Dune e spiaggie sabbiose

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Dune e spiagge sabbiose Q U A D E R N I H A B I TAT Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio Museo Friulano di Storia Naturale

Alcune piccole baie sabbiose delle isole sono l’ultimo luogo ove la tartaruga marina (Caretta caretta) depone in primavera le sue uova: da soli questi tesori della natura giustificherebbero la tutela di queste aree, fortemente minacciate dall’intenso sfruttamento turistico.

Dune e spiagge sabbiose

Una rapporto complesso nel quale gioca un ruolo fondamentale lo sviluppo della vegetazione pioniera sulle dune che può permetterne il consolidamento. Molti sono i vegetali endemici di questi difficili ambienti, condizionati da forti sbalzi termici, elevata aridità e presenza di salsedine. Proprio per la loro peculiarità alcuni vegetali, come la splendida Matthiola sinuata, sono protetti dalla legislazione europea.

H A B I TAT

Le spiagge sono il frutto del continuo modellamento operato dal mare e dal vento, sistemi dinamici in continuo mutamento, alimentati dalle grandi quantità di sedimento che i fiumi portano al mare in equilibrio con ciò che il mare asporta dai lidi.

QUADERNI

Lunghe distese sabbiose o piccoli lidi incastonati fra baie rocciose: dei 7000 km di costa che bordano la nostra pensiola, profondamente incuneata nel Mar Mediterraneo, oltre 3000 sono costituiti da queste fasce di confine fra terra e mare.

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Q U A D E R N I H A B I TAT

Dune e spiagge sabbiose

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Quaderni habitat Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio Museo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine

Q U A D E R N I H A B I TAT

coordinatori scientifici Alessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch comitato di redazione Aldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

"Dune e spiagge sabbiose · Ambienti fra terra e mare" a cura di Sandro Ruffo

testi di Paolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti · Margherita Solari con la collaborazione di Alessio De Biase · Luca Lapini · Lorenzo Chelazzi e Isabella Colombini (Tipologie di habitat) illustrazioni di Roberto Zanella tranne 71, 79 (Nicolò Falchi) e 108 (Franco Mason) progetto grafico di Furio Colman foto di Archivio Museo Friulano di Storia Naturale (Ettore Tomasi) 53/1 · Paolo Audisio 6, 15, 22, 33, 34, 36, 37, 41, 44/1, 44/2, 45, 46, 47, 48/1, 48/2, 48/3, 55, 56/2, 62, 64, 65, 67, 68, 73, 77, 81/2, 85/2, 87/1, 87/2, 89/1, 89/2, 91, 98/1, 98/2, 100/1, 101/1, 103, 104, 112, 120, 130, 131, 133, 135, 137, 139, 141, 143, 145, 148/1, 148/2 · Enrico Benussi 114/2 · Roberto Bigai 56/1, 146 · Maurizio Biondi 148/3 · Giuseppe Carpaneto 53/2, 92 · Achille Casale 113, 125 · Compagnia Generale Ripreseaeree 10, 20 · Ulderica Da Pozzo 118 · Dario Ersetti 38 · Gabriele Fiumi 100/2 · Paolo Fontana 86, 101/2, 102, 109 · Istituto Geografico Militare 19 · Luca Lapini 117 · Paolo Maltzeff 82, 85/1, 94, 97, 99/1, 107 · Ugo Mellone 9 · Michele Mendi 116 · Giuseppe Muscio 17, 52, 151 · Roberto Parodi 56/3, 115/1, 115/2 · Sandro Pignatti 42, 122/1, 122/2 · Paola Sergo 60 · Margherita Solari 31, 40, 51 · Antonio Todaro 74, 75 · Elido Turco 129 · Augusto Vigna Taglianti 80, 81/1, 96, 99/2, 114/1, 148/4 · Roberto Zucchini 110

Dune e spiagge sabbiose Ambienti fra terra e mare

©2002 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie. Tutti i diritti sono riservati. ISBN 88 88192 06 9

In copertina: piste di coniglio selvatico (foto Paolo Audisio)

M I N I S T E R O D E L L’ A M B I E N T E E D E L L A T U T E L A D E L T E R R I T O R I O M U S E O F R I U L A N O D I S T O R I A N AT U R A L E · C O M U N E D I U D I N E


Quaderni habitat

Indice Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Paolo Audisio

Aspetti geologici e geomorfologici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Paolo Audisio · Giuseppe Muscio 1 Grotte e fenomeno carsico

2 Risorgive e fontanili

3 Le foreste della Pianura Padana

4 Dune e spiagge sabbiose

5 Torrenti montani

Paleogeografia e biogeografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Paolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti

La vegetazione delle spiagge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Sandro Pignatti

Litorali sabbiosi e organismi animali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Paolo Audisio 6 La macchia mediterranea

7 Coste marine rocciose

8 Laghi costieri e stagni salmastri

9 Le torbiere montane

10 Ambienti nivali

Problemi di conservazione e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 Paolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti

Proposte didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 Margherita Solari

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

11 Pozze, stagni e paludi

12 I prati aridi

13 Ghiaioni e rupi di montagna

14 Laghetti d’alta quota

15 Le faggete appenniniche

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154

Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

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Introduzione PAOLO AUDISIO

Le spiagge e le dune sabbiose costiere e subcostiere e gli ambienti umidi limoso-sabbiosi retrodunali e litoranei ad esse spesso associati rappresentano, su scala mondiale, ecosistemi tra i più vulnerabili e più seriamente minacciati. Nel Mediterraneo e in Italia, fino a pochi decenni or sono, questi peculiari ambienti erano sfuggiti in larga misura alla diretta distruzione e a forti perturbazioni, poiché le attività di colonizzazione umana delle aree costiere erano rimaste storicamente concentrate per molti secoli quasi esclusivamente presso le foci di pochi grandi fiumi o entro baie protette. Sfortunatamente, nei tempi più recenti questi ecosistemi sono invece stati esposti a molteplici e spesso combinati fattori di disturbo e di pressione antropica, quali l’inquinamento delle acque costiere, la crescente urbanizzazione, gli incendi e, infine, lo sfruttamento turistico, agricolo, industriale (industrie termoelettriche), commerciale (attività portuali) ed estrattivo (cave di sabbia). Un altro potenziale fattore di pericolo potrebbe essere rappresentato, almeno in una prospettiva di tempi medio-lunghi, dal paventato innalzamento del livello dei mari (legato al documentato innalzamento della temperatura media annuale); questo fenomeno potrebbe ulteriormente minacciare, sul versante marino, questi ambienti già di per sé fragili e di limitata estensione, malgrado la struttura piuttosto dinamica e la marcata naturale resilienza (capacità di recupero) delle comunità biotiche che li caratterizzano. Anche i marcati fenomeni erosivi delle coste possono localmente avere un ruolo significativo nella riduzione spaziale di questi habitat, sebbene l’alternanza di fenomeni erosivi e deposizionali faccia parte, a lungo termine, delle naturali dinamiche evolutive dei sistemi spiaggia-duna. Tutte queste circostanze, combinate con la crescente e sempre più diffusa domanda di sfruttamento delle aree costiere da parte dell’Uomo, hanno comunque provocato una sempre più generalizzata frammentazione di questi habitat, creando un’urgente necessità di appropriate strategie di intervento e di monitoraggio. L’acquisizione di migliori conoscenze di base sulle comunità vegetali e animali degli ambienti delle spiagge e delle dune costiere sabbiose e sulle dinamiche idrogeologiche e geomorfologiche, che ne governano la formazione e l’evoluzione, risponde dunque ad un’esigenza primaria nell’ambito delle strategie di conservazione ambientale a livello sia nazionale, sia comunitario; anche la diffusione di tali conoscenze e la sensibilizzazione dell’opinione

Le foci del fiume Irminio (Sicilia): uno dei tratti di costa sabbiosa di migliore qualità ambientale

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pubblica sull’urgenza di salvaguardare questi ecosistemi devono essere considerate priorità assolute. Va subito annotato che, per le peculiari condizioni ambientali e microclimatiche e la limitata estensione, gli ecosistemi delle spiagge e delle dune sabbiose costiere sono in assoluto caratterizzati, ove confrontati con altri habitat terrestri, da comunità animali e vegetali semplificate, con relativamente basso numero di specie. Malgrado ciò questi ambienti, proprio per l’influenza degli stessi parametri abiotici fortemente limitanti e associati a condizioni generali di grande stress ambientale, hanno frequentemente selezionato elementi vegetali ed animali peculiari e specializzati, fortemente adattati e spesso presenti esclusivamente in questi habitat ormai residuali. Queste circostanze hanno così prodotto, sia nelle comunità vegetali che in quelle animali (soprattutto ad artropodi), percentuali insolitamente alte di elementi psammoalobi e psammobi specializzati (cioè associati esclusivamente ad ambienti sabbiosi litoranei salsi o sabbiosi in generale) negli attuali ambienti dunali, retrodunali e di spiaggia, rispetto al totale di specie che ne costituiscono in modo più o meno stabile le comunità biotiche. Di rilievo, nell’analisi delle comunità animali e vegetali degli ecosistemi dunali e retrodunali, è anche la frequente sovrapposizione di componenti floristiche e faunistiche di tipo xero-termofilo, psammofilo, o igrofilo, originatesi non solo in ambienti strettamente litorali o perilitorali (macchie e garighe mediterranee o submediterranee), ma anche in praterie steppiche, brughiere, in ambienti interni sabbiosi salsi perifluviali o perilacustri, o di accumulo eolico. Parallelamente, le spiagge e gli ambienti dunali e retrodunali hanno poi costituito e costituiscono frequentemente, soprattutto in Italia centro-meridionale e nelle isole, un vero e proprio “effetto siepe” per molti organismi terrestri (soprattutto litoranei, ma non solo) trasportati passivamente o semi-passivamente su ampi bracci di mare dalle correnti marine, dai venti o da alluvioni, specialmente durante tempeste e fenomeni metereologici eccezionali. Il valore naturalistico di questi popolamenti litoranei, al di là della ricchezza assoluta di specie, che è relativamente bassa, è quindi dato proprio dalla coesistenza di molteplici elementi di origine biogeografica differente, accomunati però da elevati livelli di specializzazione trofica, di esclusività e di fedeltà all’habitat, e quindi da comuni caratteristiche di buoni “indicatori” della complessiva qualità biologica degli ecosistemi in cui siano ancora presenti. In questo volume verranno quindi analizzate le caratteristiche principali degli ecosistemi dunali sabbiosi e retrodunali del nostro Paese sotto il profilo geomorfologico, floristico, vegetazionale e faunistico, compatibilmente con l’enorme variazione riscontrabile nella loro tipologia. Variazione ovviamente associata alla grande estensione latitudinale e quindi bioclimatica lungo la Penisola e nelle Isole, e all’influenza di molteplici e del tutto differenti fattori storici biogeografici nella composizione dei popolamenti animali e vegetali locali.

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Il passaggio fra la costa sabbiosa e la macchia mediterranea

Per una necessaria scelta editoriale, in questo volumetto non verranno trattati direttamente tutti quegli innumerevoli ed eterogenei organismi, strettamente marini, che occasionalmente o regolarmente lasciano tracce di sé negli habitat litoranei sabbiosi, sotto forma di resti spiaggiati o ammassi di materiale organico, se non nei casi in cui tali resti siano tipicamente utilizzati dagli animali sabulicoli litoranei come alimento o riparo. Analogamente, saranno esclusi tutti quegli organismi tipici dell’entroterra, che solo occasionalmente si rinvengono in spiagge o dune sabbiose, e la maggior parte di quegli organismi igrofili eurizonali (cioè legati ad ambienti umidi di piani vegetazionali differenti) non associati esclusivamente ad ambienti sabbiosi umidi perilitoranei (salicornieti, giuncheti, fragmiteti costieri, ecc.). Ovviamente non si tratterà nemmeno dell’enorme numero di uccelli che sono presenti o trovano rifugio, soprattutto in inverno, sulle spiagge e alle foci dei fiumi, negli stagni e nelle lagune costiere salmastre interdunali, né delle intere comunità acquatiche che caratterizzano questi ambienti. Anche il complesso mesopsammon di sabbie e ghiaie sotto la superficie delle spiagge (ovvero l’insieme dei microscopici e spesso curiosi e specializzati organismi animali che vivono abbondanti negli interstrizi tra i granelli di sabbia), essendo associato ad ambienti esclusivamente acquatici, benché di interfaccia terrestre/marino, non verrà dettagliatamente trattato in questo volume; gli interessati a questo particolarissimo e molto interessante “mondo in miniatura” troveranno comunque qualche informazione nella relativa scheda (pagg. 74 e 75). Si tenterà invece di evidenziare gli elementi più rappresentativi e peculiari tra gli animali e i vegetali che in Italia compiono la totalità o la maggior parte del loro ciclo vitale in questi habitat prevalentemente terrestri, e che ne caratterizzano i popolamenti naturali, insieme ai problemi di conservazione e di gestione che li coinvolgono a livello di ecosistema, di comunità, o di singole specie.


Aspetti geologici e geomorfologici PAOLO AUDISIO · GIUSEPPE MUSCIO

La spiaggia è una stretta fascia fra terra e mare costituita prevalentemente da depositi sabbiosi. Si tratta di una zona ad elevato dinamismo nella quale la situazione di equilibrio che viene raggiunta deve tenere conto dei numerosi fattori che intervengono, suddivisibili in due gruppi: passivi (topografia dell’area, materiali presenti) e attivi (venti, moto ondoso, correnti marine, maree, apporti fluviali, attività degli organismi, ivi compreso l’uomo!). Le spiagge sabbiose sono costituite da sedimenti clastici incoerenti di origine sia alluvionale che marina, aventi granulometria fine ma non finissima (le sabbie sono convenzionalmente costituite da frammenti di diametro medio inferiore a 2 mm; quando i granuli hanno diametro di molto inferiore, compreso tra 0,06 e 0,004 mm, si parla di silt (= limo); se è ancora inferiore si parla di argille; se invece è superiore ai 2 mm, si parla di ghiaie). Il termine “spiaggia” deriva da “piaggia”, a sua volta derivato dal latino “plaga”, che significa “estensione piatta” e dal greco “plagio”, che significa “laterale”, e dal relativo verbo “piaggiare” (navigare lungo la costa), unito al prefisso “s” con funzione durativa. Con il termine di “duna” marina si definisce invece il settore litoraneo o sublitoraneo normalmente stretto e allungato parallelamente alla linea di costa, caratterizzato da rilievi perlopiù di modesta entità (elevazione sul mare tra circa mezzo metro e una dozzina di metri in Italia, salvo qualche eccezione in Sardegna), formati dall’accumulo di sedimenti incoerenti per azione eolica. Le dune sabbiose sono quelle costituite da sabbie più o meno incoerenti, in funzione sia della loro diversa antichità, sia della vegetazione presente, in grado di compattarne almeno una certa percentuale degli strati più superficiali ed esposti. Il termine “duna” deriva dall’olandese medio “dune” che significa semplicemente “piccolo rilievo, collina, altura”. La maggior parte dei sistemi spiaggia-duna più estesi, stabili e complessi (e quindi più significativi sotto il profilo biocenotico) si formano in coincidenza di tratti di costa bassa caratterizzati verso l’interno dalla contiguità con più o meno ampie pianure, e verso il lato marino dalla presenza di fondali poco profondi. ■ Struttura di una spiaggia Tecnicamente, quindi, una spiaggia è la zona del litorale costituita da materiale sciolto sottoposta ad un movimento indotto dal moto ondoso ed è, perlopiù, il

Dispersione dei sedimenti alla foce del fiume Tagliamento (Friuli Venezia Giulia)

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Descrizione geomorfologica di un sistema spiaggia - duna

13 cresta della berma di tempesta

cresta della berma ordinaria

battigia

solco di battigia

duna piede della duna

duna

berma di tempesta

berma ordinaria barra

stagno interdunare spiaggia emersa

risultato di una fase costruttiva, sebbene localmente si possano alternare periodi o tratti sottoposti anche a fenomeni erosivi. L’estensione di una spiaggia è assai variabile: se è collegata ad una costa rocciosa essa può limitarsi ad una stretta striscia di sedimenti sciolti lungo la quale la roccia affiorante non ha un contatto diretto con il mare, per ampliarsi poi nelle piccole baie. In un sistema di delta o estuario la spiaggia può svilupparsi, soprattutto in lunghezza, sino ad ostruire parte del sistema stesso, ma è al bordo delle estese pianure che le spiagge possono svilupparsi maggiormente con la formazione di vasti sistemi dunali. Convenzionalmente, la spiaggia si considera estesa, verso l’interno, fino al limite raggiunto dalle onde di tempesta, mentre verso il mare la si considera estesa fino ad una profondità media pari a circa la metà della media della lunghezza d’onda durante le fasi di mareggiata. Si ritiene infatti che lo spostamento delle particelle di sabbia provocato oltre tale profondità dal moto ondoso sia sostanzialmente trascurabile. Nell’ambito di questo tratto di litorale relativamente ampio, sempre a partire dal lato terrestre verso quello marino, si possono convenzionalmente distinguere tre settori, rispettivamente quello della spiaggia emersa (spesso chiamata anche arenile), della spiaggia intertidale e della spiaggia sommersa. La spiaggia emersa è l’area, normalmente appunto emersa, compresa tra il limite raggiunto dalle onde di tempesta e la così detta berma ordinaria, ovvero il gradino più o meno distinto, modellato dai flutti ordinari (in parte per erosione e in parte per accumulo) al limite interno della linea di battigia, dove per battigia si deve intendere quel tratto della spiaggia più o meno inclinato verso il mare su cui avviene il moto alternato dei flutti montanti e della risacca (il ritorno verso il

barra

spiaggia sommersa

mare dell’acqua di volta in volta spinta verso terra dalle onde sotto forma di flutti montanti); naturalmente si potrà determinare una battigia di alta marea e una di bassa marea, con un’escursione verticale tra le due linee di battigia (cioè le linee ideali che congiungono tra loro i punti della spiaggia di volta in volta bagnati dai flutti montanti) che nei mari italiani si aggira di norma intorno ad una trentina di centimetri, salvo alcune eccezioni. All’interno della spiaggia emersa può essere distinguibile un ulteriore gradino, la berma di tempesta, che indica il limite massimo raggiunto dai flutti montanti nell’ultima occasione di mare ingrossato che abbia rimodellato la spiaggia in questione, preceduto di norma da un breve pendio in brusca discesa, detto scarpa. La spiaggia intertidale è quella parte della spiaggia compresa tra il livello medio raggiunto dalle alte maree e il livello medio delle basse maree. Verso terra il suo primo sottosettore coincide con la già citata battigia di alta marea. Di norma la fine del tratto che verso il basso delimita il trasporto di sabbia da parte della risacca in alta marea coincide con un ulteriore gradino, che appunto delimita sul versante marino la stessa area di battigia. Al di là di tale gradino è presente di regola un così detto terrazzo di bassa marea, talora interessato dalla presenza di barre o scanni (modesti rilievi longitudinali, paralleli o subparalleli alla riva), che si formano nella spiaggia temporaneamente sommersa in parte per effetto delle onde, in parte per l’azione di eventuali correnti locali. I limiti superiore e inferiore della battigia sono ovviamente variabili, in funzione dell’altezza delle onde e in relazione al momentaneo livello delle maree. La spiaggia sommersa o sottomarina è infine il tratto a mare più esterno del sistema spiaggia, quello compreso tra il livello medio delle basse maree e la


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già indicata profondità media, attestata intorno alla metà della media della lunghezza d’onda durante le fasi di mareggiata. Anche nell’ambito della spiaggia sottomarina sono di norma presenti barre o secche più o meno marcate, precedute da più o meno definiti affossamenti, denominati truogoli. Una spiaggia può in sintesi essere considerata un pendio di inclinazione variabile, in cui l’energia dei flutti si va a smorzare. Di norma tale pendio è tanto più ripido quanto più grossolano è il materiale incoerente trasportato e rimosso continuamente dal moto ondoso; questo fenomeno è facilmente spiegabile in termini idrodinamici, considerando come la pendenza dell’area di battigia sia determinata dal movimento alternato del materiale in risalita, sulla spinta del flutto montante, e in discesa, per azione della risacca. A parità di energia cinetica, il trascinamento verso il basso può essere realizzato su un pendio appena inclinato per i materiali più fini come le sabbie, molto più inclinato per i materiali più grossolani come le ghiaie o i ciottoli. Ovviamente il rimodellamento e il riadattamento della battigia di una determinata spiaggia si attesta di continuo intorno ad un provvisorio e dinamico equilibrio. A livello della spiaggia emersa, dove la sabbia è di norma asciutta, può infine far presa l’azione del vento, in grado di innescare il processo di costruzione e modellamento di eventuali dune e sistemi dunali sabbiosi. ■ Dinamica, formazione ed erosione di una spiaggia sabbiosa Genesi ed evoluzione di una spiaggia sabbiosa sono strettamente correlate a diversi fattori, tra i quali i più rilevanti sono le possibilità di rifornimento di materiale detritico, la conformazione e la natura geologica delle aree litoranee contigue e le modalità di trasporto e di deposizione dei detriti da parte del moto ondoso e delle correnti. Sono infatti il moto ondoso e secondariamente quello delle correnti, gli agenti principali che modellano le spiagge, ma rilevante è, soprattutto per il tratto generalmente emerso, anche il ruolo giocato direttamente dall’azione eolica che, del resto, è la causa prima del moto ondoso. Minore è invece il ruolo giocato dalle maree anche se ad esse è, in taluni casi, legata una notevole estensione del tratto di spiagga definito come intertidale. Il rifornimento di materiale detritico può essere consentito dalla vicinanza di fiumi e corsi d’acqua che fungono da efficaci agenti di trasporto di sabbie, fanghi e detriti alluvionali di varia natura e granulometria. Oppure può essere consentito dalla parallela erosione di tratti di costa contigui a quello in esame, per effetto della natura omogeneizzatrice e regolarizzatrice del moto ondoso, che tende a smussare le sporgenze litoranee, prelevandone del materiale che viene poi ridepositato ai lati della sporgenza stessa, frequentemente entro baie più o meno delimitate. Altro materiale sabbioso può infine essere prelevato ed eroso da bassi fondali esistenti presso la costa in esame o al largo di questa.

Nel caso di spiagge prossime a foci fluviali, la grande disponibilità di materiali inerti consente di norma una facile rideposizione degli stessi nei settori litoranei contigui, almeno in quelli con coste basse. Ampi depositi fluviali consentono un grande rimaneggiamento dei detriti, con la separazione degli stessi in base al loro peso e in funzione della quantità di energia disponibile per il trasporto. Con fondali di forte pendenza, la gravità agevola la discesa dei detriti verso il largo, spesso rendendoli indisponibili alla ripresa da parte del moto ondoso. Con fondali di debole pendenza, al contrario, varie linee di frangenti si formano al largo, e solo onde a bassa energia giungono presso la costa, che così spesso diventa paludosa, con prevalenza di argille e silt. Altrove la deposizione è frutto soprattutto dell’azione combinata del trasporto sulla battigia, e del così detto trasporto longitudinale, ossia quello parallelo alla riva. Per comprendere le dinamiche di trasporto degli inerti da parte delle onde, è utile analizzare alcuni aspetti della dinamica e della cinetica del moto ondoso stesso. Le onde, come ben noto, sono perlopiù provocate dal vento, che trasmette all’acqua superficiale una parte della propria energia, spingendola sotto forma di moto ondoso che si trasmette orizzontalmente secondo determinate direzioni di propagazione, ortogonali alle creste delle onde stesse. In vicinanza della costa, le onde possono subire cambiamenti di direzione, forma ed energia, in funzione della natura, della pendenza e dell’orientamento dei fondali e della costa stessa. Particolare importanza riveste la formazione dei cosìddetti frangenti di spiaggia, quando l’acqua sospinta sulla cresta dell’onda supera la velocità di propagazione dell’onda stessa, ricade formando un frangente, e con più o meno marcata turbolenza sfrutta la propria energia cinetica, risalendo la

Evidenti segni di erosione in una spiaggia siciliana

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spiaggia come flutto montante, fino all’esaurimento dell’energia cinetica. A questo punto per gravità l’onda recede sotto forma di risacca. Questa situazione muta di intensità nelle diverse stagioni: durante le forti mareggiate invernali la forza dei frangenti è maggiore e parte della sabbia che costituisce la battigia può essere ripresa in carico dal moto ondoso e può formare una o più barre nel tratto di spiaggia sommersa o essere trasportata verso il mare aperto. In estate questa situazione si inverte e le deboli onde della bella stagione fanno sì che questo materiale venga gradualmente ritrasportato verso la linea di costa. Esiste quindi una notevole differenza fra la morfologia di una spiaggia sabbiosa nelle diverse stagioni: nel periodo estivo essa risulta generalmente più ampia per una maggior disponibilità di materiale sabbioso che, in inverno, è depositato nel tratto sommerso sotto forma di barre più accentuate. ■ Struttura di una duna sabbiosa litoranea Le dune sabbiose non sono altro che forme di accumulo di materiale sabbioso, di forma più o meno definita, e costruite principalmente per azione eolica. Si sono già viste in precedenza le principali condizioni di formazione di spiagge emerse più o meno ampie, che consentono la successiva costruzione di dune litoranee sabbiose, per rimozione eolica delle sabbie depositate dal moto ondoso e in particolare dalle mareggiate. Le dune sabbiose costiere non differiscono sostanzialmente, se non per la loro particolare posizione, rispetto a molti altri tipi di dune, che si sviluppano perlopiù nell’interno di ampie masse continentali, in situazioni di elevata erosione eolica dei substrati.

Si distinguono vari tipi di dune, in funzione del loro orientamento e della loro disposizione relativa rispetto alla direzione dei venti dominanti. Le dune sabbiose litoranee sono di norma dune trasversali, quindi con disposizione essenzialmente ortogonale rispetto alla direzione dei venti dominanti, oppure si organizzano in dune paraboliche alle spalle di spiagge e baie sabbiose arcuate. Le dune costiere, a prevalente andamento trasversale, presentano il lato sopra vento (di norma quello sul versante marino) con inclinazione inferiore rispetto a

quello sottovento (di norma quello sul versante terrestre). Infatti lungo il versante sopravento la sabbia è sospinta in salita per saltazione o per rotolamento, fino a raggiungere la cresta, da dove i singoli granuli cominciano a ricadere sul lato opposto per gravità. Spesso le dune litoranee possono avere creste con andamento più o meno sinuoso, legato all’influsso di venti che soffiano alternativamente in direzioni opposte o comunque contrastanti. Le dune sabbiose litoranee differiscono dalla maggior parte delle dune mobili degli entroterra continentali essenzialmente per la presenza di vegetazione costiera, che, tramite un effetto siepe, ne blocca più o meno efficacemente la potenziale avanzata verso l’entroterra. Appena la vegetazione psammofila pioniera attecchisce e si consolida, questa fa in modo che l’apporto eolico di altra sabbia ne veda l’accumulo e il consolidamento prevalentemente in situ, condizionando quindi enormemente l’evoluzione geomorfologica della duna stessa. Considerato che la vegetazione può instaurarsi in maniera stabile solo ad una determinata distanza della linea di costa, la genesi di una duna litoranea non può che avvenire con una disposizione più o meno parallela alla stessa linea di costa, in alcuni casi solo in parte dipendente dalla direzione dei venti dominanti che trasportano i granuli sabbiosi. ■ Dinamica e formazione di una duna litoranea sabbiosa Le sabbie, erose, trasportate e ridepositate altrove dal moto ondoso e dai venti, vengono sovente accumulate all’interno di insenature (le così dette spiagge di fondo di baia, di norma con andamento più o meno arcuato), oppure vanno a

I sistemi dunali di Is Arenas (Sardegna) sono tra gli esempi più imponenti sui litorali del nostro paese

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costituire strisce di terra allungate, chiamate cordoni litoranei, che si formano in prevalenza in posizione laterale (sotto vento) rispetto ai punti di rifornimento di sabbia, chiudendo insenature di bassa profondità, o unendo piccole isole prossime alla terraferma con la terraferma stessa, e creando in tal modo delle penisole. Quando tali cordoni litoranei sono in seguito sormontati da dune, essi prendono il nome di tomboli, come vedremo più avanti. I cordoni litoranei, chiamati anche col diffuso ma non sempre appropriato termine di lidi, possono presentarsi come isole o penisole allungate, o essere congiunti alla terraferma ad entrambe le estremità. Sovente i cordoni litoranei si originano a partire da scanni subacquei, ove ci sia abbondanza di rifornimento di materiale detritico, che a poco a poco emergono sotto forma di dossi sabbiosi. Salienti sabbiosi di forma particolare, spesso cuspidati o subtriangolari, si formano invece quando due opposte correnti di trasporto di materiale detritico si incontrino in una zona intermedia, di norma in coincidenza di protrusioni litoranee (capi) che separino linee costiere di differente orientamento. Di particolare rilievo sono i già citati tomboli, ovvero le formazioni dunali sabbiose che vengono modellate dal vento e in parte dal moto ondoso sui cordoni litoranei, per via della spesso ridotta estensione trasversale, che li rende ambienti particolarmente fragili e dinamici. Alcuni di questi tomboli evolvono peraltro verso un completo interramento del

cordone litoraneo stesso che, se associato al continuo spostamento verso mare della linea di costa (legato a sua volta, come abbiamo già visto, alla presenza di massicci apporti fluviali di materiali incoerenti), può comportarne la trasformazione in dune fossili sublitoranee (o paleodune). Questi ambienti sono quasi sempre estremamente interessanti sotto il profilo naturalistico, e in delicato equilibrio evolutivo, legato alla inevitabile e continua trasformazione del substrato e dei suoli superficiali. I processi genetici dei tomboli possono far sì che questi vengano ad unire un’isola alla terraferma trasformando l’insieme in una sorta di penisola. Caso classico è quello del Promontorio dell’Argentario che è unito alla terraferma da due tomboli attivi e da un cordone litoraneo centrale sul quale sorge l’abitato di Orbetello. Questi tre cordoni litoranei hanno così dato origine a due stagni costieri. ■ Natura del substrato delle spiagge e delle dune italiane Dal punto di vista geomorfologico i sistemi spiaggia-duna vengono esaminati soprattutto analizzando gli agenti modellatori e la granulometria degli elementi che le costituiscono. Nel momento in cui, però, spiagge e dune vengono considerate soprattutto come habitat, grande importanza assume la caratterizzazione chimico-mineralogica del substrato, ovvero l’identificazione dei componenti

tombolo

spiaggia

laguna

isole di barriera spiaggia di cavità

estuario

scogliera con spiaggia

Geomorfologia di un’area costiera

Foto aerea dell’area dell’Argentario con i tomboli che delimitano la Laguna di Orbetello (Toscana)

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minerali che costituiscono i singoli grani e, di conseguenza, il chimismo del substrato stesso. Come detto, i granuli che costituiscono i sistemi spiaggiaduna sono in prevalenza quelli depositati dai fiumi nel mare o direttamente nelle spiagge e quindi la loro composizione mineralogica è funzione delle tipologie litologiche che affiorano nel bacino del fiume stesso. A questo dato fondamentale bisogna aggiungere la considerazione che i diversi litotipi, così come i minerali che li costituiscono, presentano differenti capacità di resistenza all’erosione ed al trasporto e, pertanto, a parità di granulometria hanno la possibilità di compiere un percorso maggiore i granuli più resistenti. Ad esempio essendo il quarzo, fra i minerali relativamente comuni, quello a maggiore resistenza, esso abbonda nelle spiagge originate da fiumi che hanno un percorso piuttosto significativo in pianura. I granuli sabbiosi provengono dagli apporti fluviali ma la loro distribuzione non è simmetrica rispetto agli sbocchi dei corsi d’acqua al mare. Le correnti marine, infatti, fanno sì che la dispersione avvenga in maniera asimmetrica. Riferendosi ad esempio all’Alto Adriatico, i depositi fluviali tendono a sedimentare verso occidente rispetto alle foci: quelli dell’Isonzo giungono sino a Lignano, mentre quelli del Tagliamento giungono sino a Iesolo, ove si uniscono a quelli del Piave. Questi ultimi, a loro volta si disperdono sino alla Laguna di Chioggia. In funzione delle province di alimentazione può variare sia la granulometria che la composizione mineralogica, e questi due valori sono in qualche modo legati fra loro. Sempre in riferimento alle spiagge dell’Alto Adriatico possiamo notare che quelle più settentrionali, i cui tributari drenano le aree alpine, presentano classi granulometriche al 95-99% comprese fra i 2 ed i 0,03 mm, mentre nelle spiagge prossime agli estuari dei fiumi che percorrono i depositi marnoso-arenacei dell’Appennino possono presentare percentuali significative di elementi più fini (fra il 10 ed il 20% di granuli inferiori agli 0,03 mm).

La composizione mineralogica mostra comunque variazioni ben più significative e complesse, ed i valori che vengono di seguito riportati sono medi e puramente indicativi. Nella fascia compresa fra Grado ed il Lido di Venezia dominano gli elementi calcareo-dolomitici, con percentuali fra l’80 ed il 90%, con una frazione di quarzo e selci presente attorno al 20%, coerentemente al fatto che i fiumi che alimentano queste spiagge drenano soprattutto formazioni rocciose carbonatiche. Le spiagge alimentate da Brenta ed Adige mostrano un deciso aumento delle percentuali di quarzo (attorno al 40%) e di altri elementi provenienti da vulcaniti acide (che diminuiscono poi nell’area romagnola) a discapito delle componenti carbonatiche (calcaree e non dolomitiche) che presentano valori attorno al 1530%. Scendendo verso Marche ed Abruzzo si ha una debole ripresa dei carbonati (30-60%) con discesa della frazione quarzosa (20-40%). L’area campanolaziale presenta una significativa percentuale di feldspati (anche il 20%) con quarzo (25%) e carbonati attorno al 40%. I lidi toscani mostrano valori di carbonati bassi a Nord e Sud (attorno al 20%) con risalita nell’area centrale (50%). Si inverte la situazione del quarzo con valori alti agli estremi (oltre il 50%) e inferiori al centro (20%), mentre attorno a Follonica il quarzo raggiunge il 60%. Le spiagge della Sardegna settentrionale sono costituite prevalentemente da elementi carbonatici (dal 30 all’80%), con quarzo che varia dal 10 al 30%, mentre spostandosi verso Sassari i valori di carbonato si riducono notevolmente (anche al 10%) a favore del quarzo che raggiunge il 40%, condizioni analoghe a quelle che si ritrovano nel Golfo di Orosei. L’area di Alghero presenta notevoli variazioni, ma è sempre dominata dall’insieme quarzo-carbonati. In tutte le coste sarde diventa significativa la percentuale di ferro, presente con valori anche dell’1-3%. In Sicilia le coste dell’area catanese presentano elevati valori di quarzo (oltre 60%) e pochi carbonati (20%).

Veduta aerea della fascia costiera sabbiosa dell’Adriatico nell’area fra Bibione e Bibione Pineta (Veneto)

a sinistra si nota un’area allo stato naturale mentre a destra sono evidenti i segni dell’intervento antropico

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Paleogeografia e biogeografia PAOLO AUDISIO · GIUSEPPE MUSCIO · SANDRO PIGNATTI

L’assetto biogeografico del nostro territorio affonda le sue radici nella complessa situazione della Penisola Italiana, profondamente incuneata nel bacino mediterraneo. Gli attuali assetti floristici e faunistici, non a caso fra i più ricchi e diversificati dell’intera Eurasia, sono condizionati, quindi, dall’evoluzione geologica di quest’area che ha visto, negli ultimi milioni di anni, diverse e variabili possibilità di connessioni fra differenti aree circum-mediterranee e europee. Una trattazione che riguardi spiagge e sistemi dunali italiani deve quindi allargarsi all’intero Mediterraneo ed alla sua storia più o meno recente, risalendo nel tempo almeno sino agli avvenimenti più importanti che ne hanno determinato l’attuale morfologia costiera e condizionato la struttura dei popolamenti animali e vegetali. ■ Il quadro paleogeografico, paleoclimatico e biogeografico Nel Paleocene, all’inizio del Cenozoico, circa 65 milioni di anni fa, Europa e Asia erano separate l’una dall’altra da uno stretto braccio di mare epicontinentale (quindi di bassa profondità) che univa le attuali aree marine del Golfo Persico con il Mare Artico, passando a Est degli attuali limiti orientali dei Monti Urali (Mare di Turgai o Uralico). Contemporaneamente, l’attuale Mediterraneo era largamente collegato verso Est con l’Oceano Indiano, formando così un mare, in parte epicontinentale, in alcuni punti relativamente stretto in latitudine ma enormemente esteso il longitudine, noto con il nome di Tetide. La Penisola Italiana non si era ancora delineata, così come quella Balcanica, ed il clima lungo i margini della Tetide era in linea di massima di tipo tropicale o subtropicale. Verso la fine dell’Eocene, una quarantina di milioni di anni fa, il Mare di Turgai si prosciuga, consentendo un facile collegamento terrestre tra l’Asia e l’Europa, mentre lungo l’asse Est-Ovest permane ancora ampia la connessione marina tetidea. Nell’Oligocene, a partire da circa 36 milioni di anni fa, l’Eurasia era costituita da un ampio scudo che comprendeva la quasi totalità dell’attuale Asia settentrionale e l’Europa centro-settentrionale, mentre a Sud-Ovest dell’intero sistema si cominciavano ad organizzare e a riconoscere alcune zolle di terraferma, emergenti dal mare, che avrebbero poi dato origine a buona parte delle attuali terre emerse del Mediterraneo settentrionale. Con l’avvicinamento della placca con-

Vilucchio marittimo (Calystegia soldanella)

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tinentale Africana verso quella Euroasiatica si avvia l’orogenesi Alpina, e comincia a stringersi verso Est il mare tetideo. Come in un macroscopico puzzle, iniziano a comparire e a dislocarsi verso la loro posizione finale alcune tessere che andranno poi a costituire l’insieme della Penisola Italiana e delle Grandi Isole. Verso Ovest Corsica, Sardegna e Baleari sono ancora unite alle aree catalano-provenzali, ma, già all’inizio del Miocene (circa 23 milioni di anni or sono), cominciano a distaccarsi da queste per iniziare una migrazione che le porterà, nel volgere di una decina di milioni di anni, fino alla loro attuale posizione. Microzolle subparallele all’Arco Sardo-Corso-Balearico si muovono a loro volta, dando origine all’attuale Arco Calabro-Peloritano verso Est, e a parte delle aree costiere e montane subcostiere dell’attuale Algeria settentrionale verso Sud-Ovest. Contestualmente, già comincia a essere riconoscibile verso Sud-Est la Penisola Salentina, con varie e ancora discusse connessioni oligoceniche con altre aree del Mediterraneo centro-orientale, balcaniche e anatoliche occidentali. Sempre nel Miocene prosegue l’avvicinamento della placca Africana all’Europa, attivando la formazione di altre importanti catene montuose verso Est; questo fenomeno coincide con un parallelo e globale abbassamento del livello dei mari, principalmente dovuto alla crescita della calotta glaciale dell’Antartide occidentale. La Tetide si chiude così progressivamente verso Est, consentendo un importante collegamento tra le faune e flore africane e quelle euroasiatiche, fino ad allora rimaste separate.

Intorno a 15 milioni di anni or sono la parte occidentale della Tetide, in via di separazione rispetto all’Oceano Indiano, si divide in due ampi bracci distinti: il primo, sud-occidentale, dà origine a quello che diventerà il vero e proprio Mar Mediterraneo, mentre il secondo, nord-orientale, chiamato Paratetide, esteso fino ai settori sud-orientali della Germania e alla regione pannonica, passa in modo relativamente rapido dallo stato di mare epicontinentale di bassa profondità a quello di un “Lago-Mare” salmastro (si veda il box “Marcatori di spiagge” a pag. 27). In seguito questo Lago-Mare progressivamente si prosciuga, lasciando infine solo una serie di grandi laghi salmastri, di cui il Mar Caspio e il Mar Nero (solo molto più tardi rientrato in connessione con il Mediterraneo propriamente detto) sono la principale testimonianza. Poco meno di 6 milioni di anni fa un altro avvenimento ha poi un impatto devastante sull’intera area Mediterranea: il più o meno ampio braccio di mare che separava la maggior parte dell’attuale Penisola Iberica e del sistema BeticoRifano dalla massa continentale Africana, a causa del già ricordato abbassamento planetario dei livelli dei mari, combinato con un innalzamento delle aree ad esso prospicienti, si chiude abbastanza repentinamente, isolando quindi il Mediterraneo dall’Oceano Atlantico. Questo fenomeno, che sulla morfologia costiera ha prodotto conseguenze soltanto locali, mette rapidamente in evidenza il bilancio idrico netto pesantemente negativo del Mediterraneo. Infatti, a fronte di un apporto idrico medio di circa 1400 chilometri cubi di acqua dolce all’anno (acqua dei bacini idrografici che

Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Paleocene; marrone: aree emerse, grigio: piattaforme, azzurro: bacini marini. Viene indicata anche la posizione approssimata della zolla sardo-corsa

Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Miocene medio; marrone: aree emerse, grigio: piattaforme, azzurro: bacini marini

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insistono sul Mediterraneo + acqua meteorica rovesciata dalle piogge sulla superficie del Mediterraneo stesso), il “Mare nostrum” manifesta una cessione annuale all’atmosfera per evaporazione di quasi 4800 chilometri cubi di acqua, con un deficit netto annuale di poco meno di 3400 chilometri cubi. Considerando che il volume di acqua complessivo del Mediterraneo è valutabile intorno a 3,7 milioni di chilometri cubi, è facile calcolare cosa accadrebbe anche ai giorni nostri se lo stretto di Gibilterra (ed eventualmente anche il Canale di Suez) fossero chiusi all’improvviso: nell’arco di un migliaio di anni l’intero Mediterraneo si prosciugherebbe (3,7 milioni/3400=1088 anni; gli anni necessari potrebbero essere anche meno, calcolando che le precipitazioni meteoriche nell’intera area, inevitabilmente inaridita, si ridurrebbero localmente per trasferirsi più a Est). Ciò che accadde verso la fine del Miocene fu esattamente quanto descritto in questa ipotesi dal sapore quasi fantascientifico: nel Messiniano, tra 5,6 e 5,0 milioni di anni fa circa, il Mediterraneo si prosciugò in buona parte, le linee di costa si spostarono in modo centripeto verso e intorno le aree di maggiore profondità, e importanti collegamenti territoriali si instaurarono per alcune centinaia di migliaia di anni tra il Nord Africa, la Penisola Iberica, la Sicilia, la Corso-Sardinia e l’Italia peninsulare. Il Tirreno e parte del Canale di Sicilia si trasformano in grandi laghi salati, dove i fiumi provenienti dalle terre emerse scaricano le proprie acque a quote di centinaia di metri inferiori rispetto al livello degli oceani, scavando profondissime gole. Le conseguenze di questo prosciu-

Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Miocene superiore (Messiniano); marrone: aree emerse, azzurro: bacini marini, chiaro: bacini evaporitici

I marcatori di spiagge La maggior parte dei coleotteri endomichidi della sottofamiglia licoperdini (= eumorfini) vive in ambienti forestali, soprattutto nei paesi tropicali e subtropicali, dove questi piccoli insetti si sviluppano soprattutto a spese di funghi arborei. Le Dapsa sono un piccolo gruppo di licoperdini, che si sono invece curiosamente adattati ai cumuli di detriti vegetali lungo le spiagge o nei salicornieti costieri. Nel tardo Oligocene, probabilmente a partire dalle aree tetidee nordorientali, i più antichi rappresentanti di questo genere cominciarono a diffondersi e a differenziarsi verso Ovest, riuscendo a colonizzare con una certa rapidità gli ambienti umidi sabbiosi perilitorali dell’intera Tetide, dalle coste nord-orientali dell’Atlantico a quelle nord-occidentali del Pacifico. A seguito di molteplici fenomeni di trasgressione e regressione marina, e seguendo l’evoluzione dei margini costieri tetidei e del Paleomediterraneo, diverse popolazioni e specie di Dapsa si ritrovarono di

Paolo Audisio · Alessio De Biase volta in volta isolate anche in aree continentali interne, dove un tempo era giunto qualche braccio di mare epicontinentale (come la Paratetide). Altre furono invece coinvolte in fenomeni tettonici di emersioni (es. Isole Canarie) o migrazioni (es. microzolle cabiliche in Algeria settentrionale) di interi sistemi insulari circummediterranei. Lo scenario finale vide infine il differenziamento di una quarantina di specie, molte delle quali distribuite lungo le coste dell’attuale Mediterraneo o della Macaronesia, ma con svariate entità ora isolate in aree continentali abbandonate dal mare già da milioni di anni, e riadattatesi a ecosistemi umidi forestali o ripariali dell’interno. Sovrapponendo l’attuale distribuzione delle Dapsa con quella delle aree marine nel Miocene medio, una dozzina di milioni di anni or sono, possiamo vedere come questi curiosi e rari coleotteri possano “funzionare” come dei veri e propri “marcatori di spiaggia” dei paleosistemi costieri.

