Tesina

GIAPPONE concreta

evanescenza

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Silvia Sciotta, tesina 2016

日 1本

INDICE: Introduzione .................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. Pag 5 Garei, Ukiyo-e (Storia dell’arte) ................................................................................................................................................................................................................................................................ Pag 6 Shinigami, Battle Royale (Letteratura) ............................................................................................................................................................................................................................................. Pag 20 Baku, L’interpretazione dei Sogni (Filosofia) ......................................................................................................................................................................................................................... Pag 28

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Kodama, Principessa Mononoke (Cinema) .......................................................................................................................................................................................................................... Pag 40 Jubokko, Hiroshima e Nagasaki (Storia) ................................................................................................................................................................................................................................... Pag 54 Conclusione ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. Pag 69 Bibliografia, Sitografia ............................................................................................................................................................................................................................................................................................ Pag 70

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INTRODUZIONE Un viaggio interdisciplinare attraverso il mondo mistico del Paese del Sol Levante.

Ho voluto realizzare un progetto che potesse collegare le materie tramite vari spiriti e demoni propri della mitologia nipponica.

Sono sempre stata affascinata dal mondo orientale, fin da bambina rimanevo incantata dalle storie raccontatemi sull’Asia, appassionandomi sempre di più alla mitologia, alla filosofia, alle tradizioni. India, Cina, lo stesso Giappone sono sempre stati per me dei paesi lontani, intriganti, che avrei voluto, e che tuttora vorrei raggiungere.

Partendo da questo presupposto ho deciso di rendere la mia tesina, il quanto più possibile, vicino ai miei interessi, approfondendo la mitologia di un paese in forte sviluppo, che si spera non dimentichi mai le sue tradizioni millenarie. Iniziata la mia ricerca, ho temuto di non poter trovare collegamenti tra il mondo moderno e gli spiriti che hanno aiutato, inquietato, terrorizzato, gli abitanti del paese; ma mi sono dovuta ricredere. Leggendo il libro scritto da Shigeru Mizuki sono rimasta impressionata dalla quantità di innumerevoli miti e leggende che dipingono un mondo estremamente suggestivo e dalle origini antichissime. Ogni avvenimento che risultava inspiegabile, veniva giustificato dalla presenza di un demone che poteva avere in se un valore positivo ed uno negativo.

I demoni erano quindi parte integrante della vita quotidiana degli abitanti del paese del Sol Levante, così ho deciso di scegliere cinque di questi spiriti, per poi collegarli con fatti e persone concrete. Da ciò ho tratto il sottotitolo: “Concreta Evanescenza”, che vuole introdurre i collegamenti tra mondo degli spiriti e il mondo concreto che tutti conosciamo. Rispondendo alla domanda: “è possibile mettere in relazione un mondo astratto con quello concreto?”.

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GAREI Il collegamento tra arte e fantasmi risale a diversi anni fa; La storia del Ga-Rei si basa sull’idea che alcune opere d’arte e artigianato siano in grado di subire l’influsso dell’anima dell’artista e assumere una vita propria. Il mito serve come un ammonimento con un preciso obiettivo: le opere d’arte vanno trattate con rispetto, altrimenti si rischia di essere perseguitati dalla loro anima.

Molto tempo fa, c’era un paravento logoro, sopra il quale era ritratta una donna con il suo bambino; esso era tenuto in uno sgabuzzino, dimenticato da tutti. Quando fu riportato alla luce, gli abitanti della casa si accorsero che i bordi erano logori. Un giorno un servitore del palazzo di Hanami si recò alla casa dove passò la notte. Nelle ore tarde vide una figura femminile con un bambino in braccio, e lo stesso osservò nelle notti successive, così decise di seguire la strana figura e la vide sparire nel paravento. Il dipinto ritornò nel tinello e le apparizioni continuarono anche lì, fino a quando un samurai decise di verificare lo strano evento ponendo un foglio sul paravento; la sera stessa la donna comparve con un foglio sul volto e il samurai fu certo delle sue teorie. A seguito della scoperta il guerriero comunicò al priore di far riparare il paravento, col fine di calmare lo spirito. L’oggetto fu da allora custodito con cura e da allora Garei (spirito del disegno), non si manifestò più perché aveva ottenuto il meritato rispetto.

Le ukiyo-e, tipiche stampe giapponesi, celano, dietro quelle forme e quei colori, uno spirito che ne è l’anima 6

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GAREI UKIYO-E Letteralmente Ukiyo-e significa “immagini del mondo fluttuante” e rappresentano un particolare stile d’arte tipico giapponese. La tecnica utilizzata consiste in stampe giapponesi su blocchi di legno che solitamente rappresentano paesaggi, natura, quartieri e soggetti teatrali.

Per la produzione delle prime stampe si utilizzava dell’inchiostro cinese per delineare i contorni, per poi essere colorate manualmente con pennelli. In seguito Suzuki Harunobu, uno dei maggiori esponenti dell’arte giapponese particolare, ideò una metodo di stampa policromatica che prese il nome di Nishiki-e.

La produzione delle Ukiyo-e del primo periodo era propria di gran parte degli abitanti più poveri, che non potendosi permettere di commissionare stampe, realizzavano le ukiyo-e autonomamente per decorare le proprie abitazioni. Inizialmente i soggetti prediletti riguardavano l’ambiente cittadino e solo in un secondo periodo vennero aggiunti i paesaggi. In questa forma d’arte, inoltre, è fondamentale il rapporto tra linee orizzontali o verticali per costruire la struttura su cui sono organizzate le scene.

Le prospettive utilizzate in queste stampe erano ardite e i punti di vista erano estremamente innovativi (come la prospettiva a volo d’uccello), solitamente l’azione era concentrata in un punto specifico del dipinto, posto in primo piano. I colori erano stesi con campiture piatte e uniformi, in un area delineata soli-

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tamente da contorni scuri e dove le figure non erano delineate vi era comunque un cloisonnisme che divideva i colori; le sfumature erano quasi totalmente assenti come d’altronde qualsiasi effetto chiaroscurale. Un’ opera che fa quasi da “Manifesto” a tutte queste caratteristiche è “Acquazzone improvviso sul ponte di Shin-Ohashi e Atake” di Hiroshige , infatti i particolari principali dell’opera sono concentrati tutti in basso. I personaggi sembrano muoversi all’interno dell’e stampe per fuggire dalla pioggia improvvisa.

Persino le varie tonalità di blu utilizzate dall’artista per distinguere cielo e fiume sono ben distinte. La pioggia è suggerita semplicemente, ma in modo comunque molto efficace, da linee nere che percorrono in verticale l’intera xilografia. il fiorire delle Ukiyo-e si colloca nel periodo Edo (1603-1868), grazie al clima di calma e pace che caratteristico di quell’epoca, ideale per lo sviluppo dell’arte. La nascita di questa particolare tecnica di stampe fonda le sue radici alla fine del XVI secolo, parallelamente allo sviluppo commerciale delle città, quando artigiani e commercianti iniziarono a dipingere libri illustrazioni di vario genere. Successivamente le Ukiyo-e assunsero un valore indipendente diventando quadri stampati su un foglio, tanto da poter avere una valenza puramente estetica o essere utilizzati come manifesti teatrali (Kabuki).

Le stampe erano inizialmente ispirate a racconti cinesi che frequentemente narravano storie che costituivano una sorta di “guida” per lo spettatore che si trovava immerso in svariate vite, culture e tradizioni; come

per la carpa rappresentata da Hiroshige (1840-42), ispirata ad un racconto cinese: sopra all’animale vi è riportata una citazione: “Alla fine il suo destino è trasformarsi in un drago delle nuvole: la forte carpa che risale il torrente”.

del suo sentire, forse un po’ come in Europa fu per lo sviluppo del simbolismo, nel quale traspariva il forte sentire interiore dell’artista, come risposta alla visione mimetica e fotografica dell’arte tipicamente impressionista.

Nel XVII secolo l’evoluzione della tecnica di stampa permetteva già di ottenere opere a colori incredibilmente suggestive. Gli esponenti principali di questo periodo furono Utamaru, Hiroshihe e Sharaku.

Sotto l’influsso della cultura occidentale le Ukiyo-e si modificarono, sopratutto nei soggetti. I paesaggi e la natura divennero i protagonisti delle stampe, lasciando sempre più nell’oblio soggetti come attori e Geishe, i quali vennero reintrodotti solamente in seguito, riacquistando grande popolarità.

Con l’avvento della tecnologia i colori naturali utilizzati per le stampe furono sostituiti da tinture chimiche e le Ukiyo-e divennero, per la maggior parte, elaborati stampati non più in grado di trasmettere le medesime sensazioni suscitate dalle opere tradizionali.

Nel 1900 (periodo Taisho e Showa) si assistette ad un recupero delle tradizioni delle Ukiyo-e, che diede inizio a due stili differenti: lo Shin Hanga e lo Sosaku Hanga. Il primo era fortemente influenzato dall’ arte europea impressionista; nel secondoinvece le opere erano totalmente frutto della creatività dell’artista e

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GAREI INFLUENZE IN OCCIDENTE. L’Occidente ha sempre nutrito grande curiosità per la cultura nipponica; il Giappone era quel luogo lontano, esotico e misterioso, isolato dal mondo, del quale non si sapeva granché; fu l’immaginazione occidentale a colmare i vuoti conoscitivi riguardanti quel paese tanto affascinate, finché nel 1854, il Giappone si aprì per la prima volta al commercio internazionale.

Il giapponismo ebbe inizio quando quegli oggetti d’importazione furono conosciuti grazie a fiere mondiali come quella di Londra nel 1862, di Parigi nel 1867 e di Philadelphia nel 1876, destando un vero interesse per una cultura cosi diversa, destinata a influenzare profondamente l’Occidente con le sue forme aggraziate e col fascino totalmente innovativo per il tempo.

Nel 1800 le stampe giapponesi riscossero grande successo in Europa e furono di ispirazione per grandi artisti come Vincent Van Gogh, Paul Gauguin e Gustave Klimt. Ciò che concerneva il paese del Sol Levante divenne una moda che ebbe un grande impatto sugli usi e costumi occidentali dell’epoca. Ciò fu possibile grazie ai mercati, che permettevano uno scambio continuo tra Occidente e Oriente. I caffè più famosi adornavano le pareti dei loro locali con stampe variopinte (come avvenne nel Caffè Volpini di Parigi dove espose anche Gauguin). La stessa moda sub’ l’influenza dall’abito tipico giapponese: il kimono, del quale furono riprese le forme, i motivi e i colori, dando origine ad una tendenza estremamente innovativa.

L’avvento del giapponismo fu accolto con ap10

provazione da parte degli artisti più importanti del periodo, che decisero di inserirlo nei loro lavori, attraverso opere che citavano o addirittura rispecchiavano perfettamente il gusto nipponico.

Primo fra tutti fu l’artista simbolista di seconda generazione Paul Gauguin; che era entrato in contatto con l’arte orientale nell’ambiente parigino. Nel 1886, grazie al sodalizio con l’allievo di Cezanne, Bernad , Gauguin intraprese il suo percorso artistico fortemente influenzato dal giapponismo. I soggetti apparivano estremamente piatti, le figure erano proiettate bruscamente su un piano bidimensionale; la stessa cura che l’artista prestava nella rappresentazione di un volto era quella utilizzata nella descrizione della vegetazione e degli animali. La sintesi divenne sempre più accentuata, tanto che gli alberi si piegavano assumendo forme caratteristiche della flora delle Ukiyo-e. Nel dipinto del 1888 “La visione dopo il sermone” l’artista sfruttò tutte queste peculiarità nipponiche ed inserì anche una citazione ancor più diretta nelle due figure retrostanti che rappresentano la lotta di Giacobbe con l’angelo: la posa delle due figure è tratta direttamente da delle stampe giapponesi di Hokusai, raffiguranti mosse di Judo; lo stesso tronco d’albero che scinde diagonalmente il dipinto in due sezioni è stato ripreso da una stampa di Hiroshige.

