FASSA_dicembre2023

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sala&cucina n. 75 dicembre 2023 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Dicembre 2023

Come si cambia Iniziare il 2024 con spirito positivo

Gli Stati Generali della filiera Ho.Re.Ca.

Enrico Cerioni Miglior direttore di sala dell'anno per sala&cucina

questa rivista è offerta da


NATURA AD ALTA PRESTAZIONE

LA FARINA DEDICATA AI PROFESSIONISTI DELLA PIZZA. La qualità non è mai un caso e la ricerca dell’eccellenza è un impegno costante. Le nostre farine sono prodotte al 100% con energia proveniente da fonti rinnovabili e ogni giorno il nostro obiettivo è quello di garantire a tutti i professionisti che si affidano a Le 5 Stagioni elevata qualità e alte prestazioni.

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La redazione Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Luigi Franchi Direttore responsabile

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco. Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica

benhurtondini@salaecucina.it

luigifranchi@salaecucina.it

Marina Caccialanza

Simona Vitali

Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata una seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. Poi sono seguiti un corso di Alta Formazione alla scuola Holden e un master in Filosofia del cibo e del vino. Della ristorazione l’affascina il pensiero e la componente umana. Della formazione di settore segue movimenti ed evoluzioni.

marina.caccialanza@salaecucina.it

s.vitali@salaecucina.it

Giulia Zampieri

Gabriele Adani

Redazione

Grafico

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni. Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con la guida di Identità Golose.

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva. Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture. Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

giuliazampieri@salaecucina.it

grafica@salaecucina.it

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Le specialità di pesce come non le avete mai provate

Tutto il sapore della carne in prelibate bontà


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LA LETTERA APERTA

Come si cambia… | Luigi Franchi 9 L'EDITORIALE Iniziare il 2024 con spirito positivo | Benhur Tondini 10 IL CONFRONTO Enrico Cerioni | Luigi Franchi 15 I CUOCHI FIC: valorizziamo ogni giorno la cucina italiana nel mondo | Rocco Cristiano Pozzulo 17 LA NEUROVENDITA È il momento degli obiettivi | Lorenzo Dornetti 19 L’OLIO AL CENTRO Parola chiave: armonizzazione | Luigi Caricato 21 LA DIGITAL TRANSFORMATION Come ottimizzare i ricavi grazie (anche) alla tecnologia | Claudia Ferrero 23 SCIENZA E NUTRIZIONE Oggi, cosa c’e’ tra i secondi? | Ferdinando A. Giannone 24 LA RIFLESSIONE L’aspettativa che condiziona il piacere | Giulia Zampieri 27 L'EVENTO Oltre i Gesti, parte seconda | Guido Parri 32 IL DOCUMENTO La carta di Pietrasanta 34 LA FORMAZIONE Oltre l’ordinario | Simona Vitali 38 LA DISTRIBUZIONE Gli Stati Generali della Filiera Ho.Re.Ca | Luigi Franchi 44 LA DISTRIBUZIONE Il futuro va coltivato | Simona Vitali 46 IL VINO Andrea, Daniela e Colle Florido | Giulia Zampieri 49 IL TERRITORIO Aprirsi ai mieli | Simona Vitali 52 LA STORIA Talleyrand e la diplomazia a tavola | Alessia Cipolla 55 LE PERSONE Serata “Spalata” (che di più non si può) | Bruno Damini 58 AMODO LA RETE DEI RISTORANTI ETICI EVO | Giulia Zampieri 60 IL PRODOTTO Cotto di fichi | Antonella Petitti 64 LA NOVITÀ Il lievitato all’olio | Luigi Franchi 66 LA PRODUZIONE L'alternativa al fresco | Marina Caccialanza 69 LA PRODUZIONE Unika golden age | Guido Parri 70 LA PRODUZIONE Obiettivo sostenibilità | Marina Caccialanza 72 LA PRODUZIONE La farina giusta | Marina Caccialanza 74 LA PRODUZIONE L’Oliva Taggiasca e il DNA di una Cultivar | Marina Caccialanza 76 LA DISTRIBUZIONE Le intense giornate di Ristora Hotel Sicilia | Giulia Zampieri 78 LA DISTRIBUZIONE Grande successo per il primo Porta Aperte di Selezioni di Gusto | Luigi Franchi 82 I LIBRI Apriscatole - Storia di un attrezzo da cucina | Luigi Franchi

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sala&cucina n. 75 dicembre 2023 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Dicembre 2023

Come si cambia Iniziare il 2024 con spirito positivo

Gli Stati Generali della filiera Ho.Re.Ca.

Enrico Cerioni

Miglior direttore di sala dell'anno per sala&cucina

N° 75 dicmebre 2023 EDITORE Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it PRESIDENTE Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it COLLABORATORI ESTERNI Luigi Caricato, Alessia Cipolla, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Martina Manescalchi, Elena Monteverdi, Guido Parri, Antonella Petitti FOTOGRAFIE Fotografie: Archivio sala&cucina, Archivio Amodo la rete dei ristoranti etici, Bruno Damini, Greta Sartarelli * L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

RIVISTA PARTNER di AMODO

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

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2022

PROGETTO GRAFICO Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it STAMPA EDIPRIMA s.r.l. – www.ediprimacataloghi.com TIRATURA E DISTRIBUZIONE – 28.900 copie Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100 Costo copia mensile: 3,50 euro abbonamento annuo 30,00 euro Per abbonarsi: info@salaecucina.it

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La nostra Riserva, l’eccellenza dell’olio extra vergine di oliva appositamente selezionato dalla famiglia Cremonini per celebrare il 40° anniversario di Olitalia. Dedicata al nostro Fondatore Giuseppe Cremonini.


La lettera aperta Luigi Franchi

direttore responsabile

Un anno di luci e piccole ombre, per la ristorazione, questo 2023 che sta per finire. Piccole ombre se rapportato all’anno scorso che era stato straordinario dal punto di vista sia economico che di importanza sociale per l’intera filiera della ristorazione; ma quello era anche l’anno dell’avvenuta “libertà” dalla pandemia e gli italiani non avevano ancora ricominciato a viaggiare all’estero. Comunque anche il 2023 chiuderà con un piccolo segno più, un dato positivo per una ristorazione che sta cambiando pelle, a tutti i livelli. Quella fine dining si sta liberando dagli orpelli che la stavano portando fuori strada; i ristoranti più attenti alle diverse sensibilità degli ospiti hanno capito che diventava necessario realizzare piatti e menu più comprensibili, sempre con un’elevata qualità delle materie prime, e di adottare servizi di sala meno ingessati. Un esempio di come tutto questo funzioni ci viene da Lorenzo, lo storico ristorante di Forte dei Marmi, che sotto la guida di Chiara Viani ha saputo rispondere con grande intelligenza al nuovo corso. Ne parleremo nel primo numero del 2024. La ristorazione alla portata di tutte le tasche, invece, ha capito che non si può più restare sul mercato se si utilizzano materie prime di bassa qualità e personale avventizio. Quelli bravi sono subito corsi ai ripari, fin dal tempo in cui erano obbligatoriamente chiusi per pandemia. Già in quei mesi avevano, come si dice, fiutato l’aria, capito che il mondo avrebbe vissuto un grande cambiamento. Un cambiamento di cui non si conoscono fino in fondo le nuove regole, forse neppure ci sono, ma che ha trasformato profondamente le persone. Oggi andare al ristorante significa vivere un paio d’ore di pace, in un ambiente confortevole, dove tutto si deve avvicinare alla perfezione, dal cibo alle persone che te lo portano in tavola. Quelli che lo hanno capito, guarda caso, sono sempre pieni, anche in tempi di crisi economica e di inflazione. Perché? Perché uscire al ristorante o in una bella pizzeria non vuol dire solo mangiare bene e diverso rispetto alla cucina di casa, vuol dire soddisfare il bisogno, anch’esso primario, di buone relazioni, di

