"Il Rüstem Pasha Han" Tesi di Laurea Magistrale in Architettura UniFi

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Silvia Michelon

Il Rüstem Pasha Han Rilievo digitale e proposta di rifunzionalizzazione per un caravanserraglio di Mi'mar Sinan a Galata, Istanbul

Tesi di Laurea Magistrale in Architettura Relatore: Giorgio Verdiani Correlatrice: Milena Blagojevic Correlatore: Alessandro Camiz

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Silvia Michelon

Il Rüstem Pasha Han Rilievo digitale e proposta di rifunzionalizzazione per un caravanserraglio di Mi'mar Sinan a Galata, Istanbul

Tesi di Laurea Magistrale in Architettura Relatore: Giorgio Verdiani Correlatrice: Milena Blagojevic Correlatore: Alessandro Camiz

Indice 4

Abstract -

Italiano

p. 6

-

Inglese

p. 8

Capitolo I: Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul -

Introduzione

p. 13

-

Bisanzio

p. 14

-

Costantinopoli

p. 18

-

Istanbul

p. 20

-

Il recente passato

p. 24

Capitolo II: Sykae, Pera, Galata, Beyoğlu -

Le origini

p. 29

-

L’arrivo dei genovesi a Galata

p. 30

-

Una città nella città

p. 36

-

La dépendance europea di Istanbul

p. 38

-

La riorganizzazione urbana

p. 41

-

Beyoğlu oggi

p. 44

-

Il Persembe Pazari a Galata

p. 49

Capitolo III: Karvansaray, Han, Wakala, Fondaco -

Il caravanserraglio come tipologia architettonica

p. 57

-

Caravanserragli stradali

p. 62

-

Caravanserragli urbani

p. 64

5

Capitolo IV: Mi’mār Sinān, il divino maestro -

La vita

-

Il mecenatismo architettonico di

-

p. 70

Solimano il Magnifico

p. 76

Rüstem Pasha

p. 81

Capitolo V: il Rüstem Pasha Han -

San Michele in Galata

p. 85

-

Il Rüstem Pasha Han

p. 89

-

Raccolta di Fotografie

p. 96

Capitolo VI: il Rilievo -

Il workshop e gli obbiettivi

p. 121

-

Acquisizione dati e metodologia adottata

p. 123

-

Elaborazione dati

p. 129

-

Integrazione e restituzione

p. 132

-

La zira: il cubito di Sinan

p. 149

-

L’arco inflesso

p. 151

Capitolo VII: il Progetto -

Premessa: Istanbul e l’arte contemporanea

p. 155

-

Intenti

p. 158

-

Il progetto

p. 160

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Abstract Ci sono luoghi in cui la storia è inevitabile come un incidente automobilistico - luoghi in cui la geografa provoca la storia. Uno è Istanbul, alias Costantinopoli, alias Bisanzio, ha scritto Iosif Brodskji nel suo Fuga da Bisanzio.

Oggi come ieri, Istanbul stupisce e cattura il viaggiatore con quelle caratteristiche che forse è impossibile ritrovare in altra città al mondo: la sua essenza millenaria di istmo tra Oriente ed Occidente, tra antico e moderno, il trasbordo continuo, reale e metaforico, dell’uno nell’altro. L’Istanbul odierna è una megalopoli con più di venti milioni di abitanti, snodo commerciale e destinazione turistica tra le più importanti al mondo. Il processo di gentrificazione in atto è in grado di cambiare l’aspetto di un quartiere in pochi mesi, rispondendo alle esigenze di un pubblico sempre più eterogeneo e sofisticato, che spesso stridono con la vocazione ancora fortemente tradizionale di una buona parte della popolazione. Su tutti, il quartiere di Karaköy presenta oggi un fitto alternarsi di locali à la mode, boutique e gallerie d’arte, ed è soggetto a continue opere di riqualificazione. Eppure qui, proprio sulla punta della penisola dove il Corno d’Oro incontra il Bosforo, ai piedi della collina di Galata, sorge un edifcio che come pochi altri riesce a riflettere ogni sfaccettatura della città che lo ospita: sulle rovine della chiesa cattolica di San Michele, che i genovesi avevano fondato come cattedrale e centro amministrativo della loro colonia bizantina, nel 1554 Rüstem Pasha, gran visir e cognato di Solimano il Magnifico, incaricò l’architetto imperiale Sinān di costruire un caravanserraglio, un edifcio che potesse accogliere i mercanti in transito sulla via della Seta e alloggiare le merci in arrivo e in partenza. Oggi, il Rüstem Pasha Han, o Kurşunlu Han, come viene chiamato dalla gente del quartiere, è parte integrante del bazar che ha luogo da sempre in quest’area, e che ancora

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costudisce in sé lo spirito della vecchia Istanbul. Il caravanserraglio non ospita più viandanti ma alcune botteghe di fabbri, artigiani e commercianti di oggetti di ferramenta e per la navigazione. Nonostante l’uso intenso e la scarsa consapevolezza del suo valore da parte della maggior parte dei suoi utenti, il Rüstem Pasha Han resta un importante ed interessante tassello dell’intricata storia di Galata.

Il rilievo di questo spazio è stato reso possibile dal workshop “Urban Façade, Istanbul Waterfront”, frutto della collaborazione tra l’Università degli Studi di Firenze e la Ozyegin University di Istanbul, che si è svolto a marzo 2019, e durante il quale sono state rilevate alcune aree specifche del waterfront di Galata.

Il lavoro presentato in questa tesi è il risultato delle procedure di integrazione dei vari dati laser e fotogrammetrici raccolti durante il rilievo del caravanserraglio, rivelatosi particolarmente complesso a causa delle difficoltà di accesso ad alcune zone della proprietà, e della volontà di proporre un progetto di rifunzionalizzazione e rivalorizzazione per questo luogo.

L’approccio progettuale deriva dall’osservazione diretta delle dinamiche che si intrecciano all’interno e al di fuori del caravanserraglio, e vuole porsi con più rispetto e coerenza possibili nei confronti della sua essenza storica ed architettonica e di coloro che oggi lo vivono, ma in linea con le correnti contemporanee che percorrono ed arricchiscono oggi la città di Istanbul: mantenere intatta la funzione attuale al piano terra, con le sue botteghe correlate al bazar circostante, e ritrovare la funzione antica di luogo di ospitalità e passaggio al primo piano, trasformandolo in una residenza per giovani artisti, andando così a conciliare in questo luogo, come da sempre accade, identità eterogenee ma essenziali l’una all’altra.

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Abstract There are places where history is as inevitable as a car accident places where geography causes history. One is Istanbul, alias Constantinople, alias Byzantium, wrote Iosif Brodskji in his Escape from Byzantium.

Today as yesterday, Istanbul amazes and captures the traveler with those characteristics that perhaps are impossible to find in any other city in the world: its millenary essence of isthmus between East and West, ancient and modern, the continuous transshipment, real and metaphorical, of one into the other.

Contemporary Istanbul is a more than twenty million inhabitants megalopolis, a global commercial hub and one of the most important tourist destinations in the world. The ongoing gentrification process can change the appearance of a neighborhood in a few months, responding to the needs of an increasingly heterogeneous and sophisticated audience, often clashing with the still strong traditional inclination of a large part of the population. Namely, the district of Karaköy today presents a dense alternation of à la mode clubs, boutiques and art galleries, and is being subjected to continuous requalification measures. And yet, right here, on the tip of the peninsula where the Golden Horn meets the Bosphorus, at the foot of Galatahill, stands a building that, like few others, manages to reflect every facet of Istanbul: Rüstem Pasha, grand vizier and brother-in-law of Suleiman the Magnificent, commissioned the imperial architect Sinān to build a caravanserai, a building that could accommodate merchants in transit on the Silk Road and house incoming and outgoing goods. The caravanserai was erected on the ruins of the Catholic church of San Michele, which the Genoese had founded as the cathedral and administrative centre of their Byzantine colony. Today, the Rüstem Pasha Han, or Kurşunlu Han, as it is called by the people in the

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neighborhood, is an integral part of the bazaar which has always taken place in this area, and that still embodies the old Istanbul spirit. The caravanserai no longer accommodates wayfarers but the shops of some blacksmiths, craftsmen and hardware and navigation sellers. Despite the intense use and the lack of awareness of its value by most of its users, the Rüstem Pasha Han is still an important and interesting piece of the intricate history of Galata.

The survey of the caravanserai was made possible by the workshop “Urban Façade, Istanbul Waterfront”, the result of the collaboration between the University of Florence and the Ozyegin University of Istanbul, which took place in March 2019, and during which specific areas of the Galata waterfront were surveyed. The work presented in this thesis is the result of the integration procedures of various laser and photogrammetric data collected during the survey of the caravanserai (made difficult by problems in accessing some areas of the property), and the will to propose a project to re-purpose re-evaluate this place. The project approach derives from the direct observation of the dynamics that intertwine inside and outside the caravanserai, with as much respect and consistency as possible for its historical and architectural essence and to those who today live it, but in line with the contemporary currents that run through the city of Istanbul today: keeping intact the current function on the ground floor, with its shops related to the surrounding bazaar, the ancient function as a place of hospitality is rediscovered on the first floor, transformed in an artist residency. Thus, the heterogeneous (but essential to one another) identities that coexist in this place are once again reconciled.

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Dünyaya geldiğim anda, Yürüdüm aynı zamanda, İki kapılı bir handa Gidiyorum gündüz gece Dal momento in cui sono venuto al mondo, ho iniziato a camminare, in un caravanserraglio con due porte giorno e notte continuo a camminare

ÂŞIK VEYSEL Uzun İnce Bir Yoldayım, 1945

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Capitolo I

Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul

Capitolo I

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Introduzione

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Siamo venuti per mare, classicamente, per vedere lo snodarsi delle cose. […] Siamo entrati nel Corno d’Oro, tra Pera dominata dalla Torre dei Genovesi e Stambul trafitta di minareti, ciascuna sulla sua collina, faccia a faccia, ed ero violentemente commosso perchè ero venuto per adorare queste cose che sapevo così belle.

Le Corbusier, Le Voyage D’Orient, 1966

Giungere a Istanbul significa riempirsi l’anima di luce e gli occhi di colore, scriveva Ada Supino nel suo diario durante il suo viaggio in Oriente nel 19591.

Bisanzio, Costantinopoli, Nea Roma, Mikligardu, Islambol, Dersadeet, Carigrad, Istanbul: città dai mille nomi e dagli altrettanti volti; capitale di quattro diversi imperi; metropoli cosmopolita per eccellenza; ponte tra Asia ed Europa; microcosmo in cui la sapienza filosofica ellenica riuscì a saldarsi con la tradizione giuridica ed amministrativa romana; superpotenza politica, economica e militare del Mediterraneo per più di undici secoli ininterrotti; luogo da sempre mitico e fascinoso per l’Occidente.

E’ così che nasce nei secoli il mito di Costantinopoli: grazie agli occhi di coloro che l’avevano raggiunta, i viaggiatori, gli scrittori e gli architetti che l’hanno amata, raccontata e disegnata, attirati dal suo esotismo, dalla bellezza euroasiatica, dalla sua singolarità storica e geografica.

E’ una città che si è costruita e ricostruita su se stessa, e che vive, come ha sempre vissuto, non per sostituzione ma per aggiunta2.

< Disegno di Le Corbusier da Le Voyage d’Orient: la penisola storica che guarda Galata

Istmo tra civiltà, a cavallo del Bosforo, presidio e ponte tra due continenti che qui, ancora oggi, dimostrano la loro inscindibilità, il loro continuo compenetrarsi, e come da questo derivi la loro e la nostra unica civiltà e storia.

Capitolo I

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Oggi Istanbul è una città globale da più di venti milioni di abitanti, dove attualmente solo il 5% dei 5342 km2 della sua estensione ha radici storiche. Uno degli snodi commerciali più importanti del globo, con un movimento di merci di circa cinque milioni di tonnellate annuo, è la sesta destinazione turistica del mondo3.

E’ il motore della Turchia, e sta trainando il paese verso il podio delle nuove superpotenze economiche insieme a Brasile, India, Russia e Cina. Come ogni grande metropoli in crescita, si trova oggi a dover affrontare tutti i gravi problemi portati dall’espansione urbana incontrollata e una conseguente inadeguatezza delle infrastrutture, il tutto complicato da una situazione politica instabile e da un atteggiamento governativo spesso poco lungimirante4.

1. Bisanzio Secondo la leggenda, il greco Byzas, re di Megara, si recò un giorno dall’Oracolo di Delfi, il quale gli predisse che avrebbe fondato una città in un territorio così splendido e rigoglioso da ‘accecare’ i marinai per la sua bellezza: “davanti ai ciechi fonderai la tua città”.

La storia, invece, ci racconta una versione meno poetica ma altrettanto interessante: intorno al 667 a.C. i Megaresi fondarono una colonia, chiamata Calcedonia (oggi Kadiköy), che venne soprannominata “la città del cieco” proprio perchè soltanto un cieco avrebbe potuto preferirne la posizione quando era disponibile quella ben più strategica di Bisanzio, che venne fondata successivamente, nel 659 a.C.; evidentemente i greci fondatori di Calcedonia non notarono il punto di ancoraggio riparato offerto dal Corno d’Oro e non si resero conto di quanto il sito potesse essere facilmente difendibile.

“

Ci sono luoghi in cui la storia è inevitabile come un incidente automobilistico - luoghi in cui la geografia provoca la storia.

Iosif Brodskij, Fuga da Bisanzio,1987

Capitolo I

La sua incredibile posizione portò Bisanzio a prosperare rapidamente, grazie soprattutto alle entrate derivanti dalle tasse portuali e dai pedaggi pagati dalle navi in transito nel Bosforo, che allora come oggi era un’importante via di comunicazione. La città divenne sede di un fiorente mercato, con un’economia fondata sugli scambi commerciali e sulla pesca nelle ricche acque dello stretto5.

Nel 512 a.C. l’imperatore persiano Dario conquistò la città nel corso della campagna militare condotta contro gli Sciti.

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I. Jean-Léon Huens, La città di Costantinopoli e le sue mura, 1950 circa >

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Nel 478 a.C., quando i persiani si ritirarono, Bisanzio cadde sotto l’influenza e la protezione di Atene si unì alla lega delio-attica.

Quella con Atene fu un’alleanza turbolenta, che vide la città ribellarsi invano in più occasioni, fino a riuscire ad ottenere l’indipendenza nel 355 a.C..

Alla fine dell’età ellenistica Bisanzio aveva già stretto un’alleanza con l’Impero Romano, mantenendo però il suo status di città libera, privilegio che conservò anche dopo essere stata ufficialmente annessa all’impero romano da Vespasiano nel 79 a.C.. Dopo la morte dell’imperatore Pertinace nel 193 a.C., la città si schierò dalla parte sbagliata nella guerra di successione tra Settimio Severo e Pescennio Nigro: il primo, uscito vittorioso, assediò Costantinopoli per tre anni, radendola al suolo e massacrandone gli abitanti.

L’antica Bisanzio aveva cessato di esistere.

Consapevole però della sua importanza strategica, l’imperatore diede presto inizio ai lavori di ricostruzione. Fece erigere una cinta muraria che abbracciava una superficie pari al doppio di quella della città precedente. Settimio fece costruire anche l’Ippodromo e una via colonnata. Egli rinominò Augusta Antonina la nuova città, che dopo di lui fu governata da una serie di imperatori, tra cui il grande Diocleziano6.

Capitolo I

II. Bertrandon de la Broquiere, Assedio di Costantinopoli, 1453 >

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Capitolo I

2. Costantinopoli

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I due popoli più forti e più intelligenti della terra, l’uno che la dominava a quel tempo, l’altro che l’aveva dominata subito prima, dotati entrambi di capacità tecnica e volontà di eccellere e sensibilità estetica, e cioè i Romani e i Greci, si misero in società e fecero questa città […] per governare in modo strutturalmente buono, da lei, tutta l’ecumene Manuele Crisolora, Roma parte del cielo - Confronto fra l’antica e la nuova Roma, 1411

^ III. Mosaico raffigurante Costantino, Basilica di Santa Sofia, Istanbul, 565 circa.

