale un po’ alla volta si congiunse a S. Andrea mediante un cumulo di ciottoli lungo circa 100 passi e largo circa 10 da formare una bella strada di congiunzione fra i due scogli: indizi di uno scoglio sommerso non abbiamo mai ravvisato in quella località. Di queste voci tradizionali mi sembra rilevare che fra i Rovignesi perduri languida confusa memoria e della distruzione del castello Rubino, fatta dagli Slavi Narentani e la tradizione di un'isola non troppo lontana già ab antico sprofondata, senza saper il suo nome preciso. Il popolo, che facilmente fraintende e confonde, avendo inteso dire che il Rubinum fu distrutto e surse Rovigno paese e poi città, avendo inteso che un’isola nelle vicinanze fu ingoiata dal mare, credette essere quest'isola l'antico Rubinum ignorando il nome di Cissa. Che se questa fosse sprofondata sulla fine dell’VIII sec., credo che non così facilmente questo nome sarebbe sfuggito dalla memoria dei Rovignesi, ed omesso affatto nelle nostre antichissime scritture. Si disse che Rovigno fu ingrossato dalla sopravvegnenza dei profughi Cissensi. Che veramente la catastrofe di Cissa sia avvenuta nel secolo VIII, non credo; se in epoca assai più lontana, concedo. In antico, alle persone non si usava mettere il cognome, ma solo il nome, più quello del padre e del nonno, come p. e. Zuane di o qm Piero; in seguito, per non perdere abbaglio, si usò porre il nome del luogo d'onde erano oriundi, p. e. Anzolo da Brioni o Brivonese o Brionese, Antonio da Ferrara o Ferrarese, Luca da Trevi13


so o Trevisan, ecc., o queste famiglie portano anche al presente tali cognomi. Con riferimento a quel caso non si trova, né si legge il cognome Dacissa o Cissense o Cissese, e sì che abbiamo delle famiglie, che risalgono ai tempi antichi. Io sono dunque dell'opinione, che l’isola di Cissa, che suppongo al di là dello scoglio di S. Giovanni, in prossimità della Punta Cissana, o della Barberiga, si sia sprofondata assai prima del secolo VIII e sia stata contemporanea al nostro Rubinum sul Monterosso”. Noi ci poniamo allora solamente una domanda: da dove deriva il soprannome esistente ancora oggi a Rovigno: CISSE? Però nelle “Effemeridi Ristrette di Rovigno 552-1903” di Antonio Pauletich nelle pag. 171 e 172 si legge quanto segue: 1890. 14 Genn. Nave di S. M. Laudon –Protocollo Dalla Commissione Navale assunto in seguito a verbale incarico del Sig. Comandante la Divisione navale Contrammiraglio Cav. Giov. Klinke riflettente l'ispezione fatta dal Palombaro dello Stato della nave Laudon, Giuseppe Mulaz, degli avanzi della vecchia città romana Cissa, che si ritiene sommersa 200-300 metri a Sud dello scoglietto S. Giovanni in Pelago, in presenza dei Signori i. r. Capitano di Vascello Riccardo Pogatscihnigg e i. r. Capitano di Porto Kovacevich, il quale ultimo ha presenziato personalmente l'ispezione. I. Quali rilevazioni ha ella fatto sul fondo del mare? Appena calcato il fondo del mare giunsi su d’un terreno di avanzi di muri rovinati, che da me esaminati mi diedero la convinzione che indubbiamente provengono da costruzioni artificiali. Io nella mia qualità di muratore di professione potei anche constatare delle traccie di malta. Proseguendo l’esame del circostante terreno ho osservato una fila progressiva di muri e degli spazi di strade. Non vidi aperture di porte e di finestre, perché secondo il mio parere essi devono essersi riempite con ciottoli, sassi, erbe murarie ed altre incrostazioni. Ciò però che potei con precisione osservare vi fu la presenza di un muro di sponda lavorato con tutte le regole d'arte e che io seguii per un’estensione di oltre 30 metri. Non potevo seguirlo oltre perché non me lo permettevano il tubo dell’aria (manica) e la corda guidatrice dell'apparecchio. Non ho potuto intraprendere un più accurato esame della riva perché non me lo permettevano la confinante profondità dell'acqua. II. Quali impressioni fecero in lei tali rivelazioni? Delle fatte rivelazioni ha avuto l’impressione e la convinzione che quei mucchi di macerie non sono altro che avanzi di costruzioni artificiali che autorizzano alla supposizione che colà sia sommersa in forza una catastrofe una località un tempo abitata. III. Ha Ella potuto estrarre qualche oggetto che possa comprovare le sue osservazioni? Ad eccezione di una pietra che certamente proviene da un muro lavorato e che da un lato è coperta di malta, non ho potuto portare meco altro oggetto, essendoché le muraglie formano un solido ostacolo, che io non potevo rompere per mancanza dei necessari ordigni e per la brevità del tempo. IV. Ha Ella ancora di aggiungere qualche cosa alle sue osservazioni? Io aggiungo soltanto il parere che col far saltare un pezzo di muro si acquisterebbe sicura prova che i nominati avanzi appartengono realmente a costruzioni lavorate dalla mano dell'uomo. Letto, chiuso e firmato, ecc. per traduzione conforme al testo tedesco, ecc. 14