Vincent Van Gogh entrò in contatto con le Ukiyo-e grazie al Fratello Theo che lavorava presso l’importante galleria parigina Goupil e Cie. L’artista rimase immediatamente folgorato dalle forme, dai colori di

queste tele. Vincent, attraverso queste stampe, aveva idealizzato il Giappone, vedendolo come un paese florido e accogliente; invogliato dalla positività che traspariva dalle stampe, inserì numerose citazioni dell’arte nipponica nelle sue opere. Nel 1887 realizzò un ritratto del suo caro amico Pere Tanguy, proprietario di un negozio di belle arti; il muro alle spalle dell’uomo è tappezzato di stampe giapponesi di Hiroshige, Hokusai , Utagawa; la stessa testa di Tanguy si staglia su una visione del monte Fuji: l’artista ha voluto incoronarlo con questa “aureola” per celebrare l’amico. Van Gogh decise di citare ulteriormente la cultura del paese del Sol Levante nel 1888 con il suo autoritratto come Bonzo. Egli si dipinse alterando la propria fisionomia: gli occhi assumono la caratteristica forma a mandorla, il capo

è rasato, l’artista si è plasmato col fine di essere il più possibile affiancabile alla figura sacra del monaco orientale.

Il pittore olandese rielaborò, secondo il suo sentire diverse Xilografie nipponiche come “Acquazzone improvviso sul ponte di Shin-Ohashi e Atake”; Van Gogh volle conservare il dinamismo dell’opere di Hiroshige, ma lo modificò secondo il suo sentire interiore.

La superficie del fiume è resa da una serie di pennellate frenetiche, di diverse tonalità di blu e verde, per suggerire lo scorrere delle acque. Le pennellate diventano più larghe ed ordinate vicino ai pilastri del ponte, i toni stessi diventano più neutri, tendendo verso il marrone. La cornice è arricchita da una serie di “finti” ideogrammi, privi di significato letterario poiché l’artista non conosceva il Giapponese.

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GAREI Van Gogh non mirava a creare copie fedeli degli originali nipponici, aspetto che traspare nell’opera: “Susino in Fiore” ispirata da un’opera di Hiroshige della quale l’artista deteneva una copia (Vincent Van Gogh collezionava diverse copie di stampe Giapponesi, che lui stesso chiamava “Japonaiserie”). La dimensione interiore dell’artista aveva trasforma to il rosa pallido della stampa di Hiroshige, in un rosso impetuoso; tutti i colori avevano assunto tonalità forti e cariche. Il pittore, tuttavia, era molto attento nello stendere le campiture, cercando di attenersi a quelle tipiche delle xilografie, circondandole con un contrastante contorno nero.

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L’artista austriaco per antonomasia: Gustav Klimt, non fu immune al fulmineo arrivo delle opere giapponesi in Europa; infatti la sua arte, a partire del 1912, assunse caratteristiche che la portarono ad essere definita nipponica o fiorita.

(Il passaggio di stile avvenuto tra periodo aureo e nipponico-fiorito è simbolicamente segnato dall’opera “La Giuditta II” del 1909).

Nelle sue opere Klimt citò frequentemente decorazioni floreali di ispirazioni orientali e le stesse vesti dei personaggi rievocavano i Kimoni.

UTAGAWA HIROSHIGE. L’artista giapponese nacque probabilmente nel 1797, nono anno dell’era Kwansei ad Edo (Tokio). L’anno di nascita è piuttosto incerto poiché la conversione dal calendario Giapponese porta con sè un margine di errore.

Era probabilmente figlio adottivo dell’ ufficiale dello Hikeshi-doshin (polizia del fuoco) Gen’emon, egli era figlio biologico di Tokuyemon Tanaka, maestro di kyudo, ma fu adottato dalla famiglia Andò, poiché rimase orfano a soli 12 anni. Solo due anni dopo la sua abilità lo portò a diventare apprendista presso la bottega del maestro Toyohir, un importante esponente della

scuola di Utagawa. Questo apprendistato si rivelò solo un ripiego per il giovane artista, data la sua aspirazione ad essere l’allievo del caposcuola Tayokuni.

Hiroshige acquisì grandi abilità in pochissimo tempo e per questo motivo, già nell’anno successivo all’inizio dell’apprendistato, Toyohir gli rilasciò un certificato che lo ammetteva alla scuola di Utagawa e che quindi gli permise di assumere il nome Utagawa Hiroshige.

Il suo maestro morì prematuramente e a questo evento seguì un periodo di stasi artistica poiché non era ancora in grado di guadagnare con la sua arte. Così seguì le orme paterne nella brigata dei vigili del fuoco, dando le dimissioni solo nel 1823.

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GAREI Il nome dell’artista iniziò ad essere riconosciuto nel 1818, con una produzione di stampe raffiguranti Bijin, bellezze femminili, realizzate ispirandosi allo stile del suo maestro Toyohir, ma anche da quello di Kaisai Eisen (1790-1848). Nella sua produzione artistica Hiroshige si dedicò raramente a questo genere, ma senza mai abbandonarlo completamente.

Nel 1832 si trasferì a Kyoto per raffigurare dal vivo la cerimonia di corte del cavallo, un usanza che consiste in un dono presentato annualmente, l’ultimo giorno dell’ottava luna. Fu in questa realizzazione che per la prima volta realizzò degli schizzi che furono alla base del suo album Tokaidô gojusan-tsugi.

L’esperienza a Kyoto fu tanto suggestiva e di ispirazione per l’artista, che da allora trascorse gran parte della sua vita viaggiando e fissando con il suo pennello ogni istante che lo avesse colpito nel profondo.

Morì nel 1858, dopo essere stato contagiato dal colera durante l’epidemia che devastò Edo, lasciandoci un eredità artistica impressionante, oltre 8000 opere.

Poco prima della morte si era convertito alla religione divenendo un monaco e, con gli abiti tipici di questi religiosi, è raffigurato con un rosario (Sho-zuku-jio-dzu) tra le mani nella stampa postuma di Kunisada.

Ormai consapevole dell’imminente arrivo della sua morte lasciò un breve poema con il quale dava il suo 14

dolce addio alla vita: “Lascio la città dell’Est e, senza pennello, per vedere nuovi luoghi prendo la lunga via che porta al lontano Ovest” Secondo credenze popolari, Hiroshige inseguì la carriera artistica il forte desiderio di emulare Hokusai, (artista che divenne celebre dopo il 1830), con il quale Hiroshige era entrato in contatto precedentemente attraverso le sue prime produzioni che voleva pareggiare artisticamente. In molti sostengono che l’impulso di fare arte fosse dovuto d esigenze economiche, tuttavia quest’ipotesi è poco veritiera dal momento che fu costretto a svolgere il lavoro paterno, poiché con la sua arte non era in grado di sostenere la famiglia.

Le opere di Hiroshige paiono avvolte da un alone di una realtà così semplice che pare diventare magia,.

Guardandole pare sentire il fruscio delle foglie, lo scrosciare dell’acqua di un fiume; un meraviglioso e musicale silenzio della natura. Le immagini trasmettono tranquillità, nelle stampe l’uomo è presente solo come completamento dell’Universo, esso è parte della natura stessa senza esserne il protagonista.

Quando l’uomo è inserito nelle opere, è spesso colto in un momento della contemplazione della natura che lo circonda; una natura che, nel suo essere sublime ed impetuosa, riesce a trasmettere grande quiete agli occhi dell’osservatore.

Hiroshige realizzò con Keisai Eisen la serie: “sessan-

tanove stazioni della Kisokaido” tra il 1834 e il 1842, essa è un’entusiasmante raccolta di stampe raffiguranti le 69 stazioni di Nakasendo, una delle due vie di collegamento principali tra la città di Edo, residenza dello Shogun (titolo ereditario conferito ai dittatori militari che governarono il Giappone tra il 1192 ed il 1868) e la città di Kyoto che era la sede della corte imperiale.

Contrariamente al titolo la serie è composta da 71 xilografie policrome, poiché vi è una stampa raffigurante il punto di partenza: Nihonbashi e una seconda stampa dedicata alla stazione di Nakatsugawa.

Stazione di Kisokaidô Road (n°66).

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GAREI KATSUSHIKA HOKUSAI. Hokusai fu uno dei massimi esponenti del genere artistico delle Ukiyo-e. Oltre che pittore fu anche un eccellente incisore. Nel suo percorso fu influenzato da Sesshu; tra le sue opere più famose è particolarmente rinomata la serie delle “Trentasei vedute del monte Fuji”, una raccolta di xilografie che comprende anche la famosa opera del 1820: “La grande onda di Kanagawa”.

Nacque a Edo (Tokyo) nel 1760, da padre artigiano. Il giorno della sua nascita non è certo, anche perché il probabile padre Nakajima Ise, non lo riconobbe mai come erede poiché probabile figlio di una concubina.

La passione artistica, non tardò ad arrivare, egli iniziò a dipingere da bambino e all’età di sei anni apprese l’arte dal padre, che consisteva nella realizzazione degli specchi; tale produzione lo influenzò nel design.

Compiuti dodici anni, il ragazzo fu mandato dal padre a lavorare in libreria; infetti era una consuetudine delle famiglie delle classi medie, che consentiva di intrattenersi e acculturarsi tramite gli scritti antichi. La carriera artistica del ragazzo non si fermò con l’impiego, a quattordici anni intagliava il legno con tale maestria, che a diciotto anni entrò a far parte dello studio di Katsukawa Shunsho, noto artista che si occupava della realizzazione di stampe policrome.

Fu Shunsho ad iniziare Hokusai all’arte delle Ukiyo-e, tuttavia l’arte del maestro era totalmente differente, perché incentrata sulla rappresentazione di soggetti femminili e del Kakubi (teatro giapponese).

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L’artista è conosciuto con una trentina di nomi poiché, era un’ usanza molto diffusa che l’artista cambiasse nome a seconda del periodo. Hokusai fu l’artista che, nell’arco della sua vita, acquisì il maggiore numero di nomi, cosa che permise gli storici di collocare il suo operato all’interno di un preciso contesto storico e culturale.

Durante la sua permanenza nello studio di Shunsho, Hokusai acquisì il suo primo nome, datogli dal maestro: “Shunro”. Con questo nome furono firmate le sue prime stampe del 1779, che avevano come soggetto gli attori Kakubi, molto cari al maestro. La prima moglie dell’artista morì prematuramente, facendo sì che Hokusai si sposasse una seconda volta. Dai due matrimoni ebbe in tutto 5 figli, tra i quali la più giovane delle femmine Sakae, che divenne un’ artista conosciuta come Oi. Alla morte del maestro Shunsho nel 1793, l’artista

iniziò ad interessarsi ad altri stili artistici; fu particolarmente colpito dallo stile europeo, acquisendo la tecnica delle incisioni olandesi e francesi.

Il principale discepolo di Shunsho espulse Hokusai dalla scuola per la frequentazione della la scuola avversaria di Kano; come da lui dichiarato fu l’imbarazzo per questa espulsione a favorire la sua successiva ispirazione artistica.