Diocleziano abdicò nel 305 e nominò suoi successori al trono Galerio ad Oriente (con capitale Augusta Antonina) e Costanzo Cloro ad Occidente (con capitale Roma). La guerra civile scoppiata alcuni anni dopo tra Licino, successore di Galerio, e Costantino, figlio di Costanza Cloro, si concluse nel 324 con la vittoria di quest’ultimo nella battaglia di Crisopoli.

Costantino divenne così unico capo supremo dell’impero, nonché il primo imperatore cristiano della storia. La sua prima importante decisione fu quella di trasferire la capitale dell’impero da Roma alle rive del Bosforo, dove aveva conseguito la sua grande vittoria. Attorno a Bisanzio l’imperatore fece innalzare una nuova e più ampia cerchia di mura, al cui interno sorse una grandiosa città. L’undici maggio venne rifondata Nea Roma, la Nuova Roma. Il nome venne presto sostituto con quello di Kostantinoupoulis, Costantinopoli. Lo splendore della nuova capitale doveva essere all’altezza di quella vecchia, vennero quindi eretti un enorme palazzo imperiale, un Foro, un ippodromo (il quale fu testimone nel corso dei secoli di sommosse e assemblee popolari), e un numero impressionante di palazzi e chiese.

Costantino morì sette anni dopo la fondazione della sua nuova capitale: a lui successero vari imperatori, sotto i quali la città continuò ad espandersi: Teodosio II fece erigere una nuova cinta muraria ancora più vasta e possente per difendersi dagli Unni di Attila, la quale al termine dei lavori cingeva tutte le sette colline della città. Teodosio morì nel 450: tra tutti gli imperatori che gli succedettero, Giustiniano è il più famoso. Insieme alla consorte Teodora, abbellì ulteriormente la città commissionando la costruzione di magnifici edifici e monumenti, tra cui la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco, Hagia Irene e Hagia Sophia7.

Capitolo I

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Durante il Medioevo, Costantinopoli fu la più grande e ricca città d’Europa: si pensa che nel X secolo potesse avere fino a un milione di abitanti. La maggior basilica costantiniana, Hagia Sophia (‘Divina Sapienza’), monumento di estrema rilevanza architettonica dedicato al Logos, da sempre centro religioso della città, divenne il centro della cristianità greco-ortodossa.

Nonostante le aspre lotte interne per il potere e la scarsa autorità individuale dell’imperatore, l’oligarchia bizantina mantenne una stabile struttura politica durante i quasi mille anni dell’impero.

Ma dopo la caduta dell’imperatore Romano VI Diogene nel 1071 la città si trovò stretta in una morsa: ad est i Turchi che andavano consolidando il loro dominio in Anatolia, a ovest Venezia, eterna rivale della capitale bizantina in campo navale e commerciale, che acquistava sempre più potere. In concomitanza a ciò, la città iniziò ad essere minacciata dall’arrivo dei Crociati. Nel 1204, i soldati della quarta Crociata, guidati dal doge veneziano Enrico Dandolo, attaccarono e saccheggiarono la città, di

IV. Hartmann Schedel, Vista di Costantinopoli, 1493 >

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Capitolo I

cui mantennero il controllo fino al 1261, anno in cui Michele VIII Paleologo, aristocratico bizantino in esilio, riconquistò Costantinopoli e restaurò l’impero bizantino.8

3. Istanbul Vent’anni dopo la riconquista di Costantinopoli da parte di Michele VIII, nel villaggio di Söğüt, vicino a Nicea, un condottiero turco di nome Ertuğrul moriva lasciando un piccolo territorio in eredità al figlio Osman, chiamato Gazi (‘guerriero della fede’).

I seguaci di Osman sarebbero stati conosciuti con il nome di Osmanli nell’impero e di Ottomani in Occidente. I figli e i nipoti di Osman riuscirono a conquistare in poco più di un secolo Bursa, Nicea, Adrianopoli e Tessalonica, fino a quando Mehmet II, detto Il Conquistatore, riuscì a impadronirsi anche di Bisanzio. Innanzitutto assumendo il controllo del Corno d’Oro grazie ad un attacco a sorpresa della potente flotta ottomana, e in seguito facendo breccia nelle possenti mura teodosiane tramite un cannone ideato appositamente da un ingegnere ungherese: il 29 maggio 1453 gli ottomani avevano il pieno potere della città. L’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI Paleologo, morì combattendo sulle mura.

Mehmet, allora ventunenne, si considerava per diritto di conquista legittimo erede degli imperatori di Bisanzio e decise di avviare subito una serie di lavori volti a ricostruire e ripopolare la città: Aya Sofia fu trasformata in moschea; sulla quarta collina sorse un’altra moschea, Fatih Camii; venne edificato un nuovo palazzo e una fortezza, e le mura vennero rinforzate. Il nome della città divenne Istanbul (probabilmente derivante dal greco eis ten polin, ‘nella città’), o Dersaadet (‘Città della Felicità’).

La città divenne il centro amministrativo, commerciale e culturale di un impero ottomano in inarrestabile espansione.

“

In questa città singolare ho visto palazzi di un’eleganza ammirevole, fontane incantate, strade lerce e strette, orribili catapecchie e alberi superbi. Ovunque i Turchi mi guidavano, gli Ebrei mi si prosternavano davanti, i Greci mi sorridevano e gli Armeni volevano truffarmi. Ovunque i cani mi inseguivano e le tortore mi si posavano fiduciose sulle spalle. Dappertutto, infine, la gente danzava e moriva intorno a noi.

Marie le Compte de ChoiseulGouffirer, Voyage pittoresque dans l’Empire Ottoman, 1784

Capitolo I

Mehmet incoraggiò i greci che erano fuggiti dalla città a tornare ed emanò un decreto imperiale con il quale promuoveva il reinsediamento della popolazione: musulmani, ebrei, cristiani, tutti accettarono la sua offerta, in cambio della promessa di poter praticare liberamente il proprio culto. I genovesi, che avevano combattuto al fianco dei bizantini, furono perdonati ed autorizzati a rimanere a Galata, ma la fortificazioni che attorniavano la loro comunità furono abbattute, eccetto la torre di Galata.9

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^ V. Pieter Coecke van Alst, Processione di Solimano il Magnifico, 1553

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Capitolo I

L’attività edile promossa da Mehmet venne proseguita dai suoi successori, in particolare da Solimano, detto Il Magnifico, che commissionò numerosi splendidi edifici all’architetto Mimar Sinan, tra cui, nel 1550, la moschea più maestosa della città, la Süleymaniye Camii.

Tuttavia, quella che al tempo di Solimano era stata la città culturalmente più avanzata del mondo, alla fine decadde insieme all’impero ottomano, tanto che nel XIX secolo aveva ormai perduto gran parte del suo passato splendore. Ciò nonostante, İstanbul continuò ad essere considerata la ‘Parigi d’Oriente’ e, proprio per essere all’altezza di questa fama nel 1883 fu collegata alla capitale francese dal primo grande treno di lusso internazionale, l’Orient Express.

^ VI. Ritratto di Kamal Atatürk, 1930 circa

Nel 1922, l’ultimo sultano Maometto VI venne deposto e nacque il primo Partito Popolare Repubblicano con a capo Mustafa Kemal Ataturk.

Ataturk, tutt’oggi considerato il padre della Turchia moderna ed eroe nazionale, diede vita a una serie di riforme fondamentali dell’ordinamento della nazione, sulla base di un’ideologia di chiaro stampo occidentalista, nazionalista e avversa al clero musulmano. Abolì il califfato e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, la domenica come giorno festivo, proibì l’uso del velo islamico alle donne nei locali pubblici (legge abolita solo negli anni 2000, dal governo dell’AKP), adottò l’alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l’uso del fez e del turbante, troppo legati al passato regime, così come la barba per i funzionari pubblici e i baffi alla turca per i militari. Egli stesso prese a vestire in abiti occidentali, mantenendo però l’Islam come religione di Stato. Questa campagna per il riscatto e

^ VII. Monumento alla Repubblica turca in piazza Taksim, 1928.

Capitolo I

l’indipendenza nazionale venne tuttavia diretta da Ankara, e dopo la fondazione della repubblica fu quella città ad essere scelta come fede del nuovo governo. Priva del suo status di capitale di un grande impero, İstanbul perse gran parte del suo prestigio e della sua ricchezza. Le sue famose vie pullulanti di vita e i quartieri caddero in declino, le infrastrutture non vennero più potenziate né sottoposte a manutenzione e praticamente cessò qualsiasi forma di sviluppo economico10 .

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VIII. Jean-Baptiste Hilair, Veduta di Istanbul, 1789 >

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Capitolo I

4. Il recente passato Sotto la presidenza dell’economista Turgut Ozal, la liberalizzazione del mercato negli anni ’80 favorì un boom economico e turistico che interessò tutto il paese e la sua città principale.

Durante il suo governo si assistette anche ad una brusca accelerazione del processo di urbanizzazione, con migliaia di contadini che migrarono in massa dall’Anatolia orientale ad Istanbul in cerca di lavoro nel fiorente settore industriale. Le infrastrutture urbane non poterono che risentirne ed ancora oggi, nonostante le opere pubbliche su larga scala eseguite negli ultimi trent’anni, faticano ad assorbire questi flussi migratori.11 Le elezioni amministrative del marzo 1994 furono una inaspet-

“

A Istanbul, a differenza di quanto succede nelle città occidentali con le vestigia dei grandi imperi del passato, i monumenti storici non sono reliquie protette ed esposte come in un museo, opere di cui ci si vanta con orgoglio.

Qui le rovine convivono con la città. Ed è questo ad affascinare viaggiatori e scrittori di viaggi.

Orhan Pamuk, Istanbul, 2003

Capitolo I

tata quanto amara sorpresa per la classe dirigente, a causa della vittoria di una formazione di destra di ispirazione religiosa quale il Refah Partisi (‘Partito del Benessere’), guidato ad Istanbul da Recep Tayyip Erdoğan, un candidato islamista che aveva promesso un rimodernizzamento delle infrastrutture e di riportare la città all’antico splendore. Diventato sindaco della città nel 1994, il suo mandato venne interrotto nel 1998, anno in cui il Refah venne accusato di infrangere il divieto costituzionale che impone la separazione tra religione e politica e viene deposto dalle forze laiche del governo del paese. Il governo di sinistra che salì al governo subito dopo non fu tuttavia in grado di gestire la grave crisi economica che il paese stava attraversando, permettendo così ad Erdoğan di tornare al potere con un nuovo partito, il AKP (Partito islamico moderato Giustizia e Sviluppo).

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< IX. Ara Guler , Ponte di Galata, 1959.

X. Ara Guler, Sobborghi di Istanbul, 1957 >

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Capitolo I

Recep Tayyip Erdoğan è tutt’oggi presidente della Turchia. Il suo governo ha ultimato, proposto o sta portando avanti una serie di grandi opere (Tunnel ferroviario sotto il Bosforo, terzo ponte sul Bosforo, terzo aeroporto, diverse linee di metropolitana, canale navigabile per decongestionare il Bosforo) le quali, se da una parte costituiscono un potente stimolo per l’economia, dall’altra stanno alterando irreparabilmente l’immagine della città, sfregiata al tempo stesso da una speculazione edilizia ormai senza freni.12 Conseguenza di ciò sono stati fra l’altro i violenti scontri avvenuti nel giugno 2013 a piazza Taksim e a Beşiktaş tra studenti, intellettuali, e cittadini da una parte e la polizia dall’altra in difesa del parco di Gezi (e dei suoi 600 alberi) che il governo cittadino voleva distruggere per costruirvi un centro commerciale e una moschea. Quella che doveva essere una semplice protesta ha provocato manifestazioni in tutta la Turchia, approfittando del malcontento generale causato da varie misure attuate dal governo di Ankara13. < XI. Fotografia della Moschea di Solimano dal ponte di Galata, 2019

Capitolo I

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Bibliografia

Crediti alle immagini

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I. https://www.art.com II. https://www.bnf.fr III. https://www.archeocafe.wordpress.com IV. https://www.sanderusmaps.com V. https://www.metmuseum.org VI e VII. https://www.tedkuzeykibris.tr VIII. https://www.artcurial.com IX e X. https://www.magnumphotos.com XI. Foto dell’autrice

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Capitolo II

Sykae, Pera, Galata, Beyoğlu

Capitolo II

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1. Le origini

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I levantini si stringono alla loro formidabile torre, a Pera, nella città compressa, dal ritmo newyorkese quanto torrenziale, e spìano il Turco assopito nel suo instancabile torpore. […] Le strade salgono come delle pazze e fanno ansimare questa gente che già ansima per la sete di guadagno. E c’è una tale unità e un tale accordo, c’è una tale emulazione in questa corsa febbrile, che quest’unità genera bellezza; e Pera, terribile, arida, secca e senza cuore, spietata pietraia anonima come una Messina crollata, Pera è bella e grandiosa attorno alla sua grossa torre rotonda, che è come una torre da guerra e bellicosa vedetta arrogante come un condottiero.

Le Corbusier, Le Voyage D’Orient, 1966

< Disegno di Le Corbusier da Le Voyage D’Orient: la Torre di Galata

In origine, sulla sponda settentrionale del Corno d’Oro, proprio di fronte alla Punta del Serraglio, esisteva un piccolo insediamento chiamato Sykae (‘fichi’), perchè circondato, appunto, da alberi di questa specie. Le caratteristiche archeologiche e storiche di questa zona della città sono molto differenti dal resto della metropoli; sicuramente fu uno degli insediamenti più antichi dell’area e lo attestano i ritrovamenti archeologici risalenti già al 4000 a.C. Intorno al 425 d.C. era diventato il tredicesimo quartiere di Costantinopoli, e più tardi Giustiniano giunse ad elevarlo al rango di città, con il nome appunto di Giustinianopoli, che tuttavia ebbe vita breve, poiché a quanto pare durante il VII secolo nell’area era rimasto solo un fortino, detto “di Galata” per ragioni non chiare: secondo un’antica ma dubbia etimologia questa denominazione derivava da gala (‘latte’), in riferimento agli ovili presenti nel circondario, oppure ai terreni di un uomo proveniente dalla Galazia; è stato proposto anche l’accostamento all’arabo qalat (‘castello’).

Nell’XI secolo la zona, che per estensione aveva preso tutta il nome il Galata, divenne sede di una fiorente comunità giudaica, che tuttavia fu dispersa dai crociati nel 1203 e si trasferì sulla sponda opposta del Corno d’Oro. Il 1204 fu un anno importante per questi luoghi: oltre a segnare l’avvenimento della Quarta Crociata, segnò l’inizio dell’Impero Latino a Costantinopoli. Il possesso del castello da parte del cavaliere francese Milon de Galathas segnò definitivamente

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il passaggio di sovranità e consacrò Sykae come fulcro delle colonie straniere per l’ottima posizione del suo porto naturale.

Il Kastellion, come veniva chiamato, fu quindi un elemento significativo per i Franchi, nonché un punto strategico per tutta Bisanzio: l’Impero Latino sorse con la conquista del medesimo e decadde con la perdita dello stesso. Infatti Michele VIII Paleologo, usurpando il trono di Nicea tre anni prima e dando inizio all’ultima dinastia imperiale, segna la fine del potere latino assediando il castello e nominandosi signore di Costantinopoli nel 126.1 In questo anno viene stipulato il trattato di Ninfeo: un accordo secondo il quale i genovesi avevano piena facoltà di commerciare liberamente e la possibilità di avere un proprio consolato, una corporazione, un palazzo, chiese, bagni, case e negozi. Tutti i latini vennero invitati a trasferirsi al di là del Corno d’Oro, ma la popolazione genovese aspettò ancora tre anni prima di spostarsi dal Fondaco di Coparion, concesso loro in precedenza. In breve tempo, tuttavia, vennero espulsi dalla capitale a causa della loro condotta non corretta, basata sulla corruzione e sui saccheggi, e dal sospetto dell’Imperatore che tramassero ai suoi danni con Manfredi di Sicilia.