LA MIA TEORIA SU CISSA

DI ALESSIO GIURICIN ALUNNO DELLA II LICEO GENERALE

Perché cercare Cissa? Cissa è ben visibile! Oggi è quel gruppo di isole visto da Punta Corrente: lo scoglio di Montauro, lo scoglio degli Asini, l’isola di S. Andrea, Mascin, Sturago, S. Giovanni e S. Giovanni in Pelago. Ancora oggi si riesce ad intravedere che le isole erano attaccate le une alle altre e l’enorme isola era poi attaccata alla terraferma. Con la deriva dei continenti o lo scioglimento dei ghiacciai alpini arrivò l’acqua che formò una grande penisola abitata dai cissanesi. Voglio ricordare prima di esprimere la mia teoria che Rovigno è stata sempre conosciuta per la sua Foto di gruppo nella chiesa di S. Damiano di Palù: Simone Marangon, Giacomo terra rossa. La mia teoria è a Corazza, il prof. Marko Kalčić, Manuel Gottwald, Alessio Giuricin, Teo Apollonio, Jozić, il prof. Gianni Ottochian, la prof.ssa Lorena Pogliani, Ilaria Suman e causa del forte terremoto che Sara Martina Šuštić ci fu nell’VIII secolo e che ha fatto sprofondare gran parte della terra in mare e così questa poi è diventata fango marino (i pescatori inoltre affermano ancora oggi che se si calano le reti da quelle parti, è molto probabile che queste rimangano impigliate sul fondale). Dopodiché, i “Cissanesi”, per paura di quello che poteva ancora succedere, si trasferirono da quello che era rimasto di Cissa e partirono per Rovigno. Ma visto che la città in poco tempo fu riempita, a quelli che erano ancora in mare non rimase altra scelta se non quella di andare a vivere un po’ più lontano, perciò andarono a Saline o a Valfaborso o a Vestre. Qui lavorarono la porpora, ancora oggi ci sono i resti di vasche per la sue preparazione, altrove lavorarono il sale o si dedicarono alla pesca. Infine quello che rimase di Cissa, era ancora una piccola penisola ma visto che Rovigno era ancora un porto importante, i mercanti per non circumnavigare tutta la penisola incominciarono a fare dei canali per passare più velocemente, quella che una volta era un’importante penisola diventò soltanto un gruppo di isole e col passare degli anni diventarono sempre più piccole a causa dell’inalzamento delle acque (1 mm cca. all’anno). (Allegato pag. 36) Io personalmente ricordo che quando andavo a tirare su le reti con mio nonno o con mio papà di aver trovato proprio da quelle parti molte anfore. Infine voglio aggiungere che io sto esprimendo una teoria, la mia teoria, che in verità credo sia la più plausibile. Si direbbe che è una teoria un po’ strana ma guardando le carte nautiche si potrebbe anche cambiare idea. Credete a me, noi Cissa la conosciamo già. Si conserva memoria di due fortissimi terremoti: il primo del 754 e l’altro dell’800-801. Il Dando15