Iniziò quindi ad interessarsi a soggetti non tradizionali alla realizzazione delle Ukiyo-e; abbandonò le raffigurazioni di cortigiane e attori, per dedicarsi ai paesaggi e alle scene di vita quotidiana. Fu infatti in questo periodo che Hokusai realizzò la serie dei fuochi d’artificio a Ryogoku (1790 d. C.), opere che erano espressione del suo nuovo approccio ai soggetti della sua arte.

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GAREI Un’altra scuola che fu molto importante per la carriera dell’artista fu quella di Tawaraya, dalla quale prese il nome di Tawaraya Sori. In questo periodo iniziò ad essere piuttosto conosciuto in Giappone grazie alla serie Surimono (stampe su commissione, comprendenti anche delle scritte) e alle illustrazioni per Kyoka Ehon, un libro illustrato contenente poesie umoristiche.

Dal 1798 Hokusai inizia la sua carriera indipendente, liberandosi dall’influenza delle scuole ed acquisendo il nome Tomisa, connotante questa nuova libertà stilistica.

Fu nell’ottocento che l’artista ricevette il nome con cui è tuttora maggiormente conosciuto: Katsushika Hokusai; nome che si riferisce a Edo, la sua città natale. In questo contesto iniziò a realizzare vedute in serie di luoghi della vecchia Tokyo, come le “Otto vedute di Edo”; contemporaneamente iniziò ad insegnare ad alcuni allievi attratti dal suo stile innovativo. Nonostante il consenso riscosso nell’isola nipponica, nell’arco della sua vita, ebbe solo una cinquantina di discepoli.

L’operato dell’artista divenne sempre più conosciuto ed il suo nome sempre più celebre. Nel 1804 realizzò il “Ritratto di un sacerdote Buddista, Daruma”, un opera alta 180 metri realizzata con una scopa e con secchi ricolmi di inchiostro, in occasione del festival di Tokyo.

La popolarità di Hokusai divenne tale, che ben presto il suo nome fu inserito in diverse leggende. Una di queste narra che l’artista fu invitato alla corte di Iyenari Sho gun per confrontarsi con un rivale. Per la competizione Hokusai realizzò un opera raffigurante una curva blu e delle foglie impresse sulla carta con zampe di gallina intinte nella vernice rossa. Il dipinto voleva raffigurare la 18

superficie del fiume Tatsuda, sulla cui superficie, delle foglie scarlatte contrastavano con il colore freddo che le circondava. Quest’idea fu ritenuta estremamente innovativa e lo portò a prevalere sull’avversario.

Nel 1807 Hokusai collaborò con Takizawa Bakin, un importante esponente della letteratura giapponese, conosciuto sopratutto come romanziere, con il quale realizzò una serie di libri illustrati (nel Giappone del 1800 erano molto apprezzate le illustrazioni nelle opere di stampa); un progetto che purtroppo non fu concluso, a causa dei difficili rapporti insorti tra i due artisti.

All’età di 51 anni Hokusai cambiò nuovamente nome:Taito; in questo periodo si dedicò alla realizzazione di un manga e di vari manuali d’arte, che nella lingua locale si chiamavano etehon. Il primo di questi fu pubblicato nel 1814 e consisteva in un manuale che illustrava come realizzare manga e caricature; quest’opera è ritenuta particolarmente importante poiché fu il punto di partenza per i il genere del fumetto che si diffuse, in seguito, in tutto il mondo. Nel 1820 vennero pubblicati altri dodici libri sui manga, gli ultimi tre furono pubblicati postumi. Ognuno di questi volumi conteneva illustrazioni di animali, persone e figure religiose che avessero a che fare con la quotidianità, i personaggi più comuni che erano caratteristici del tempo venivano ritratti con una certa ironia, creando figure grottesche e caricaturali.

L’ennesimo cambiamento di nome in Iitsu nel 1920, segnò un periodo prospero della vita dell’artista, durante il quale divenne popolare in tutto il Giappone.

All’estero l’artista diventerà popolare solo dopo la sua

morte, poiché al tempo il paese del Sol Levante non si era ancora aperto agli scambi internazionali. Fu proprio nel suo periodo di maggiore fama, che l’artista palesò la sua passione ossessiva per il monte Fuji, ritraendolo nelle famose 36 vedute; la serie fu poi arricchita da altre dieci stampe. Queste 46 stampe furono quelle più conosciute e quelle che maggiormente ispirarono l’Occidente, insieme ad altre vedute raffiguranti la natura, punto di partenza per artisti del calibro di Monet, Degas, Gauguin, Klimt, Manet, Van Gogh e Renoir.

Contemporaneamente egli si cimentò nella rappresentazione di diverse specie floreali ed ornitologiche, un’altra opera altrettanto conosciuta internazionalmente è la Xilografia raffigurante la grande onda

di Kanagawa. A partire dal 1834 Katsushika Hokusai assunse il nome di Gaky Rojin Manji, nonostante l’ età avanzata, la sua arte fu molto prolifica, realizzò infatti altre cento vedute del monte più rappresentato nella sua arte.

Nonostante la popolarità, Hokusai non si reputò un artista compiuto: infatti sono famose le sue parole con le quali affermava che se il cielo gli avesse regalato un altra decina di anni, sarebbe potuto diventare un Vero Pittore. Il grande artista si spense nel 1849, dopo una vita interamente dedicata all’arte.

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SHINIGAMI

Gli Shingami sono gli dei della morte che, grazie ai loro poteri, possono decidere della sorte di ogni essere umano.

Questi Kami (esseri o oggetti venerati nella cultura Shintoista) sono stati inseriti solo recentemente all’interno della cultura giapponese. Si crede che essi siano la trasposizione del “Tristo Mietitore” tipicamente europeo; non si hanno documenti inerenti a queste divinità fino al Epoca Meiji (1868-1912 d.C). Secondo questa recente tradizione nipponica esistono due mondi, il primo degli umani, il secondo degli Shinigami, molteplici e differenti tra loro. Con il termine Shinigami infatti non si intende la divinità principale della morte, ma quelle secondarie.

Gli Shingami, molto probabilmente seguiro le stragi del libro Battle Royale di Takami; forse furono proprio loro a scegliere le sorti del “gioco “.

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死神 21

SHINIGAMI BATTLE ROYALE Il libro Battle Royale è un libro controverso, scritto nel 1997 da Kushun Takami ed ambientato negli stessi anni.

Questo scritto ha avuto immediatamente un grande impatto sulla popolazione Giapponese e divenne pertanto un Best Seller, nonostante il tema macabro: un Libro di “Morte”. Ebbe tanto successo, che alla sua uscita seguì la pubblicazione di manga e la produzione di un film tutti tratti dal libro. Il medesimo film del 2000, diretto da Kinji Fukasaku, è stato molto apprezzato dalla critica e in particolare dal regista Quentin Tarantino che lo ha inserito nella sua lista di film preferiti. Ad interpretare il professore, membro del governo, che illustra il progetto omicida ai ragazzi, vi è il grande attore Takeshi Kitano.

Il successo dello scritto fu inaspettato nel paese del Sol

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Levante, poiché una denuncia così forte poteva colpire negativamente la popolazione, che invece ha saputo cogliere le critiche politiche senza sentirsi offesa o chiamata in causa.

L’autore proietta il lettore nella Repubblica della Grande Asia Orientale, una probabile unione tra Giappone e Corea del Nord. Un governo dispotico preleva ogni anno cinquanta classi delle scuole medie, per poi portare ognuna in un differente luogo desolato. Raggiunta la meta i ragazzi vengono poi costretti a combattere per la vita, uccidendosi a vicenda, finché solo lo studente rimasto in vita riceverà in premio l’autografo del “Grande Dittatore” e un minimo vitalizio.

Il libro segue una classe della città di Shiroiwa della prefettura di Kakawa. Con il pretesto di una gita scolastica i ragazzi vengono sequestrati e trasportati su di

un’ isola sconosciuta, evacuata in previsione dei “Battle Royale”. I ragazzi si svegliano in una classe, con una strana sensazione al collo, un collare di metallo freddo, il quale è il primo segnale di allerta percepito dai giovani studenti. Fatti sedere ordinatamente ai banchi, i giovani apprendono tra lo stupore e il disgusto quello che sarà il loro destino; il terrore riempie l’aula, nella quale le prime vittime, che si sono opposte all’iniziativa, giacciono sul pavimento. I ragazzi vengono fatti alzare, in l’ordine alfabetico; ricevono una borsa contenente provviste e un arma più o meno pericolosa e costretti a scappare fuori dalla scuola, dando inizio al “gioco”.

L’autore analizza singolarmente gran parte dei personaggi, partendo dalla loro storia personale per poi condurre il lettore nell’interiorità dei ragazzi. Da subito emergono le differenze del sentire tra i diversi per-

sonaggi, alcuni terrorizzati cercano riparo nelle case dell’isola, altri rassegnati al loro destino e consapevoli di non poter sopravvivere a quell’esperienza decidono di suicidarsi; la maggior parte decide di difendersi sfruttando le loro abilità per sopravvivere ; i più macabri sono coloro che invece decidono di partecipare al “Gioco”, assassinando senza remore coloro che fino al giorno prima erano vicini di banco.

Per rendere il personaggio più “Familiare” al lettore, l’autore arricchisce il libro di molti flashback, che rendono la lettura ancora più tormentata. Ogni personaggio è estremamente umano, vivo. L’autore, con un gusto quasi sadico, fa affezionare il lettore, il quale si rifugia nella speranza che quel personaggio riesca a rimanere in vita, speranza quasi sempre annientata da una cruda,inevitabile e terribile realtà.

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SHINIGAMI I personaggi principali sono Shuya Nanahara, un ragazzo orfano, ritenuto pericoloso dal governo per l’astio nei confronti del regime che ha ucciso i suoi genitori; Noriko Nakagawa, la tipica ragazza dalla personalità tranquilla, che rappresenta l’innocenza travolta da una situazione terribile ; Shogo Kawada, il ragazzo dalla dubbia moralità, appena arrivato nella classe, molto abile nelle tecniche di sopravvivenza e mediche. I tre si alleano e, proteggendosi a vicenda, tentano di trovare una via d’uscita da quell’inferno.

Shuya è il personaggio che più esprime il desiderio di libertà: infatti nel testo è più volte citata la sua canzone preferita: “Born to run” di Bruce Springsteen, una canzone che incarna il sogno dei giovani di vivere e di fuggire insieme verso un’esistenza migliore.

Questo libro tanto apprezzato in Giappone, in Italia ha ottenuto un giudizio ambivalente: la trama avvincente e coinvolgente è degna di merito, ma la sintassi è talvolta elementare e poco elaborata. Bisogna tuttavia tenere conto del fatto che il libro è stato tradotto da una lingua totalmente diversa dalla nostra, nella quale la scrittura si basa su ideogrammi che possono assumere connotazioni differenti; è molto difficile pertanto, se non impossibile, tradurre il testo secondo il “gusto” Italiano. Infatti la letteratura italiana è molto meno articolata della nostra, prediligendo concetti concisi, rispetto all’eccessivo arricchimento delle frasi.

Il racconto è una tagliente metafora della società giapponese e non solo in cui l’adolescenza è essa 24

stessa una lotta, che vede, ogni giorno, i ragazzi cimentarsi con difficoltà e scontri per raggiungere l’età adulta. Un periodo della vita in cui ognuno affronta varie difficoltà, le quali appaiono amplificate e tutto sembra configurarsi in una vera e propria battaglia con se stessi e con gli altri. A ciò si aggiunge la competizione sociale che i giovani devono sostenere quotidianamente per non venire esclusi dalla società

che li opprime.