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gamento a livello delle comunità biotiche sono, come ovvio, molto gravi soprattutto per gli organismi marini, che si trovano confinati in laghi iperalini e si estinguono in grande percentuale per questa devastante “crisi di salinità”. Nelle faune e nelle flore terrestri gli elementi più xerofili, termofili e alofili (tra le piante ad esempio le Tamarix e molte chenopodiacee alofile) in gran parte di provenienza nordafricana, medio-orientale o centroasiatica, si diffondono largamente soprattutto lungo le aree costiere e subcostiere. Anche molti elementi più mesofili e igrofili, pur trovando condizioni accettabili di sopravvivenza presso le aste fluviali, i bacini lacustri, e in aree montane, riescono comunque a utilizzare queste nuove connessioni territoriali per colonizzare le aree del Mediterraneo Occidentale, spesso dando poi origine a forme endemiche. Altri elementi riescono a giungere da Est verso la Penisola Italiana in formazione. Durante il Messiniano e la sua fase arida conseguente al parziale prosciugamento del bacino Mediterraneo, che assume per ampi tratti un carattere di deserto salato, si assiste comunque a drammatici fenomeni di estinzione anche negli habitat terrestri, soprattutto nella flora. Alla fine del Miocene, circa 5 milioni di anni or sono, e con l’inizio del Pliocene, si forma lo stretto di Gibilterra, che segnerà da allora la presenza di un definitivo collegamento marino tra il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. Ben presto il Mediterraneo si riempie e le faune marine, in gran parte di origine Atlantica, lo colonizzano con grande velocità. Il ripopolamento post-Messiniano degli ambienti terrestri avviene sia per immigrazioni dalle aree vicine, sia per sviluppo dell’elemento autoctono che durante la fase arida aveva potuto mantenersi soprattutto sulle catene montuose e negli estuari dei sistemi fluviali che avevano potuto conservarsi. Sebbene il Messiniano abbia costituito una fase relativamente breve, lo sviluppo della flora e fauna mediterranee, quale noi oggi le conosciamo, è dunque in buona parte successivo a questi avvenimenti. La Penisola Italiana e la Sicilia si vanno formando nella loro facies attuale, e le linee di costa si assestano intorno alle quote attuali, e in posizioni non del tutto dissimili da quelle odierne. Una marcata eccezione è rappresentata dall’Italia settentrionale, dove un vasto golfo occupa la quasi totalità dell’area ora occupata dalla Pianura Padana, che emergerà solo più tardi, nel Pleistocene mediosuperiore, circa 2 milioni di anni or sono. Si sono avute fasi marine più o meno corrispondenti a quelle attuali a partire dal Pliocene e fino all’Olocene: tuttavia questo avveniva in condizioni di clima subtropicale, e la flora aveva ad esempio un carattere molto differente da quello che noi oggi conosciamo, strutturalmente più simile a quanto possiamo invece riscontrare in alcuni settori del sudestasiatico. Nel Pliocene il clima, inariditosi nel Messiniano, torna ad essere caldo-umido, ma va via via facendosi più temperato, consentendo l’arrivo da Est e da Nord di molte specie animali e vegetali di origine continentale. La situazione peggiora

bruscamente con la formazione dell’istmo terrestre di Panama, che unisce l’America meridionale con quella settentrionale, modificando il ciclo di trasporto delle correnti calde tropicali verso l’Atlantico settentrionale. Il conseguente raffreddamento dell’Atlantico settentrionale, in combinazione con altri complessi fattori di carattere astronomico, innesca la formazione dei ghiacci artici, il conseguente raffreddamento di buona parte dell’emisfero settentrionale, e la brusca modificazione delle faune e delle flore sia europee che mediterranee in senso temperato, con la scomparsa o la massiccia riduzione della maggior parte degli elementi xerofili, termo-igrofili o di origine subtropicale, sia a livello terrestre che marino. Tra gli elementi terrestri, molti trovano però rifugio proprio lungo le aree costiere marine e alle foci dei fiumi, dove permangono condizioni termiche e idriche più favorevoli. Intorno a un paio di milioni di anni or sono, all’inizio del Pleistocene, quindi anche del Quaternario, i raffreddamenti climatici si fanno ciclici, e si manifestano le glaciazioni, con almeno sei picchi principali nell’estensione delle calotte glaciali che hanno interessato massicciamente l’emisfero settentrionale e le aree euro-mediterranee in particolare. In ciascun ciclo glaciale, al raffreddamento climatico corrisponde la formazione di ghiacciai estesi su ampi settori del continente europeo, dello spessore anche di 1000-2000 metri a ridosso delle aree alpine e scandinave, con conseguente sottrazione di enormi quantità di acqua dal mare e marcato abbassamento del livello marino, da valutare nell’ordine del centinaio di metri o più, dovuto in parte anche all’aumento della den-

Paleogeografia semplificata del Mediterraneo nel Würmiano; marrone: aree emerse, azzurro: bacini marini, verde: coltri glaciali più estese

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sità media delle acque per effetto dell’abbassamento termico. Le linee di costa dei mari meno profondi (come ad esempio l’Adriatico) si spostano quindi anche di centinaia di chilometri, seguiti dalle loro faune e flore costiere e sublitoranee, consentendo brevi ma nuove connessioni o avvicinamenti territoriali tra i piccoli gruppi insulari subcontinentali, la Penisola Italiana, le aree Balcaniche settentrionali, la Sicilia, il Nord Africa, e il sistema Sardo-Corso. Un grande numero di specie di origine siberiana o centroasiatica penetra inoltre verso Sud-Ovest in Europa e raggiunge il Mediterraneo, dove si stabilizza sia nelle aeree submontane, sia in quelle planiziarie più fresche e umide, anche a ridosso dei litorali. Negli interglaciali più temperati queste flore e faune lungo il Mediterraneo spesso riguadagnano quota, in parte si estinguono localmente, ma alcuni elementi rimangono come relitti in aree planiziarie più umide, specialmente a ridosso delle foci dei fiumi perenni. Contemporaneamente, specialmente durante le fasi intermedie tra i picchi glaciali e i massimi miglioramenti climatici degli interglaciali, importanti componenti di specie steppiche di origine centroasiatica o asiatica sud-occidentale si spostano verso Sud e verso Ovest in Europa, raggiungendo anche le aree costiere del Mediterraneo. Molti di questi elementi si estinguono nei glaciali successivi, molti altri all’apice degli interglaciali si spostano in habitat steppici o parasteppici di quota, ma alcuni sopravvivono e si adattano agli habitat strettamente litoranei, sia rupestri che dunali. Nell’Olocene, ben dopo la fine dell’ultima Glaciazione (quella di Würm, il cui ultimo picco glaciale è datato meno di 20.000 anni or sono), si assiste ancora all’alternanza di minori picchi freddi e caldi. Un picco caldo importante sembra si sia avuto intorno a 8.500 anni or sono, mentre un altro di un certo rilievo coincide con un periodo relativamente caldo tra i 5.000 e i 3.000 anni fa; in corrispondenza di questo molte specie mediterranee, incluse parecchie tra quelle ad attuale distribuzione mediterraneo-atlantica che colonizzano più o meno stabilmente le spiagge e i litorali sabbiosi, hanno potuto raggiungere latitudini relativamente elevate dell’Europa nord-occidentale, sfruttando il clima litoraneo particolarmente favorevole. Durante i secoli dell’Impero Romano il clima si mitiga nuovamente, con un aumento della temperatura abbastanza sensibile soprattutto in Europa centrosettentrionale, fino all’inizio del dodicesimo secolo, a partire dal quale comincia una blanda fase di raffreddamento fino al diciottesimo secolo; da qui in poi si assiste, pur con alcuni brevi periodi in controtendenza, ad un leggero ma progressivo aumento della temperatura, tuttora in atto. Sull’evoluzione a breve e medio termine del clima, e sulle potenziali conseguenze a carico degli ambienti litorali, si veda quanto discusso più avanti nel capitolo relativo alla conservazione e gestione degli ecosistemi sabbiosi costieri.

■ Il quadro bioclimatico attuale Le spiagge e i sistemi dunali del nostro paese sono tutti affacciati sul Mediterraneo (non si hanno sistemi significativi di dune interne): il popolamento di questi ambienti va quindi inquadrato nel contesto biogeografico della regione mediterranea. Questo vale sia per gli animali che per le piante, anche se nei due casi si hanno, come vedremo fra breve, problemi biogeografici differenti. La zona biogeografica mediterranea viene definita dalle sue caratteristiche climatiche: temperatura media annua compresa tra 14° e 18° C, precipitazioni più o meno abbondanti (400-900 mm, ed anche localmente fino a 1500 mm e più) concentrate nella stagione fredda, mentre in estate si ha un periodo arido di (2)3-5 mesi. In nessun mese la temperatura media scende al di sotto di 0° C; precipitazioni nevose e gelate sono rare e si verificano solo sporadicamente. Queste caratteristiche permettono la vita a specie sempreverdi, che possono continuare la fotosintesi anche nei mesi invernali e che si riproducono anche nell’ambiente delle spiagge. Queste condizioni sono oggi prevalenti in tutto il bacino mediterraneo, ma non esclusive di questo, in quanto esse si manifestano anche in altre zone del mondo, come la California, il Cile centrale, alcune aree meridionali del Sudafrica e alcuni settori dell’Australia occidentale e meridionale.

Sistemi dunali stabilizzati dalla vegetazione lungo le coste della Sardegna sud-occidentale

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Per quanto riguarda gli ambienti litoranei italiani, si può osservare come non tutti siano però associati a territori con caratteristiche di vera mediterraneità. Infatti, come sopra ricordato, la mediterraneità viene definita dal clima, e non dalla posizione geografica. Nel nostro paese hanno clima mediterraneo le isole, tutte le coste occidentali dalla Liguria alla Calabria, e le coste joniche, così come la Puglia. Invece le coste della Pianura Padano-Veneta si differenziano nettamente per un clima più fresco (12°-13° C di temperatura media annua), ed un periodo estivo con piogge scarse, ma abbastanza regolari. Dunque, l’Alto Adriatico ha clima di tipo temperato medioeuropeo, mentre nelle Marche, Abruzzo e Molise il clima ha un carattere di transizione verso il tipo mediterraneo, che diviene prevalente soltanto nella Puglia. Queste caratteristiche climatiche si riflettono anche su flora, fauna, e soprattutto vegetazione. A queste caratteristiche generali del clima, si sovrappongono poi altri effetti, di carattere locale. Si tratta soprattutto, nel caso delle spiagge, dell’azione termoregolatrice della massa idrica marina, che tende a riscaldarsi in estate e quindi a cedere calore durante i mesi autunnali ed invernali, mentre in primavera-estate le acque, raffreddatesi durante l’inverno, assorbono calore, temperando il clima litoraneo. Questa azione è particolarmente sensibile lungo le coste dell’Adriatico, che, essendo poco profondo e chiuso su tre lati, è un mare con maggiore tendenza al surriscaldamento durante i mesi estivi. ■ Il quadro fitogeografico Gli elementi floristici nel bacino del Mediterraneo si ricollegano ai popolamenti associati ai continenti limitrofi (Africa ed Eurasia), a correnti migratorie occidentali oppure orientali e ad un’intensa attività di speciazione in situ (“elemento autoctono”). La componente endemica è globalmente abbastanza elevata, e può raggiungere, secondo le valutazioni di Quèzel e coll., il 25 % della flora. Su spiagge e dune la situazione è abbastanza differente, in quanto i gruppi legati all’ambiente continentale sono relativamente poco rappresentati, ed anche l’endemismo autoctono è scarso: sembrano invece prevalere gli elementi associati a passate connessioni floristiche lungo una direttrice Est-Ovest. L’elemento occidentale è costituito da specie ampiamente diffuse sulle coste atlantiche, o comunque collegate a gruppi della flora oceanica. L’ingresso nel Mediterraneo di specie provenienti dalla costa oceanica si verifica, come visto, alla fine del Messiniano, con la definitiva apertura dello stretto di Gibilterra. Non si hanno prove dirette, ma si può ipotizzare che di questo gruppo facciano parte Ammophila littoralis, Elytrigia juncea, Euphorbia paralias, Calystegia soldanella.

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Salsola erba-cali (Salsola kali)

Tuttavia per ogni specie va fatto un discorso diverso, come in generale accade in molti aspetti della biologia. Infatti, Euphorbia paralias e Calystegia soldanella sono diffuse anche sulle coste atlantiche, hanno grandi capacità di diffusione per semi o rizomi portati dal mare, ed una migrazione diretta è senz’altro possibile. Per Ammophila la connessione occidentale è chiara, in quanto l’areale di questa specie si estende sia nel Mediterraneo che sulle coste atlantiche, mentre essa manca sul Mar Rosso e nell’Oceano Indiano; tuttavia le affinità di questa specie non vanno tanto in direzione di gruppi di altre graminacee litoranee, quanto piuttosto verso grosse graminacee di ambiente desertico. Elymus appartiene invece ad un gruppo con gravitazione distributiva nei deserti asiatici, che da questi ha potuto espandersi sulle coste atlantiche ed infine, con un viraggio a 180°, è rientrato nel Mediterraneo, come viene dimostrato dall’aumento progressivo del numero cromosomico. Potrebbe essere un buon esempio di immigrazione post-messiniana. Quanto all’elemento orientale, esso va collegato al bacino tetideo, dunque ad un ciclo evolutivo molto più antico di quello collegato all’Oceano Atlantico. In particolare, in questo contesto, l’elemento di base è rappresentato da specie di ambiente di deserto salato, che ancora oggi è largamente diffuso nell’Asia Centrale e nel Vicino Oriente, con chenopodiacee, plumbaginacee, zigofillacee ed alcuni gruppi di composite, giuncacee e graminacee. Un tipico adattamento morfologico in questi gruppi è la succulenza e, dal punto di vista fisiologico, si ha la tolleranza verso la salinità. Tuttavia questi adattamenti non sembrano di


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Vegetazione retrodunale con Limonium

particolare rilevanza per la flora delle spiagge e delle dune, perché, come si vedrà in seguito, le sabbie di questi ambienti litoranei hanno di norma un basso contenuto di sale marino. Si tratta di una flora ampiamente diffusa negli ambienti salati, sulle sponde lagunari, ma che sulle spiagge fa una comparsa sporadica, e per lo più limitata ad ambienti marginali. Tra queste si potrebbe ricordare la chenopodiacea Salsola kali e forse anche la crucifera Cakile maritima, che però è molto diffusa anche sulle coste atlantiche. Nella flora dei suoli salati lagunari si nota una netta differenza tra gli ambienti mediterranei e quelli dell’Europa temperata, causata dal fatto che sulle coste atlantiche si hanno oscillazioni tidali (di marea) molto forti, con escursioni persino di alcuni metri tra alta e bassa marea; nel Mediterraneo invece la marea, salvo poche eccezioni, è poco sensibile (perlopiù 2-3 decimetri). In Italia fa eccezione l’Alto Adriatico, con maree abbastanza cospicue (70-90 cm e più nelle sizigie), anche se non paragonabili a quelle dell’Atlantico; le alte maree a Venezia, come è noto, costituiscono comunque un problema gravissimo. Queste condizioni si riflettono anche sull’evoluzione della flora: nella Laguna di Venezia abbiamo densi popolamenti della graminacea Spartina stricta (= Spartina maritima), specie atlantica, che qui ha la sua unica enclave nella regione mediterranea; tra la flora algale va ricordato Fucus virsoides, l’unico rappresentante mediterraneo delle fucacee (alghe brune, con numerose specie sulla costa atlantica). Entrambe le specie sono strettamente legate alla vita in ambiente tidale. Non sembra invece che queste condizioni ecologiche abbiano

avuto qualche importanza nella speciazione della flora delle spiagge. Effettivamente le piante delle spiagge vivono sempre ad un livello decisamente superiore a quello delle alte maree, e rimangono sottratte alle conseguenze di questo fenomeno, altrimenti tanto importante nel determinare la periodicità dei fenomeni vitali, soprattutto negli animali. Va osservato che l’elemento autoctono nella flora delle spiagge e delle dune è relativamente poco rappresentato: molte specie psammofile hanno distribuzione mediterranea, ma non sembra possibile citare esempi di specie per le quali si possa ipotizzare una origine per divergenza avvenuta nell’ambiente di spiaggia, almeno per quanto riguarda la flora delle spiagge del nostro paese. Questa constatazione è in acuto contrasto con la flora delle rupi costiere, dove al contrario si ha un gran numero di specie endemiche, che limitano a volte il loro areale a pochi chilometri di costa, soprattutto nel genere Limonium (plumbaginacee), ma anche in altri gruppi del tutto diversi (Anthyllis, Antirrhinum, Centaurea, Dianthus, Erodium, Helichrysum, Primula, ecc.). Al contrario, le poche specie endemiche sulle spiagge e dune sabbiose italiane sono per lo più differenziazioni di elementi derivati da gruppi continentali, ad esempio Centaurea tommasinii e Silene colorata. Pur con queste limitazioni, la flora dei litorali sabbiosi mantiene una sua grande peculiarità: nessuna specie delle sabbie marine può venire ritrovata negli ambienti continentali, e molto rari sono i casi di specie continentali che possono sopravvivere sulle spiagge. La flora dei litorali sabbiosi dunque rappresenta un unicum. Questo è particolarmente evidente lungo la linea di costa, dove i fattori selettivi dell’ambiente marino sono più forti. Invece, quando ci si addentra verso l’entroterra, compaiono gli elementi continentali, che sulle dune interne tendono a diventare sempre più frequenti, fino ad essere del tutto prevalenti dove l’azione diretta del mare è scarsamente sensibile. Da questi rapporti si può concludere che la flora e la vegetazione delle spiagge non sono, come si potrebbe pensare, una differenziazione della flora continentale, causata dall’azione del mare, ma qualcosa di completamente differente, originatosi perlopiù in aree lontane (in molti casi al di fuori del Mediterraneo), che è venuto ad inserirsi tra il popolamento degli ambienti continentali ed il mare. La vegetazione delle spiagge rappresenta dunque una sorta di diaframma, oppure un’interfaccia che collega l’ambiente marino a quello continentale. In conclusione, va osservato che i litorali sabbiosi ospitano una flora altamente specializzata, che non trova nulla o assai poco di simile negli ambienti continentali, e per questo può essere interpretata come un punto focale della biodiversità; tuttavia questa flora è il risultato di processi che si sono sviluppati in maniera più o meno uniforme su tutto il bacino mediterraneo, senza dare luogo ad una massiccia microevoluzione legata a singoli gruppi oppure a singole aree.

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■ Il quadro zoogeografico Gli eventi biogeografici storici e i processi dinamici che hanno prodotto gli attuali popolamenti faunistici dei litorali sabbiosi italiani sono ovviamente molto simili a quelli che hanno condizionato i popolamenti vegetali, ma sostanzialmente differenti sono state le conseguenze in termini di tasso di endemismo, valori di ricchezza in specie e relittualità. In effetti nella fauna queste differenze rispetto alla flora possono Pimelia grossa (tenebrionidi), tipico elemento essere scarsissime in alcuni casi, ma siculo-maghrebino molto appariscenti in altri, in funzione sia delle diverse tipologie ambientali prese in esame (fauna intertidale e di spiaggia sabbiosa umida, fauna dunale, fauna psammo-alofila o psammo-igrofila delle lagune interdunali e dei salicornieti, ecc.), sia soprattutto dei singoli gruppi tassonomici, dei rispettivi ruoli trofici, e delle rispettive velocità di speciazione. Non vi è dubbio che la grande maggioranza degli elementi faunistici che vivono più a stretto contatto con l’interfaccia mare-terra (i componenti quindi delle faune intertidali e di spiagge sabbiose umide), a prescindere dalle loro dirette capacità di dispersione attiva, siano specie ad ampia distribuzione, spesso mediterranea o mediterraneo-atlantica, non poche essendo perfino cosmopolite o subcosmopolite. Ciò non deve stupire, considerando come molti di questi organismi siano in grado di tollerare forti escursioni termiche, esposizione protratta all’acqua di mare e stress fisiologici di varia natura; queste caratteristiche ne fanno degli elementi assolutamente adatti per spostarsi attivamente o essere facilmente trasportati in ambienti costieri tramite correnti marine, vento, uccelli, o attività antropiche. Nella maggior parte dei casi si tratta quindi di elementi specializzati ecologicamente e troficamente, spesso esclusivi di questi ambienti, ma con grandi potenzialità di dispersione attiva e passiva e soggetti probabilmente a dinamiche di tipo metapopolazionale (ovvero costituiti da un insieme di popolazioni locali spesso piccole ma con elevate interconnessioni potenziali e grande ricambio, soggette quindi a continui processi di locale estinzione e ricolonizzazione). Questi elementi hanno dunque seguito piuttosto facilmente le spesso drastiche variazioni costiere del Mediterraneo e dell’Italia nel corso degli ultimi milioni di anni, manifestando di norma una scarsa propensione al facile differenziamento specifico.

Un discorso diverso interessa invece la fauna delle dune e dei retroduna, sia aridi che umidi o salsi, dove, almeno per gli invertebrati più specializzati, troviamo delle differenze significative sia tra quelli detritivori, saprofagi e psammofili o psammo-alofili, che tra quelli fitofagi associati a piante psammofile. In questi casi sembra infatti che fattori quali rarità, piccole dimensioni delle popolazioni locali, elevata specializzazione trofica, bassa capacità di dispersione e frammentazione degli habitat Sepidium siculum (tenebrionidi), endemita abbiano interagito efficacemente, prosiculo ducendo con una certa frequenza elementi endemici ad areale ristretto oppure elementi ad areale frammentato e relitto. Come vedremo nell’ampio capitolo dedicato agli invertebrati, molto numerose e di grande interesse conservazionistico e biogeografico sono infatti entrambe queste tipologie distributive, con particolare riferimento a specie presenti lungo le coste meridionali di Sicilia e Sardegna, e ad alcuni settori occidentali della Penisola. Circa i tempi della penetrazione e dell’eventuale isolamento degli elementi faunistici litoranei nel nostro Paese, è veramente difficile tentare delle generalizzazioni. Mai come nel caso degli ambienti costieri, lo zoogeografo storico deve continuamente subire gli “agguati” di talora sconcertanti e inattesi dinamismi attivi e passivi presentati da molte specie; sarebbe insomma azzardato tentare di redigere elenchi di specie o generi la cui presenza negli ambienti costieri italiani sia certamente associabile a questo o quel fenomeno paleogeografico o paleoclimatico. È lecito piuttosto segnalare alcune componenti faunistiche di un certo rilievo, per le quali è ragionevole ritenere che l’influenza di questo o quel fenomeno paleogeografico o paleoclimatico sia stato potenzialmente rilevante. Con queste doverose premesse, possiamo comunque ritenere che la maggior parte della fauna strettamente litoranea italiana sia di origine relativamente recente, probabilmente condizionata soprattutto dagli eventi paleoclimatici del Quaternario. D’altra parte, gli ambienti litoranei (quelli sabbiosi in particolare) hanno rappresentato sia in senso figurato che reale “l’ultima spiaggia” per un gran numero di componenti floristiche e faunistiche dislocate dalle aree di origine, sotto la pressione dei severi cambiamenti climatici intervenuti durante il PlioPleistocene. Questo tipo di fenomeni ricorrenti è intervenuto con particolare

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Distribuzione spaziale dei sistemi spiaggia-duna italiani I forti interventi antropici a carico delle coste, verificatisi soprattutto nel secolo scorso, fanno sì che ci si trovi a descrivere l’estensione di sistemi di lidi sabbiosi che ben raramente sono completati dalle zone dunali e retrodunali che dovrebbero, in condizioni naturali, integrarli. Dei circa 7500 km di costa italiani, oltre 3000 sono infatti rappresentati da tratti sabbiosi più o meno utilizzati dall’uomo. Malgrado ciò, sulle coste italiane le spiagge sono distribuite un po’ dovunque, sia come ampi cordoni dunali, sia come spiaggette seminascoste nelle cale, magari sotto ampie scogliere rocciose o al margine di modeste aree portuali, talora raggiungibili soltanto dal mare. Le coste adriatiche presentano, di fatto, un lungo lido sabbioso che si estende da Monfalcone sino al Gargano, con la sola eccezione del promontorio del Conero (Ancona) e di alcune aree fra Ortona e Vasto. Il tratto settentrionale di questo litorale sabbioso, interrotto dalle lagune di Grado-Marano e Venezia-Chioggia, rappresenta il più ampio sistema di dune italiano, ed è costituito da una serie di litorali sabbiosi che si sviluppano in maniera quasi continua da Grado a Rimini. Le spiagge dell’alto Adriatico hanno una ridottisima pendenza, con valori che, riferiti al tratto fra la linea di costa e l’isobata 5 m, sono compresi fra 0,3 e 0,7 % per salire a valori oltre l’1% attorno a Pesaro e compresi fra 3 e 8% nell’area attorno al Monte Conero. L’intero sistema dunale è il risultato, a quanto sembra, di un lungo periodo di stabilità del litorale, che si sarebbe avuto al termine della fase di riscaldamento climatico dopo l’ultima culminazione glaciale. Si ipotizza che la formazione di questo sistema dunale risalga a circa 5000 anni fa, quando il naturale abbassamento della costa, in atto da tempi geologici, ha potuto essere equilibrato dall’innalzamento dovuto all’isostasi in conseguenza della fusione della calotta

Paolo Audisio · Giuseppe Muscio · Sandro Pignatti ambientale, fortunatamente, si possono ancora riconoscere in fasce come quelle fra Bibione e Caorle o fra Chioggia e Ravenna. Le spiagge si prolungano ancora su gran parte della costa adriatica a Sud di Rimini, nelle Marche ed Abruzzo fino ad oltre Pescara, però in generale l’arenile forma una striscia abbastanza sottile, essendo limitato verso l’interno dalla ferrovia, da strade, centri abitati e dalle superfici utilizzate da fiorenti attività orticole. Sempre

glaciale alpina. In quell’epoca il clima era più caldo di quello attuale e questo avrebbe permesso al leccio di espandersi sul litorale; esso rimane tuttora in popolazioni isolate sulle dune di Mesola, Rosolina ed al Bosco Nordio di S. Anna di Chioggia. In seguito il Po ruppe il cordone di dune e queste, oggi, sono separate dal mare da alcuni chilometri di terraferma; sul delta le foci del Po sono avanzate molto addentro nell’area un tempo occupata dal mare. A sua volta invece il mare ha rotto la duna in vari punti, formando le lagune. La formazione del delta e delle lagune sono avvenimenti di epoca storica e di essi ci rimangono anche testimonianze da documenti dei contemporanei. Per secoli, a partire dal Medio Evo, la Repubblica di Venezia ha attuato opere idrauliche imponenti per mantenere la laguna: i tagli per deviare i fiumi che sboccavano in laguna ed i Murazzi come difesa a mare. Queste opere hanno contribuito a modellare il litorale e sono state proseguite fino ai primi del secolo XX. Nonostante i cospicui interventi dell’uomo, il sistema di dune dell’Alto Adriatico offre tuttora il più ampio sviluppo di spiagge del nostro paese; esse negli ultimi decenni sono divenute sede di importanti attività turistiche, che hanno portato il benessere in un’area prima malarica e quasi disabitata, ma il cui peso ambientale è evidente a tutti. Alcune aree di notevole valore

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COSTE SABBIOSE

sull’Adriatico va ricordata l’ampia fascia sabbiosa che da Termoli si sviluppa fino ai settori settentrionali del Gargano. L’Adriatico meridionale e lo Jonio presentano una continua alternanza di coste alte, rocciose e di lidi sabbiosi. Le spiagge sono estese con continuità solo a Sud di Manfredonia, poi nel resto della Puglia le coste sono per lo più rocciose, pur non mancando importanti tratti residui di più o meno sottili sistemi dunali, soprattutto nel Salento (vedi foto). Più ampi e profondi sistemi spiaggia-duna sono ancora presenti nel tratto fra Taranto, Metaponto e Policoro (qui con pendenze medie fra 1 e 1,5%), mentre spiagge di una certa estensione si sviluppano poi all’estuario dei maggiori fiumi (Piana di Sibari, Lidi di Catanzaro). Il basso Tirreno in Campania, Basilicata e Calabria presenta analoghe caratteristiche, con coste prevalentemente alte e rocciose, alternate a brevi lidi sabbiosi (Piana di Gioia Tauro, Piana di Sant’Eufemia, Golfo di Policastro); le spiagge, alcune di grande bellezza, hanno quindi soltanto sviluppo locale. Risalendo si incontra l’ampia Piana del Sele, che si estende fra Paestum e Salerno, poi le spiagge riprendono a Nord della Penisola Sorrentina solo in CB alcuni tratti lungo le espansioni vulcaniBA che dell’area di Napoli. Da TerPZ racina verso Nord riprende il dominio dei lidi sabbiosi, interrotti da alcuni promontori rocciosi (Circeo, Civitavecchia, Argentario, RC Uccellina, Livorno, Punta Ala, Piombino). I valori medi delle pendenza tendono a diminuire da Sud verso Nord (1% attorno a Viareggio).

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Distribuzione spaziale dei sistemi spiaggia-duna italiani La Liguria presenta infine coste prevalentemente alte cui si possono alternare brevi lidi sabbiosi, soprattutto in corrispondenza di piccole foci fluviali, caratterizzati sempre da pendenze significative (3-6%), e da sviluppo solo locale. Come visto, il secondo esteso complesso di litorali sabbiosi peninsulari italiani si sviluppa sull’alto e medio Tirreno tra Viareggio e la Piana del Sele. Le coste sabbiose tirreniche di questo ampio settore differiscono profondamente da quelle adriatiche, sia come morfologia, sia soprattutto nel popolamento vegetale che è caratterizzato da un mediterraneismo molto più marcato. Tra gli elementi vegetali tirrenici che mancano sull’Adriatico si possono ricordare una miriade di agamospecie di Limonium (i gruppi di L. multiforme, L. pontium, L. remotispiculum ed altri), la palma nana (Chamaerops humilis) ed Anthyllis barba-jovis, che tuttavia si concentrano sulle coste rocciose; anche sulle spiagge e nelle macchie litorali si hanno comunque specie che non risalgono il versante orientale della Penisola. Anche sulle isole maggiori vi sono ampie spiagge, a volte assai ben conservate, ma più spesso esposte ad un forte impatto turistico. In Sicilia (soprattutto in quella settentrionale) le coste sono prevalentemente alte, ma vi si alternano lidi sabbiosi, generalmente brevi, in corrispondenza delle baie e degli estuari fluviali. La pendenza media di questi lidi è generalmente

attorno all’1-2%. Nelle vicinanze di Palermo, Mondello e Sferracavallo, spiagge un tempo di grande bellezza anche naturalistica, sono ormai in gran parte urbanizzate; ancora di rilievo è invece il sistema di spiagge del Golfo di Castellammare. Le uniche fasce sabbiose abbastanza continue, estese, e, come vedremo, in alcuni tratti ancora di grande rilievo ambientale, sono quelle del versante sudoccidentale dell’ Isola che si affacciano sul Canale di Sicilia (particolarmente importanti quelle dei litorali intorno a Gela), quelle del Siracusano e del Ragusano, e quelle della Piana di Catania. In Sardegna si possono ricordare soprattutto le coste occidentali e meridionali dell’Isola, in particolare quelle del Golfo dell’Asinara, le spiagge connesse al Golfo d’Oristano e del Sulcis, il Poetto, la spiaggia di Quartu. Dune di rara bellezza sono quelle di Is Arenas (vedi foto), a Sud di Oristano, alcune delle quali sono alte decine di metri, e quelle tra Marina di Arbus e Capo Pecora, sempre nell’Oristanese. Con questo elenco si sono indicati soltanto i più cospicui esempi di litorali sabbiosi, nei quali si possono trovare ambienti di particolare interesse naturalistico, senza avere assolutamente la pretesa di completezza ed omettendo molte zone di grande interesse turistico che però, proprio per questo, spesso hanno ormai perduto gran parte del loro valore ambientale.

rilievo e con effetti di grande portata, specialmente nelle aree euro-mediterranee, dove una discreta percentuale dei sistemi dunali è localizzata lungo penisole molto estese latitudinalmente (come quella italiana), o in grandi isole, che nei periodi catatermici (freddi) hanno rappresentato già nel loro insieme delle importantissime aree rifugiali. L’effetto combinato della “sindrome dell’ultima spiaggia” e dell’abbassamento del livello dei mari durante i picchi glaciali, con le conseguenti ampie Calicnemis latreillei (dinastidi), connessioni territoriali sia verso Est elemento specializzato psammo-alofilo ad areale frammentato che verso Sud-Ovest, hanno spesso causato una sovrapposizione multipla di componenti faunistiche e floristiche di tipo prevalentemente ma non esclusivamente xero-termofilo, originatesi non solo in ambienti strettamente litorali o perilitorali (macchie e garighe mediterranee o submediterranee), ma anche in praterie steppiche, brughiere, in ambienti sabbiosi interni perifluviali e perilacustri, o in aree salmastre interne. In questo senso non va probabilmente troppo sottovalutato nemmeno il ruolo svolto proprio dagli ambienti dunali e retrodunali sabbiosi come stretto “istmo ecologico termofilo” durante i periodi glaciali. Ciò potrebbe avere consentito l’accesso perilitoraneo recente di non trascurabili componenti alofile, igrofile ma anche moderatamente termofile, quindi non solo di provenienza settentrionale, ma anche sud-orientale (Balcani) e sud-occidentale (Sistema Sardo-Corso, Sicilia, Nord Africa), sfruttando le mutevoli continuità territoriali consentite dall’abbassamento dei livelli del mare. Soprattutto in alcune aree del Paese, come i settori meridionali della Penisola, la Sicilia e la Sardegna, gli eventi del Messiniano, e in alcuni casi anche quelli oligocenici, hanno certamente lasciato un’impronta di grande rilievo, consentendo l’ingresso di molti elementi xerofili, psammo-igrofili o psammo-alofili, perlopiù di origine o a prevalente distribuzione nordafricana, saharo-sindica oppure asiatica sud-occidentale che, seppure con alterne fortune, hanno potuto sopravvivere ed in molti casi differenziarsi localmente a livello specifico. L’insieme di queste circostanze ha comunque prodotto anche nella fauna percentuali insolitamente alte di elementi specializzati (“specialisti” psammofili o psammo-alofili sia primari che secondari) negli attuali ambienti dunali, rispetto al numero totale di specie che attualmente ne costituiscono in modo più o meno stabile le comunità biotiche.

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La vegetazione delle spiagge SANDRO PIGNATTI

■ Le piante colonizzano l’arenile e la duna Generalmente le spiagge interessano soprattutto chi va al mare per divertimento; può sembrare inatteso che esse abbiano un grande valore anche dal punto di vista naturalistico e costituiscano una componente piccola ma importante della nostra identità culturale. In particolare, la flora delle spiagge è già da secoli oggetto di studio, per le sue caratteristiche biologiche ed ecologiche del tutto peculiari. Nel 1787 J. W. Goethe, giunto da poco a Venezia, andava sul Lido, allora quasi deserto, per una prima presa di contatto con il litorale mediterraneo: fu in questa occasione, che, dall’osservazione del teschio di un bovino restituito dal mare, ebbe la prima intuizione della teoria vertebrale del cranio. Il litorale, nella sua fascia più esterna, a diretto contatto con il mare, il cosiddetto bagnasciuga, è sempre privo di vegetazione. Qui infatti si hanno condizioni ambientali che risultano proibitive a causa delle variazioni che si succedono con estrema rapidità: con l’alta marea, oppure durante le mareggiate, l’acqua marina spazza il litorale, che rimane impregnato di sale, mentre quando il mare si ritira, la sabbia superficiale si secca quasi completamente; basta una breve pioggia, perché il sale venga rapidamente dilavato. In questa fascia si accumulano i detriti portati dalle onde: a seconda delle condizioni dei fondali antistanti sono in generale costituiti da nicchi di molluschi oppure da alghe ed erbe marine come zostera e posidonia. Su questi resti organici si sviluppa una fauna molto ricca, costituita in parte notevole da animali che si possono spostare rapidamente quando le condizioni si fanno sfavorevoli: specie marine che risalgono nelle pozze e sulla sabbia umida, oppure uccelli ed insetti in grado di volare. Per le piante, che non hanno possibilità di spostarsi, questo ambiente è invece del tutto inospitale: i semi vengono spazzati qua e là dal continuo rimescolamento della sabbia, una plantula che eventualmente riuscisse a germinare è sottoposta all’alternanza dello stress salino con l’alta marea e dell’atmosfera calda e secca quando la radiazione solare è più intensa. Queste sono condizioni estreme, che nessun vegetale è in grado di tollerare. Per questi motivi, sull’arenile la vita è limitata alla componente animale. Soltanto nella fascia più interna, al di sopra del livello massimo di marea, e dove le mareggiate possono arrivare soltanto in casi del tutto eccezionali, si possono osservare i primi rappresentanti del mondo vegetale.

Crucianelleto nell’area dell’Argentario (Toscana)

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Le pioniere. Nella prima fascia, in generale a 50 m e più dalla linea di costa, la vegetazione è costituita soltanto da specie a ciclo breve: si tratta di piante che germinano in autunno oppure alla fine dell’inverno ed hanno un periodo vegetativo che a volte dura soltanto 1-2 mesi, nel quale compiono la fioritura, producono frutti e quindi si seccano. Ai primi di giugno i frutti si aprono e lasciano cadere i semi che, coperti dalla sabbia, rimangono quiescenti fino all’autunno. La specie più Sparto (Ammophila littoralis) comune è il ravastrello marittimo (Cakile maritima), una succulenta. Nella fascia più arretrata si nota la comparsa di graminacee perenni come gramigna delle spiagge (Elytrigia) e sparto (Ammophila), e la loro diffusione avvia il processo di formazione della duna. L’occupazione del suolo effettuata da Cakile è un fenomeno del tutto occasionale, nel quale si associano altre specie a ciclo breve come la salsola erba-cali (Salsola kali) e l’euforbia delle spiagge (Euphorbia peplis): la copertura della superficie è molto bassa, spesElytrigia juncea so appena il 5 % del totale, ed alla fine del periodo vegetativo rimangono soltanto pochi sterpi secchi, che vengono portati via dal vento; i semi nell’anno successivo germineranno probabilmente altrove. Si tratta dunque di una fase pioniera del tutto instabile. Tuttavia essa è già sufficiente a formare un ostacolo alla sabbia portata dal vento, che in qualche punto comincia ad accumularsi. Dune embrionali. In questo processo si inserisce Elytrigia juncea (più nota con il nome di Agropyrum junceum), che è una graminacea perenne psammofila, cioè adattata alla vita sulla sabbia. Essa ha la necessità di distanziare l’apparato radicale dalla falda profonda del suolo, che è costituita da acqua salmastra, e soltanto i semi caduti su questi accumuli di sabbia producono piante in grado di svilupparsi. A differenza di Cakile e Salsola si tratta di una specie che produce rizomi orizzontali: questi strisciano sulla sabbia oppure si propagano a

Il trinomio dinamico

Sandro Pignatti

Nella fascia più interna le spiagge hanno la tendenza a modellarsi e costituire ondulazioni alte 4-6 m sul livello del mare: le dune. Nelle fasce sabbiose più ristrette può trattarsi soltanto di sabbia accumulata contro un argine oppure la scarpata della strada litoranea; dove invece la formazione sabbiosa è ampia, le dune costituiscono una fascia profonda centinaia di metri. Si tratta di un ambiente il cui aspetto primigenio viene immediatamente percepito dal visitatore, dove volentieri ci si ferma a campeggiare, ed anche un obbiettivo classico per le ricerche dei naturalisti. La prima interpretazione scientifica di questo ambiente è dovuta ad uno studioso francese, Kuhnholz-Lordat, che attribuisce la genesi delle dune all’interazione tra vento e vegetazione, che costituiscono il “binomio dinamico”: in realtà anche un terzo fattore è necessario, e cioè la presenza di sabbia, perché se il suolo fosse roccioso le dune non si potrebbero formare. Sembra dunque più realistico parlare di un trinomio dinamico: VENTO

SABBIA

DUNA

VEGETAZIONE

Ravastrello marittimo (Cakile maritima)

Il vento, sostanzialmente la brezza marina, che si ripete quasi ogni giorno, sposta la sabbia verso l’interno; la vegetazione che si impianta su questa costituisce un ostacolo e la sabbia si ammucchia formando la duna. Quando si hanno bufere con vento intenso le parti più elevate e più esposte vengono invece erose e la sabbia viene portata lontano, e questo processo è tanto più intenso quanto più alta è la duna. Si stabilisce così un livello di compensazione, nel quale deposizione ed erosione si equilibrano ed in questo modo viene regolata l’altezza della duna. Sulle coste che fronteggiano gli oceani si possono avere dune molto elevate, fino a 20-30 m e più. La duna è un ambiente del tutto speciale. Le particelle della sabbia non sono in grado di trattenere l’umidità e le piante debbono adattarsi ad un substrato quasi privo di acqua e che sotto l’azione del sole può raggiungere temperature elevate; invece la salinità è molto bassa, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, data la vicinanza del mare, in quanto il sale portato dall’aerosol marino viene facilmente dilavato dalle piogge. Tutti i fenomeni della vita vegetale ed animale debbono essere regolati in modo da poter tollerare senza danni queste condizioni.

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qualche centimetro di profondità e consolidano il suolo sabbioso; i culmi fioriferi sono alti 3-4 dm. Alla fase pioniera segue così una vera e propria colonizzazione: la differenza è essenziale, perché le piante di Elytrigia juncea si mantengono per molti anni e l’occupazione del suolo diviene permanente; sull’ostacolo rappresentato dai fusti di questa graminacea la sabbia si deposita formando piccoli accumuli, alti talora fino a pochi decimetri: le dune embrionali. Si offre così ad altri semi la possibilità di germinare ad una certa distanza dalla falda salmastra e la vegetazione si propaga. Anche in questo caso la copertura della superficie rimane bassa, tuttavia Calcatreppola marittima (Eryngium maritimum) essa può raggiungere il 20-30 % del totale. Inizia in questo modo un processo di auto-organizzazione: la vegetazione si costruisce il proprio ambiente. Formazione della duna. Un ulteriore processo di sviluppo si avvia quando sulla duna embrionale compare un’altra graminacea psammofila perenne: lo sparto pungente (Ammophila littoralis = A. arenaria). La differenza rispetto ad Elytrigia juncea è importante, benché si tratti di specie della stessa famiglia. In Elytrigia juncea i culmi crescono isolati e le foglie sono distanziate l’una dall’altra, flaccide e spesso aderenti alla superficie della sabbia; invece Ammophila ha robusti culmi eretti, alti fino a un metro e mezzo, le foglie sono anch’esse erette e formano un cespo denso alto un metro e più. La pianta cresce formando una copertura generale del suolo, che può estendersi su parecchi metri quadrati, e dove è impossibile decidere se si tratta di un solo individuo oppure di molti individui inestricabilmente mescolati. Questo costituisce una barriera alla sabbia portata dal vento, che si deposita tra i fusti di Ammophila, alzando il livello della duna; fusti e foglie crescono a loro volta e la duna s’innalza. Il processo di auto-organizzazzione continua. La duna è un ambiente estremamente instabile. La sabbia si accumula alla base di Ammophila, mentre i lati della duna, in forte pendenza, sono spesso sede di intensi processi erosivi. Sulle coste tirreniche, una singola libecciata con forte vento, della durata di poche ore, può asportare strati di sabbia anche di parecchi decimetri, che ovviamente vengono ridepositati su altre dune vici-

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Camomilla marina (Anthemis maritima)

ne. Non è raro, dopo queste burrasche, vedere piante di Ammophila completamente scalzate dal suolo e con le radici scoperte. In generale dopo questi traumi però la graminacea rimane vitale ed in poco tempo si deposita nuova sabbia che permette alle radici di riprendere la loro funzione vegetativa. Con la costruzione della duna la vegetazione psammofila raggiunge uno stadio di maturità. Nell’ammofileto troviamo ancora: erba medica marina (Medicago marina), assieme a vilucchio marittimo (Calystegia soldanella), zigolo delle spiagge (Cyperus capitatus), euforbia marittima (Euphorbia paralias), calcatreppola marittima (Eryngium maritimum), finocchio litorale spinoso (Echinophora spinosa), giglio marino comune (Pancratium maritimum), camomilla marina (Anthemis maritima), ginestrino delle spiagge (Lotus commutatus), violaciocca (Matthiola spp.) ed altre; la copertura sale di norma al 50-70 %. Anche la vita animale è abbondante, soprattutto per la presenza di numerosissimi esemplari di alcuni molluschi (in particolare Theba pisana): i nicchi vengono spostati facilmente dal vento ed accumulati sul fianco della duna, assieme a resti delle conchiglie spiaggiate sulla riva del mare. I nicchi vengono sbriciolati ed il carbonato che li costituisce va ad arricchire il suolo. L’ammofileto è uno stadio durevole, pur nelle continue variazioni imposte dal vento, e si può mantenere indefinitamente. Le prime dune verso il litorale (dune bianche) sono le più esposte al vento marino, mentre le dune più interne (dune grigie) sono maggiormente protette. Nelle dune più esposte le piante possono mantenersi solo con speciali adattamenti: Ammophila non viene mai sommer-


sa dalla sabbia perché le sue foglie sono molto più lunghe di quanto si possa accumulare in breve tempo; altre specie sono invece annuali ed affidano la sopravvivenza ai semi. Negli ambienti più protetti è permessa la sopravvivenza anche a piante che, per avere gemme prossime al terreno (camefite), potrebbero venire danneggiate dai movimenti della sabbia. Si prepara così un ulteriore cambiamento della vegetazione.

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Santolina delle spiagge (Otanthus maritimus)

Ononide screziata (Ononis variegata)

Efedra (Ephedra sp.)

Le dune consolidate. Le dune della fascia più interna hanno altezza simile a quelle che ospitano l’ammofileto, però si distinguono per un profilo più dolce, con fianchi in lieve pendio. Ammophila rimane presente anche in questa fascia, però in generale si tratta di individui di dimensioni minori e con crescita meno densa. Il substrato anche qui è sabbioso, tuttavia con una certa componente di terra fine, così da risultare maggiormente compatto. La copertura del suolo è più ampia che nelle fasi precedenti, grazie alla presenza di specie di piccole dimensioni. La deposizione di sabbia portata dal vento qui è quasi completamente cessata, ed anche i processi erosivi, grazie alla copertura vegetale, sono ridotti: la serie dunale qui appare abbastanza stabilizzata. Sulle coste mediterranee in questo ambiente si ha il “crucianelleto”, con specie psammofile lignificate alla base quali la camomilla marina, Crucianella maritima (che dà il nome all’associazione), la santolina delle spiagge (Otanthus maritimus=Diotis maritima); nella Sardegna settentrionale a queste

si aggiunge lo spillone delle spiagge (Armeria pungens). Sulle coste dell’Alto Adriatico, da Grado a Rimini, si ha invece lo scabioseto, con Scabiosa argentea var. alba (vedovina delle spiagge) e l’apocino veneto (Trachomitum venetum), mentre spesso la superficie della duna è coperta da un tappeto del muschio Tortula ruraliformis, assieme a vari licheni: questa vegetazione crittogamica si sviluppa soprattutto nei mesi invernali, quando la sabbia è più umida, e può arrivare anche ad una copertura totale del suolo. Anche le specie annuali sono molto diffuse e soprattutto in primavera possono dare splendide fioriture, ad esempio ononide screziata (Ononis variegata) e Silene colorata. È molto interessante notare come su queste dune consolidate possa comparire, sia pure sporadicamente, qualche individuo di piante legnose, che normalmente crescono come arbusti o alberi, ma qui rimangono in generale di piccole dimensioni: qualche ginepro, leccio o lentisco sulle coste meridionali, oppure la ginestra (Spartium junceum, ginestra odorosa) sulle coste venete. Si tratta di una tendenza che col tempo si affermerà sempre più fino alla formazione della macchia e della selva litoranea. Lungo le dune consolidate delle regioni meridionali compaiono con una certa frequenza anche altre leguminose arbustive, come la rara ginestra bianca (Retama raetam subsp. gussonei) in Sicilia o le curiose efedracee del genere Ephedra (Ephedra fragilis ed E. distachya). Soprattutto lungo le dune nei pressi di foci fluviali lungo quasi tutta la Penisola e le Isole maggiori o in corrispondenza di ampie fiumare nel meridione, abbondano sovente anche le tamerici (Tamarix spp.). Le lacune interdunali. Nel paesaggio dunale stabilizzato si viene tuttavia a formare un ambiente di aspetto del tutto differente, modellato dallo scorrimento dell’acqua meteorica verso le vallecole interposte tra l’una e l’altra duna. Si avviano in questo caso dei processi che spostano materiale dal sommo della duna alla base di questa: si tratta delle particelle più fini e della materia organica derivante dal disfacimento dei vegetali. Inoltre l’acqua arricchita di anidride carbonica ha funzione debolmente acida e scioglie il calcare presente nelle sabbie oppure nei nicchi dei molluschi accumulati sulla duna. In questo modo si ha un processo di dilavamento, la lacuna interdunale tende lentamente ad abbassarsi e si compatta sempre più; nel suolo si accumula il materiale fine (limo e argilla) e l’acqua della falda ha maggiore possibilità di risalire per capillarità. Dopo un tempo prolungato, che va misurato in decenni oppure un secolo o più, tra le dune consolidate si forma una fascia di ambienti umidi, a volte con vero e proprio carattere palustre, almeno in inverno. Nella fascia interdunale flora e fauna sono del tutto differenziate rispetto all’ambiente di duna. Vengono a mancare i problemi meccanici generati dalla mobilità delle sabbie e dall’azione del vento ed il fattore selettivo primario diviene la capacità di raggiungere con le radici la falda acquifera. Per questo si nota subi-

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Il significato della salinità

Composizione granulometrica della sabbia sulla duna di Punta Sabbioni, Venezia. In rosso la sabbia fine (200-50µ) e in blu la sabbia grossolana (1000-200µ)

to una prevalenza delle geofite, piante con rizomi sotterranei come giunco nero comune (Schoenus nigricans), giunco marittimo (Juncus maritimus), giunco pungente (Juncus acutus) ed altre. Tuttavia qui si innesta un problema che finora aveva avuto poco significato: la salinità. Le piante di duna utilizzano soprattutto l’acqua piovana e - come già detto - non hanno particolari problemi di resistenza alla salinità. Invece le piante delle lacune interdunali attingono alla falda che, data la poca distanza dal mare, è infiltrata di acqua marina. In generale si tratta di acqua salmastra, cioè con salinità ridotta, però con forti variazioni stagionali: in inverno, quando le piogge sono abbondanti, l’ambiente ha acqua quasi dolce, in estate invece, mancando le piogge, la forte evaporazione accentua la risalita dell’acqua salmastra, ed in superficie si concentra la salinità. La risposta delle piante a questo fattore ecologico può variare; troveremo quindi: - alofite obbligate (specie che vivono esclusivamente in ambiente con salinità bassa ma più o meno costante): canna del Po (Erianthus ravennae), giunchetto minore (Holoschoenus romanus), Juncus maritimus, Juncus acutus, Limonium caspium, piantaggine a foglie grasse (Plantago crassifolia); - specie alo-tolleranti (che di regola vivono in ambienti continentali, ma possono sopportare la salinità, purché bassa): centauro giallo (Blackstonia serotina), Centaurium spp., elleborine palustre (Epipactis palustris), genziana mettimborsa (Gentiana pneumonanthe), gramigna altissima (Molinia altissima), cannuccia di palude (Phragmites australis), piantaggine di Cornut (Plantago cornuti) e giunco nero comune.