lo nella sua “Cronaca” scrive: “Hoc tempore terremotus horribilis factus est ita ut urbes aliquae ex parte submersae sint” e negli “Annales Bertiniani” si legge: “Hora noctis secunda trremotus maximus factus est, quo tota Italia graviter concussa est, quo motu tectum Basilicae B. Pauli Ap. magna ex parte cum suis trabibus decedit, et in quibusdam locis urbes et montes ruerunt”. Può essere che il terremoto del 754 abbia allarmato la popolazione e spinta ad emigrare sull’isola di Rovigno e che l’epoca dell’arrivo dell’ARCA sia in relazione con il secondo terremoto, perché secondo questa tesi l’arca sarebbe arrivata da Costantinopoli a Cissa nel 524 e poi dopo il terremoto da Cissa a Rovigno. E da qui la convinzione della popolazione di Rovigno di venir preservata dall’essere ingoiata dai gorghi del mare. Dopo lo sprofondamento di Cissa, pare sorgessero borgate di qualche importanza, se non civile certo industriale a Vistro (Histros) ed a Valsaline. Altri sostengono che Cissa non sia sparita a causa di terremoti ma che l’isola abbia cominciato a franare e a sgretolarsi da tempo. Gli abitanti avveduti non meno che pii si siano trasferiti con i loro penati a Saline, però più tardi sopraggiunti i pericoli delle incursioni degli Avari e dei Longobardi si siano trasferitri sul Monte Rosso. Quest’epoca comunque è rimasta memorabile per gli abitanti del castello di Rovigno anche per l’arrivo dell’arca, in quei tempi della massima importanza per una città cristiana. Il 13 luglio dell’800 sarebbe giunta, o dal Bosforo o da Cissa l’arca marmorea contente il corpo di S. Eufemia, martire calcedonese. L’arca è lunga 2,86 metri, larga 95,23 centimetri e altra 1,96 metri. L’arca è un bellissimo sarcofago di marmo greco, il lavoro si mostra opera romana dei primi secoli della nostra era, la fattura è pregevole tale da essere tomba di un re. Da un esame esterno si evince che il lavoro non fu portato a compimento, manca interamente l’iscrizione, che solitamente ve16


niva incisa, ma c’è lo specchio destinato ad accoglierla. Mancano ai lati della leggenda che si sarebbero fatte secondo la qualità della persona defunta, ed anche per queste sculture il marmo è pronto e disposto. Probabilmente era uno di quei sarcofaghi che gli scalpellini e gli scultori tenevano pronto per ogni evenienza, per ogni richiesta e lo completavano secondo la volontà degli acquirenti. Legata alla leggenda e alla venerazione della co-patrona di Rovigno, e alla guerra tra Venezia e Genova, è la costruzione di una chiesetta campestre in Valsaline, dedicata a S. Eufemia. Sul muro esterno della chiesetta di S. Eufemia nei pressi di Saline dei vandali hanno apportato i loro graffiti, ci piacerebbe credere che l’imbarcazione che si intravede sia opera di una mano molto antica

Una barca che trasportava il sacro corpo trovò riparo a causa di un temporale in Valsaline il 18 maggio 1410 assieme ad altre barche. Ne seguì, come riporta la tradizione, uno stupendo miracolo. In quel posto si trovavano delle barche piene di buoi, che all’arrivo della santa si gettarono in mare con grandi muggiti e circondarono festanti la barca nella quale c’era il suo corpo. In quel posto, per memoria perenne dell’avvenimento, si costruì presso la spiaggia la chiesetta di S. Eufemia. Il corpo della santa era stato trafugato dai genovesi che avevano vinto il 5 maggio 1379 l’armata veneta davanti al porto di Pola. In tale occasione i genovesi presero Rovigno, la depredarono e rapirono il corpo di S. Eufemia. Nel 1381 si venne alla pace di Torino e il corpo della Santa passò dai genovesi ai veneziani che la misero nella chiesa di S. Canziano a Chioggia. Nel 1410, con grande giubilo dei rovignesi, il corpo tornò nella sua arca e nella sua chiesa. L’Anonimo ravennate, è il primo scrittore che faccia menzione di ROVIGNO e la dice: RUVIGNO, RUIGNO, RU-

