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XVII N05 Settembre - Ottobre 2021
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Bisogna attivarsi!
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MACCHÉ BREXIT,TUTTA COLPA DEL COVID IL COMODO ALIBI DEL GOVERNO JOHNSON
FAIR PLAY? NEMMENO I FLEMMATICI INGLESI SANNO PERDERE
In teoria i sudditi di Sua Maestà hanno inventato la difficile arte del “fair play”, in pratica però alla finale del campionato europeo di calcio nello stadio di Wembley hanno dimostrato di non saperla sempre praticare. Che il “fair play” non fosse di casa lo scorso 11 luglio quando Italia e Inghilterra hanno disputato la finale nello stadio londinese lo si è capito fin dall’inizio quando i tifosi locali hanno fischiato di brutto l’inno di Mameli. La totale mancanza di “fair play” si è palesata alla fine del match, vinto dagli azzurri per 4 a 3 ai rigori grazie a
migliori tiri in porta e migliori parate: al momento della premiazione, con una scorrettezza esecrabile, i giocatori inglesi si sono subito tolti dal collo la medaglia di vicecampioni. Come dire che non accettavano la vittoria degli azzurri, come dire che loro dovevano vincere per qualche diritto divino, a prescindere. Gran parte del pubblico inglese presente a Wembley si è d’altronde avviato alle uscite senza nemmeno aspettare la premiazione, anche qui con totale mancanza di rispetto per i vincitori. L’erede al trono William, presente
La Madonna ritorna in processione a Clerckenwell Dopo la battuta d’arresto nel 2020
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all’incontro assieme alla moglie Kate e al primogenitor George, si è ben guardato dal partecipare alla cerimonia di premiazione e se ne è andato via alla chetichella. Avrebbe fatto lo stesso se avesse trionfato l’Inghilterra? Nella nota italiana di Wembley nemmeno la polizia britannica è stata all’altezza quando si è trattato di impedire a centinata di scalmanati di irrompere nello stadio anche se senza biglietti. Davanti agli accadimenti di Wimbledon lo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni, autore di apprezzati best-sellers anche fuori dai patrii confine, non è riuscito a contenere il suo sdegno: "Principe, principessa e principino – ha tuonato in un tweet – che scappano per non premiare i vincitori. Giocatori che si tolgono sprezzanti le medaglie dal collo prima ancora di scendere dal palco. Centinaia di vigliacchi che aspettano i tifosi italiani all’uscita per aggredirli, col favore degli addetti alla sicurezza". A giudizio dello scrittore partenopeo gli inglesi non hanno perso sul campo ma per come si sono comportati. Un tifoso inglese si è addirittura premurato di inviare all’ambasciata d’Italia a Londra una lettera piena di insulti e recriminazioni sostenendo che la partita era truccata e gli azzurri – incapaci di fare “un gioco corretto” hanno vinto “con la violenza, l’inganno e l’intimidazione”. Quanta birra avesse in corpo questo tifoso quando ha
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Marco Varvello (Corrispondente RAI) Alla fine la “B word” è stata davvero bandita dal linguaggio politico e pubblico. Di Brexit non si parla più, come voleva il Premier Johnson già dal settembre dell’anno scorso, quando affidò ad una nota interna per i Ministri la disposizione di non usare più questo termine. Al massimo di Brexit si può parlare come un obiettivo ormai raggiunto, appartenente alla storia. Non alla nostra quotidianità di cittadini residenti in questo Paese. Se non fosse per l’irrisolvibile questione nordirlandese e alla petulanza dei politici locali dell’Ulster, la B word non si sentirebbe più echeggiare in alcuna aula parlamentare o “Talk show” televisivo. Ovviamente la scomparsa di un vero dibattito sulla Brexit non è solo frutto del diktat di governo. Inevitabile che nell’ultimo anno la B-word sia stata sostituita dalla C-word. Il Covid domina l’attenzione e la preoccupazione di tutti. Lo stato d’emergenza a cui la pandemia ha costretto anche il Regno Unito sta ancora oscurando ogni effetto dell’uscita dall’Unione europea. Soprattutto in campo economico il Covid è la perfetta copertura per il calo della produzione e dell’interscambio commerciale. Nessuno potrà mai dire davvero dove finisce l’effetto Covid e dove comincia quello Brexit. Per questo Johnson ha buon gioco a far credere che l’uscita dall’Unione europea sia ormai una operazione conclusa. Magari a strappi, tra l’uscita formale,
bandiera ammainata a Bruxelles il 31 gennaio 2020, e l’entrata in vigore delle nuove procedure commerciali il primo gennaio 2021. Ma ormai appunto, fatta e finita. Invece è appena cominciata, come sappiamo bene noi Italiani d’Inghilterra, assieme agli altri Europei residenti. Chissà poi quanti siamo davvero. L’Home Office non conferma alcuna cifra ufficiale, anche se “off the records” si viene a sapere che le domande di Settled status ricevute entro il 30 giugno sono state oltre 6 milioni. Se si considerano i tanti che hanno la doppia cittadinanza si capisce come le stime di 3 milioni e mezzo di Europei stabilmente nel Regno Unito vadano almeno raddoppiate. Su questo fronte l’Home Office ha fatto capire, sempre informalmente, che continuano ad esaminare e “processare” anche le domande arrivate dopo la scadenza ufficiale. Per ora non si registrano provvedimenti verso chi non si è messo in regola. Le lettere di “Deportation” ricevute da alcuni Europei e finite anche sui giornali non hanno toccato la comunità italiana. Ma anche questo rimane un fronte aperto. Sicuramente molti mancano all’appello, soprattutto nelle generazioni di immigrati più anziani. Si rischiano sgradevoli interventi nei prossimi mesi verso chi non ha ottenuto il Settled status, che sarebbe stato giusto concedere automaticamente in base agli anni di residenza. Ma come sappiamo “Brexit means Brexit” diceva già Theresa My e con Johnson è passata alla fine la linea più dura. Già cominciati ad esempio i “respingimenti” di chi viene a cercare lavoro senza avere la nuova documentazione richiesta. Da gennaio il Consolato generale italiano di Londra è intervenuto per meno di una ventina di casi, fornendo assistenza ma non potendo certo evitare che i nostri incauti connazionali fossero rimandati indietro.
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Sei stanco di Londra e dunque della vita? Per Caterina Soffici non è detto
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