Come già affermato, il fattore ecologico primario per le piante di spiaggia è dato dalla mobilità della sabbia per effetto del vento e dalla difficoltà di procurarsi l’acqua, e non dalla presenza di sale. Per comprendere il significato del sale nell’ambiente della spiaggia, bisogna tenere presente che la sabbia è un substrato costituito da particelle molto più grandi di quelle di un normale terreno agrario o forestale. Nei suoli si possono distinguere tre componenti, di diametro progressivamente minore: sabbia, limo e argilla. Nei suoli dell’interno, limo e argilla prevalgono, nella spiaggia invece la sabbia costituisce il 100 % o quasi del substrato. I granelli di sabbia sono piccoli e non arrivano a costituire una massa compatta come le particelle di limo e di argilla: caratteristica essenziale della sabbia è quindi di rimanere incoerente. Per questo la sabbia risulta estremamente permeabile all’acqua. Il sale è disciolto in grande quantità (concentrazione del 34-37 ‰) nell’acqua marina; non si tratta del solo cloruro di sodio, ma esso è accompagnato da quantità minori di altri cloruri, bromuri, solfati, ecc. L’acqua marina imbeve la sabbia e costituisce una falda salata: le radici che potessero raggiungerla non potrebbero assorbire acqua a causa dell’elevata pressione osmotica determinata dai sali in soluzione. Così le piante di duna si tengono lontane dalla falda salata e allungano le loro radici orizzontalmente, negli strati superficiali, formando una

Sandro Pignatti rete sviluppatissima. L’acqua piovana inumidisce la sabbia, e le radici di Ammophila (vedi foto) e delle altre specie psammofile sono in grado di catturarla prima che scenda per gravità e si mescoli alla falda salata. Dunque, le specie delle dune utilizzano l’acqua delle precipitazioni, come qualsiasi pianta dell’interno, e non si avvantaggiano dalla vicinanza dell’immensa quantità di acqua marina. Il solo apporto salino nell’ambiente delle dune è dato dall’aerosol provocato dal moto ondoso: in prossimità della costa l’atmosfera porta una notevole quantità di acqua contenente sale in concentrazione poco differente da quella dell’acqua marina. Però il frangere della risacca sui lidi sabbiosi in regime di brezza è un fenomeno limitato, almeno da noi (sulle coste dell’oceano la situazione può essere differente) e la deposizione di sale si limita ad una fascia di qualche decina di metri, talora solo pochi metri dal bagnasciuga. Il fenomeno è più marcato durante le burrasche invernali e sulle coste rocciose, dove l’apporto salino può essere sensibile anche 100 e più metri al di sopra del livello del mare. L’acqua salata eventualmente portata dall’aerosol si deposita sulla superficie della sabbia e sulle piante che vivono su questa: l’acqua evapora ed il sale rimane in forma cristallina, dunque relativamente innocua per la pianta. Alla prima pioggia il sale, che è solubilissimo, si scioglie, passa nella sabbia, fortemente diluito, e non disturba ulteriormente la pianta. Per questi motivi solo raramente si constatano danni da sale causati a piante della duna. Da queste considerazioni si può comprendere perché le specie delle lacune interdunali, che attingono direttamente alla falda salmastra, risultino adattate ad un ambiente del tutto distinto da quello della duna.

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In questo ambiente si ha pure la presenza di una ricca avifauna, che contribuisce a regolare i rapporti tra le specie vegetali. Si può ricordare un episodio molto significativo. Durante la seconda guerra mondiale a S. Nicolò di Lido, sul litorale veneziano, erano stati costruiti dei bunker in cemento, nascosti tra le dune dell’ammofileto. Alla fine delle ostilità (aprile 1945) vennero fatti esplodere e ne rimasero dei crateri profondi alcuni metri; sul fondo di questi la falda formava un piccolo laghetto salmastro. Già nel 1950 si poteva constatare come alcuni di questi laghetti fossero stati invasi dalla palla-lisca costiera (Schoenoplectus litoralis), con fusti alti più di un metro. Si tratta di una Pino marittimo (Pinus pinaster) specie che nonostante il nome non è esclusiva dei litorali, mai osservata sull’isola del Lido di Venezia, ma sporadicamente diffusa alle foci dei fiumi dal Piave all’Isonzo. Le popolazioni più prossime distavano una ventina di chilometri; i frutti sono piccoli, sferici, lisci, non possono venire portati dal vento, e non avrebbero potuto arrivare galleggiando sulle acque, perché i laghetti di S. Nicolò erano privi di ogni connessione con altre acque dolci o salate. La spiegazione più verosimile è un trasporto da parte di uccelli, perché i frutti possono aderire al piumaggio, oppure più probabilmente, attraverso il canale intestinale (disseminazione endozoocora). Rimane comunque impressionante il breve tempo sufficiente perché questa specie riuscisse ad occupare la nicchia vacante. Le zone umide interdunali ospitano una flora di grande valore ambientale e le interazioni tra le specie a livello di comunità sono del tutto peculiari: però questi ecosistemi sono ora in fase di rapida scomparsa, come in generale tutte le zone umide in Europa. ■ Macchia e selve litoranee La vegetazione dei litorali sabbiosi raggiunge la sua forma più complessa nella fascia di transizione all’ambiente continentale, quando la superficie viene occupata da specie legnose: in generale una macchia di piante cespugliose costituisce la fase pioniera, che, quando le condizioni diventano favorevoli, viene sostituita da foresta d’alto fusto.

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Pino d’Aleppo (Pinus halepensis)

Pino domestico (Pinus pinea)

La vegetazione cespugliosa delle dune può venire osservata solamente in zone a clima mediterraneo: essa è costituita da ginepri di grandi dimensioni. Anche le specie accompagnatrici sono per lo più arbustive, come lentisco, fillirea ed i cisti; ad esse a volte si unisce anche il leccio, però sempre a portamento arbustivo. Su antichi complessi dunali ormai consolidati si possono avere altri tipi di vegetazione arbustiva, come la macchia a cisti oppure la macchia a lentisco ed olivo selvatico con la palma nana (Chamaerops humilis), il mirto (Myrtus communis), la fillirea a foglie strette (Phillyrea angustifolia), l’asparago pungente (Asparagus acutifolius) e l’edera spinosa (Smilax aspera). La macchia mediterranea è ampiamente trattata nel relativo volume di questa collana. La selva litoranea è in generale costituita da pinete, tuttavia non si deve da questo dedurne che la vegetazione delle spiagge tenda naturalmente verso la pineta. Infatti nella maggior parte dei casi si tratta di pinete impiantate, o per lo meno mantenute tali, dall’uomo. Ce ne rendiamo conto anche dalle specie di pini che vi compaiono: Pinus pinea, P. pinaster e P. halepensis. Il primo è specie spontanea nella parte meridionale della Penisola Iberica e da noi compare soltanto come specie coltivata, salvo - forse - la pineta dei Peloritani in Sicilia. Il pino marittimo (Pinus pinaster), nonostante il nome, è specie dell’entroterra, diffusa in Liguria e Toscana settentrionale; sulle dune della costa tirrenica invece è in condizioni di coltura. Il pino d’Aleppo infine è spontaneo nelle zone più calde della Penisola e nelle Isole, però si presenta soprattutto in ambiente rupestre, ed anche qui le pinete litoranee, come ad esempio a Palinuro ed in


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Sardegna a Porto Pino, sono probabilmente coltivate. Le pinete litoranee hanno uno splendido effetto paesaggistico, ma dal punto di vista ambientale sono piuttosto scadenti, fatta eccezione per quelle realmente naturali. Nelle pinete di rimboschimento in generale si ha un eccezionale accumulo di aghi sul terreno, ed essi soffocano o banalizzano il sottobosco: alla fine il pino rimane solo, in una sorta di monocoltura. Soltanto mediante diradamenti successivi è possibile indurre la ripresa delle specie di macchia, ed avviare una conversione verso la lecceta nella zona mediterranea. Sulla costa dell’Alto Adriatico, da Ravenna a Grado, dove il clima è del tipo temperato, le latifoglie arbustive (fillirea, corniolo, ligustro, ecc.) soppiantano progressivamente il pino ed avviano il passaggio verso il querceto. Il tipo più complesso di vegetazione sulle dune più arretrate è costituito dalle querce: nella zona mediterranea si tratta del leccio (Quercus ilex), mentre sulla costa tirrenica e sull’Alto Adriatico si tratta di querceto misto con farnia, farnetto, cerro (Quercus robur, Q. frainetto, Q. cerris). Il querceto misto è un ambiente forestale di grande bellezza (cfr. il volume “Le foreste della Pianura Padana” di questa collana): gli individui più maestosi possono raggiungere 4-5 secoli di età ed un’altezza di 18-25 m; la flora del sottobosco è ricca di specie arbustive, ma la massima differenziazione è raggiunta dalla flora erbacea. Meno ricca è la flora della lecceta, perché in generale si tratta di un bosco molto fitto, nel quale il denso fogliame dello strato arboreo sottrae quasi completamente la luce al sottobosco. La specie dominante è il leccio, quercia sempreverde, di dimensioni minori rispetto alle latifoglie (alta in generale 12-20 m), ma in questo ambiente estremamente rigogliosa (cfr. il volume “La macchia mediterranea” di questa collana). ■ Adattamenti Per comprendere il significato degli adattamenti delle piante delle spiagge, è anzitutto necessario approfondire alcuni aspetti dell’ecologia del tutto particolare di questo ambiente. Infatti esso presenta per le piante condizioni che possono venire considerate estreme, cioè ai limiti della sopravvivenza per la maggior parte delle specie della nostra flora, e per questo si può ritenere che le psammofite (cioè le piante delle sabbie) debbano superare stress che sulla maggior parte delle altre piante avrebbero conseguenze letali. Come si è già visto nelle pagine precedenti, questi stress non derivano tanto dalla salinità, nonostante la vicinanza del mare, ma dalla secchezza dell’ambiente e dal calore. La secchezza è dovuta soprattutto al fatto che la sabbia, per le caratteristiche fisiche dei granelli che la compongono, trattiene l’acqua piovana solo in piccola parte e comunque per breve tempo. Il calore è dovuto alla radiazione solare, direttamente incidente sulla superficie della sabbia. I due effetti sono connessi tra loro,

almeno in parte: quindi il calore provoca l’evaporazione dell’umidità contenuta nella sabbia e contribuisce a renderla più secca; d’altra parte, la sabbia si surriscalda proprio per il fatto di essere secca. Si nota un costante aumento dall’arenile aperto alla duna ed infine all’ambiente colonizzato dalle specie legnose (macchia e selva). Questo è dovuto al progressivo accumularsi di una frazione di terra fine (limo ed argilla), che riesce a trattenere una crescente quantità di acqua; comunque si tratta di valori estremamente bassi. In effetti, come tutti sanno, la sabbia durante le ore meridiane in superficie è del tutto secca, almeno nei mesi estivi. Le radici si Euphorbia peplis, un’euforbiacea prostrata su una duna siciliana sviluppano in profondità, dove però i valori di umidità restano molto bassi, e comunque non possono attingere alla falda che è salina e risulterebbe tossica. Le temperature sulla spiaggia sono molto diversificate: ce ne rendiamo facilmente conto durante una giornata di vacanza al mare in estate. L’acqua del mare presso la costa può arrivare nei nostri mari a 22°-25° e sopra la superficie del mare la temperatura atmosferica è poco superiore, in generale tra 25° e 30°; sul bagnasciuga la continua evaporazione dell’acqua ha un effetto decisamente refrigerante e le temperature possono essere anche inferiori. Però, quando ci si inoltra sull’arenile, le temperature crescono rapidamente e verso il mezzogiorno ben pochi riescono a camminare sulla sabbia a piedi nudi: la sensazione di dolore sulla pianta del piede compare quando la temperatura della sabbia supera i 48°-50°. Sulla duna si possono avere temperature massime di 60° e più. Una prima generale conseguenza per le piante consiste in una drammatica difficoltà di procurarsi l’acqua indispensabile per mantenere attivo il metabolismo cellulare. Le alofite sono le piante che vivono sul fango lagunare salato. Esse hanno un problema analogo e l’hanno risolto elevando la pressione osmotica dei liquidi cellulari: in questo modo riescono ad assorbire l’acqua della falda, lasciando il sale nel substrato. Questo tuttavia alle piante di spiaggia non riesce di alcuna utilità: infatti quando l’acqua nel suolo non c’è, non si può cercare di assorbirla, ed alzare la pressione osmotica non serve a nulla. Consideriamo ora i principali adattamenti delle piante di spiaggia a queste proibitive condizioni ecologiche. Va in ogni caso affermato chiaramente che ogni

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Erba medica marina (Medicago marina)

Finocchio litorale spinoso (Echinophora spinosa)

Giglio marino comune (Pancratium maritimum)

AMMOFILETO ACCUMULO/EROSIONE

CRUCIANELLETO

AGROPIRETO ACCUMULO

EROSIONE

CAKILETO

AZIONE DEL VENTO

ACCUMULO

VEGETAZIONE

ARENILE SENZA VEGETAZIONE

pianta ha una propria strategia diversa da quella di ogni altra e che, comunque, su questo argomento ne sappiamo ancora ben poco; possiamo soltanto limitarci ad alcuni esempi: ● Succulenza. Le piante di spiaggia che posseggono parti carnose, nelle quali possono conservare una riserva d’acqua, sono relativamente poche, ad esempio Calystegia soldanella, Cakile maritima. ● Pelosità. Le foglie ed i fusti giovani sono coperti da un feltro compatto di peli, che protegge la pianta da una eccessiva traspirazione, ad esempio Otanthus maritimus, erba medica marina (Medicago marina). ● Rizomi striscianti sotto la sabbia. Gli apparati radicali vengono sottratti alle temperature troppo elevate della coltre sabbiosa. Li si può osservare nelle piante di tipo graminoide di quest’ambiente: Ammophila littoralis, Cyperus capitatus, Elytrigia juncea, Sporobolus pungens. Queste specie presentano la base del culmo avvolta da un manicotto di guaine fogliari secche, ed anche questo può costituire una protezione dal surriscaldamento. Presentano un apparato sotterraneo ben sviluppato, pur non essendo graminacee, anche Eryngium maritimum, Euphorbia paralias, Echinophora spinosa e il giglio marino comune (Pancratium maritimum). ● Foglie coriacee. La spessa cuticula e la scarsità di stomi limitano la perdita d’acqua per traspirazione, come avviene in Salsola kali, Echinophora spinosa, Crucianella maritima, Eryngium maritimum.

ACCUMULO

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Serie della vegetazione in un sistema di spiaggia-duna

Annualità. Un adattamento di tipo temporale e non morfologico è dato dal ristretto periodo vegetativo. La vita si svolge nel breve periodo invernale-primaverile, quando le piogge sono più frequenti ed il calore non raggiunge i picchi estivi: Euphorbia peplis, Ononis variegata, Pseudorlaya pumila (lappola delle spiagge), Silene colorata, Vulpia fasciculata (paleo delle spiagge). Probabilmente gli adattamenti più importanti sono però di carattere ecofisiologico, riguardano cioè la capacità di compiere determinati processi vitali anche in condizioni estreme di secchezza e disidratazione, tuttavia su questo argomento siamo ancora scarsamente informati. ●

■ Successione della vegetazione La vegetazione, come ogni oggetto vivente, è un sistema aperto, in continua trasformazione. L’immagine che noi possiamo avere della vegetazione non è dunque statica ma essenzialmente dinamica. Si parlerà quindi di “successione” quando, come scrive Mc Cormick: “…in un determinato sito differenti fitocenosi (ossia aggruppamenti vegetali) si presentino in successione temporale”. Si tratta cioè di formazioni vegetazionali che prendono il posto l’una dell’altra in un alternarsi ben definito e per nulla casuale. L’insieme delle associazioni che regolarmente si presentano in una successione costituisce una serie (ad esempio la serie dal cakileto alla macchia). Le spiagge sono un classico esempio per gli studi sulle successioni: su questo argomento Kuhnholtz Lordat ha fondato la sua teoria del binomio (o trinomio) dinamico, ed addirittura Lancisi per primo, già nel sec. XVIII, propose la “successione” come modello scientifico. Ridotta ai suoi termini essenziali, il succedersi della vegetazione delle spiagge può venire esemplificato come in figura.

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Questo modello, che evidenzia la serie dal cakileto alla macchia, è sufficientemente chiaro ed è facilmente riscontrabile in moltissimi esempi nel Mediterraneo e sulle coste oceaniche, tuttavia esso lascia un po’ insoddisfatti: infatti descrive cambiamenti che riscontriamo nella vegetazione percorrendo un transetto lineare, dalla riva del mare verso l’interno. È lecito però chiedersi dove risieda il dinamismo di tipo temporale, se cioè la successione avvenga sia nello spazio (dal litorale verso l’interno) che nel tempo, nel corso degli anni. La realtà è infatti molto più complessa. Per chiarire le cose si possono confrontare due modelli, rispettivamente sincronico e diacronico, che in questo caso rappresentano diversi livelli di approfondimento nella comprensione del fenomeno: ● Sincronico. L’insieme della vegetazione vista in un momento dato, corrisponde sostanzialmente allo schema di pag. 57. ● Diacronico. La successione, come ci appare quando venga seguita nel corso degli anni, decenni, secoli; ad esemio in un sistema ad elevata dinamicità come quello spiaggia-duna, in uno stesso punto si possono susseguire, anche in lassi di tempo relativamente brevi, associazioni vegetazionali differenti. In realtà i fenomeni biologici hanno in generale andamento ciclico, ed anche la successione presa in esame rientra in questo modello. Ad ogni passaggio di stagione e via via negli anni (a meno di grossi turbamenti esterni, quali catastrofi naturali o interventi antropici) i vari tipi di vegetazione (che nel modello sincronico appaiono stabili nella loro posizione) si stabiliscono su posizioni più avanzate. Alla fine avremo di nuovo un modello sincronico uguale al precedente ma il tutto è frutto di un processo diacronico che si è svolto durante decenni. Ogni anno la vegetazione ha una determinata crescita, poi seguono fioritura, fruttificazione, alcune piante perdono le foglie, altre si seccano completamente, poi nell’anno successivo il ciclo riprende con crescita, fioritura, ecc., però su posizioni un po’ più avanzate, e poi avanti, avanti, si passa da uno stadio all’altro, da un’associazione all’altra. Si ottiene quindi lo schema precedente, sincronico, ma il processo è intrinsecamente diacronico: esponendolo in maniera sincronica il fenomeno viene linearizzato e se ne perde la complessità. In effetti può anche succedere di aver l’occasione di osservare il fenomeno in serie diacronica. Sulla spiaggia di Punta Sabbioni, presso Venezia, venne costruito, ai primi del sec. XX, il molo foraneo per evitare l’insabbiamento del porto. Esso, secondo la cartografia del tempo, si addentrava nel mare su fondali di 1-2 metri. Dopo la costruzione del molo, la sabbia ha cominciato ad accumularsi sul lato ad Est. Nel 1950-52, in occasione di rilevamenti sulla vegetazione, la spiaggia era avanzata nel mare di oltre 500 m rispetto a quanto verificato nel 1937-39. Oggi la linea di spiaggia è di oltre un km più avanzata

59 40 °C 39 °C 38 °C 37 °C 36 °C 35 °C 34 °C 33 °C 32 °C 31 °C 30 °C 29 °C 28 °C 27 °C 26 °C 25 °C 24 °C 23 °C 22 °C 21 °C 20 °C ore 09

ore 10 ARENILE

ore 11

ore 12

ore 13

ore 14

AGROPIRETO

ore 15

ore 16

AMMOFILETO

ore 17

ore 18

ore 19

SCABIOSETO

Variazione della temperatura in un sistema spiaggia-duna

rispetto alla situazione di sessant’anni prima. In questo periodo di tempo si è effettivamente avuta la successione delle associazioni come mostrato nello schema (pag. 57), però in maniera molto più caotica, con continue azioni e reazioni. Nel complesso, il modello diacronico appare più realistico, anche se più complicato; ma sappiamo tutti che i fenomeni vitali sono complicati. La successione nella vegetazione trova una spiegazione nelle progressive variazioni delle caratteristiche del substrato. Quando si percorre la duna sembra che la sabbia sia sempre uniforme, invece precise analisi fisiche e chimiche possono rivelare differenze molto significative che ci permettono di comprendere come avvengano le fini variazioni in questo ambiente. Non si può in questa sede entrare nei dettagli, tuttavia sembra sufficiente fornire qualche dato sulle variazioni delle dimensioni delle particelle che compongono la sabbia (vedi pag. 50). Si nota come l’arenile privo di vegetazione abbia la sabbia più grossolana (diametro da 200 a 1000 micron); le dimensioni dei granelli rimangono quasi identiche nell’agropireto, mentre nell’ammofileto si ha una netta diminuzione; nello scabioseto ed ancor più nelle lacune interdunali la sabbia grossolana diviene molto meno abbondante e viene in gran parte sostituita da sabbia fine con particelle a diametro inferiore a 200 micron. A queste si accompagnano le parallele variazioni del microclima (vedi grafico sopra), e combinando questi due dati è possibile definire una nicchia ben precisa per ciascuna delle associazioni considerate.


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■ L’origine della flora litoranea Alcune evidenze ci permettono di ipotizzare che l’origine della flora litoranea sia molto antica: infatti si ritrovano simili gruppi e adattamenti sui due lati dell’Atlantico settentrionale, in Europa e Nordamerica, quindi si può supporre che questa vegetazione fosse già esistente nel Terziario quando gli scambi floristici tra i due continenti erano ancora possibili. Alcuni casi possono venire discussi: Elymus farctus s.l. è un gruppo (che include anche gli affini generi Agropyrum, Elytrigia ed Eremopyrum) concentrato negli ambienti subdesertici dell’Asia Centrale; si hanno diverse Giunco pungente (Juncus acutus) sottospecie distribuite sulle coste atlantiche e sulle spiagge mediterranee. Sembra, dai dati cromosomici, che il tipo atlantico sia quello ancestrale, mentre la stirpe diffusa nel Mediterraneo rappresenterebbe l’ultimo arrivato nell’evoluzione del gruppo. Anche in Ammophila si hanno sottospecie distinte sulle coste atlantiche e mediterranee, qui però si tratta probabilmente di un gruppo di derivazione occidentale. Più problematica è l’interpretazione di Juncus litoralis, che è strettamente collegato a J. acutus, specie decisamente alofila, largamente distribuita sui suoli salati. J. litoralis è invece strettamente localizzato nell’ambiente delle lacune interdunali, su suolo sabbioso salmastro: è stato lungamente ritenuto specie endemica in Italia (con il nome di J. tommasinii) ed altrove confuso con J. acutus. Da questi ed altri esempi sembra di poter confermare che la flora delle spiagge mediterranee si sia sviluppata in epoca relativamente recente, probabilmente dopo il Messiniano, cioè durante gli ultimi 5 milioni di anni, anche in connessione con le continue variazioni di livello del Mediterraneo durante le glaciazioni. Questa flora litoranea non è composta da un numero molto elevato di specie: nelle figure a destra, vengono rappresentati i grafici costruiti sulla flora delle spiagge vicino a Venezia, che comprende in tutto 110 specie. Sono state analizzate sia le forme biologiche (cioè gli adattamenti rispetto alla stagione avversa) che i tipi corologici (cioè la distribuzione geografica delle singole specie). Tanto le forme biologiche che i tipi corologici hanno una distribuzione che varia

decisamente rispetto a quella della flora italiana considerata nel suo complesso. In particolare, per quanto riguarda la forme biologiche si nota che sulle spiagge prevalgono specie annuali e specie erbacee con organi sotterranei, mentre nella flora italiana il gruppo prevalente è costituito dalle erbacee perenni. Più complessa appare la situazione per quanto riguarda i corotipi: le mediterranee (specie meridionali) sono ampiamente rappresentate in entrambi i casi, ma le specie settentrionali, molto abbondanti nella flora italiana, sulle spiagge sono ridotte ad una componente del tutto secondaria; invece sulle spiagge sia le specie occidentali che quelle orientali sono decisamente più abbondanti che nel totale della nostra flora.

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Incidenza percentuale delle forme biologiche nella flora delle spiagge, a Venezia (sinistra) e nella flora d’Italia (destra). Azzurro: specie annuali; rosa: erbe con rizomi sotterranei; giallo: erbe perenni; verde: arbusti nani; marrone: cespugli e alberi.

Incidenza percentuale dei tipi corologici nella flora delle spiagge, a Venezia (sinistra) e nella flora d’Italia (destra). Azzurro: specie occidentali; rosa: specie meridionali; giallo: orientali; verde: specie settentrionali; marrone: specie eurasiatiche; arancio: specie cosmopolite ed esotiche.

100 90

80 70 61

60 49

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0

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1

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2

1

1

VEGETAZIONE AGROPIRETO AMMOFILETO SCABIOSETO LACUNE LACUNE PIONIERA INTERDUNALI INTERDUNALI

10 1 SELVA LITORANEA

Variazioni delle forme biologiche nella successione delle spiagge a Venezia. In rosso: specie erbacee annuali; in blu: erbe perenni; in verde: cespugli ed alberi


Litorali sabbiosi e organismi animali PAOLO AUDISIO

■ Condizioni di vita negli habitat costieri sabbiosi Come abbiamo già accennato nei capitoli introduttivi, le coste sabbiose costituiscono degli ambienti che per loro natura mettono a dura prova la sopravvivenza degli organismi animali. I naturali fattori di stress che governano la sopravvivenza delle zoocenosi costiere sono molteplici, ma i più rilevanti possono essere così sintetizzati: ● La natura mobile del substrato, spesso effimera e variabile nello spazio e nel tempo, con la sabbia che, sospinta dal vento, tende frequentemente a ricoprire gli organismi animali più minuti e le loro potenziali risorse trofiche ● L’aridità del substrato a livello degli ambienti dunali e di spiaggia emersa, soprattutto nella stagione estiva, legata all’incapacità dei granelli di sabbia di trattenere significativamente l’umidità di origine meteorica, di per sé già limitata ● La povertà di nutrienti di norma presenti nei substrati di spiagge e dune sabbiose, in grado quindi di sostenere comunità relativamente limitate sia di produttori primari che di consumatori ● La salsedine, intesa sia come tenore salino dell’acqua circolante o imbibente i terreni, le sabbie umide e gli accumuli di detriti organici di origine marina, sia come presenza di cloruri che si trovano in vario modo in sospensione nella bassa troposfera, per azione dell’areosol marino, o cristallizzati al suolo per effetto della disidratazione superficiale, almeno fino al dilavamento e alla diluizione operati dalle piogge ● L’insolazione spesso molto marcata, specialmente nella stagione estiva, combinata con substrati superficiali di norma a bassa capacità termica, ovvero caratterizzati da grande facilità di surriscaldarsi e raffreddarsi rapidamente; questa condizione aumenta gli stress termici e le variazioni termiche circadiane a carico delle zoocenosi costiere ● L’elevata ventosità e l’esposizione alle mareggiate, che può portare alla frequente e continua rimozione fisica di molti organismi animali dai loro microhabitat naturali, sia in direzione marina che in direzione terrestre, con conseguente aumento della mortalità e diminuzione delle potenzialità riproduttive ● La tipica frammentazione di questi habitat costieri, sia naturale (dovuta all’alternanza di tipologie costiere differenti), sia indotta dall’uomo, e la loro caratteristica disposizione spaziale estremamente allungata lungo un solo asse,

Impronte di coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) sulle dune di Pachino (Sicilia)

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parallelo alla linea di separazione mare/terra; queste condizioni comportano ovvie difficoltà nelle attività riproduttive e nella diffusione di molte specie, soprattutto quelle più specializzate, con minori capacità di dispersione attiva, e con più ridotte dimensioni delle popolazioni, rendendole in definitiva più facilmente esposte a fenomeni di locale estinzione. D’altra parte, alcuni altri fattori abiotici degli habitat costieri risultano favorevoli alla vita animale e contribuiscono invece a mitigarne le dure condizioni generali o a consentirne un arrichimento delle comunità biotiche, quali ad esempio: ● La grande capacità termica delle masse idriche marine, che permette di mitigare in modo rilevante sia le eccessive temperature e aridità estive, sia le basse temperature invernali, consentendo quindi a molti organismi animali di raggiungere sia verso Sud che verso Nord latitudini atipiche, grazie al microclima costiero termicamente più favorevole e stabilizzato. Ad esempio, molte specie termofile a gravitazione mediterranea sono in grado di penetrare attivamente anche in aree costiere dell’Italia Settentrionale grazie all’azione termoregolatrice del mare che le lambisce, mentre non potrebbero sopravvivere in aree più interne, a clima invernale troppo rigido. Parallelamente, elementi tipici di biocenosi planiziarie mesofile e igrofile di tipo medioeuropeo (di norma stabilitesi durante periodi glaciali del Quaternario recente) riescono tuttora a sopravvivere qua e là anche a latitudini relativamente basse lungo la penisola e le grandi isole in zone costiere alle foci dei fiumi perenni, dove godono dei benefici termoregolatori estivi delle masse marine, combinati con quelli igroregolatori delle stesse foci fluviali.

Accumulo di sferoidi di posidonia (egagropili)

L’azione del moto ondoso e delle mareggiate e quella, spesso associata, delle alluvioni fluviali, che consentono apporti di materiali organici di varia natura (seppure ad andamento pulsante e di scarsa predittibilità), assai cospicui in alcuni settori, in particolare quelli prossimi alle foci dei grandi fiumi o ad estese praterie marine a Posidonia. Gli sferoidi di posidonia sono il frutto dello sfilacciamento dei residui fibrosi delle foglie che circondano il grosso rizoma; una volta staccatisi, questi, movimentati dalla risacca lungo la spiaggia sommersa, formano a poco a poco degli agglomerati sferici o ovali di colore marrone chiaro e di consistenza feltrosa, detti tecnicamente egagropili. In Rizoma di posidonia queste condizioni possono essere sostenute comunità animali, almeno a livello di invertebrati, anche di una certa consistenza e diversità, in termini di numero di specie e di strutturazione di ruoli trofici. ● Il già ricordato “effetto siepe” rappresentato dai cordoni dunali e dalle spiagge per molti organismi terrestri trasportati passivamente o semi-passivamente su ampi bracci di mare dalle correnti marine, dai venti, da alluvioni, specialmente durante tempeste ed eventi metereologici eccezionali. Questi fenomeni hanno certamente permesso a molte specie di diffondersi e adattarsi negli ambienti di spiagge, dune e lagune costiere italiani anche da distanze relativamente grandi (ad esempio dal Nord Africa) con queste modalità. Un discorso a parte va fatto per le aree di spiaggia a ridosso delle foci fluviali, dove, dopo ogni grande alluvione, soprattutto nei mesi primaverili e in quelli autunnali, un altissimo numero di specie di invertebrati terrestri e ripicoli viene trasportato verso il mare, e spiaggiato lungo i limitrofi litorali, dove in genere trova rifugio sotto i detriti vegetali arenati, per qualche giorno o qualche settimana. Qualche specie particolarmente euriecia è talora in grado di sopravvivere a lungo, e riesce perfino a riprodursi in situ, entrando più o meno stabilmente a far parte delle locali biocenosi costiere, ma la stragrande maggioranza di questi “naufraghi” soccombe o, quando possibile, semplicemente si disperde attivamente e progressivamente nell’entroterra. Molti biologi hanno sovente sottolineato le notevoli similitudini che accomunano gli ambienti litoranei sabbiosi con quelli desertici. In effetti, è vero che la neces●

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sità di resistere ad alte temperature diurne e di muoversi in substrati mobili, esposti ai venti e poveri di nutrienti, costituiscono pressioni adattative comuni a queste due tipologie ambientali. Va peraltro notato come, malgrado l’azione addizionale negativa della salinità (peraltro veramente importante solo nei settori più umidi a ridosso della battigia o in quelli pianeggianti più arretrati verso l’entroterra che subiscono periodiche inondazioni marine), altri fattori quali la mitigazione del clima su scala temporale circadiana e annuale, le maggiori predittibilità microclimatiche e trofiche, una più accessibile disponibilità di copertura vegetale almeno parziale e una maggiore umidità relativa, rendano comunque gli ambienti litoranei sabbiosi assai meno ostili rispetto a quelli desertici.

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■ Reti trofiche degli habitat costieri sabbiosi Prima di passare all’esame delle zoocenosi degli ambienti costieri sabbiosi, è opportuno fare un cenno sull’insieme delle relazioni trofiche che legano gli organismi animali con gli altri elementi degli ecosistemi litorali. In figura sono schematicamente sintetizzati i principali rapporti che interconnettono animali, piante e microorganismi del suolo, in un ipotetico sistema spiaggia-duna. Come si può notare, le relazioni sono relativamente semplificate, con tre principali

TERRAFERMA

VEGETAZIONE DUNALE RADICI SEPOLTE

PASCOLATORI LETTIERA PREDATORI

DETRITIVORI FAUNA INTERSTIZIALE DUNE

SPIAGGIA DETRITI MARINI · INVERTEBRATI INTERTIDALI

MARE

Accumulo di nicchi calcarei di Theba pisana

catene trofiche interconnesse. Un primo nodo di scambi trofici avviene tra ambiente marino e terrestre a livello della battigia, associato essenzialmente ai materiali organici di origine marina che vengono spiaggiati sul litorale, e che costituiscono una delle fonti primarie di risorse trofiche dell’intero ecosistema. La complessità strutturale aumenta sensibilmente secondo una direttrice perpendicolare alla linea di battigia, in direzione dell’entroterra, via via che la vegetazione dunale tende a diventare più diversificata e si associa a suoli stabilizzati. Sull’intera fascia che va dalla battigia al retroduna avvengono poi gli scambi trofici con l’entroterra, legati essenzialmente alle incursioni di grossi predatori (soprattutto uccelli e mammiferi) che regolarmente o occasionalmente pattugliano gli arenili e le dune a caccia di materiale organico spiaggiato e dei piccoli invertebrati che lo colonizzano stabilmente. Un importante riciclo di materiale organico è costituito dai resti degli organismi fitofagi, che forniscono nutrienti e sostanze minerali al suolo, in alcuni casi con biomasse anche rilevanti (ad esempio alcuni molluschi polmonati e i loro nicchi calcarei). ■ Adattamenti degli organismi animali di habitat costieri sabbiosi Come stretta conseguenza delle comunque difficili e particolari condizioni micro- e macroclimatiche degli ambienti litoranei sabbiosi, molti invertebrati sabulicoli e dunali sono stati spinti, come vedremo più avanti, verso particolari adattamenti eco-etologici. I più tipici di questi sono una risposta al problema del sovente eccessivo irraggiamento solare e sono costituiti dallo sviluppo marcato di attività fossorie (scavo di gallerie) nei substrati che lo consentono (sabbiosi


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Scarites buparius

umidi, sabbioso-terrosi o limoso-sabbiosi) da parte di molte specie, spesso con paralleli adattamenti e modificazioni morfologiche degli organi di scavo, tra gli artropodi coincidenti di norma con le zampe anteriori. Oppure dallo spostamento di buona parte dei cicli circadiani di attività nelle ore notturne (specialmente nei mesi più caldi). Alcune specie sabulicole ad attività diurna (ad esempio alcuni ortotteri acrididi), particolarmente adattate al microclima caldo e secco delle assolate dune litoranee, necessitano al contrario di infossarsi parzialmente o quasi totalmente nella sabbia proprio durante le ore notturne, sia per minimizzare gli effetti dell’abbassamento della temperatura, sia per sfuggire ai numerosi predatori notturni che vagano lungo le dune. Molte specie meno termofile spostano il proprio ciclo riproduttivo annuale in periodi invernali-primaverili o autunnali, con ampi periodi di estivazione (ossia di diapausa e totale inattività nei mesi più caldi); altre effettuano migrazioni trofiche circadiane o stagionali tra la battigia e le dune consolidate, per ottimizzarne su scala temporale giornaliera o annuale i vantaggi in termini di protezione o di disponibilità di risorse trofiche. Molte specie perseguono strategie atte a minimizzare il contatto con i substrati più surriscaldati dal sole, come lo sviluppo di arti sottili e allungati, la deambulazione veloce, lo sviluppo negli insetti di capacità di volo veloce e radente (per meglio contrastare l’influenza dei forti venti marini), o, al contrario, la perdita totale delle capacità di volo negli stessi, con fenomeni di brachitterismo e atterismo (cioè di riduzione o scomparsa totale delle ali portanti). Molti coleotteri dunicoli presentano infine un addome più o meno globoso, associato ad ampie cavità sottoelitrali, che svolgono importanti funzioni termo- e igroregolatrici. Molti di questi adattamenti sono non a caso identici a quelli messi a punto da molti invertebrati e piccoli vertebrati eremici (cioè legati ad ambienti desertici), nei quali, come abbiamo già segnalato, alcuni comuni fattori di stress climatico e idrico, e di relazione con il substrato, hanno prodotto effetti evolutivi spiccatamente convergenti. Altri adattamenti particolari, più strettamente associati a condizioni alobie, si trovano poi in molti artropodi (specialmente in insetti) di origine terrestre, sotto forma di modificazioni fisiologiche degli apparati escretori, legate all’esigenza di sopravvivere in ambienti ad elevato tenore salino, di norma estremamente ostili, se non inaccessibili, per organismi non specializzati. Ancora, sono frequenti anche dei semplici adattamenti tegumentari (peli e setole idrofughe, rivestimenti cerosi, ecc.), atti a proteggere ali e altre strutture delicate dalla parziale e più o meno frequente immersione in acqua salata. Ve ne sono esempi in molti piccoli ditteri e coleotteri di svariate famiglie, capaci di uscire praticamente asciutti da brevi immersioni nei flutti frangenti. Un’altra strategia adattativa particolarmente diffusa è infine quella del criptismo o mimetismo omocromico, ovvero la capacità di molte specie di assumere colorazioni che le rendano quanto più possibile confuse con il colore di sfondo del-

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l’ambiente; in questo senso sono molto diffuse colorazioni con microscopiche macchie gialle, bianche, grigie e nerastre, alternate confusamente, che simulano, talvolta in modo spettacolare, il colore delle sabbie litoranee colonizzate da queste specie.

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■ Tipologie di habitat e zonazione delle comunità animali associate alle coste sabbiose Nello scenario appena delineato, passiamo ora ad analizzare le principali tipologie di habitat e zoocenosi riconoscibili negli ambienti litoranei di coste sabbiose. Va subito notato come ci troviamo a trattare di ambienti piuttosto particolari, che includono da un lato quelle parti del dominio bentonico marino, dall’altro quei settori degli habitat marcatamente terrestri o dulcacquicoli, che si trovano per loro natura all’interfaccia tra ambiente marino e ambiente terrestre. In queste situazioni ci aspetteremo dunque di trovare popolamenti e organismi animali di duplice origine, compenetrati e largamente sovrapposti, con elementi terrestri o dulcacquicoli (sia di acque stagnanti che di falda o interstiziali), adattati a vivere in acque salmastre, a sopportare periodiche immersioni nell’acqua di mare o all’affossamento in detriti iperalini, e all’opposto con elementi marini bentonici o interstiziali ugualmente adattati a vivere in acque salmastre, o a sopportare periodiche esposizioni all’aria e al sole, seppure in condizioni di elevata umidità relativa. Malgrado la lodevole tendenza dei biologi marini a schematizzare e formalizzare in piani e orizzonti ben distinti i diversi popolamenti animali del dominio bentonico, inclusi quelli di interfaccia marino/terrestre, non è in realtà facile riunire e distribuire univocamente in “piani” o “zone” l’eterogeneo insieme degli organismi animali che si affacciano negli ambienti litoranei, soprattutto in quelli a substrato sabbioso o limoso-sabbioso, caratterizzati da comunità che spesso tendono a compenetrarsi e a sovrapporsi ampiamente sotto l’influenza di fattori abiotici locali di varia natura, e a causa della spesso notevole vagilità (ossia mobilità) circadiana o stagionale di molte specie. Sfogliando l’abbondante letteratura sulla fauna e sulle comunità biotiche degli ambienti costieri, non ci si deve dunque stupire del fatto che biologi marini, zoologi di faune terrestri e botanici, abbiano fatto uso di termini differenti per indicare esattamente le stesse tipologie ambientali, oppure (fatto perfino più destabilizzante) abbiano indipendentemente utilizzato un medesimo termine per indicare differenti tipologie ambientali o differenti aspetti di queste. Per prima cosa, possiamo osservare che abbiamo a che fare con delle zone o fasce che possiamo tentare di distinguere tramite delle linee di demarcazione parallelle o subparallele all’andamento della costa e la cui ampiezza è misura-

extralitorale

sopralitorale

eulitorale

intertidale

Zonazione delle comunità animali di ambienti litoranei sabbiosi

bile lungo assi ortogonali a queste. Preferiamo il termine “fascia” a quello di “piano”, usato dai biologi marini, per il semplice fatto che “piano” è tradizionalmente più in accordo con una zonazione ecologica verticale, piuttosto che con una zonazione essenzialmente orizzontale come quella degli ambienti litoranei sabbiosi, che presentano di norma escursioni altimetriche o batimetriche trascurabili o comunque ridotte. 1. Una prima fascia, nei nostri mari di norma piuttosto ristretta, di ampiezza variabile da pochi decimetri ad alcuni metri, è quella intertidale (o intercotidale) di riva sabbiosa, ovvero quella compresa tra il livello minimo della bassa marea di sizigia e quello massimo dell’alta marea di sizigia. Nel Mediterraneo l’escursione di livello tra alta e bassa marea è modesta, di norma nell’ordine di una trentina di centimetri (poche le marcate eccezioni, come ad esempio l’area del Golfo di Gabès in Tunisia, dove si possono raggiungere i 2 m di escursione, o in Italia alcuni settori dell’Alto Adriatico, dove localmente può essere superato il metro), e quindi l’ampiezza della zona intertidale è di solito legata soprattutto alla pendenza dell’area di spiaggia. Più la spiaggia è pendente, più la fascia sarà ristretta, più la spiaggia è appiattita e largamente degradante verso il mare, più la fascia intertidale sarà ampia, come possiamo notare soprattutto nelle aree costiere dell’Alto Adriatico. In condizioni di comparabilità rispetto ad altri fattori bioclimatici e biogeografici, le comunità animali della zona intertida-


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le sono ovviamente più stabili, ricche e diversificate dove tale zona è molto ampia, mentre saranno più povere ed effimere, o quasi del tutto assenti, dove questa sia particolarmente ridotta. Non a caso relativamente più ricche e stabili comunità intertidali sono ad esempio quelle della Manica o del Mare del Nord, dove l’escursione tra i livelli della bassa e dell’alta marea può raggiungere alcuni metri, in combinazione con profili molto pianeggianti dei litorali. Questa zona corrisponde pienamente al piano mediolitorale (o intertidale) su substrati sabbiosi considerato tradizionalmente dai biologi marini. Questi habitat sono caratterizzati da materiale organico di deposito marino continuamente fluitato o rimosso in superficie dalla risacca e dalle maree, e dall’essere ovviamente del tutto privi di vegetazione terrestre. Vi sono insediate a varie profondità sotto la superficie importanti ma elusive comunità di microinvertebrati interstiziali (mesopsammon; come già accennato, trattandosi di comunità complesse, associate ad ambienti esclusivamente acquatici, benché di interfaccia terrestre/marino, non verranno trattate diffusamente in questo volume; ad esse è stata tuttavia dedicata la finestra di pag. 74-75). Le comunità superficiali della fascia intertidale, in habitat prevalentemente sabbioso-fangosi o negli strati più superficiali di quelli sabbiosi, sono invece rappresentate soprattutto da animali scavatori, che vivono a spese delle sostanze organiche fluitate in questi substrati mobili, e che spesso tendono a spostarsi seguendo in genere le variazioni del livello delle maree. 2. La seconda fascia è quella eulitorale, compresa tra il limite superiore (verso terra) dell’intertidale e quello inferiore (verso mare) della terza fascia, quella sopralitorale. L’eulitorale interessa quello che nella letteratura italiana ed europea più tradizionale è l’orizzonte inferiore (verso il mare) del sopralitorale su substrati sabbiosi. Anche l’ampiezza della fascia eulitorale è naturalmente legata alla pendenza dell’area di spiaggia e alla tipologia del profilo costiero. La fascia eulitorale è associata a rive sabbiose nude dove le sabbie di varia granulometria sono raggiunte solo da maree eccezionali o dalle mareggiate, lasciandovi detriti animali, vegetali o algali di varia natura, origine e quantità, in aree sabbiose di media pendenza e di norma del tutto spoglie, prive di vegetazione terrestre. Questa fascia può essere convenzionalmente suddivisa in basso (verso il mare) ed alto (verso terra) eulitorale. Nel primo si può rinvenire la maggior parte del materiale organico spiaggiato più minuto e a basso peso specifico, avente massa modesta (generalmente da pochi grammi a pochi ettogrammi) e quindi dotato di inerzia di moto limitata, quando fluitato dai flutti frangenti di tempesta (ad esempio foglie laminari di monocotiledoni marine, piccoli frammenti lignei, ciottoli di pietra pomice, ecc.), insieme a materiale più grossolano (come grosse alghe brune o cadaveri di vertebrati o invertebrati marini) con più elevato peso specifico o maggiore resistenza idrodinamica, quindi trascinato più a fatica verso terra dai frangenti. Nel secondo

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Banquettes a Posidonia

si trova invece il materiale a basso peso specifico, ma più grossolano e/o a bassa resistenza idrodinamica (tipicamente tronchi, rami e ceppi lignei trasportati a mare dalle alluvioni fluviali). In questo secondo settore più interno della fascia eulitorale si possono trovare con una certa frequenza, soprattutto durante il periodo tardo-invernale e primaverile, germogli di alcune piante pioniere della fascia seguente, quella sopralitorale, che durante l’avanzare della stagione sono però quasi sempre spazzati via dalle mareggiate, o muoiono per le caratteristiche fortemente stressanti del substrato. Occorre ricordare, per dovere di chiarezza, che il termine eulitorale è stato utilizzato in passato da alcuni biologi marini anche come semplice sinonimo di mediolitorale e intertidale, e il suo più recente e presente uso in un’altra accezione non deve quindi generare confusioni. L’insieme della fascia intertidale di riva sabbiosa e di quella eulitorale di riva sabbiosa nuda, caratterizzate dalla presenza di tutti quegli elementi più tipicamente adattati alle rive sabbiose stabilmente o frequentemente bagnate dal mare e senza vegetazione, può essere convenientemente identificato con il termine operativo di cintura sabbiosa madolitorale (dal latino madidus, bagnato, umido). Le comunità della fascia eulitorale di riva sabbiosa nuda sono rappresentate essenzialmente da piccoli invertebrati associati agli accumuli di detriti organici spiaggiati: “banquettes” di foglie laminari di fanerogame marine come Posidonia o Zostera, resti di grandi alghe brune, cadaveri e resti di animali marini, materiale ligneo derivante da alluvioni fluviali, grandi ciottoli, accumuli di ciotto-


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Il mesopsammon Con il termine di mesopsammon si intende genericamente l’insieme della fauna acquatica interstiziale, costituita da organismi animali minuti o minutissimi, adattati a vivere in un ambiente tipicamente lacunare, nell’acqua che lentamente filtra e transita tra i microscopici interstizi presenti tra i granelli di sabbia o di ghiaia fine. Per definizione, il mesopsammon è rintracciabile quasi ovunque siano presenti depositi sabbiosi, sia sui bassi fondali marini, sia all’interfaccia mare/terra delle aree litoranee sabbiose, sia lungo le sponde dei laghi o le rive dei fiumi, che al di sotto degli stessi letti fluviali; è insomma un tipo di ambiente “invisibile” e poco noto, ma di fatto quasi sconfinato. Cambiano però in modo drastico le percentuali relative dei rispettivi “protagonisti tassonomici” di queste faune, in funzione della presenza esclusiva fra gli interstizi di acque marine (in mare) o di acque dolci (lungo laghi o fiumi interni). Nel primo caso troveremo soprattutto gruppi esclusivamente o prevalentemente marini, come turbellari, policheti, nemertini e chinorinchi, con presenze sorprendenti anche di phyla come cnidari, poriferi, briozoi, molluschi, o altre quasi sconcertanti come quelle di alcuni microscopici echinodermi o di cordati ascidiacei; nel secondo caso troveremo più abbondantemente rappresentati gruppi prevalentemente dulcacquicoli come oligocheti, tardigradi, gastrotrichi e idracari, oltre a forme minute di stadi perlopiù preimaginali di insetti acquatici. In entrambe le tipologie idriche sono poi presenti un gran numero di protisti, soprattutto ciliati, nematodi, e numerosissimi crostacei, appartenenti a gruppi sia marini che dulcacquicoli (soprattutto copepodi arpacticoidi, isopodi, anfipodi, mistacocaridi, ostracodi e altri minori). Come ovvio, gli ambienti litoranei sabbiosi attingono componenti faunistiche rappresentative di entrambe le tipologie, e non deve quindi stupire che le sabbie che

Paolo Audisio si trovano poco lontano dalla linea di battigia (quelle a cavallo della fascia intertidale) siano spesso tra le più ricche e diversificate in termini di numero assoluto sia di specie presenti, che di phyla rappresentati. La quasi totalità degli animali che compongono il mesopsammon è accomunata da marcati adattamenti che spesso comportano la notevole riduzione delle dimensioni corporee (la maggior parte ha una taglia compresa tra 0,1 e 0,5 mm), la presenza di un corpo sottile e più o meno allungato, spesso appiattito (anche in quei gruppi che normalmente hanno forme totalmente differenti), la riduzione o la totale assenza di apparati sensoriali oculari, l’assenza di pigmentazione, la presenza in non pochi casi di papille adesive, utili per ancorarsi ai granelli di sabbia, e altre modificazioni più o meno peculiari. Sotto l’azione delle comuni pressioni selettive (legate alle necessità di sopravvivere in un substrato così particolare), si possono quindi osservare sconcertanti convergenze morfologiche e dimensionali che coinvolgono sia metazoi (quindi veri animali, multicellulari) che protisti unicellulari, come i Ciliati. Pur nella ripartizione naturale dei rispettivi ruoli trofici all’interno di una qualsiasi comunità animale, la maggior parte degli organismi che compongono il mesopsammon si nutre di microscopici detriti

organici filtrati dalle sabbie o di alghe unicellulari (soprattutto diatomee); alcuni sono invece predatori di altri microorganismi microfagi. Le connessioni tra il mesopsammon degli ambienti intertidali e i molteplici fattori fisici, chimici e mineralogici che ne condizionano la presenza sono alquanto complesse. I parametri che determinano più fortemente le condizioni ambientali sono la granulometria del substrato, la sua composizione mineralogica, la temperatura media dell’acqua filtrante, la sua salinità, il tenore di O2 disciolto, la natura e la concentrazione delle sostanze organiche provenienti da contigui bacini fluviali o dalle acque di falda, il grado di imbibizione delle sabbie nei suoi vari strati, e la relazione delle stesse con l’irraggiamento solare dello strato superficiale. L’intersecarsi di tutti questi fattori, soprattutto a livello di salinità e temperatura, determina la natura spesso fortemente eurialina ed euriterma di molti organismi del mesopsammon intertidale; questi organismi sono infatti in grado di tollerare spesso forti variazioni sia circadiane che stagionali o comunque periodiche nella quantità di cloruri disciolti in acqua, e nella temperatura della stessa. Importanti migrazioni e spostamenti sono del resto effettuati da molte specie interstiziali sia in senso trasversale (dal mare verso l’entroterra o viceversa), sia in senso verticale

Gastrotrico del genere Thaumastoderma in visione ventrale (foto al microscopio elettronico a scansione, SEM)

Copepode arpatticoide del genere Amphiascus, visione laterale (foto al microscopio elettronico a scansione, SEM)

(dagli strati più superficiali a quelli più profondi o viceversa) in relazione al variare delle condizioni di temperatura, salinità e concentrazione di ossigeno. L’elemento condizionante in genere più restrittivo è però dato dalla granulometria delle sabbie e dalla rispettiva natura mineralogica; molte specie sono infatti esclusive di sabbie calcaree, altre di spiagge silicee, e le dimensioni dei singoli granuli e dei relativi interstizi possono determinare rigidamente la presenza di molti organismi caratteristici. Al di sopra o al di sotto di granulometrie comprese tra 0,05 e 2 mm (quelle tipiche delle sabbie), quindi quando le sabbie sono sostituite da silt o da argille, oppure da ghiaie, di norma l’intera comunità scompare completamente, per l’inadeguatezza del substrato. Soprattutto quando l’ambiente interstiziale sia caratterizzato da granulometria delle sabbie relativamente più grossolana e ove sussistano le necessarie condizioni idrogeologiche, si assiste in molti casi a scambi e interconnessioni tra la fauna interstiziale e quella degli altri ambienti acquatici sotterranei. Il mesopsammon intertidale è spesso costituito da organismi di grande interesse faunistico e biogeografico, per la capacità di molte specie di riflettere nella loro storia evolutiva le variazioni delle linee di costa, delle falde freatiche e del paleoclima, per la presenza di numerose specie con areale relitto e frammentato, e per gli adattamenti morfologici ed eco-etologici spesso spettacolari che li coinvolgono. Anche l’analisi dell’andamento della biodiversità di questi organismi, seppure in uno stadio ancora incompleto e frammentario degli studi, promette di fornire elementi di notevole interesse nella lettura degli ecosistemi costieri mediterranei e italiani. Un motivo in più per salvaguardare le spiagge litoranee e le loro acque sotterranee dal degrado indotto soprattutto, in questo caso, dall’inquinamento marino e fluviale.