Come si cambia…

Per ricominciare

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conoscenza dei cibi e dei luoghi, di piacere. L’Italia sa offrire tutto questo, lo hanno capito bene i turisti americani che, in questa estate 2023, hanno garantito il successo dei nostri ristoranti. Lo stanno capendo gli italiani che, solo qualche mese fa, in una ricerca statistica non sapevano, nella maggioranza dei casi, elencare i nomi di tutte le regioni. Questa scarsità di conoscenza sta cambiando, i lunghi giorni trascorsi in casa hanno determinato una voglia potente di viaggiare, di conoscere, di vincere la paura che può causare un viaggio. Per questo l’Italia ha davanti, almeno dal punto di vista gastronomico e turistico, un futuro radioso. Non sprechiamo questa straordinaria occasione! È l’augurio che vogliamo fare ai nostri lettori per questo Natale e Capodanno: scegliete un buon ristorante in uno dei tantissimi luoghi italiani pieni di magia per iniziare il 2024!

luigifranchi@salaecucina.it | dicembre 2023

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L’editoriale Benhur Tondini

presidente sala&cucina

Un anno particolare, questo 2023; un anno dove speravamo che finisse la maledetta guerra in Ucraina e invece se ne è aggiunta un’altra tra Israele e il gruppo terroristico di Hamas; un anno che ha visto i tassi d’interesse schizzare al rialzo come non mai, è aumentata la difficoltà di spesa dell’italiano medio che, però, non rinuncia ai consumi fuori casa, anzi gestendoli meglio. Un anno confuso, dove è difficile pensare in grande, guardare con forza al futuro, ma dal momento che siamo degli inguaribili ottimisti vogliamo provare ad andare controcorrente. E quindi auguriamo, a tutti i nostri lettori, professionisti di un settore, la ristorazione, che avrà sempre più peso nelle scelte delle persone, di fare dei loro locali luoghi di incontro vero, di affermazione del bello e del buono di artusiana memoria. Le persone, ormai è un dato acquisito, non rinunciano a una cena fuori, piuttosto rinunciano a un capo di abbigliamento in più ma vogliono, desiderano, investire sul proprio tempo libero, vogliono viverlo insieme ad altre persone, desiderano cibarsi di cose buone, diverse dal mangiare casalingo. Ma vogliono farlo in locali dove tutto sia al meglio; dall’accoglienza che non deve essere fredda o eccessivamente formale, meglio un buongiorno che un salve ci insegna Enrico Cerioni che abbiamo eletto miglior direttore di sala per la nostra rivista; agli ambienti che devono essere alla giusta temperatura, con sedute comode, insonorizzati e di aspetto gradevole; al menu, la vera immagine del locale: un menu fatto su una carta bella, pulito da macchie di vino o cibo, comprensibile nel linguaggio usato, con pochi piatti per tipologia. Questo è il locale che vogliono gli ospiti nel momento in cui scelgono di spendere i propri soldi per una cena. Poche cose da tenere in mente per voi ristoratori, per voi osti, per voi pizzaioli; del resto, credo che lavorare in un locale dove tutto è perfettamente armonico sia decisamente più bello che farlo in un ambiente disordinato, o no? A vostro supporto esiste ormai un’intera filiera che si

Iniziare il 2024 con spirito positivo Ovvero come rendere memorabile una cena al ristorante

Clicca e leggi l’articolo sul web deve confrontare di più e meglio, esistono produttori che sarebbero felici di confrontarsi con i ristoratori per raccontare la loro storia che, a loro volta, i ristoratori potrebbero raccontare agli ospiti del locale; sarebbero ben felici di vedere le loro materie prime trattate bene nelle ricette degli chef perché darebbero loro maggior impegno nel produrre sempre meglio. Esistono distributori che non sono più grossisti, che hanno elevato la loro qualifica e possono aiutare il ristoratore, il cuoco, anche il maître di sala nella scelta del meglio per realizzare i propri menu, facendoli diventare un racconto capace di generare magia in chi lo legge. Esistono cuochi, ristoratori, pizzaioli che già fanno questo, si confrontano con tutti gli altri protagonisti della filiera e, guarda caso, sono quelli che hanno più successo perché sanno dare le risposte giuste ai loro ospiti clienti. Quindi, per l’anno che verrà tra pochi giorni, diamoci tutti questo obiettivo: rendere più belli e più buoni i luoghi della ristorazione italiana!

benhurtondini@salaecucina.it | dicembre 2023

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Il confronto

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Enrico Cerioni Miglior direttore di sala 2023 per sala&cucina

Enrico Cerioni

Autore: Luigi Franchi 10

www.allalanterna.com | dicembre 2023


Spigola croccante con fonduta di casciotta d'urbino parmigiano e tartufo bianco d'Acqualagna