2. L'arrivo dei genovesi a Galata Quando nel 1267 i Genovesi presero possesso della zona questo spazio era pressoché privo di strutture. Il Basileo aveva infatti demolito la costruzione a fortificazione preesistente per non lasciare nulla che potesse rafforzare quei luoghi così vicini a Costantinopoli, tanto da farne parte, ma al contempo indipendenti ed in mano a stranieri. Ad eccezione del Kastellion, non vi erano che ruderi e frutteti. La colonia procedette con l’occupazione e l’urbanizzazione dell’area pressoché pianeggiante, a ponente rispetto il castello,

^ I. Cristoforo Buondelmonti, Mappa di Costantinopoli, 1422

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vicino alla costa, dove sorgevano i resti dei monumenti antichi di Sykae. Fu così che insieme a Caffa, già sotto il controllo dei liguri sicuramente dal 1278 , e successivamente Chio dal 1304, questo luogo divenne un punto chiave di snodo per tutte le rotte commerciali, in possesso dei Genovesi. Ciò fece di questo popolo i principali approvvigionatori di Costantinopoli e del Mar Nero per tutto il XIV secolo.

I Bizantini conservarono l’appellativo Galata che designava il territorio situato in origine a est di Sykae, mentre i Genovesi preferirono Pera, dal greco “di fronte, al di là”, usato genericamente per individuare le colline sulla sponda opposta a Costantinopoli.

Per gli Ottomani, successivamente, prevalse nuovamente la denominazione di Galata. Questi luoghi, ora dei Genovesi, erano stati fino a qualche decennio prima sotto la sovranità di Venezia, rivale dei Liguri. Fu così che i Veneziani, infastiditi dall’essere stati estromessi dai loro possedimenti, nel 1296 sotto la guida del capitano veneziano Malabranca, attaccarono il borgo senza difese e lo incendiarono. Dopo questo avvenimento, i Genovesi chiesero all’Imperatore di potersi munire di protezioni solide, ma la loro richiesta venne respinta.2 < I. Pera disegnata da Buondelmonti, con le mura e le torri genovesi

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Ciò nonostante, non appena ripresero possesso dell’antica Sykae, tra la porta di Sant’Antonio e quella di Santa Chiara, ai piedi del pendio, i Genovesi eressero delle case chiuse esternamente da alti paramenti attorno alla piazza centrale, facendo così delle loro abitazioni tante piccole fortificazioni da cui poter combattere e proteggersi; costruirono inoltre un fondaco che includeva magazzini e botteghe, un forno, una chiesa, un bagno, una macelleria ed un mercato del pesce. Poco a poco continuarono ad ampliarsi, annettendo all’abitato luoghi come la basilica bizantina di Hagia Eirene.

Nel 1303 i confini dell’area di 7 ettari in concessione ai liguri vennero definiti chiaramente tramite un decreto bizantino.

L’anno successivo la colonia firmò un accordo che li impegnava a non costruire mura intorno all’abitato. Il trattato con Andronico II permetteva la protezione dell’insediamento genovese per mezzo di ampi fossati e case di confine a muraglia, purché non prendessero forma di castello o fortificazione.3 < II. Autore sconosciuto, Palazzo del podestà genovese a Galata, inizi ‘800

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Galata divenne la zona della città abitata da “franchi” di diversa provenienza, la maggior parte Liguri, indipendente da Costantinopoli e governata da un Podestà nominato annualmente dalla madrepatria. Nel 1304 si dotò di un corpo di leggi emanato direttamente da Genova sotto il nome di Statuti di Pera, simile alle norme vigenti nel paese di origine e comprendente 277 articoli divisi in sei capitoli corrispondenti ai sei differenti libri che lo compongono.

^ III. Roger Crowley, Mappa di Costantinopoli, 1453

Le mura, nonostante il divieto, vennero erette con astuzia: come detto i Genovesi ricevettero il permesso di scavare un fossato; successivamente l’altezza delle case divenne libera.

Dopo il secondo permesso imperiale costruirono edifici alti e robusti a intervalli regolari, come delle torri, che in breve tempo collegarono con altrettanti edifici regolari uno adiacente all’altro, creando una muraglia. In breve tempo sfruttarono la crisi bizantina trasformando queste ultime case in vere e proprie mura di cinta (questo grazie anche all’incendio sviluppatosi nel 1312 che comportò la ricostruzione dell’abitato, permettendogli di elevare opere in pietra senza crear sospetti).

Con il 1335 si ha la prima estensione dell’insediamento verso l’altura retrostante e la conclusione delle prime vere mura di fortificazione: ciò testimonia come l’area di pertinenza della colonia si fosse estesa in settant’anni fino all’attuale zona di Bankalar Caddesi.4 Il passo successivo si ebbe nel 1348 quando i coloni iniziarono (e terminarono lo stesso anno) la costruzione della Christea Turris (‘Torre del Cristo’ - come venne chiamata inizialmente la Torre di Galata), una torre di avvistamento e un monumento in onore dei genovesi caduti in combattimento. Alla realizzazione della torre, così come per il resto della fortificazione, collaborò tutta la popolazione di Pera.4

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La torre, integrata nella cortina di mura di cui oggi restano solo alcuni tratti avvistabili oggi camminando nelle stradine circostanti, avrebbe acceso la fantasia dei viaggiatori di età romantica, da Hobhouse a Gautier al sopracitato De Amicis, ed ancora oggi è elemento calamitante e connotante della cittadella genovese, come subito colto da Le Corbusier. < IV. Hans Litz, Grande Rue de Pera, 1876

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< V. Eugéne Flandin, Rue de Galata, 1853

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3. Una città nella città Il quartiere iniziò ben presto ad attirare commercianti di varie provenienze, fino a trovarsi composta da diverse etnie (Genovesi, Greci, Armeni, Ebrei) e da cinque differenti quartieri divisi da cinta interne. Un sistema difensivo concentrico che permetteva di avere due torri principali che contribuivano una alla difesa da terra, l’altra alla protezione da mare; un cuore più protetto, assimilabile ad una cittadella, con all’interno la sede del potere politico-amministrativo. Fu così che la piccola colonia commerciale divenne una vera città “nella” città, di fronte a Costantinopoli. Dopo la caduta della città sotto gli Ottomani, la colonia rimase zona franca, restando imparziale nelle vicende della conquista. Il Sultano ordinò l’abbattimento di qualche angolo del muro di cinta e della sommità della Torre del Cristo. Secondo il Podestà Lomellino, le mura parzialmente demolite erano parti di quelle interne; inoltre, fece abbattere la Torre di Santa Croce, i borghi extra moenia e fece riempire parte dei fossati della fortificazione. Galata divenne a tutti gli effetti un sobborgo della Stambul ottomana e le ultime tracce di libertà scomparirono nel XVII secolo, dopo che la Magnifica Comunità di Pera venne resa inutile dell’aumentare dell’autorità papale. Il destino della Torre di Cristo fu quello di venire abbattuta di 10 archetti (650 cm); la croce genovese che la sovrastava venne sostituita dalla bandiera ottomana.5 Galata risultava essere centro urbano modellato sul tardo medioevo europeo, analogalmente gli insediamenti liguri costieri e soprattutto alla struttura di Genova. La disposizione a scacchiera nel pendio tra la Torre e la costa, denota la presenza italiana rispetto alle altre porzioni della città, addizionate in un secondo tempo alla colonia, che presentano

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uno sviluppo a maglia meno regolare. Gli edifici rimasti superstiti delle successive stratificazioni presentano una matrice compositiva del primo piano porticato genovese e con influssi bizantini (file alterne di pietre e mattoni). La zona residenziale sovrastante invece evidenzia la sopraelevazione successiva degli edifici originali lineari ad un piano fuori terra, molte volte con particolari tipicamente arabi (mensole molto aggettanti). Ogni casa ha la stessa struttura funzionale: il piano terra utilizzato come spazio per svolgere gli affari e per l’immagazzinaggio delle merci, il primo piano come abitazione unifamiliare. I Turchi mantennero la suddivisione in contrade genovesi fino alla fine del XV secolo; successivamente venne creata una nuova suddivisione dei quartieri, i quali vennero rinominati seguendo un ordine dettato dalle professioni

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^ VI. Georg Braun, Byzantium nunc Costantinopolis, 1575

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praticatevi o dalla funzione economica maggiormente presente. Inoltre, nel 1477, istituirono i primi registri catastali di Istanbul, come erano soliti fare in ogni nuovo paese conquistato.

Alla fine del XV secolo il nuovo centro dell’Impero Ottomano risultava suddiviso in quattro nuclei: la vecchia Costantinopoli o Stambul nell’area del Serraglio, attualmente europea; Scutari (antica Chrysopolis greca o Caledonia) sulla costa al di là del Bosforo, oggi asiatica; Eyüp con un proprio Kadì indipendente a nord ovest di Stambul. Infine Galata, sulla zolla europea, posta lungo la riva settentrionale dell’estuario di due fiumi, il Corno d’Oro.

4. La dependance europea ´ di Istanbul Dal XVII secolo prosperò l’area di Pera, sull’altura. Un territorio di vigne, orti, giardini e ville che iniziò a mutare il suo aspetto a causa del suo inurbamento conseguente alla satura urbanizzazione di Galata. Si introdusse la distinzione tra Galata e Pera (intorno al 1657) negli atti ufficiali , divenendo poi di uso comune e permanendo fino ad oggi: Galata designa la città antica, Pera la città nuova.6 Il Governo Ottomano iniziò ad essere supportato dalla diplomazia europea dalla sconfitta viennese del 1683; in concomitanza di quegli anni, l’area attuale di Beyoĝlu iniziò ad essere considerata “Europa” per lo stile di vita che vi si conduceva e la comunità latina lì insediata si rafforzò. Vi si potevano trovare numerosi lavoratori occidentali (francesi, tedeschi, italiani ed inglesi) in ambito tecnico-professionale. Pera divenne così l’area delle ambasciate

VII. Ara Güler, Pescatori sul Bosforo, 1956 >

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straniere, mentre Galata la sede delle banche occidentali e del commercio “franco”, un binomio che le contraddistinse fino al XX secolo. Il Settecento viene ricordato come un secolo di grandi capitali e conseguenti nuove urbanizzazioni. Ed Istanbul non fu da meno. Una bolla ufficiale del 1712 ne è esempio: legalizzò e condizionò la costruzione di case al di sopra delle mura o sulle torri.

Dall’incendio del 1731 l‘ex area genovese inizierà a perdere la funzione residenziale in favore di quella prettamente commerciale.

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5. La riorganizzazione urbana < VIII. Henri CartierBresson, Camondo steps in Bankalar Caddesi, 1965

Negli anni ’30 dell’Ottocento iniziò a prendere forma un secolo segnato da numerose riforme: una riorganizzazione non solo dettata dalla sempre maggiore influenza delle potenze straniere, ma anche dall’emergere della classe borghese, come nel resto dell’Occidente, la quale spinse verso un mondo che rispecchiasse la propria sensibilità e che avesse un modello da seguire per ricostruire l’immagine dell’Impero; ne si voleva imitare i grandi viali, le ampie piazze ed i parchi urbani.

La prima efficiente ed attiva Organizzazione Municipale fu formata nel 1857: con lo scopo di rinnovare la città e favorire lo sviluppo commerciale, grazie ad un’autonomia di bilancio delle aree, la città venne divisa in quattordici distretti. L’area di Galata/Pera/Tophane divenne il sesto distretto di Istanbul.

Questo obiettivo implicava il miglioramento dello spazio urbano ed architettonico, tramite l’ampliamento degli spazi pubblici e la conseguente eliminazione di taluni fabbricati; ovviamente interessò anche la parziale demolizione delle antiche mura di Galata ed il riempimento completo dei fossati. I lavori per lo sviluppo verso l’occidentalizzazione del 1864 interessarono le mura genovesi in quanto configuravano sì il tessuto urbano del quartiere, ma ne limitavano al contempo i possibili sviluppi.

Motivo per cui degli originali 2800 metri di cinta ne rimangono ad oggi ben pochi. Furono interessate dai cambiamenti l’area circostante la parte inferiore della Torre di Galata, le porte limitrofe ancora esistenti che separavano il quartiere finanziario di Galata da quello cosmopolita di Pera, le mura che si estendevano verso la costa, gradualmente abbattute, e il riempimento dei fossati perimetrali. Nonostante la demolizione del simbolo medievale di protezione ed isolamento per poter modificare in

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meglio il tessuto urbano, molte costruzioni di fine Ottocento ed inizio Novecento ricalcavano le tracce lasciate dall’ormai scomparsa fortificazione. Tutto ciò non solo per la creazione di nuovi spazi pubblici ma soprattutto per migliorare la rete di nuove vie ferrate prima, ed elettriche dopo, per i tram; inoltre determinarono la creazione dell’odierna funicolare sotterranea, il Tünel, nel 1875, una tra le prime linee sotterranee insieme a Budapest e Londra, che aveva lo scopo di facilitare i collegamenti e sopperire al dislivello topografico tra l’area residenziale di Pera e quella lavorativa di Galata. Oltre a ciò va considerata la normale rete viaria per la quale si abbatterono numerose casupole antiche, molte delle quali risalenti al periodo genovese, per creare due nuovi grandi assi: uno che rimontava la collina verso Pera e l’altro parallelo alla riva, per attraversare da un’estremità all’altra Galata.7 Nel 1923 Istanbul cessò di essere il centro dell’Impero: la nuova Repubblica prese forma da Ankara, un luogo più centrale rispetto ai territori della Turchia. In cent’anni, tra il 1822 ed il 1922, vennero definiti gli assi principali e l’uso del suolo. Ventidue anni dopo, il Piano di Sviluppo legato ai trasporti disegnò definitivamente gli assi commerciali ancora esistenti: Tershane Caddesi, Bankalar Caddesi e Refik Saydam Sodak. Voyvoda Caddesi e Kemeralti Caddesi si affermarono come i centri dell’economia, pullulanti di banche, mentre le zone a carattere residenziale si confermarono lungo i pendii dell’altura.

Più tardi, quando l’attività bancaria verrà spostata nel Distretto periferico di Levent-Moslak, Galata perderà importanza e vigore ed avverrà il completo abbandono degli edifici e lo spopolamento della zona. Questa manovra urbana farà parte del “Programma di ricostruzione” degli anni ’50 del XIX secolo e cambierà negativamente il tessuto di Galata.8

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IX. Tersane Caddesi in una foto degli anni ‘50 >

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Nel 1971 vi fu finalmente la decisione ufficiale di conservare quel che rimaneva delle mura genovesi e degli edifici eclettici occidentali presenti nell’area e nel 1993 si rafforzerà il concetto nominando l’intero Distretto di Beyoğlu “Area di Conservazione Urbana”, dopo aver terminato un progetto composto da 8 piani in scala 1:1000, sviluppati tra il 1964 ed il 1990.

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̆ oggi 6. Beyoglu Istanbul si presenta oggi sotto le vesti di una megalopoli con un fitto sistema di strutture a ponte sulle valli urbanizzate che la compongono. Il trasporto pubblico è sottodimensionato per una città di tali dimensioni e la presenza di parchi ed isole alberate è molto contenuta.

Allo stesso tempo, è una metropoli rivolta al futuro in tutte le quattordici aree che la compongono, specialmente nel VI distretto, pronto ad accogliere ed attrarre le nuove generazioni e a rendere godibile e riconoscibile la sua storia.