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li di pietra pomice, resti di animali terrestri trascinati in mare, ecc. A livello del basso eulitorale, quindi della parte più esterna (verso mare) della spiaggia emersa e fino al limite interno della battigia di alta marea, questo settore è frequentato soprattutto da invertebrati saprofagi, detritivori e dai loro sovente specializzati predatori. Alle foci dei fiumi, in particolare, si assiste in queste comunità ad ampie trasgressioni bidirezionali di faune, con penetrazioni verso il mare di elementi psammofili ripicoli, tipici delle ampie rive dei fiumi e dei bacini lacustri continentali, parallelamente ad ampie penetrazioni verso l’interno, lungo le rive sabbiose dei fiumi, di elementi psammoalofili litoranei. 3. La terza fascia è quella sopralitorale, dove si possono operativamente distinguere almeno due tipologie ben differenziate, una su substrati sabbiosi in più o meno marcata salita verso terra, un’altra su substrati limoso-sabbiosi largamente pianeggianti o leggeremente depressi. Nel primo caso possiamo parlare di sopralitorale asciutto di spiaggia sabbiosa, corrispondente alla fascia dell’anteduna (quella delle così dette dune embrionali), con vegetazione psammofila pioniera, ovvero quella zona corrispondente alla più o meno ampia estensione sabbiosa, di norma asciutta, che va dalle estreme berme di tempesta fino alle prime dune, ove compare la prima vegetazione erbacea costiera sparsa, spesso a prevalenza di ravastrello marittimo (Cakile maritima) nei tratti contigui con l’alto eulitorale, e più verso l’interno con calcatreppola (Eryngium maritimum), vilucchio marittimo (Calystegia soldanella) e gramigna delle spiagge (Elytrigia juncea). Qualche spruzzo di onde frangenti vi può arrivare solo in casi di mareggiate eccezionali. Nel secondo caso avremo invece a che fare con un sopralitorale umido di spiaggia limosa, dove limo, fango, o sabbie fangose a granulometria finissima e con elevato tenore salino si estendono di norma piuttosto profondamente in aree costiere pianeggianti o persino leggermente depresse; qui troviamo frequente ristagno di acque salate o salmastre legato a periodiche inondazioni marine, spesso in corrispondenza di foci di fiumi o lagune costiere limitrofe, di norma caratterizzate dalla presenza di bassa vegetazione con dominanza di chenopodiacee (Salicornia, Suaeda) e giuncacee (Juncus) alofile e igrofile. Nelle comunità della fascia sopralitorale di dune embrionali prevalgono i fitofagi e antofagi più o meno specializzati, dunicoli indiretti specializzati (ovvero associati a piante strettamente psammo-alobie), insieme a detritivori e predatori, sia dunicoli diretti specializzati, in quanto loro stessi psammo-alobi specializzati ed esclusivi, o dunicoli diretti ubiquisti, in quanto psammofili generalisti, largamente diffusi in ambienti sabbiosi anche non litoranei. Le comunità della fascia sopralitorale di spiaggia limosa, su substrati limoso-sabbiosi, con popolamenti associati di norma a più o meno estese pianure o depressioni costiere, comprendono invece soprattutto invertebrati alofili e lutobi (ossia che vivono preferenzialmente o esclusivamente in ambienti limoso-fangosi), sia

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Duna a santolina delle spiagge (Othantus maritimus)

detritivori che predatori. Queste ultime comunità hanno di norma notevoli similitudini e punti di contatto con quelle extralitorali delle rive limoso-sabbiose degli ambienti umidi delle depressioni retrodunali e delle lagune costiere, caratterizzate dal ristagno di acque sia salmastre che dolci. 4. L’insieme di tutte le altre tipologie ambientali litoranee più ”interne”, è infine riferibile ad un’ampia ed eterogenea fascia, detta fascia extralitorale, che comprende le prime dune mobili, le dune consolidate, il retroduna, e gli eventuali stagni costieri delle depressioni retrodunali o interdunali. La prima zona della fascia extralitorale è quella extralitorale di dune bianche, più o meno mobili e instabili, facilmente rimodellabili dai venti più forti, in genere dominate dallo sparto pungente (Ammophila littoralis). Quindi la zona extralitorale di dune grigie consolidate, con locale e variabile prevalenza e commistione di Crucianella maritima, camomilla marittima (Anthemis maritima), ginestrino delle spiagge (Lotus commutatus), santolina delle spiagge (Othantus maritimus), elicrisio (Helychrysum spp.), Silene spp., Scabiosa maritima, cisti (Cistus spp.), ginepro (Juniperus oxycerdus), e talora efedra (Ephedra fragilis, E. distachya), rosmarino (Rosmarinus officinalis), Teucrium spp., tamerici (Tamarix spp.) e Ononis spp., oltre a vari altri elementi della macchia bassa, distribuiti sia sulla sommità della duna, sia nei tratti più aperti del retroduna. L’insieme della fascia sopralitorale di dune embrionali, della zona extralitorale di dune bianche, e della zona extralitorale di dune grigie consolidate, si possono convenientemente riunire in una cintura sabbiosa siccolitorale (dal latino sic-


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cus, asciutto). Segue quindi l’eventuale zona extralitorale boscata di retroduna, spesso a Juniperus phoenicea, leccio (Quercus ilex), pini (Pinus spp.) o con boscaglie di carattere più mesofilo. Poiché le zoocenosi di questa zona sono costituite in genere da popolamenti ibridi e scarsamente connotati, in parte di macchia mediterranea, in parte di boschi xerofili o mesofili planiziari, non verranno trattati specificamente in questa sede, se non a livello di quegli elementi più frequenti e trasgressivi che almeno occasionalmente abbondano nei settori più aperti dei sistemi dunali. Può essere presente la zona extralitorale delle dune fossili (o paleodune), ovvero di quei sistemi di tomboli originariamente litoranei, ora in gran parte spianati dall’erosione eolica e meteorica, che lunghe fasi di successivo accumulo di sedimenti in direzione marina hanno appunto dislocato verso l’interno, traslando in parallelo anche di diverse centinaia di metri o di alcuni chilometri verso l’esterno l’originaria linea di costa. Infine, vi può essere l’eventuale zona extralitorale delle depressioni retrodunali, a ridosso delle sponde sabbiose, limoso-sabbiose o fangose delle lagune o degli stagni costieri, con l’associata vegetazione igrofila. Tratteremo in questa sede solo quei popolamenti delle rive sabbiose degli stagni costieri, più strettamente affini a quelli dei già citati salicornieti sopralitorali. Nelle comunità animali extralitorali delle dune bianche, insieme a quelle delle dune grigie consolidate, prevalgono nettamente i fitofagi (soprattutto rizofagi, fillofagi e antofagi, dunicoli indiretti più o meno specializzati), ma sono discretamente rappresentati anche i detritivori e i predatori, di norma dunicoli diretti e perlopiù psammo-alobi specializzati, mentre scarsi e spesso solo occasionali sono ovviamente i coprofagi, i necrofagi e i fitosaprofagi. Le comunità psammofile extralitorali delle dune fossili comprendono, a fianco naturalmente di molti elementi meso-xerofili, legati alla variabile copertura vegetale dominante di questi habitat (pinete, leccete, sugherete o cespuglieti xerofili sublitoranei), soprattutto elementi psammobi o psammofili diretti e più o meno specializzati, di diverso ruolo trofico (specialmente saprofagi, coprofagi e rizofagi). Tra questi, spesso è rilevabile una componente significativa di elementi relitti a livello sia ecologico che di distribuzione geografica, con alcune specie endemiche ad areale molto ristretto e a rischio di estinzione. Per semplicità e comodità di trattazione, e dovendo comunque tenere in considerazione sia la notevole vagilità di molti invertebrati psammo-alofili sia la complessità e la sovente ampia sovrapposizione naturale di alcuni popolamenti (nelle diverse regioni dell’Italia spesso già di per sé difficilmente comparabili in situazioni geomorfologiche, geografiche e bioclimatiche differenti), tenteremo di raggruppare le comunità appena elencate in sole tre tipologie, discusse nel dettaglio nel capitolo seguente: 1. Le comunità madolitorali, intese come l’insieme di quelle intertidali del

mediolitorale, di quelle eulitorali di riva sabbiosa associate ai detriti spiaggiati, e di quelle dei settori più esterni, spesso asciutti, ma ancora privi di vegetazione terrestre, delle spiaggie emerse sabbiose, fino alle dune embrionali escluse 2. Le comunità psammofile siccolitorali, intese come l’insieme di quelle comunità, essenzialmente xerofile e psammofile, associate alle dune embrionali, alle dune mobili e a quelle consolidate, ai cespuglieti e alle macchie basse retrodunali e alle dune fossili sabbiose 3. Le comunità lutobie sopralitorali delle ampie spiagge limoso-fangose (salicornieti) e quelle extralitorali ripicole psammo-lutobie degli stagni e delle lagune salmastre delle depressioni retro- e interdunali. ■ La fauna: gli invertebrati Passiamo ora ad analizzare, suddivise grossolanamente nelle tre tipologie appena definite, le più caratteristiche comunità ad invertebrati degli ambienti costieri sabbiosi italiani; per fare ciò, ovviamente senza alcuna pretesa di completezza, ci serviremo soprattutto di alcuni gruppi tassonomici particolarmente significativi, o semplicemente meglio studiati, utilizzando la presenza di generi o specie peculiari e bene adattati ai vari habitat costieri analizzati, o che almeno vi risultino particolarmente frequenti e abbondanti. La ricorrente presenza di elementi di interesse naturalistico tra questi gruppi-guida nelle varie regioni ci sarà infatti utilissima per delineare il panorama faunistico qualitativo dei diversi settori costieri sabbiosi italiani, e poi per formulare suggerimenti operativi di tutela e conservazione di singole specie, comunità ed ecosistemi.

Bledius graellsi Myosotella myosotis

Orchestia gammarella

uova di Bledius

Talitrus saltator Tylos ponticus

Tylos europaeus

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Invertebrati: parte tassonomica

Paolo Audisio

■ Le comunità di battigia e di spiaggie emerse sabbiose umide (madolitorali) Crostacei ● Anfipodi. Tipici colonizzatori del litorale “umido” all’interfacccia della linea di battigia sono soprattutto gli anfipodi talitridi, in particolare il comune Talitrus saltator, un crostaceo che occupa abitualmente dei canalicoli scavati nella sabbia umida a pochi centimetri di profondità. Altri talitridi comuni lungo le spiagge sono le orchestie (Orchestia gammarella, O. montagui, O. mediterranea e altre), localmente abbondanti sotto i cumuli di alghe e di lamine di posidonia spiaggiate. Tutti i talitridi alofili, soprattutto se disturbati, compiono caratteristici balzi tra i detriti lasciati dai flutti nelle sabbie al limite della risacca, e per questo sono noti anche con il suggestivo nome di “pulci di mare”. I talitridi in realtà si possono spostare anche di parecchio dalla linea di battigia per procurarsi il cibo; durante le ore notturne Talitrus saltator, ad esempio, può raggiungere anche le dune interne consolidate a molte decine di metri dal mare, utilizzando un interessante sistema di orientamento astronomico per i suoi spostamenti. ● Isopodi. I talitridi sono sovente accompagnati da altri crostacei fossori, come gli isopodi Tylos europaeus e alcuni congeneri, sovente distribuiti in modo differenziale lungo le spiagge, in funzione della diversa granulometria del materiale incoerente sabbioso-ghiaioso. Ad esempio, Tylos europaeus, ad ampia distribuzione euro-mediterranea, colonizza di solito le sabbie più fini, mentre T. ponticus è presente sotto

Eurynebria complanata

Talitridi

ciottoli e in sabbie a granulometria più grossolana. Questi crostacei manifestano migrazioni trofiche notturne verso le dune, con comportamento analogo a quello mostrato dai citati Anfipodi del genere Talitrus. Sotto i detriti spiaggiati sono presenti con una certa frequenza anche parecchi altri isopodi saprofagi e microfagi a più o meno ampia distribuzione italiana e mediterranea, alcuni dei quali dai nomi molto simbolici, come Halophiloscia zosterae e le congeneri H. tyrrhena e H. ischiana, Armadilloniscus litoralis, Buchnerillo litoralis e Trichoniscus halophilus. ● Decapodi. Anche alcuni granchi (decapodi brachiuri) frequentano con una certa regolarità la battigia, soprattutto all’imbrunire e nelle giornate nuvolose o piovose, in particolare il comune e adattabile Carcinus mediterraneus, peraltro molto più frequente lungo i litorali rocciosi e su scogliere naturali e artificiali presso i porti e le foci dei fiumi, come tipico abitatore del piano intertidale (piano mediolitorale). Coleotteri. I coleotteri costituiscono di gran lunga il gruppo faunistico più

rappresentativo degli ambienti litoranei sabbiosi, sia in termini di numero di specie (almeno mezzo migliaio di specie sulle oltre 12.000 italiane possono essere considerate esclusive, tipiche, o comunque caratteristiche di questi habitat), sia in termini di numero di individui. I tegumenti di norma rigidi e resistenti che li caratterizzano rappresentano del resto un ottimo “preadattamento” per sopravvivere con successo in questi ambienti terrestri ostili, consentendo loro di fronteggiare con maggiore facilità sia l’usura operata dalla sabbia, sia la necessità di ridurre al massimo la dispersione idrica. ● Carabidi. Tra i carabidi, la grande Eurynebria complanata è da considerare forse il più significativo “marcatore” della qualità biotica degli ecosistemi italiani di spiaggia sabbiosa. Questo coleottero, distribuito lungo le coste sabbiose del Mediterraneo occidentale e di quelle atlantiche dell’Europa occidentale, vive perlopiù a livello dei settori più stabilmente emersi e arretrati delle spiagge emerse (talvolta anche a ridosso delle dune mobili), ed è un attivo predatore di talitridi (in particolare di Talitrus saltator). Durante il giorno si rinviene quasi esclusivamente sotto tronchi e materiale ligneo spiaggiato (entro il quale, come vedremo più avanti, possono svilupparsi le larve di alcuni

curculionidi e dei rari scarabeoidei del genere Calicnemis), mentre al calare delle tenebre inizia una forsennata attività prevalentemente notturna, in prossimità della battigia, a caccia di talitridi. Abbastanza comune in Italia fino a pochi decenni or sono lungo buona parte delle coste tirreniche e pugliesi, così come in Sicilia e Sardegna, questa specie è andata incontro ad una progressiva ma rapida rarefazione, legata in parte all’inquinamento marino, che influenza negativamente il ciclo biologico delle sue prede, ma principalmente al disturbo delle spiagge apportato dalle attività di balneazione, con il continuo calpestio dei substrati sabbiosi e la rimozione dei grossi residui lignei (tronchi e ceppi trasportati dalle alluvioni fluviali e depositati nei settori più prossimi al mare delle spiagge emerse) da parte di operatori di spiaggia o di turisti. La specie è così divenuta molto rara e localizzata nel nostro Paese, e limita ormai la sua presenza con popolazioni significative quasi solo a poche località tirreniche (soprattutto toscane) almeno parzialmente protette dalle attività di balneazione e di “manutenzione” delle spiagge da parte dell’uomo. Tra i carabidi scaritini tipici delle spiagge umide sono caratteristici ancora alcuni piccoli Dyschirius, in particolare D. numidicus, specie alobionte

Parallelomorphus laevigatus

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mediterranea occidentale ampiamente diffusa lungo le coste sabbiose di quasi tutta Italia, e soprattutto Parallelomorphus laevigatus (spesso citato in passato come Scarites laevigatus). Si tratta di uno scaritino di medie dimensioni (16-22 mm), associato a spiagge almeno di discreta qualità ambientale, dove vaga anche nelle ore diurne, predando principalmente crostacei talitridi, come Eurynebria complanata, ma rispetto a questa colonizzando stabilmente i settori di spiaggia ben più prossimi al mare e più umidi (basso eulitorale). Un altro carabide caratteristico della battigia e della spiaggia umida è il cicindelino Cylindera trisignata, a distribuzione essenzialmente atlantomediterranea, un tempo più frequente lungo molte spiagge sabbiose italiane, soprattutto in corrispondenza di foci di fiumi o almeno di piccoli corsi d’acqua, e ormai divenuta assai rara e localizzata. Questo velocissimo predatore di artropodi alofili è stato infatti soggetto, come quasi tutti i rappresentanti talassofili italiani della sottofamiglia, a drastiche riduzioni di areale e di dimensioni delle popolazioni; fenomeni dovuti, anche in questo caso, soprattutto al disturbo antropico prodotto sullo sviluppo delle larve dalle attività di balneazione, dalle attività estrattive di sabbia alle foci dei fiumi, e dall’inquinamento marino. Un’altra specie di cicindelino, più ampiamente diffusa negli stessi ambienti, ma capace di colonizzare anche le dune e il retroduna, e di risalire lungo le rive sabbiose dei corsi d’acqua anche per molti chilometri verso l’interno, e a ben più ampia distribuzione paleartica, è Lophyridia littoralis, ancora presente con la sottospecie mediterranea littoralis lungo molte spiagge italiane. Lo spettacolo delle cicindele in caccia lungo le spiagge

Lophyridia littoralis

marine sabbiose nelle calde giornate dei mesi primaverili ed estivi, con centinaia di esemplari anche di specie diverse che si producevano in repentini e brevi voli radenti al passaggio di occasionali visitatori (non a caso da Linneo questi splendidi coleotteri sono stati ricordati in una celebre definizione come “Insectorum Tigrides veloces”), è spesso un ricordo sbiadito anche per la maggior parte dei naturalisti e degli entomologi. In quasi tutte le regioni italiane, imbattersi in un sito litoraneo ancora massicciamente frequentato dalle cicindele è evento ormai così sporadico da colpire immediatamente la nostra attenzione, con scoraggianti confronti, almeno per quelli tra noi più avanti negli anni, con i ricordi giovanili nelle stesse aree magari riferibili ad appena venti o trenta anni prima. Le larve di queste cicindele, predatrici anch’esse di piccoli invertebrati sabulicoli, cacciano semiseppellite all’interno di brevi gallerie verticali praticate nella sabbia umida; si possono facilmente immaginare le conseguenze di un esteso calpestio da parte dei bagnanti, o, peggio, del passaggio di un mezzo meccanico per la ripulitura delle spiagge, su organismi con queste peculiari e delicate abitudini di vita. Al pari di Eurynebria anche le cicindele, quindi, come specie predatrici stenoecie, antropofobe e sensibili spesso

anche a minime compromissioni ambientali, sono testimoni di habitat localmente poco disturbati e in grado di svolgere un ruolo essenziale come indicatori biologici della qualità degli ecosistemi litoranei. In Italia il loro regresso ha purtroppo ormai assunto i connotati di un vero e proprio population crash. ● Stafilinidi. Con i talitridi e i Tylos sono spesso frequenti molti piccoli coleotteri stafilinidi predatori dei generi Cafius, Gabrius, Remus, Phytosus, Medon e Heterothops, il più frequente dei quali è di norma Cafius xantholoma, che persiste anche in situazioni di marcata antropizzazione. Altri piccoli stafilinidi, come alcune specie dei generi Polystomota ed Emplenota, sono invece noti come parassitoidi di ditteri alofili, entro i cui pupari si sviluppano. Come i crostacei dei generi Talitrus e Tylos prima ricordati, anche alcuni stafilinidi scavano gallerie verticali di varia profondità nelle sabbie umide delle spiagge, tra cui poche specie del genere Bledius, lunghe meno di un centimetro, armate nei maschi di molte specie di curiosi processi spiniformi su pronoto e capo, che si cibano di microalghe e che depongono le uova in cellette laterali delle loro gallerie; questi piccoli coleotteri, soprattutto a livello delle ben più numerose specie lutobie (quelle associate ad ambienti limoso-fangosi; ne discuteremo più avanti a proposito delle comunità di invertebrati dei salicornieti e delle rive delle lagune retrodunali), sono frequentemente predati da alcune specie di piccoli carabidi scaritini fossori del genere Dyschiriodes. ● Isteridi. Molto frequenti, tra i saprofagi, i piccoli coleotteri isteridi sabulicoli del

genere Hypocaccus (lunghi un paio di mm o poco più), con svariate specie italiane tipiche frequentatrici di cadaveri e resti spiaggiati di piccoli vertebrati sia terrestri che marini (specialmente pesci), ma attratti anche dagli escrementi di mammiferi (inclusi quelli umani). In Italia le specie più frequenti sono Hypocaccus rugifrons, H. brasiliensis, e soprattutto H. dimidiatus, tutti ad ampia distribuzione. Se particolarmente abbondanti, questi coleotteri possono persino risultare fastidiosi, atterrando e prendendo il volo in continuazione e camminando sulla cute dei bagnanti che prendono il sole sulle spiagge. Un altro isteride specializzato psammo-alobionte, abbastanza frequente sulle nostre spiagge, e che colonizza soprattutto gli accumuli di monocotiledoni marine spiaggiate del genere Zostera, è Halacritus punctum (vedi disegno), uno dei più piccoli coleotteri italiani (lungo poco più di mezzo millimetro). ● Idrenidi. Negli accumuli di detriti vegetali bagnati dall’acqua del mare sono frequenti anche alcuni piccolissimi (1-2 mm) coleotteri idrenidi (la maggior parte delle specie della famiglia vivono come lapidicole bentoniche in acque correnti) adattati anche alle acque salmastre e iperaline, benché non strettamente specializzati a vivere in ambienti esclusivamente litoranei; tra questi alcuni Ochthebius (O. muelleri, O. viridis, O. marinus, e altri), che insieme ad altre specie sono ben più frequenti, come vedremo più avanti, nei salicornieti e lungo le rive degli stagni costieri, dove consumano fitoplancton. ● Elateridi. Questa famiglia include in Italia un paio di centinaia di specie, in gran parte radicivore o detritivore, caratterizzate dalla capacità di

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“saltare” facendo scattare repentinamente un’apposita muscolatura toracica. Una sola specie ad attività notturna, il pomachilino circum-mediterraneo Isidus moreli, di colore giallo pallido e lungo poco più di un centimetro, si rinviene con una certa frequenza da adulto sotto i detriti vegetali spiaggiati della fascia eulitorale, soprattutto nei mesi estivi, mentre le larve si sviluppano tra gli apparati radicali di graminacee della duna. ● Meliridi. I meliridi, in senso lato (meliridi + malachidi + dasitidi) sono un cospicuo gruppo di coleotteri cleroidei che spesso frequentano i fiori di una grande quantità di vegetali erbacei ed arbustivi. Tra le specie legate alle spiagge, una delle più caratteristiche e specializzate è il malachide Brachemys brevipennis, un piccolo coleottero nero e privo di ali funzionali, con elitre accorciate fornite di una caratteristica macchia bianca, e zampe lunghe e sottili che lo fanno somigliare ad una formica. Associato alla battigia di spiagge sia sabbiose che sassose, è in grado persino di farsi sommergere indenne dai flutti; si trova anche ai margini delle lagune salmastre e nei salicornieti. È specie ampiamente diffusa in quasi tutto il Mediterraneo. Il congenere e molto più raro Brachemys peragalloi, con colorazione più vivace (ha il protorace rosso) vive in ambienti simili, ma è tipico di una fascia costiera molto più ristretta (Liguria occidentale e Provenza meridionale), ed è da considerare specie a rischio. Altre specie note come frequentatrici di spiagge, spesso rinvenibili sotto detriti spiaggiati a livello dell’eulitorale, sono altri malachidi come Colotes punctatus e Apalochrus flavolimbatus, o i dasitidi Dolichosoma lineare e Psilothryx viridicoerulea. ● Anticidi. Tra i coleotteri “corridori” delle spiagge sabbiose non possono essere dimenticati i piccoli coleotteri anticidi, che comprendono un gran numero di specie

strettamente o tendenzialmente psammofile, non poche delle quali sono caratteristiche o persino esclusive delle spiagge marine. L’elemento più tipico è il comunissimo Anthicus fenestratus, presente sulle spiagge sabbiose e sulle prime dune di tutte le coste italiane, dove vaga in gran numero alla ricerca di detriti spiaggiati e residui organici, ma che tuttavia, come molti altri anticidi, mostra una certa antropofobia e tende a rarefarsi o perfino a scomparire lungo le spiagge più antropizzate e frequentate. Da ricordare, tra gli altri Anthicus, almeno A. brunneipennis, endemita litoraneo sardo-corso, e il raro A. genei, a distribuzione Mediterranea, ma esclusivo di piccoli archi sabbiosi in aree di costa rocciosa. Analoghe abitudini psammofile e talassofile hanno i rappresentanti del genere Mecynotarsus, dalle zampe allungatissime, come il comune e velocissimo M. serricornis, o il ben più raro e sporadico M. fausti. Altre specie sono invece tipiche degli accumuli di detriti vegetali spiaggiati, quali in particolare il raro Amblyderus scabricollis, specie Ovest-Mediterranea che raggiunge le spiagge di Calabria, Sicilia e Sardegna, dove pare convivere con l’affine A. brunneus, probabile endemita calabro-siculo. Anche alcune Endomia, come la comune E. tenuicollis, sono frequenti sotto detriti vegetali e residui algali spiaggiati, ma prediligono gli accumuli disseccati dal sole. ● Tenebrionidi. Tra i numerosi coleotteri detritivori “specialisti” delle spiagge troviamo anche alcuni tenebrionidi, una famiglia che annovera tra le sue file un enorme numero di specie adattate a vivere in ambienti ostili sabbiosi, in particolare nelle aree desertiche e subdesertiche, e che troveremo ovviamente ben più numerosi negli ambienti di duna. A livello dell’eulitorale, in Italia troviamo soprattutto svariate specie di Phaleria, di piccole

Phaleria acuminata

dimensioni, a prevalente attività notturna, e di norma di colore giallastro, alcune delle quali sintopiche (ovvero coabitanti nella medesima località) nelle sabbie litoranee, dove si affollano soprattutto intorno a piccoli ammassi di detriti e ai resti di animali spiaggiati, spesso insieme ad alcune specie di Xanthomus, quali X. pallidus e X. pellucidus, e ad Halammobia pellucida. Sono qui talora spazialmente affiancate, più spesso peraltro a livello del sopralitorale e dell’avanduna, anche da altri tenebrionidi, questi però ad attività diurna, come le Tentyria, le Pimelia e gli Erodius. Molte specie sopralitorali ed extralitorali di questa famiglia, come altri artropodi sabulicoli, manifestano comunque marcata vagilità notturna, che li porta a spostarsi nottetempo anche nella fascia eulitorale, quindi più a ridosso della linea

Erodius siculus

di battigia, pur trovando rifugio durante il giorno prevalentemente in settori più interni dell’avanduna o della duna. ● Scarabaeoidei. Tra gli scarabeoidei, che, come vedremo tra breve, sono invece numerosi e molto interessanti soprattutto negli ambienti di duna, pochissimi e scarsamente specializzati sono i detritivori associati con una certa frequenza ai detriti marini spiaggiati. Tra questi, alcuni afodidi del genere Rhyssemus, alcuni Psammodius e poche specie dei generi Pleurophorus, Platytomus e Diastictus, che si rinvengono specialmente lungo spiagge sabbiose umide nelle vicinanze di foci di fiumi, lungo le rive sabbiose dei quali sono infatti ben più frequenti. ● Curculionoidei. Sempre tra i detriti spiaggiati, almeno tre sono le specie di coleotteri curculionoidei tipiche di questi microhabitat: la prima è il curioso Styphloderes exculptus, specie mediterranea occidentale che predilige le alghe disseccate; la seconda e la terza sono rispettivamente Mesites pallidipennis, specie allungatissima dal curioso colore rossastro, e Aphannommata filum (citata in passato come Brachytemnoides filum) ugualmente allungata ma di colore nerastro, che frequentano soprattutto il materiale ligneo spiaggiato, nel quale si sviluppano come xilofagi (ossia divoratori di legno). Ortotteroidei. Gli ortotteroidei, come vedremo più avanti, sono decisamente più numerosi nelle zone litorali più interne, dove la presenza di vegetazione più o meno stabilizzata consente la sopravvivenza di numerose specie fillofaghe e radicivore. Alcuni sono comunque in grado di colonizzare anche le spiagge umide. Molto caratteristici sono poi gli “affogamenti di massa” di centinaia o migliaia di grossi acrididi (locuste), sia nostrani che di origine africana, durante le ricorrenti ma

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non esclusivo dei detriti spiaggiati è Anisolabis maritima, che, come il Paramogoplistes, predilige le spiagge ciottolose. Entrambe le specie sono in rarefazione, essenzialmente per il ricorrente disturbo antropico delle spiagge.

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Anisolabis maritima

occasionali migrazioni effettuate anche su ampi tratti di mare, spesso sotto l’influenza di forti venti marini, che in alcune occasioni portano allo spiaggiamento di un gran numero di cadaveri di questi grossi insetti, attivamente utilizzati come abbondante ma occasionale risorsa trofica da uccelli, volpi, e da numerosissimi piccoli invertebrati zoosaprofagi (soprattutto coleotteri). Un elemento tipico per la verità delle spiagge ciottolose, presente però anche in litorali ciottoloso-sabbiosi, è comunque il caratteristico grillide Paramogoplistes squamiger. ● Dermatteri. Tra i dermatteri, comunemente noti con il nome generico e volgare di “forbicine” o “forficule”, è importante soprattutto una singola specie caratteristica (benché non esclusiva) dei detriti spiaggiati, la non comune Labidura riparia, ad ampia distribuzione primaria asiatico-europeo-mediterranea (a torto ritenuta spesso cosmopolita o subcosmopolita), che frequenta sia le spiagge marine sabbiose che quelle ciottolose e le rive degli ampi corsi d’acqua, lungo i quali può infatti risalire anche molto profondamente nelle regioni interne lungo gli assi fluviali di fondo valle. Altro dermattero caratteristico ma

Neurotteri. Parecchie specie di neurotteroidei sono caratteristiche, come vedremo più avanti, di ambienti sabbiosi litorali e sublitorali. Tra le poche specie le cui larve predatrici attive si spingono in direzione marina fino alla spiaggia umida e alla linea di battigia, almeno in alcune rive sabbiose a granulometria fine e caratterizzate da scarso disturbo antropico, troviamo Synclisis baetica, abbastanza ampiamente distribuita lungo le coste italiane. Ditteri. Caratteristiche delle spiagge marine sabbiose sono anche molte specie di ditteri talassofili, tra cui quelle dei generi Orygma e Coelopa, e soprattutto molti efidridi dei generi Hecamede, Scatella, Ephydra, e altri. Parecchie sono infatti le specie alofile e talassofile di questa importante famiglia, più o meno strettamente associate alle spiagge umide, dove allo stadio larvale si cibano perlopiù di microalghe; vale la pena di ricordare almeno alcune specie più o meno ampiamente distribuite in buona parte delle spiagge sabbiose italiane, ma frequentemente rinvenibili anche lungo le rive di stagni e lagune costiere, saline, salicornieti, o alle foci di fiumi, come Asmeringa inermis, Hecamede albicans, Homalometopus albiditinctus, Ephydra bivittata, Scatella subguttata, Scatophila modesta e altre. Sempre nei microhabitat di battigia, e di questi peculiari, sono ancora altri ditteri, come Helcomyza ustulata mediterranea, Fucellia maritima, presenti soprattutto nelle aree costiere dell’Alto Adriatico.

Aracnidi. Sempre negli stessi ambienti, perlopiù sotto detriti spiaggiati, vivono alcuni piccoli pseudoscorpioni predatori garipidi del genere Garypus e alcuni acari alofili “specialisti”, come Hydrogamasus salinus. Garypus beauvoisi è specie mediterraneo-macaronesica, presente in Italia almeno in Sardegna e trovata recentemente anche in alcune località del Tirreno settentrionale. Si rinviene tipicamente a livello del basso eulitorale, sotto i cumuli spiaggiati di alghe, detriti vegetali, e monocotiledoni marine. Si tratta, con i suoi circa 7 mm di corpo tozzo, largo e appiattito, di uno dei più grandi pseudoscorpioni italiani. Anche alcuni ragni sono comuni predatori di piccoli artropodi sabulicoli viventi tra i detriti spiaggiati; tra questi, alcuni filodromidi del genere Tibellus, come T. macellus e T. maritimus, entrambi peraltro frequentatori soprattutto della vegetazione erbacea dunale e retrodunale, alcuni piccoli linifiidi e salticidi, e altri più o meno occasionali. Frequenti corridori lungo le spiagge in buona parte dell’Italia, sono poi il licoside Arctosa perita, psammofilo e predatore, i congeneri A. personata e A. cinerea (specialmente alle foci dei fiumi), e, nell’ambito della stessa famiglia, le più o meno ampiamente distribuite Alopecosa fabrilis, A. cursor, A. pulverulenta e Xerolycosa miniata. La maggior parte di questi licosidi è costituita da elementi termofili e più o meno marcatamente psammofili, che scavano tane nelle sabbie, spesso difficili da scorgere; sono presenti spesso anche lungo le dune e in zone sabbiose, aride e soleggiate dell’interno. Le Arctosa, in particolare A. perita, A. cinerea e A. personata, caratterizzate da colorazioni criptiche e zampe lunghissime che consentono loro una veloce deambulazione, sono del resto perfettamente preadattate per colonizzare con successo i litorali sabbiosi.

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Arctosa perita

Chilopodi. Sotto i detriti spiaggiati vivono anche alcuni chilopodi (“centopiedi”) geofilomorfi alofili, predatori, come Geophilus poseidonis e Hydroschendyla submarina, dai nomi specifici già ben indicativi delle loro attitudini ecologiche. Sia la prima, ad ampia distribuzione mediterranea, con penetrazioni fino in Somalia, che la seconda, a distribuzione mediterraneo-atlantica (fino alla Svezia), sono note in Italia solo di poche località di Toscana, Isole Ponziane, Campania, Isole circumsiciliane e Sardegna. Un altro raro geofilomorfo alofilo dal nome emblematico è Geophilus fucorum, diffuso solo lungo le coste di Francia meridionale, Liguria occidentale e Sardegna settentrionale e occidentale, che, pur spingendosi a volte in pinete e leccete litoranee, è tipico degli ammassi di alghe brune spiaggiate.

Hydroschendyla submarina


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Diplopodi. Come molti altri artropodi terrestri, anche i diplopodi tendono chiaramente a diminuire man mano che si proceda dall’entroterra verso il mare. Alcune specie comunque presentano più o meno spiccati adattamenti agli ambienti litorali. Uno dei più caratteristici è lo iuloideo nemasomatide Thalassisobates litoralis, a distribuzione mediterraneo occidentale-atlantica, presente un tempo in Italia in molte località del litorale tirrenico e adriatico, oltre che in Sardegna e Sicilia, ma in netta rarefazione. La specie è tipicamente associata all’ambiente intertidale, dove frequenta soprattutto gli ammassi di Zostera e di altre fanerogame marine, benché prediliga le spiagge sassose e ciottolose e quelle sabbiose e ghiaiose con alternanza di sabbia e ciottoli calcarei. A livello della fascia eulitorale si trova con una certa frequenza almeno in Sicilia anche un altro iuloideo, lo iulide Dolichoiulus tongiorgii, ad ampia distribuzione almeno mediterranea occidentale, associato soprattutto a detriti lignei spiaggiati (tronchi, canne, ecc.). Altre specie più euriecie che sono comunque occasionalmente presenti anche sotto i detriti spiaggiati dell’eulitorale sono il polixenide Polyxenus lapidicola (specie mediterranea presente anche in Italia meridionale), il lofoproctide Lophoproctus jeanneli (= L. litoralis) (specie Ovestmediterranea presente anche in Italia meridionale) e il polidesmide Stosatea italica (specie mediterraneo-atlantica ampiamente distribuita in Italia). Molluschi. Malgrado i molluschi rappresentino una componente rilevante sia degli ecosistemi marini litoranei, sia di quelli terrestri, lo stretto interfaccia madolitorale è evidentemente un habitat difficilmente compatibile con le loro esigenze data la evidente difficoltà per

quelli marini di penetrare in ambiente aereo e, per quelli terrestri, di portarsi anche solo a contatto dell’acqua salata. Tra i pochi adattati a vivere lungo le spiagge sabbiose troviamo alcuni piccoli ellobiidi del genere Myosotella, in particolare la diffusa M. myosotis (spesso citata anche come Alexia myosotis o Ovatella myosotis), che frequenta la spiaggia umida sabbioso-ghiaiosa sopralitorale, tra i detriti spiaggiati, insieme ai talitridi. ■ Le comunità delle dune embrionali e consolidate (siccolitorali), delle macchie basse dunali e retrodunali e delle dune fossili Crostacei. La combinazione di substrati asciutti e poveri o privi di humus che caratterizza questi habitat dunali rende ardua la sopravvivenza dei crostacei, anche di quelli più tipicamente terrestri, che comunque necessitano di substrati umidi, di ripari naturali e di abbondante materiale organico al suolo. A livello delle dune embrionali e di quelle consolidate, a parte gli eventuali ambienti boscosi retrodunali, ed escludendo le escursioni notturne di specie eulitorali, solo alcuni isopodi sono presenti con una certa regolarità, frequentando soprattutto la base della vegetazione erbacea ed arbustiva, dove il tenore di umidità relativa e i detriti vegetali sono compatibili con la sopravvivenza di popolazioni di varie specie talassofile, come Porcellio lamellatus, Armadillidium etruriae, A. silvestrii, A. argentarium, alcune Philoscia, e altre. Coleotteri. A livello della spiaggia sabbiosa emersa e asciutta cominciano a comparire i primi vegetali terrestri tipici della fascia sopralitorale. Molti sono quindi i coleotteri dunicoli indiretti, legati più o meno strettamente a queste piante

pioniere e specialiste, che fanno la loro comparsa in questi habitat, affiancati da detritivori, saprofagi e predatori, in parte già incontrati a livello delle associazioni madolitorali. Il numero delle specie fitofaghe aumenta poi drasticamente sulla duna, dove peraltro si assiste ad ampie penetrazioni di elementi caratteristici della macchia mediterranea e delle garighe. ● Carabidi. Gli ambienti di duna e quelli retrodunali sabbiosi aridi e più o meno aperti, come ovvio, non sono habitat ottimali per dei predatori del suolo prevalentemente adattati a substrati almeno moderatamente umidi e umificati. Tuttavia, insieme al già discusso cicindelino Lophyridia littoralis, sporadicamente presente negli ambienti dunali di migliore qualità ambientale, alcuni altri carabidi possono essere considerati caratteristici e pressoché esclusivi delle dune, da quelle embrionali a quelle consolidate. Un altro cicindelino molto interessante è Lophyra flexuosa, tipico elemento psammofilo, a distribuzione prevalentemente atlanto-Wmediterranea (che raggiunge anche Egitto, Israele e Siria), proprio degli ambienti sabbiosi della duna e del retroduna, anche lontano dall’acqua, talvolta anche su paleodune dell’interno (ad esempio a Is Pabillonis in Sardegna). In Italia è presente con certezza solo in Sardegna e in Sicilia. L’elemento più caratteristico, ampiamente diffuso nelle aree costiere dunali del Mediterraneo occidentale, è comunque senza dubbio il grande e vistoso scaritino Scarites buparius, predatore notturno di svariati invertebrati litorali, con i meno vistosi e più minuti Masoreus aegyptiacus, a distribuzione mediterranea, ma con gravitazione meridionale, e Cryptophonus melancholicus, a distribuzione europeomediterranea. Scarites buparius era comune un tempo lungo quasi tutte le aree costiere sabbiose dell’Italia

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Pimelia bipunctata

peninsulare e delle grandi Isole, ad eccezione di quelle del Medio e Alto Adriatico, ma è ormai in netta rarefazione per la distruzione e la riduzione degli ambienti dunali. Si tratta di una specie a prevalente attività notturna, che durante il giorno resta perlopiù nascosta alla base della vegetazione dunale o all’interno di tane scavate nella sabbia con l’uso congiunto delle robuste zampe anteriori e delle grandi mandibole falcate. Scarites buparius è un potente predatore notturno di una grande varietà di piccoli invertebrati sabulicoli, dai crostacei talitridi ai coleotteri tenebrionidi come Pimelia e Tentyria, dalle larve di lepidotteri nottuidi ai molluschi terrestri. ● Stafilinidi. Legati prevalentemente a substrati e a microclimi con un sufficiente tenore di umidità, sono ovviamente ben poco rappresentati negli ambienti

Tentyria grossa


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strettamente dunali, per loro ostili; vi troviamo infatti solo poche specie perlopiù euriecie e relativamente xero-termofile. ● Elateridi. L’unica specie italiana di Elateridi frequente lungo le dune litoranee, a parte il già citato Isidus moreli, è Cardiophorus exaratus, specie a distribuzione Ovest-mediterranea che si rinviene alla base delle Graminacee dunali, lungo i litorali di buona parte delle regioni centro-meridionali della Penisola. ● Nitiduloidei. Nitidulidi, cibocefalidi e cateretidi sono un piccolo gruppo di famiglie di minuti coleotteri, rappresentate globalmente in Italia da un paio di centinaia di specie. A livello delle dune embrionali e degli ammofileti troviamo soprattutto alcune specie ad elevata plasticità ambientale, come il comunissimo Meligethes aeneus, abbondante sui fiori del ravastrello marittimo (Cakile maritima) o i congeneri M. carinulatus, M. erichsoni e M. nigrescens, associati sulle dune a varie leguminose del genere Lotus. Molto più rilevante è invece la presenza di alcuni veri “specialisti” di duna, come quella, scoperta solo in tempi recentissimi, di un altro piccolo Meligethes a distribuzione Ovest-mediterranea, M. cfr. longulus, pressoché esclusivo di dune e faraglioni di buona qualità ambientale, e legato ai fiori di crucifere del genere Matthiola. Tra gli “specialisti” di leguminose psammo-alobie, da ricordare soprattutto due altre specie a distribuzione essenzialmente mediterranea occidentale, in Italia estremamente rare e localizzate, e presenti solo in alcune stazioni della Sardegna occidentale, Meligethes varicollis (legato a Lotus spp.) e M. opacus (legato a Ononis spp.). Soprattutto lungo i litorali tirrenici dell’Italia centro-meridionale e insulare, molti altri meligetini e cateretidi tipici della macchia bassa e delle garighe sono poi presenti anche a livello delle dune consolidate e

del retroduna, pur non essendone esclusivi, come i mediterranei occidentali Meligethes fuscus (legato a Cistus spp.), M. grenieri (raro e localizzato, legato a Rosmarinus officinalis, in Italia più frequente solo in Sardegna e lungo il litorale Maremmano), M. nigritus (legato a Lavandula stoechas), M. lindbergi (legato a Teucrium flavum), Meligethinus pallidulus (legato alle spate maschili della Palma nana tipica dei consorzi rupestri costieri, ma che in alcune occasioni compare anche sulle dune, come in Sicilia meridionale). Parecchie sono infine le minutissime specie del genere Cybocephalus (globose, di norma lunghe appena 1 mm), che vivono come predatrici specializzate di omotteri diaspididi anche su differenti essenze arbustive di macchia bassa e retroduna, in particolare sulle tamerici. ● Falacridi. I falacridi sono una piccola famiglia di minuti clavicorni a costumi antofagi o micofagi. Una delle poche specie frequenti sulle dune è Olibrus affinis, specie europeo-mediterranea associata a varie piccole asteracee xerofile (Tragopogon, Hypocheris). ● Edemeridi e meloidi. Tra le specie più caratteristiche di edemeridi troviamo Stenostoma rostratum (= S. coeruleum), ad ampia distribuzione mediterraneoatlantica, legata piuttosto strettamente alle infiorescenze spinose delle ombrellifere Eryngium maritimum ed Echinophora spinosa; altri membri della medesima famiglia, assai meno specializzati, come Nacerda melanura e alcune Oedemera (ad esempio le comuni O. flavipes ed O. barbara), frequentano infiorescenze anche di molte altre piante dunali, tra cui soprattutto composite (asteracee), dalle dune embrionali fino al retroduna. Le Stenostoma sono ottime indicatrici della qualità ambientale delle dune mobili, e tendono a rarefarsi o a scomparire del tutto dove il disturbo