Selfie di gruppo davanti alla chiesetta di S. Eufemia

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GINIO e REVIGNO. L’Anonimo ravennate benché scrivesse la sua “Cosmografia” nel VII secolo, riproduce le condizioni geografiche quali erano alla fine del V secolo. Pertanto, quasi con sicurezza, si può asserire che Rovigno si venne formando tra il 200-400 d.C. Nel V secolo ebbe fine per l’Istria il perido di floridezza goduto durante i secoli dell’Impero romano. Attraverso la grande strada delle Alpi Giulie per due volte irruppero i Visigoti capitanati da Alarico. Ci furono brevi incursioni o lo stanziamento di altri popoli. Per tali ragioni divenne pericoloso abitare nell’aperta campagna e gli abitanti cercarono rifugio per sé e per le loro cose nei luoghi meglio difesi preferendo quelli situati sulle isole, com’era il caso appunto I resti di una cisterna romana nei pressi di Cisterna a Rovigno della nostra Rovigno. Per questa regione (e per lo sprofondarsi dell’isola di Cissa) la popolazione di Rovigno venne ad aumentare continuamente dal V al VII secolo. Ora, di questo lungo periodo detto Medioevo, daremo solamente alcune date salienti per Rovigno: - nell’875, a causa di nuove incursioni dei pirati Narentani, Vestre viene saccheggiata e distrutta - nella prima metà del X secolo le condizioni economiche di Rovigno dovevano essere migliorate se i rovignesi poterono innalzare verso il 950 una nuova basilica dedicata ai suoi copatroni S. Giorgio e S. Eufemia - nel 1177, secondo la tradizione, il Papa Alessandro III in visita a Venezia per sigillare la pace con Federico Barbarossa, fece una breve sosta nel monastero di S. Maria di Valle e celebrò una messa nella chiesa di S. Damiano in Palù

I resti della chiesetta di S. Eufemia nei pressi di Saline a Rovigno

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- in ottobre del 1188 ci fu un trattato commerciale e di alleanza tra la città di Rovigno e quella dalmata di Ragusa


TORRE DI BORASO (TURNINA) Per lunghi anni fu ricettacolo di serpi e ramarri. L'imponente rovina è posta su uno dei colli della città. Se da Rovigno si va a Villa di Rovigno è visibile alla destra subito dopo la prima rotonda. Oggi è nuovamente animata da ricerche e scavi archeologici. Fu torre di fortificazione, di difesa, precedentemente un castelliere e un castrum medioevale. Si sa che è stata distrutta una prima volta nel 753 sotto l’urto dei Longobardi e poi nel 789 sotto quello dei Franchi. Pietro Coppo la definisce una costruzione unitaria, larga circa 18 metri per 16 metri, alta 27 metri.

Un gruppo di alunni si è arrampicato al secondo piano della Torre per ammirare il panorama di Rovigno

Sono ben conservate le stanze sotterranee con il soffitto a botte che conferma la sua origine tardo antica. Sono visibili i resti del primo e del secondo piano, probabilmente serviva anche da abitazione.

Veduta dei resti della Torre di Boraso

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Il suo nome deriverebbe dal termine medievale TURRIS VORAGINIS, poiché si credeva che la torre fosse sorta su corridoi sotterranei scavati nella roccia via, ma il nome coincide anche con gli ultimi proprietari i feudatari Borisi del XVI secolo. Fino al 1211 fu proprietà dei vescovi di Parenzo, mentre dal 1211 fino al 1332 appartenne alla famiglia Castropola; in seguito entrò nella rete delle fortificazioni veneziane. Nel 1595, assieme al feudo di Fontane, passò in proprietà alla famiglia Borisi.