La Municipalità ha infatti avanzato richiesta per far diventare parte integrante della Lista del Patrimonio dell’Umanità anche la Torre di Galata; non per la struttura in sé, rimaneggiata innumerevoli volte nel corso della sua esistenza, ma per ciò che rappresenta e soprattutto ha rappresentato durante il Medioevo: la proposta è dunque quella di una candidatura tematica delle fortezze genovesi a Istanbul e sul resto del territorio nazionale.

Il 2010 battezza Istanbul “Capitale della Cultura”: in occasione di < X. Beyoğlu vista dal ponte di Galata

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questo evento hanno avvio molte iniziative volte a riqualificare culturalmente l’area di Galata. Edifici finanziari e commerciali abbandonati come la Banca Ottomana del 1892, in Bankalar Caddesi, prendono nuova vita e vengono trasformati, ad esempio, in importanti centri espositivi, culturali e di ricerca come il SALT Galata. Chi aveva abbandonato aree storiche come quella di Galata in favore di una suburbanizzazione, ora cerca di ritornare nei centri storici per la convenienza della posizione.

Dagli inizi del 2000 si sono così attuati dei piani di riurbanizzazione, solitamente con la preponderanza di funzioni culturali, ma che includono anche la volontà di riportare la funzione residenziale all’interno del quartiere sfruttando i piani alti in disuso degli edifici manifatturieri. Si sta tentando perciò di ristabilire la cultura e la vita nell’area cercando di farvi affluire più artigiani ed arte possibile; analogamente a ciò che è successo a Soho a New York, a Gaengeviertel ad Amburgo o nel Jordaan ad Amsterdam, Beyoglu si sta trasformando nel “quartiere degli artisti”, utilizzando la struttura degli edifici con le botteghe al piano terreno e la residenza ai piani superiori, le architetture ereditate dalla Belle Époque, i passages e le suggestive viste panoramiche.9 Dal 2015 un ulteriore spinta di cambiamento derivante dal Galataport Project, per il quale sono piazzati da investitori privati circa 1.7 miliardi di dollari, sta trasformando l’aspetto di Karakoy tramite la riqualificazione di un chilometro e mezzo di costa, la creazione di nuovi spazi verdi pubblici e di una promenade lungo il Bosforo, la costruzione di un nuovo museo di arte contemporanea (già progettato da Renzo Piano) e una nuova banchina per l’attracco di navi da crociera. Le opportunità prospettate da questo progetto hanno portato all’apertura di molte strutture alberghiere nella zona, in previsione all’incremento dell’afflusso turistico.

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7. Il Persembe Pazari a Galata Prevedibilmente, la corsa sfrenata allo sviluppo in atto ormai da anni ad Istanbul sta portando ad un maggiore benessere economico sotto certi aspetti, ma anche a svariate problematiche, analoghe a quelle che si trovano ad affrontare gran parte dei centri storici di tutto il mondo: l’abbandono del centro città da parte degli abitanti del tessuto urbano antico in favore di sistemazioni più moderne e periferiche, la privatizzazione e snaturalizzazione di interi quartieri storici per far posto ad alloggi, alberghi, ristoranti, attività commerciali esclusivamente rivolte al turismo, e la conseguente perdita del loro carattere originale e delle dinamiche sociali autoctone. Questo è successo ad esempio nel quartiere di Sultanahmet, ormai completamente monopolizzato dalla presenza di boutique hotel e B&B per soddisfare l’altissima domanda turistica, e in parte anche a Galata, soprattutto nell’area immediatamente intorno alla Torre.

< XI. Un venditore di catene e materiale per la navigazione nel bazar

< XII. L’area del Persembe Pazari a Galata, 2019

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< XIII. César Raymond, Nuovo piano di Pera e Galata, 1900

Ciononostante, nell’area che va dal Ponte di Galata al Ponte Ataturk, ai piedi della pendenza della collina di Pera, è rimasta una presenza dello spirito della vecchia Istanbul. Qui si trova il Pesembe Pazari (mercato del giovedì), che si estende tra i due ponti dalla riva del Corno d’Oro fino alla Voyvoda Caddesi.

Quest’area è una vera e propria “isola” all’interno del centro storico di Istanbul dove si può ritrovare la presenza della vera vita di strada turca, e dove gli effetti del processo di gentrification che sta vivendo Galata si sono insinuati solo parzialmente. Effettivamente, è impressionante la differenza tra questo lato di Kemeralti Caddesi (la strada che prosegue il ponte di Galata e porta a Tophane) e quello orientale, caratterizzato da una forte presenza di hotel, caffè, ristoranti e negozi alla moda.

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In ogni caso, negli anni, non solo l’identità, ma la sopravvivenza stessa del Persembe Pazari è stata minacciata svariate volte: nel 1953 il tessuto urbano viene letteralmente sventrato dalla creazione della Tersane Caddesi, una strada a due corsie oggi intensamente trafficata. Negli anni ’80 si inizia a progettare di riqualificare l’area dei docks di Galata: nell’85 vengono demoliti vari edifici, in particolare cantieri navali e moli che si affacciano sul Corno d’Oro in previsione della creazione di spazi verdi e di una promenade (che non verranno effettivamente creati fino agli anni 2000). Nel 1986 viene costruito un enorme complesso edilizio nel distretto di Okmeydiani, nella periferia di Istanbul.10 Nel 1995, Erogan annuncia che verrà attuato un piano di riqualificazione dell’area, con la demolizione di tutti gli edifici considerati “non storici” e lo spostamento di tutte le attività commerciali a Perpa, una zona periferica di Istanbul. L’operazione verrà bloccata dalle pesanti proteste dei commercianti del mercato.

Ad oggi, gli interventi del Galataport non hanno toccato particolarmente le attività commerciali “nascoste” nelle strette stradine del quartiere, anche se è evidente come l’area, di estremo valore dal punto di vista turistico, stia effettivamente subendo dei cambiamenti. < XIV. Gli edifici del Persembe Pazari visti dal Bosforo, 2019

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Nonostante ciò che potrebbe suggerire il suo nome, il mercato è attivo tutta la settimana, dalle 8 alle 19, tranne la domenica, come tutti i bazar della città. L’attività principale del pazar si concentra principalmente sul commercio di ferramenteria, rubinetteria, materiale sanitario e oggetti per la pesca e la navigazione.

Nelle traverse interne del quartiere risulta quasi difficoltoso camminare dalla quantità di oggetti esposti per la vendita dai vari negozi. Il traffico, sia di mezzi che di persone, è pressoché ininterrotto e si ha l’impressione di trovarsi in un vero e proprio bazar. < XV. Una parte del mercato del giovedì in Kürekçiler Kapisi, 2019

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Se i piani terra dei palazzi sono oggetto di un uso praticamente incotrollato, i piani superiori sono spesso abbandonati e vacanti. Nonostante la ricchezza di insegne, colori e neon è impossibile non notare il degrado in cui versano questi edifici. Nelle stesse condizioni, se non peggiori, si trovano varie costruzioni storiche antiche e di grande pregio, come il Fatih Hani Bedesten, antico mercato con una notevole copertura a nove cupolette, il quale, seppur mantenendo la sua funzione originaria, è in uno stato preoccupante ed è stato rimaneggiato tramite aggiunte in cemento armato e interventi poco mirati.

Gli edifici che si affacciano direttamente sul Corno d’Oro sono invece quasi esclusivamente occupati da ristoranti di pesce, attività di natura tradizionale vista la natura “marinaresca” dei docks ma sicuramente intensificatasi con l’aumento del passaggio turistico nella zona. in questi casi, spesso i piani superiori dei palazzi vengono utilizzati per sfruttare la vista suggestiva che sia gode da questo punto di Galata. E’ forte anche la presenza di venditori ambulanti che vendono frutta, tabacco, dolciumi e pesce fritto. < XVI. Il versante del Persembe Pazari sul waterfront di Galata

XVII. Bottega di un fabbro nel Persembe Pazari, 2019 >

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Bibliografia G. Àgostom e B. Master, Encyclopedia of the Ottoman Empire, Facts On File Inc, New York, 2009, pp. 226 – 228.

2. H. Sercan Saglam, Urban palimpset at Galata & an architectural inventory study for the genoese colonial territories in Asia Minor,tesi di dottorato, Politecnico di Milano, 2018 3. J. Arnaud. Tissu urbain et histoire, le quartier de Galata à Istanbul. Anatolia moderna Yeni anadolu, Institut français d’études anatoliennes, 1992, pp.209-225 4. H. İnalcık. Galata. In Dünden Bugüne İstanbul Ansiklopedisi, 349-354. İstanbul: Ana Basım A.Ş., Istanbul, 1994 5. J. Sauvaget. Notes sur la Colonie génoise de Péra.

In: Syria. Tome 15 fascicule 3, pp. 252-275, Parigi, 1934 6. I. Martini, Le mura di Galata e il progetto del waterfront a Karakoy, tesi di laurea magistrale, Politecnico di Torino, 2014 7. E. Basso, Insediamenti e commercio nel Mediterraneo bassomedievale: i mercanti genovesi dal Mar Nero all’Atlantico, Marco Valerie, Torino, 2008.

8. C. Desimoni, I genovesi ed i loro quartieri in Costantinopoli nel XIII secolo, in “Giornale linguistico di archeologia, storia e belle arti”, di L.T. Belgrano e A. Neri, a. zero, tipologia istituto sordo-muti, Genova, 1876, pp. 217-274.

9. L. Sauli, Dalla colonia dei genovesi in Galata: libri sei, volumi 2, Bocca, Torino, 1831.

10. A. Zeynep, Re-reading the social context of apartment block development in Istanbul: 1889-1922, degree of master, The Middle East Technical University, Department of city and regional planning, supervisor Prof. Dr. Murat Gûvenç, December 2003.

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Crediti alle immagini I. https://www.bnf.fr II. Da Sauli Ludovico, Della colonia dei genovesi in Galata, Volume II, Bocca Torino, 1931 III. https://www.rogercrowley.co.uk IV. Da The Graphic Magazine, Volume XIII, n.

337, 1876, Salt Galata Archives V. https://www.peramuseum.org VI. https://www.sanderusmaps.com VII. https://www.magnumphotos.com VIII. https://www.magnumphotos.com IX. https://www.peramuseum.org X. Foto dell’autrice XI. Foto dell’autrice XII. Elaborazione dell’autrice XIII. https://www.archives.saltresearch.org XIV. Foto dell’autrice XV. Foto dell’autrice XVI. Foto dell’autrice XVII. Foto dell’autrice

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Karvansaray, Han, Wakala, Fondaco

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1. Il Caravanserraglio come tipologia architettonica

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Tu pensa come, in questo logoro caravanserraglio, le cui porte si aprono e si chiudono ogni giorno ed ogni notte, un sultano dopo l’altro, con tutto il suo seguito, attese la sua ora destinata, e poi andò via.

Umar Khayyām, ‘Rub ayyāt’ (Quartine), Persia, XI secolo

“Caravanserraglio” è un termine derivato dal persiano kārvānsarāy (‘palazzo della carovana’ composto da kārwān ‘carovana di cammelli’ e sarāy ‘edificio’), probabilmente attraverso il francese caravansérail, che indica un edificio o un insieme di edifici destinati - nei paesi del mondo musulmano - ad accogliere viaggiatori e mercanzie, sia come luogo di sosta e di tappa sulle strade commerciali (caravanserraglio stradale) sia come punto di arrivo o di deposito delle merci in prossimità o all’interno delle città (caravanserraglio urbano). Al termine persiano si accostano altri termini arabi khān (in turco han), funduq (il nostro fondaco) e wakāla - dai significati originariamente diversi, che hanno finito nell’uso corrente per identificarsi in tutto o in parte. Per dimensioni, materiali, strutture e caratteristiche decorative i caravanserragli differiscono da luogo a luogo e secondo il periodo storico di appartenenza.

I caravanserragli avevano diverse camere ai piani inferiori, senza finestre o ricambi d’aria in quanto progettate per la sicurezza delle merci piuttosto che per il confort delle persone.

La sicurezza era chiaramente di vitale importanza: gli han isolati in campagna o nel deserto lungo le vie carovaniere erano quelli maggiormente fortificati, mentre quelli urbani erano generalmente molto più simili alle costruzioni domestiche limitrofe.

< Disegno di Le Corbusier da Le Voyage D’Orient: pianta e vista di un caravanserraglio

L’ingresso dell’edificio era solitamente unico, centrale, in modo da poter chiudere agevolmente la struttura durante la notte. Al

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piano terra si trovavano tutti i servizi utili agli scambi commerciali e alla vita all’interno del fondaco (stalle, magazzini, latrine, forni, piccole moschee/chiese, cucine, negozi), e ulteriori strutture destinate a migliorare i servizi offerti ai viaggiatori, come l’hammam (bagno turco), mentre al piano superiore vi erano gli alloggi che potevano essere affittati anche per alcuni mesi dallo stesso mercante o saltuariamente a commercianti e pellegrini di passaggio.

Vi erano guardiani notturni, solitamente degli ufficiali cittadini o ispettori del mercato.

Mercanti, sultani, guerrieri, pellegrini, marinai, ambasciatori, o semplici vagabondi alloggiavano in queste strutture, rimaste oggi a testimoniare i movimenti e le interazioni che andavano dal bacino del Mediterraneo all’Asia Centrale, dai Balcani alla valle dell’Indo, dal Nord Africa alla Cina. < I. Caravanserraglio ad Aleppo, Siria, 1900 circa

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Pare che le sue origini più profonde affondino nella tipologia greca del pandocheion (“che accoglie tutti”), un edificio dove i viandanti potevano alloggiare a pagamento, che viene citato già in alcuni scritti di Demostene e nel Vangelo di Luca.1 L’istituzione del pandocheion greco, del funduq arabo, dell’han turco e del fondaco occidentale è tanto antica e complessa quanto lo sono le connessioni tra i greci e gli arabi e in periodo più tardo tra bizantini e latini. La diffusione di questa tipologia architettonica coincise con i commerci marittimi nel Mediterraneo e di quelli carovanieri nell’entroterra asiatico.

La frequenza degli interventi dei governi locali nell’esercizio e nell’amministrazione di questi servizi dimostrava che i capi di governo percepivano queste strutture come adeguate al servizio e molto remunerative. Gli alberghi, gli spazi commerciali, le casa d’alloggio erano spesso fondati e vestiti dalle amministrazioni locali che monitoravano i movimenti delle persone e delle merci e raccoglievano tasse sui diversi beni. Alcuni di questi servizi erano di proprietà del governo, altri in mani di privati, ma tutti avevano lo scopo di far fiorire i commerci e produrre ricchezza.

Benché vi fossero molti punti in comune quali l’ospitare per brevi periodo merci e persone per favorire gli scambi commerciali e altri dettagli simili, vi erano alcune differenze riguardanti la tipologia di persone ammesse al loro interno: i pandocheion, come suggerisce

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^ II. Pascal Coste, Caravanserraglio di Sha Sultan Hussein, Isfahan, Iran, 1840

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il nome, erano utilizzati indifferentemente da pagani, ebrei, o da viaggiatori cristiani nell’Impero Romano d’Oriente ed erano dei semplici ostelli.2 I caravanserragli dei paesi musulmani garantivano alloggio, spazio commerciale ma anche la riscossione di oneri fiscali da parte di viaggiatori e pellegrini. Mantenendo quindi importanti aspetti funzionali del suo predecessore greco si evolse per acquisire uno specifico ruolo mercantile ma anche per l’elargizione di opere di carità nel mondo islamico.