Zonitis bellieri

ambientale sia più marcato. Tra i meloidi una sola specie è veramente caratteristica dei sistemi dunali e retrodunali (benché presente talvolta anche in macchie subcostiere e garighe), la rara Zonitis bellieri, presente soprattutto su asteracee liguliflore in Nord Africa, Anatolia occidentale e lungo le coste della Sicilia. ● Tenebrionidi. Abbiamo visto in precedenza come alcuni tenebrionidi (Phaleria spp., Xanthomus spp.) siano caratteristici delle comunità madolitorali delle spiaggie umide; molti, che peraltro raggiungono con una certa frequenza anche la battigia, come le già citate Tentyria e Pimelia, sono però tipicamente diffusi più o meno omogeneamente soprattutto a partire dagli agropireti dell’avanduna, sulle dune, e sui terreni sabbiosi delle dune fossili, come Halammobia pellucida, le Pachychila (come P. frioli, P. germari e P. servillei), e ancora Xanthomus pallidus e X. pellucidus, alcuni Erodius (come E. siculus ed E. audouinii), le Stenosis (come S. intermedia), Trachyscelis aphodioides, Pseudoseriscius helvolus, P. normandi, Cataphronetis crenata, Gonocephalum lefranci, G. setulosum, Gunarus parvulus, Nalassus aemulus e numerosi altri generi e specie. I tenebrionidi, alcuni dei quali a prevalente attività diurna e altri a

prevalente attività notturna (in genere attivi soprattutto in primavera ed autunno), colonizzano soprattutto i settori più aperti dei sistemi dunali. Dal punto di vista naturalistico e biogeografico le specie più rilevanti sono rappresentate da alcuni endemiti italiani, quali il raro Psammoardoinellus sardiniensis, specie psammofila scoperta solo pochi anni or sono lungo le dune sabbiose della Sardegna centrooccidentale, Stenohelops carlofortinus, della Sardegna meridionale, e non poche sottospecie endemiche di entità a più ampia distribuzione mediterranea. Di rilievo anche la presenza lungo i litorali di Sicilia e Sardegna della vistosa specie sabulicola costiera Pimelia grossa, a gravitazione maghrebina. ● Scarabeoidei. Negli agropireti e nelle dune embrionali, e più estesamente negli ammofileti, cominciamo a trovare rappresentati vari scarabeoidei, alcuni dei quali di grande rilievo sotto il profilo naturalistico e conservazionistico. Tra gli afodidi, da ricordare alcune tipiche specie psammofile e talassofile, detritivore e radicivore, facilmente rinvenibili alla base degli steli della vegetazione pioniera, e a più o meno ampia distribuzione mediterranea, come i piccoli e convessi Brindalus porcicollis, Psammodius basalis e P. laevipennis, oltre ad alcuni Rhyssemus psammofili, spesso presenti anche lungo le rive sabbiose di fiumi e laghi. Tra questi, almeno Rhyssemus plicatus e R. sulcatus, presenti lungo le coste dell’Italia centro-merdionale, sono comunque caratteristici dei litorali marini sabbiosi. Tra le specie più interessanti è da citare ancora almeno il curioso Psammodius nocturnus, specie Est-mediterranea che colonizza le dune di migliore qualità ambientale lungo tutte le coste sabbiose dell’Adriatico, dal Friuli alla Puglia, e che raggiunge anche alcune località della

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Sicilia meridionale presso Gela. Questa specie, microttera e microftalma, quindi incapace di volare e quasi cieca, depigmentata, dunicola stretta, vive infossata a maggiore profondità rispetto a tutti gli altri psammodini mediterranei, ed è da considerare uno dei più caratteristici e adattati “specialisti” degli ambienti dunali sabbiosi italiani e mediterranei. Alcuni altri afodidi coprofagi (consumatori di sterco di mammiferi erbivori o onnivori) ad ampia valenza ecologica ed estesa distribuzione geografica, tra cui svariati Aphodius, frequentano più o meno occasionalmente le dune sabbiose. Un discorso a parte merita almeno il rarissimo ed endemico Heptaulacus rasettii, coprofago e psammofilo, noto esclusivamente in un paio di stazioni toscane con dune fossili subcostiere (Tombolo di Pisa e San Rossore), da considerare una delle più rilevanti specie a rischio di estinzione dell’entomofauna italiana. Tra i geotrupidi, tipicamente coprofagi, perlopiù associati ad escrementi di mammiferi erbivori, è da ricordare soprattutto Thorectes marginatus, a distribuzione siculo-maghrebina, grosso e caratteristico coleottero un tempo frequente in Sicilia lungo le dune litoranee, ormai circoscritto a poche aree sabbiose della costa meridionale, e in netta rarefazione, a causa del disturbo dei suoi habitat naturali; è legato soprattutto agli escrementi di coniglio selvatico e di ovini. Elemento ancor più rilevante e particolare è poi il rarissimo e localizzato Ceratophyus rossii, endemita tirrenico, a rischio di estinzione, noto con certezza solo di poche località di dune fossili con pinete sublitoranee e dune consolidate della costa Toscana tra il Tombolo di Pisa e l’Oasi di Burano nel Grossetano, e associato essenzialmente ad escrementi equini, sotto i quali scava profonde gallerie verticali pedotrofiche (destinate

cioè ad ospitare delle riserve alimentari che consentiranno lo sviluppo delle larve). Tra gli scarabeidi in senso stretto, tipici dei litorali sabbiosi sono alcuni rappresentanti di medie o grandi dimensioni del genere Scarabaeus, noti fin dai tempi degli Egizi per la caratteristica (peraltro comune ad altri scarabaeidi coprofagi) di rotolare delle palline di sterco prodotto da mammiferi erbivori di relativamente grandi dimensioni, destinate all’ovideposizione e allo sviluppo larvale. I più caratteristici sono in particolare l’ancora comune S. semipunctatus, a distribuzione mediterranea occidentale, dunicolo stretto, ampiamente diffuso lungo i litorali sabbiosi dell’Italia peninsulare e delle isole maggiori, e l’ormai raro e ben più grande S. sacer, a più ampia distribuzione mediterraneo-sindica, divenuto estremamente sporadico in Italia a causa della distruzione e del disturbo dei biotopi sabbiosi costieri cui è strettamente associato, rappresentati soprattutto dagli ampi versanti retrodunali sabbiosi e sabbioso-argillosi con bestiame al pascolo. Scarabaeus sacer, storicamente diffuso in Italia lungo le coste peninsulari tirreniche dalla Toscana alla Calabria, in Basilicata e in Puglia, oltre che in Sicilia e Sardegna, è infatti quasi scomparso a partire dagli anni intorno al 1970/1980 in larga parte del suo areale italiano, con popolazioni di una certa consistenza

Scarabaeus semipunctatus

limitate ormai a poche località costiere delle regioni meridionali e delle grandi Isole. Tra i melolontidi, non poche le specie italiane più o meno strettamente legate ad ambienti dunali sabbiosi. La più vistosa è certamente la grande e bellissima Polyphylla ragusai, raro endemita siciliano, presente con due sottospecie distinte, distribuite rispettivamente lungo le coste settentrionali e occidentali dell’Isola, e lungo quelle sud-orientali, in ambienti di duna e retroduna. Specie estiva, con larve radicivore al suolo; i maschi effettuano lunghi voli crepuscolari alla ricerca delle femmine, che si mantengono in genere riparate alla base della vegetazione dunale. La specie è in rarefazione a causa delle gravi manomissioni degli ambienti costieri siciliani, e da considerare già praticamente estinta lungo tutte le coste settentrionali dell’Isola. Analoga ecologia ed abitudini hanno anche le affini Anoxia orientalis e A. scutellaris, la prima a distribuzione mediterranea orientale, presente in Italia solo in aree costiere della Sicilia e della Calabria, la seconda più ampiamente distribuita in Italia peninsulare e Sardegna, ma con due sottospecie endemiche, rispettivamente lungo le coste settentrionali e meridionali della Sicilia. Da citare ancora almeno Haplidia massai, endemita siciliano conosciuto di una singola località retrodunale alla foce del fiume Simeto, e due specie del genere Paratriodonta. La prima, P. romana, è un endemita italiano noto dei sistemi dunali e di ambienti retrodunali e di macchia litoranei e sublitoranei del Lazio, da Santa Marinella al Promontorio del Circeo, dove frequenta nei mesi primaverili-estivi soprattutto i grandi fiori dei cisti. La seconda, P. cinctipennis, è un elemento siculo-

maghrebino ad analoga ecologia, ma a fenologia solo primaverile, in rarefazione in Sicilia. Tra i rutelidi, le specie italiane più caratteristiche sono almeno due. In primo luogo Anomala devota, elemento mediterraneo occidentale, tipico colonizzatore della macchia bassa, ancora abbastanza diffuso lungo le aree costiere tirreniche, e frequente sorvolatore tardo primaverile ed estivo degli ambienti dunali, tra i cisti e le ammofile. Poi, la rara e localizzata Hoplia attilioi (vedi disegno), endemica siciliana, nota esclusivamente di una località sabbiosa costiera presso Mazara del Vallo, dove vola in maggio nelle ore più calde tra la vegetazione delle dune. Un’altra specie di notevole interesse è Hoplia pubicollis, endemica di Sardegna e Corsica, presente soprattutto in primavera in ambienti litoranei, anche dunali, di vari settori della Sardegna. Infine, tra i dinastidi e gli affini pachipodidi, sono da ricordare soprattutto le rare ed elusive Calicnemis, rappresentate da C. latreillei, una specie mediterranea occidentale nota in Italia di poche località dalla Toscana al Golfo di Taranto, oltre che di Calabria e Sicilia, e da un endemita sardo descritto recentemente, C. sardiniensis, noto solo di poche località costiere della Sardegna sud-occidentale. Entrambe le specie sono tardo invernali-primaverili, ed entrambi i sessi volano nelle ore crepuscolari tra marzo e la prima metà di aprile, sorvolando le spiagge e le dune litoranee, specialmente tra le Ammophila e gli Eryngium. Le larve si sviluppano sotto i detriti lignei spiaggiati infossati nella sabbia. Infine, un paio di specie caratteristiche di ambienti litoranei e sublitoranei, frequenti anche tra la vegetazione dunale, sono i piccoli e

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Pachypus candidae

curiosi pachipodidi del genere Pachypus, rappresentati in Italia da due specie, una (P. candidae) endemica delle aree (prevalentemente tirreniche) dell’Italia centrale e meridionale e della Corsica, la seconda (P. caesus) endemica della Sicilia. I Pachypus sono caratteristici soprattutto per lo spettacolare dimorfismo sessuale, con i maschi abili volatori estivi e le femmine del tutto attere, confinate a tane sotterranee tra la sabbia compattata o il terreno secco alla base della vegetazione costiera. ● Crisomelidi. Delle circa 800 specie presenti nella fauna italiana, varie risultano legate come fillofaghe più o meno specializzate agli ambienti dunali e retrodunali, ma ben poche sono strettamente associate ad essi in modo significativo. Tra le specie più spiccatamente stenotope, o che almeno risultano essere presenti con una certa frequenza negli ambienti dunali, si possono ricordare alcuni piccoli alticini, tipici delle dune embrionali, come Psylliodes marcidus, legata solo agli ambienti delle dune sabbiose ed associata principalmente alla crucifera Cakile maritima, tra marzo e settembre. Quasi tutti gli alticini sono caratterizzati da vistose modificazioni dei femori posteriori, spesso enormemente ingrossati, che consentono a questi piccoli coleotteri di spiccare improvvisi e spettacolari balzi,

con i quali sfuggono facilmente ai predatori e alle ricerche degli entomologi meno smaliziati. Tra i rappresentanti della stessa sottofamiglia ricordiamo ancora Psylliodes maroccanus e P. pallidipennis, ambedue specie molto simili alla precedente e con analoga fenologia, ma a distribuzione limitata al Mediterraneo occidentale, e pure legate a varie crucifere alofile del sopralitorale e delle prime dune. Ancora, la congenere Psylliodes puncticollis, a distribuzione mediterranea, legata agli ambienti litoranei sabbiosi ed associata soprattutto ad enagracee, apocinacee e graminacee. Molte specie di altre sottofamiglie, tipiche della macchia mediterranea, sono poi frequenti anche nelle macchie basse retrodunali, dove si sviluppano sulle loro tipiche piante ospiti. Tra tutti, possiamo citare almeno la magnifica Chrysolina americana (che, a dispetto del nome, è un elemento autoctono tipicamente mediterraneo), associata agli steli del rosmarino, della lavanda, e di altre lamiacee frequenti negli ambienti litoranei, oltre a un discreto numero di specie della sottofamiglia criptocefalini. ● Curculionidi, apionidi e attelabidi. A livello delle dune embrionali e degli ammofileti le specie più rilevanti sono costituite da un paio di piccoli e rari curculionidi ceutorinchini fillofagi, entrambi legati alle solo occasionalmente frequenti crucifere del genere Matthiola, Ceutorhynchus matthiolae e C. pantellarianus, il primo noto di pochissime località di dune sabbiose della Francia meridionale e del litorale jonico di Calabria e Basilicata, la seconda più ampiamente distribuita lungo le spiagge sabbiose dell’Italia centro-meridionale e della Grecia. Sempre sulle dune embrionali, sono frequenti alcune Baris, come B. opiparis, con larve fillofaghe su crucifere, perlopiù su Cakile. Negli stessi ambienti vive anche Sitona variegatus,

associato a svariate piccole leguminose psammofile lungo le dune litoranee tirreniche, oltre che in alcuni settori di Sardegna e Sicilia. Altro dunicolo stretto, pure legato a piccole leguminose, presente sicuramente almeno in Sardegna, è ancora il congenere Sitona cachectus. Tipico elemento dunale è anche il tichino Tychius capucinus, presente nelle regioni meridionali tirreniche e anche in questo caso legato a piccole leguminose psammofile del genere Lotus. Sulle dune consolidate e nelle aree sabbiose xeriche alle foci dei fiumi, è invece frequente l’oziorinchino Otiorynchus juvencus, specie Ovestmediterranea a prevalente attività notturna, legata alle foglie delle piccole composite psammofile del genere Anthemis; in ampi settori dell’Adriatico è accompagnata anche dal congenere O. ferrarii, ugualmente notturno, che frequenta specialmente il terreno alla base delle tamerici. Alle tamerici retrodunali sono inoltre spesso associate varie altre specie mediterranee occidentali o mediterraneo-atlantiche caratteristiche di questi habitat, come i curculionidi Coniatus tamarisci e alcune Corimalia, più o meno ampiamente distribuite in buona parte delle aree costiere sabbiose italiane, oltre al variopinto rinchitide Auletobius maculipennis (Calabria e Grandi Isole) e al piccolissimo apionide Apion tamaricis, caratteristico per i lunghissimi tarsi (Sardegna e Sicilia). Sempre sulle dune troviamo tra gli altri i curculionidi Philopedon plagiatum e Cycloderes canescens, psammofili più o meno ampiamente diffusi nel Mediterraneo lungo le coste sabbiose, oltre a Tanymecus submaculatus e T. fausti, rispettivamente di Italia meridionale e Sicilia, entrambi dunicoli stretti rinvenibili alla base di cespugli. Leptolepurus meridionalis, specie mediterranea

occidentale, è presente alla fine dell’inverno lungo le dune delle regioni centro-meridionali tirreniche, di norma alla base dei ciuffi di Ammophila. A livello di duna e retroduna sabbiosi, una specie di grande rilievo è ancora Phoeniconyx gobbii, un ceutorinchino oxionino legato agli steli della rara gimnosperma cespugliosa Ephedra distachya, noto esclusivamente delle dune alla foce del Fiume Sinni presso Policoro, in Basilicata, e da considerare realmente specie a rischio. Gli oxionini sono tutti associati alle gimnosperme efedracee, legate a loro volta ad ambienti xerici ed eremici sia sabbiosi che rocciosi rupestri di buona qualità ambientale, nel Mediterraneo prevalentemente in aree litoranee. Un ancora inedito oxionino del genere Paroxyonyx ad affinità nordafricane è stato oltre tutto recentemente scoperto lungo dune costiere sabbiose della Sicilia meridionale. Imenotteri. Sui fiori di una grande varietà di specie psammofile dunali (Eryngium, Cakile, Calystegia, Euphorbia, e altre) sono presenti, soprattutto nei mesi primaverili-estivi, moltissime specie euriecie di imenotteri che li utilizzano come fonte di nettare; tra questi, sono abbondanti soprattutto, braconidi, piccoli icneumonidi, e calcidoidei, oltre a un gran numero di aculeati, in particolare gli apoidei, che svolgono un ruolo importante nell’impollinazione incrociata dei vegetali stessi. Negli ambienti dunali, retrodunali e di spiaggia emersa, gli imenotteri più frequenti appartengono di solito agli sfecidi, insetti solitari, predatori, che nidificano non solamente lungo le dune come i Tachytes, ma anche sulla stessa spiaggia emersa a livello dell’eulitorale o del sopralitorale, come parecchi Bembix (vedi disegno), Bembecinus, Stizus, Philanthus, ecc. Essi utilizzano

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le aree ove il nido non viene raggiunto dall’acqua durante l’alta marea. Gli appartenenti ai generi sopra elencati hanno dimensioni grossolanamente analoghe a quelle dell’ape domestica, ma rispetto a questa possiedono un volo assai più rapido, con possibilità di virata o arresto brusco; afferrano in volo le prede, che vengono in seguito trasportate nei nidi costruiti nel terreno. I Bembix in particolare hanno un sistema di rifornimento dei nidi assai caratteristico. La femmina trasporta al nido costruito nella sabbia la prima preda e vi depone sopra un uovo. La schiusa è rapida e la neonata larva inizia a nutrirsi del cibo a disposizione, di norma una mosca paralizzata ma viva. Prima di terminare il pasto, la genitrice, che visita di tanto in tanto la cella pedotrofica, rifornisce un altro dittero fino a quando, dopo alcune mute, la larva sarà pronta ad impuparsi e quindi a trasformarsi in adulto. Philanthus venustus è uno sfecide dai vivaci colori giallo e nero che ama nidificare nella sabbia. Esso scava una tana profonda al massimo 10 cm al fondo della quale trasporta, dopo averli immobilizzati con l’aculeo, alcuni apoidei appartenenti di solito alla famiglia alictidi, precisamente al genere Lasioglossum, aventi in media dimensioni poco inferiori alle proprie. Altri imenotteri caratteristici delle spiagge emerse sono alcuni mutillidi, come Trogaspida catanensis e Nemka viduata (spesso citata come Smicromyrne viduata). La femmina di quest’ultima specie, priva di ali, coloratissima, con fasce alternate nere, rosse e bianco argenteo, comuni alla maggior parte delle specie della famiglia, si può osservare sulla spiaggia ove cammina lentamente, anche in presenza di bagnanti che solitamente la scambiano per una grossa formica. Essa ricerca i nidi di Bembecinus all’interno dei quali si introduce a parassitizzare le

Trogaspida catanensis, un mutilide

larve oppure le pupe individuate scavando il terreno con le zampe anteriori munite di un robusto pettine. Le punture che possono infliggere sono relativamente poco dolorose e infrequenti, in quanto non esiste comportamento aggressivo e, salvo contatti accidentali, il rischio per le persone è minimo. Il maschio, alato e più grande della femmina, si aggira lungo le spiagge posandosi di tanto in tanto sui fiori dunali per nutrirsi del nettare. I Bembecinus, pur essendo Imenotteri solitari, hanno l’abitudine di nidificare in paraoichia, radunati cioè in grandi colonie formate da decine, talvolta centinaia di nidi poco distanziati tra di loro. Le prede abituali sono rappresentate da sfecidi di dimensioni simili alle loro, tra cui talvolta anche il rarissimo Palarus variegatus. Sulle spiagge sono anche frequenti numerosi apoidei. Se sul retroduna esistono discrete quantità di fiori di Allium, potremo poi essere certi di trovarvi molti esemplari di sfecidi del genere Cerceris, appartenenti a più specie. Tra le curiosità va notato che, nel caso le spiagge siano utilizzate dai turisti, di solito si impiegano a ridosso di dune e

retrodune canne per creare tettoie per distributori alimentari improvvisati oppure per riparare le automobili dal sole. In questi casi si installano rapidamente e con frequenza numerosi imenotteri, abituati a nidificare nelle canne, utilizzando i fori terminali lasciati scoperti. Essi appartengono a molte famiglie quali apidi, sfecidi, vespidi e crisidi, al seguito dei quali arrivano poi molti parassitoidi, come icneumonidi, braconidi, calcidoidei ed altri. L’intera comunità di imenotteri associati a questi microhabitat artificiali, costituita perlopiù da specie euriecie, con grande vagilità e ampia tolleranza ecologica, sarà però pronta a trasferirsi altrove non appena le condizioni favorevoli alla loro vita scompaiano. Un altro elemento di curiosità, interessante da ricordare, è legato ad alcune tradizioni locali che coinvolgono, tra pregiudizi e saghe popolari, diversi imenotteri dei quali non si conosceva il comportamento e l’effettiva pericolosità. In proposito ecco quanto ad esempio scriveva negli anni ’20 il noto imenotterologo Fabio Invrea a proposito dei sopra citati mutillidi in Sardegna: “… essi sono colà noti col nome volgare di Valgia e vengono incolpati di gravi malefici: la loro puntura è considerata pericolosissima…, onde le Mutille sono in quella regione temute ed odiate….; è quasi inutile aggiungere che le colpe addebitate all’innocente e graziosa bestiola sono, senza ombra di dubbio, una pura leggenda. La puntura delle Mutille nostrane, anche di quelle di maggiore statura, è assai meno dolorosa di quella di moltissimi altri Imenotteri… ; è interessante piuttosto notare come pregiudizi di questo genere, anche se privi di un qualsiasi fondamento, siano spesso largamente diffusi, con singolare concordanza, presso popolazioni tra loro lontane e diversissime di origini e costumi”.

Neurotteri. Parecchie specie di neurotteroidei sono caratteristiche di ambienti sabbiosi litorali e sublitorali, dove molti allo stadio larvale scavano trappole imbutiformi nella sabbia, al fondo delle quali le larve stesse, armate di potenti e acuminate mandibole a forcipe, catturano i piccoli artropodi scivolati lungo le pareti mobili della trappola. Oltre alla già citata Synclisis baetica, che abbiamo già incontrato come occasionale a livello dell’eulitorale, ma che predilige gli ammofileti, le specie più caratteristiche e ricorrenti sono Myrmeleon inconspicuus, elemento tipico degli habitat dunali, retrodunali, e paleodunali con vegetazione psammofila della maggior parte del Paese, spesso associato lungo le coste meridionali e insulari al congenere Myrmeleon hyalinus. Più rara, e in genere in ambiente retrodunale, è poi Acanthaclisis occitanica, con ampia distribuzione lungo le coste italiane. Occasionalmente, soprattutto a livello del retroduna e delle paleodune più interne, troviamo anche alcuni rappresentanti del genere Creoleon, come C. plumbeus sulle coste adriatiche, C. lugdunensis su quelle tirreniche, ioniche e del basso Adriatico, C. aegyptiacus in Sicilia e C. corsicus in Sardegna e nell’Arcipelago Toscano. Recenti ricerche hanno oltre tutto messo in luce come il genere includa verosimilmente svariate altre “specie

Larva di Myrmeleon

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Imbuto trappola di formicaleone

gemelle” di difficile identificazione e diagnosi, associate agli ambienti costieri sabbiosi, e che necessitano di studi più approfonditi; la presenza di queste entità, solo in parte identificate, rappresenta da sola un’ulteriore importante istanza scientifica per la conservazione di questi habitat. Altre specie psammofile relativamente frequenti negli ambienti dunali sono Neuroleon arenarius, a distribuzione mediterranea (presente nelle regioni centro-meridionali) e i rappresentanti del genere Megistopus. Le specie appartenenti a questi generi non scavano trappole a imbuto allo stadio larvale, ma cacciano alla posta, lasciando semplicemente emergere dal substrato il solo forcipe, pronto a scattare come una tagliola nell’attimo in cui una preda viene a contatto con le setole interne alle mandibole. Anche alcuni crisopidi, come Chrysopa abbreviata e varie Chrysoperla del complesso carnea, possono giungere con una certa frequenza sulla vegetazione dunale, così come l’ascalafide Libelloides latinus (= L. italicus), endemico italiano, Palpares libelluloides (vedi disegno), il più grande tra i neurotteri italiani, e non poche altre specie caratteristiche della macchia mediterranea.

Ditteri. ● Sciomizidi. La maggior parte dei rappresentanti di questa famiglia è costituita da parassitoidi o predatori larvali di molluschi polmonati terrestri e d’acqua dolce. Una specie tipica degli ammofileti, benché presente occasionalmente anche in ambienti aridi e sabbiosi dell’interno, è Salticella fasciata, a distribuzione mediterranea, frequente parassitoide della comunissima Theba pisana, specie-

Dittero asilide

guida degli ambienti dunali tra i molluschi terrestri. Un’altra specie frequente tra la vegetazione psammofila e xerofila litoranea, soprattutto alle foci dei fiumi, è Euthycera zelleri, parassitoide di svariati molluschi polmonati terrestri. Lepidotteri. I Lepidotteri, pur essendo un gruppo di grande rilievo nella maggior parte degli ecosistemi terrestri, sono rappresentati in modo piuttosto limitato negli ambienti dunali. Valori più elevati di diversità si riscontrano naturalmente nelle dune cespugliose e nei retroduna più diversificati, dove peraltro la quasi totalità delle specie presenti risulta associata ad elementi vegetali di macchia o di consorzi rupestri, in grado di penetrare in maniera più o meno rilevante anche lungo le dune, piuttosto

che a piante erbacee o arbustive tipiche di queste. ● Ropaloceri. Nei sistemi dunali sabbiosi dell’Italia peninsulare e della Sicilia sono piuttosto frequenti specie moderatamente xerofile a più o meno vasta distribuzione mediterranea e relativamente euriecie, come Pieris edusa (spesso citata come P. daplidice), P. rapae, Colias crocea, Melitaea phoebe e M. didyma, Pyronia cecilia e Coenonympha pamphilus; le due entità più caratteristiche sono probabilmente gli esperidi Gegenes nostrodamus e il congenere G. pumilio, legate a varie graminacee xerofile e irregolarmente distribuite lungo le coste centromeridionali del Mediterraneo e dell’Asia occidentale, che, pur non essendo esclusive di questi habitat, ne sono perlomeno caratteristiche in parecchie località di migliore qualità ambientale e con minore disturbo antropico. Anche altri ropaloceri tipici volatori tra la vegetazione della macchia mediterranea sono peraltro relativamente frequenti anche lungo le dune, come il grande ninfalide Charaxes jasius, specie ad ampia distribuzione etiopicomediterranea, facile da osservare in volo almeno lungo i litorali occidentali della Penisola, soprattutto all’inizio e alla fine dell’estate, con stadi larvali notoriamente associati al corbezzolo a livello delle macchie costiere e subcostiere, ma che in tempi recenti si sta rapidamente adattando a svilupparsi anche su rutacee estesamente coltivate del genere Citrus. ● Zigenidi. La maggior parte degli zigenidi, farfalle affini a quelle a volo notturno, ma strettamente diurne, eliofile e xerofile, e caratterizzati da sgargianti livree aposematiche (cioè di avvertimento nei confronti dei predatori, essendo tutti forniti di glicosidi cianogenici di varia tossicità), sono

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Bruco di Charaxes jasius

presenti perlopiù in aree interne, associate a pendii xerici erbosi o rocciosi, garighe, pietraie, pascoli montani. Almeno una specie, la piccola e localizzata Zygaena orana, bellissima entità a distribuzione nord-africana e a volo primaverile, presente anche in poche località costiere della Sardegna occidentale, è invece piuttosto caratteristica, almeno nell’Isola, dei sistemi dunali sabbiosi e delle contigue garighe costiere, dove i suoi stadi larvali si sviluppano a spese di Lotus e di altre papilionacee psammofile. Svariate altre Zygaena xero-termofile più euriecie ed ampiamente diffuse possono poi raggiungere i fiori della vegetazione dunale, soprattutto in aree sabbiose a ridosso di pendii litoranei scoscesi e garighe costiere.

Zygaena orana


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Nottuidi. I nottuidi rappresentano un’importantissima famiglia di lepidotteri a volo notturno, comprendente parecchie centinaia di specie anche in Italia, e utilissimi, per la loro rappresentatività e abbondanza, anche come bioindicatori dello stato qualitativo e della ricchezza di specie degli ecosistemi. Negli ambienti dunali sono però pochissime le specie esclusive, probabilmente per i motivi sopra discussi, sebbene non manchino elementi termofili planiziari e soprattutto numerosissime entità migranti che giungono annualmente sulle nostre coste. L’unica specie veramente caratteristica è la sempre più localizzata Brithys crini (citata spesso anche come Brithys pancratii, e considerata in passato distinta a livello specifico sia da B. crini che da B. encausta, una presunta altra “forma” distribuita in Algeria, a Malta, in Sicilia, Puglia e Grecia), ●

Bruco di Brithys crini

Brithys crini

elemento a vasta distribuzione mediterranea, ampiamente diffuso anche in Africa e Asia meridionale; nel Mediterraneo è strettamente associata allo stadio larvale alle foglie del giglio di mare, una comune amarillidacea. I grossi bruchi, dalla vistosa colorazione aposematica, sono presenti spesso anche in numero sulle foglie della loro pianta ospite, dove vengono disdegnati da tutti i vertebrati predatori (evidentemente per la presenza di sostanze per loro tossiche), mentre sono spesso attaccati da alcuni invertebrati, quali in particolare il grosso carabide Scarites buparius. Gli adulti, poco vistosi, volatori notturni nei mesi estivi, sono invece predati senza problemi anche da lucertole, uccelli e pipistrelli. Eterotteri. Gli eterotteri sono abbastanza frequenti negli ambienti dunali italiani, con specie sia predatrici, sia fitofaghe più o meno specializzate, legate a vegetali delle dune; numerose sono poi le specie eurizonali che frequentano più o meno regolarmente anche questi ambienti. Tra i più caratteristici lungo le aree costiere italiane, particolarmente quelle tirreniche, ricordiamo il nabide Nabis reuterianus, specie mediterranea occidentale predatrice, che caccia quasi esclusivamente sulla comune leguminosa di duna Ononis natrix, sulla quale si sviluppa invece il miride fitofago Phytocoris miridioides; sempre sulle Ononis, soprattutto alla loro base, è sovente attivo come predatore anche il ligeide Geocoris pallidipennis. Un altro ligeide, Macropternella bicolor, è un caratteristico consumatore di semi di asteraceae di duna, che trova sul suolo sabbioso alla base delle piante ospiti. Altro elemento caratteristico è il cidnide Byrsinus albipennis, tipico scavatore tra le sabbie intorno alla bassa vegetazione dunale, soprattutto tra Ammophila e

Eterottero cidnide

Matthiola, insieme all’appiattito e tondeggiante pentatomide Menaccarus dohrnianus. Un altro interessantissimo pentatomide dunale, Holcogaster exilis, a distribuzione sud-mediterranea e legato a Juniperus, è presente in Italia esclusivamente nell’Isola di Pantelleria. Anche un piccolo miride fitofago, Campylomma vendicarina, descritto pochi anni or sono e noto esclusivamente di poche località della costa sud-orientale della Sicilia e della Tunisia settentrionale, è legato a Juniperus oxycedrus, lungo dune litoranee di buona qualità ambientale. Per ultimo, va ricordato almeno il raro e localizzato Nasocoris psyche, un altro piccolo miride fitofago, endemico della Sardegna occidentale, strettamente associato alle rare e localizzate efedracee dunicole del genere Ephedra. Ortotteroidei. Le specie di ortotteri presenti negli ambienti dunali più asciutti sono abbastanza numerose, rappresentate soprattutto da entità termofile e xerofile di acrididi. I generi più tipici di questi ambienti in Italia sono Sphingonotus ed Acrotylus. Sphingonotus personatus è specie praticamente esclusiva delle dune

sabbiose presso il mare lungo le coste della Penisola e della Sicilia, con una distribuzione nota che interessa buona parte delle aree costiere peninsulari italiane e almeno quelle dell’Isola greca di Corfù. In Sardegna questa specie è invece rimpiazzata da Sphingonotus candidus, ad analoga ecologia. Simili esigenze ecologiche ma ampia distribuzione circum-mediterranea ha anche un’altra entità, Acrotylus longipes, frequente soprattutto in Sicilia. Questa specie mostra alcuni curiosi e particolari adattamenti agli ambienti sabbiosi costieri caldi e assolati, quali la capacità di poggiarsi sulle sabbie bollenti alternativamente con solo tre zampe, distese al massimo, e quella di infossarsi nella sabbia dal tramonto fino al mattino successivo, lasciando liberi solo occhi e antenne. Svariate altre specie del medesimo genere, ma meno specializzate, frequentano comunque ambienti dunali sabbiosi, insieme ad alcuni Dociostaurus, come D. genei. Di particolare interesse sono soprattutto alcuni endemiti italiani strettamente dunicoli, come Dirshius uvarovi, legato ad ambienti sabbiosi prevalentemente retrodunali di poche località dell’Italia peninsulare, e un altro Dociostaurus,

Acrotylus longipes

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D. minutus (vedi disegno), noto solo di una limitata area della Sicilia sud-orientale, dove frequenta ambienti retrodunali, e che rappresenta un paleo-endemita di origine pre-quaternaria, fortemente differenziato dalle specie congeneri. Da ricordare è almeno ancora Ochrilidia sicula, altro endemita siculo appartenente ad un genere prevalentemente africano, tipica della vegetazione dunale ad Ammophila ed Elytrigia, e in forte rarefazione nell’Isola, dove ormai sopravvive solo in poche località della costa meridionale e orientale. Una specie affine, Ochrilidia nuragica, è stata poi recentemente descritta di una località dunale della Sardegna meridionale, ma è presumibile che possa essere più ampiamente diffusa in ambienti dunali e retrodunali di buona qualità ambientale di questa parte dell’Isola. Altre specie frequenti volatrici sulle dune di larga parte dell’Italia peninsulare sono Sphingonotus coerulans e la comunissima Oedipoda germanica, specie xerofila ad ampia valenza ecologica, presente in una grande varietà di ambienti aridi sabbiosi o sabbioso-pietrosi anche dell’interno, e caratteristica, come altre congeneri, per la vistosa colorazione aposematica delle ali posteriori. Per quanto riguarda altri gruppi di ortotteri, oltre agli acridoidei, sono da ricordare almeno Ephippiger appulus appulus, endemismo italiano che presenta importanti popolazioni costiere negli ambienti dunali di svariate località della Puglia, i decticini del genere Pterolepis, con una specie sicula (P. siciliensis) associata ad ammofileti, e

Brachytrupes megacephalus

Dactylochelifer latreillei, più frequente nei salicornieti, e l’atemnide Atemnus politus, mentre altre specie alofile sono però strettamente associate ai litorali rocciosi o ciottolosi. Tra i ragni già si è detto a proposito dell’eulitorale della presenza di alcuni filodromidi del genere Tibellus, come T. macellus e T. maritimus, tipici frequentatori anche della vegetazione erbacea dunale e retrodunale, e degli svariati licosidi (Arctosa spp., Alopecosa spp., e altri) psammofili e più o meno marcatamente talassofili che colonizzano gli ambienti litoranei dalla fascia eulitorale a quella extralitorale arida. A livello del sopralitorale di spiaggia sabbiosa asciutta e delle dune compaiono numerosi altri elementi, perlopiù termofili e xerofili, appartenenti a svariate famiglie (in particolare salticidi, terididi, tomisidi, oonopidi), anche se mancano elementi veramente esclusivi di questi ambienti. Un elemento caratteristico degli ambienti costieri italiani, non solo sabbiosi, dal Nizzardo all’Istria, è comunque l’araneide Argiope lobata, specie termofila caratteristica per le sue ampie tele verticali tese tra i più alti cespugli dunali e retrodunali. Anche il diffuso opilione Opilio saxatilis è un caratteristico predatore tra le dune sabbiose.

Aracnidi. Tra gli pseudoscorpioni, poche sono le specie italiane strettamente psammofile litoranee. L’elemento più caratteristico è l’olpide Olpium pallipes, a distribuzione mediterraneo-macaronesica, presente in quasi tutte le regioni peninsulari e insulari italiane ad esclusione di quelle del Medio e Alto Adriatico. Frequenta sia le dune che il retroduna, prediligendo gli ammofileti, dove si rinviene soprattutto alla base della vegetazione psammofila. Altre specie si rinvengono con una certa frequenza anche sulle dune, pur non essendone esclusive, come il cheliferide

Chilopodi. La maggior parte dei chilopodi necessita di un certo grado di umidità, e negli ambienti dunali più asciutti questo gruppo è scarsamente rappresentato. Nel retroduna aperto, alla base di arbusti e cespugli della macchia mediterranea, si possono comunque rinvenire alcune specie ad ampia distribuzione geografica ed ecologica, quali in particolare i geofilomorfi Pachymerium ferrugineum ed Henia bicarinata, insieme ad alcuni litobiomorfi relativamente più termofili, come talora Lithobius cassinensis, o il piccolo ed elusivo scolopendromorfo Cryptops trisulcatus.

soprattutto l’eccezionale e gigantesco grillide Brachytrupes megacephalus, a distribuzione sardo-siculo-maghrebina, presente nel nostro Paese solo in ambienti dunali costieri della Sicilia e della Sardegna meridionale. Questa specie, strettamente legata agli ambienti sabbiosi, è un tipico scavatore, attivo prevalentemente tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, che, in funzione della stagione, scava più o meno complesse e profonde gallerie lungo le dune consolidate. I maschi al tramonto si pongono all’esterno delle proprie gallerie, e, con il capo rivolto all’interno di queste, compiono caratteristiche, rumorose e prolungate stridulazioni per attirare le femmine.

Diplopodi. I diplopodi degli ambienti dunali sabbiosi sono pochi. Oltre ad alcune specie euriecie, già citate per l’eulitorale (Lophoproctus jeanneli, Polyxenus lapidicola, Stosatea italica), che si possono rinvenire con una certa frequenza nei punti più umidi alla base degli arbusti dunali e retrodunali, da citare sono almeno gli iulidi Ommatoiulus oxypygus, presente solo in Sicilia, Calabria, Isole Maltesi e circumsiciliane, ma pure relativamente euriecio, presente in microhabitat relativamente riparati anche di dune e retroduna, e il congenere O. sabulosus, specie a distribuzione europea ad ampia escursione altimetrica, ma che predilige ambienti xerici aperti, inclusi quelli dunali sabbiosi. Molluschi. I molluschi terrestri sono abbastanza diversificati a livello degli ambienti dunali, con un discreto numero di specie più o meno strettamente adattate a questi habitat costieri, alcune delle quali presenti con popolazioni di cospicue dimensioni, tanto che numerosi malacologi hanno ampiamente utilizzato questo gruppo come buon bioindicatore dello stato qualitativo e dell’evoluzione dinamica (naturale e antropica) delle biocenosi litorali. La specie dominante degli ambienti dunali sabbiosi, praticamente in tutta Italia, è l’elicide Theba pisana, tanto abbondante in molte

Theba pisana

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località, soprattutto negli ammofileti, da poter costituire non solo il punto di riferimento e la specie guida delle complessive zoocenosi a invertebrati (Thebetum pisanae), ma persino il fulcro dell’intero ecosistema nel riciclaggio e l’arricchimento del suolo in ioni calcio, grazie al continuo ammassarsi e al disgregarsi di grandi quantità di nicchi vuoti della specie a livello soprattutto della duna e del retroduna. Questa specie, ad ampia distribuzione mediterraneoatlantica, è spesso affiancata negli stessi ambienti da alcune Cochlicella, come C. conoidea (specie mediterranea occidentale presente in larga parte dell’Italia peninsulare) e, più raramente, C. acuta, e da altre specie di svariati generi, come alcune Monacha. Theba pisana è sostituita nei suoli retrodunali più compatti, calcareo-marnosi, da altre specie come Trochoidea pyramidata o Cernuella virgata. La già citata Cochlicella acuta, pure ad ampia distribuzione mediterranea, è invece la specie caratteristica degli ambienti retrodunali più asciutti, qui accompagnata in particolare da alcune Cernuella e Papillifera e, tra le altre, talora da Xeromicra apicina, peraltro più frequente in situazioni più mesofile. Di grande rilievo naturalistico sono poi alcune specie endemiche o subendemiche italiane ad areale ristretto o frammentato, come l’eccezionale Ichnusomunda sacchii, limitata alle note dune sabbiose di Is Arenas e a pochi altri sistemi dunali della Sardegna occidentale, Polloneriella contermina, limitata alle dune sabbiose lungo le coste del Lazio (del Viterbese in particolare) e della Sardegna occidentale, e Cernuella aradasi, nota esclusivamente di un limitatissimo tratto di dune sabbiose in prossimità del Faro di Messina, in Sicilia. Ancora, la relitta Xeromunda durieui, limitata alle dune sabbiose pugliesi del Tarantino e al Nord Africa.

■ Le comunità delle spiagge limoso-fangose a salicornieti e delle rive degli stagni retrodunali Coleotteri. Carabidi. Negli ambienti umidi sabbiosi costieri i carabidi costituiscono un gruppo importante di piccoli predatori. Tra le specie più rilevanti sono sicuramente alcuni cicindelini, come la rara Cassolaia maura, specie iberico-maghrebina presente in Italia solo in Sicilia e in Calabria, lungo le rive sabbiose di alcuni stagni costieri salmastri, e due specie di Cephalota: C. circumdata, specie mediterranea presente in ambienti sabbiosi al margine di saline, stagni salmastri e lagune costiere (Puglia nel Tarantino, Toscana presso Orbetello, Sardegna e probabilmente anche Sicilia), e C. littorea, specie iberico-maghrebina presente con la sottospecie goudoti anche in Sicilia e Sardegna, talvolta in compagnia della precedente. Altra specie di rilievo è infine Myriochile melancholica, specie limicola ad ampia distribuzione Afro-indiana-mediterranea, presente in svariate località dell’Italia insulare e peninsulare (a Nord fino in Toscana), ●

Una Tenthyria (tenebrionide) consuma i resti di una cicindela

soprattutto lungo le rive fangose di stagni salmastri e di foci fluviali. Oltre ai cicindelini sopra citati, le cenosi dei salicornieti sono caratterizzate da svariate specie dei generi Pogonus, Pogonistes, Syrdenus, da Tachys scutellaris e T. dimidiatus, da alcuni Dyschirius e soprattutto Dyschiriodes, oltre a Daptus vittatus, Notaphus ephippium e alcune Amara, come A. metallescens (Sicilia, Sardegna e saline di Tarquinia nel Viterbese). Si tratta perlopiù di specie mediterranee o mediterranee occiodentali, più raramente mediterranee orientali o turanicomediterranee. Tra i più caratteristici, oltre a Daptus vittatus, sono certamente i piccoli scaritini del genere Dyschiriodes (come ad esempio D. fulvipes in Sicilia, D. importunus in Italia meridionale, D. salinus e D. intermedius, spesso alle foci dei fiumi), che si rinvengono soprattutto sotto placche di fango, e sono frequenti predatori di stafilinidi lutobi e psammobi del genere Bledius. In ambienti umidi contigui con vegetazione spiccatamente igrofila ma meno alofila come fragmiteti e giuncheti compaiono poi anche molte altre specie, soprattutto piccoli bembidini, alcuni Stenolophus e Acupalpus, qualche specie di Paradromius e di Drypta, e un gran numero di elementi generalmente igrofili o eurieci, spesso reclutati da ambienti limitrofi. ● Stafilinidi. Negli ambiti retrodunali, lungo le rive di pozze temporanee, nei salicornieti e in generale negli ambienti salmastri, su suoli nei quali alla sabbia si associa il limo, le comunità di stafilinidi sono piuttosto interessanti e caratteristiche. Numerosi sono i

rappresentanti della sottofamiglia oxitelini con regime alimentare fitofago (si nutrono di alghe microscopiche), quali alcune specie del già citato genere Bledius (una decina di specie in Italia) e del genere Carpelimus (almeno sei specie italiane, tutte di piccolissime dimensioni). Sono invece predatori i Throbalium (due specie di poco meno di mezzo centimetro di lunghezza), i Cryptobium, un paio di Philontus, e un paio di Brundinia. Il predatore di maggiori dimensioni di questi ambienti è rappresentato da Orthidus cribratus, uno stafilinide nero lucente con riflessi bronzei che supera il centimetro di lunghezza. L’entità più caratteristica di questi ambienti salmastri, nonostante le piccole dimensioni (circa 2,5 mm), è tuttavia l’enigmatico Euphanias insignis (vedi disegno), presente con due sottospecie, una dell’Italia peninsulare e di Sicilia, la seconda in Sardegna e Corsica. Gli stafilinidi di questi ambienti costieri sono spesso di grande interesse anche dal punto di vista biogeografico, in quanto in taluni generi (Throbalium, Remus) si nota in ambito mediterraneo un frazionamento in un notevole numero di entità allopatriche non ancora perfettamente conosciuto, studiato e tanto meno interpretato. ● Idrenidi. Svariate sono le specie di idrenidi presenti nei salicornieti e nei detriti vegetali alla base della vegetazione alofila, soprattutto in prossimità di foci di fiumi. Le specie più interessanti sono alcune entità alofile del genere Ochthebius, come O. viridis, O. subpictus, e altre, frequenti soprattutto in Sardegna, Sicilia, e lungo le coste dello Jonio e dell’Adriatico. Di eccezionale interesse è poi la presenza

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di una specie rarissima, l’octebino Micragasma paradoxum (vedi disegno), unico rappresentante mediterraneo di un genere Tetideo che include anche alcune specie dell’Asia meridionale, noto solo dell’isola greca di Corfù e di una località costiera nei dintorni di Taranto, e che vive come microfago (a spese verosimilmente di alghe unicellulari) tra i detriti vegetali umidi dei salicornieti costieri. Rappresenta senza dubbio uno dei coleotteri naturalisticamente più importanti e più seriamente minacciati di estinzione dell’intera fauna europea. ● Endomichidi. Interessantissimi sono alcuni atipici rappresentanti detritivori e microfagi di questa piccola famiglia di clavicorni (si veda anche la finestra “Marcatori di spiagge” a pag. 27), che infatti comprendono in larghissima misura generi e specie associati a funghi arborei in ambienti forestali, soprattutto tropicali. Benché di norma molto rare e sporadiche, almeno tre specie igropsammo-alofile del genere Dapsa sono presenti in Italia, spesso associate ai detriti vegetali accumulati nei salicornieti, ma talvolta presenti anche sotto i detriti algali e vegetali spiaggiati, a livello dell’eulitorale, soprattutto a ridosso di aree con lagune costiere e foci di fiumi. Dapsa opuntiae è presente nelle regioni centro-meridionali della Penisola, mentre l’eccezionale Dapsa obscurissima (= D. tyrrhena) è nota solo di pochissime stazioni litoranee della Toscana (presso Orbetello) e del Lazio (tra le foci del Tevere e la baia di Formia), oltre che della Tunisia e Algeria settentrionali. Relativamente più comune è invece nei salicornieti e nei fragmiteti

costieri di buona parte dell’Italia peninsulare l’ampiamente distribuita Dapsa trimaculata, in Italia meridionale spesso associata con l’affine Ancylopus melanocephalus, ad analoga ecologia, ma a vasta distribuzione sudmediterranea e asiatica meridionale. ● Nitiduloidei. Poche le specie di nitidulidi e cateretidi di questi ambienti; la maggior parte sono elementi igrofili generalisti, associati a settori igrofili ma scarsamente alofili, con presenza di giuncacee e lamiacee igrofile, come alcuni Kateretes (cateretidi) e alcuni Meligethes (nitidulidi) del gruppo di specie di M. lugubris, associati a Mentha spp. La specie più interessante è il raro Kateretes dalmatinus, entità a gravitazione mediterranea orientale con popolazioni italiane relitte in ambienti retrodunali umidi sabbiosi dei dintorni di Trieste, della Puglia, e del litorale jonico di Basilicata, Calabria e Sicilia. ● Falacridi. I falacridi dei fragmiteti e dei giuncheti costieri sono rappresentati da poche specie igrofile dei generi Stilbus e Phalacrus, non strettamente associate ad ambienti litoranei, e presenti perlopiù su graminacee igrofile. ● Tenebrionidi. Come abbiamo visto in precedenza, i tenebrionidi sono coleotteri tendenzialmente xerofili, e non deve stupire che siano assai pochi quelli presenti in ambienti umidi e fangosi quali quelli dei salicornieti costieri, con svariate specie ubiquiste ad ampia tolleranza ecologica che vi fanno solo delle più o meno ricorrenti escursioni. L’unica entità associata con una certa frequenza a questi ambienti è Blaps nitens, specie politipica ad ampia distribuzione sud-mediterranea, presente in Sardegna con la sottospecie endemica mercatii, e che manifesta una marcata preferenza per substrati salsi con salicornieti, anche in aree non strettamente litoranee.