In primo piano le mura che circondavano la Torre, in lontananza il mare e la campagna rovignese

Mentre Marc è già arrivato in vetta, Mario veglia sul gruppo che assapora ogni singolo angolo della Torre

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Una splendida veduta del soffitto di una sala del pianterreno. Sono in corso lavori di scavo

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S. TOMMASO La chiesa di S. Tommaso si trova a 4 chilometri circa a settentrione di Rovigno, sulla strada per Valalta, la seconda stradina a destra dopo il casello ferroviario. Si tratta di uno splendido edificio di architettura sacra dalle dimensioni monumentali, se messa a confronto con la maggior parte delle chiese rupestri istriane Medioevali. Oggi è priva del tetto, le parti superiori dei muri sono demolite. La chiesa è stata studiata da A. Mohorovičić, B. Marušić, Šolnje e nel 1994 e 1995 sono iniziati nuovi lavori archeologici. La chiesa è stata inclusa nella letteratura scientifica. Si distinguerebbero tre fasi di costruzione, molti la fanno risalire alla seconda metà del VI secolo, periodo bizantino, altri la vogliono una costruzione carolingia della fine dell’VIII o inizi IX secolo. All’esterno ha una forma poligonale con caratteristica pianta a croce all'interno. A. Mohorovičić la fa risalire all’epoca da lui definita paleocristiana-altomedioevale-romanica di transizione (VI sec.) e parla di tre fasi di costruzione. La prima fase sarebbe rappresentata dallo strato più basso della costruzione triapsidale, dove nella parte esterna più bassa dell'abside centrale si intravedono ancora i rudimenti di un Veduta del lato meridionale della chiesetta di S. Tommaso perimetro poligonale. L’abside centrale sarebbe stata rinnovata in epoca romanica e nella parte superiore avrebbe assunto un perimetro esterno semicircolare, mentre nella parte interna un passaggio in arco trionfale.

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Alla seconda fase risalirebbe la costruzione del campanile costruito sulla facciata settentrionale. In una terza fase furono murate le aperture ad arco fra le navate in modo da isolare la navata centrale. Però Marušić non parla di tre fasi di costruzione. Vero è che la chiesa è stata notevolmente accorciata nella sua parte occidentale ed è stata costruita una nuova facciata con un paio di finestre quadrate.

Facciamo il giro della chiesa con i quaderni pronti per prendere appunti

Il campanile è costruito sul muro settentrionale, appoggiato sull’arco ribassato a mensola, mentre dalla parte esterna è sostenuto da due pilastri che si estendono fino a terra. In cima al campanile è evidente una bifora senza la colonna centrale, composta da tre grandi blocchi monolitici, sulla cappa degli elementi verticali si appoggia una lastra monolitica larga quanto il campanile. La cornice degli archi a tutto sesto della bifora è messa in risalto da un semplice profilo a gradino rientrante. Le caratteristiche tipologiche e morfologiche del campanile non si riscontrano in nessun’altra parte dell’Istria.

Qui si può osservare che la parte meridionale della chiesa è stata demolita

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Lo spazio centrale della chiesa si apriva verso il transetto sotto grandi archi a tutto sesto, uguali, per costruzione e forma all’arco trionfale, ma appena un po’ più bassi. Gli archi sono costruiti con coni litici ben squadrati e sistemati radialmente.


Particolari all’interno della chiesa

L’abside centrale è alta 6 metri, è semicircolare, mentre esternamente è poligonale. Il transetto ha altre due absidi laterali, semicircolari, più piccole. Nel lato settentrionale della chiesa troviamo ancora il pavimento originale, ricoperto da lastre di pietra, la base del parapetto dell’altare e le cavità sulle quali poggiavano i pilastri. Se alziamo lo sguardo nello spazio centrale sono ancora visibili i resti degli archi portanti che reggevano la struttura che supera il livello del tetto. Quando si arriva davanti alla chiesetta di S. Tommaso si tira un sospiro di sollievo e si esclama con meraviglia: bella!

Due famosi studiosi: Giacomo e Paolo alla ricerca meticolosa di affreschi!