I caravanserragli servivano anche per regolamentare la presenza degli stranieri che arrivavano nei porti islamici per commerciare: gli era permesso di professare la loro religione, seguire i propri costumi e anche bere vino all’interno, ma la sera gli era spesso proibito uscirne.3 < III. Thomas Allom, Han turco ad Aydin, Turchia, 1836

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< IV. Illustrazione dell’interno di un caravanserraglio ad Istanbul, XIII secolo

V. Dipinto su legno cinese raffigurante viaggiatori sulla Via della Seta, XIV secolo >

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2. Caravanserragli stradali I caravanserragli extraurbani erano nella maggioranza dei casi dei punti di snodo delle rotte carovaniere. Queste strutture erano estremamente utili in quanto offrivano alloggio a tutti i viaggiatori impegnati in lunghe traversate; la Via della Seta era disseminata di questi edifici che si succedevano ad intervalli più o meno regolari lungo tutta la sua lunghezza.4 Erano servizi indispensabili per viaggi di questo tipo, in quanto sorgevano spesso in zone aride e disabitate, come deserti o steppe, ed erano molto remunerativi grazie alle tasse e ai numerosi affitti.

Dal momento che sorgevano fuori dal contesto urbano, assumevano spesso forme semplici e idonee al servizio che dovevano offrire: perciò ritroviamo spesso piante molto pulite e dalle geometrie regolari, dalle caratteristiche più o meno simili in molti paesi, e nonostante la grande distanza da un caravanserraglio all’altro il modello è riconoscibile ed estrapolabile da ognuno di essi.5

^ VI. Pianta del caravanserraglio di Dair-e Gachin nel deserto del Kavir, Iran VII. Caravanserraglio di Tash Rabat sulla catena montuosa del Tian Shan, Kyrgyzstan > < VIII. Ignace de Hell, Un caravanserraglio sulla via tra Tehran e Isfahan, 1848

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3. Caravanserragli urbani Questi erano generalmente situati in città molto importanti, sedi di ricchi scambi commerciali e di incontri diretti di diverse culture; è questo il caso di Alessandria d’Egitto, di Algeri, di Valencia, di Venezia, di Genova, di Ragusa, e chiaramente di Istanbul.6 Luoghi che per la loro ubicazione geografica erano un incontro di culture, e che già in tempi antichi potevano essere definite città cosmopolite. Le soluzioni in pianta solo più complesse, dal momento che vi era la necessità di adattarsi al contesto urbano o di utilizzare strutture preesistenti, riconvertendole al nuovo utilizzo. Le caratteristiche di base rimangono invariate: una grande corte con un unico accesso sulla quale si affacciano gli ambienti riservati alla compravendita e alla conservazione delle merci, e ai piani superiori camere dove poter fare alloggiare mercanti e pellegrini. Alcuni di questi caravanserragli urbani erano anche dediti ad opere di carità nei confronti di un determinato gruppo di persone o professanti di un certo credo religioso.7 < IX. Johann Jacob Falksen, Corte del Rustem Pasha Han a Edirne, 1876

X. Planimetria del centro storico e del bazar di Bursa con i suoi sei han, moschee ed hammam >

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XI. Schema funzionale di un caravanserraglio e mappa dei caravanserragli sulla Via della Seta sul tratto Istanbul-Xi’an >

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Bibliografia

Crediti alle immagini

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Mi'mār Sinān, il divino maestro

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Grazie siano rese ad Allah poiché questo umile servo ha compiuto la sua arte al servizio di molte Case di Dio. Eccomi, il tuo servo Mi’mar Yusuf Abdullah, che diventando santo del convento derviscio del Mondo, ha vissuto attraverso i regni di quattro grandi sultani.

Ha posto le fondamenta ai corpi di innumerevoli edifici, ma il corpo di Adamo è caduco e mortale. Il palazzo del suo corpo è ridotto ad un cumulo di macerie. Non pensate che la sua schiena sia un arco: è piuttosto un ponte che conduce a pene e sofferenze!

Ma grazie siano rese ad Allah poiché quando si tratta della sua arte, questo umile servo rimane perfettamente solido ed eretto. Il suo unico desiderio è gli ehl-i-hüner (coloro che possiedono l’abilità), dopo aver letto questi versi, pregheranno al pilastro della Religione, che sostiene il palazzo del Mondo.

E che lo ricordino con preghiere beneauguranti, in modo da donare un poco di gioia a questo cuore in rovina.

Mi’mār Sinān, Tezkiretu’l-ebniye (Memoriale biografico degli edifici), 1580 circa

< Disegno di Le Corbusier da Le Voyage D’Orient: moschea di Solimano

^ I. Sigillo di Sinan

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1. La vita Sinān, noto anche come Mi’mār Sinān (“architetto Sinan”) o Mi’mār Koca Sinān (“grande architetto Sinān”) fu architetto imperiale duranti i governi dei sultani Solimano I, Selim II, e Murad III, e fu, nel corso di un periodo di cinquanta anni, responsabile per la costruzione o la supervisione di tutti gli edifici più importanti dell’Impero Ottomano. Svolse un’attività straordinariamente intensa, costruendo, secondo notizie date da lui stesso nelle sue autobiografie, ben 334 edifici, di carattere religioso e profano: moschee, mausolei, caravanserragli, scuole, bagni, ospedali, ponti, palazzi; e non soltanto nella capitale e in numerose città della Turchia rumelica e anatolica, ma persino a Budapest e a Damasco. Ispirandosi alla chiesa di Santa Sofia a Istanbul trovò nuove e grandiose soluzioni del problema della cupola, con interni ampî e armoniosi, sorretti all’esterno da un abile gioco di contrafforti. Le tendenze insite nell’architettura ottomana furono portate da Sinan al massimo sviluppo, sicché il suo stile ebbe vastissima influenza e diffusione in tutti i paesi dell’impero turco. Nella costruzione delle moschee egli si attenne fedelmente al principio delle cupole iscritte entro un quadrato, preceduto da un cortile a porticati delle stesse dimensioni. Il suo primo capolavoro è la moschea Sciāhzādeh a Istanbul (1543-48) nella quale, ispirandosi alle prime grandi moschee a cupola (Mehmedīye e Bayāzīdīye) e applicando il sistema di quattro cupole sferiche, riuscì ad accentuare notevolmente la grandiosità dell’interno. ^ II. Ritratto di Sinan con un’asta di misurazione, 1579

Mimar Sinan nacque intorno al 1489-1490, a Cesarea in Cappadocia (l’attuale Kayseri), da una famiglia di origini armene (secondo la versione più accreditata, ma alcuni storici suggeriscono origini albanesi o serbe) cristiana ortodossa. Arrivò ad Istanbul nel 1412, reclutato secondo la pratica ottomana del

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devşirme, (‘raccolta’, in turco, detta anche tribut de sange, ‘tributo di sangue’ presso i Rumeni o kraven danak, ‘tassa di sangue’ presso i Bulgari), un sistema di arruolamento forzoso in vigore dal XIV al XVII secolo nei territori cristiani conquistati dall’Impero ottomano e ordinato dai sultani come una forma di normale tassazione per formare un esercito di schiavi leali (in precedenza costituito soprattutto da prigionieri) e reclutare la classe di amministratori (militari) dei Giannizzeri, la guardia personale del Sultano; questi ragazzi erano presi ogni anno dalle terre cristiane, prima soprattutto dai Balcani (greci, croati, bosniaci, bulgari, serbi ed albanesi); nel XVII secolo per la maggioranza dall’Ucraina e dalla Russia meridionale. Il primo passo della loro formazione prevedeva la permanenza presso famiglie di contadini turchi per apprendere la lingua e irrobustirsi fisicamente prima di essere trasferiti nella capitale o in una qualche altra guarnigione di addestramento. L’addestramento prevedeva una formazione sia bellica che culturale: calligrafia, teologia, letteratura, legge islamica e lingue. Raggiungendo l’età adulta, i più brillanti erano scelti per fare carriera nella corte ed i più abili potevano anche aspirare al titolo di Gran Visir, il potentissimo primo ministro e comandante militare del sultano.1 Così anche Sinan, al suo arrivo in città venne sottoposto alla rigida formazione militare ed entrò nelle truppe dei Giannizzeri. Partecipò alle numerose campagne militari di espansione dell’impero ottomano, in particolare nell’Artiglieria e nel Genio.

Prese parte alle spedizioni contro Belgrado, la Siria e l’Egitto, nel 1534 divenne ufficiale. Ebbe così l’opportunità di conoscere le realizzazioni architettoniche nell’Europa mediterranea e centro-orientale e nel Vicino Oriente.

Durante queste campagne si distinse come progettista di strutture militari, fatto che portò Solimano il Magnifico a promuoverlo Architetto Capo dell’impero (Mimarbasi) nel

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^ III. Matrakci Nasuh, Miniatura ottomana raffigurante il Devscirme, 1558

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1539, ruolo che conserverà fino alla sua morte, nel 1588.

L’attività febbrile di Sinan non si estinguerà fino a quel giorno, sintomo dell’enorme talento e passione che il maestro applicava nello svolgere il suo incarico.

Durante la sua lunga vita, ebbe modo di sfruttare al meglio le sue abilità non solo di progettista architettonico ma anche di urbanista, ingegnere, amministratore, ponendosi come una figura poliedrica ed eclettica al pari di molti artisti rinascimentali nostrani, caratteristica che gli è valso il soprannome di “Michelangelo d’Oriente”.

^ IV. Dettaglio di una fontana all’interno del palazzo del Topkapi

Lo stile architettonico di Sinan, oggi sinonimo dell’architettura classica ottomana, per quanto si discostasse dai codici stilistici usati fino a quel momento, era apprezzato dal sultano, che lasciava all’architetto piena di libertà di esprimersi.

Istanbul raggiunse l’apice del suo splendore grazie all’accento monumentale dei suoi edifici. Nelle sue moschee a cupola a pianta centrale si può tutt’oggi osservare una singolare affinità con le chiese del Rinascimento italiano: affinità che affonda le sue radici nella comune eredità Romano-Bizantina del bacino del Mediterraneo che stava rivivendo in quel tempo un periodo di splendore sia in Italia che ad Istanbul.

V. L’harem all’interno del palazzo del Topkapi >

Come osserva Gülru Necipoğlu in “The Age of Sinan: architectural culture in the ottoman empire”, l’architettura di Sinan “è caratterizzata dagli stessi identici valori estetici che permeano il paradigma dell’architettura rinascimentale di Rudolf Wittkower: l’enfasi sul razionalismo strutturale del disegno architettonico fino alla quasi totale esclusione dell’ornamento, la chiarezza astratta degli schemi geometrici e la concezione spaziale centralizzata.

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Dogan Kuban rafforza questa tesi affermando che la decorazione non ha nessun tipo di influenza sulla concezione architettonica di Sinan, la quale rappresenta “una sintesi della tradizione Turco-Anatolica con un’anima mediterranea; un purismo che non arriverà in Europa se non dopo il XX secolo”.

Acclamato come eroe nazionale in Turchia oggi come ai tempi della sua attività, la fama leggendaria che ruota intorno a Sinan è un fatto piuttosto eccezionale: se infatti in Occidente è naturale far corrispondere a una impresa il nome del suo creatore così non accadeva, o quasi, in Oriente e la celebrità di Sinan la si può meglio percepire se si considera che prima di lui solo un altro architetto “orientale”, ma in tempi assai più lontani, aveva visto riconosciuto ancora vivente il suo valore professionale: bisogna risalire al tempo dei faraoni dell’Antico Regno (20072095 a.C.), epoca nella quale visse Imhotep, architetto, al quale è dato attribuire il progetto della prima piramide, quella a gradoni di Gioser a Saqqara.2 < Vi. L’acquedotto di Maglova Kemeri, 1563

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La fama di Sinan si è estesa nei secoli anche all’estero: sono molte le pubblicazioni, particolare tedesche, che si sono occupate di definire lo stile del maestro. Tra queste, si distingue l’opera di Ernst Egli, “Sinan, Der Baumesiter Osmanischer Glanzzeit”, redatta a Zurigo nel 1954, dove l’architetto svizzero ci fornisce una definizione piuttosto adeguata dello stile di Sinan: “La sua grandezza risiede nella totale armonia del suo lavoro tra forma e contenuto; la sua unicità nell’abilità a trasformare gli aspetti strettamente individuali delle commissioni date in qualcosa dal valore duraturo ed universale. Questo è il motivo per il quale il suo valore è ancora oggi più vivo che mai: esso preserva le immortali caratteristiche del passato.”3

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^ VII. Moschea di Solimano ad Istanbul, 1550

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2. Il mecenatismo architettonico di Solimano il Magnifico Solimano I era figlio di Selim I, detto Yavuz (“il Ponderato”, e non “il Crudele” come erroneamente viene ancora detto da taluni).

Durante il regno di Selim I l’Impero ottomano distrusse il rivale sultanato egiziano dei Mamelucchi circassi della dinastia burji.

Questo portò i turchi all’annessione della Siria, dell’Egitto, della Palestina e dell’Arabia conquistando il controllo delle tre Città Sante di Mecca, Medina e Gerusalemme. Così all’età di 26 anni, alla morte dei Selim I, Solimano guidava un sultanato sostanzialmente più esteso e potente. Ed egli avrebbe continuato a espanderlo fino alla sua morte nel 1566.

Protagonista per eccellenza della dinastia che, conquistando Costantinopoli, l’aveva resa per molti versi erede dell’impero bizantino, Solimano fu conquistatore di nuove terre, amministratore di immensi possedimenti, innovatore nel campo della giurisprudenza (per il laqab turco era infatti Qānūnī, ossia ‘Legislatore’), patrono delle arti e poeta lui stesso.

Tutto ciò gli meritò l’appellativo di Magnifico, attribuitogli dai grandi sovrani occidentali.4 Sotto il patrocinio di Solimano, l’impero ottomano raggiunse il massimo del suo sviluppo culturale. La sede imperiale sovrintese a centinaia di società artistiche (chiamate Ehl-i Hiref, ‘Comunità degli artigiani’) che ebbero sede presso il Palazzo Topkapi. Dopo un periodo di apprendistato, gli artisti e gli artigiani potevano avanzare di rango nel loro campo e venivano pagati con salari commisurati in rate annuali o trimestrali. I registri delle buste paga, sopravvissuti fino ad oggi, testimoniano l’ampiezza del mecenatismo artistico di

^ VIII. Bottega di Tiziano, Ritratto di Solimano il Magnifico,1596

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Solimano; ad esempio, il primo dei documenti risalenti al 1526 elenca 40 società con oltre 600 membri. L’Ehl-i Hiref fece affluire gli artigiani più talentuosi dell’impero vero la corte del Sultano, sia quelli provenienti dal mondo islamico che quelli originari dei territori recentemente conquistati in Europa, andando a formare una miscela di culture arabe, turche ed europee. Gli artigiani al servizio della corte includevano pittori, rilegatori di libri, pellicciai, gioiellieri e orafi. Mentre i precedenti sovrani erano stati influenzati dalla cultura persiana, durante il periodo di Solimano si vide affermare l’identità artistica dell’impero Ottomano.5 Gli architetti non venivano considerati artigiani, ma facevano parte di una categoria più elevata, della quale facevano parte anche i fisici, gli scrivani, i musici, i poeti, gli astrologi e dignitari di fiducia del sultano.

Il Corpo Reale degli Architetti (Mimaran-i Hassa), del quale si hanno testimonianze già dal regno di Bayezid II (1481-1512), < IX. Dettaglio della firma di Solimano il Magnifico

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venne consolidato burocraticamente da Solimano diventando un corpo amministrativo a tutti gli effetti, ben organizzato per poter gestire e coordinare l’incremento di cantieri disseminati in tutto l’impero.

L’innovativa e produttiva leadership di Sinan incrementò ulteriormente il potere della corporazione. Le sue responsabilità come capo architetto si concentravano principalmente sulle costruzioni in corso ad Istanbul e, in misura minore, ad Edirne, la capitale secondaria. In ogni caso esercitava il suo controllo anche su cantieri dislocati nel resto dell’impero, che coordinava tramite suoi sottoposti incaricati , ai quali inviava disegni, modellini e comunicazioni scritte.