Curculionidi. Nei salicornieti sono abbastanza frequenti alcune caratteristiche specie di curculionidi alofile indirette. Da citare, tra gli altri, almeno il piccolo ceutorinchino Pseudophytobius acalloides, a distribuzione mediterraneo occidentaleatlantica, in Italia presente solo in Sardegna, associato al parenchima fogliare di chenopodiacee alofile del genere Suaeda. ●

Xanthomus pellucidus

Più tipici delle zone madolitorali ma a volte presenti nelle aree retrodunali sono alcune specie di Xanthomus. ● Crisomelidi. Tra gli alticini, ampiamente discussi a livello dei popolamenti dunali, ricordiamo almeno Chaetocnema tibialis, specie a distribuzione centroasiaticomediterranea, presente almeno da aprile a ottobre, e legata a chenopodiacee di varie tipologie ambientali, ma comunque da considerare elemento caratteristico dei salicornieti mediterranei. Nei retroduna caldi ma umidi, spesso lungo i margini di stagni salmastri, troviamo anche Asiorestia impressa, specie a distribuzione mediterranea, attiva almeno tra aprile e ottobre su poacee e su Limonium spp. (plumbaginacee). Tra i cassidini, caratteristici per il corpo depresso e le parti laterali di pronoto ed elitre fortemente appiattite e espanse, è da ricordare almeno Oxylepis deflexicollis, specie a distribuzione mediterranea occidentale, attiva tra maggio e luglio, e legata ad ambienti strettamente alofili, con chenopodiacee dei generi Salsola, Suaeda e Salicornia. Tra i crisomelini, vale la pena di segnalare almeno Chrysolina schatzmayri, raro endemita italiano dei litorali veneti, legato all’asteracea alofila Inula crithmoides. Sono infine ancora da ricordare il galerucino Diorhabda elongata e il criptocefalino Stylosomus tamarisci, entrambi legati alle tamerici.

Neurotteri. Poche specie di neurotteroidei sono caratteristiche di ambienti sabbiosi umidi e salmastri litorali e sublitorali. Tra queste, alcune specie ad ampia distribuzione mediterranea, come Megistopus flavicornis, e il ben più raro e rilevante M. mirabilis, specie descritta per il Sinai, ma ritrovata recentemente in un paio di stazioni costiere mediotirreniche laziali tra il Circeo e la Tenuta Presidenziale di Castelporziano. Ditteri. Lungo le rive di stagni e lagune costiere, saline, salicornieti, o alle foci di fiumi, molte sono soprattutto le specie igrofile di efidridi, alcune già citate per il popolamento delle spiagge umide, come Asmeringa inermis, Ephydra bivittata, E. flavipes, Scatella subguttata, Scatophila modesta, Scatella spp. e molte altre. Benché si tratti di specie con larve acquatiche, vale qui la pena di ricordare anche alcuni ditteri stratiomidi (detti anche “mosche armate”), peculiari per la loro biologia, in quanto associati ad acque con elevata concentrazione salina, tipicamente alle formazioni di Salicornia. Le larve di svariate specie dei generi Nemotelus e di Stratiomys sono in particolare adattate a concentrazioni saline tra gli 80 e 100 g/l. Ai “Pantani dell’Inferno”, nel Parco Nazionale del Circeo, sfalciando con il retino le salicornie in aprile-maggio si

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cattura N. notatus (vedi disegno), uno stratiomide di alcuni millimetri di lunghezza e dall’addome dal caratteristico colore avorio. La laguna di Venezia coincide con la porzione italiana di areale di Nemotelus crenatus, mentre sono ormai rari N. longirostris e N. punctatus, dal rostro particolarmente sviluppato, note solo di poche località della Sicilia e della Sardegna. In Italia tutte le specie di Nemotelus sono da considerare minacciate per il degrado e la progressiva distruzione del loro habitat. Questa situazione è aggravata, specialmente nelle zone turistiche dell’Alto Adriatico, dai massicci e reiterati trattamenti contro le zanzare. Eterotteri. Gli eterotteri sono abbastanza frequenti negli ambienti limoso-sabbiosi litoranei umidi, con specie sia predatrici, sia fitofaghe più o meno specializzate, legate a vegetali dei salicornieti o dei giuncheti su substrati salmastri; numerose sono poi le specie eurizonali igrofile che frequentano più o meno regolarmente anche questi ambienti. Tra gli elementi più caratteristici lungo le aree costiere italiane, escludendo le specie strettamente acquatiche, possiamo ricordare Halosalda lateralis, un saldide predatore ad ampia distribuzione europeo-mediterranea, che vive specialmente sui suoli sabbiosi o fangosi salsi litoranei, soprattutto al margine di stagni salmastri e salicornieti, ma che colonizza talvolta anche l’eulitorale, almeno alle foci di fiumi. Questa specie è caratterizzata dallo spostarsi con movimenti a scatti, che ricordano quelli dei carabidi del genere Cicindela, con cui sovente convive. In alcune zone costiere questa specie è in grado di lasciarsi

sommergere dall’alta marea, rimanendo immobile, aggrappata ai vegetali dei salicornieti fino al riflusso. Altro elemento predatore tipico dei salicornieti è il nabide Halonabis sareptanus occidentalis, che cattura adulti e stadi larvali di piccoli artropodi che si rifugiano alla base di diverse chenopodiacee alofile. Negli stessi ambienti sono presenti, soprattutto nelle regioni meridionali, alcuni altri caratteristici predatori, come i miridi Phytocoris salsolae, Polymerus cognatus, e Orthotylus moncreaffi, e il ligeide Engistus boops. Tra i fitofagi, uno dei più caratteristici è il vistoso pentatomide Brachynema cinctum, di colore verde e rosso, tipico dei salicornieti, associato a varie chenopodiacee alofile, presente nel nostro paese in Sicilia, Sardegna ed alcune isole minori. Ortotteroidei. Molto numerosi sono gli ortotteri associati agli ambienti salmastri umidi interdunali, ai salicornieti e alla vegetazione igrofila litorale. Molti di questi sono forme igrofile a più o meno ampia distribuzione geografica, non strettamente associate ad ambienti sabbiosi; altri invece rivestono un’importanza notevole sotto il profilo conservazionistico, essendo degli endemiti o subendemiti italiani ad areale più o meno ristretto, che vale la pena di ricordare. Tra questi, alcuni tettigonidi, come Roeseliana brunneri e Zeuneriana marmorata, endemiche delle aree costiere italiane tra la Venezia Giulia, la Laguna Veneta e i Lidi Ferraresi, ristrette ormai a poche località relitte, talora in precario equilibrio ambientale, come le “barene lagunari” della citata Laguna

margini sabbiosi degli stagni interdunali, rappresentati perlopiù da specie euriecie igrofile, come il comune, spesso antropofilo e assai ampiamente distribuito Brachyiulus pusillus, particolarmente frequente lungo i margini di stagni e lagune.

Roeseliana brunneri

Veneta. Entrambe le specie, associate alla vegetazione erbacea di questi tipici habitat salmastri sabbiosi, sono da considerare come minacciate di estinzione, e andrebbero tutelate in ogni modo. I fattori di rischio per queste due specie sono costituiti da un’importante interazione tra opere di bonifica e distruzione degli habitat, inondazioni marine incontrollate e uso di insetticidi per la lotta contro ditteri nocivi negli ambienti umidi e contro insetti dannosi all’agricoltura nelle spesso contigue aree litorali agricole. In Sicilia possiamo invece ricordare almeno Pterolepis elymica, endemica delle aree costiere della Sicilia occidentale, mentre in Sardegna è presente l’affine P. pedata. Specie a più ampia distribuzione, ma con popolazioni italiane a carattere più o meno relitto soprattutto nelle aree adriatiche, e associate ai medesimi habitat, sono ancora Epacromius coerulipes, E. tergestinus, Chrysochraon dispar, Parapleurus alliaceus, Paracinema tricolor, Aiolopus thalassinus, e altre. Diplopodi. Scarsi i rappresentanti di questo gruppo nei salicornieti e nei

Aracnidi. Tra gli pseudoscorpioni, poche specie (alcune già citate per gli ambienti dunali) sono frequenti predatori nei salicornieti, come i cheliferidi Dactylochelifer latreillei, frequente soprattutto nell’Alto Adriatico insieme a Rhacochelifer disjunctus, e l’atemnide Atemnus politus, specie steppica centroasiatico-mediterraneomacaronesica, tipica di suoli salati, che in Italia (ad esempio lungo l’Adriatico) si comporta da elemento psammoalofilo costiero. I ragni sono piuttosto abbondantemente rappresentati nei salicornieti e lungo le rive sabbiose umide delle lagune salmastre. Oltre ad alcuni dei già citati licosidi sabulicoli, che pattugliano anche questi habitat durante le fasi più asciutte, sono frequenti tra la vegetazione igrofila soprattutto molte specie perlopiù ubiquiste o moderatamente igrofile, quali in particolare molti tomisidi, linifidi, terididi e filodromidi. Molluschi. Tra i polmonati nei salicornieti e all’interfaccia acquatico-terrestre negli ambienti umidi retrodunali troviamo con una certa frequenza la già citata Myosotella myosotis (caratteristica soprattutto delle spiaggie umide sabbioso-ghiaiose eulitorali, tra i detriti spiaggiati), oltre ad Auriculinella bidentata. Sulla vegetazione psammoalofila sono poi più o meno frequenti ancora Theba pisana, Cernuella virgata e Cochlicella acuta, peraltro più xeroresistenti e forse aloresistenti che strettamente psammo-igrofile.

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■ La fauna: i vertebrati Come abbiamo visto, il numero e la biomassa complessiva che caratterizzano l’insieme dei piccoli invertebrati sabulicoli degli ambienti strettamente litoranei sono piuttosto limitati. Non deve quindi stupire che i vertebrati, in maggioranza predatori, vi siano stabilmente rappresentanti da un numero piuttosto modesto di specie, solo pochissime delle quali realmente specializzate. La maggior parte dei vertebrati che frequenta le spiagge e le dune è infatti costituita da elementi eurieci e ad ampia distribuzione sia geografica che altitudinale, che compaiono spesso solo occasionalmente in questi habitat, durante le loro periodiche attività di pattugliamento finalizzate soprattutto all’individuazione di eventuali resti spiaggiati di piccoli e grossi animali marini. Per molte specie di maggiori dimensioni, spesso elusive per loro natura, e mal predisposte a essere sorprese allo scoperto da osservatori in aree che non siano prossime a rifugi sicuri e facilmente accessibili, gli stretti cordoni dunali e le spiagge sono poi ambienti troppo nudi e poco protetti. La situazione è del resto certamente peggiorata nel recente passato, a causa dell’inurbamento di molte aree litoranee, e all’affollamento delle coste durante i periodi riproduttivi di alcune specie. Per i mammiferi, anche la difficoltà di scavare tane sicure in substrati cedevoli e mobili come quelli sabbiosi ha certamente contribuito alla povertà dei popolamenti naturali delle coste sabbiose. Faremo comunque un rapido excursus sull’insieme delle specie delle varie classi che più frequentemente si incontrano lungo spiagge e dune italiane, con pochi cenni anche su alcuni di quei numerosi uccelli di ripa che frequentano soprattutto le paludi costiere; queste ricche comunità ornitiche, associate ad una fauna di invertebrati acquatici di fondi molli ricca, diversificata, e con biomasse importanti (in grado quindi di sostenere catene trofiche anche di rilievo), interessano infatti solo marginalmente gli ambienti delle spiagge e dune sabbiose litoranee.

Una volpe sorpresa in una spiaggia del Parco dell’Uccellina (Toscana)

Parte tassonomica

Anfibi. Il solo anfibio italiano che con una certa frequenza giunge sulle dune sabbiose, nei retroduna, e perfino sulle spiagge emerse, a ridosso della linea di battigia, è il relativamente comune rospo smeraldino, Bufo viridis. Questa specie, ad ampia distribuzione paleartica e ampiamente diffusa in tutte le regioni italiane, grandi isole comprese, dal livello del mare fino a 2000 m di quota sulle Alpi, è infatti in grado di riprodursi anche nei piccoli stagni costieri con acque dolci o moderatamente salmastre, e nelle piccole raccolte d’acqua dolce interdunali. Soprattutto nelle giornate più umide e fresche, e nelle ore notturne, anche in piena estate, non è infatti raro imbattersi in esemplari di questa specie che girovagano per le dune a caccia di piccoli artropodi sabulicoli ad attività notturna o crepuscolare. L’unica limitazione alla sua presenza è ovviamente data dalla disponibilità di opportuni siti riproduttivi primaverili a ridosso dei sistemi dunali, e la qualità biologica delle loro acque. Occasionalmente anche alcune raganelle (Hyla spp.) sono state notate in ambienti dunali della Sardegna e dell’Italia centro-meridionale, almeno durante le ore notturne o in giornate piovose. Rettili. ● Lacertidi. Comune ovunque lungo le dune sabbiose della Penisola e delle Isole è la lucertola campestre Podarcis sicula, ampiamente distribuita in Italia e aree limitrofe e nei Balcani, sovente accompagnata, seppure con frequenze minori, dal ramarro occidentale (Lacerta bilineata; citato in passato in Italia con il

Paolo Audisio

nome di Lacerta viridis). Entrambe queste entità sono attivi predatori diurni di una grande varietà di piccoli invertebrati sabulicoli, sia allo stadio larvale che adulto. In Sardegna e in Sicilia, in ambienti dunali o lungo piccole spiagge sabbiose circondate da scogli, fanno la loro comparsa più o meno occasionale anche Podarcis tiliguerta e Algyroides fitzingeri (Sardegna), Podarcis wagleriana (Sicilia) e P. raffonei (endemica delle Isole Eolie). Nelle isole Pelagie, all’Isolotto dei Conigli, può comparire talora sulle spiagge anche il caratteristico Psammodromus algirus, specie iberico-maghrebina che in Nord Africa colonizza una grande varietà di ambienti aridi, soprattutto su suoli pietrosi e compatti, dal livello del mare fino a ben oltre 2000 m di quota. ● Scincidi. In Sardegna e in Sicilia, in ambienti dunali e retrodunali, fa la sua comparsa più o meno occasionale anche il gongilo ocellato (Chalcides ocellatus), che, pur prediligendo ambienti aperti sabbiosi e con scarsa copertura vegetale, è più frequente nelle aree interne sublitoranee piuttosto che in quelle strettamente litoranee di nostro specifico interesse. ● Serpenti. Le specie che più frequentemente colonizzano anche le dune sabbiose litoranee in Italia sono certamente il comunissimo ed eclettico biacco (Coluber viridiflavus), e il relativamente più raro cervone (Elaphe quatuorlineata), almeno in quei settori dove la macchia mediterranea penetri con una certa copertura vegetale negli ambienti dunali e retrodunali; soprattutto la seconda specie, che limita la sua presenza in aree litoranee quasi

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Coluber hippocrepis

esclusivamente alle regioni centromeridionali, necessita di macchie fitte e compatte per le sua attività di caccia, ma si spinge anche nei pressi di ambienti umidi interdunali. Occasionale negli stessi ambienti, soprattutto nelle regioni settentrionali, è anche Coronella girondica (colubro del Riccioli). In alcune località dello Ionio meridionale e soprattutto in Sicilia si può talvolta osservare in caccia su dune e retroduna anche il bellissimo colubro leopardino (Elaphe situla), presente in Italia meridionale, Isole Maltesi, Balcani, a Est fino alle aree anatolico-caucasiche. In Sardegna, soprattutto nei settori meridionali e sud-occidentali, compare talora su dune e retrodune anche il raro Coluber hippocrepis (colubro ferro di cavallo), a distribuzione mediterranea occidentale. In zone sabbiose litoranee può essere eccezionalmente osservabile in Liguria occidentale e forse anche alle Pelagie il grande colubro di Montpellier (Malpolon monspessulanus), così come, a Lampedusa, il più modesto colubro dal cappuccio (Macroprotodon cucullatus), le uniche due specie italiane di serpenti velenosi opistoglifi (ossia caratterizzati dall’avere i denti veleniferi collocati molto all’indietro nella cavità boccale). In poche

occasioni anche la vipera comune (Vipera aspis) è stata osservata in ambienti dunali di svariate regioni italiane. ● Testuggini terrestri. Abbastanza frequente negli ambienti dunali e interdunali dell’Italia peninsulare occidentale, dalla Liguria alla Sicilia e in Sardegna (lungo lo Jonio fino al Tarantino) è la testuggine comune (Testudo hermanni), un tempo specie abbondante negli ambienti aridi e con moderata copertura vegetale, soprattutto garighe e pascoli sassosi, ma negli ultimi decenni in forte rarefazione a causa sia della distruzione e del degrado degli adatti habitat naturali, sia dell’eccessivo e a lungo incontrollato prelievo di giovani esemplari per la vendita come animali da giardino e da terrario. La testuggine comune è comunque ancora abbastanza frequente in ambienti dunali e retrodunali soprattutto in Toscana centro-meridionale, in Campania, Calabria, Basilicata, Sardegna e Sicilia. Si ciba di foglie e germogli di un gran numero di vegetali erbacei, soprattutto prostrati e succulenti, integrando talora la propria dieta anche con piccoli invertebrati fitofagi ed epigei. ● Tartarughe marine. Un discorso molto particolare meritano ovviamente le grandi tartarughe marine, che, come ben noto, necessitano di spiagge sabbiose possibilmente indisturbate per la deposizione delle uova. Delle tre specie presenti nelle acque italiane, una sola è sicuramente in grado di riprodursi in Italia, la tartaruga marina comune o tartaruga caretta (Caretta caretta). Sia la tartaruga franca (Chelonia mydas) che la spesso gigantesca tartaruga liuto o sfargide (Dermochelys coriacea), pur non rarissime nel Mediterraneo e in Italia (soprattutto nel basso Tirreno e nel Canale di Sicilia), non si riproducono infatti in Italia. Per la sfargide esiste per

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Tartaruga marina comune (Caretta caretta)

la verità ancora qualche dubbio, legato ad un dato incerto per la Sicilia in seguito ritenuto poco attendibile. Per la tartaruga marina comune, le prime notizie certe di siti riproduttivi in Italia risalgono alla fine del XIX secolo, ad opera di Doderlein, che, pur non riportando segnalazioni precise, riferiva come “...fra le tartarughe marine o Talassiti riesce abbastanza comune in Sicilia la Testuggine di mare.... unica rappresentante mediterranea delle pregevoli tartarughe scagliose che vivono nel vasto Oceano. Molti individui della quale concorrono in tempo di primavera ne’ seni marini della Sicilia e delle sue Isole minori a deporre i preziosi germi di loro successione.....” . Attualmente, i dati disponibili sulla riproduzione della specie in Italia fanno riferimento ad alcuni siti siciliani certi nelle Isole di Lampedusa e Linosa, presso Gela, e presso Mazara del Vallo, oltre ad alcuni siti censiti nel corso degli ultimi anni nella Calabria jonica (ad esempio presso Isca Marina). Una recente segnalazione riporta inoltre la presenza di nidi di Caretta caretta anche lungo il litorale Adriatico della Puglia in vicinanza dell’oasi dei Laghi Alimini presso Otranto, mentre non è da

escludere la presenza di altri occasionali siti lungo qualche spiaggia della Basilicata jonica. Una recente stima valuta comunque che in Italia siano scavati appena una decina di nidi ogni anno, una cifra che risulta oggettivamente irrisoria se valutata nel bilancio complessivo delle circa 5000/6000 nidificazioni annue in ambito mediterraneo (soprattutto meridionale e orientale). Questa specie, cosmopolita, ad amplissima distribuzione prevalentemente nei mari intertropicali, più frequente in Italia nei mari meridionali, vive perlopiù in acque costiere non molto profonde, con qualche incursione fino nei dintorni delle foci dei principali fiumi, e, soprattutto in ambito oceanico, con non frequenti escursioni in mari profondi. Sostanzialmente carnivora, si ciba essenzialmente di crostacei e molluschi, più sporadicamente anche di pesci e di monocotiledoni marine. Le deposizioni avvengono di norma tra maggio e gli inizi di agosto, con un particolare addensamento in giugno. La femmina giunge a riva nelle ore notturne, selezionando aree buie, poco frequentate e a basso impatto antropico,


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Nido di fratino (Charadrius alexandrinus)

Fratino (Charadrius alexandrinus)

Beccaccia di mare (Haematopus ostralegus)

Pernice di mare (Glareola pratincola)

e scava una buca nella sabbia a livello soprattutto dell’alto eulitorale, spesso a ridosso delle dune embrionali, nei punti privi anche di vegetazione pioniera, dove vengono di norma deposte da 70 a oltre 100 uova, ciascuna con un diametro di circa 4 centimetri. Ricoperta la buca, la femmina riguadagna il mare, e dopo una quindicina di giorni è in grado di organizzare un altro nido nella medesima o in altra località. Normalmente nell’anno di nidificazione (ogni 2 o 3 anni di vita) ciascuna femmina può effettuare da maggio ad agosto un numero di nidificazioni variabile tra 1 e 5 (spesso 2 o 3); pur rivelando un certo grado di fedeltà ai settori costieri già in precedenza utilizzati per le ovideposizioni, le tartarughe marine non manifestano comunque in genere una stretta dipendenza da particolari siti. Le uova schiudono in maniera abbastanza sincrona, dopo un periodo di incubazione variabile tra circa 40 e 80 giorni, in dipendenza di fattori in vario modo connessi con la temperatura del nido, tra cui la temperatura media esterna della località, l’esposizione al sole della spiaggia, e la natura mineralogica della stessa. Ad esempio, la schiusa è ritardata in spiagge calcaree con sabbie chiare che riflettono maggiormente le radiazioni solari, mentre è anticipata in sabbie vulcaniche scure e quindi più assorbenti. I piccoli

fuoriescono in massa dai nidi quando la temperatura esterna è relativamente più bassa (quindi di solito durante la notte, nel primo mattino o in giornate nuvolose o piovose), e raggiungono la battigia, per poi disperdersi in mare. I rischi maggiori per la specie a livello terrestre sono naturalmente rappresentati dalla predazione dei nidi e dei piccoli. I nidi sono frequentemente scavati da Mammiferi predatori ubiquisti, che occasionalmente pattugliano le spiagge e le dune, come volpi, tassi e soprattutto, nelle aree non troppo lontane da centri abitati, gruppi di cani randagi o rinselvatichiti. I piccoli sono predati attivamente, durante il loro trasferimento dalle dune al mare, soprattutto da un gran numero di uccelli marini e terrestri, in particolare gabbiani.

di tipologie costiere. La specie più caratteristica è, tra quelle citate, certamente il fratino, che nidifica tipicamente a livello dell’eulitorale o del sopralitorale sabbioso, oltre che a ridosso delle lagune salmastre, in una semplice cavità scavata nella sabbia o nel limo sabbioso, tappezzata di frammenti di graminacee terrestri, di monocotiledoni marine, alghe, fuscelli spiaggiati. Le uova, marroni o verdastre, con macchie e strie di colore nero o cenerino, di circa 32 x 25 mm, sono deposte da fine marzo a giugno, e covate per poco più di tre settimane da entrambi i genitori. In Italia è ancora specie frequente nelle località adatte meno disturbate, particolarmente abbondante nell’Alto Adriatico. Si ciba essenzialmente di larve e adulti di insetti, crostacei (soprattutto talitridi), molluschi, e di piccoli invertebrati e vertebrati occasionalmente spiaggiati. I due piovanelli sono invece migratori svernanti, che nei mesi più freddi colonizzano gli arenili alla ricerca di resti animali e di artropodi sabulicoli. Dopo essersi alimentati presso la battigia, spesso i piovanelli si riuniscono nelle ore di riposo in piccoli dormitori, talvolta comuni, costituiti da arenili particolarmente riparati e non disturbati. Varie specie ubiquiste di gabbiani (Larus spp.) sono poi frequenti visitatori delle spiagge, dove vanno alla ricerca

soprattutto di piccoli animali spiaggiati. A livello dei salicornieti e ai margini delle saline compaiono poi con una certa regolarità molte altre specie ben più frequenti lungo le lagune costiere e subcostiere o le ampie foci fluviali, come la beccaccia di mare (Haematopus ostralegus), la pavoncella (Vanellus vanellus), il cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus), l’avocetta (Recurvirostra avosetta), e un gran numero di uccelli di ripa associati più o meno genericamente ad ambienti umidi planiziari, come il gambecchio (Calidris minuta), la pivieressa (Pluvialis squatarola), la pettegola (Tringa totanus; frequente nei salicornieti della Laguna Veneta, con alcune centinaia di coppie nidificanti), il totano moro (Tringa erythropus), il chiurlo (Numenius arquata), e molti altri. Un discorso particolare merita almeno la pernice di mare (Glareola pratincola), che, pur non essendo una specie esclusiva degli ambienti salmastri litoranei, in Italia si riproduce al 60-80% in questi habitat costieri. Anche la beccaccia di mare è di notevole interesse conservazionistico, in quanto i suoi siti riproduttivi in Italia sono in rarefazione; una trentina di coppie si riproducono lungo le isole sabbiose alle foci del Fiume Po. Anche alcune specie poco frequenti di gabbiani, come il gabbiano corallino (Larus melanocephalus) e il gabbiano roseo

Uccelli. Gli Uccelli più caratteristici lungo le spiagge, soprattutto a livello delle fasce intertidali ed eulitorali, sono soprattutto alcuni caradriformi ripicoli, quali in particolare il fratino (Charadrius alexandrinus), il piovanello tridattilo (Calidris alba) e il piovanello pancianera (Calidris alpina). Altri elementi frequenti sono anche il corriere grosso (Charadrius hiaticula) e il voltapietre (Arenaria interpres), quest’ultimo tipico di spiagge sassose e ciottolose, ma che si spinge anche ai margini di piccole spiagge sabbiose di baia con alternanza


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(Larus genei) si riproducono ugualmente nei salicornieti costieri (ad esempio in Italia nelle Valli di Comacchio). Globalmente, la maggior parte degli uccelli dei litorali sabbiosi sono specie ad ampia o amplissima distribuzione geografica, talvolta cosmopolite, che quindi colonizzano le spiagge delle aree marine di buona parte del mondo. Tuttavia, le aree costiere di buona qualità ambientale in cui possano riprodursi si restringono di anno in anno, e anche in Italia le più rilevanti aree di nidificazione comuni a più specie assumono un valore naturalistico notevole (in particolare la Laguna Veneta e le Valli di Comacchio, le lagune salmastre mediotirreniche e quelle della Sardegna e della Sicilia meridionali). A livello di duna e retroduna compaiono invece numerosi passeriformi, molti dei quali ubiquisti come il pettirosso (Erithacus rubecula), la capinera (Sylvia atricapilla), il merlo (Turdus merula) o il tordo comune (Turdus philomelos), che frequentano i settori retrodunali soprattutto in autunno, alimentandosi delle bacche di un gran numero di vegetali della macchia mediterranea. Tra le specie residenti e più caratteristiche troviamo invece alcuni altri silvidi, come l’occhiocotto (Sylvia melanocephala), la magnanina (Sylvia undata), e soprattutto la non comune magnanina sarda (Sylvia sarda), presente in Sardegna e in alcune isole dell’Arcipelago Toscano, ed endemica delle principali isole e arcipelaghi del Mediterraneo occidentale. Nei retroduna dove siano presenti negli immediati dintorni anche vecchi alberi cavitati, resti di manufatti di origine antropica (alti muri a secco, costruzioni in pietra abbandonate), o bastioni rocciosi, fa talora la sua comparsa anche la ghiandaia marina (Coracias garrulus), un bellissimo coraciforme più frequente

Magnanina (Sylvia undata)

Faina (Martes foina)

nelle aperte campagne sublitoranee, che si ciba prevalentemente di un gran numero di artropodi e di piccoli vertebrati terrestri, ma che, soprattutto in autunno, integra la propria dieta anche con frutti e bacche della macchia mediterranea. Anche il gruccione (Merops apiaster), un altro splendido coraciforme abbastanza frequente nell’area mediterranea, predatore specializzato di insetti in volo (soprattutto imenotteri), può essere spesso presente in volo tra le dune, soprattutto in prossimità di aree costiere con terreni litoranei alluvionali consolidati e ad elevata inclinazione, adatti alla sua nidificazione in tane sotterranee (margini erosi di paleodune, alte rive di corsi d’acqua presso le foci, pareti di piccole gole calcareo-marnose, ecc.).

occasionalmente le dune e le spiagge, almeno quando queste si trovino a ridosso di settori retrodunali consolidati con macchia mediterranea e aree boscate. La specie più caratteristica è comunque senza dubbio il coniglio selvatico, ancora frequente nel retroduna e sulle paleodune di molte località costiere e subcostiere sabbiose di almeno discreta qualità ambientale, soprattutto in Sicilia e in Sardegna meridionale, in forte rarefazione nell’Italia peninsulare per cause sia naturali che antropiche; si ciba di graminacee e di gemme, germogli, radici di piante dunali e della macchia bassa. Tra le specie occasionali, le più frequenti sono alcuni predatori pressoché ubiquisti di grosse o medie dimensioni, quali in particolare, tra i canidi, la volpe (Vulpes vulpes); tra i mustelidi il tasso (Meles meles), diffuso un po’ ovunque benché molto elusivo, e presente solo in aree costiere non antropizzate, e le più piccole faina (Martes foina) e donnola (Mustela nivalis); tra gli insettivori, occasionale è anche il riccio (Erinaceus europaeus). La maggior parte di questi mammiferi frequenta le dune e le spiagge soprattutto nei mesi invernali, primaverili ed autunnali, specialmente nelle ore notturne e del primo mattino, nutrendosi spesso di animali spiaggiati (pesci, uccelli marini, molluschi, ecc.) occasionalmente

Mammiferi. Ad eccezione delle specie sinantrope, del non più comune ma diffuso coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus), e di alcune talpe (Talpa europaea, T. romana), che talvolta scavano le loro tane e le loro gallerie anche nei terreni sabbiosi più consolidati e stabili dei settori costieri retrodunali (almeno dove la componente terrigena consenta un’adeguata presenza di oligocheti terrestri), la quasi totalità dei mammiferi che frequentano gli ambienti sabbiosi litoranei sono solo visitatori occasionali o periodici pattugliatori. Anche l’istrice (Hystrix cristata) frequenta

rinvenuti, oppure di artropodi terrestri (soprattutto coleotteri), molti dei quali, come abbiamo visto, manifestano degli elevati picchi di attività proprio durante la notte e nei mesi meno caldi. A parte ratti e piccoli roditori, le uniche prede vive di relativamente grandi dimensioni per i carnivori a caccia su spiagge e dune sono rappresentate dal coniglio selvatico e dagli uccelli di ripa sopra citati. Anche alcuni micromammiferi insettivori, come alcuni toporagni dei generi Sorex, Crocidura e Suncus, o alcuni roditori dei generi Apodemus ed Eliomys, possono essere presenti in settori retrodunali più consolidati delle coste italiane, pur non esistendo specie in alcun modo realmente associate, neppure in modo solo preferenziale, agli ambienti sabbiosi litoranei. Un discorso a parte meritano naturalmente alcune specie sinantrope ed ubiquiste, come, tra i roditori, il ratto nero (Rattus rattus) e il topolino domestico (Mus musculus), spesso abbondanti anche negli ambienti dunali e retrodunali, soprattutto nei settori a più marcata influenza antropica. In tempi recenti, anche il castorino (Myocastor coypus), un grosso roditore di origine sudamericana ampiamente acclimatato in Italia e sovente confuso con la lontra dai “non addetti ai lavori”, è stato avvistato con una certa frequenza soprattutto in ambienti dunali marini a ridosso delle foci di fiumi. Tra i chirotteri (pipistrelli), molte specie comuni ed ubiquiste (Pipistrellus spp., Myotis spp. e altri generi) frequentano poi le spiagge e le dune soprattutto nelle ore crepuscolari e serali primaverili ed estive, quando molti insetti sabulicoli volano tra le dune e intorno alle chiome degli arbusti e dei piccoli alberi del retroduna, spesso attratti e addensati da fonti luminose di origine antropica (abitazioni, lampioni stradali, fari, ecc.).

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Problemi di conservazione e gestione PAOLO AUDISIO · GIUSEPPE MUSCIO · SANDRO PIGNATTI

■ I rischi per gli ambienti di duna e spiaggia sabbiosa Le spiagge e le dune potrebbero sembrare ambienti privi di valore economico: infatti sono troppo instabili e soggette ad erosione e mareggiate, e pertanto in generale non sono edificabili; attività agricole (essenzialmente orticultura) sono possibili soltanto nella fascia più interna e nelle lacune interdunali, cioè al di fuori della duna vera e propria. Ciò nonostante, le spiagge di tutto il Mediterraneo, e particolarmente quelle italiane, sono soggette da alcuni decenni ad un impatto generalizzato, che minaccia di produrre alterazioni irreversibili. Gli impatti sulle spiagge derivano in generale da un’errata politica di gestione del territorio, e vengono aggravati dalle conseguenze, dirette e indirette, dello sviluppo del turismo di massa. L’impatto si rende evidente soprattutto attraverso danni diretti o indotti all’ambiente fisico, come sbancamenti e processi di erosione ben visibili su molte spiagge, e attraverso la semplificazione delle comunità biotiche, spesso banalizzate da elementi estranei eurieci, tolleranti e ad ampia distribuzione geografica. Già nei capitoli introduttivi si è più volte sottolineato come gli ecosistemi costieri sabbiosi, per loro stessa natura e collocazione topografica, debbano confrontarsi con situazioni difficili e mutevoli, nel breve e nel lungo termine. Abbiamo anche potuto notare come le loro capacità di “autoriparazione” e di resilienza, dal punto di vista idrogeologico, geomorfologico, floristico e faunstico, siano ovviamente molto elevate. Queste considerazioni ci potrebbero far credere che gli ambienti costieri sabbiosi, anche dove disturbati pesantemente dalle attività antropiche, o perfino dove totalmente distrutti, siano in grado prima o poi di ricostituire spontaneamente degli ecosistemi litoranei di buona qualità ambientale. Sebbene queste ipotesi abbiano un certo fondamento (ma con prospettive di decine o centinaia di anni), sono però difficilmente compatibili con scenari a breve termine, che ci coinvolgano più direttamente. Ci occuperemo più avanti delle possibili strategie di conservazione, gestione e recupero ambientale che interessano gli ambienti litoranei sabbiosi italiani, dopo avere analizzato quali sono i principali fattori di rischio che minacciano da più fronti questi ecosistemi, e quali le possibili conseguenze a livello naturalistico. È invece utile fare subito il punto su quelle che alcuni specialisti hanno chia-

Accumulo di tronchi dopo una mareggiata

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mato un po’ enfaticamente, ma efficacemente, “le leggi dei litorali sabbiosi”; queste “leggi” governano in effetti molti dei meccanismi geomorfologici di rischio che coinvolgono i sistemi spiaggia-duna, ed è bene tenerne conto. ● Le spiagge e le dune necessitano di moto ondoso, di maree e di venti marini non ostacolati artificialmente per essere costruite, modellate e tenute “vive”; senza onde, maree e venti marini, non si possono formare le dune, perché difficilmente la sabbia sarebbe depositata dal mare, né avrebbe il tempo di seccarsi e di essere poi rimossa dal vento, accumulandosi più all’interno. Dune di mari chiusi artificialmente, senza escursioni di marea e protette artificialmente dai venti e dalle onde, andranno facilmente incontro a deperimento naturale. Inoltre, se le dune mobili non sono in condizioni di traslare liberamente avanti e indietro tra il margine della spiaggia asciutta e la base delle dune consolidate, a causa di ostacoli innaturali interposti, l’intero sistema spiaggia-duna sarà destinato a deteriorarsi inesorabilmente. ● Le dune, per essere costruite, modellate e tenute “vive”, necessitano assolutamente di spiagge con sabbie in grado di seccarsi completamente nella loro fascia emersa, e con i granelli che rimangano incoerenti tra loro; se la sabbia delle spiagge emerse per qualsiasi motivo non riesce a seccarsi (o se si consolida una qualsiasi forma di “crosta” superficiale), i venti non riescono a rimuoverla e ad accumularla verso l’interno sotto forma di dune. ● Se i meccanismi naturali di auto-riparazione dei sistemi spiaggia-duna vengono definitivamente squilibrati dalla variazione indotta di qualche parametro

Una spiaggia in condizioni di naturalità (Calabria)

ambientale, nessun intervento artificiale (apporti di sabbia alloctona, costruzione di dune artificiali, ecc.) potrà mai porre fine a danni come erosione o interramento, ma solo ritardarli, a meno che non si ponga riparo anche alle cause iniziali dello squilibrio. Rischi macroclimatici. Il leggero ma progressivo e documentato aumento della temperatura, tuttora in atto, circa a partire dalla fine del diciottesimo secolo, combinato con il ben noto “effetto serra” e le correlate crescite della temperatura media annuale e dei livelli marini, sono ritenuti fattori tra i più inquietanti nel minacciare, sul versante marino, proprio gli ecosistemi di coste sabbiose. Come abbiamo già ricordato, la crescita del livello del mare con l’aumento della temperatura media è dovuto in parte alla liberazione di grandi masse di acque dolci presenti a livello delle calotte glaciali artiche e antartiche e dei ghiacciai dei principali sistemi montuosi, in parte alla diminuzione della densità media delle acque stesse, che ne comporta una dilatazione volumetrica percentualmente leggera ma globalmente sensibile. È tuttavia molto importante rilevare che, pur nella recente effettiva alternanza di brevi impulsi caldi e freddi, discussi nel capitolo introduttivo sulla paleogeografia e paleoclimatologia, vi sono forti indizi, su scala temporale più ampia, di una sostanziale stabilizzazione climatica (e quindi di una sostanziale stasi dei livelli marini) a partire da circa 6.000 anni or sono. Questa relativa stabilizzazione, ove confrontata con le globali ricostruzioni paleoclimatiche dell’intero Pleistocene, sembra presentare notevoli analogie con quelle che hanno immediatamente preceduto l’inizio dei principali cicli glaciali. Alcuni climatologi sono in effetti convinti che ci si possa attualmente trovare non troppo lontani dall’inizio di un nuovo e più o meno intenso ciclo glaciale. Una simile ipotesi sembrerebbe in stridente contrasto con i non immotivati allarmismi sul già citato innalzamento recente delle temperature medie annuali, attribuito al ben noto “effetto serra”. In realtà, non dobbiamo dimenticare che i primi attendibili rilievi storici sui parametri climatici risalgono al diciottesimo secolo, periodo che ha coinciso con un picco freddo non trascurabile (il così detto “Piccolo Glaciale”); il fatto che da allora sia stato documentato un trend positivo delle temperature, potrebbe significare che il clima planetario si sta semplicemente riassestando verso valori medi più elevati, compatibili con la ipotizzata stabilizzazione climatica preglaciale. Possiamo comunque osservare che, mentre una regressione marina (legata principalmente ad un abbassamento delle temperature medie) porterebbe una lenta traslazione verso mare dei sistemi spiaggia-duna, che avverrebbe senza particolari traumi con la progressiva modificazione dei suoli a poco a poco riconquistati dalle biocenosi costiere, ben più drammatico potrebbe essere ai giorni nostri anche un breve picco termico (di pochi anni o di poche decine di

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Il mistero di San Rossore Lungo il litorale tirrenico negli anni ’70 si è manifestata una generalizzata moria dei pini, particolarmente grave nella Pineta di S. Rossore (Pisa). Si tratta di una pineta costituita artificialmente su un terreno di bonifica alle foci dell’Arno, dal governo del Granducato di Toscana. Benché non si tratti di un bosco naturale, i pini centenari creano un ambiente di grande bellezza, usato dai Savoia come tenuta di caccia ed ora aperto alla fruizione di un vasto pubblico. Le cause della moria potevano essere molteplici, ma i sintomi sulle foglie dei pini sembravano indicare danni causati dalla salinità: un fatto incomprensibile, perché i pini già da secoli crescevano in riva al mare senza segni di sofferenza. Vennero ipotizzati un abbassamento della falda, oppure l’ingresso dell’acqua marina, ma senza prove sicure. La causa venne infine identificata in una complessa concatenazione di fattori: all’origine stava l’abuso di detergenti. Infatti i detergenti derivanti dagli usi familiari e industriali di una parte densamente popolata della Toscana venivano scaricati nell’Arno e da qui dispersi in mare proprio in vicinanza della

Sandro Pignatti Pineta di San Rossore. I detergenti in sé non risultano tossici, però, portati dall’aerosol marino sulla pineta, avevano progressivamente causato negli aghi di pino una degenerazione della cuticola e dell’apparato protettivo degli stomi; questo aveva aperto la via alla penetrazione del sale marino, portato anch’esso dall’aerosol. Il sale, a differenza dei detergenti, risulta tossico, ed è la causa della moria. In un romanzo poliziesco, dopo il delitto si cerca di identificare l’assassino: in questo caso gli assassini siamo stati tutti noi, attraverso l’abuso di detersivi. Va osservato che i saponi naturali non hanno quasi mai causato effetti veramente nocivi; invece per il funzionamento di lavabiancheria e lavastoviglie automatici è necessario impiegare dosi massicce di detergenti di sintesi, che nelle acque vengono demoliti lentamente e possono avere conseguenze impensate come la moria dei pini. Questa vicenda ha rappresentato un allarme salutare ed ha stimolato la realizzazione di impianti di depurazione, così che oggi il rilascio di detersivi nelle acque è diminuito e la pineta è in ripresa.

anni) che facesse innalzare su scala globale i livelli dei mari. Infatti, alle spalle di molte aree costiere sabbiose anche ben conservate, troviamo sovente nell’immediato entroterra ampie zone con estesi insediamenti urbani, strade, o naturali aree rocciose, che si rivelerebbero incolonizzabili per le biocenosi costiere psammofile traslate questa volta verso l’entroterra. D’altra parte, si è calcolato che la “velocità” di escursione verticale della linea di battigia associata alle più rilevanti modificazioni macroclimatiche durante il Quaternario sia stata di più di 100 m in 10.000 anni, quindi almeno 1 cm/anno. Su spiagge molto pianeggianti, un’escursione altimetrica positiva di soli 10 cm, potenzialmente osservabile dunque in meno di dieci anni, può comportare l’avanzamento del mare verso l’entroterra anche di qualche metro, con conseguenze già sensibili sui sistemi spiaggia-duna. D’altra parte, è molto probabile che l’effetto serra possa provocare un effettivo aumento a breve termine del livello del mare; le previsioni dei climatologi sull’argomento sono ampiamente variabili, ma, dopo gli scenari catastrofistici previsti una ventina di anni or sono da alcuni studiosi, negli ultimi anni si è osservata una certa convergenza nel ritenere attendibile per il 2100 un aumento di livello dei mari dell’ordine di mezzo metro. Di fronte a un’ingressione marina di un simile rilievo sarebbero comunque da ritenere già alti i rischi di quasi complete distruzioni locali di molti ecosistemi di spiaggia sabbiosa. Ciò si verificherebbe senz’altro in tutte quelle località costiere che non presentino nell’immediato entroterra almeno una stretta fascia a debole inclinazione e di accettabile qualità ambientale, utilizzabile come “zona tampone di traslazione” delle comunità biotiche. Rischi associati alla subsidenza. Un fattore di rischio non trascurabile e non molto noto al grande pubblico è dato anche dagli estesi fenomeni di subsidenza (cioè di abbassamento) del livello dei suoli costieri, in risposta a lunghi periodi di prelevamento di acqua, di gas naturale o di oli combustibili dal sottosuolo antistante o retrostante. Le conseguenze ecologiche di questi fenomeni, sensibili anche nel medio termine (dell’ordine anche di alcune decine di centimetri per secolo), sono simili a quelle precedentemente discusse a proposito dei possibili periodici innalzamenti del livello marino. Rischi associati all’inquinamento delle acque (marine, lagunari e fluviali) e alle attività agricole. Gli effetti dell’inquinamento marino, lagunare, fluviale e agricolo sugli ecosistemi sabbiosi litoranei possono essere di varia natura e portata, in funzione del tipo di sostanze e materiali che fungono da agenti inquinanti, e delle diverse modalità con cui queste pervengono sulle spiagge e sulle dune. Possiamo distinguere grossolanamente queste diverse tipologie di materiali “inquinanti”:

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Materiali solidi grossolani e inerti non biodegradabili (e perlopiù a basso peso specifico) provenienti da scarichi urbani, scarichi di navi, o portati in mare dai fiumi durante le alluvioni, e poi spiaggiati dai flutti, insieme a contenitori di varia natura abbandonati dai turisti direttamente sulle spiagge. Questi materiali sono causa del primo “impatto negativo” che coinvolge emotivamente un osservatore appena giunto su una spiaggia. A parte l’inciviltà di chi abbandona o getta rifiuti inerti sulle spiagge, nei fiumi, o dalle navi, va peraltro detto che l’impatto di queste sostanze sugli ambienti litoranei, pur se molto negativo, non è in genere devastante, se non sotto il profilo estetico. Insomma, contenitori e sacchetti di plastica, lattine, vetri e frammenti inerti di varia natura sono certamente deprimenti da vedere, ma, se non manifestano una rilevante percentuale di copertura dei suoli, di norma non provocano gravi sconvolgimenti a carico delle biocenosi costiere, e possono comunque essere facilmente rimossi manualmente. ● Materiali biodegradabili abbandonati dai turisti direttamente sulle spiagge o gettati in mare, fertilizzanti utilizzati in agricoltura, sostanze organiche di apporto fluviale o marino ma di origine antropica. Queste sostanze possono avere un impatto estremamente serio sui sistemi spiaggia-duna. Escrementi, residui di cibo e, in genere, sostanze organiche non tossiche e facilmente biodegradabili, possono fungere da importanti nutrienti a livello dei suoli delle dune, modificando quindi la natura degli stessi, innescandone fenomeni di locale eutrofizzazione e consentendo l’ingresso di specie sia vegetali che animali estranee agli ambienti sabbiosi litoranei e a carattere invasivo. L’ingresso massiccio di specie vegetali aliene sulle dune può in effetti comportare danni seri alle catene trofiche e agli equilibri naturali in gioco. In vicinanza delle città è poi frequente anche la deposizione di schiume, provocate da una eccessiva concentrazione di detergenti; anche queste possono diventare causa di fenomeni di eutrofizzazione. Questo insieme di sostanze, diluite o emulsionate dalle acque del mare e depositate sulle spiagge, ha poi un effetto ancora più diretto: può infatti innescare l’attività batterica e algale a livello della superficie delle spiagge, agendo da blando ma micidiale “legante” tra i granelli di sabbia e contribuendo sovente a formare delle “croste” superficiali più o meno compatte. Questo fenomeno di “crusting” impedisce alla sabbia asciugata dal sole di essere liberamente mobilitata dai venti marini, modificando quindi a breve termine il ciclo naturale della sabbia, impedendo l’alimentazione delle dune e danneggiando i meccanismi di auto-riparazione dell’intero sistema spiaggia-duna. ● Materiali inerti a granulometria finissima. Il dilavamento operato dai fiumi su suoli terrosi o terroso-argillosi in erosione per cause antropiche comporta spesso un eccesso di materiali a finissima granulometria quali limo o argille che pervengono intorno alle foci fluviali e, per trasporto longitudinale, lungo le limitrofe aree costiere sabbiose. Anche questi materiali possono comportarsi da leganti con le sabbie, innescando il “crusting”.