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BATTISTERO DELLA SS. TRINITÀ

Una bella veduta della chiesetta della Santissima Trinità con il “Laco”

Si trova sul piazzale del Laco vicino alla stazione degli autobus. È una delle costruzioni meglio conservate dell’età di passaggio dal romanico al gotico. Dovrebbe essere una delle prime costruzioni fatta al di fuori delle mura, forse nel IX secolo.È una cappella ettagonale, all’interno lo spazio è circolare ha sette nicchie e il soffitto è a cupola. Ci sono tre finestrelle. La transenna tardoromanica è bene conservata e rappresenta le scene del supplizio del Golgota, sono raffigurati la Madonna, la Maddalena, S. Pietro, S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista.

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L’ALIMENTAZIONE NEL MEDIOEVO Nel Medioevo il popolo mangiava solo quello che produceva o che trovava nel bosco allo stato selvatico. Si consumavano prodotti locali poiché il trasporto presentava numerose difficoltà. Spiegare le pratiche alimentari del mondo contadino è estremamente difficile, perché la cucina dei poveri non è stata descritta e per ricostruirla bisogna neccessariamente ricorrere agli indizi archeologici o alle informazioni raccolte nei censimenti o nei documenti che parlano dei banchetti funebri. Comunque per cucinare usavano il caminetto, che serviva anche per affumicare ed essicare i pesci o la carne. Nelle cucine dominava il fumo, ma fortunatamente le finestre non avevano vetri! Sul caminetto si effettuavano tutti i tipi di cottura. Il forno non era una struttura domestica, serviva all’intera comunità, quindi era a disposizione di tutti ma a pagamento. La società medioevale ereditò non solo la cultura romana ma anche quella delle popolazioni non romane e il risultato fu una mescolanza di tradizioni, di sapori e di abitudini. Per quanto concerne i cibi, si amavano profumi e sapori per noi inusuali, facevano accostamenti particolari di agro e dolce, di dolce e salato, di dolce e piccante. La società medioevale, come la si conosce oggi, si presenta come una società essenzialmente rurale e inselvatichita dagli anni passati dalla popolazione a difendersi e poi a fuggire dagli incursori barbari. Il richiamo alla terra si rifece forte anche se il terreno non era sempre adatto alle coltivazioni necessarie per il sostentamento, specialmente le coltivazioni cerealicole. Il pane Era un alimento fondamentale per tutta la popolazione. I ricchi mangiavano pane bianco di frumento. I poveri per fare il pane mescolavano farine di vari cereali: segale, avena, orzo, miglio, veccia, panico, spelta, sorgo e farro. In tempo di carestia ai cereali si mescolava una farina ottenuta dai legumi secchi, la paglia o la corteccia macinata degli alberi e le ghiande. Affinché i cereali non germogliassero venivano tostati o salati. La popolazione si nutriva prevalentemente di cereali, con i quali oltre a fare il pane facevano pure varie speci di pasta. Le farine di cereali erano l’elemento base per la preparazione di tiballi, pasticci, pizze e torte salate, farcite con for27


maggi, carni, frattaglie ed ortaggi. Il riso era presente ma veniva usato per preparare ricette raffinate, era molto costoso e per questo era messo sullo stesso piano delle spezie. Il riso aveva spesso un uso terapeutico. La varietà di verdura Era più limitata di oggi, si coltivava: insalata (lattuga), borragine, portulaca, issopo, senecione, cavoli, ceci-rossi, fave, prezzemolo, porro, scalogno, cipolle, aglio, rapa, pastinaca, carote, barbabietole, ravanelli, zucca, melanzana e spinaci. I legumi I legumi più diffusi erano: i ceci, le lenticchie, i piselli, la veccia. Nei prati e nei boschi raccoglievano gli asparagi, i tartufi, il crescione, i funghi nonché bacche come le corniole e frutta. La frutta fresca non era apprezzata, anche se avevano il melo, il pero, il castagno, il pesco, il ciliegio, il melograno, il cedro, il limone, l’arancio, il fico, il dattero, il mandorlo, il noce, il nocciolo, il cotogno, il pino, l’ulivo, il lime, la vite, le fragole, il melone ed il cocomero. Facevano confetture di frutta cotte nel miele, che era anche l’unico dolcificante, o nel mosto. Con i legumi, le verdure e piccole quantità di carne e con il grasso di maiale o con l’olio d’oliva preparavano delle minestre-zuppe o degli stufati, piatti caldi che venivano accompagnati dal pane e dal vino. Spesso le zuppe venivano bevute direttamente dalla ciotola. Conoscevano ed usavano molte piante aromatiche: il timo, la maggiorana, il basilico, l’alloro, il finocchio e la salvia. L’aceto e l’uva acerba il cui succo e gli agresti, cioé gli acini, venivano conservati sotto sale ed erano ingredienti aromatici fondamentali. Mangiavano pesce fresco, salato o essicato. Il pesce, come le carni conservate, venivano mangiati bolliti per ammorbidire il sapore del sale. Non si mangiava molta carne, gli animali venivano macellati dopo che avevano esaurito la capacità di produrre lana e latte. L’allevamento aveva un ruolo molto importante nella società medioevale come lo confermano alcune fonti legislative barbariche, le quali riconoscevano ad alcune