Altro tema approfondito nel libro è quello delle grandi dittature che si sono susseguite in oriente; il Giappone fu sicuramente uno dei primi paesi dell’est ad allinearsi allo sviluppo europeo, mantenendo tuttavia la rigidità della popolazione su alcuni aspetti inerenti la morale e il sentimento nazionalista.

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SHINIGAMI CONTESTUALIZZAZIONE LETTERATURA GIAPPONESE.

La letteratura giapponese è tra le più ricche e vaste che esistano. E’ strettamente legata alla cultura nipponica, ma si evolve anche grazie alle influenze cinesi.

Il romanzo ebbe da subito un ruolo fondamentale, poiché acquisì importanza attraverso la tradizione teatrale. Peculiarità fondamentali di questa letteratura sono il senso della natura e l’indagine psicologica.

Infatti i personaggi vengono analizzati minuziosamente, in modo da renderli estremamente vicini al lettore.

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Le più antiche opere letterarie giapponesi sono andate perdute, le prime opere che ci sono pervenute sono il Kojiki (VIII sec. d. C.), una compilazione di testi mitico-storici che ,in origine, venivano tramandati oralmente ( simile agli occidentali l’Iliade e l’Odissea) e il Nihonge(Annali del Giappone, VIII sec. d. C.).

La prima grande opera letteraria nipponica è il Man’yshoshu (Raccolta di diecimila foglie, 760d. C.), che comprende circa 4500 poesie. Questa raccolta pose le basi anche per le poesie dei secoli successivi che erano una ripetizione degli schemi antichi.

La rivoluzione principale nella letteratura nipponica si compì negli anni del dopoguerra, sotto l’influenza delle letterature occidentali.

Tra il 1930 e il 1945 si formò un nuovo movimento letterario (Shinkankakuha) che rivendicava l’indipendenza nazionale e raccontò gli orrori della guerra e le ingiustizie sociali.

I maggiori esponenti del genere letterario furono: Kawabata ,vincitore del premio nobel per la letteratura nel 1968, Noma e Takeda; anche se i più conosciuti in occidente furono: Junichiro Tanizaki, Shiga e Mishima, che morì suicida come Kawabata.

In questo periodo gli scrittori associarono la raffinatezza della tecnica ad un’ acuta sensibilità dei vari problemi della realtà.

La poesia del dopoguerra subì una rivoluzione stilistica e di contenuto, infatti, con il passare del tem-

po ,emerse il tema della sessualità che si esplicitò anche nel cinema.

Negli anni ‘80 si sviluppò un nuovo tipo di letteratura, interessata particolarmente alla propria funzione nella società. I nuovi scrittori si cimentarono in sperimentazioni, illustrando fantasie favoleggianti o crude descrizioni della realtà giovanile. La seconda tendenza fu quella che si distaccò maggiormente dagli schemi antichi, rompendo con la tradizione sotto le influenze del linguaggio dei Mass Media sviluppatesi in quegli anni. Sicuramente Battle Royale fa parte dei libri innovativi, facendo il suo ingresso nella letteratura Nipponica, con la sua tematica cruda e la sua critica sociale.

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BAKU

Esso è una creatura che appare solo mentre la gente dorme, poiché si nutre di sogni. Lo spirito è originario della cina ed esso è una sorta di “chimera” che ha il corpo di orso, una lunga proboscide, gli occhi piccoli da rinoceronte, una coda bovina, le zampe possenti d una tigre e una pelliccia maculata. La sua traduzione letterale giapponese è tapiro.

Esso può divorare i sogni piacevoli, ma secondo la tradizione cinese, quando ci si vuole liberare di un incubo si invoca lo spirito, il quale si pensa sia in grado di guarire malattie come la peste, inghiottendone i sintomi.

Il Baku è un mostro molto famoso nelle zone di Fukushima e Kumamoto; in questi si pensa che recitando una formula per tre volte, sia possibile liberarsi di un’incubo subito dopo essersi svegliato. La formula è: Offro il mio sogno di ieri al Baku”.

Ho deciso di collegare questo spirito con “l’interpretazione dei sogni” di Freud per creare un contrasto tra l’analisi scientifica del mondo onirico e la tradizione mistica.

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獏 29

BAKU L’INTERPRETZIONE DEI SOGNI. SIGMUND FREUD Sigmund Freud nacque il 6 Maggio del 1856 a Freiberg, che coincide con l’odierna Pribor nella repubblica Ceca, una cittadina della Moravia a circa 240 Km da Vienna. Per contestualizzare la nascita del filosofo, l’anno corrisponde con la chiusura della guerra di Crimea e col Congresso di Parigi. Il nome Sigmund in ebraico equivale a Sholmo che significa saggio; egli fu il primo figlio si Amalie Nathanson, terza moglie di Jacob Freud, un commerciante ebreo di lana proveniente dalla Galizia. A causa degli sviluppi politico-economici la famiglia dovette trasferirsi a Vienna nel 1960, quando il piccolo Sigmund aveva solo quattro anni.

Per Sigmund fu fondamentale l’educazione non ortodossa impartitagli dal padre,che era un libero pensatore, pur essendo stato formato su testi tradizionali. Il giovane Freud si mostrò da subito appassionato lettore, rimase affascinato dalle storie ebraiche e dallo studio della bibbia, elementi che influenzeranno il suo pensiero futuro. Nella sua vita si ritrovò più volte in difficoltà a causa delle tendenza antisemitiche dell’Austria di quell’epoca, il suo pensiero fu infatti sempre limitato.

In seguito all’intervento dei suoi insegnanti Brucke e Meynert, fu prescelto fra altri due candidati ed ottenne una borsa di studio, che gli permise di intraprendere una carriera a Parigi con Charcot tra il 1885 e il 1886. Grazie a questa collaborazione si appassionò maggiormente alla dimensione dell’inconscio, il suo mentore fu infatti il primo a classificare i casi dell’isteria e a dimostrare che l’ipnosi era un metodo valido, 30

seppur limitato, di parziale controllo della mente (fino ad all’ora l’isteria non era ritenuta una malattia poiché non era riconosciuta nessuna origine somatica, poiché si pensava che tutte le malattie mentali dovessero essere riconducibili ad una lesione anatomica).

Altra conoscenza ed amicizia importante fu Breuer, che utilizzava l’ipnosi per curare i sintomi dell’isteria e per far riaffiorare alla memoria avvenimenti significativi del passato che avevano causato ossessioni o paranoie (come nel Caso di Anna O, una donna fortemente idrofoba che riuscirà a superare la sua paura attraverso la scarica emotiva, detta ab-reazione, causata dal ricordo di un avvenimento che era stato rimosso).

Freud era interessato principalmente all’eziologia, ossia lo studio delle cause, della nevrosi; egli scoprì che la causa di questa malattia risiede in un conflitto tra forze psichiche inconsce al soggetto. A partire dal 1900 iniziò ad approfondire diversi campi di studio, principalmente riguardanti la sfera dell’inconscio. Fu appunto in questo periodo che, a seguito di esperimenti eseguiti sui suoi pazienti, fu in grado di scrivere “L’interpretazione dei Sogni”, un’ opera fondamentale nella quale cerca di analizzare il campo onirico partendo, in primis, dal soggetto per poi arrivare all’interpretazione del sogno. Il suo capolavoro “Introduzione alla Psicoanalisi” fu scritto tra il 1915-17 ed in esso riassume tutte le sue deduzioni che sono tuttora alla base di parte della psicanalisi moderna.

Freud si improvvisò anche sociologo scrivendo l’opera “Totem e Tabù”, un opera poco considerata, dato che Freud non fu mai abbastanza competente sul settore, da poter realizzare uno scritto valido che analizzasse i

diversi aspetti sociali dell’umanità, a partire dalle origini.

Nel 1886 sposò Martha Bernays, dalla quale ebbe cinque figli, di cui l’ultima, Anna, che seguì le orme del padre diventando a sua volta una psicanalista.

Nonostante la devozione della moglie è praticamente certo che Freud non si fece remore a mantenere relazioni extraconiugali.

Nel 1938 le tensioni razziali diventarono insostenibili e Freud fu costretto a lasciare Vienna per sfuggire alle discriminazioni e persecuzioni naziste. Si trasferì a Londra dove morì l’anno seguente ne1939.

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BAKU L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI Quest’opera di Freud fu scritta nel 1899, ma fu datata 1900, lo scritto è fondamentale poiché è alla base della psicanalisi freudiana e nonché, anche di quella avvenire. Il titolo appare piuttosto pretenzioso, poiché l’interpretazione dei sogni è sempre stata materia di interesse per molti intellettuali, che sono sempre arrivati a conclusioni ne univoche ne certe. Secondo il filosofo, i sogni sono la risposta del nostro inconscio all’appagamento o meno dei desideri. L’opera, suddivisa in 7 capitoli, è estremamente dettagliata e ricca di citazioni.

Il primo capitolo è a sua volta composto da ulteriori sotto- capitoli, nei quali sono sintetizzate leasserzioni

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sul sogno che la scienza ed i vari studiosi in materia avevano prodotto. Il libro è ricco di citazioni differenti, che vengono analizzate e arricchite da Freud, con le proprie tesi e la propria visione innovativa.

Il primo capitolo è da considerarsi come una sorta di premessa, un’ introduzione al mondo dei sogni e a tutto ciò che lo riguarda; come, ad esempio, il rapporto tra sonno e veglia o la memoria nel sogno.

Negli altri sei capitoli lo psichiatra espone la sua dottrina, prendendo come punto di inizio l’interpretazione del sogno, passando per la deformazione di questo, per il materiale e il lavoro onirico, raggiungendo una conclusione nell’ultimo capitolo. L’ultima sezione contiene la psicologia dei processi relativi al sogno e le prime riflessioni meta-psicologiche, che vanno oltre la semplice psicologia dell’onirico, creando un passag-

gio che porta dal sistema inconscio alla coscienza.

L’intento finale di Freud, che lo spinse a scrivere la sua opera del 1900, era quello di interpretare i sogni, cercando di trovarne il senso, il significato celato.

viene considerato come una totalità indivisibile e sostituendolo con un contenuto analogo che ne spiega il significato.

Per comprendere al meglio le teorie freudiane bisogna chiarire quelle che sono le divisioni individuate dal filosofo nella prima Topica, che saranno elaborate e rese più specifiche con la seconda Topica nel 1920.

La prima suddivisione dalla quale partirà nell’opera interpretativa dei sogni comprende tre sezioni: - Conscio, da cui scaturisce la parte minore e meno influente dell’attività psichica; - Preconscio, che consiste in una serie di ricordi inconsci, che tramite uno sforzo possono tornare alla memoria - Inconscio, cioè la “realtà abissale primaria” di cui il conscio è solo la manifestazione visibile. La parte più profonda e celata dell’inconscio è ilRrimosso, che consiste in elementi psichici inconsci che sono stati rimossi involontariamente e possono “venire a galla” solo tramite tecniche particolari. Il rimosso, per Freud, è l’inconscio per antonomasia.

Freud, muovendo delle critiche ai cosiddetti metodi di interpretazione onirica precedenti detti “popolari”, ( tratti che provengono generalmente dalla tradizione sacerdotale antica), cerca di avvalorare ulteriormente il suo pensiero.

Fra questi metodi il primo, preso in considerazione da Freud , prevede un interpretazione simbolica: il sogno 33

BAKU Il secondo, al contrario, prevede una scomposizione del sogno, attuata tramite la “decifrazione”; cioè consiste nel fatto che ogni sogno viene tradotto secondo una chiave di lettura prestabilita., che prevedeva un codice fisso di significati.