Sostanze trasportate dall’aerosol marino e dai venti di terra. La cessione di determinate sostanze da parte delle acque marine ai venti sotto forma di aerosol può avere conseguenze molto importanti, a carico soprattutto delle comunità vegetali. Di particolare rilievo può essere l’azione di detergenti di sintesi, che, trasportati dal vento marino, possono creare dannose e complesse sinergie con il sale e con altre sostanze, danneggiando le attività metaboliche delle piante costiere (vedi finestra a pag. 122). Anche l’uso estensivo di insetticidi e di diserbanti in agricoltura può avere impatti pesanti a livello sia faunistico che floristico sugli ecosistemi dunali e retrodunali, almeno quando questi, come accade in molte località peninsulari e insulari italiane, si trovino in stretto contatto con aree intensamente coltivate. Infine anche le attività industriali o termoelettriche in aree litoranee o sublitoranee possono attivare il fenomeno delle “piogge acide” associato ai venti di terra. ● Olii combustibili. Gli scarichi abusivi e le fuoriuscite accidentali di oli combustibili costituiscono notoriamente uno dei maggiori fattori di rischio per le comunità costiere, sia marine che terrestri. Occorre ovviamente distinguere tra la pratica selvaggia del lavaggio a mare delle cisterne da parte delle navi petroliere, fortunatamente in diminuzione, e gli eventi accidentali ma potenzialmente catastrofici legati ai naufragi delle stesse o alle rotture di oleodotti. Nel primo caso, quantità più o meno modeste di oli combustibili (o meglio, delle loro frazioni più viscose e non volatili) si accumulano a tratti sulle spiagge, perlopiù ●

Anche le spiagge ove le tartarughe marine in tarda primavera depongono le uova, sono utilizzate più tardi dai turisti con inevitabili pericoli per la riproduzione di questi rettili (Lampedusa, Sicilia)

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solo a livello dell’intertidale e dell’eulitorale, formando modesti blocchi catramosi che danneggiano solo parzialmente le comunità animali psammobie, creando comunque problemi alle attività di balneazione. Nel secondo caso i danni possono essere devastanti, a carico anche di lunghi tratti di costa e delle intere comunità animali nel brevissimo termine, per il noto effetto impregnante del catrame sull’intero substrato, oltre che sulle piume e sulle penne degli uccelli marini costieri. Anche la rimozione delle masse catramose richiede lavori di ripulitura complessi; l’uso di solventi può causare ulteriori danni, e quelli a carico delle comunità terrestri possono perfino rivelarsi più gravi di quelli provocati dagli stessi olii combustibili. Anche in questi casi il fenomeno del “crusting” può essere poi in agguato.

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Rischi associati all’erosione e al prelievo di sabbia, o agli squilibri nel suo trasporto a mare. Nei capitoli introduttivi abbiamo sottolineato come l’intero sistema spiaggia-duna sia continuamente governato dall’interazione di più fattori in equilibrio dinamico, di cui il ciclo naturale delle sabbie è evidentemente il protagonista principale. L’erosione è di per sé un fenomeno del tutto naturale, così come lo sono le violente mareggiate che la provocano, o la rideposizione ciclica delle sabbie nei tratti di mare antistanti. I problemi nascono quando interventi di natura esogena (di norma le attività umane) modificano alcuni dei parametri in gioco, anche a grandi distanze rispetto ai litorali. Ad esempio, man mano che le sabbie trasportate nelle aree subcostiere vengono inglobate nei terreni stabilmente vegetati e consolidati, queste vengono definitivamente sottratte al ciclo della sabbia litoranea e necessitano di essere rimpiazzate da sabbie di apporto fluviale o marino. Quando l’apporto di un prossimo bacino fluviale è particolarmente rilevante per il sistema dunale in studio, può essere sufficiente una grande diga che sbarri a monte il corso principale del fiume coinvolto per bloccare in situ importanti quantità di sabbia, sottraendole dal naturale ciclo di trasporto verso il mare e di rideposizione sulle spiagge. Anche lunghi periodi di siccità, senza piene fluviali nei bacini idrografici che sottendono un’area litoranea sabbiosa, possono provocare analoghe carenze di apporto di sedimenti. A parità di altri parametri in gioco, quelle spiagge saranno perciò soggette, a breve o medio termine, ad un rischio di erosione maggiore di altre, fino a che il fattore di disturbo non sia stato rimosso. Un altro punto di grande rilievo è associato al prelievo indiscriminato di sabbia dai litorali per le attività edilizie, sia locali che non. Anche in questo caso, se il prelievo è importante, grandi quantità di sabbie saranno sottratte dal ciclo naturale, e i locali cicli erosivi avranno una innaturale prevalenza su quelli deposizionali, minando alla base il destino delle spiagge e delle dune interessate dalle cave. Senza contare i gravissimi danni ambientali alle biocenosi sabulicole

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provocate dalle operazioni di scavo e dalla annessa movimentazione di materiali e mezzi meccanici. Questi tipi di perturbazione sono comunque in genere reversibili, ove la regimazione dei bacini sia in seguito opportunamente governata, ove gli eventi climatologici e pluviometrici rientrino in normali cicli naturali, e ove il prelievo antropico di sabbia sia localmente eliminato o regolamentato. Rischi associati alla realizzazione di moli, scogliere artificiali e barriere di controllo delle maree. Una serie di interventi antropici di rimodellamento e di regolazione delle coste è stata introdotta, proposta o realizzata in Italia fin dai tempi dei Romani, soprattutto in prossimità delle foci di fiumi o entro baie già naturalmente protette. Più recentemente, più o meno rilevanti modificazioni costiere sono state poi effettuate o suggerite per la realizzazione di nuove aree portuali commerciali e turistiche, o per grandi opere di ingegneria idraulica. È utile ricordare in proposito qualche ovvio corollario delle prima citate “leggi dei litorali sabbiosi”: ● Se si interpongono barriere rigide di varia natura (moli, scogliere artificiali, ecc.) tra il mare e le spiagge, queste ultime verranno comunque alla lunga erose ed eliminate, insieme ai loro eventuali sistemi dunali, o necessiteranno di continui e costosi ripascimenti artificiali. ● Se si chiudono dei bracci di mare o degli ampi golfi con sistemi di barriere artificiali, allo scopo di regolarne le escursioni tidali, soprattutto ove in questi mari sbocchino importanti foci fluviali, è probabile che aumentino non solo i fenomeni di eutrofizzazione delle acque, ma anche quello del crusting delle spiagge emerse, minando i processi di autoriparazione di spiagge e dune, a scapito anche della stabilità delle comunità biotiche naturali. Un altro tipo di squilibri, oltre tutto tipicamente irreversibili, se non in presenza di interventi drastici, coinvolge i deficit indotti nel trasporto longitudinale (lungo costa) delle sabbie. Lunghi sbarramenti perpendicolari o subperpendicolari alla battigia (soprattutto moli in calcestruzzo, legno, gabbie metalliche o altri materiali) possono infatti modificare i lineamenti costieri, provocando di norma sensibili avanzamenti delle spiagge sopraflutto (cioè quelle che precedono lo sbarramento rispetto alle prevalenti correnti longitudinali) ma evidenti arretramenti delle spiagge sottoflutto (quelle che seguono lo sbarramento). A medio termine, gli eventuali sistemi dunali retrostanti seguiranno poi la sorte e l’evoluzione indotta delle rispettive spiagge. Sembra evidente come queste influenze indotte artificialmente, se possono avere effetti anche benefici in aree già a forte influenza antropica e scarsissimo valore naturalistico (per finalità di controllo dell’erosione e di miglioramento nella fruizione turistica delle spiagge), siano invece estremamente pericolose se intervengono in aree ad elevata naturalità e qualità ambientale.

Rischi associati all’urbanizzazione e all’edilizia costiera, alla stabilizzazione delle dune e alle piantumazioni di specie vegetali arboree e arbustive. Molte attività umane si sono spostate recentemente a ridosso delle linee di costa, per scopi sia turistici che agricoli, commerciali o industriali. Lo sviluppo dello sfruttamento turistico delle spiagge è avvenuto spesso in maniera incontrollata e al di fuori di ogni pianificazione, a volte con risultati distruttivi. Le spiagge sono state spesso completamente urbanizzate; ad esempio, in Sicilia e Calabria le costruzioni arrivano sino a pochi metri dal mare (spesso si tratta di interventi abusivi), impedendo ai più perfino di raggiungere la costa, che è un bene di tutti. Flora e fauna di spiaggia sono spesso completamente svanite. Le aree di campeggio hanno invece invaso i sistemi dunali e le eventuali selve litoranee, soprattutto dove prevale la pineta, provocando anche in questo caso una completa banalizzazione dell’ambiente. Al di là degli effetti distruttivi diretti dell’edilizia costiera sugli habitat naturali e delle annesse conseguenze estetico-paesaggistiche, meritano però di essere ricordati anche altri e meno ovvi aspetti negativi del fenomeno. In molti casi è sorta la necessità di proteggere dai venti, dall’aerosol marino e dalla sabbia manufatti, abitazioni, strade o campi. Si è perciò estesamente diffusa la tendenza ad opporre ostacoli (muri, palizzate, barriere frangivento, siepi, filari di alberi) a livello delle dune o perfino delle spiagge, a protezione delle attività antropiche. Per altra via, si è analogamente diffusa la tendenza a piantare specie vegetali arboree o arbustive a ridosso delle spiagge o sulle dune, con il presunto scopo di consolidarle.

Sistemi di protezione dall’erosione in una spiaggia dell’Alto Adriatico

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In realtà, qualsiasi elemento di altezza significativa sia artificiale che (pseudo) naturale che venga interposto trasversalmente con un ampio profilo esposto tra il mare e il retroduna, è in grado di modificare sensibilmente la direzione dei venti, il ciclo di trasporto e di rideposizione eolica della sabbia, e dunque i sistemi di autoriparazione di dune e spiagge (ecco quindi un’applicazione della “legge” che collega la formazione e la riparazione delle dune con la presenza di venti). Gli ambienti naturali e gli originari equilibri dinamici geologici e vegetazionali vengono modificati, e l’intero ecosistema va in crisi. Si è calcolato che una barriera frangivento (siepe, abitazione, chiosco fisso di Agave (Agave americana) ristorazione, ecc.) può influenzare negativamente il mantenimento e l’evoluzione naturale di un sistema dunale che si trovi verso l’entroterra alle sue spalle, fino ad una distanza pari a circa trenta volte l’altezza dell’ostacolo stesso. A seguito dell’edilizia costiera, che ha spesso localmente modificato l’altezza dei flussi dei venti, si possono infatti osservare con una certa frequenza delle abnormi e anomale deposizioni di sabbie, che vengono spostate dalla spiaggia e dalle dune embrionali, dove è venuto a mancare il sinergismo con la bassa vegetazione naturale, per essere poi ridepositate dai venti all’interno delle stesse aree urbanizzate. Anche le strade litoranee sono un grave problema, soprattutto quando interposte, come spesso accade, tra la spiaggia e le dune, o tra le dune mobili e quelle consolidate. L’intero ciclo naturale della sabbia viene ancora una volta disturbato, la manutenzione dei margini stradali comporta il danneggiamento della contigua vegetazione naturale (diserbanti, tagli, incendi), e si consente l’accesso facilitato alla duna e alle spiagge da parte di numerose specie vegetali aliene ed euriecie, che sfruttano questo improvvisato “corridoio” per colonizzare gli ambienti dunali, a danno della vegetazione spontanea naturale. Per gli animali l’impatto delle strade litoranee, almeno di quelle ad elevato scorrimento, è ancora più grave, in quanto grandi numeri di invertebrati e piccoli vertebrati vengono falciati dal traffico veicolare, soprattutto durante le ore notturne; per molte specie litoranee queste ore coincidono infatti, come abbiamo visto, con i picchi di attività e le migrazioni trofiche più intense a cavallo dell’intero sistema spiaggia-duna.

Rischi associati all’introduzione di specie vegetali aliene. Alcune delle modificazioni più importanti nel popolamento biologico dei sistemi spiaggiaduna sono costituite dall’espansione di specie estranee e spesso invasive. La flora di questi ecosistemi è di norma specializzatissima e non tollera l’inserimento di specie aliene. In alcuni casi si tratta di vere e proprie infestanti, anche di origine esotica. Si possono ricordare alcuni casi: Conyza albida, Cynodon dactylon, Oenothera biennis, Tragus racemosus e la stessa robinia. Per Cenchrus longispinus (= C. tribuloides, C. incertus) l’invasione è avvenuta in epoca molto recente. È una graminacea delle coste americane, osservata da noi per la prima volta nel 1933 sulle spiagge presso Venezia: fino agli anni ’60 era una specie rara, poi ha cominciato a diffondersi, fino a divenire invasiva sia sull’Adriatico che sul Tirreno. Le spighette, che a maturità sono sormontate da spine acutissime, sono particolarmente fastidiose per i bagnanti. Un altro caso molto noto è quello dei Carpobrotus, grandi e vistose mesembriantemacee prostrate, originarie delle aree costiere del Sudafrica, che stanno invadendo vasti settori del Mediterraneo (da noi soprattutto lungo il Tirreno), a livello delle dune e del retroduna, in parte sostituendosi alla vegetazione psammofila originaria. Anche le agavi (Agave americana, agavacee) di origine centro-americana costituiscono un problema non indifferente in molte località

Carpobrotus

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costiere dunali dell’Italia centro-meridionale, particolarmente in Sicilia e Sardegna, anche per l’elevata biomassa e l’alta capacità di riproduzione. Molte specie arboree e arbustive, perlopiù di origine australiana o sudafricana, sono poi state estesamente utilizzate per le già discusse e discutibili operazioni di “consolidamento” dei sistemi dunali e retrodunali, contribuendo alla “banalizzazione” degli ecosistemi e non risolvendo quasi mai i problemi erosivi o di protezione per i quali erano state impiantate, anzi sovente introducendone di nuovi (ad esempio i rimboschimenti litoranei ad Eucalyptus possono provocare riduzioni delle riserve di acque dolci sotterranee, e la grande quantità di corteccia che finisce sul terreno rallenta e compromette l’evoluzione naturale dei suoli). Rischi associati alle attività di balneazione. Abbiamo volutamente lasciato per ultima quella che rappresenta probabilmente la causa di disturbo maggiore per gli ecosistemi litoranei sabbiosi, soprattutto per la loro componente biotica: il turismo di massa e le attività di balneazione. Tutte le specie animali e vegetali più specializzate e delicate di spiagge e dune sono pesantemente minacciate dal transito pedonale (per non parlare di quello veicolare) che si svolge su di esse e attraverso di esse. Questi ambienti sono purtroppo visti dalla maggior parte degli utenti come luoghi destinati a puro scopo ludico e ricreazionale, con scarsa o nessuna considerazione sul loro elevato valore naturalistico. I danni più gravi sono legati all’affollamento dei mesi primaverili-estivi, quando migliaia di persone si riversano in pochi metri quadrati di arenile, calpestando le aree di battigia e le associate comunità di invertebrati alofili e la bassa vegetazione pioniera, asportando i fiori di alcune delle piante più caratteristiche, traversando in lungo e in largo le dune, e “concimandole” con rifiuti organici di varia natura. L’attraversamento disordinato delle dune innesca anche importanti fenomeni erosivi, e contribuisce alla diffusione di specie vegetali aliene. Anche nei mesi invernali, peraltro, si può assistere a veri e propri fenomeni di vandalismo ambientale, quando molti “fuoristradisti” si avventurano lungo le coste con i loro veicoli a quattro ruote motrici o le loro motociclette da “cross” o da “enduro”, sfruttando lo scarso affollamento e gli scarsi o nulli controlli delle autorità locali. Un fattore di disturbo ancora più importante è poi rappresentato dalle attività di ripulitura, rimodellamento o ripascimento meccanizzati di spiagge e dune embrionali, che distruggono in modo pressoché irrecuperabile le locali comunità di invertebrati sabulicoli, i loro ripari naturali (spesso costituito dagli accumuli di organismi spiaggiati) e spesso anche le associate flore pioniere sopralitorali. Purtroppo in molti casi sono gli stessi enti locali a farsi promotori di queste attività; se condotte con mezzi cingolati o con trattori, queste hanno effetti realmente devastanti sugli ecosistemi litorali.

■ Strategie di conservazione e linee guida operative Molti sono i potenziali interventi che possiamo prevedere nell’immediato e nel futuro per la salvaguardia degli ecosistemi sabbiosi litoranei. Alcuni ambienti italiani di spiagge e dune sabbiose sono giunti in buono stato di naturalità fino ai giorni nostri solo per caso o per fortuna; deve essere un nostro impegno fare in modo che questi si conservino ancora per le generazioni future non più per caso o per fortuna, ma come frutto di un’accurata programmazione, che preveda anzi, ove possibile, una loro estensione tramite la rinaturalizzazione nel medio termine di aree contigue sottratte al degrado e alla negativa influenza antropica. Prima di analizzare gli aspetti naturalistici che giustifichino la richiesta protezione di questo o quel tratto costiero, è certamente utile elencare una serie di “regole del gioco” per la conservazione della più ampia porzione possibile degli ambienti litoranei sabbiosi relitti del nostro Paese. Queste ci impongono subito delle scelte chiare: occorre prima di tutto distinguere le aree destinate al tempo libero da quelle che vanno almeno parzialmente salvaguardate e da quelle che vanno integralmente protette. Nel primo e secondo caso non si deve infatti mai impedire una giusta fruizione a chi desidera godere la spiaggia. Un primo problema è quello dei parcheggi: piuttosto che ricorrere a divieti generalizzati, che poi non si riesce a far rispettare, conviene spesso sacrificare un po’ di superficie nei settori di minore qualità ambientale, per realizzare un parcheggio efficiente e contestualmente isolare la spiaggia,

Spiaggia a ridosso di una foce fluviale dopo una mareggiata

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evitando così che le auto vengano parcheggiate un po’ dappertutto. Per attraversare la duna, dove durante il giorno non ci si può soffermare per il calore, è necessario che vengano stabiliti itinerari preferenziali, segnati mediante semplici ringhiere di legno grezzo. L’arenile rimane in genere disponibile per la libera fruizione dei bagnanti. Un’attenta opera di educazione ambientale è il necessario completamento di questo modello di gestione compatibile. Anche in Italia si sono fatte esperienze in questo senso, perlopiù con esito positivo. Per quanto riguarda invece i tratti di costa sabbiosa meritevoli di protezione integrale o comunque elevata (dei criteri per la loro scelta ci occupiamo nel paragrafo seguente), è importante prevedere dove possibile dei settori di almeno uno o due chilometri di lunghezza, corrispondenti ai tratti di migliore qualità ambientale, entro i quali interdire la pratica della libera balneazione tramite divieti regolamentati o almeno inviti motivati, finalizzati alla responsabilizzazione dei turisti. Favoriremo così il mantenimento della vegetazione pioniera e soprattutto la sopravvivenza dei più delicati animali sabulicoli, diminuendo l’erosione da calpestio, l’eutrofizzazione e l’insudiciamento dei suoli e la penetrazione di specie vegetali e animali aliene ed euriecie. In questi limitati settori, opportunamente scelti sulla base di studi specialistici, sarebbe inoltre opportuno: ● Eliminare o ridurre al massimo le attività agricole e la presenza di strade o di edificati nell’immediato entroterra, e impedire fisicamente l’accesso al mare con qualsiasi tipo di veicolo. Anche questi provvedimenti diminuiranno le possibilità di erosione, banalizzazione e depauperamento degli ecosistemi litoranei. Prevedere inoltre, ove possibile, la presenza di una “fascia di potenziale traslazione” di accettabile qualità ambientale nell’immediato entroterra, per poter fronteggiare un eventuale piccolo aumento del livello del mare o un’improvvisa subsidenza del suolo costiero. ● Prevedere, se possibile, nei tratti contigui non protetti un impatto più leggero del turismo di massa, che escluda almeno le operazioni meccanizzate di ripulitura delle spiagge, in modo da garantirne la funzione quale accettabile “corridoio” floro-faunistico. ● Provvedere alla riduzione dell’inquinamento fluviale e marino nelle vicinanze e ridurre anomali apporti di detriti a granulometria finissima per innaturale dilavamento dei suoli a monte; entrambe queste iniziative ridurranno il grave fenomeno del “crusting” delle sabbie costiere. ● Evitare tassativamente di modificare nei dintorni i profili costieri con moli fissi o “pennelli” che fungano da barriera perpendicolare alla linea di costa, o con scogliere artificiali che limitino la naturale circolazione delle correnti e l’attività del moto ondoso. Analogamente, evitare assolutamente di piantumare essenze arbustive o arboree sulle dune al presunto fine di consolidarle e proteggerle dall’erosione, e non interporre alcuno ostacolo alla libera circolazione dei venti. Eviteremo così di modificarne il ciclo naturale delle sabbie, di costruzione delle

dune, e i processi di autoriparazione sia morfologica che vegetazionale dei sistemi spiaggia-duna. ● Eliminare gradualmente e con cautela gli eventuali elementi della vegetazione aliena presenti sulle dune, nel caso delle specie con dimensioni maggiori puntando soprattutto sulla eliminazione degli esemplari più giovani e con maggiori capacità vegetativa e riproduttiva, favorendo invece con mezzi meccanici il deperimento e la morte in situ degli esemplari più grandi e vecchi. Questi saranno progressivamente biodegradati e lentamente rimpiazzati dalla locale vegetazione autoctona. Eliminazioni di massa con asportazione e scavo degli apparati radicali potrebbero avere invece effetti negativi su molti piccoli invertebrati che utilizzano comunque i vegetali alieni come rifugio e protezione. ● Per la raccolta dei rifiuti spiaggiati potrà risultare utile una periodica organizzazione di gruppi di volontari con l’appoggio di associazioni ambientaliste e di esperti. Provvedere a queste operazioni sempre e solo manualmente, e con personale opportunamente addestrato, evitando tassativamente l’uso di mezzi meccanici e rimuovendo eventuali masse catramose in modo diretto, senza l’ausilio di solventi. Sono proprio le naturali capacità di resilienza a livello di comunità e di dispersione a livello di singole specie, che ci debbono spingere a difendere “con le unghie e con i denti” i lembi relitti di spiagge e dune sabbiose di migliore qualità ambientale, ovunque siano presenti, e per piccole che siano. È abbastanza nota la polemica a livello di biologia della conservazione sull’opportunità di pri-

Un intervento semplice ma efficace per impedire l’accesso delle auto alle spiagge

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vilegiare poche grandi aree protette a scapito di tante piccole oasi frammentate e spesso malamente interconnesse, o viceversa. Per i motivi appena esposti, legati alle caratteristiche molto dinamiche delle specie in gioco, non vi è dubbio che nel caso degli ecosistemi di coste sabbiose sia più vincente, su scala globale, la difesa di un sistema di tante piccole riserve, possibilmente a protezione elevata se non integrale. Queste dovranno però prevedere che i già citati “corridoi floro-faunistici” siano mantenuti attivi anche nelle aree a più elevata antropizzazione; fortunatamente, le rive del mare sono già per loro natura dei buoni “corridoi ecologici”, che solo raramente possono essere totalmente distrutti dalle attività umane. Una strategia particolarmente illuminata, ma non sempre praticabile, dovrebbe anche prevedere l’istituzione di riserve marine integrali nei settori marini prospicienti, in modo da salvaguardare localmente l’intero insieme dell’interfaccia terrestre/marino. Sfortunatamente, a parte le poche aree note di nidificazione delle tartarughe marine, in Italia raramente le istanze protezionistiche che possono spingere alla costituzione di riserve marine coincidono topograficamente con quelle previste per gli ecosistemi litoranei sabbiosi; le riserve marine sono infatti in gran parte selezionate in aree con coste rocciose e scogliere a picco sul mare. Le rotte commerciali delle navi petroliere dovrebbero infine essere opportunamente ridisegnate in modo da allontanarle il più possibile dalle aree costiere di migliore qualità ambientale, per minimizzare i danni di eventuali naufragi o perdite parziali del carico.

ambienti sabbiosi costieri della Sardegna (anche in Corsica e Tunisia); * Stipa veneta (graminacee): pascoli aridi retrodunali del litorale veneto. Nella stessa direttiva, all’allegato I, sono poi considerati nel loro insieme di interesse prioritario anche le seguenti tipologie di ambienti dunali e di ambienti planiziari costieri mediterranei: Dune fisse del litorale del Crucianellion maritimae; dune con presenza di Euphorbia terracina; dune con prati dei Malcolmietalia; dune con prati dei Brachypodietalia a vegetazione annua; dune costiere con Juniperus spp.; dune con vegetazione di sclerofille dei Cisto-Lavanduletalia; dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster; pascoli inondati mediterranei (Juncetalia maritimi); praterie e fruticeti alofili mediterranei e termo-atlantici (Sarcocornietea fruticosi); praterie e fruticeti alonitrofili (Pegano-Salsoletea). Altre entità di grande interesse e certamente meritevoli di protezione e di tutela sono poi rappresentate da varie specie vegetali a più o meno ampia distribuzione, ma in netta rarefazione lungo spiagge e sistemi dunali italiani; tra le più importanti, possiamo ricordare almeno la brassicacea (crucifera) Matthiola sinuata (violaciocca, vistosa specie mediterraneo-atlantica presente su dune embrionali e al margine di dune consolidate delle coste tirreniche e pugliesi), e le interessanti e ormai relitte gimnosperme del genere Ephedra (efedracee), come Ephedra fragilis ed E. distachya, entrambe specie mediterranee ad areale frammentato, in Italia associate a basse dune marittime di buona qualità ambientale delle regioni meridionali peninsulari e di Sicilia e Sardegna. Sia le

■ Quali specie e quali comunità proteggere La conservazione dell’ambiente di duna e della biodiversità che caratterizza flora e fauna sulle spiagge ha avuto un riconoscimento a livello europeo soprattutto nella Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CE e allegati). Le specie o sottospecie vegetali di spiagge, dune e retrodune italiane la cui tutela è ufficialmente considerata necessaria al massimo livello sono le seguenti (allegato II della Direttiva Habitat: “Specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione”; le specie contrassegnate con un asterisco sono ufficialmente da considerare di interesse prioritario): * Anchusa crispa (boraginacee): spiagge e dune sabbiose della Sardegna nordoccidentale (anche in Corsica); Euphrasia marchesettii (scrofulariacee): prati umidi retrodunali del litorale veneto e friulano; Linaria flava ssp. sardoa (scrofulariacee): spiagge sabbiose della Sardegna; Kosteletzkya pentacarpos (=Hibiscus pentacarpos) (malvacee): aree sabbiose subsalse lungo le coste mediotirreniche e la Laguna di Venezia (elemento pontico); * Muscari gussonei (liliacee): prati aridi retrodunali della Sicilia meridionale; Rouya polygama (ombrellifere):

Violaciocca sinuata (Matthiola sinuata), una rara crucifera delle spiagge tirreniche

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Matthiola che le Ephedra ospitano inoltre svariate specie di insetti fitofagi endemici o subendemici e di grandissimo interesse ecologico e biogeografico. Per quanto riguarda le specie animali, non vi sono specie o sottospecie di invertebrati tipiche di spiagge, dune e retrodune italiane la cui tutela sia considerata ufficialmente indispensabile a livello europeo, a causa di carenze di segnalazioni ufficiali. Per i vertebrati la situazione è migliore; pur non rientrando gli uccelli nell’allegato II della Direttiva Habitat, sono comunque considerati nella Direttiva CEE 79/409 e nella L. 157/92 i non frequenti uccelli di ripa tipici dei litorali sabbiosi: Haematopus ostralegus (beccaccia di mare); Charadrius alexandrinus (fratino); Charadrius hiaticula (corriere grosso); Calidris alpina (piovanello pancia nera); Calidris alba (piovanello tridattilo); Burhinus oedicnemus (occhione); Glareola pratincola (pernice di mare). Sono poi comprese nella stessa direttiva anche numerose altre specie di uccelli tipiche della macchia mediterranea, o di lagune e stagni salmastri, ma che più o meno frequentemente si affacciano anche sulle rive del mare o tra le sabbie dei giuncheti e fragmiteti costieri, soprattutto nei periodi di passo. Tra i rettili è invece compresa nella Direttiva Habitat, allegato II, come elemento prioritario, solo la tartaruga marina (Caretta caretta), che si riproduce in ambienti di spiaggia sabbiosa della Sicilia e di alcune località dell’Italia meridionale; pure compresi nell’allegato II, ma non considerati di interesse prioritario, sono poi la relativamente euriecia ma ormai poco frequente testuggine terrestre Testudo hermanni e i due serpenti Elaphe quatuorlineata (cervone) ed E. situla (colubro leopardino), che occasionalmente frequentano anche le dune sabbiose costiere, almeno in alcune regioni meridionali. In realtà, numerosissime sono invece le entità di invertebrati di grandissimo interesse faunistico, biogeografico o ecologico, molte delle quali sono state segnalate e diffusamente trattate nell’ampio capitolo dedicato all’invertebratofauna. Si tratta in molti casi di elementi endemici o subendemici italiani, o ad areale ristretto e frammentato, che necessiterebbero di opportune disposizioni di tutela a tutti i livelli, da quello locale (in alcuni casi già emanate) a quello comunitario. Tra le moltissime specie, ricordiamo in particolare i coleotteri scarabeoidei endemici Ceratophyus rossii ed Heptaulacus rasettii (dune litoranee e paleodune sublitoranee delle coste toscane), Paratriodonta romana (coste laziali), Paratriodonta cinctipennis, Anoxia ragusai, Haplidia massai e Hoplia attilioi (coste siciliane), Calicnemis sardiniensis (coste della Sardegna), Pachypus candidae (coste tirreniche dell’Italia centro-meridionale), oltre al relitto Thorectes marginatus (coste meridionali siciliane e Nord Africa occidentale). Ancora, i coleotteri tenebrionidi endemici Psammoardoinellus sardiniensis e Stenohelops carlofortinus (coste meridionali e occidentali della Sardegna), i nitidulidi ad

areale italiano relitto Meligethes opacus, M. varicollis (coste occidentali della Sardegna e del Mediterraneo occidentale) e M. cfr. longulus (coste peninsulari italiane e Penisola Iberica), il raro endomichide ad areale disgiunto Dapsa obscurissima (coste toscane e laziali, Tunisia settentrionale), i curculionidi endemici Phoeniconyx gobbii (coste joniche della Basilicata) e Paroxyonyx sp. (coste meridionali della Sicilia) e i rari Ceutorhyncus matthiolae e C. pantellarianus (coste peninsulari italiane e poche località del Mediterraneo occidentale e centrale). Ancora, molte specie a più o meno ampia distribuzione euro-mediterranea ma specializzatissime e in alcune zone ormai sulPsammoardoinellus sardiniensis l’orlo della locale estinzione, come i carabidi Eurynebria complanata e Cylindera trisignata. Anche alcuni rappresentanti endemici di altre famiglie meritano almeno attenzione, come l’anticide endemico calabro-siculo Amblyderus brunneus, alcuni stafilinidi dei generi Throbalium e Remus, e il raro crisomelide Chrysolina schatzmayri, endemico dei litorali veneti. Tra le farfalle, da citare almeno il raro zigenide Zygaena orana (Sardegna occidentale e Algeria) e il diffuso ma caratteristico nottuide Brithys crini. Tra gli ortotteroidei, di grandissimo rilievo sono soprattutto alcuni endemiti, quali Dirshius uvarovi (svariate località dell’Italia peninsulare), Dociostaurus minutus, Ochrilidia sicula, Pterolepis siciliensis e P. elymica (Sicilia meridionale e occidentale), Ochrilidia nuragica e Pterolepis pedata (Sardegna meridionale), Ephippiger appulus (Puglia), e le interessantissime Roeseliana brunneri e Zeuneriana marmorata (Alto Adriatico). Da ricordare ancora è lo spettacolare e diffuso grilloideo Brachytrupes megacephalus (Sicilia e Sardegna meridionali, Nord Africa). Tra i neurotteri, meritano segnalazione almeno alcuni Creoleon dunali, come C. plumbeus delle coste adriatiche, C. lugdunensis di quelle tirreniche, joniche e del basso Adriatico, C. aegyptiacus in Sicilia e C. corsicus in Sardegna e nell’Arcipelago Toscano, oltre a Megistopus mirabilis, specie mediterranea sudorientale dei margini di ambienti salmastri retrodunali, nota di un paio di stazioni costiere laziali tra il Circeo e la Tenuta Presidenziale di Castelporziano. Tra gli altri invertebrati, meritano attenzione almeno il raro chilopode geofilo-

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morfo Geophilus fucorum (Sardegna, Liguria occidentale e Francia meridionale), il diplopode Thalassisobates litoralis (Italia peninsulare e insulare), alcuni dei già citati isopodi endemici dei generi Porcellio e Armadillidium, i molluschi endemici Ichnusomunda sacchii (Sardegna occidentale), Polloneriella contermina (Lazio e Sardegna occidentale) e Cernuella aradasi (Sicilia orientale), e infine la relitta Xeromunda durieui (coste ioniche della Puglia e Nord Africa). Numerosi sono poi gli endemiti anche in altri importanti gruppi di invertebrati per i quali le conoscenze faunistiche a livello italiano sono più frammentarie, e che essenzialmente per ragioni di spazio abbiamo omesso nella presente trattazione (ad esempio nematodi, oligocheti, acari, collemboli, ordini minori di insetti, ecc.). ■ Quali aree proteggere Lo stato di conservazione e di naturalità delle coste italiane è molto variabile nelle diverse regioni. Questo dato di fatto già di per sé influenza pesantemente qualsiasi programma di conservazione dei locali ecosistemi, sovrapponendosi alle grandi differenze naturali degli stessi in termini di biodiversità, dovute invece principalmente all’influenza di fattori storici biogeografici. Prima di iniziare qualsiasi analisi in chiave protezionistica delle aree costiere sabbiose italiane, è dunque utile analizzare lo “stato dell’arte” sul livello noto di occupazione dei suoli costieri nelle diverse regioni, che ci può dare un’idea molto significativa dello scenario italiano. I dati che seguono sono desunti dai risultati del “Progetto Oloferne” del WWF Italia (1996/1997), che ha preso in considerazione svariati parametri come la differente tipologia costiera, il livello delle infrastrutture e degli edificati, la distanza delle eventuali aree libere da occupazione individuate rispetto ad altre aree libere o aree protette, ecc. Si va da valori massimi di aree completamente libere da occupazione del 73,6 % in Sardegna a valori minimi addirittura dello 0 % in Abruzzo, con situazioni ancora buone o discrete in Basilicata (54,9 %), Toscana (43,3 %), Veneto (40,2 %), Emilia Romagna (29,2 %) e Friuli-Venezia Giulia (25,4 %), molto preoccupanti in Campania (6,5 %), Marche (8,3 %) e Molise (4,3 %), e valori attestati circa tra il 14 e il 18 % nelle rimanenti regioni. Nel complesso, troviamo quindi una situazione di ancora accettabile naturalità in ampi settori del Tirreno centro-settentrionale, delle regioni ioniche, di quelle dell’Alto Adriatico, e soprattutto in Sardegna, mentre altrove rimangono solo pochi e frammentati tratti di litorale non occupato, soverchiati e spesso circondati da ampi lembi costieri a parziale o totale influenza antropica. Questi dati sull’occupazione del suolo a livello regionale sono certamente utili, e ci forniscono una visione grossolana ma realistica dello stato di conservazione delle coste, e alcune indicazioni su dove puntare maggiormente la nostra attenzione per l’immediato futuro.

È però nostro dovere preoccuparci anche e soprattutto di individuare quei piccoli tratti litoranei di elevata o accettabile qualità ambientale, che ospitano elementi (soprattutto faunistici) endemici, relitti, e comunque spesso esclusivi di questi ecosistemi, e che già di per sé costituiscono delle vere e proprie “emergenze naturalistiche”. Mai come nel caso delle faune e delle flore litoranee è infatti fondamentale conservare al meglio tutte queste “isole ecologiche” relitte, che servono ora e serviranno ancora più nel futuro come veri e propri serbatoi di biodiversità, da cui tutti i contigui o prossimi ecosistemi litoranei attingono in continuazione elementi adatti alla loro ricolonizzazione. Dall’insieme di tutti i dati più rilevanti riuniti per la redazione di questo volumetto, risulta molto chiaro come in Italia esistano a livello floristico e (soprattutto) faunistico, alcuni assoluti “punti caldi” di biodiversità e di endemismo che coincidono con una serie di aree litoranee dunali e retrodunali relitte, di seguito elencate in grossolano ordine di importanza sotto il profilo naturalistico e protezionistico: ● Coste meridionali della Sicilia (almeno dal Trapanese al Catanese) ● Coste occidentali e meridionali della Sardegna ● Coste tirreniche toscane e laziali (almeno da Pisa al Circeo) ● Coste ioniche di Puglia e Basilicata ● Coste dell’Alto Adriatico Soprattutto in questi settori costieri si dovranno dunque fare tutti gli sforzi possibili per salvaguardare la maggior parte degli ecosistemi litoranei sabbiosi superstiti: essi conservano infatti porzioni rilevanti di flore e faune endemiche o relitte, ospitando spesso specie insostituibili su scala nazionale, europea o mondiale.

Spiaggia allo stato seminaturale in Calabria

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■ Rinaturalizzazione e riqualificazione ambientale Finora ci siamo occupati dei fattori utili a migliorare lo stato di conservazione dei biotopi costieri sabbiosi più interessanti e a prevenire il deterioramento qualitativo delle loro comunità biotiche per interventi antropici anche indiretti e a distanza. Possiamo però avere a che fare anche con spiagge e sistemi dunali che, per incuria o per dolo, siano state ormai pesantemente deteriorate o completamente erose e distrutte dalle attività antropiche in passato, ma che siano ora ritenute meritevoli di ricostituzione e riqualificazione, per finalità naturalistiche, paesaggistiche, turistiche, o di protezione di centri abitati litoranei. La rinaturalizzazione di ambienti di spiaggia che siano andati distrutti è un problema non soltanto italiano, ma globale, noto come “rehabilitation”; si tratta di operazioni difficili, anche sul piano tecnico, e spesso molto costose. Il problema è stato comunque affrontato con successo anche in altri paesi, come Spagna, Francia e Olanda, oltre che in Australia e Stati Uniti. Le esperienze italiane, europee ed extraeuropee, hanno sovente dato buoni risultati, soprattutto quando si sia operato con un’ottica multidisciplinare, attenta al rispetto di tutte (ove possibile) le componenti in gioco, e quando il lavoro di riqualificazione sia stato finalizzato alla ricerca del massimo rispetto della naturalità originaria degli ecosistemi coinvolti. Infatti, la miglior opera di riqualificazione si ottiene sempre ricostituendo spiagge e dune il più possibile simili a quelle originarie, e utilizzando rigorosamente per la loro fitostabilizzazione solo specie vegetali erbacee e arbustive indigene. Spiagge e dune naturali sono infatti il frutto di migliaia di anni di riassestamento e di rimodellamento, in equilibrio con i locali fattori erosivi, deposizionali e vegetazionali: è già la natura ad aver sancito quali sono l’altezza, l’ampiezza e l’orientamento più stabili e ottimali di un sistema dunale e di un litorale, e quali le specie vegetali più adatte a consolidarle là dove necessario. D’altra parte, abbiamo visto come una delle “leggi” sulla geomorfologia dei litorali sabbiosi che abbiamo discusso in precedenza sostenga che nessun intervento antropico potrà ripristinare il ciclo evolutivo naturale di un sistema spiaggia-duna squilibrato da fattori di disturbo persistenti. Questo però non significa che un buon intervento di riqualificazione ambientale non possa rappresentare un’utile scorciatoia per riportare in pochi anni un ambiente litoraneo ad un accettabile grado di naturalità, purché siano ovviamente stati rimossi o almeno attenuati i fattori di disturbo che ne avevano procurato la totale o parziale distruzione, e purché il sito in oggetto non sia totalmente isolato da altre zone costiere sabbiose che possano fungere da serbatoio naturale di ripopolamento. Da alcuni anni si stanno in effetti sperimentando anche in Italia metodi di riqualificazione ambientale dei sistemi spiaggia-duna, utilizzando massicci ripascimenti di sabbia di provenienza perlopiù marina, ed elementi della vegetazione autoctona utilizzati per il fitoconsolidamento.

I più noti sono quelli operati nell’Alto Adriatico lungo il litorale veneziano (Lido di Cavallino, immediatamente a NE di Venezia), nella seconda metà dei recenti anni ’90, per tentare di porre freno al fenomeno erosivo massiccio che da moltissimi anni era in atto a carico dei sistemi di lidi dell’area veneziana, a causa di molteplici fattori quali la costruzione dei murazzi, la modifica del sistema deltizio del Po, ecc. Anche tra Venezia e Chioggia è stata recentemente ripristinata la spiaggia di Pellestrina, andata distrutta per erosione marina già da lungo tempo. Mediante rilievi sui fondali antistanti è stato identificato un antico cordone dunale del postglaciale, sommerso a circa 10 m di profondità; da questo è stata dragata una quantità di sabbia sufficiente al ripascimento del fondale sabbioso, così da creare un nuovo arenile. In entrambi i casi i ripascimenti sono stati realizzati non tanto per scopi turistici, quanto per proteggere i vicini centri abitati dalle mareggiate; l’operazione ha apparentemente avuto successo, ma soltanto gli anni proveranno se le spiagge e le dune potranno mantenersi nonostante l’erosione continua, oppure se il mare non finirà per smantellarle nuovamente. Queste esperienze dimostrano che una battaglia per l’ambiente non si deve mai considerare perduta, che molti tentativi sono possibili e che, con mezzi adeguati, anche situazioni gravemente compromesse possono venire recuperate. L’ideale schema operativo per lavori di ripristino ambientale che coinvolgano sistemi dunali erosi, distrutti o con ecosistemi totalmente banalizzati, è stato sintetizzato nel box “Rinaturalizzazione di un sistema spiaggia-duna: sequenza operativa” (pag. 144-145).

Sentiero di accesso pedonale ad una spiaggia

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Rinaturalizzazione di un sistema spiaggia-duna: sequenza operativa 1. Realizzazione di uno studio di compatibilità ambientale ed economica dell’intero progetto, con raccolta del maggior numero di informazioni possibile sullo status naturale del sito sotto il profilo geomorfologico (foto, disegni, mappe, ricordi dei locali, ecc.) e sulle caratteristiche delle relative sabbie. Raccolta di tutti i dati possibili sulla vegetazione potenziale naturale dell’area e sulla invertebratofauna associata. 2. Calcolo della cubatura di sabbia necessaria per il ripascimento dell’area in oggetto fino al raggiungimento di una fisionomia dunale assimilabile a quella naturale accertata o stimata, e progettazione delle strutture e del profilo finali attesi dell’intero sistema a regime. Sotto la supervisione di sedimentologi e di biologi marini, individuazione di un’adatta area ove effettuare, senza significativi danni e ripercussioni sulla morfologia costiera e sulle comunità bentoniche, il prelievo della necessaria cubatura di sabbia; di norma è più opportuno scegliere sabbie di origine marina, individuando banchi a profondità ottimali intorno ai 10-20 metri, possibilmente nella stessa zona del sito di ripascimento, sia per ragioni di economicità di trasporto, che per affinità sedimentologiche del substrato. 3. Identificazione delle specie vegetali adatte alla ricolonizzazione artificiale e controllata delle dune embrionali e di quelle mobili, e calcolo per ciascuna specie della quantità di plantule necessarie per le operazioni di reimpianto; la scelta di piante autoctone è opportuna soprattutto nella stabilizzazione di dune mobili, e inoltre favorisce lo sviluppo di comunità vegetali più ricche e diversificate. La specie-guida del processo di fitostabilizzazione delle dune riqualificate è tipicamente rappresentata nel Mediterraneo dallo sparto pungente (Ammophila littoralis), eventualmente accompagnata in una seconda fase dalle localmente più adatte entità psammofile erbacee o arbustive di

dune embrionali, duna e retroduna (Lotus spp., Cakile maritima, Juniperus spp., Rosmarinus officinalis, Tamarix spp., Quercus ilex, ecc.). 4. Individuazione, in aree limitrofe di buona qualità ambientale, di ecosistemi dunali nei quali, in accordo con le competenti autorità di controllo, e sentito il parere di esperti botanici e zoologi, si possano effettuare i necessari prelievi di specie vegetali da reimpiantare, utilizzando la tecnica del diradamento locale. Di norma per ciascuna specie interessata sono consigliabili prelievi non superiori al 5-10 % del totale di individui vegetali presenti, compatibili con una naturale rapida resilienza della comunità vegetale di origine. L’eventuale disponibilità di vivai locali che forniscano plantule e semi delle specie vegetali interessate può spesso essere una valida alternativa o un utile complemento. 5. Prelievo con draghe montate su chiatte da trasporto delle previste quantità di sabbia, e sua veloce rideposizione nel nuovo sito, a livello della spiaggia emersa, lasciando possibilmente che almeno una parte dell’attività di modellamento dei cumuli sia affidata per qualche tempo successivo al moto ondoso, alle maree e ai venti dominanti, piuttosto che ai soli mezzi meccanici di movimentazione. 6. Predisposizione delle zone di reimpianto delle specie vegetali, utilizzando rami e ramaglie (o eventualmente reti artificiali) di norma disposti a disegnare quadrati e linee parallele, parzialmente infossati sui cumuli rimodellati, con basse recinzioni lignee frangivento, al fine di agevolare e proteggere la delicata fase iniziale di attecchimento e di ripresa vegetativa delle specie vegetali introdotte. 7. Raccolta delle essenze vegetali prescelte nel sito di prelievo (fatta possibilmente da operai agricoli addestrati) e rapido reimpianto delle stesse nel sito di destinazione. La messa a dimora può prevedere in una prima fase una densità

Paolo Audisio media ottimale di Ammophila intorno alle 5-6 piante per metro quadrato, organizzando in modo randomizzato submoduli di una dozzina di metri quadri con densità di una quindicina di piante per metro quadro, alternati ad ampi spazi lasciati liberi o con densità inferiore. Questa disposizione permette di simulare la naturale disposizione a gruppi di addensamento, tipica delle Ammophila, che consente un più facile inserimento spontaneo o indotto di altre specie pioniere. Anche la pratica di cospargere le dune con i resti di Posidonia ed altre erbe marine spiaggiate ha dato buoni risultati, trattandosi di materiali naturali largamente disponibili in loco e che rapidamente scompaiono senza lasciare tracce o richiedere lavori di risistemazione. 8. Integrazione delle piantumazioni delle ammofile con quella delle altre specie vegetali previste, e monitoraggio periodico dell’intero sistema per due-tre anni, al fine di controllare l’attecchimento delle piante messe a dimora (grado di vitalità dei trapianti), e la resilienza dell’ecosistema (grado di naturalità dei trapianti),

ovvero la capacità di altre piante pioniere di attecchire spontaneamente sulle dune ricostruite artificialmente. 9. Monitoraggio delle comunità di invertebrati psammofili insediatesi naturalmente, almeno per un triennio. Una particolare attenzione è opportuno sia data alle coleotterocenosi, per le loro marcate capacità di colonizzazione e dispersione, e la loro elevata rappresentatività nel fornire indicazioni sulla qualità biologica complessiva degli ecosistemi terrestri. Uno strumento di calcolo (“Biotic score”) studiato per valutare numericamente con strumenti oggettivi e sufficientemente ripetitivi e confrontabili le coleotterocenosi dunali dei sistemi costieri sabbiosi italiani è stato messo a punto recentemente, mutuandolo da esperienze condotte ormai da decenni per la valutazione qualitativa delle comunità macrobentoniche di acque correnti. Nella sua fase di sperimentazione per locali attività periodiche di monitoraggio è già stato utilizzato con un certo successo in ambienti dunali presso Gioia Tauro (Calabria) e in quelli del Parco Nazionale del Circeo (Lazio).