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categorie di lavoratori, tra i quali i pastori, un ruolo socialmente rilevante. Si allevavano: suini, bovini, cavalli, asini ed ovini. L’allevamento dei suini, che pascolavano allo stato brado, era molto importante, tanto che la dimensione dei boschi era misurata in porci. Il latte andava consumato presto perché era un prodotto deperibile. Producevano anche il burro che si vendeva salato, il formaggio era considerato un’alternativa alla carne e si proibiva di mangiarlo il venerdì perché considerato un alimento grasso. Con la farina d’orzo facevano delle focacce azzime, che potevano essere impastate anche con le farine di legumi secchi e castagne. Le uova venivano conservate sode. La produzione del vino diminuì dopo la caduta dell’Impero romano e divenne quasi un’attività riservata ai monasteri poiché era indispensabile per la celebrazione eucaristica. Si iniziò a produrre l’acquavite o elisir poiché si stavano perfezionando le tecniche di distillazione. Si beveva anche il vino aromatizzato alla canella e la birra, che per diffusione occupava il primo posto ed era prodotta dalle suore nei monasteri. Usavano accanto al miglio e l’orzo un nuovo ingrediente, il luppolo. Questa bevanda veniva usata per rifocillare i malati e i pellegrini. Ben presto il vino e la birra sostituirono l’acqua nelle diete della popolazione poiché l’acqua degli acquedotti romani si stava deteriorando a causa della manutenzione inesistente dei sistemi di approvigionamento idrico. Nelle città poste in collina si raccoglieva l’acqua piovana in cisterne e pozzi. Le superfici di raccolta comprendevano i tetti, il cammino di ronda delle mura. Così il pozzo e la cisterna rappresentano due delle componenti essenziali nel sistema di raccolta delle acque potabili.

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CONCLUSIONE Sia nell’alto che nel basso Medioevo la nostra città era popolata. Tanto c’è ancora da scoprire e per fortuna gli scavi che si fanno per migliorare la vita attuale portano alla luce resti e testimonianze importanti del passato. Che il nostro lavoro e la passione con la quale abbiamo affrontato il viaggio nel tempo sia un memento agli uomini d’oggi: che l’interesse e il benessere di pochi non si rivoltino contro gli interessi della storia.

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BIBLIOGRAFIA B. BENUSSI (2004) Nel Medioevo: pagine di storia istriana, Rovigno: CRS. Collana degli Atti n. 23. M. BUDICIN, La topografia della piazza della riva di Rovigno desunta dalle raffigurazioni iconografiche della metà del secolo XVIII,Rovigno: CRS. Collana degli Atti n. 42. FOSCAN L. (2003) Porte e mura delle città, terre e castella della Carsia e dell'Istria, Rovigno: CRS. Collana degli Atti n. 22 NOVAK, A. (2007) L’ Istria nella prima età bizantina, Rovigno: CRS. Collana degli Atti n. 27. PAULETICH, A. (2006) Effemeridi Ristrette di Rovigno, Trieste: Famia Ruvignisa. (2004) Storia documentata di Rovigno di B. Benussi; saggi di dialetto rovignese di A. Ive, Trieste: Famia Ruvignisa.



La nostra scuola è inclusa nel progetto di Istituzionalizzazione dell'insegnamento della storia del territorio nella Regione Istriana.


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