Questi due metodi, totalmente differenti, se non addirittura opposti tra loro, vengono invalidati dallo psicanalista, in quanto non utilizzabili per una trattazione scientifica dell’argomento. Il primo infatti è limitato ed incapace di una spiegazione generale; il secondo, invece, manca di attendibilità nel codice fisso , su cui si basa la decifrazione dell’intera sezione onirica. Il filosofo offre come soluzione: il metodo delle “libere associazioni”; secondo cui colui che sogna deve esporre il suo proprio sogno con un susseguirsi di idee libere, prive di uno schema preciso stabilito in precedenza.

La volontà selettiva che è alla base di un discorso razionale, è abbandonata dal sognatore, a favore di una libertà di fruizione delle idee. All’uomo sotto analisi non viene dato alcuno spunto di partenza, facendo sì che sia lui stesso ad utilizzare la propria rappresentazione mentale in modo assolutamente disinibito e spontaneo. Sono subito evidenti le differenze con i metodi precedenti utilizzati, gli intellettuali infatti non contemplavano la soggettività del sognatore poiché il mondo onirico era attribuito alla divinità, che utilizzava il sogno per trasmettere i suoi messaggi all’umanità.

Freud introduce per primo la dimensione soggettiva

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e interiore del sogno, considerandolo quindi come un fenomeno psichico, prodotto dalla nostra mente.

Con questa affermazione il sognatore diventa indispensabile per l’interpretazione del sogno, perché esso è parte integrante dello stesso; è lui che si deve interrogare sul prodotto del proprio inconscio, essendo l’unico in grado di comprenderlo appieno.

Il soggetto è diviso tra inconscio e conscio; il primo è oggetto dell’analisi Freudiana, attraverso cui il soggetto che sogna viene invitato dal filosofo a scomporre nei suoi elementi la visione onirica, per poter esaminare ogni sezione separatamente, con un’attenzione particolare per ognuna.

Per spiegare il proprio metodo, Freud descrive nel secondo capitolo l’analisi di un sogno, che lui stesso fece nella notte tra il 24 e il 25 Luglio 1985 e che divenne famoso come “il sogno dell’iniezione di Irma”. In questo sogno il filosofo analizza ogni elemento, persino il più banale, in funzione di ciò che lui stesso sa di sè e degli avvenimenti che nel periodo antecedente potevano essere stati alla base della visione onirica.L’analisi di ogni singola parte del sogno è indispensabile, poiché il solo “contenuto manifesto” (ciò che in un sogno effettivamente si vede) non svela il significato profondo, ma è al contrario un telo che, una volta scostato, consente di scoprire il contenuto che da esso è celato, un contenuto profondo e talvolta rimosso.

Attraverso le “libere associazioni” il filosofo associa ai vari elementi del sogno, tutto ciò che al momento

ritiene collegabile con le immagini oniriche, riuscendo dunque ad ottenere una visione dell’insieme giustificata e plausibile. Il significato nascosto, generalmente si identifica con l’appagamento di un desiderio, o meglio, usando le parole dello stesso filosofo: “il sogno nella sua intima essenza , significa appagamento

di un desiderio”. Nel sogno in questione il desiderio è una piccola rivincita, che il Freud si prende, nei confronti dell’amico Otto, ritenuto l’unico colpevole della malattia di Irma e che la sera prima gli aveva detto che la donna non era guarita, causando il tormento nel suo inconscio.

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BAKU Il compito dell’interpretazione è quindi svelare il desiderio che origina il sogno, ma il filosofo non ha ancora spiegato perché sia necessario svelare il contenuto latente (tendenze e motivi che sono alla base del contenuto manifesto). Freud spiega la necessità dell’interpretazione del sogno, affermando che esiste il fenomeno della “deformazione del sogno”, che è causato da una censura attuata all’interno della psiche; di conseguenza è necessario analizzare il contenuto di una visione onirica per sindividuare questa censura, alla base della quale c’è il rapporto tra contenuto manifesto e contenuto latente.

Il contenuto manifesto è il sogno così come viene raccontato dal soggetto e come è presente nella coscienza dello stesso. È il prodotto finito del lavoro onirico dalla quale l’interpretazione parte.

Il contenuto latente, invece, consiste nei “pensieri del sogno” (citazione dello stesso Freud), ed è invece il fine dell’analisi dello psicanalista: è ciò che è criptico che deve essere svelato per una comprensione più consapevole del proprio inconscio. Il contenuto latente di ogni sogno si identifica appunto con il desiderio, che si può paragonare al motore che muove l’intera visione onirica.

Nei sogni solitamente si evidenzia una connessione con le impressioni avvertite nei giorni immediatamente precedenti, compiendo la loro selezione secondo principi totalmente diversi da quelli della memoria della persona sveglia; infatti, generalmente i sogni non riflettono ricordi importanti e primari, ma quelli secondari e inosservati. I ricordi secondari si possono 36

manifestare all’interno di un sogno anche diversi anni dopo l’avvenimento che ha provocato l’attività onirica, risultando lontani e quindi più difficilmente comprensibili. Anche in questo caso, però, il motivo ultimo che ha portato ad un determinato sogno è da ricercare tra le sensazioni sulle quali “non ci si è ancora dormito sopra” e che possono a loro volta risvegliare un ricordo ben più lontano nel tempo. “dove l’appagamento di desiderio è irriconoscibile, dove è travestito, là dovrebbe esistere una tendenza alla difesa contro il desiderio, e in seguito a questa difesa il desiderio non potrebbe esprimersi se non deformato”.

Con queste parole Freud descrive il concetto di “Deformazione del sogno”. Il filosofo chiarisce il tutto attraverso una metafora con la vita sociale, dicendo che come nel campo della società vi è un ente che opera la censura e uno che viene censurato, così nel sogno possiamo trovare un conflitto tra sistemi psichici differenti, in cui uno cerca di affermare il desiderio, mentre l’alto tende a mascherarlo. Questo conflitto tra due forze causa inevitabilmente una censura.

La seconda forza, chiamata istanza, esercita la censura secondo alcune basi precise, per comprendere le quali è necessario ricordare che i pensieri latenti del sogno non sono coscienti prima dell’analisi, mentre il contenuto manifesto, che da essi deriva, viene ricordato anche nella fase cosciente. Nessun contenuto è immune all’istanza, che esercita il suo potere secondo i metodi ritenuti più opportuni dalla stessa.

La censura viene posta da Freud tra l’inconscio e

la coscienza; le due istanze sono in stretta relazione tra loro, possono esistere separatamente, ma devono necessariamente coesistere perché siano verificate.

Da ciò consegue il fatto che il sogno è il prodotto di un opposizione conflittuale tra due sistemi; in base alla dominanza di un’istanza o dell’altra, il sogno sarà differente e celerà in modo più o meno profondo i suoi significati. Spesso il contenuto latente, individuato dallo psicanalista, è individuato nella sfera del campo della natura sessuale, che era diventata una sorta di ossessione per Freud, il quale era arrivato a ricondurre gran parte delle attività dell’inconscio alla sessualità dominante di ogni uomo. Il lavoro di trasformazione che porta il contenuto latente al contenuto manifesto, viene suddiviso dal filosofo in quattro meccanismi: - la Condensazione, che consiste nella concentrazione di molteplici elementi dei pensieri onirici latenti in un’unica rappresentazione del contenuto manifesto, che coincide con il sogno che ricordiamo: il compendio, che è sintesi dei numerosi pensieri onirici. Questo procedimento si realizza tramite le immagini , i nomi che nell’opera freudiana assumono il nome: “vera chimica sillabica”.

- lo Spostamento, consiste negli elementi che nel contenuto manifesto svolgono una parte essenziale e non hanno la stessa funzione nei pensieri del sogno.

L ‘elemento importante nei pensieri del sogno viene lasciato da parte, non venendo preso in considerazione nella formazione del sogno, venendo sostituito da un elemento sostitutivo, generalmente indifferente.

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BAKU Questi due meccanismi fanno parte dell’elaborazione primaria del sogno, ossia la prima trasformazione dei pensieri latenti. A questi 2 momenti principali ne conseguono altri due secondari altrettanto importanti: - la considerazione della raffigurabilità; con questo concetto Freud cerca di comprendere quali siano i mezzi utilizzati dal lavoro onirico, per esprimere i pensieri latenti. Il problema viene risolto grazie all’affermazione che il sogno ci riconduce a forme arcaiche di espressione.

- l’elaborazione secondaria è, come dice il nome stesso, una fase secondaria del lavoro onirico; con essa la censura è estremamente partecipe nella formazione del sogno, attribuendogli coerenza e razionalità, facendolo avvicinare molto ad una visione onirica ad occhi aperti. In questa parte viene organizzato secondo un filo conduttore; pur essendo contemporanea alla costituzione del sogno, opera maggiormente quando il soggetto sognante sta per svegliarsi o quando lo stesso sta raccontando il sogno.

L’argomento della censura è trattato da Freud con una riflessione meta-psicologica, sviluppata maggiormente nell’ultima parte dell’opera. Il tentativo di comprendere il passaggio tra inconscio e coscienza, implica l’articolazione di tre punti di vista: topica, dinamica e economica ( che costituiscono la base della dottrina meta-psicologica). La rappresentazione 38

topica si impone in quanto tendiamo ad immaginare l’apparato psichico come se fosse costituito da sistemi tra i quali passano i contenuti rappresentativi; la principale distinzione dell’inconscio definisce il preconscio e l’inconscio.

Se la rappresentazione topica, fosse presa in considerazione da sola, risulterebbe statica ed è per questo che si articolano anche la visione dinamica (inerente le forze in conflitto presenti nella nostra interiorità; da una parte le forze legate a bisogni e desideri rimossi dalla coscienza, dall’altro le forze legate ai valori e alle necessità dell’Io, ovvero le difese che attuano la censura.) e quella economica (riguardante l’energia e le sue trasformazioni; essa prende in considerazione la quantità di energia di cui le forze psichiche, che premono per il soddisfacimento, sono cariche ).

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KODAMA Il Kodama è letteralmente lo spirito dell’albero, ma non tutti ne hanno uno, rendendo difficile distinguere le piante “magiche” e quelle no. L’aspetto di un albero con l’anima non si distingue in alcun modo da uno non dotatone. Solitamente il compito di prendersi cura di questi alberi, viene tramandato da generazione in generazione e gli unici che possono accorgersi della essenza sono gli anziani, che hanno vissuto nei pressi di uno di questi per diversi anni, attraverso le loro conoscenze e capacità intuitive.

Nella cultura giapponese infatti gli alberi più antichi e grandi venivano trattati con grande rispetto, poiché si credeva avessero un’anima.

Ancora oggi è possibile vedere alberi piuttosto antichi sui quali è stato posto uno shimanawa per proteggere il Kodama (Lo shimenawa, è una corda di paglia appesa all’ingresso di un sito, o intorno a esso, per demarcare l’area come pure e sacra).

Nel film “Principessa Mononoke” di Miyazaki sono rappresentati numerosi Kodama, posti a protezione della foresta e servitori del Dio Bestia. Essi sono raffigurati come piccoli esseri, che paiono intagliati da ciocchi di legno che, come richiamo, muovono la testa creando un suono tipicamente ligneo.

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木霊 41

KODAMA HAYAO MIYAZAKI Hayao Miyazaki nacque il 5 Gennaio del 1941 a Akeboncho, un quartiere alla periferia di Tokyo, da una famiglia agiata. Era il secondo di quattro fratelli e con loro e con i genitori dovette fuggire in campagna, a Utsunomiya, cittadina a circa cento chilometri da Tokyo, a causa dei bombardamenti.