Duna colonizzata da tamerici, efedra e ononide (Sicilia)

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Schede didattiche MARGHERITA SOLARI

Pochi ambienti come le spiagge e le dune con caratteri di naturalità corrono il rischio di non ricevere la dovuta considerazione da parte di fruitori sempre più inclini alle file di ombrelloni e meno disposti a calpestare conchiglie ed alghe spiaggiate, sempre meno desiderosi di natura e più di comfort. È proprio per questo motivo che sorge la necessità di educare le nuove generazioni ad un comportamento responsabile ed un atteggiamento volto alla conservazione, partendo dalla consapevolezza: qualsiasi intervento didattico e divulgativo, da questo punto di vista, può innalzare il livello di conoscenza e di rispetto per un ambiente di particolare valore quale quello delle dune e spiagge. Le schede seguenti propongono alcuni itinerari didattici rivolti a differenti fasce d’età, che possano fornire spunti o suggerimenti per insegnanti ed educatori. ■ Organismi e loro tracce Obiettivi: sviluppare la capacità di osservazione, analisi, formulazione di ipotesi; far prendere confidenza con un ambiente caratterizzato da flora e fauna particolari, al confine tra ambienti differenti; creare la consapevolezza della ricchezza di un ambiente naturale quale la spiaggia. ● Livello: bambini della scuola dell’infanzia e elementare (5-10 anni). ● Attrezzatura: abbigliamento adeguato e indumenti di ricambio per l’escursione. Macchina fotografica, quaderno di appunti, sacchetti per la raccolta del materiale. ● Eventuali collaboratori: guide o esperti naturalisti ●

FASE PRELIMINARE

1. Discussione ed eventuale escursione in un ambiente di prato o boscaglia, analizzando forma e struttura delle piante erbacee, arbustive ed arboree, la struttura del suolo, la consistenza del terreno, le specie di animali, ecc. ESCURSIONE IN SPIAGGIA

2. Escursione in gruppo sulla spiaggia prescelta, che presenti caratteristiche di naturalità e possibilmente non venga “pulita” del materiale spiaggiato 3. Osservazione dell’ambiente della spiaggia, in un primo momento autonoma-

Anche i funghi colonizzano l’arenile nonostante l’aridità dell’ambiente

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Piste di coniglio selvatico e lacertide

Impronte di capriolo

Impronte di tasso

mente, favorendo l’esplorazione da parte dei ragazzi, anche a gruppetti spontanei 4. Osservazione tramite la discussione guidata di vari fattori: il suolo e la sabbia, bagnata ed asciutta, più o meno compatta; osservazione delle piante: consistenza e forma di fusti e foglie (per confronto con le specie erbacee di prato conosciute), presenza di spine, profondità delle radici 5. Osservazione degli animali presenti, anche se è spesso difficile, soprattutto per i vertebrati la cui presenza è solitamente limitata agli uccelli (ben riconoscibili i gabbiani, più difficili da osservare gli altri frequentatori tipici come fratino, piovanelli, alcuni passeriformi). Per gli invertebrati è richiesta grande attenzione, ma non è raro imbattersi in qualche Cicindela o Pimelia nelle vicinanze di alghe o detriti spiaggiati, o ritrovare qualche grosso scarabeo o, ancora, ammirare la frenetica attività di qualche imenottero sfecide. Risulta più agevole, talvolta, ricercare la tracce che gli organismi lasciano sulla sabbia (piste, escrementi, tane) e formulare ipotesi sui possibili animali presenti 6. Raccolta di materiale spiaggiato nel bagnasciuga, confine tra terra e mare: ipotesi sulla natura e provenienza del materiale. In particolare potranno trovarsi piante erbacee o alghe provenienti dal mare, di cui osservare la struttura; resti di animali vertebrati terrestri o pesci spiaggiati, resti di crostacei, molluschi, meduse, ecc. utili per una prima semplice classificazione degli animali, da approfondire eventualmente in classe. Conchiglie e resti

raccolti dovranno essere lavati bene, trattati e seccati perfettamente per favorirne la conservazione. 7. Ipotesi sulla provenienza dei rifiuti spiaggiati, nel caso fossero presenti 8. Individuazione della linea di alta marea e di linee di mareggiata. CONCLUSIONE DEL LAVORO (ANCHE IN CLASSE)

9. Raccolta delle impressioni sulla ricchezza di esperienze che può offrire questo ambiente e riflessione sulle differenze rispetto alle spiagge turistiche, nel caso che i ragazzi le conoscano 10. Discussione sull’importanza della conservazione. ■ Studio dell’ambiente della spiaggia con dune Obiettivi: sviluppare le capacità di analisi e confronto dei parametri ambientali; sviluppare la capacità di cogliere le relazioni causa - effetto nello studio dell’ambiente; conoscere la complessità e la ricchezza dell’ambiente di spiaggia e duna; creare la consapevolezza dei delicati equilibri che ne regolano lo sviluppo; formare la sensibilità e la coscienza della conservazione. ● Livello: ragazzi della scuola media superiore (dai 14 anni in poi). ● Attrezzatura: abbigliamento adeguato, stivali alti, bussola, banderuola per direzione del vento, sonda o metro graduato, setacci a maglie differenti. ●

FASE PRELIMINARE

1. Introduzione teorica in classe sull’ambiente di spiaggia e duna e sui fenomeni che ne regolano la morfologia e l’evoluzione (vento, moto ondoso, vegetazione, ecc.) 2. Scelta di un ambiente adeguato con buon livello di naturalità e adeguato sviluppo delle zone dunali ed eventualmente retrodunali 3. Stima della distanza dell’ambiente dagli estuari, per mezzo di una carta topografica o geografica. Ricerca delle direzioni delle correnti ordinarie su una carta nautica, o sulla rete informatica 4. Definizione di parametri di osservazione e costruzione di una scheda di rilevamento. ESCURSIONE

5. Misurazione delle varie zone della spiaggia: pendenza approssimata della zona sommersa (con stivali e sonda graduata, misure a distanza fissa dalla riva, ad esempio ogni metro); lunghezza e pendenza approssimata della zona intertidale ed emersa (costruzione di un profilo); individuazione della berma ordinaria e di quella di tempesta, di barre e truogoli 6. Analisi semplificata della granulometria delle sabbie presenti (generalmente

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comprese tra 2 e 0,03 mm), osservazione del colore e della presenza di granuli di dimensioni maggiori (ciottoli, ecc.) 7. Annotazione dell’eventuale presenza di materiale spiaggiato, della sua natura e probabile origine 8. Misura della direzione del vento rispetto al Nord 9. Misura della distanza delle dune rispetto alla linea di costa, stima della loro altezza, osservazione della forma e direzione (trasversali o paraboliche) rispetto alla linea di costa, al vento, al Nord 10. Annotazione delle tipologie di vegetazione, e se possibile delle specie, sulle prime dune. Osservazioni sull’esteso apparato radicale. Osservazione della consistenza della sabbia 11. Osservazione degli stessi parametri su dune consolidate retrostanti: confronto sulla compattazione della sabbia, grado di copertura della vegetazione, morfologia delle piante, specie presenti 12. Osservazione degli stessi parametri nelle lacune interdunali ed eventualmente nella selva litorale retrostante. CONCLUSIONE DEL LAVORO

13. Analisi dei dati e discussione guidata sulla peculiarità di questo ambiente, sull’enorme importanza della sua conservazione e sulla necessità di porre limiti all’antropizzazione selvaggia delle coste 14. Ipotesi sull’evoluzione dell’ambiente e riflessioni sulla sua dinamica, sui fattori che influenzano la morfologia, sulle influenze antropiche. NOTE

Se possibile, ripetere le stesse misurazioni nella stagione invernale ed estiva, annotando le differenze. ■ Adattamenti della vegetazione delle spiagge Obiettivi: sviluppare la capacità di osservazione, analisi, confronto; comprendere la complessità degli adattamenti delle piante al loro ambiente; sviluppo della consapevolezza delle interazioni tra vegetazione e morfologia. ● Livello: ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori; il percorso con vari gradi di approfondimento può essere adeguato a ragazzi dagli 11 ai 16 anni. ● Attrezzatura: abbigliamento adeguato, manuale di riconoscimento dei vegetali, sacchetti per la raccolta di campioni.

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Duna con Eryngium e piste di insetti

aerosol, inquinanti in aerosol, temperature estive ed invernali, ecc. 2. Concentrazione dell’attenzione sulla poca disponibilità di acqua dolce nel substrato sabbioso e sull’elevata traspirazione delle piante nei climi caldi: studio dei particolari adattamenti della vegetazione all’ambiente arido. Ricerca tramite differenti fonti bibliografiche 3. Stesura di una check-list da utilizzare nell’escursione, al fine di valutare sul campo quali e quanti adattamenti sono osservabili nelle piante dell’ambiente prescelto. Esempio di lista: - Succulenza - Pelosità - Foglie coriacee - Rizomi striscianti sotto la sabbia - Annualità (previo riconoscimento).

ESCURSIONE

4. Scelta di un ambiente di spiaggia con dune la cui vegetazione si presti alle osservazioni richieste 5. Osservazioni sul campo, a gruppi e/o in gruppo unico, e verifica delle voci della lista su varie piante della zona. Annotazione delle anomalie riscontrate (ad esempio in specie di lacuna interdunale).

FASE PRELIMINARE

CONCLUSIONE DEL LAVORO

1. Discussione sui fattori limitanti dell’ambiente di spiaggia: substrato sabbioso permeabile che non trattiene l’acqua piovana, falda salata in profondità, sale in

6. Analisi dei dati e discussione sulle osservazioni. 7. Stesura di una relazione finale e confronto tra osservazioni e risultati attesi.


Bibliografia AA.VV., 1982 - I litorali sabbiosi. Quaderni sulla “Struttura delle zoocenosi terrestri”. 3. Ambienti mediterranei I. Le Coste Sabbiose. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma. Il volume, con tabelle e illustrazioni a tratto, è una raccolta di eterogenei ma utili lavori sulla fauna e la vegetazione dei litorali sabbiosi italiani. Solo pochi gruppi vi sono peraltro trattati in modo esaustivo. AA.VV., 1997 - Atlante delle spiagge Italiane. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, SELCA, Roma. Preziosa opera cartografica, a carattere tecnico-specialistico, sulle tipologie costiere italiane e sul loro stato geodinamico. AA.VV., 2002 - Mare e cambiamenti globali. Aspetti scientifici e gestione del territorio. ICRAM, Roma. CD-ROM sulle problematiche connesse con i mutamenti climatici su larga scala e le variazioni batimetriche dei livelli marini, con importanti riflessioni sulle dinamiche degli ambienti costieri e la loro gestione. AA.VV., 2002 - Biogeografia degli ambienti costieri. Atti del XXXIII Congresso della Società Italiana di Biogeografia, Cefalù, 2000. Biogeographia, 33. Una recentissima raccolta di contributi su molteplici aspetti (zoologici, botanici, geologici) della biogeografia degli ecosistemi costieri, in particolare di quelli sabbiosi italiani. CASTIGLIONI G.B., 1979 - Geomorfologia. Utet, Torino. Ampia trattazione tecnico-scientifica delle tematiche geomorfologiche, incluse quelle inerenti gli ambienti costieri, con abbondanti riferimenti alla situazione italiana. CORBETTA F., ABBATE G., FRATTAROLI A.R., PIRONE G., 1998 - S.O.S. Verde. Vegetazioni e specie da conservare. Edagricole, Bologna. Accessibile e aggiornata trattazione sulle tipologie e le problematiche di conservazione della vegetazione italiana, inclusa quelle delle aree litoranee. LA GRECA M., 2002 - Gli ambienti delle coste marine. InMINELLI A., CHEMINI C., ARGANO A., LA POSTA S., RUFFO A. (a cura di), 2002 - La fauna in Italia. Touring Club Italiano, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e Centro di Ecologia Alpina, Monte Bondone (TN). Una sintetica ma interessante trattazione delle principali tipologie faunistiche associate agli ambienti litoranei italiani, curata da un grande zoologo recentemente scomparso, nel quadro di una riedizione completamente rinnovata del volume del T.C.I. del 1959. MALTZEFF P., 2001 - Insetti del Litorale Romano. Associazione Naturalistica Plinio e Comune di Roma, Dip. X, Roma. Piacevole trattazione (divisa per ambienti, inclusi quelli di battigia e dunali), dell’entomofauna del litorale romano, con numerosissime foto e illustrazioni a colori. MINELLI A., RUFFO S., LA POSTA S. (eds.), 1993-1995 - Checklist delle specie della fauna italiana. 110 fascicoli, Edagricole, Bologna. Il punto di riferimento per individuare il nome aggiornato (e l’autore della descrizione) di tutte le specie animali della fauna italiana, con indicazioni di massima sulla loro distribuzione geografica in Italia. PIETROBELLI M., BARDI S., 1996 - Le aree libere costiere. Risultati del progetto WWF Italia “OLOFERNE”, Crociera 1996, Volume I. Documento 48, WWF Italia, Roma. Stato dell’arte sull’occupazione dei suoli degli ambienti litoranei italiani. PIETROBELLI M. (ed.), 1998 - La Progettazione ambientale nei sistemi costieri. International Association for Environmental Design, Roma, Quaderno 12. Importante e aggiornata raccolta di articoli riguardanti esperienze di gestione, studio e riabilitazione ambientale sugli ecosistemi costieri italiani. SPAGNESI M., ZAMBOTTI L., 2001 - Raccolta delle norme nazionali e internazionali per la conservazione della fauna selvatica e degli habitat. Quaderni di Conservazione della Natura, 1, Ministero dell’Ambiente, Istituto Nazionale Fauna Selvatica, Ozzano Emilia. Rassegna delle norme vigenti a livello nazionale, comunitario e internazionale, in materia di conservazione della fauna selvatica italiana, con elenchi dei siti di maggiore interesse naturalistico del nostro Paese.

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Glossario > Agamospecie: specie vegetale che si riproduce solo in maniera asessuata. > Allopatrico: caratteristica distribuzione geografica non sovrapposta (ovvero in aree distinte) di due o più specie animali o vegetali affini. > Alobionte: organismo strettamente ed esclusivamente adattato ad ambienti che presentino elevati valori di sali (perlopiù cloruro di sodio) disciolti o cristallizzati al suolo, in genere in prossimità delle rive del mare o di stagni salmastri costieri. > Alofilo: organismo che predilige ambienti con elevati valori di sali (perlopiù cloruro di sodio) disciolti o cristallizzati al suolo, in genere presso le rive del mare o gli stagni salmastri costieri. > Antofago: organismo (perlopiù insetti) più o meno specializzato che si nutre esclusivamente di parti fiorali di Angiosperme. > Antropofilo: organismo che predilige con regolarità ambienti o manufatti legati alla presenza umana o da questa fortermente influenzati. > Antropofobo: organismo che rifugge con chiara evidenza ambienti regolarmente e più o meno massicciamente frequentati dall’Uomo o comunque influenzati dalle sue attività. > Biocenotico: riferito ad una biocenosi, ovvero ad un’associazione di organismi che coabitano in un medesimo ecosistema. > Circadiano: riferito ad un’attività o ad un ciclo di attività che prenda in considerazione l’intero arco temporale di un giorno solare (dì e notte). > Euriecio: organismo con una nicchia ecologica molto ampia, da generalista, e di norma in grado di tollerare facilmente ampie variazioni nelle caratteristiche dei diversi ambienti in cui vive. > Eurizonale: organismo in grado di vivere e riprodursi in una ampia carietà di ambienti, disposti lungo un gradiente definito dal variare di parametri fisici come altitudine, clima, profondità, ecc. > Fillofago: organismo più o meno specializzato (perlopiù insetti) che si nutre allo stadio larvale e/o adulto esclusivamente di foglie di piante. > Fitosaprofago: organismo più o meno specializzato che si nutre esclusivamente di sostanze di origine vegetale in decomposizione. > Igrofilo: organismo più o meno specializzato che vive di norma associato ad ambienti umidi. > Iperalino: ambiente acquatico (ad esempio una pozza di scogliera) caratterizzato da elevate concentrazioni di sali disciolti. > Isobata: linea virtuale che unisce tutti i punti che si trovano ad una stessa determinata profondità. > Isostasi: mantenimento di una situazione di sostanziale equilibrio in un qualsiasi sistema, inclusi quelli biologici. > Mesofilo: organismo che vive di norma associato ad ambienti moderatamente umidi e freschi. > Microfago: organismo che si nutre esclusivamente o prevalentemente di microrganismi come batteri, alghe unicellulari, ecc.

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Indice delle specie > Microftalmo: organismo con forte riduzione nelle dimensioni degli apparati oculari, in genere associata a una vita condotta in ambienti bui. > Microttero: organismo animale che, rispetto a quanto di norma manifestato nel gruppo tassonomico di appartenenza, presenta una forte riduzione nelle dimensioni degli apparati atti al volo. > Necrofago: organismo più o meno specializzato che si nutre esclusivamente di parti di cadaveri animali in decomposizione. > Politipico: organismo che, nel suo complessivo areale distributivo, oltre alla forma tipica presenta anche una o più altre sottospecie, razze geografiche o forme biologiche in qualche modo distinte. > Preimaginali: stadi larvali o comunque immaturi che precedono negli insetti lo stadio adulto. > Pronoto: negli insetti, porzione dorsale del protorace. > Protorace: negli insetti, porzione anteriore del torace. > Psammofilo: organismo che predilige ambienti sabbiosi. > Rizofago: organismo più o meno specializzato che si nutre allo stadio larvale e/o adulto esclusivamente di parti dell’apparato radicale di piante. > Sabulicolo: organismo che colonizza esclusivamente o prevalentemente ambienti sabbiosi. > Saprofago: organismo più o meno specializzato che si nutre allo stadio larvale e/o adulto esclusivamente di sostanze organiche in decomposizione. > Sinantropo: organismo che vive con regolarità in ambienti o manufatti più o meno fortemente influenzati dalla presenza umana o comunque strettamente legati a questa. > Sizigie: nome che fa riferimento ai cicli lunari (novilunio/plenilunio) e alle corrispondenti punte massime e minime di marea. > Stenoecio: organismo che presenta una nicchia ecologica ristretta e specializzata. > Stenotopo: organismo che manifesta di norma un’elevata specializzazione ambientale, in grado cioè di vivere e riprodursi solo in una ristretta ed omogenea tipologia ambientale. > Termofilo: organismo che vive di norma in ambienti o aree caratterizzati da più o meno elevate temperature medie annuali. > Trofico: riferito a quanto concerne il nutrimento e la nutrizione. > Xerico: sostanziale sinonimo di arido, asciutto. > Xerofilo: organismo che predilige climi o habitat aridi e asciutti. > Zoosaprofago: organismo più o meno specializzato che si nutre allo stadio larvale e/o adulto esclusivamente di sostanze organiche di origine animale in decomposizione.

Acanthaclisis occitanica - 97 Acrotylus - 101 Acrotylus longipes - 101 Acupalpus - 105 Agave - 130, 131 Agave americana - 130, 131 Agropyrum - 60 Agropyrum junceum vedi Elytrigia juncea - 44 Aiolopus thalassinus - 109 Alexia myosotis vedi Myosotella myosotis - 88 Algyroides fitzingeri - 111 Allium - 96 Alopecosa - 103 Alopecosa cursor - 87 Alopecosa fabrilis - 87 Alopecosa pulverulenta - 87 Amara - 105 Amara metallescens - 105 Amblyderus brunneus - 84, 139 Amblyderus scabricollis - 84 Ammofila - 93 Ammophila - 33, 44, 46, 47, 48, 51, 60, 93, 95, 101, 102, 145 Ammophila arenaria vedi Ammophila littoralis - 46 Ammophila littoralis - 32, 44, 46, 56, 77, 143 Amphiascus - 75 Anchusa crispa - 136 Ancylopus melanocephalus - 106 Anisolabis maritima - 86 Anomala devota - 93 Anoxia orientalis - 93 Anoxia ragusai - 138 Anoxia scutellaris - 93 Anthemis - 95 Anthemis maritima - 47, 77 Anthicus - 84 Anthicus brunneipennis - 84 Anthicus fenestratus - 84 Anthicus genei - 84 Anthyllis - 35 Anthyllis barba-jovis - 40 Antirrhinum - 35 Apalochrus flavolimbatus - 84 Aphannommata filum - 85 Aphodius - 92 Apion tamaricis - 95 Apocino veneto - 49 Apodemus - 117 Arctosa - 87, 103 Arctosa cinerea - 87 Arctosa perita - 87 Arctosa personata - 87 Arenaria interpres - 114 Argiope lobata - 103 Armadillidium - 140

Armadillidium argentarium - 88 Armadillidium etruriae - 88 Armadillidium silvestrii - 88 Armadilloniscus litoralis - 80 Armeria pungens - 49 Asiorestia impressa - 107 Asmeringa inermis - 86, 107 Asparago pungente - 53 Asparagus acutifolius - 53 Atemnus politus - 103, 109 Auletobius maculipennis - 95 Auriculinella bidentata - 109 Avocetta - 115 Baris - 94 Baris opiparis - 94 Beccaccia di mare - 115, 138 Bembecinus – 95, 96 Bembix - 95 Biacco - 111 Blackstonia serotina - 50 Blaps nitens mercatii - 106 Bledius - 83, 105 Bledius graellsi - 79 Brachemys brevipennis - 84 Brachemys peragalloi - 84 Brachyiulus pusillus - 109 Brachynema cinctum - 108 Brachytemnoides filum vedi Aphannommata filum - 85 Brachytrupes megacephalus 102, 139 Brindalus porcicollis - 91 Brithys crini - 100, 139 Brithys encausta - 100 Brithys pancratii - 100 Brundinia - 105 Buchnerillo litoralis - 80 Bufo viridis - 111 Burhinus oedicnemus - 138 Byrsinus albipennis - 100 Cafius - 83 Cafius xantholoma - 83 Cakile - 44, 94, 95 Cakile maritima - 34, 44, 45, 56, 76, 90, 94, 144 Calcatreppola marittima - 46, 47, 76 Calicnemis - 81, 93 Calicnemis latreillei - 93 Calicnemis sardiniensis - 93, 138 Calidris alba - 114, 138 Calidris alpina - 114, 138 Calidris minuta - 115 Callicnemis latreilloi - 41 Calystegia - 95 Calystegia soldanella - 23, 32, 33, 47, 56, 76 Camomilla marina - 47, 48, 77

Campylomma vendicarina - 101 Cane - 114 Canna del Po - 50 Cannuccia di palude - 50 Capinera - 116 Capriolo - 145 (impronte) Carcinus mediterraneus - 80 Cardiophorus exaratus - 90 Caretta caretta - 112, 113, 138 Carpelimus - 105 Carpobrotus - 131 Cassolaia maura - 104 Cataphronetis crenata - 91 Cavaliere d’Italia - 115 Cenchrus incertus vedi Cenchrus longispinus - 131 Cenchrus longispinus - 131 Cenchrus tribuloides vedi Cenchrus longispinus - 131 Centaurea - 35 Centaurea tommasinii - 35 Centaurium - 50 Centauro giallo - 50 Cephalota - 104 Cephalota circumdata - 104 Cephalota littorea goudoti - 104 Ceratophyus rossii - 92, 138 Cerceris - 96 Cernuella - 104 Cernuella aradasi - 104, 140 Cernuella virgata - 104, 109 Cerro - 54 Cervone - 111, 138 Ceutorhynchus matthiolae - 94, 139 Ceutorhynchus pantellarianus 94, 139 Chaetocnema tibialis - 107 Chalcides ocellatus - 111 Chamaerops humilis - 40, 53 Charadrius alexandrinus - 114, 138 Charadrius hiaticula - 114, 138 Charaxes jasius - 99 Chelonia mydas - 112 Chiurlo - 115 Chrysochraon dispar - 109 Chrysolina americana - 94 Chrysolina schatzmayri - 107, 139 Chrysopa abbreviata - 98 Chrysoperla (comp. carnea) - 98 Cicindela - 104 Cicindela - 108 Cisti - 77 Cisto - 53, 93 Cistus - 77, 90 Citrus - 99 Cochlicella - 104


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Cochlicella acuta - 104, 109 Cochlicella conoidea - 104 Coelopa - 86 Coenonympha pamphilus - 99 Colias crocea - 99 Colotes punctatus - 84 Coluber hippocrepis - 112 Coluber viridiflavus - 111 Colubro dal cappuccio - 112 Colubro del Riccioli - 112 Colubro di Montpellier - 112 Colubro ferro di cavallo - 112 Colubro leopardino - 112, 138 Coniatus tamarisci - 95 Coniglio selvatico - 63 (impronte), 116, 117, 148 (impronte) Conyza albida - 131 Coracias garrulus - 116 Corbezzolo - 99 Corimalia - 95 Coronella girondica - 112 Corriere grosso - 114, 138 Creoleon - 97, 139 Creoleon aegyptiacus - 97, 139 Creoleon corsicus - 97, 139 Creoleon lugdunensis - 97, 139 Creoleon plumbeus - 97, 139 Crocidura - 117 Crucianella maritima - 48, 56, 77 Cryptobium - 105 Cryptophonus melancholicus 89 Cryptops trisulcatus - 103 Cybocephalus - 90 Cycloderes canescens - 95 Cylindera trisignata - 82, 139 Cynodon dactylon - 131 Cyperus capitatus - 47, 56 Dactylochelifer latreillei - 103, 109 Dapsa - 27, 106 Dapsa obscurissima - 106, 139 Dapsa opuntiae - 106 Dapsa trimaculata - 106 Dapsa tyrrhena vedi Dapsa obscurissima - 106 Daptus vittatus - 105 Dermochelys coriacea - 112 Dianthus - 35 Diastictus - 85 Diorhabda elongata - 107 Diotis maritima vedi Otanthus maritimus - 48 Dirshius uvarovi - 101, 139 Dociostaurus - 101, 102 Dociostaurus genei - 101 Dociostaurus minutus - 102, 139 Dolichoiulus tongiorgii - 88 Dolichosoma lineare - 84 Donnola - 117 Drypta - 105 Dyschiriodes - 83, 105 Dyschiriodes fulvipes - 105 Dyschiriodes importunus - 105 Dyschiriodes intermedius - 105 Dyschiriodes salinus - 105

Dyschirius - 81, 105 Dyschirius numidicus - 81 Echinophora spinosa - 47, 56, 90 Edera spinosa - 53 Efedra - 48, 145 Elaphe quatuorlineata - 111, 138 Elaphe situla - 112, 138 Eliomys - 117 Elleborine palustre - 50 Elymus - 33 Elymus farctus - 32, 60 Elytrigia - 44, 60, 102 Elytrigia juncea - 32, 44, 46, 56, 76 Emplenota - 83 Endomia - 84 Endomia tenuicollis - 84 Engistus boops - 108 Epacromius coerulipes - 109 Epacromius tergestinus - 109 Ephedra - 48, 49, 101, 138 Ephedra distachya - 49, 77, 95, 137 Ephedra fragilis - 49, 77, 137 Ephippiger appulus appulus 102, 139 Ephydra - 86 Ephydra bivittata - 86, 107 Ephydra flavipes - 107 Epipactis palustris - 50 Erba medica marina - 47, 56 Eremopyrum - 60 Erianthus ravennae - 50 Erinaceus europaeus - 117 Erithacus rubecula - 116 Erodium - 35 Erodius - 85, 91 Erodius audouinii - 91 Erodius siculus - 85, 91 Eryngium - 93, 95, 151 Eryngium maritimum - 46, 47, 56, 76, 90 Eucalyptus - 132 Euforbia delle spiagge - 44 Euforbia marittima - 47 Euphanias insignis - 105 Euphorbia - 95 Euphorbia paralias - 32, 33, 47, 56 Euphorbia peplis - 44, 55, 57 Euphorbia terracina - 137 Euphrasia marchesettii - 136 Eurynebria complanata - 81, 82, 139 Euthycera zelleri - 98 Faina - 117 Farnetto - 54 Farnia - 54 Fillirea - 53,54 Fillirea a foglie strette - 53 Finocchio litorale spinoso - 47, 56 Formicaleone - 98 Fratino - 114, 115, 138 Fucellia maritima - 86 Fucus virsoides - 34

Gabbiani - 114, 115 Gabbiano corallino - 115 Gabbiano roseo - 115 Gambecchio - 115 Garypus - 87 Garypus beauvoisi - 87 Gegenes nostradamus - 99 Gegenes pumilio - 99 Gentiana pneumonanthe - 50 Genziana mettimborsa - 50 Geocoris pallidipennis - 100 Geophilus fucorum - 87, 140 Geophilus poseidonis - 87 Ghiandaia marina - 116 Giglio marino comune - 47, 56, 100 Ginepro - 49, 53, 77 Ginestra - 49 Ginestra bianca - 49 Ginestra odorosa - 49 Ginestrino delle spiagge - 47, 77 Giunchetto minore - 50 Giunco marittimo - 50 Giunco nero comune - 50 Giunco pungente - 50, 60 Glareola pratincola - 115, 138 Gongilo ocellato - 111 Gonocephalum lefranci - 91 Gonocephalum setulosum - 91 Gramigna altissima - 50 Gramigna delle spiagge - 44, 76 Gruccione - 116 Gunarus parvulus - 91 Haematopus ostralegus - 115, 138 Halacritus punctum - 83 Halammobia pellucida - 85, 91 Halonabis sareptanus occidentalis - 108 Halophiloscia ischiana - 80 Halophiloscia tyrrhena - 80 Halophiloscia zosterae - 80 Halosalda lateralis - 108 Haplidia massai - 93, 138 Hecamede - 86 Hecamede albicans - 86 Helcomyza ustulata mediterranea - 86 Helichrysum - 35, 77 Henia bicarinata - 103 Heptaulacus rasettii - 92, 138 Heterothops - 83 Hibiscus pentacarpos vedi Kosteletzkya pentacarpos - 136 Himantopus himantopus - 115 Holcogaster exilis - 101 Holoschoenus romanus - 50 Homalometopus albiditinctus 86 Hoplia attilioi - 93, 138 Hoplia pubicollis - 93 Hydrogamasus salinus - 87 Hydroschendyla submarina - 87 Hyla - 111 Hypocaccus - 83 Hypocaccus brasiliensis - 83

Hypocaccus dimidiatus - 83 Hypocaccus rugifrons - 83 Hypocheris - 90 Hystrix cristata - 116 Ichnusomunda sacchii - 104, 140 Inula crithmoides - 107 Isidus moreli - 84, 90 Istrice - 116 Juncus - 76 Juncus acutus - 50, 60 Juncus litoralis - 60 Juncus maritimus - 50 Juncus tommasinii - 60 Juniperus - 101, 137, 144 Juniperus oxycedrus - 77, 101 Juniperus phoenicea - 78 Kateretes - 106 Kateretes dalmatinus - 106 Kosteletzkya pentacarpos - 136 Labidura riparia - 86 Lacerta bilineata - 111 Lacerta viridis vedi Lacerta bilineata - 111 Lappola delle spiagge - 57 Larus - 115 Larus genei - 115 Larus melanocephalus - 115 Lasioglossum - 96 Lavanda - 94 Lavandula stoechas - 90 Leccio - 49, 53, 54, 78 Lentisco - 49, 53 Leptolepurus meridionalis - 95 Libelluloides italicus vedi Libelluloides latinus - 98 Libelluloides latinus - 98 Limonium - 34, 35, 40, 107 Limonium caspium - 50 Limonium multiforme - 40 Limonium pontium - 40 Limonium remotispiculum - 40 Linaria flava sardoa - 136 Lithobius cassinensis - 103 Lophoproctus jeanneli - 88, 103 Lophoproctus litoralis vedi Lophoproctus jeanneli - 88 Lophyra flexuosa - 89 Lophyridia littoralis - 89 Lophyridia littoralis littoralis - 82 Lotus - 90, 95, 99, 144 Lotus commutatus - 47, 77 Lucertola campestre - 111 Macroprotodon cucullatus - 112 Macropternella bicolor - 100 Magnanina - 116 Magnanina sarda - 116 Malpolon monspessulanus - 112 Martes foina - 117 Masoreus aegyptiacus - 89 Matthiola - 47, 90, 94, 101, 138 Matthiola sinuata - 137 Mecynotarsus - 84 Mecynotarsus fausti - 84 Mecynotarsus serricornis - 84 Medicago marina - 47, 56 Medon - 83

Megistopus - 98 Megistopus flavicornis - 107 Megistopus mirabilis - 107, 139 Meles meles - 117 Meligethes - 106 Meligethes aeneus - 90 Meligethes carinulatus - 90 Meligethes cfr. longulus - 90, 139 Meligethes erichsoni - 90 Meligethes fuscus - 90 Meligethes grenieri - 90 Meligethes lindbergi - 90 Meligethes lugubris - 106 Meligethes nigrescens - 90 Meligethes nigritus - 90 Meligethes opacus - 90, 139 Meligethes pallidulus - 90 Meligethes varicollis - 90, 139 Melitaea didyma - 99 Melitaea phoebe - 99 Menaccarus dohrnianus - 101 Mentha - 106 Merlo - 116 Merops apiaster - 116 Mesites pallidipennis - 85 Micragasma paradoxum - 106 Mirto - 53 Molinia altissima - 50 Monacha - 104 Mus musculus - 117 Muscari gussonei - 136 Mustela nivalis - 117 Myocastor coypus - 117 Myosotella - 88 Myosotella mysotis - 79, 88, 109 Myotis - 117 Myriochile melancholica - 104 Myrmeleon - 97 Myrmeleon hyalinus - 97 Myrmeleon inconspicuus - 97 Myrtus communis - 53 Nabis reuterianus - 100 Nacerda melanura - 90 Nalassus aemulus - 91 Nasocoris psyche - 101 Nemka viduata - 96 Nemotelus - 107, 108 Nemotelus crenatus - 108 Nemotelus longirostris - 108 Nemotelus notatus - 108 Nemotelus punctatus - 108 Neuroleon arenarius - 98 Notaphus ephippium - 105 Numenius arquata - 115 Nutria - 117 Occhiocotto - 116 Occhione - 138 Ochrilidia nuragica - 102, 139 Ochrilidia sicula - 102, 139 Ochthebius - 83, 105 Ochthebius marinus - 83 Ochthebius muelleri - 83 Ochthebius subpictus - 105 Ochthebius viridis - 83, 105 Oedemera - 90

Oedemera barbara - 90 Oedemera flavipes - 90 Oedipoda germanica - 102 Oenothera biennis - 131 Olibrus affinis - 90 Olivo selvatico - 53 Olpium pallipes - 102 Ommatoiulus oxypygus - 103 Ommatoiulus sabulosus - 103 Ononide - 145 Ononide screziata - 48, 49 Ononis - 77, 90, 100 Ononis natrix - 100 Ononis variegata - 48, 49, 57 Opilio saxatilis - 103 Orchestia gammarella - 79, 80 Orchestia mediterranea - 80 Orchestia montagui - 80 Orthidus cribratus - 105 Orthotylus moncreaffi - 108 Oryctolagus cuniculus - 63 (impronte), 116 Orygma - 86 Otanthus maritimus - 48, 56, 77 Othiorinchus ferrarii - 95 Othiorinchus juvencus - 95 Ovatella myosotis vedi Myosotella myosotis - 88 Oxylepis deflexicollis - 107 Pachychila - 91 Pachychila frioli - 91 Pachychila germari - 91 Pachychila servillei - 91 Pachymerium ferrugineum - 103 Pachypus - 94 Pachypus caesus - 94 Pachypus candidae - 94, 138 Palarus variegatus - 96 Paleo delle spiagge - 57 Palla-lisca costiera - 52 Palma nana - 40, 53, 90 Palpares libelluloides - 98 Pancratium maritimum - 47, 56 Papillifera - 104 Paracinema tricolor - 109 Paradromius - 105 Parallelomorphus laevigatus 81, 82 Paramogoplistes - 86 Paramogoplistes squamiger - 86 Parapleurus alliaceus - 109 Paratriodonta - 93 Paratriodonta cinctipennis - 93, 138 Paratriodonta romana - 93 Paroxyonyx - 95, 139 Pavoncella - 115 Pernice di mare - 115, 138 Pettegola - 115 Pettirosso - 116 Phalacrus - 106 Phaleria - 85, 91 Phaleria acuminata - 85 Philanthus - 95 Philanthus venustus - 96 Phillyrea angustifolia - 53

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Philontus - 105 Philopedon plagiatum - 95 Philoscia - 88 Phoeniconyx gobbii - 95, 139 Phragmites australis - 50 Phytocoris miridioides - 100 Phytocoris salsolae - 108 Phytosus - 83 Piantaggine a foglie grasse - 50 Piantaggine di Cornut - 50 Pieris daplidice v. Pieris edusa 99 Pieris edusa - 99 Pieris rapae - 99 Pimelia - 85,89, 91 Pimelia bipunctata - 89 Pimelia grossa - 36, 91 Pini - 78, 122 Pino - 54 Pino d’Aleppo - 53 Pino domestico - 53 Pino marittimo - 52 Pinus - 78 Pinus halepensis - 53 Pinus pinaster - 52, 137 Pinus pinea - 53, 137 Piovanello - 115 Piovanello pancianera - 114, 138 Piovanello tridattilo - 114, 138 Pipistrello - 117 Pipistrellus - 117 Pivieressa - 115 Plantago cornuti - 50 Plantago crassifolia - 50 Platytomus - 85 Pleurophorus - 85 Pluvialis squatarola - 115 Podarcis raffonei - 111 Podarcis sicula - 111 Podarcis tiliguerta - 111 Podarcis wagleriana - 111 Pogonistes - 105 Pogonus - 105 Polloneriella contermina - 104, 140 Polymerus cognatus - 108 Polyphylla ragusai - 93 Polystomota - 83 Polyxenus lapidicola - 88, 103 Porcellio - 140 Porcellio lamellatus - 88 Posidonia - 43, 64 (egagropili), 65 Posidonia - 43, 65, 73, 145 Primula - 35 Psammoardoinellus sardiniensis - 91, 138, 139 Psammodius - 85 Psammodius basalis - 91 Psammodius laevipennis - 91 Psammodius nocturnus - 91 Psammodromus algirus - 111 Pseudophytobius acalloides 107 Pseudorlaya pumila - 57 Pseudoseriscius helvolus - 91 Pseudoseriscius normandi - 91

Psilothryx viridicoerulea - 84 Psylliodes marcidus - 94 Psylliodes maroccanus - 94 Psylliodes pallidipennis - 94 Psylliodes puncticollis - 94 Pterolepis - 102 Pterolepis elymica - 109, 139 Pterolepis pedata - 109, 139 Pterolepis siciliensis - 102, 139 Pyronia cecilia - 99 Quercia - 54 Quercus cerris - 54 Quercus frainetto - 54 Quercus ilex - 54, 78, 144 Quercus robur - 54 Raganelle - 111 Ramarro - 111 Ratto nero - 117 Rattus rattus - 117 Ravastrello marittimo - 44, 45, 76, 90 Recurvirostra avosetta - 115 Remus - 83, 105, 139 Retama raetam gussonei - 49 Rhacochelifer disjunctus - 109 Rhyssemus - 85, 91 Rhyssemus plicatus - 91 Rhyssemus sulcatus - 91 Riccio - 117 Roeseliana brunneri - 108, 109, 139 Rosmarino - 77, 94 Rosmarinus officinalis - 77, 90, 144 Rouya polygama - 136 Salicornia - 76, 107 Salsola - 44, 107 Salsola erba-cali - 33, 44 Salsola kali - 33, 34, 44, 56 Salticella fasciata - 98 Santolina delle spiagge - 48, 77 Scabiosa argentea var. alba - 49 Scabiosa maritima - 77 Scarabaeus - 92 Scarabaeus sacer - 92 Scarabaeus semipunctatus - 92 Scarite buparius - 68, 89, 100 Scarites laevigatus vedi Parallelomorphus laevigatus - 82 Scatella - 86, 107 Scatella subguttata - 86 Scatophila modesta - 86, 107 Schoenoplectus litoralis - 52 Schoenus nigricans - 50 Scutella subguttata - 107 Sepidium siculum - 37 Silene - 77 Silene colorata - 35, 49, 57 Sitona cachectus - 95 Sitona variegatus - 95 Smicromyrne viduata vedi Nemka viduata - 96 Smilax aspera - 53 Sorex - 117 Spartina maritima vedi Spartina stricta - 34

Spartina stricta - 34 Spartium junceum - 49 Sparto - 44 Sparto pungente - 44, 46, 77, 144 Sphingonotus - 101 Sphingonotus candidus - 101 Sphingonotus coerulans - 102 Sphingonotus personatus - 101 Spillone delle spiagge - 49 Sporobolus pungens - 56 Stenohelops carlofortinus - 91, 138 Stenolophus - 105 Stenosis - 91 Stenosis intermedia - 91 Stenostoma - 90 Stenostoma coeruleum vedi Stenostoma rostratum - 90 Stenostoma rostratum - 90 Stilbus - 106 Stipa veneta - 137 Stizus - 95 Stosatea italica - 88, 103 Stratiomys - 107 Stylosomus tamarisci - 107 Styphloderes exculptus - 85 Suaeda - 76, 107 Suncus - 117 Sylvia atricapilla - 116 Sylvia melanocephala - 116 Sylvia sarda - 116 Sylvia undata - 116 Synclisis baetica - 86, 97 Syrdenus - 105 Tachys dimidiatus - 105 Tachys scutellaris - 105 Tachytes - 95 Talitrus - 80, 83 Talitrus saltator - 79, 80, 81 Talpa europaea - 116 Talpa romana - 116 Tamarix - 49, 77, 144 Tamerici - 49, 77, 90, 95, 145 Tanymecus fausti - 95 Tanymecus submaculatus - 95 Tarataruga marina comune o tartaruga caretta - 112, 113, 138 Tartaruga franca - 112 Tartaruga liuto o sfargide - 112 Tasso - 114, 117, 148 (impronte) Tentyria - 85, 89, 91, 104 Tentyria grossa - 89 Testudo hermanni - 112, 138 Testuggine comune - 112, 138 Teucrium - 77 Teucrium flavum - 90 Thalassisobates litoralis - 88, 140 Thaumastoderma - 74 Theba pisana - 47, 67 (nicchi), 98, 103, 109 Thorectes marginatus - 92, 138 Throbalium - 105, 139 Tibellus - 87, 103 Tibellus macellus - 87, 103 Tibellus maritimus - 87, 103

Topolino domestico - 117 Tordo comune - 116 Tortula ruraliformis - 49 Totano moro - 115 Trachomitum venetum - 49 Trachyscelis aphodioides - 91 Tragopogon - 90 Tragus racemosus - 131 Trichoniscus halophilus - 80 Tringa erythropus - 115 Tringa totanus - 115 Trochoidea pyramidata - 104 Trogaspida catanensis - 96 Turdus merula - 116 Turdus philomelos - 116 Tychius capucinus - 95 Tylos - 83 Tylos europaeus - 79, 80 Tylos ponticus - 79, 80 Vanellus vanellus - 115 Vedovina delle spiagge - 49 Vilucchio marittimo - 23, 47, 76 Violaciocca - 47 Violaciocca sinuata - 137 Vipera aspis - 112 Vipera comune - 112 Volpe - 110, 114, 117 Voltapietre - 114 Vulpes vulpes - 117 Vulpia fasciculata - 57 Xanthomus - 85, 91 Xanthomus pallidus - 85, 91 Xanthomus pellucidus - 85, 91, 107 Xerolycosa miniata - 87 Xeromicra apicina - 104 Xeromunda durieui - 104, 140 Zeuneriana marmorata - 108, 139 Zigolo delle spiagge - 47 Zonitis bellieri - 91 Zostera - 43 Zostera - 43, 73, 83, 88 Zygaena - 99 Zygaena orana - 99, 139

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Si ringraziano per le preziose informazioni fornite sui gruppi tassonomici o sulle materie di loro competenza, e per avere in alcuni casi anche fornito importante materiale iconografico e bibliografico: Sergio Silenzi (mare e cambiamenti climatici) Lorenzo Chelazzi e Isabella Colombini (ecologia degli organismi animali di spiagge e dune) Francesco Spada (flora mediterranea) Roberto Argano (crostacei isopodi) Giulio Gardini (pseudoscorpioni) Alessio Trotta (aracnidi) Marzio Zapparoli (chilopodi) Massimiliano Di Giovanni (diplopodi) Augusto Vigna Taglianti (dermatteri e coleotteri carabidi) Paolo Fontana (ortotteroidei) Bruno Massa (ortotteroidei e coleotteri scarabeoidei) Attilio Carapezza (eterotteri) Paolo Maltzeff (coleotteri) Fabio Cassola (coleotteri carabidi cicindelini) · Adriano Zanetti (coleotteri stafilinidi) Fabio Penati (coleotteri isteridi) Emanuele Piattella (coleotteri scarabeoidei) Giuseppe Maria Carpaneto (coleotteri scarabeoidei) Gianfranco Liberti (coleotteri meliridi) Gianluca Nardi (coleotteri anticidi) Simone Fattorini (coleotteri tenebrionidi) Alessio De Biase (coleotteri falacridi) Andrea Liberto (coleotteri elateridi) Giovanni Gobbi (coleotteri) Marcello Zampetti (coleotteri bruchidi) Maurizio Biondi (coleotteri crisomelidi) Gianfranco Sama (coleotteri cerambicidi) Enzo Colonnelli (coleotteri curculionidi) Agostino Letardi (neurotteroidei) Franco Mason (ditteri straziomidi) Alberto Zilli (lepidotteri) Guido Pagliano (imenotteri) Folco Giusti (molluschi terrestri) Marco Oliverio (molluschi marini) Marco Alberto Bologna (anfibi e rettili, coleotteri meloidi ed edemeridi) Fulvio Fraticelli (rettili) Paolo Casale (tartarughe marine) Stefano Sarrocco (uccelli) Luigi Boitani e Maria Grazia Filippucci (mammiferi). Un particolare ringraziamento va poi agli amici e colleghi siciliani Giorgio Sabella, Franco Lombardo, Bruno Ragonese, Domenico Caruso, Pietro Alicata, Alfredo Petralia, Maria Carolina Di Maio, e a numerosi guardiaparco che operano presso alcune Riserve Naturali siciliane (in particolare quelle di Vendicari, Siracusa e della Macchia Foresta del Fiume Irminio, Ragusa) per la preziosa collaborazione e assistenza logistica sul campo nel corso di alcune brevi missioni di studio in alcuni ambienti litoranei dell’Isola. Un ringraziamento particolare, infine, per alcuni collaboratori, che hanno fornito un grande aiuto

sia nella raccolta di materiale iconografico sul campo, sia nella redazione e revisione dei testi, o nella preparazione di alcune illustrazioni complesse: Nicolò Falchi, Maurizio Mei, Alessio De Biase, Gloria Antonini, Emiliano Mancini, Riccardo Audisio. Per le fotografie aeree un particolare ringraziamento alla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia (aut. n. 5675/2.100 del 06.05.2002), alla Compagnia Generale Ripreseaeree di Parma ed all’Istituto Geografico Militare. È possibile reperire utili ed aggiornate informazioni da numerosi siti internet. Fra questi ricordiamo: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio: www. minambiente.it Fauna Europaea: www.faunaeur.org Atlas Florae Europaeae: www.fmnh.helsinki.fi WWF Italia: www.wwf.it Seafriends: www.seafriends.org.nz La responsabilità di quanto riportato nel testo, nonché di eventuali errori ed omissioni, rimane esclusivamente degli autori. Il volume è stato realizzato con i fondi del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.

Finito di stampare nel mese di dicembre 2002 presso la Graphic linea print factory - Udine Printed in Italy


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