La sala del ristorante la Lanterna

C’è un aspetto della vita quotidiana delle persone, di noi stessi, che non consideriamo mai abbastanza: il tempo buono. Ogni giorno, ormai, è una corsa: il lavoro, la gestione dei social (sembra assurdo ma pensiamo a quante ore stiamo connessi allo schermo di un cellulare), gli spostamenti, il sabato la spesa, lo shopping compulsivo, lo sport per chi lo fa. E poi arriva la domenica, il giorno di riposo stabilito per legge divina, forse ancora l’unico giorno dove rispettiamo le regole del riposo e delle relazioni. Ed è in questo giorno, la domenica, che spesso ci sono altre persone che lavorano per darci il tempo e la gioia di rispettare riposo e coltivare relazioni. Sono quelle che ci accolgono al ristorante, per il pranzo domenicale, un pranzo diverso da tutti gli altri giorni della settimana: siamo più rilassati, vogliamo gustare qualcosa di buono e speciale, vogliamo parlare con chi abbiamo di fronte. Ci sono sale che hanno una predisposizione maggiore al pranzo domenicale, sale belle, spaziose, luminose, piene di gente, gruppi di amici, coppie giovani, coppie anziane, famiglie e persone che pranzano da sole ma che non si sentono sole perché c’è sempre qualcuno che ti rivolge un sorriso sincero. Queste sensazioni le ho provate una domenica di fine ottobre a Fano, alla Lanterna della famiglia Cerioni, ed è per questo che ho voluto intervistare Enrico Cerioni, direttore di sala e figlio di Flavio, cioè colui che ha, negli anni, creato quest’atmosfera particolarmente piacevole. Ad Enrico inoltre, dopo quel pranzo domenicale e sentita la direzione della rivista, va il premio Miglior direttore di sala per il 2023. Che storia ha la Lanterna? A Fano ma non in centro, non sul mare… “Qui c’era un albergo che non navigava in buone acque, mio padre Flavio, a quel tempo studente di metalmeccanica ma innamorato della ristorazione chiese a mio nonno Ermete di aiutarlo a comprare muri e licenza. Il nonno, agricoltore di Ostra, vendette un pezzo di terra e aiutò suo figlio a realizzare il sogno. Il 1° gennaio 1976, con mio zio Roberto che, dismessi i panni dell’agricoltore, prese possesso della sala, e mia nonna Fulvia in cucina, venne inaugurata La Lanterna. Le proposte prevedevano i piatti della cucina tradizionale casalinga del territorio, gnocchi con l’oca, coniglio in tutte le maniere, salumi e formaggi, niente pesce. Per decenni andò avanti così, con un pubblico di clienti che erano diventati amici, quei camionisti che decretavano, con la loro sosta, il successo di molte trattorie in Italia. Eravamo su una strada di grande traffico, la Statale 16 Adriatica, e fino all’avvento dell’autostrada questa fu la fortuna del locale e dell’albergo. Nel 1982 la prima svolta: l’arrivo di mia mamma Elide, l’innamoramento che la portò in cucina accanto a mia nonna, l’introduzione delle prime ricette di pesce. Mia mamma sarebbe dovuta, secondo logica visto che conosce cinque lingue, stare in sala ma l’amore fa strani percorsi. Nel 1986 entra in scena una persona che cambia la vita della Lanterna, il biologo marino Corrado Piccinetti, che inizia a frequentare il ristorante, apprezza i piatti di pesce, diventa amico di mio padre fino al punto di istruirlo sul valore organolettico del pesce fresco, sulle diverse tipologie, su un nuovo modo di intendere la cucina. A lui dobbiamo la svolta morale e identitaria sul piano professionale della mia famiglia. Nel 1987 il pesce fresco diventa parte integrante della nostra proposta. Anni in cui avviene il cambio di passo da parte di mia mamma, con ricette più elaborate ma sempre nostre, che porta | dicembre 2023

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La cantina de la Lanterna

anche a un cambio della clientela. È in quegli anni che, coniugando l’amore per la terra dovuto alle nostre origini contadine con una cucina di pesce, nasce il nostro motto, che campeggia ancor oggi sul muro esterno: Il mare con i piedi sull’erba”. E tu come e quando hai iniziato? “Da adolescente, durante la scuola, feci le mie prime tre stagioni. Mio padre mi faceva riempire i frigoriferi, pulire per terra, lavare i piatti. In pratica non mi fece amare il mestiere, non mi piaceva e, a diciotto anni, scelsi di iscrivermi ad Agraria perché volevo tornare alle origini della mia famiglia, alla terra. Alla fine degli studi decisi di fare un’esperienza in una cantina marchigiana che produceva vino e olio. Volevo capire da dove e come venivano realizzati i prodotti della terra. Anni in cui si sviluppò la mia grande passione per il vino che mi porto dietro tuttora, con la cantina del ristorante che conta 300 etichette, per massima parte ricercate e poco conosciute. A 22 anni tornai al ristorante e all’inizio non fu facile; devo ringraziare mio padre che mi riaccese la luce verso gli ospiti. Ora in sala siamo in tre della famiglia, mio padre, mia sorella Silvia e io. Tra il 2015 e il 2018 mi allontanai per provare altre esperienze in un ristorante diverso, e lì ho capito tutto quello che non riuscivo a vedere nel ristorante di famiglia: le potenzialità e le criticità, su cui continuo da allora a lavorare mettendo nero su bianco i bisogni, i cambiamenti necessari, le cose che funzionano. Quando sono rientrato avevo anche una visione diversa della mia famiglia, avevo imparato ad attenuare le tensioni, ad accelerare quando è necessario, a muovermi piano quando serve fare così. È stato un lungo percorso prima di arrivare a capire quando ti senti pronto. Buona parte 12

La famiglia Cerioni

di questa comprensione che mi ha portato a capire che senza qualcosa di mio non sarei mai stato completamente soddisfatto la devo a Miriana, compagna di vita e di lavoro da 12 anni”. La storicità di questo ristorante, per te, è un freno o uno stimolo? “Questa domanda necessita di una doppia risposta. La prima è che la storicità rappresenta un punto di arricchimento, di crescita, di ripartenza, quindi non è mai un freno. Non bisogna mai vederla in negativo ma occorre anche avere il coraggio di demolirne un pezzo se questo impedisce di guardare avanti. La seconda risposta riguarda il cambio generazionale che è un aspetto molto più complicato. Da parte del figlio l’abitudine ad avere al fianco il padre diventa normale. Da parte del padre vedere il figlio sempre troppo piccolo per affidargli decisioni. Io penso che una persona debba stare nel suo ruolo fino a quando se la sente. Pensavo che la difficoltà più grande arrivasse dai clienti che non erano disposti ad accettare il cambio rispetto a chi li aveva serviti per tutti quegli anni, cioè mio padre, invece sono contenti, vedono la gioia che tutti abbiamo nel fare questo lavoro”. A te capita spesso di incrociare occhi felici in sala; cosa provi? “Si, ne vedo molti per fortuna. Tutto sta nel capire quanto siano veri o finti e, per capirlo ci vuole l’uso della parola. Ad esempio, mi hanno insegnato a non dire mai Salve a un’ospite, bensì buongiorno o buonasera, oppure buona giornata quando lasciano il ristorante. Quando glielo auguri con sincerità scopri se sono stati bene davvero. L’ospite lo si conquista in due momenti precisi: all’arrivo | dicembre 2023


e all’ordine, perché il cliente va aiutato, sempre, a capire e gestirsi la sosta nel ristorante, mettendolo a suo agio. La felicità l’ospite non la porta sempre con sé e va accompagnato nel riscoprirla, a sapere che in questo ristorante potrà avere due/tre ore di pace, di serenità. Per questo ai nostri ragazzi e ragazze dico sempre che le parole hanno uno specifico valore. I menu a volte mettono in difficoltà il cliente e una frase che ho insegnato al nostro personale di sala è: Questa è la nostra carta, siamo a disposizione per ogni cosa e, mi raccomando, quando si parla di cibo non esistono domande stupide ma solo semplicemente lecite”. Come si definisce e si capisce quando dietro a un ristorante c’è una sana imprenditoria? “L’imprenditoria nella ristorazione è forse la più complicata che esista. Basti solo pensare al numero di fornitori che ha in media un ristoratore: almeno 100, considerando tutto. Un’industria ne ha, al massimo, una ventina. Per essere imprenditori dobbiamo acquisire una managerialità nel rapporto con i fornitori, avere chiaro cosa serve e cosa no, essere sicuri della nostra proposta di cucina e di vini, ascoltare le proposte che ci fanno per capire se sono migliorative per noi. Per questo occorre studiare, sempre. Ogni 15/20 giorni analizzare i dati del ristorante, sapere chi è venuto e perché, conoscerne i consumi, la spesa. Gestire i collaboratori come oro per l’azienda, creare il clima migliore all’interno del ristorante. Noi abbiamo avuto l’idea di aprire ma senza di loro non siamo nulla. Anche un lavapiatti ha un ruolo fondamentale e dobbiamo smetterla di non considerare le loro vite fuori dal lavoro perché altrimenti la GDO, che ce ne ha portati via tanti, continuerà la campagna acquisti, perché lì sono garantiti orari, ferie certe, cambi di turno. Dobbiamo normalizzare questa professione e l’imprenditore deve studiare il modo migliore per riuscirci”.