Poiché il padre lavorava in un ditta che produceva componenti di aerei, si accese in lui una grande passione

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per gli aerei e per il volo, che lo accompagnò per tutta la vita e che si rivelò fondamentale per la sua produzione artistica. Rispetto a molti coetanei ebbe la fortuna di poter frequentare regolarmente la scuola, ed è proprio nell’ambiente liceale che il registrò inizia ad appassionarsi all’animazione, ma, non volendo iscriversi all’Accademia di Belle Arti, si iscrisse alla facoltà di Economia, l’unica che a suo parere gli avrebbe premesso di godere di tempo libero da dedicare alla sua vera

passione. Entrò così alla Gakushuin University, che gli offrì l’opportunità di frequentare il circolo dedicato alla letteratura per l’infanzia, in cui si dedicava alla lettura di testi di narrativa e di fumetti sia nipponici che internazionali.

Si laureò nel 1963 in Scienze Politiche ed Economiche, con una tesi riguardante l’industrializzazione giapponese del dopo-guerra. Finalmente poté avviarsi all’animazione. Venne poi assunto alla Toei Doga, dopo

i tre mesi di tirocinio, come intercalatore dove ebbe l’occasione di fare tre incontri decisivi per la sua vita professionale e privata: quello con il suo maestro Otsuka Yasuo, col suo futuro socio Takahata Isao e infine con una collega di lavoro, Ota Akemi, che diverrà sua moglie nel 1965 e che gli darà tre figli. Qui collaborò subito alla realizzazione ad alcuni film d’animazione, acquisendo sempre più importanza nell’ambiente lavorativo.

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KODAMA Nel 1968 fu animatore capo e concept artist per il film “Horus: Principe Del Sole”; un progetto importante e piuttosto ambizioso, del quale Takahata fu regista.

La maggior parte degli operatori che lavorarono a questo progetto erano giovani e sentivano la necessità di staccarsi del mondo dell’animazione schematico e ripetitivo “imposto” dalla Disney.

La realizzazione di questo film di animazione occupò Miyazaki per tre anni, ma alla sua uscita, purtroppo la Toei Doga lo ritirò dopo solo dieci giorni di proiezioni, nonostante fosse stato acclamato dalla critica.

Nel 1971 diede alla stampa il manga a cui aveva lavorato dal 1968: “La Tribù Del Deserto”; in questo periodo abbandonò il vecchio lavoro passando alla A-Pro assieme al suo collaboratore, amico e collega Isao Takahata. Qui esordì alla regia dirigendo alcuni episodi della prima serie di “Lupin III”. Nel 1972 creò, insieme a Takahata alla regia, il mediometraggio “Panda Kopanda”.

Nel 1973 lasciò, assieme al fedele amico Takahata, questo studio per approdare allo studio Zuiyo Pictures, dove si dedicò principalmente alla realizzazione di storyboard di animazioni, ambientate in Europa, di grande successo, come Heidi, che sarebbe uscito l’anno seguente. Questo cartone animato tratto dal romanzo di Johanna Spyri, fu diretto da Takahata ; Miyazaki occupò della realizzazionedel 44

layout di ogni singolo episodio.

Il successo ottenuto dalla serie sbaragliò la concorrenza del periodo, poichè era estremamente rivoluzionario nel modo di descrivere la vita quotidiana della bambina, affermando lo stile realistico che sarà proprio di tutte le opere del regista Takahata.

Dal 1978 lavorò ad un altra serie televisiva: “Conan, Il Ragazzo Del Futuro”, opera esclusivamente sua di cui curò il soggetto, sceneggiatura, character design, scene e regia. Il fatto che la serie fosse su commissione non impedì al regista giapponese di inserire diversi spunti personali; quali personaggi e tematiche a lui care, che sarebbero poi stati sviluppati nelle produzioni successive (ne sono esempio le citazioni riguardanti la strage di Hiroshima e Nagasaki, mediante il tema della catastrofe, un evento che aveva lasciato tracce indelebili nella memoria collettiva della popolazione del paese del Sol Levante).

Nel mondo utopico di Miyazaki emergono prorompenti i valori fondamentali della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà; la natura è rappresentata con grande attenzione ai dettagli e all’amore, creando così un netto contrasto con la distruttiva produzione industriale. Questi sono i valori che ritroviamo in tutte le sue opere.

Non bisogna però considerare Miyazaki come una personalità contraria al progresso, anzi il regista si cimentò alla creazione animata di macchine immagi-

narie, perfette fin nei più piccoli particolari, quali navi, robot, automobili e aerei.

Nel 1979, oltre a rivestire il ruolo responsabile delle scenografie nella serie “Anna Dai Capelli Rossi” diretta da sempre dal fedele amico, si cimentò come direttore il suo primo lungometraggio: “Il Castello Di Cagliostro”, che narrava l’ennesima avventura dell’amatissimo ladro Lupin III. Il lungometraggio non ottenne il successo previsto, per cui Miyazaki fu costretto a lavori di ripiego, come insegnare ai nuovi assunti nello studio o dedicarsi temporaneamente alla produzione di manga, occupazione che per lui non rappresentava una novità, egli infatti aveva già lavorato alla realizzazione di Sabaku No Tami (t.l. Popolo del deserto), fumetto ambientato nel Medioevo e pubblicato su un giornale per bambini, senza che si firmasse col suo vero nome, bensì con uno pseudonimo.

Il grande successo cinematografico di Miyazaki: “Nausicaa Della Valle del Vento”, fu prodotto a seguito del grande consenso conseguito dall’omonimo fumetto, un manga mensile commissionato dalla rivista Animage.

La fama e le approvazioni riscosse ,anche a livello di incassi, furono tali da permettere a Miyazaki e Takahata di fondare una propria casa di produzione. La nascita del rinomato studio Ghibli, fu dunque datata nel 1985, che produsse immediatamente “Il castello nel cielo” del 1986.

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KODAMA Sulla scia di questo successo, nel 1988 fu la volta dell’apprezzatissimo “Il mio vicino Totoro” la cui sagoma fu poi scelta come logo dello Studio.

Questo film fu premiato in Giappone, come Miglior Film dell’Anno.

Nel 1989 “Kiki consegne a domicilio” conseguì l’ennesimo successo, ma solo con “Porco Rosso” il nome di Miyazaki iniziò ad essere conosciuto all’estero.

Nel 1997 il film “Principessa Mononoke” riscosse un successo inaspettato e fece incetta di premi.

Dopo questa produzione il regista annunciò il suo temporaneo ritiro dalla regia per lasciare spazio ai più giovani registi cresciuti all’interno dello Studio Ghibli.

La pausa durò solo quattro anni, dato che nel 2001 uscì “La città incantata”, che portò il regista alla fama internazionale, vincendo ll’Orso d’Oro al Festival di Berlino e l’Oscar come Miglior Film d’Animazione.

Nel 2004 uscì “Il castello errante di Howl”, candidato all’Oscar nel 2006 come miglior film di animazione.

Nello stesso anno Miyazaki fu anche insignito del Leone d’Oro alla Carriera alla Mostra del cinema di Venezia.

Miyazaki alla cerimonia degli Oscar.

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KODAMA PRINCIPESSA MONONOKE.

delicato connubio tra uomo e natura.

Il lungometraggio uscì nel 1997 ed è ritenuto uno dei maggiori capolavori di Hayao Miyazaki.

Lo spettatore si ritrova in un mondo magico in cui il confine tra realtà e finzione è estremamente fine, non è possibile staccare lo sguardo dallo schermo, poiché il continuo susseguirsi di eventi rende la storia estremamente avvincente.

In questo film il regista, per la prima volta, integrò le tecnologie contemporanee e realizzarò un prodotto di qualità, nel quale i movimenti dei personaggi fossero più fluidi, con un realismo spiccato rispetto alle animazioni realizzate a mano.

Il regista voluto raccontare una storia mitica, mirando alla sensibilizzazione della popolazione riguardo il

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Il racconto è particolarmente intricato e presenta vari temi che possono spaziare dall’amore, alla violenza, alla morte; ognuno di essi è analizzato con grande attenzione, senza mai far percepire leggerezza, nonostante la complessità dell’intera animazione.

TRAMA.

delicato connubio tra uomo e natura.

Il racconto è ambientato nell’antica era Muromachi (storicamente collocabile tra il 1336 e il 1573, momento in cui, con la produzione del ferro, gli uomini pensarono di poter dominare la natura, abbattendo le foreste) un periodo florido nel quale contadini e samurai convivevano nella società giapponese, le donne erano libere e indipendenti e l’economia del paese era piuttosto florida. Parallelamente allo sviluppo delle città e dell’industria, nelle foreste adiacenti alle città gli antichi dei, che per la maggior parte presentavano forme e caratteristiche tipicamente animali, vivevano nel loro mondo, che iniziava ad essere distrutto dall’uomo, egoista e irrispettoso delle risorse offerte dalla natura.

Un cinghiale, accecato dall’odio che provava a causa di una ferita da arma da fuoco che lo stava conducendo alla morte, si lasciò sopraffare dalla negatività trasformandosi in un pericoloso demone.

Ashitaka, il protagonista e principe del villaggio minacciato della creatura, prense la decisione di affrontare il demone, che ormai si era avvicinato al villaggio minacciosamente. Il ragazzo riuscì a prevalere nello scontro, ma non ne uscì illeso, il suo braccio era stato danneggiato dalla negatività del demone; la ferita si sarebbe propagata a tutto il corpo, causando la morte del giovane.

L’unica speranza per il ragazzo era quella di intraprendere un lungo viaggio per raggiungere il luogo nel quale il cinghiale era stato ferito potendo così comprendere l’origine del suo male.

Lo spettatore si ritrova in un mondo magico in cui il confine tra realtà e finzione è estremamente fine, non è possibile staccare lo sguardo dallo schermo, poiché il continuo susseguirsi di eventi rende la storia estremamente avvincente.

Il racconto è particolarmente intricato e presenta vari temi che possono spaziare dall’amore, alla violenza, alla morte; ognuno di essi è analizzato con grande attenzione, senza mai far percepire leggerezza, nonostante la complessità dell’intera animazione.

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KODAMA Durante il suo cammino si trovò costretto ad affrontare samurai e altre difficoltà, ma alla fine raggiunse una città impegnata nella produzione siderurgica. Nel suo viaggio venne accompagnato da un fedele compagno: Yakkuru, mezzo yak, mezzo stambecco.

Ashitaka fu il benvenuto nella città, avendo salvato due uomini del luogo da una fine certa. Qui incontrò Madame Eboshi, una donna guerriera, capo della città, impegnata nella lotta contro gli abitanti della foresta:

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per estrarre il metallo era necessario il disboscamento della zona circostante. Una donna ambigua, misteriosa, al suo essere totalmente indifferente al destino degli animali uccisi per i sue ambizioni, si contrappone un animo estremamente interessato alla sua comunità, che ha liberato le donne dalla schiavitù e si è presa cura dei lebbrosi, nonostante l’alto rischio di contagio.

All’interno della città Ashitaka incontrò per la prima vol-

ta Mononoke o San, una ragazza cresciuta da una lupa bianca, desiderosa di salvare la foresta che l’aveva accolta come una sua abitante. San aveva tentato diverse volte di uccidere la padrona della città, anche questa volta fallì venendo salvata dal forestiero.

