Balla. La modernità futurista

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Giovanni Lista

Divisionismo e visione fotografica

Giacomo Balla, la modernità futurista

Q

Elica Balla, Con Balla, vol. I, Multhipla Edizioni, Milano 1984, p. 21. La leggenda è stata creata in varie occasioni, attraverso diversi scritti di tipo commemorativo. 2 Per queste ricerche devo ringraziare soprattutto la dottoressa Luciana Spina che, con dovizia ed entusiasmo, ha voluto assecondarmi fino in fondo in questa mia esigenza di esattezza per quanto riguarda le origini familiari dell’artista. 1

uesta mostra si inserisce in un momento di particolare interesse per il futurismo, ma vuole soprattutto promuovere un riesame dell’opera di Giacomo Balla, l’altro grande protagonista, insieme a Boccioni, dell’avanguardia storica italiana. Nasce quindi con l’esigenza di un approfondimento che doveva investire anche la biografia dell’artista. Attraverso gli anni, man mano che si sviluppava l’interesse per Balla da parte dei musei e degli storici d’arte, si creò, supportata anche dalle figlie dell’artista, una piccola leggenda. Secondo questa tradizione, il padre di Balla sarebbe stato un chimico industriale appassionato di fotografia e di musica, e Balla stesso, nato “in Piazza Vittorio vicino all’arditissima Mole Antonelliana”1, si sarebbe formato come autodidatta dopo aver frequentato solo per due o per sette mesi l’Accademia di Belle Arti di Torino. Informazioni biografiche inesatte, in realtà destinate a costruire un’immagine familiare da riferirsi alla piccola borghesia rispettabile dell’Italia post-unitaria, e ad alimentare la mitologia dell’artista d’avanguardia refrattario al mondo istituzionale degli studi accademici. Un’indagine scrupolosa condotta sulla documentazione d’archivio ancora esistente2, conferma invece una tutt’altra estrazione sociale e un vero e proprio cursus di studi accademici. In base alle statistiche dei censimenti anagrafici, l’origine patronimica dei Balla non può essere situata con certezza. Il nome è presente in molti paesi del Piemonte, in particolare nel comune di Santo Stefano Roero, in provincia di Cuneo. Gli antenati di Giacomo Balla risiedevano, almeno fin dalla metà del Settecento, a Chieri, città di fondazione romana a est di Torino, sul margine meridionale delle colline del Po. Nell’Ottocento, Chieri era città ricca di un’industria tessile quasi totalmente a base artigianale, ma con dure condizioni di lavoro e una

diffusa povertà. I Balla vi lavoravano come “decoratori” o come “tintori” di tessuti. Francesco Balla, il nonno dell’artista, era tintore, esercitando un mestiere che era già quello di suo padre. Si dice che avesse, con la moglie Anna Elia, “una farmacia” nel centro di Chieri. In realtà era speziale e lavorava il “giaud”, cioè la pianticella Isatis tinctoria dalle cui foglie si ottenevano le tinte per il fustagno. Ebbe sette figli, tra cui Giovanni, nato nel 1840, il padre dell’artista, che sposò Lucia Gianotti, lavorante nei laboratori di sartoria che affiancavano l’industria tessile. Elica e Luce Balla hanno anche scritto che il piccolo Balla fu incoraggiato nella sua vocazione artistica da una zia, sorella del padre, che “abitava a Cirié” e alla quale rendeva spesso visita. Non esistono dei Balla iscritti all’anagrafe di Cirié. Deve trattarsi invece di una delle tre sorelle del padre Giovanni, cioè Giorgia, Marianna e Giuseppa Giorgia Rosalia, che rimasero a vivere a Chieri. Il mestiere di decoratore o tintore di tessuti, esercitato per tradizione familiare dai Balla, avrebbe quindi prodotto un immaginario della creazione artistica che sarebbe arrivato fino al piccolo Giacomo. La povertà poteva tradursi nella migrazione dei giovani verso Torino. I numerosi Balla che vennero a lavorare a Torino, quando la città divenne capitale del nuovo regno d’Italia, esercitavano mestieri umili, come macellai e commercianti. I genitori di Balla sono andati ad abitare all’estrema periferia, cioè al di là del Po e sotto la collina, nel poverissimo Borgo Rubatto, sede delle frange sociali più indigenti. Le cronache del tempo parlano di lavandaie, barcaioli e artigiani i cui figli, abbandonati a se stessi durante la giornata, girovagavano sulle rive del fiume. Il nome stesso del borgo deriva dal popolare “rubat”, termine con cui veniva chiamato il rullo di legno utilizzato nelle attività artigianali della tessitura. La madre di Balla diventa lavorante in casa per le sartorie, mentre il padre fa il cameriere, come si apprende dall’atto di nascita: “L’anno mil1


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