sala e cucina i colloqui sono molto diversi. Per la sala il colloquio dura pochissimo, tre domande che non hanno quasi mai risposta, ma lo faccio apposta per capire una cosa ben più importante: l’empatia e la reazione all’imprevisto della persona che ho davanti. Seguono tre giorni specifici di prova: il primo giorno l’approccio con la sala vuota per fare mise en place e valutarne gli spazi; il secondo la prova al tavolo; il terzo la prova con i vini e il fine servizio. Poi si decide. La cucina, invece, necessita di un maggior approfondimento: è necessario capire cosa sa fare il candidato, quali esperienze ha fatto, la verifica da parte nostra di queste esperienze. Per la cucina non possiamo sbagliare nella scelta”: L’ultima domanda riguarda la tua regione: le Marche. Io ritengo che sarà una delle regioni importanti per il turismo in Italia: tu cosa ne pensi? “Che negli anni scorsi abbiamo fatto promozione senza identità, al plurale, e non ha funzionato molto. Da un po’ di tempo a questa parte si sono accorpati gli strumenti, un’unica app, un unico sito, e va decisamente meglio. Una recente indagine che si è svolta a Pesaro, in funzione della scelta di città italiana della cultura 2024, dice che c’è un impulso turistico in crescita, la felicità dei turisti è più alta, la biodiversità gastronomica e naturalistica non è inferiore a nessun’altra, anzi. Partire da questi elementi ci darà la forza di diventare quello che tu dici: una regione importante per il turismo. Però io voglio affermare un concetto: le Marche vanno vissute, richiedono movimento, ogni 15 km c’è qualcosa di bello da scoprire, sul piano culinario ci sono ancora tantissimi piatti di gastronomia locale che non devono andare dispersi. Il turismo balneare è diverso da quello romagnolo, qui le colline si piegano verso il mare, c’è ancora una sapienza contadina che unisce mare e terra, ci sono onde di mare che ti portano in collina”.

Molti dicono che nella ristorazione non è possibile… “Chi lo dice non ha molta voglia di mettersi in gioco. Nella ristorazione si può, noi ci stiamo riuscendo e lo facciamo senza ridurre i giorni di apertura o lavorando solo alla sera ma facendo sette giorni su sette come obiettivo. Perché lavorando a pieno regime avremo le risorse per investire sul doppio personale che potrà fare orari e giorni più consoni al tempo della vita. In sala lo abbiamo già applicato, in cucina ci stiamo riuscendo anche se è più difficile, trovare un cuoco che sappia sostituire l’altro non è semplicissimo ma contiamo di riuscirci. Il lavoro dell’imprenditore è questo: risolvere i problemi e trovare i clienti che riempiano il locale per consentire la soluzione ottimale per le diverse professioni che vi operano”. Nei colloqui di lavoro quali sono le competenze che richiedi? “Anche in questo caso la risposta è duplice perché tra

La carbonara ai tre tonni

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I cuochi Rocco Cristiano Pozzulo Presidente nazionale FIC

L’ultima novità, in ordine cronologico, è la sottoscrizione di una nuova convenzione che Federazione Italiana Cuochi ha stipulato col Ministero degli Esteri. Quella che, invece, non è una novità è la continua e costante dedizione con cui FIC lavora ogni giorno per sostenere e valorizzare la cucina italiana, sia in Italia che all’estero. Una precisazione che si “aggancia” perfettamente all’attuale periodo, tanto brillante quanto dinamico, che l’enogastronomia del nostro Paese sta attraversando. Lo dimostra, a nostro avviso, un altro grande successo riscosso dalla nuova edizione, l’ottava, della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, andata in scena dal 13 al 19 novembre con gli interventi di centinaia tra chef e cuochi professionisti impegnati in numerosi Paesi stranieri e nelle nostre ambasciate, per fare conoscere e rafforzare il messaggio di alta qualità della nostra cucina e dei nostri prodotti. E poi, il recente nuovo trionfo della Nazionale Italiana Cuochi in Cina, all’evento mondiale di Food & Hospitality, la International Culinary Championship di Shangai, dove il nostro Team Junior ha conquistato il titolo di Campioni Assoluti. Come sempre, la nostra NIC era guidata dal general manager, Gianluca Tomasi, e dal team coach, Pierluca Ardito, ed era composta dai giovani Francesco Locorotondo, Luigi D’Antonio e Luca Bnà. A loro e ai loro allenatori sono già andate le gioiose congratulazioni di tutta la nostra dirigenza, del mondo FIC, di quello politico e istituzionale. Due eventi, dunque, che possono essere collegati tra loro, l’appuntamento mondiale con la prestigiosa competizione cinese e la celebrazione della cucina italiana all’estero: per FIC, due facce della stessa medaglia, che rivelano il grande amore per le nostre tradizioni e che ci spingono ogni giorno a dare il massimo per valorizzarle. Siamo lieti e orgogliosi di rafforzare ancora una volta il legame e la collaborazione tra FIC e le Istituzioni nazionali, come avvenuto di recente con il Ministero degli Esteri e le parole del titolare della Farnesina, il ministro Antonio Tajani, ci fanno ben sperare in un solido e valido supporto del Governo agli sforzi che i nostri cuochi professionisti e tutta la ristorazione ita-

FIC: valorizziamo ogni giorno la cucina italiana nel mondo Clicca e leggi l’articolo sul web liana compiono ogni giorno. “Con il protocollo – ha detto infatti Tajani durante la presentazione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo – andremo a realizzare iniziative sempre più mirate per la promozione di prodotti e ricette. Questo accordo rappresenta per noi un elemento che punta sulle professioni e sul lavoro di qualità” e serve a promuovere “il nostro modello non solo alimentare ma anche culturale. Noi difendiamo la dieta mediterranea perché è parte della nostra identità. La dieta mediterranea significa salute”. E non è un caso che proprio durante la conferenza stampa il ministro si sia anche congratulato con FIC per il grande successo riportato a Shangai. La nostra NIC, abbiamo dunque ribadito, è presente in tutte le principali competizioni mondiali dove, sempre più spesso, conquista i primi posti del podio davanti a nazioni che brillano per l’altissima preparazione tecnica. Questo è reso possibile non solo grazie a mesi di duro allenamento ma anche da una varietà di eccellenze agroalimentari che rende il nostro territorio e i nostri piatti assolutamente unici.