All’inizio la giovane non si voleva fidare del ragazzo che l’aveva riportata nella sua terra, poiché la sua visione dell’intero genere umano era estremamente

negativa. Tuttavia, col passare del tempo, tra i ragazzi nacque una una complicità che li aiuterò a salvare il Dio cervo, l’essere che era l’origine e la fine della vita, minacciato dai mercenari dell’Imperatore e da Madame Eboshi. A seguito dei vari scontri e delle varie perdite umane e animali, Madame Eboshi si rese conto dei suoi errori, dando inizio ad una nuova era, caratterizzata da rispetto per la natura e per tutte le sue creature.

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KODAMA Il film di Miyazaki è una forte campagna di sensibilizzazione, indirizzata a tutta la popolazione, che mira a creare un mondo in cui le creazioni umane e la natura possano coesistere pacificamente, senza sacrificare alcuna vita.

Nella racconto è evidente la forte influenza scintoista,

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che colloca la divinità in qualsiasi essere o cosa del nostro mondo.

I paesaggi e l’attenzione per i particolari, presenti nei film sono incredibili, trasmettono le suggestioni di una natura magica, facendo smarrire lo spettatore in

quei colori ed in quelle forme.

La storia, per quanto possa risultare complicata, è accessibile a qualsiasi tipo di pubblico, facendo sì che la morale del film possa essere colta anche dalle menti più giovani.

La riflessione sulla natura contenuta in di questo famoso film d’animazione: “La principessa Mononoke” chiarifica visivamente quale sia l’approccio del popolo giapponese a questi temi e la sacralità in essa riposta.

Lo sfondo a cui Miyazaki dedica gran parte del suo tempo per renderle il valore che merita è, ovviamente, la natura: gli scorci, i panorami, gli alberi e gli spiriti che li abitano, gli animali ed il cuore della foresta sono descritti con una soavità ed una bellezza incantevoli.

Nonostante che la prevaricazione di Madame Eboshi riesca ad intaccare il cuore della natura, uccidendo il Dio della Foresta (un essere dal corpo di cervo, le zampe di volatile e il viso umano), il regista offre una speranza di una riconciliazione, grazie alla miracolosa ed emozionante scena finale della rinascita della natura: che riconquista quello che le era stato tolto dall’uomo, che è quindi costretto ad ammettere i propri errori, rivalutando tutte le azioni fatte in precedenza.

Madame Eboshi rappresenta l’intera umanità che si rende conto dei suoi errori e che decide di approcciarsi alla natura in un modo completamente diverso.

L’insegnamento che il regista ci vuole impartire consiste nel fatto che l’uomo non sarà mai protagonista, bensì spettatore ammirato, sempre e comunque. Ecco quindi la motivazione per cui il popolo giapponese è in grado di accettare quanto la natura, entità superiore, è destinata a donarci.

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JUBOKKO

Questo è un tipo di albero che, dopo aver assorbito una quantità di sangue umano, si animava per cercare nuove vittime che potessero nutrirlo.

Nella cultura giapponese non è difficile immaginare che una albero possa subire questo tipo di metamorfosi, poiché era molto frequente che persino gli oggetti della quotidianità si tramutassero in esseri dotati di vita propria.

Esso si può trovare su campi di guerra o luoghi in cui ci furono massacri, dove il sangue di migliaia di uomini ha macchiato il suolo. Da lontano,i jubokko paiono alberi ordinari, indistinguibili dalle varie specie presenti nell’area. Ci vuole un occhio attento a notare le caratteristiche più inquietanti dei suoi rami, o mucchi di ossa umane sepolte nel sottobosco sotto l’albero. Il Jubokko era solito aspettare che gli esseri umani ignari passassero sotto i loro rami, per poi attaccare, strappando la preda con lunghi rami, frastagliati, simili a dita; essi derubavano la vittima di tutto il suo sangue e lasciavano i corpi in balia della fauna circostante.

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ジュボッコ 55

JUBOKKO HIROSHIMA E NAGASAKI CONTESTO STORICO : PEARL HARBOR Il clima della guerra vissuto in Europa, era totalmente estraneo alla popolazione statunitense; che si opponeva fermamente al volere di Roosevelt di appoggiare la Gran Bretagna, finché questa fosse rimasta in lotta. Il presidente era consapevole della necessità di un

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avvenimento che scuotesse a tal punto la popolazione da convincerla ad entrare a fianco delle forze alleate.

L’avvenimento che sconvolse gli Stati Uniti fu l’attentato, inaspettato e apparentemente ingiustificato, di Pearl Harbor. L’operazione ideata dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto, prevedeva una strategia tanto semplice, quanto brutale: annientare completamente la base avversaria, tramite azioni rapide, sfruttando l’elemento “sorpresa”, per affermare la supremazia bellica nei cieli

grazie alle portaaerei. La riuscita dell’attacco avrebbe creato una barriera difensiva nelle isole del Pacifico che neanche gli Stati Uniti sarebbero stati in grado di valicare.

Nell’Agosto del 1941 furono gettate le basi dell’attacco militare, sotto la guida di Yamamoto, che aveva sottoposto i suoi equipaggi ad esercitazioni particolarmente impegnative.

L’attacco era stato programmato per l’alba del 7 Dicembre, nel caso in cui il Giappone avesse confermato le sue posizioni sulla guerra e sarebbe stato affiancato dall’azione di sommergibili nani, trasportati in prossimità dell’isola Oahu nel Pacifico, da sommergibili di grande crociera.

Il 10 Novembre la “forza speciale” nipponica si mosse dalle basi di Kure e Hiroshima: navi con rotte virate verso l’arcipelago delle Curili, onde non insospettire lo spionaggio americano.

Già il 22 Novembre la flotta giapponese era concentrata nella baia deserta di Hitokappa, dell’isola di Etorofu, la più meridionale delle Curili, pronta a salpare.

La mattina del 26 le navi presero il largo, muovendosi verso oriente, navigando in zone soggette a maltempo, ma con scarso traffico commerciale, onde evitare spiacevoli incontri. Le navi erano in attesa del messaggio in codice che indicava che le trattative diplomatiche con gli Stati Uniti erano state interrotte. Le parole inviate furono: “Niitaka Yama Nobora” che letteralmente significa “Scalate il monte Nitaka”. Già il primo Dicembre la radio della portaerei Akagi captò il messaggio atteso da giorni; il giorno dopo l’ammiraglio Nagumo rivelò finalmente agli equipaggi il motivo che li aveva portati

lì. Grazie all’intervento della Spia impiegata Mori, la flotta giapponese apprese che i congegni anti-siluro non erano ancora stati resi operativi, fatto che favorì l’attacco giapponese. Il 6 Dicembre, a notte fonda, la flotta salpò nella convinzione della buona riuscita dell’operazione programmata per l’indomani, i Servizi Segreti Americani non avevano avuto minimamente sentore di ciò che stava per accadere.

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JUBOKKO A Pearl Harbor era ancora attivo il servizio di pace e non vi erano timori, dato che la base era considerata la sola ragionevolmente equipaggiata e al passo con la tecnologia dei tempi, disponendo per la sua difesa di nove corazzate, tre portaerei, dodici incrociatori pesanti e nove leggeri, 27 sommergibili, due divisioni di fanteria costituiti da circa 43mila uomini, 1107 pezzi contraerei terrestri imbarcati e 227 aerei, di cui 152 da caccia. Fu per questo che, all’avvistamento degli aerei nemici, l’ufficiale di guardia, tenente Kermit Tyler rispose che non vi doveva essere preoccupazione.

La prima bomba colpì la base militare alle 7.50 del mattino del 7 Dicembre e con essa diede inizio alla carneficina.

Il primo obiettivo fu raggiunto dai primi cinque siluri che colpirono in pieno la prua e la poppa dell’Oklahoma sulla quale saltarono impianto elettrico e si bloccarono i cannoni; la forte esplosione squarciò in tre parti lo scafo e in breve tempo la corazzata affondò. I minuti successivi furono attimi di distruzione, terrore e morte: dal cielo pioveva metallo e nemmeno le acque oceaniche erano sicure. Le navi furono affondate rapidamente. Il secondo bombardamento fu focalizzato sugli impianti di terra .

Vennero distrutti gli impianti dell’isola Ford, le basi aeree di Wheeler e di Hickam Field e l’idroscalo di Kanehoem; vennero mitragliati i depositi di munizioni, i baraccamenti e le caserme e in totale furono distrut58

ti 65 dei 231 apparecchi che si trovavano a Oahu.

I sommergibili nani si rivelarono completamente inutili all’operazione, infatti un sommergibile trasportatore fu distrutto dal contrattacco di un aereo americano.

Alle 8.40 il primo attacco nipponico terminò e il primo gruppo si ritirò con il messaggio di Fuchida a Nagumo che confermava il successo della missione e dava il via libera al secondo attacco destinato ad essere la feroce conclusione di una mattina di distruzioni.

Il bilancio fu durissimo, oltre all’ingente perdita economica conseguente alla distruzione di apparecchiature militari estremamente costose, impressionante fu il numero di morti, che salì fino all’esorbitante numero di 2403; il conteggio dei feriti invece raggiunse i 1178.

Al bilancio dei morti, bisognerebbe aggiungere i deceduti a seguito della distruzione del sommergibile Giapponese, purtroppo non si fu mai in grado di conoscere l’ammontare dei caduti giapponesi.

Ai fatti di Pearl Harbor seguirono grandi battaglie aero-navali tra Giappone e USA (come quella di Midway nel giugno del 1942) i marines sbarcarono nelle varie isole giapponesi e riconquistarono le Filippine , mentre i giapponesi si sacrificano fino all’ultimo uomo attraverso il fenomeno dei Kamikaze, piloti che si scagliavano, con i propri aerei, contro le navi nemiche.

Marzo 1945: viene bombardata Tokyo e avvengono le battaglie di Iwo Jima e Okinawa.

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JUBOKKO PROGETTO MANHATTAN. Nello stato statunitense del New Messico sorge un altopiano, alto circa 2100 metri sul livello del mare, insito nella catena delle Montagne Rocciose.

Il suo nome può variare a seconda di chi è stato sul territorio ,i residenti in tempi diversi lo hanno chiamato Valle Grande,Pajarito Plateau o Località Y, a seconda

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che fossero coltivatori, archeologi oppure scienziati della seconda Guerra Mondiale.

In Questo posto, distante molte migliadal più vicino centro abitato, iniziarono le sperimentazioni che avrebbero condotto alla realizzazione di quella che sarebbe diventata un’ arma di sterminio.

Questo percorso verso l’azzardato progetto denominato Manhattan, cominciò il 2 Dicembre 1942, quando

Enrico Fermi, una delle menti più eccelse della fisica contemporanea, attivò correttamente la CP1 (Chicago Pile 1). Essa consisteva nella prima pila atomica che mostrò al mondo la nuova forma di energia: un’ energia che era destinata ad essere utilizzata per fini bellici (Niels Bohr e Enrico Fermi si celavano dietro i nominativi di Nick Barker e Eugene Farmer).

Al progetto avrebbero dovuto applicarsi solo un nu-

mero limitato di menti (del calibro di Niels Bohr, Bruno Benedetto Rossi, Emilio Segrè, Edvard Teller, Eugen Wigner, James Chadwick, John von Neumann, Hans Bethe, Viktor Weisskopf e Arthur Compton), che avrebbero dovuto approfondire l’intuizione di Fermi sulla reazione a catena e la sua applicabilità come arma.

Infatti gli appartamenti adibiti come alloggio, potevano ospitare circa una trentina di fisici.