Nella capitale, le sue mansioni includevano, oltre all’approvazione delle nuove costruzioni e i sopralluoghi nei vari cantieri, di stabilire regole e codici urbani per le strade e gli edifici, codificare le dimensioni e i costi dei materiali da costruzione, determinare i salari di architetti e operai, raccomandare novizi meritevoli per la promozione, selezionare gli architetti per le campagne militari, preparare stime dei costi e i cronoprogrammi dei cantieri.

Oltre alle opere monumentali mirate ad accrescere la grandezza di Istanbul e altre città dell’impero, Sinan fu largamente impegnato nella progettazione dei cosiddetti Wafq (detti anche Wakif in turco). Con questo termine si indicano le fondazioni pie islamiche, istituzioni che concernevano beni materiali, fondate su un concetto religioso e devoto. Esso si presentava come un atto caritatevole, per il quale un individuo cedeva una sua proprietà “per amore di Dio” e con questo atto filantropico offriva aiuto e sostegno ai bisognosi in senso lato. Già dal XII secolo d.C. una quota considerevole di questi lasciti fu indirizzata verso le madrase per promuovere l’istruzione giuridico-religio-

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sa. Un tipico Waqf era costituito solitamente di una moschea e di locali da affittare (spesso un caravanserraglio), la cui rendita sosteneva la gestione e la manutenzione della moschea. I committenti dei Waqf non erano soltanto i sultani stessi, ma molto spesso anche principi, principesse, dignitari di corte o ricchi mercanti.6

^ X. L’astronomo Takiyüddin e i suoi colleghi all’osservatorio di Galata, 1581

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3. Rüstem Pasha Tra i vari committenti illustri di Mimar Sinan, si distinse per la quantità e la qualità delle opere ordinate il gran visir di Solimano il Magnifico, Rüstem Pasha. La carriera di questo dignitario è l’esempio lampante di come fosse possibile, nell’impero Ottomano, raggiungere la fama e il potere grazie alla pura e semplice meritocrazia (così come quella di Sinan, d’altronde).7 Nato in un villaggio vicino a Sarajevo da una famiglia umilissima, nel 1500 circa, Rustem Pasha lavorò da bambino come guardiano di porci. Giunto a Costantinopoli ancora in tenera età, entrò a corte come paggetto. Grazie alle doti fisiche e all’ambizione sfrenata, ebbe una folgorante carriera militare, entrando nelle doti del sultano e della sua sposa preferita Roxelana, tanto che riuscì a sposarne la figlia, Mihrimah Sultana.

Mihrimah è stata una figura femminile di grandissimo interesse storico: si discostava dal modello abituale delle principesse imperiali della storia ottomana: era attiva negli affari politici sia interni che esteri ed aveva chiaramente accesso a notevoli risorse economiche, che usava spesso per commissionare opere architettoniche ed artistiche.8 Grazie all’appoggio della moglie e della suocera, Rüstem divenne gran visir per due diversi periodi; il primo dal 1544-1553 e il secondo dal 1555 fino alla sua morte, nel 1561. Come Gran Visir raggiunse un’enorme ricchezza, tanto che alla sua morte i suoi beni personali includevano numeri impressionanti: 815 terreni e villaggi annessi in Rumelia e Anatolia, 28 caravanserragli, 7 scuole elementari, 20 fontane pubbliche, 5 bedesten, 11 mulini ad acqua, 476 frantoi, 1700 schiavi, 2900 cavalli da guerra, 1106 cammelli, 8000 Corani e molto altro ancora.9

^ XII.Miniatura ottomana di Rüstem Pasha, XVI sec.

< XI. Il cortile della moschea di Solimano

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Figura estremamente controversa, usò la sua intelligenza per arricchire le casse dello stato e per accrescere la grandezza del sultano, ma venne accusato più volte di favorire corruzione e intrighi a corte. Scrittore elegante, redasse una Cronaca dell’Impero Ottomano (Tawarikh-i Al-i Othman) e protesse gli studi storiografici. Rüstem Pasha era anche estremamente religioso, e incline ad istituire fondazioni pie; numerosissimi furono i caravanserragli , che offrivano cibo e ristoro alla popolazione, moschee, scuole e biblioteche da lui fondati e realizzati da Mimar Sinan. Ad Istanbul, si distingue fra tutte la Rustem Pasha Camii, nel rione di Tahtakalé sul Corno d’Oro, prezioso scrigno di ceramiche d’Iznik di ogni varietà.10 < XIII. Rudolf Ernst, la moschea di Rüstem Pasha, 1887

^ XIV. Cristofano dell’Altissimo, Ritratto di Mihrimah, 1541

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Il Rüstem Pasha Han

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1. San Michele in Galata San Michele, San Domenico e Paolo, San Francesco, San Giorgio, Sant’Antonio, San Pietro, San Benedetto, San Giovanni Battista e Sant’Anna furono le maggiori chiese cattoliche del periodo genovese a Galata, alcune edificate ex-novo oppure su già esistenti chiese ortodosse. Tuttavia delle nove chiese conosciute che caratterizzavano il paesaggio urbano di Galata fino all’inizio del XVII secolo, ne restavano solo tre nel 1665, a cui si aggiungevano alcune cappelle di rito latino, destinate a diminuire ulteriormente all’interno del quartiere a causa del divieto di costruire nuove strutture di culto non islamico (divieto abolito nel Hatt-I Humayun del 1856). Molte di queste strutture andarono perdute a causa dei numerosi incendi che distrussero la città e della mancanza di fondi per la ricostruzione. Questi spazi dedicati al culto di Cristo si trovavano al centro delle relazioni tra comunità cattolica e potere ottomano, sia per la loro manutenzione e gestione, che per l’organizzazione di eventi religiosi, divenendo ragione di continuo contatto con le autorità musulmane.

< Disegno di Le Corbusier da Le Voyage D’Orient: Il Topkapi Sarayi

Le origini della chiesa di San Michele risalgono alla fase iniziale della colonizzazione genovese di Galata: la zona venne assegnata ai genovesi dall’imperatore bizantino Michele Paleologo nel 1267, poco tempo dopo la riconquista greca di Costantinopoli. La colonia era amministrata – per quanto concerneva la sfera civile – da un podestà, nominato annualmente dalla repubblica: i coloni galatioti sentirono inoltre il bisogno di dotarsi di una serie di leggi per regolare l’amministrazione della colonia: tali atti – elaborati e redatti nella seconda metà

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del Duecento – vennero raccolti in Statuti ed completati nei primi due decenni del secolo successivo. Riguardo poi l’esercizio della religione, le concessioni bizantine avevano previsto la possibilità per i genovesi di erigere proprie chiese, consacrarle al cattolicesimo, officiarle secondo il rito romano e con un proprio clero. Le notizie riguardo i primi tempi della chiesa sono ricavate principalmente dallo studio del Registro della Curia Arcivescovile di Genova effettuato da Luigi Tommaso Belgrano, a fine ‘800. Belgrano ritiene San Michele la più antica fra tutti gli edifici sacri eretti a Galata dai genovesi ed evidenzia che la carica di superiore della chiesa venne a coincidere con quella di vicario generale dell’arcivescovo di Genova nella colonia. È pertanto necessariamente al primo periodo genovese – a cavallo tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta del Duecento – che va fatta risalire la fondazione del tempio.1 Si trovava a sud delle piazza genovese principale nel quartiere denominato Londja, tra la porta Comega e quella del mercato del pesce, in prossimità sia dell’area di scambio che del porto commerciale, costruita a ridosso delle antiche mura genovesi.

Insieme a San Francesco e San Domenico e Paolo, costituivano le tre chiese i cui campanili caratterizzavano i confini della Platealonga nonchè lo skyline della colonia fino al 1348. Inoltre, se fino al 1315 si trovava immediatamente a est del vecchio palazzo comunale, la chiesa rimase collegata direttamente alla nuova Loggia tramite la maggiore arteria di collegamento nordsud, la Persembe-Pazari caddesi, che ha continuato ad essere tale fino al 1845, ovvero alla costruzione del ponte di Karaköy.2 San Michele subì pesanti danni nel 1296, in seguito all’attacco navale scagliato dalla flotta veneziana all’insediamento genovese di Galata: superiore della chiesa era all’epoca il prete Pagano da Caranza, nominato tre anni prima dall’arcivescovo Jacopo da Varazze. La chiesa venne immediatamente ricostruita

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I. Un capitello della cattedrale genovese all’interno della corte, oggi usato come fontana >

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dai genovesi e subito nuovamente sottoposta alla giurisdizione dell’arcidiocesi: l’arcivescovo incaricò dell’amministrazione del complesso per dieci anni il prete Aldebrando di Corvara (1297), con l’obbligo di un censo variabile da 50 a 30 lire. Aldebrando non restò superiore della chiesa per tutto il tempo concordato, dato che nel 1303 – anno in cui venne stabilita la delimitazione territoriale della colonia galatiota – come preposto di San Michele figurava il prete Gualtiero da Vezzano. Nel periodo ottomano risulta conosciuta come Kilīsā al-Efrenjiyīn.

Nel corso del XVI secolo subì anch’essa il destino di essere confiscata ed abbattuta.

2. Il Rustem Pasha Han, o Kursunlu Han Storia Sotto la dominazione ottomana, perpetuandosi fino ad oggi, il principale centro commerciale di Galata si sviluppò in quest’area tra le vecchie porte di Yagkapani e Balikpazari. In questa zona Rustem Pasha possedeva vari negozi e magazzini dove venivano depositate le merci in arrivo dal Mar Nero, le quali restavano in transito a Galata in attesa di essere poi inviate verso le rotte commerciali europee, e dove arrivavano quelle provenienti da Venezia, in particolare tessuti e cristalleria.3 Si è gia parlato di come Mimar Sinan avesse già ampiamente lavorato per la famiglia del Sultano e di come fosse tenuto particolarmente in considerazione proprio dalla moglie di Rustem Pasha e figlia di Solimano, Mirimah.

Dunque, a seguito di un incendio che distrusse buona parte di questi edifici, il gran visir ordinò proprio a Mimar Si-

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nan di abbattere ciò che restava della chiesa genovese di San Michele e costruire un caravanserraglio, dove avrebbe potuto sistemare le merci e ospitare viandanti; i proventi della struttura sarebbero serviti come fondi da donare alla moschea di Rustem Pasha, dal lato opposto del canale.

Si ipotizza che il caravanserraglio sia stato costruito tra il 1554 e il 1560.4 Peter Gyllius, storico e topografo francese che soggiornò a Costantinopoli tra il 1554 e il 1557 in cerca di antichi manoscritti per conto di Francesco I, parla proprio di un caravanserraglio costruito sulle rovine della chiesa genovese di San Michele nel suo scritto “De Topographia Costantinopoleos”.

In effetti, alcuni giunti e pilastri al piano terreno sembra siano frammenti delle pareti e degli arredi sacri di San Michele. Il

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^ II. Il Rüstem Pasha Han nell’illustrazione di Benjamin de Combes, Veue de la ville et du port de Costaninople, 1686

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capitello corinzio marmoreo che si incontra immediatamente all’ingresso del caravanserraglio, oggi capovolto e utilizzato come base per una pompa ad acqua, è sicuramente uno spolium della ex chiesa genovese. Altre piccole porzioni di marmo possono essere osservate anche lungo tutta la pavimentazione.

Il caravanserraglio venne dunque utilizzato come deposito merci e come ostello per i numerosi viaggiatori e mercanti che sostavano a Galata in arrivo dalle rotte commerciali asiatiche verso l’Europa o viceversa. E’ probabile che al suo interno si svolgesse anche un piccolo bazar, nonostante la prossimità di pochi metri con il Galata Bedesten (“mercato coperto”), risalente al periodo di Mehmet II, quindi anteriore di circa un

III. Il Rüstem Pasha Han nell’illustrazione di Henry AstonBaker, Panorama of Costantinople and environs, 1801 >

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secolo. La sua funzione rimase invariata presumibilmente fino agli inizi dell’800: in questo periodo perse la funzione di ostello e divenne un luogo di stoccaggio e centro produttivo di svariate tipologie di merci: canapa grezza, cordame, botti di legno e materiali nautici, come testimonia lo storico francese Robert Mantran. Diversi documenti d’archivio datati tra il 1896 e il 1903 provano invece che il Rustem Pasha Han ospitava dei laboratori di tipografia di cittadini istanbuliti non musulmani (principalmente di origine greca). Le attività tipografiche andarono avanti fino agli anni ’20 del ‘900, quando il caravanserraglio divenne un deposito di alcolici provenienti perlopiù dalla Russia. Altri documenti relativi a questi anni dichiarano che erano presenti anche dei laboratori di produzione di acqua di colonia. 5 Oggi, il caravanserraglio è noto tra la gente del quartiere sopratutto con l’appellativo di Kursunlu (“piombo”) Han, per le attività che vi si sono stabilite dalla seconda metà del ‘900 e che in parte esistono tuttora: molti degli spazi dell’edificio sono infatti usati come botteghe da artigiani che lavorano il ferro e il piombo e producono pezzi metallici per ingranaggi o macchinari, in particolare al piano terra. Essi convivono con rivenditori di oggetti più recenti e moderni come ricambi per moto, articoli per elettricisti e ferramenteria. Al piano superiore è presente l’atelier di uno scultore, uno studio di interior e product design e un laboratorio di oggetti artistici in ferro. La presenza di questo genere di attività in un contesto come il Kursunlu Han dimostra come l’arte e il design contemporanei stiano sempre più mettendo piede a Galata, in alcuni casi riuscendo a convivere e ad amalgamarsi con le attività tradizionali del quartiere.

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Struttura L’edificio è orientato su un asse est-ovest, con i due ingressi principali sulle rispettive facciate. Oggi l’unico ingresso rimasto è quello dal lato est, che si affaccia su Kardesim Caddesi, in quanto l’altro è bloccato dagli edifici adiacenti, così come i lati nord e sud.

A sud-ovest si possono ancora osservare dei resti dell’antica muraglia che circondava Galata (d’altronde San Michele era costruita in adiacenza ad essa).

La corte centrale ha una forma rettangolare pressoché regolare (di metri 43,2x8,1), sviluppata su due piani, caratterizzati da due ordini di arcate sovrapposte: al piano terra archi a tutto sesto, al primo archi influssi ottomani. Le stanze interne invece hanno dimensioni variabili, in quanto seguono un andamento piuttosto irregolare per, adattarsi allo spazio urbano in cui vennero inserite.6 < IV. Foto del Rüstem Pasha Han, 1950 ca.

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Al primo piano sono presenti 30 camere e uno spazio utilizzato come bagno, mentre al piano terra 27, tutte coperte da volte a botte con unghia. Le camere al primo piano, al contrario di quelle al piano terra, sono finestrate e molte conservano ancora i piccoli caminetti originali.

Le stanze si affacciano su un portico continuo su tutto il perimetro della corte e coperto da archi a crociera in mattoni, oggi in gran parte intonacate.

Per accedere al piano superiore è necessario utilizzare una scala esterna collocata al centro della corte, che divide il cortile in due lati. L’attuale posizione e composizione delle scale si può

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^ V. Il caravanserraglio nelle mappe di Charles Edward Goad, da il Plan d’Assurance de Costaninople, Volume II, 1905

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osservare già nelle mappe Goad realizzate tra il 1904 e il 1906 e in fotografie degli anni ’50.

I pilastri che sorreggono le arcate sono in pietra calcarea, mentre gli archi e le volte in mattoni. I blocchi di pietra si ritrovano anche nei muri esterni della struttura, disposti a fasce alternate a fasce in mattoni a creare un motivo decorativo semplice e lineare. Si tratta di pietra calcarea chiara, materiale che si può ritrovare in moltissimi edifici di Istanbul di quel periodo; veniva infatti estratta dalle cave di Sefakoy e Bakirkoy, poco fuori città.

I cornicioni sono rifiniti con una bordura ornamentale di due filari di mattoni disposti ad angolo, intercalati da bande piatte.