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La neurovendita Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita

La capacità di definire con precisione gli obiettivi di business è fondamentale per approcciare la propria attività nell’Ho.re.ca. con un approccio imprenditoriale, l’unico possibile. Per questo tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 voglio mettere a disposizione alcune scoperte e metodologie fondamentali per settare e definire gli obiettivi. Prima occorre fare un passo indietro. Da una metanalisi di Chowdhury, emerge che l’87% delle persone non raggiunge gli obiettivi di business che si pone o non se li pone. Quali sono i principali motivi per cui le persone non raggiungono i propri obiettivi? Nello stesso studio si è cercato di capire quali abitudini fossero diffuse nel gruppo di chi non raggiungeva gli obiettivi per comprendere le cause del fallimento. Capire perché la maggioranza delle persone non raggiunge gli obiettivi, consente di definire metodi che aumentano la probabilità di successo. Ecco i principali motivi che si nascondono dietro l’87%: I target non sono obiettivi. Nel business gli obiettivi non sono delle persone, ma delle aziende. Questo rende l’obiettivo non l’esito di un processo di riflessione personale e interiorizzato, ma l’auto-attribuzione di un numero calato dall’alto. I target nelle organizzazioni contano, ma non c’entrano nulla con il concetto di obiettivo. Molti dichiarano di avere obiettivi, ma nella realtà si allineano ai target affidati, senza che quei numeri abbiano una reale rilevanza nella propria vita, riducendo alla base il potere motivante del concetto stesso di obiettivo. Il peso del passato. Chi ha fallito con frequenza nella sua storia attiva i circuiti depressivi, riducendo la sua percezione di autoefficacia. Questo non aiuta. Anche chi ha avuto successo rischia. Chi ha raggiunto i suoi obiettivi, tende ad incorrere nella distorsione mentale della “Sicumera”. Un eccesso di valutazione dei propri mezzi, che porta ad ignorare, ad esempio, le nuove competenze da apprendere per ottenere risultati nel futuro. Il passato è sempre un problema quando si tratta di obiettivi. Il passato, per quanto negativo, è passato. Il successo raggiunto è, esso stesso, un participio passato. Chi raggiunge gli obiettivi, riparte da zero. Eccesso di pensiero positivo. La maggioranza della formazione legata alla definizione degli obiettivi è connessa alla psicologia positiva. Cercando su Google le parole

È il momento degli obiettivi Clicca e leggi l’articolo sul web

“pensiero positivo” si trovano 12.200.000 risultati. Il culto dell’ottimismo riduce la probabilità che si raggiungano gli obiettivi. Sembra paradossale, ma le tecniche di “visualizzazione positiva” e il “positive talk”, sono controproducenti per motivi legati alla biologia del sistema nervoso. Tendono a ridurre l’eustress. Rilassarsi è l’ultima cosa che serve per raggiungere obiettivi. WOOP. Il fallimento nel raggiungere gli obiettivi sembra la strada più battuta tra confusione nella definizione degli stessi, peso della propria storia personale ed eccesso di pensiero positivo. Cosa dice la scienza? Esistono tecniche che aumentano la probabilità di raggiungere gli obiettivi e quindi mettersi nella minoranza che ce la fa? Un protocollo si è dimostrato particolarmente efficace per raggiungere gli obiettivi. È il metodo WOOP. È un sistema di auto-motivazione, messo a punto dalla psicologa sperimentale Oettingen, che serve per definire con precisione obiettivi e strategie per raggiungerli. Quattro step: la definizione dell’obiettivo, la visualizzazione del risultato, il focus sugli ostacoli e la creazione di piani di comportamento. Si consiglia di navigare su woopmylife.org e leggere il libro “Io non penso positivo”, per imparare il metodo. Un augurio per il 2024: essere nel 17% che raggiunge gli obiettivi.

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L’olio al centro Luigi Caricato oleologo

Clicca e leggi l’articolo sul web Cosa vogliamo che accada quando l’olio extra vergine di oliva entra in contatto con gli altri ingredienti nel corso della realizzazione di una ricetta? Che ci sia il giusto equilibrio. Che non ci siano sbilanciamenti di profumi, sapori, aromi e sensazioni tattili e cinestetiche. In una sola parola, che ci sia “armonia”. È questa la parola chiave in grado di riassumere l’esigenza di garantire la buona riuscita di una preparazione. Per giungere a un processo di armonizzazione è necessario soprattutto acquisire la conoscenza piena e completa dei tanti oli extra vergini di oliva in commercio. Tale conoscenza al momento non esiste, o perlomeno è limitata a pochi gruppi rappresentativi di oli. Riflettendo sulle forniture effettuate ai ristoranti, si nota che a dominare la scena siano in gran parte quegli extra vergini che possiamo definire “generalisti”, ovvero caratterizzati da una sensazione grassa, di media fluidità, dai profumi alquanto tenui, da un profilo sensoriale privo di personalità. In poche parole, si preferiscono di gran lunga oli dal gusto tendenzialmente neutro, poco caratterizzati. A dirla tutta, annusandoli, si percepiscono sentori difficili da connotare perché non se ne individuano di peculiari. Si tendono a scegliere oli anonimi perché non impegnano, non costringono lo chef a interpretarli di volta in volta. E sta proprio qui l’errore, nell’affidarsi a oli senza carattere. E per carattere, sia ben chiaro, non è da intendere la sola sensazione legata allo specifico grado di intensità dei vari oli. Questo attributo vale sia per gli oli dalle note olfattive fruttate leggere, medie o intense, sia per gli oli dalle percezioni gustative fini e delicate, o sapide, amare e piccanti. Il carattere degli oli sta tutto nelle peculiarità e unicità delle sensazioni, indipendentemente dal grado di intensità con cui queste si manifestano. Spesso, tuttavia, in molte cucine professionali si trovano oli privi di personalità, sia per via del loro prezzo più basso, sia, in particolare, perché questi oli non richiedono alcun impegno nel decifrarli e interpretarli. Ebbene, l’impegno da parte degli chef – attraverso questa parola chiave che è l’armonizzazione – consiste semplicemente nell’individuare il giusto abbinamento, la più opportuna combinazione, l’accostamento volta per volta più adatto e funzionale. L’atto dell’abbinare è un’arte che richiede un investimento di tempo, un’acquisizione di conoscenze e tanto impegno. Ed è un dovere morale da