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JUBOKKO Il 1942 fu l’anno dell’apogeo della potenza giapponese, che conquistò Hong Kong, Singapore, le Filippine, la Malaysia; l’esercito nipponico iniziò inoltre ad essere una minaccia per l’Australia e per l’Impero Britannico stanziato in India. A questi fatti si aggiunse anche l’avanzata tedesca in Africa e in Russia; tutto ciò rese la creazione di un’arma definitiva e invincibile quanto mai appetibile.

Si assistette perciò ad una disorganizzazione all’interno del Piano Manhattan: in breve i 30 uomini inizialmente arruolati divennero 1500 tra scienziati, tecnici, dipendenti amministrativi e le loro famiglie. A rendere il tutto ancora più complicato fu il problema del reclutamento, che non fu affatto semplice per la segretezza su cui verteva l’intero progetto.

Solo gli scienziati, unici a conoscenza della vera finalità del progetto accettarono consenzientemente la partecipazione ed il trasferimento; più difficile fu convincere il personale non scientifico, che dovette accettare il trasferimento in un luogo sconosciuto per un motivo ignoto, abbandonando proprietà, impieghi e affetti.

La vita a Los Alamos era piuttosto dura, poiché la gran parte delle strade erano impraticabili, i rifornimenti d’acqua particolarmente scarsi e l’educazione dei figli fu per l’ungo tempo ritardata per la mancanza di scuole adeguate; a tutto ciò si aggiunse una recinzione di filo spinato che delineava il perimetro dell’area, era sorvegliato da guardie armate. La sorveglianza non permetteva a nessuno di avvicinarsi al centro, ma nemmeno i membri del neonato Los Alamos Scientific Laboratory potevano allontanarsi a più di cento miglia dal complesso cresciuto nelle sperdute lande del New Messico. L’estrema sicurezza che concerneva il proget62

to era stata posta per “proteggere” un’arma che, allora, era possibile solo in teoria.

Il progetto per la realizzazione della bomba atomica si dilungò per oltre due anni, il problema principale era la mancanza di materia prima per la sua costruzione.

I due materiali radioattivi selezionati per il progetto erano l’uranio 235 e plutonio 239, due elementi che all’epoca della fondazione del Los Alamos Scientific Laboratory non esistevano in quantità sufficienti per essere impiegati a fini bellici.

La quantità di materiale necessaria alla realizzazione dell’arma non era nota neppure alle grandi menti radunate sulla Mesa, l’unica cosa che sapevano era il fatto che la reazione a catena nucleare sarebbe stata possibile solo dopo il raggiungimento di una massa critica, della quale ignoravano però l’entità. Alle conclusioni sarebbero arrivati solo in seguito, la stessa potenza della bomba, generata a seguito della reazione a catena, era sconosciuta agli scienziati.

Nell’arco dei due anni si susseguirono esperimenti e scoperte che portarono ad ipotizzare due possibili soluzioni pratiche per la realizzazione della bomba. La prima prevedeva un ordigno a “cannone” in cui una quantità di materiale fissile veniva “sparata” contro un’altra quantità per raggiungere la massa critica e innescare la reazione a catena. Il secondo metodo, detto della “implosione”, , prevedeva una massa di materiale subcritica circondata da esplosivo convenzionale che una volta fatto esplodere avrebbe compresso il materiale fissile fino a raggiungere la massa critica vera e propria.

La prima era quella più semplice e veloce nella realizzazione, quindi reputata la più adatta per lo

scopo finale: vincere la Seconda Guerra Mondiale nel minor tempo possibile.

La scelta del metodo di produzione, rese obbligatorio l’utilizzo dell’uranio per la realizzazione della bomba.

Fu poi accertato che il plutonio prodotto a Oak Ridge e Hanford conteneva anche un notevole quantitativo dell’isotopo 240, che aveva un veloce e naturale rilascio di neutroni, che permetteva di innescare una reazione a catena anticipata e quindi non controllabile per fini bellici. Di conseguenza la scelta fatta non risultò così definitiva.

La produzione del primo chilogrammo di uranio arricchito fu raggiunta nel 1944, mentre l’anno seguente si ottennero i 50 chili; invece il plutonio recuperabile negli Stati Uniti era misurabile solo nell’ordine dei grammi.

Questi fattori misero subito in chiaro che l’ordigno, difficilmente, sarebbe stato testato prima del suo effettivo utilizzo. Il fallimento della bomba era quindi un’ ipotesi plausibile, fatto che avrebbe provocato la nascita di un nuovo fervore nell’esercito nipponico, i cui membri erano disposti a morire pur di salvare il proprio impero. Dunque, nel caso del mancato funzionamento della bomba atomica, le ostilità si sarebbero prolungate, ottenendo il risultato contrario a quello previsto.

Alcuni scienziati arrivarono a conclusioni estreme, ipotizzando che l’esplosione sarebbe potuto essere un rischio immane per l’umanità; la reazione a catena sarebbe stata tanto incontrollabile che avrebbe potuto portare all’incendio dell’atmosfera e alla distruzione del pianeta.

Enrico Fermi 63

JUBOKKO HIROSHIMA E NAGASAKI. Nel Luglio del 1945, tutte le teorie che fino a poco tempo prima parevano ancora lontane dalla loro applicazione pratica, diventarono realtà; un esperimento nucleare nel deserto del New Mexico confermò tutto ciò che molti temevano: era stata creata una delle più grandi arme di sterminio della storia umana: la bomba Atomica. La devastante deflagrazione fu paragonata

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a quella che sarebbe stata causata da ventimila tonnellate di tritolo ed i media locali, ignari delle cause dell’esplosione, annunciarono che ad Alamogordo un deposito di esplosivi era esploso. Il redattore William L. Laurence del New York Times era presente ed esaltò lo “spettacolo” descrivendolo con queste parole: “fu come il grande finale di una possente sinfonia degli elementi: affascinante e terrificante, entusiasmante e deprimente, minacciosa, devastatrice, piena di grandi

promesse e grandi minacce… in quel momento il tempo si fermò. Lo spazio si ridusse a una punta di spillo. Fu come se la terra si fosse aperta e il cielo si fosse squarciato. Sentiamo di essere stati prescelti per assistere alla nascita dell’Universo, per essere presenti al al momento della Creazione in cui il Signore disse: Sia fatta luce ”. Un fenomeno sublime causato dall’uomo.

In quel momento il presidente degli U.S.A Truman si trovava in Europa alla conferenza di Potsdam (ultimo

vertice delle potenze alleate), gli arrivò il messaggio di conferma della riuscita dell’esperimento in New Mexico. Si confidò con Churchill che descrisse il momento, lasciando scritto che nessuno al tavolo pareva avere dubbi, nessuno aveva proposto un’alternativa; non fu unanime invece la decisione del bersaglio, le opzioni erano differenti. L’utilizzo della bomba atomica pareva necessaria affinché il Giappone si arrendesse, mettendo fine alla Seconda Guerra Mondiale.

I governi degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina diramarono un comunicato congiunto, chiedendo la resa all’Impero giapponese; ma nel proclama non fu fatto cenno all’arma totale. L’ultimatum fu posto il 2 Agosto; le radio giapponesi si espressero immediatamente dichiarando che la proposta di Potsdam non era nemmeno stata presa in considerazione dal governo nipponico, rifiutando immediatamente l’ipotesi di resa.

Il 3 Agosto Truman prese la fatale decisione, la bomba atomica sarebbe stata sganciata su un centro abitato giapponese, senza specificare quale; vennero selezionati quattro bersagli (Kyoto, Hiroshima, Yokohama, o gli arsenali militari di Kokura), la decisione finale sarebbe ricaduta sul pilota.

La bomba aveva già assunto il nome “Little Boy”, essa consisteva in un cilindro di 80 centimetri di diametro , lungo tre metri e ventotto, del peso complessivo di quattrocentomila-quattrocento chilogrammi. La carica nucleare era di appena 63,2 kg di uranio 235, scomposta in quettro parti uguali separate scrupolosamente; poiché solo all’ultimo i quattro detonatori avrebbero provveduto a scagliarle l’una contro l’altra, alla velocità di 1500 metri al secondo, affinché formino la massa critica.

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JUBOKKO Il giorno della decisione di Truman, la bomba si trovava già nell’isola di Tinian (Arcipelago delle Marianne), dove era da tempo stanziato il 509° gruppo di super fortezze volanti B-29, che era stato addestrato, sotto il comando del colonnello Paul W. Tibbets, a compiere

una missione della quale gli equipaggi non conoscevano quasi niente. Sopratutto i puntatori, furono selezionati tra i migliori della United States Armi Air Force e si allenarono a colpire piccoli bersagli ad una quota di oltre 9000 metri, ad una velocità di volo inusuale, oltre i 500 chilometri orari.

Il 5 agosto l’equipaggio del B-29 Enola Gay del colonnello Tibbets , venne informato che sarebbe stato affidato il compito di sganciare la bomba su una città nipponica, che sarebbe stata scelta in mase alle condizioni meteorologiche del momento. Il 6 Agosto l’aereo di perlustrazione Streight Flush, pilotato dal maggiore Claude Eatherly, comunicò al radiotelegrafista del Enola Gay che le condizioni atmosferiche migliori erano quelle di Hiroshima, segnando il destino della città popolata da circa 350.000 anime.

L’allarme causato dall’avvistamento dello Streight Flush cessò e la giornata nella città iniziò tranquilla. Alle 8.15 la bomba esplose a circa 600 metri di altezza dal suolo, distruggendo tutto ciò che si trovasse nel giro di 3 chilometri. L’onda d’urto premette con la forza incredibile di settemila tonnellate per centimetro quadrato; pochi istanti per annientando migliaia di vite.

La sera stessa il presidente Truman annunciò una realtà ancora più terribile: gli Stati Uniti erano in possesso di una seconda Bomba Atomica, arma che si sperava che non venisse mai usata. Tale speranza venne spezzata il 9 Agosto, giorno in cui i cieli di Nagasaki, importante città industriale dall’economia

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fiorente, furono testimoni di ulteriori morti. Le vittime della forte onda d’urto e degli incendi che divamparono in città , non furono purtroppo le sole; negli anni che seguirono le radiazioni divorarono i corpi dei superstiti i quali morirono di tumore o diedero alla luce molti bambini nati con terribili malformazioni e disabilità .

Hiroshima: 90.000-166.000 vittime; Nagasaki: 60.000-80.000 vittime.

La resa del Giappone fu ratificata il 14 Agosto del 1945, la Seconda Guerra Mondiale era definitivamente conclusa, con un disastroso bilancio di vittime, sparse in tutto il pianeta.

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CONCLUSIONE

Attraverso questo progetto ho avuto l’opportunità di ampliare le mie conoscenze. Sono soddisfatta anche per il fatto che il mondo mistico del Giappone ora mi è più chiaro e addirittura più affascinante; questo interesse mi ha portato alla conclusione secondo la quale il mondo reale è uno riflesso del misticismo che è stato proprio di ogni civiltà.

Sicuramente continuerò a coltivare questa passione, sperando di avere la possibilità di viaggiare ed entrare in contatto con tante culture diverse, che possano diventare una parte di me.

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SITOGRAFIA: http://www.liceoboggiolera.it

http://www.letturefantastiche.com

http://www.musubi.it

http://www.liceoberchet.gov.it

http://cronologia.leonardo.it

http://www.studioghibliessential.it

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BIBLIOGRAFIA: “Battle Royale”

di Koushun Takami.

“Enciclopedia dei mostri giapponesi”

di Shigeru Mizuki.

“L’interpretazione dei sogni”

di Sigmund Freud.

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Un viaggio interdisciplinare attraverso il mondo mistico del paese del Sol Levante

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