Verona In 15/2007

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Primo piano

Chi vive nel campo nomadi di Boscomantico si trova inserito in un contesto legalizzato e controllato, con 42 bambini che frequentano la scuola nell’ambito di un valido processo di integrazione. Chiudere la struttura potrebbe avere due conseguenze: rivedere gli stessi bambini ai semafori e il ricorso ad atti delinquenziali per sbarcare il lunario

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marginazione e del disagio, non più identificabili in un preciso ceto sociale. Non si chiede di mutare un patrimonio di valori che si è consolidato nella lotta allo sfruttamento delle classi meno abbienti, ma di utilizzare tali valori per dare risposte a chi le cerca e non a chi ormai da tempo ha girato le spalle e vota Lega o Forza Italia. IL CAMPO NOMADI

Il campo nomadi di Boscomantico nasce grazie a una delibera dell’Amministrazione Zanotto che, dopo aver offerto ai Rom un luogo dove risiedere, ha affidato all’Opera Don Calabria il compito di seguire le problematiche connesse, in particolare l’integrazione dei bambini, anche attraverso la loro scolarizzazione. Il sindaco Tosi, come aveva promesso in campagna elettorale, farà chiudere il campo di Boscomantico e i Rom, che dipendono dal Comune per luce, acqua, gas, operatori ecc., dovranno andarsene, anche perché non esiste un contratto di affitto che li tuteli. Chi non si adegua alle regole, ad esempio commettendo reati, è bene che sia allontanato, perché viene meno il patto di fiducia che sta alla base del progetto e ne compromette l’esito. Ma non è giusto che a pagare le conseguenze degli errori di alcuni siano anche coloro che tengono un comportamento corretto: colpire tutti indiscriminatamente assomiglia troppo a un atto di intolleranza e razzismo. Da quanto ci risulta alcuni Rom già lavorano, altri sono alla ricerca di un’occupazione. E soprattutto ci sono 42 bambini che frequentano la scuola in modo più o meno assiduo. In conclusione ci pare di poter dire che la chiusura incondizionata del campo, senza la tutela e l’incentivazione dei risultati raggiunti, sarebbe una sciocchezza politica, perché il rischio è quello di trovar-

si punto e a capo: tolto il contesto di una situazione legalizzata e controllata è facile prevedere che ci ritroveremo con i bambini ai semafori e il ricorso ad atti delinquenziali per sbarcare il lunario. CAMBIA IL VESCOVO

Ogni volta che a Verona cambia il vescovo si dice che ad attenderlo c’è un compito non facile per il fatto che il clero di questa diocesi è diviso, poco incline alla collaborazione, litigioso. Sono convinto che S.E. mons. Flavio Roberto Carraro, da mite francescano, abbia particolarmente sofferto questa situazione, a tal punto da esternare più volte un palese disagio. Durante questi anni di intenso lavoro pastorale, che la gente ha ricambiato con affetto, gli appelli all’unità e alla collaborazione rivolti al clero non sono certo mancati, ma sono sempre caduti nel vuoto. In questi casi bisognerebbe sostituire le persone poco inclini al gioco di squadra con altre più adatte, perché il vescovo deve poter governare la sua diocesi e lo può fare solo ricorrendo a collaboratori capaci con cui stringere un profondo e sincero rapporto di fiducia. Questo per presentare una Chiesa unita, ma anche per costruire un rapporto stabile con enti ed istituzioni, che pure è importante nell’ambito di una missione evangelizzatrice e per la stessa tradizione culturale di una città come Verona. Infine c’è da dire che chi governa ha bisogno di consiglieri fidati, ma non sempre sono quelli che già si trovano disponibili al momento del nuovo insediamento. A volte bisogna avere il coraggio di voltare pagina, di cercare nelle periferie o dietro l’angolo dove non mancano preti onesti e intelligenti che da anni svolgono con impegno e competenza il loro servizio alla Chiesa e alla comunità. g.m.

Giugno 2007


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