Parola chiave: armonizzazione parte di uno chef non rinunciare alla complessità delle materie prime. Studiare, sperimentare, ecco cosa occorre fare. “Armonizzare” significa dover far convivere un mix di profumi, sapori e sensazioni tattili. Significa anche intendere le leggi dell’armonia, perché l’obiettivo prioritario nell’atto di una preparazione gastronomica è di rendere armoniosa una pietanza, in modo da percepirla nel suo insieme ben proporzionata, ben accordata, ben amalgamata: in una sola parola omogenea. Interessante, al riguardo, quanto scrive la filosofa del linguaggio Rosalia Cavalieri in un saggio di prossima pubblicazione per le edizioni Olio Officina: “Tra cibo e olio, come avviene peraltro in tutte le elaborazioni culinarie e specialmente in quelle che prevedono la cottura, e quindi l’effetto del calore, si verifica una sorta di alchimia, una trasformazione chimica degli elementi in piatti deliziosi o viceversa mal riusciti, una commistione di elementi che porta a risultati sempre nuovi e sempre diversi. Analogamente a quanto accade nel laboratorio alchemico, dove un metallo semplice viene trasmutato in qualcosa di superiore e di prezioso, cioè l’oro, in cucina – chiarisce Rosalia Cavalieri – i prodotti della natura e della cultura vengono trasformati in qualcosa di insolito e di assolutamente nuovo e inedito. E questo accade specialmente nell’incontro e nella fusione tra cibo e olio, in particolare quando si tratta di un condimento-alimento prezioso e poliedrico come l’olio extra vergine di oliva di qualità, che con le sue straordinarie proprietà sensoriali e potenzialità espressive amplifica il sapore, i profumi e la consistenza del piatto a cui si sposa e con il quale genera un blend”. Ecco, proprio da qui, da queste riflessioni, dovrà necessariamente prendere corso, in ciascuno degli chef, l’impegno per un nuovo approccio con gli oli, più dinamico e virtuoso e per nulla svogliato e apatico come spesso accade.

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La digital trasformation Claudia Ferrero

Digital Strategist & Evangelist

Oggi sappiamo che avere un ristorante pienissimo non è sinonimo di guadagno: per esempio, due clienti che consumano solo un primo e dividono un secondo in due, occupando il tavolo per più di un’ora fanno sprecare tempo e spazio. E si finisce per perdere l’occasione di aumentare i coperti che si potrebbero fare durante il turno o di mancare quei clienti che in media spendono di più. Ecco che il revenue management dovrebbe a questo punto entrare in scena poiché il suo ruolo è proprio quello di ottimizzare la vendita di un servizio, massimizzando i profitti su ogni singolo posto (il RevPASH, l’indicatore di performance più importante). Come è noto, la gestione della durata del pasto e la gestione dei prezzi influenzano e vengono a loro volta influenzate da altri elementi che un operatore della ristorazione non deve trascurare in ottica di Restaurant Revenue Management, come la gestione dell’inventario e del menu. Attraverso il revenue management si riesce ad avere un quadro più dettagliato della situazione, grazie al quale si riuscirà a capire quali sono i turni che ti portano maggiori incassi, evidenziare problematiche e punti deboli, aiutando il gestore a capire dove sia necessario intervenire. Ad esempio, se durante il turno serale di lunedì e martedì su 100 coperti disponibili se ne riempiono solo 10, vuol dire che la percentuale di occupazione è del 10%. In questo caso, si dovrà trovare un modo per aumentare il numero di clienti creando offerte e promozioni specifiche per la fascia oraria che si vuole migliorare. Altro esempio: il sabato sera la percentuale di occupazione è del 100%, ma gli incassi non sono soddisfacenti. In questo caso, si può proporre un limite di tempo all’occupazione del tavolo (turni) oppure adottare le tecniche dell’upselling (= vendere di più). Mettiamo che i clienti abbiano ordinato delle portate per un valore di circa 40€, proponendo loro un menù degustazione dove troverebbero quei piatti e qualcosa di più, a 50€ il ticket medio salirebbe di 10€. Per aiutare gli imprenditori nella gestione di queste attività esistono alcuni supporti tecnologici di analisi avanzata dei dati, intelligenza artificiale di tipo prescrittivo (focalizzata sull’elaborazione delle informazioni per raggiungere un determinato obiettivo) oltre che di pricing.

Come ottimizzare i ricavi grazie (anche) alla tecnologia Clicca e leggi l’articolo sul web

Grazie ad algoritmi che analizzano dati interni (vendite, listino prezzi, costi e acquisti di materie prime incluse) e dati esterni (prezzi dei concorrenti, trend di mercato, elementi macroeconomici legati alla geo localizzazione) forniscono previsioni di domanda futura combinando le informazioni di cui sopra con quelle della segmentazione della clientela. Operazioni che se svolte manualmente prenderebbero troppo tempo e che non sarebbero così precise. Tra l’altro alcune soluzioni non si limitano solo ad ottimizzare il menù ma anche a migliorare la pianificazione del magazzino, con l’obiettivo di ridurre al minimo gli sprechi di cibo e quindi i costi (migliorando pertanto la marginalità). Per ottenere i risultati sperati (con o senza tecnologia), sarà comunque fondamentale la strategia del locale, determinata dalla componente umana che definisce obiettivi, vincoli (costi, personale, spazio), priorità commerciali e l’approccio da tenere rispetto ai concorrenti.

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dal 1897 produciamo olio extravergine di oliva ed olive della sola varietà TAGGIASCA

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Scienza e nutrizione Ferdinando A. Giannone Biologo e Nutrizionista Co-founder ARNAFOOD LAB

Negli ultimi anni, e in costante aumento in questo 2023, trovo nei menù tra i secondi piatti altre preparazioni oltre a “carni di terra” e “pesci di acqua” e questo è un bene, ma mi accorgo spesso che la conoscenza e la consapevolezza di cosa mettere tra queste portate continua ad essere insufficiente. Sicuramente l’obiettivo dei ristoratori è quello di soddisfare le richieste della clientela che cambia e si evolve ovvero di persone che anche fuori casa cercano un’alternativa sia per motivi etici (vegetariani, vegani, etc.) sia per motivi di salute (attenzione alle proteine animali in eccesso) sia per motivi di responsabilità sociale (scelte legate alla sostenibilità e/o all’impatto ambientale) oppure solo per provare qualcosa di diverso. Ma facciamo un passo indietro, cosa si trova di solito tra i secondi piatti in un menù standard? Comunemente abbiamo muscoli di animali interi, sezionati o trasformati: carni di mammiferi come bovini, suini, ovini, etc. oppure carni avicole ossia uccelli quali pollo, oca, quaglia, faraona, etc. che possono provenire da allevamenti o anche da cacciagione la così chiamata selvaggina; inoltre possiamo trovare pesci di mare, pesci di acque dolci anch’essi da allevamento ma anche pescati cioè “selvaggi” oltre a crostacei quali gamberi, granchi, aragoste, etc. e molluschi ovvero polpo, seppie e calamari i più presenti. Quindi tra i “secondi” in Italia ma non solo abbiamo deciso, per convenzione, di mettere piatti proteici, questo perché le caratteristiche nutrizionali dei muscoli degli animali di terra e di acqua, delle uova e della maggior parte delle frattaglie sono proprio la ricchezza di proteine circa 15-22% ma soprattutto l’acqua 70-75% e una piccola-grande parte di grassi 5-20% in base al taglio utilizzato. Ma torniamo alle alternative ai secondi piatti, ecco cosa mi è capitato di trovare in questi mesi: tortino di patate e verdure, sformato di finocchi, polpette di miglio, burger di ceci, carpaccio di rapa rossa, zuppa di legumi e altro… ma anche “beyond meat” e i suoi fratelli a base di proteine isolate o polveri proteiche più o meno plant-based! Credete che tutti questi piatti siano dei “secondi proteici”? No, in molti casi siamo ben lontani e proviamo a ve-