Questa tipologia di fregio, detta “a porcospino” è tipica dell’architettura ottomana e si può ritrovare in molti altri caravanserragli urbani di questo periodo (un esempio analogo è l’Ipek Hani a Bursa).7 Sono presenti dei volumi addizionali con tetto a capanna, costruiti sulla copertura originaria (sopra la stanza centrale della facciata sud e sopra le quattro stanze ad est della facciata nord) la cui datazione è incerta (si ipotizza che furono costruite nella prima metà del 1800, in quanto non sono presenti nell’illustrazione di Henry Aston Barker del 1801 ma lo sono in una fotografia del 1854 dello storico inglese James Robinson). Questi spazi sono attualmente inaccessibili per rischio di cedimenti.

La scarsissima cura che viene riservata all’edificio ha causato svariati danni e degradi: efflorescenze, crescita di piante ed erbacce sulla copertura e sulla struttura stessa, crepe, fessurazioni, erosione dei materiali. Oltre ai due piccoli magazzini in calcestruzzo che sono stati aggiunti nella corte centrale, in corrispondenza delle scale, che vanno a coprire completamente due archi della facciata sud, interi locali sono completamente riempiti di botti e scatoloni, rendendo pressoché impossibile comprendere la morfologia della struttura.

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L’uso improprio sia degli esterni che degli interni da parte degli artigiani e dei commercianti che risiedono nel caravanserraglio (utilizzo di macchinari e strumenti invasivi, attività “violente” sulla struttura e sui materiali come saldature su metalli, martellamenti, spostamenti di carichi ed ingombri eccessivi per una struttura già molto compromessa dal tempo e via dicendo) e rappezzamenti di scarsissima qualità (principalmente tramite cemento o materiali quali lamiere ed elementi metallici) denunciano la totale inconsapevolezza nei confronti valore di un edificio storico così prezioso e significativo per la storia di Istanbul.8

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^ VI. Foto del Rüstem Pasha Han, 1950 ca.

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3. Raccolta di fotografie

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Bibliografia

Crediti alle immagini

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I. Foto dell’autrice II. https://www.davidrumsey.com III. https://www.davidrumsey.com IV. https://www.archives.saltresearch.org V. https://www.archives.saltresearch.org VI. https://www.archives.saltresearch.org

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Il Rilievo

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1. Premessa: il workshop e gli obbiettivi Il rilievo del Rustem Pasha Han è stato svolto durante il workshop internazionale “Urban Facade: Istanbul Waterfront” che si è tenuto a Istanbul a marzo 2019, grazie alla collaborazione tra l’Università Özyeğin di Istanbul, l’Università degli Studi di Firenze e l’Università di Parma.

Le attività sono state svolte sotto la guida di tutor internazionali e il seminario è stato accompagnato da lezioni e letture su argomenti urbani e architettonici rilevanti.

Il workshop ha avuto la durata di una settimana, e gli studenti si sono divisi in due team: uno destinato a produrre elaborati grafici per proporre delle nuove soluzioni architettoniche per il waterfront di Galata, e uno per occuparsi del rilievo dell’area.

Le operazioni di rilevamento sono state condotte utilizzando strumentazione di alto livello, e i partecipanti hanno avuto modo di imparare come gestire questo genere di operazioni in un ambiente urbano estremamente denso e peculiare.

< Disegno di Le Corbusier da Le Voyage D’Orient: Moschea di Nurruosmaniye

L’uso del laser scanner 3D è stato integrato con approcci basati su strumenti di fotografia e fotogrammetria, il tutto volto a leggere e ad avere una descrizione ben dettagliata del rapporto tra il luogo, gli usi, le stratificazioni, le trasformazioni e gli elementi più rilevanti in termini di qualità e valore del patrimonio.

E’ stata soprattutto realizzata un’accurata base di documentazione per supportare eventuali studi futuri e approfondire la conoscenza di questa parte della città così complessa e in continua evoluzione.

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2. Acquisizione dati e metodologia adottata Il progetto di documentazione del caravanserraglio è stato eseguito con diverse metodologie, integrando l’annotazione diretta in situ con le tecnologie di rilievo digitale. Le attività di rilievo sono state organizzate in tre fasi: il sopralluogo, il rilievo con laser scanner e il rilievo fotografico.

Nella prima sono stati riportati, attraverso annotazioni e schizzi a mano libera, le qualità e le dimensioni approssimative del caravanserraglio. In questa fase è stato necessario effettuare fotografie e misurazioni per comprendere appieno le caratteristiche costruttive e la composizione della muratura. Questo primo passaggio è stato utile per evidenziare le peculiarità dell’edificio e per organizzare le attività successive, in base al tempo a disposizione e al fine del rilievo.

Il rilievo digitale integrato, effettuato con laser scanner e fotografia, ha permesso di documentare in modo efficiente ed accurato un edificio così articolato e complesso. I dati ottenuti dal rilievo laser scanner, eseguito lungo il perimetro esterno del caravanserraglio e nel cortile interno a livello del piano terra, sono stati integrati con i dati acquisiti dalla fotogrammetria dei portici a livello del piano terra e del piano primo. A causa delle limitazioni di accesso imposte dalla proprietà, non è stato possibile entrare negli spazi interni delle botteghe con il laser scanner. Sono state tuttavia effettuate delle trilaterazioni in alcune delle stanze del primo piano.

I diversi dati sono stati elaborati e integrati per fornire un’immagine 3D complessiva dell’ architettura con informazioni me-

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< I. Il rilievo laser scanner all’interno del caravanserraglio

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triche, morfologiche e materiche. La realizzazione di un rilievo tridimensionale è interessante anche al fine di analizzare l’architettura e il suo sviluppo, per meglio comprendere e ricreare le tracce della trasformazione che ha interessato l’edificio e il territorio circostante negli anni.1

Il rilievo laser scanner Il rilievo laser scanner è stato pianificato in modo da ottenere una documentazione completa delle facciate esterne ed interne del caravanserraglio, compreso il perimetro dell’isolato urbano che lo racchiude. Lo scopo di questa ricerca non è stato solo quello di analizzare l’architettura, ma anche di descrivere come il caravanserraglio si fonde con l’ambiente circostante e nel tessuto urbano di un tratto del lungomare di Galata.

Il lavoro è stato distribuito principalmente in due giornate: la prima incentrata sullo studio delle facciate che caratterizzano il waterfront o e la seconda sul cortile interno del caravanserraglio. Lo strumento utilizzato dal team di rilievo è stato il Leica Geosystem ScanStation C10, un laser scanner a luce pulsata con raggio di acquisizione di 300 metri.

Il Leica C10 acquisisce punti su un campo orizzontale di 360° e di 270° in verticale. Ogni punto acquisito viene misurato con una precisione di circa 4 millimetri ad una distanza di 10 metri su materiali con riflettenza media. Tutto il lavoro del laser è stato pianificato per ottenere una nuvola di punti ben bilanciata e con un adeguato livello di definizione sia architettonico che urbano, considerando una griglia di un punto ogni centimetro a dieci metri di distanza per quasi tutte le stazioni di scansione.

Questo laser scanner ha anche la possibilità di utilizzare il suo telecamera interna per mappare i colori della nuvola di punti raccolta con delle sequenze di immagini panoramiche, copren-

II. Il laser scanner all’interno del Persembe Pazari >

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do senza errore di parallasse lo stesso campo visivo del sistema laser di misura. Questa funzione, anche se richiede tempo (richiede circa lo stesso tempo della scansione della nuvola di punti stessa), è risultata piuttosto utile nella documentazione del quartiere di Beyoğlu. La fotocamera integrata permette l’acquisizione di immagini ad alta risoluzione, attraverso le quali il laser scanner opera una mappatura delle texture sulle scansioni, fornendo dati metrici e cromatici affidabili.2 Per acquisire i dati del perimetro dell’intero isolato urbano sono state effettuate 42 scansioni distanti circa 10 metri l’una dall’altra. La scansione dell’intero blocco urbano ha permesso di documentare tutte le facciate degli edifici che inglobano il caravanserraglio e di individuare e misurare le piccole porzioni delle mura originarie dell’han visibili dall’esterno. Il cortile interno del caravanserraglio è stato rilevato tramite 10 scansioni, eseguite al piano terra e sopra lo scalone centrale. La mancanza di dati laser scanner al primo piano, causata da problemi di autorizzazione da parte dei proprietari dell’edificio, è stata successivamente integrata tramite un’accurato rilievo fotogrammetrico.

Il rilievo fotogrammetrico Il rilievo fotogrammetrico del caravanserraglio ha incluso una documentazione fotografica generale e di dettaglio dell’edificio e un’acquisizione di dati fotografici tramite la tecnica Structure from Motion (SfM).3 Dal momento che non è stato possibile accedere con il laser scanner al piano superiore del caravanserraglio, è stato effettuata una dettagliata campagna di fotogrammetria lungo tutto il loggiato del piano superiore.

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Sono state utilizzate quattro fotocamere digitali: una Nikon D800E con un obiettivo da 24-120 mm, una Nikon D3200, una Nikon D3100 e una Canon EOS 500D con obiettivi da 18-55 mm e una risoluzione di 24 mp. La documentazione fotografica non ha richiesto settaggi particolari, mentre per la tecnica SfM sono state impiegate la minima lunghezza focale, la sensibilità ISO più bassa, il valore F-stop il più alto e il tempo di esposizione il più veloce possibile, in base alla luce naturale del momento, in modo da ottenere immagini prive di disturbo e non sfocate.

Prima dell’elaborazione dei dati, tutte le foto sono state catalogate e organizzate in cartelle diverse, a seconda della porzione di edificio a cui si riferiscono.

La documentazione fotografica è stata utile per ottenere alcune immagini di contesto del caravanserraglio, dalle strade esterne, dal cortile interno e dalla parte accessibile del tetto.

Sono state scattate immagini più ravvicinate per i dettagli morfologici d’interesse quali superfetazioni, aggiunte, spolia, segni di degrado superficiale.

Quando necessario, in alcune foto è stato utilizzato un metro a nastro per dare un’idea della scala. La campagna fotografica si è rilevata necessaria per completare le parti dell’edificio che non è stato possibile rilevare tramite il laser, ottenendo dati digitali completi delle facciate e del loggiato con le volte a crociera del primo piano.4

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3. Elaborazione dati Autodesk ReCap Le scansioni acquisite sono state elaborate e registrate in un unico sistema di coordinate con Autodesk ReCap 2019 e Leica Cyclone 9.0, usando in entrambi i casi procedure di registrazione automatiche, che hanno dato risultati soddisfacenti usando soltanto riferimenti morfologici nelle aree in comune tra i vari scan, ottenendo una nuvola di punti colorata ed ad alta densità dell’area.

I dati finali sono stati poi esportati in formato Autodesk ReCap, dotato di un interfaccia più moderno ed immediato, utilizzabile con una licenza gratuita per usi accademici, e meglio supportato da programmi quali AutoCAD, Revit e 3D Studio Max.5

< III. Rilievo fotogrammetrico all’interno del caravanserraglio

IV. Screenshot della nuvola di punti da Autodesk ReCap >

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Reality Capture RealityCapture è un software di fotogrammetria automatica SfM sviluppato da Capturing Reality che permette la creazione di modelli 3d.

La Structure from Motion (SfM) è una tecnica di range imaging che, partendo da punti estrapolati da immagini 2D, permette la ricostruzione di oggetti tridimensionali sotto forma di mesh texturizzate, restituendo efficacemente l’oggetto rappresentandolo sia da un punto di vista visuale, riportandone fedelmente le caratteristiche morfologiche e cromatiche, sia da un punto di vista metrico, garantendone l’affidabilità. La procedura seguita è quella prevista dal workflow del programma, con l’importazione delle fotografie, sulle quali si possono marcare un adeguato numero di punti condivisi (control points) procedendo poi con l’allineamento delle immagini e la creazione di una nuvola di punti sparsa. Dalla nuvola densa si ottiene un modello mesh, ovvero descritto da superfici poligonali. Il programma lo calcola automaticamente sulla base della nuvola di punti e di alcuni parametri riguardanti la decimazione del numero di poligoni. Una volta ottenuto questo modello, si procede con la fase di texturing, al termine della quale il 3d risulta molto dettagliato e realistico. A questo punto si possono esportare snapshot e ortofoto ad alta definizione.6

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^ V. Screenshot dal modello fotogrammetrico elaborato tramite RealityCapture

< VI.Sezione ottenuta dal modello fotogrammetrico

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3. Integrazione e restituzione I due modelli ottenuti da ReCap e RealityCapture sono stati uniti per poter ottenere un oggetto 3D con il massimo livello di dettaglio possibile e per poter integrare il rilievo laser della corte al piano terra con quello fotogrammetrico del loggiato del primo piano.

Infatti tramite il comando di RealityCapture “Laser-scan Import” è possibile inserire una nuvola di punti da formato PTX o E57.

Una volta caricata nello stesso file dove è presente il modello fotogrammetrico basterà avviare la fase di “reconstruction” del programma che allineerà automaticamente i due modelli se sarà in grado di riconoscere i punti in comune. In questo caso i due modelli sono stati integrati senza particolare difficoltà, riuscendo così a ottenere un 3D completo di tutta la corte e di entrambi i loggiati.

Il modello ha presentato alcune imperfezioni nella colorazione e delle piccole parti mancanti. Il primo problema è stato causato dalla differenza cromatica tra le immagini della nuvola di punti e le foto del modello RealityCapture, dovute anche al fatto che durante i tre giorni di campagna il meteo, e di conseguenza la luce naturale, è stato molto variabile. Il secondo problema è invece dovuto alla massiccia presenza di ingombri (scatoloni, materiale edile, merce) disseminati per tutto l’edificio. Entrambe le problematiche sono state ovviate il più possibile tramite post produzione su Adobe Photoshop CC.7 La possibilità di incrociare i dati ottenuti da modelli di natura differente risulta essenziale in casi come questo, in cui non si è potuto, durante la campagna, effettuare rilievi lineari o al cento per cento completi tramite scanner laser o fotogrammetria, per mancanza di tempo o per cause di forza maggiore.

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Una volta ottenuto il modello finale, modificando le dimensioni della reconstruction region a seconda della porzione dell’oggetto interessata, sono state esportate le sezioni, sotto forma di ortofoto, che sono servite come basi per i ripassi su AutoCAD. Le immagini sono state dimensionate tramite le misure ottenute dalla nuvola di punti ReCap.8 Nei ripassi è stata rispettata una gerarchia negli elementi architettonici dell’edificio, ad esempio fra i contorni degli archi in facciata e i materiali quali pietre e mattoni, distinguendoli fra loro tramite linee più o meno spesse e in scala di grigi più o meno tenui.

I rilievi delle stanze interne del caravanserraglio sono stati integrati tramite i disegni di un rilievo precedente effettuato dallo studio di architettura EBG Mimarlik & Restorasyon di Istanbul.

Le ortofoto esportate per ottenere i fotopiani delle facciate sono state perfezionate su Adobe Photoshop, grazie al quale si sono corretti alcuni problemi cromatici del modello e sono state integrate delle parti mancanti tramite le fotografie scattate in situ.9

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Pianta Piano Terra

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Pianta Piano Primo

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Pianta Coperture

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Sezione versante Nord

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Sezione versante Sud

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Sezione versante Est

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Sezione versante Ovest

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4. La zira: il cubito di Sinan Durante il suo incarico di architetto imperiale, Sinan fu responsabile della costruzione di oltre 470 edifici, di ogni dimensione e tipologia. Purtroppo, la maggior parte dei metodi da lui adottati per modellare, dimensionare e costruire questi edifici sono sconosciuti a causa della scarsità di disegni e documenti risalenti a quegli anni. I documenti più antichi che descrivono l’architettura ottomana consistono in un numero limitato di piante, schizzi e perizie estimative che possono essere trovati negli Archivi del Primo Ministero Ottomano e negli Archivi del Museo del Palazzo Topkapı. Tra questi documenti, l’unico vero disegno di Sinan riguarda il progetto dell’acquedotto di Kirkcesme.