Oggi, cosa c’e’ tra i secondi? Clicca e leggi l’articolo sul web

dere perché… ecco i due nutrienti principali (BDA), oltre all’acqua, di alcuni degli ingredienti di questi piatti: • Patate: 18,0% di carboidrati e 2,1% di proteine; • Finocchi: 2,2% di fibre e 1,2% di proteine; • Miglio: 67,8% di carboidrati e 11,0% di proteine; • Ceci secchi: 54,3% di carboidrati e 21,8% di proteine; • Rapa rossa: 4,0% di carboidrati e 1,1% di proteine; • Fagioli cotti: 19,4% di carboidrati e 10,6% di fibre; • Beyond burger: 19,0% di grassi e 17,0% di proteine; Ecco la riflessione che vorrei condividere con voi: perché tra le alternative alla carne e al pesce non siamo ancora riusciti a mettere dei piatti tendenzialmente ricchi di proteine partendo da ingredienti essi stessi principalmente proteici? Perchè non ho mai trovato se non in insoliti ristoranti solitamente vegetariani, vegan, fusion o “asian style” piatti a base di tofu, tempeh, lupini o fagioli di soia utilizzati come “ingredienti vegetali base” dai quali partire per realizzare dei piatti? Credo che sia importante aumentare sempre di più le nostre conoscenze su questi argomenti ma soprattutto la nostra consapevolezza culturale e perché no anche nutrizionale. Buon Natale e Felici Festività | dicembre 2023

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La riflessione

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Autrice: Giulia Zampieri

L’aspettativa che condiziona il piacere In questo mese così intenso nel calendario della ristorazione italiana - tra guide, premi ai migliori di categoria, social che trasbordano di felicitazioni, scatti di gruppo, esternazioni di soddisfazione, ma anche enormi delusioni, rabbia, sfiducia, eccessi, competizioni insane - ho preso del tempo per riflettere sulle aspettative che si addensano appena fuori dai nostri ristoranti. Ho provato a collocarmi proprio lì, in quello spazio allocato poco prima dell’ingresso, che un tempo era fisico e invece ora è sempre più virtuale. Uno spazio che dovrebbe essere intriso di curiosità e desiderio e che invece oggi è spesso caratterizzato dalla prematura conoscenza dei contenuti - il colore delle pareti, il nome di chi ci lavora, il pensiero da cui è nato il piatto più rappresentativo, l’abbinamento ardito in quella pietanza.


Gli interni di Pausa a San Francisco

Una responsabilità condivisa La raccolta di informazioni sul web, sui social, sulle guide, genera un’overdose di congetture che condizionano il nostro approccio alla ristorazione, qualunque sia la tipologia di locale e di esperienza che ci accingiamo a vivere. È per questo che va gestita sia da parte del ristoratore, sia da parte del cliente, in modo intelligente. Le aspettative possono bruciare davvero tante opportunità… ma in pochissimi sembrano rendersene conto. Ho messo in fila qualche spunto a cui spero possano fare seguito utili confronti sia con chi lavora nel settore, sia con chi lo vive da cliente.

Noi come clienti Ho voluto tirarci dentro tutti, compresa la sottoscritta e i membri della redazione perché oggi il desiderio di anticipare l’esperienza, di sapere già prima cosa contraddistingue un locale in cui non siamo mai stati, è un fenomeno collettivo che può assumere connotati dannosi. Intanto, dobbiamo essere consapevoli: se prima di andare al ristorante ci documentiamo dai profili social o dalle tante (e non sempre affidabili) piattaforme di recensioni, l’esperienza che ci apprestiamo a vivere è già in parte condizionata. Se leggiamo pareri, analizziamo chirurgicamente le immagini, o siamo fomentati dai commenti della nostra cerchia di contatti… dobbiamo essere consci che al ristorante non ci stiamo andando vergini. Ci stiamo andando con un’idea plasmata, con un occhio mezzo chiuso e le papille gustative arricciate. Il rischio che corriamo, se

ci lasciamo sopraffare da questi stimoli, è di non poter vivere un’esperienza in modo integrale, pieno, come dovrebbe essere. Rischiamo di presentarci davanti a quell’insegna con l’asticella altissima e di uscirne, con tutta probabilità, insoddisfatti perché non abbiamo colto da noi il senso e i motivi di quel luogo. Capita di essere talmente concentrati a confermare le aspettative, o a smentirle, che ci si perde per strada quello che dovrebbe essere il piacere primo del mangiare fuori casa in epoca contemporanea: l’esperienza libera dei sensi.

Voi come ristoratori La responsabilità sulle aspettative con cui il cliente arriva nel vostro locale è anche vostra. C’è una sostanziale differenza tra il veicolare informazioni utili, invogliare i clienti con una bella foto, pubblicare un menu accattivante sul sito… e l’alimentare un hype spropositato. C’è un linguaggio che va dosato. Oggi, in cui il tempo ‘social’ è più veloce della luce, la misura non vi serve solo nella bilancia. | dicembre 2023

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Vi serve per attirare con coscienza. Per dare il tempo alle persone di scoprirvi e conoscervi senza che sappiano già tutto, o quasi tutto, ancora prima di essersi accomodati nella sala del vostro locale. Mentre scrivo penso, inevitabilmente, anche al sistema influencer (non saprei come altro definirlo) da cui volontariamente o involontariamente alcuni ristoratori attingono. Il mio feed ospita quotidianamente molti volti che elargiscono giudizi; a volte paragonando la propria esperienza a quella di altri influencer, a volte cercando inadempienze dei locali anche dove non ci sono, altre volte esaltando cuochi e piatti in modo sconsiderato, mischiando il parere soggettivo al dato effettivo. Per non parlare del confondere l’amicizia con l’essere clienti che è una dinamica talmente diffusa da sembrare normalità. In questa esternazione trovo quasi sempre mere espressioni personali volte a conquistare audience e follower; trovo l’interesse a far crescere il proprio business o la propria riconoscibilità, non l’intenzione di fare il bene della ristorazione. Quel che è peggio è che queste figure sembrano ignorare

il peso di un commento su un’attività fatta di persone, progetti, investimenti economici, fatiche, scelte di vita.

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Alcuni ristoratori si rivolgono a queste persone per promuoversi o lasciano loro la libertà di appropriarsi di uno spazio proprio. Vi chiedo: qual è il tornaconto? È davvero misurabile in termini di prenotazioni e fedeltà alla vostra insegna? Avete provato ad andare in profondità sulle competenze e conoscenze di chi si arroga il diritto di raccontarvi? Non intendo generalizzare: qualcuno che ne sa c’è, e di indicazioni valide può offrirne, ma non è la regola. L’autorevolezza, lo studio, la cultura, l’esperienza, non possono essere soppiantati dalla notorietà e dal numero di follower di queste persone. È giusto che lo si dica! C’è una spettacolarizzazione, sui social, più gravosa di quanto non sia avvenuto finora nei concorsi e nei programmi televisivi. E ci siamo tutti dentro, quasi tutti! Non confondiamo la comunicazione con l’esaltazione e la demolizione. Questo settore ha bisogno di personalità, sincerità, originalità… non di omologazione e non di una sconsiderata mole di aspettative!