Gli studi sulla tecnica costruttiva del Maestro sono quasi sempre incentrati sulle moschee imperiali di Istanbul, per le quali Sinan utilizzò tutta la sua fantasia progettuale in maniera ogni volta differente, e della quali seguiva l’evoluzione in cantiere personalmente.

Tuttavia, dal momento che la produzione di Sinan fu vastissima e spesso simultanea nel tempo, si pensa che potesse utilizzare dei sistemi che permettessero la progettazione di edifici stabili e proporzionati in breve tempo, specialmente per quelli di minore importanza, la cui esecuzione veniva seguita da altri architetti da lui delegati.

Alcuni studi effettuati da dei ricercatori della Mimar Sinan Fine Arts University di Istanbul su moschee e complessi edilizi a Catalca, in provincia di Istanbul, hanno dimostrato che spesso Sinan si serviva di una griglia modulare che seguiva un’unità di misura impiegata dagli architetti ottomani, la zira. La zira deri-

^ VII. Ritratto di Sinan con un’asta di misurazione, 1579

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verebbe dall’aršin, antica unità di misura persiana che fu adoperata nell’impero russo e nei paesi balcanici per indicare l’unità di misura di lunghezza nel XVI secolo. Il termine aršin, giunto in Russia e Turchia tramite il tartaro, in lingua persiana significa “cubito”. Nel XVIII secolo Pietro il Grande ne fissò il valore a 28 pollici anglosassoni, corrispondenti quindi a 71,12 cm del sistema metrico decimale. In Bulgaria corrispondeva a 75,8 cm.

In Turchia,dove l’ aršin veniva anche chiamato zira, corrispondeva a 75, 7738 centimetri.

Sovrapponendo una griglia modulare da 1/2 zira sui rilievi delle piante e dei prospetti effettuati sul Rüstem Pasha Han, è stato possibile determinare che molto probabilmente Sinan se ne servì anche per questo edificio. Le misure della corte centrale e dei prospetti sembrano essere effettivamente multipli di questa unità di misura. Questo non vale invece per le stanze interne, la cui forma irregolare suggerisce che sia frutto di un adattamento allo spazio disponibile.

L’utilizzo di questo sistema denota quanto fossero avanzate la tecnologie costruttive in epoca ottomana, e quanto intensa fosse l’attività edilizia: la zira veniva infatti impiegata anche per calcolare tempi e costi di costruzione di un edificio. Dopo la fase di progettazione, infatti, gli architetti ottomani preparavano delle perizie estimative per determinare il costo approssimativo dell’edificio, che venivano poi presentate ai clienti.

Contando i quadrati della griglia, venivano calcolati i tempi di realizzazione e quindi il costo della manodopera e la quantità di materiale necessario.

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^ VIII. Diagrammi raffiguranti i rapporti proporzionali di Sinan nel caravanserraglio

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5. L'arco inflesso Osservando la facciata del Rüstem Pasha Han, ciò che salta maggiormente all’occhio - soprattutto ad un visitatore straniero - sono gli archi del primo piano e la loro forma peculiare e particolarmente evocativa. Questa tipologia di arco, denominata arco inflesso o a carena di nave è stata particolarmente utilizzata dall’architettura ottomana e si può ritrovare in molte strutture di Sinan.

Nella costruzione di questo arco, i centri dei due archi inferiori sono all’interno, mentre quelli superiori stanno al di fuori dell’arco inflesso. Quando entrambi i centri dei due archi inferiori coincidono, si crea una forma generale di arco inflesso.

Gli archi inflessi hanno in molti casi si presentano con l’intradosso a tutto sesto e l’estradosso invece cuspidato. E’ questo il caso del Rüstem Pasha Han. Pare che l’arco inflesso abbia avuto origine in India, ove già dal III secolo a.C. gli ingressi ai conventi sotterranei buddisti Erano realizzati in questo modo. Le ragioni che stanno alla base di tale aspetto non sono chiare, tuttavia sono simili alle foglie del fico sacro o a un atteggiamento di preghiera diffuso in India con mani giunte alzate sopra il capo.

Nel centro e nord Europa comparvero gli archi inflessi, a parte poche eccezioni, solo dal XIII/XIV secolo nel tardo-gotico, primi esempi dei quali valgono generalmente alcune croci di Eleonora in Inghilterra.

In Italia, questi archi si possono trovare con ampia diffusione nell’architettura veneziana, che prese spunto proprio da quella bizantina.

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< IX. Costruzione geometrica dell’arcio inflesso

< X. Schema degli archi inflessi del Rüstem Pasha Han

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Bibliografia

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I-VI. Foto dell’autrice VII. Da Necipoglu Gülru, The age of Sinan: architectural culture in the ottoman empire, Reaktion books, Londra, 2005 VIII-X. Elaborazioni dell’autrice

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Il Progetto

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1. Premessa: Istanbul e l'arte contemporanea

< Disegno di Le Corbusier da Le Voyage D’Orient: Interno di Santa Sofia

Fin dalla proclamazione della Repubblica nel 1923, la cultura e le politiche culturali hanno rivestito un ruolo preminente nella fondazione di una Turchia moderna e nel rafforzamento di un’identità nazionale. Domanda e produzione artistica culturale sono stati infatti da sempre associati al concetto di modernità promosso dallo Stato. Il 1963 segnò la nascita del primo piano quinquennale di sviluppo, in cui vi erano delineate, oltre alle strategie economiche, delle linee guida per le politiche culturali, le quali però si rivelarono nella maggior parte dei casi fallimentari, in quanto la loro implementazione non portò ai risultati attesi. Il problema principale si riscontrò nel fatto che, a differenza di quelli prefissati per la produzione industriale, nel campo della cultura non erano presenti né obiettivi a medio o lungo termine né meccanismi di controllo per la misura e valutazione dei risultati.1 In Turchia le priorità in ambito culturale furono quasi sempre soggette al cambiamento delle inclinazioni politiche ed economiche del partito eletto in un preciso periodo e questo è probabilmente uno dei motivi dell’incoerenza che si riscontra tra i diversi piani di sviluppo. L’unico punto fermo, presente in tutti i programmi, era l’immutabile accento all’importanza della conservazione del patrimonio storico per promuovere un’idea di cultura nazionale.2 Gli ultimi trent’anni son stati caratterizzati dall’aumento della mobilità di informazione, di capitale, di beni e servizi nonché di attori culturali e sociali. La globalizzazione ha portato ad un modello di ristrutturazione in linea con la concezione di “less State, more

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market”, in cui si è assistito all’aumento del potere finanziario e politico delle amministrazioni locali e alla mobilità di capitale nell’economia globale. In questo quadro concetti come identità locale, etnica e sociale, nonché quelli di citizenship, diritti culturali e sfera pubblica cercano visibilità e ricognizione in un contesto sempre più privatizzato.3 In questo senso, il panorama dell’arte contemporanea turca non fa eccezione. Grandi famiglie di industriali e organizzazioni finanziarie e bancarie hanno saputo cogliere le grandi potenzialità economiche offerte da questo settore e hanno iniziato ad investire ingenti capitali in progetti artistici e culturali. Si può affermare che ad oggi la maggior parte della grande vivacità artistica contemporanea della città si deve a fondazioni private. Il successo dell’arte contemporanea ad Istanbul non sorprende; come poche altre città possiede una vitalità urbana, una ricchezza e una diversità culturale, siti storici, dinamismo, cultura di strada e una forza giovane e qualificata che l’hanno da sempre resa e la rendono tuttora una città fortemente creativa.

A poche centinaia di metri dal Rüstem Pasha Han sorge il SALT Galata, esempio virtuoso per eccellenza tra gli interventi privati nel settore culturale di Istanbul. Inserita nella ex sede della Banca Ottomana in Bankalar Caddesi, ospita vari spazi espositivi, una biblioteca, un archivio, un auditorium e un ristorante, il tutto aperto liberamente al pubblico. Fondato nel 2001 grazie ai finanziamenti della Garanti Bank, il SALT ha contribuito grandemente ad attirare la scena artistica istanbulita nel quartiere, con la conseguente apertura di gallerie d’arte e piccoli centri culturali ed espositivi.4 Altro polo di attrazione dell’area è l’Istanbul Modern, il museo di arte contemporanea più importante del paese, a suo volta

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a conduzione privata. Aperto nel 2004 immediatamente ad est del Ponte di Galata, tra il Persembe Pazari e Tophane, è ora stato spostato dalla sua sede originaria (un ex cantiere navale affacciato sul Bosforo) e ricollocato temporaneamente a poche centinaia di metri, sulla collina di Beyoglu. La sede originaria del museo è stata demolita ed è in atto la costruzione di un nuovo edificio a opera del Renzo Piano Building Workshop. I finanziamenti del progetto sono forniti dallo sponsor ufficiale, il gruppo Eczacıbaşı, dal gruppo Doğuş, e dal consorzio del progetto di riqualificazione dell’area denominato GalataPort, per il quale sono stati investiti oltre 1,2 miliardi di dollari. Nonostante le numerose -e sicuramente in buona parte legittime- critiche al progetto, a causa del quale sono stati abbattuti numerosi edifici di valore storico della zona, il GalataPort andrà a rafforzare ulteriormente la presenza artistica a Tophane (e di conseguenza anche a Galata), quartiere tradizionalmente creativo grazie alla presenza della Mimar Sinan University of Fine Arts, che occupa gli spazi dell’ex arsenale di Tophane dal 1882.5

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I. La mostra Guests: Artists and Craft People all’Istanbul Modern, 2020 >

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2. Intenti La prima domanda che, da visitatori, ci si pone entrando per la prima volta all’interno del Rüstem Pasha Han è quasi sicuramente la stessa per tutti: “Com’è possibile che un edificio di tale importanza storica ed architettonica, in uno dei quartieri più centrali e gentrificati di Istanbul possa vessare in tali condizioni e riuscire a passare completamente inosservato ai più?”.

La risposta in realtà si può trovare piuttosto facilmente, con un minimo di consapevolezza nei confronti del tipico approccio turco verso i propri monumenti, numerosissimi e non sempre valorizzati al meglio (approccio che un italiano può forse comprendere in maniera più immediata rispetto a qualcuno appartenente ad altra nazionalità), e guardandosi intorno: è chiaro che il fittissimo tessuto urbano del Persembe Pazari, con tutte le sue stratificazioni, è riuscito negli anni a tenere “nascosto” il caravanserraglio.6 Dal momento che l’area non è generalmente frequentata da turisti, e il suo aspetto caotico può sicuramente risultare respingente per la maggior parte delle persone, la cura e la manutenzione dell’edificio sono state soggette solo ed unicamente ai suoi utenti, ormai da tempo immemore. Se questo da un lato ne accresce il fascino e lo rende un luogo fortemente autentico, non è pensabile che la sua rilevanza rispetto al patrimonio artistico nazionale continui ad essere ignorata e violata da interventi che ne minano gravemente l’integrità.

Inoltre, se le botteghe artigiane presenti all’interno dell’edificio sono certamente attività da preservare e valorizzare, è anche vero che molti spazi dell’han sono oggi inutilizzati o usati soltanto come magazzini, o peggio, soggetti ad usi inappropriati quali lavori di saldatura, battitura di metalli, uso di fiamme ossidriche e via dicendo.7

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Le proposte di intervento per salvaguardare e valorizzare l’edifico possono essere sintetizzate in questi punti: • • • • • •

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Sottoporre l’edificio a verifiche strutturali e studi fessurativi ed effettuare dove necessario eventuali consolidamenti Sostituire, dove possibile, i materiali mancanti sulle facciate e nella pavimentazione Rimuovere le aggiunte postume nella corte, liberando gli archi in facciata Rimuovere le scale attuali, troppo deteriorate per poter essere recuperate Ripristinare il secondo ingresso ad ovest in modo da poter reinserire appieno la corte all’interno dei flussi del bazar Progettare un nuovo collegamento verticale tra piano terra e primo piano, lasciando la corte più sgombra possibile per poter permettere la circolazione e il passaggio Dislocare tutte le botteghe degli artigiani al piano terra, occupando anche i locali vuoti o utilizzati come magazzini.

Negli spazi interni sottoposti ad attività particolarmente dannose, usare rivestimenti per proteggere le pareti Introdurre un adeguamento impianti eliminando così i numerosi cavi che ingombrano la corte e le facciate Rifunzionalizzare gli spazi del primo piano, in modo da poter recuperare l’antica funzione delle celle, utilizzandole come alloggi.

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3. Il progetto La base di partenza per rispondere alla volontà di riorganizzare gli spazi del primo piano è stata ricercata nell’identità originaria del caravanserraglio stesso, tramite una funzione che potesse ben inserirsi nel contesto, non snaturandolo ma anzi arricchendolo e apportando qualcosa di nuovo alla vita dell’edificio. La vicinanza con molti poli culturali della città, con numerose gallerie d’arte e con la Mimar Sinan University of Fine Arts ha suggerito da subito la ricerca di una funzione legata al mondo dell’arte contemporanea; questo, unito alla volontà di ripristinare l’antico carattere ricettivo della struttura, ha indirizzato la scelta verso la tipologia della residenza di artista.8 L’idea di artist residency nasce nei primi anni del Novecento ma si afferma negli anni Sessanta, con la funzione di soddisfare da un lato la necessità di isolamento come fuga dalla frenesia per riflettere sulla propria individualità e dall’altro di incontrare realtà particolari per fare della conoscenza reciproca un mezzo di riavvicinamento fra arte e comunità. Per questo spesso vengono ubicate in contesti peculiari dove vengono ospitati artisti di diverse nazionalità. La permanenza dell’artista può variare da poche settimane a svariati mesi (solitamente 1-3), ed è finanziata dalla fondazione/centro culturale che gestisce la residenza. Gli artisti sono generalmente tenuti a produrre delle opere che vengono poi esposte al termine del loro soggiorno in residenza.9 Nel febbraio del 2018 l’Istanbul Modern ha promosso un progetto denominato “Guests: Artists and Craftpeople”. In seguito ad un bando, dieci artisti provenienti da paesi diversi sono stati selezionati per trascorrere sei mesi ad Istanbul. Durante questo periodo, ogni artista è stato assegnato ad un artigiano della cit-

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tà, da cui ha potuto apprendere tecniche di lavorazione artigianale tradizionali (diversi tipi di lavorazione di metalli, ricamo, tessitura di tappeti, marmorizzazione della carta). Lavorando in simbiosi, artisti ed artigiani hanno esposto il frutto della loro collaborazione in una grande mostra collettiva all’interno del museo, attualmente in corso fino a marzo. Obbiettivo del progetto è quello di “guardare alla tradizione artigiana secolare di Istanbul tramite una lente contemporanea e dimostrare come le tecniche tradizionali possano essere re-interpretate ed utilizzate per la creazione di oggetti appartenenti al presente”.

In quest’ottica, il Rüstem Pasha Han può diventare un laboratorio di ricerca ideale, un luogo di confronto, di incontro e di contaminazione di idee, in cui l’attività degli artigiani può fornire ispirazione, suggestione e in cui la conoscenza reciproca può diventare un mezzo di riavvicinamento tra arte e comunità locale.

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II. Esploso assonometrico del progetto per il Rüstem Pasha Han >

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^ III. Vista frontale della nuova scala nella corte

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^ IV. Vista della corte del caravanserraglio

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V. Planimetria di progetto 1

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VI. Planimetria di progetto 2

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VII. Planimetria di progetto 3

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VIII. Planimetria di progetto 4

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IX. Planimetria di progetto 5

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176 X. Pianta, sezione e vista di una delle residenze

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178 XI. Pianta, sezione e vista degli spazi espositivi

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XII. Fotoinserimento della scala all’interno della corte del caravanserraglio

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Bibliografia

Crediti alle immagini

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