L'evento

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Autore: Guido Parri

Oltre i Gesti parte seconda I panel sulla cucina, la formazione, il personale

Riportiamo la seconda parte del forum Oltre i Gesti, organizzato da Amodo la rete dei ristoranti etici il 9 ottobre scorso a Pietrasanta. Nel numero scorso avevamo descritto il primo panel sul servizio di sala; in questo numero riassumiamo i panel legati alla cucina, alla formazione e al problema del personale nella ristorazione. Durante il forum ci sono state anche due lectio: una tenuta da Fausto Brozzi, designer, architetto e organizzatore di Wine&Food Experience a Venezia che ha raccontato “del rapporto tra arte e ristorazione che è l’elemento distintivo dell’evento veneziano dove si coniugano l’estetica e la bontà delle eccellenze italiane nel cibo e nel vino con la bellezza della città e della struttura che ospita questa manifestazione esclusiva”. Poi è stata la volta di Paul Bartolotta, cuoco e imprenditore italo-americano che ha incantato il pubblico con la storia della sua carriera. Paul è una delle figure di riferimento della nostra cucina all’estero tanto da detenere il titolo, conferitogli dal presidente della Repubblica, di autentico ambasciatore.

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Filippo Di Bartola

Maurizio Urso

“Il primo ristorante l’ho aperto con mio fratello Joe, purtroppo mancato nel 2019. Mio fratello è stato essenziale per la nascita dell’azienda, ma soprattutto lo era per noi. Assieme abbiamo dato vita il primo Bartolotta, un vero e proprio ristorante italiano, tappezzato da foto di famiglia. Proponiamo menù regionali, studiati, ricercati, realizzati con la maggior parte delle materie prime provenienti dall’Italia. Il nostro obiettivo è essere fedeli al gusto d’origine… Ogni volta che si deve intervenire in un aspetto di un’attività ci sono internamente le risorse predisposte ad elaborare idee e progetti. Qui siamo soliti lavorare d’anticipo: non apriamo un locale e poi vediamo cosa ne sarà - come spesso accade in Italia - predisponiamo già tutto sulla base delle analisi, dei dati, delle risorse. Ti parlerò di cucina perché io parto da lì… e arrivo lì. Far mangiare bene le persone e accoglierle nel modo giusto è l’obiettivo in ogni mio ristorante. Ma c’è anche l’aspetto della sostenibilità economica, delle tempistiche, della coerenza. O si rispettano questi punti o non si può fare una ristorazione seria. E aggiungo che per fare impresa nella ristorazione bisogna conoscere le regole per non fallire, per esempio avendo il polso sul ritorno dell’investimento… La ristora-

Paul Bartolotta

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Stefano Pistollato

zione viene considerata rischiosa perché il fallimento è facile. La verità è che fare ristorazione non è un gioco, è un business. Molti chef nascono come artisti ma non hanno le basi per dare solidità economica a un’attività. Riprendo un concetto che mi ha trasferito mio padre: la vera libertà artistica nasce dalla libertà economica. L’arte, altrimenti non è sostenibile, perché non si ha la libertà di esprimersi”.

Dove va la cucina italiana? A questo panel hanno contribuito Filippo Di Bartola, patron del ristorante Filippo di Pietrasanta, Maurizio Urso, cuoco al bio-relais I Carusi di Noto (SR), Stefano Pistollato, direttore commerciale di Cateringross. Filippo Di Bartola si è detto sorpreso, essendo lui un protagonista del servizio di sala, ma contento di parlare di cucina perché: “per gestire un ristorante in forma imprenditoriale occorre ridurre le distanze che, purtroppo, ancora esistono tra i due reparti. Questo è quello che ho fatto io fin da quando ho aperto il ristorante a Pietrasanta. Stare in sala significa capire quello che preferiscono gli ospiti del ristorante, trasferire le loro preferenze in

Fausto Brozzi

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Giovanni Guadagno

cucina, fare piatti comprensibili, buoni, con materie prime che però devono essere raccontate bene ti consente di ottenere un ottimo risultato per il ristorante”. Maurizio Urso racconta di benessere e salute, perché “si mangerà sempre più spesso fuori casa, di conseguenza, è necessario che i cuochi e i ristoratori prestino maggiore attenzione alla qualità delle materie prime, da qualsiasi parte provengano, e al benessere psico-fisico; a questo proposito ritengo che diventi indispensabile un rapporto costante tra i cuochi e i nutrizionisti, i medici, le organizzazioni medico-scientifiche. L’innovazione passa anche da qui, dall’offrire un modello di consumo che, insieme al piacere di star bene al ristorante, sia anche molto attento al benessere salutistico. Non dimenticare, anche, l’ascolto del cliente che, oggi, viaggia, confronta, porta emozioni di altri luoghi; il rispetto della nostra cultura gastronomica non deve restare legato a una tradizione antica ma aprirsi a nuovi gusti ed esperienze”. Infine Stefano Pistollato ha messo l’accento sui rapporti che devono intercorrere all’interno della filiera dei consumi fuori casa: “in questo contesto è necessario che tutti gli attori si parlino, interagiscano tra loro: i produttori, i distributori, i ristoratori. Il ruolo della distribuzione assume una rilevanza molto importante se gestito bene: pensiamo solamente alla fatica che dovrebbe fare un piccolo produttore di qualità a raggiungere il mercato della ristorazione. Il distributore può sopperire al problema a condizione che la sua rete di agenti abbia una formazione adeguata sul prodotto, lo capisca per presentarlo al cuoco o al ristoratore. Iniziative come questo forum o come la rete dei ristoranti etici devono servire anche a questo, a ridurre il gap, la distanza tra i diversi protagonisti”.

Filippo Sinisgalli

ghiero statale P.Artusi, Riolo Terme (RA); Filippo Sinisigalli, chef, scopritore di talenti e formatore. Carlo Romito ha esordito con una sintesi della storia degli istituti alberghieri in Italia: “Se la scuola diventa di massa è inevitabile che, senza un metodo e un’organizzazione sapiente, cali la qualità e questo è ciò che è successo con gli istituti alberghieri in Italia. Oggi la scuola è in mano agli insegnanti e a qualche dirigente illuminato, professionisti bravi che fanno, spesso, del volontariato per tenere alto il livello scolastico, mentre dovrebbe esserci un percorso organizzato ed efficiente stabilito da chi governa queste strutture. Non è pensabile che, ad ogni cambio di ministro, ci sia una nuova riforma che cancella quella precedente! È necessario guardare gli esempi che ci stanno intorno in Europa, come quello che ho vissuto in prima persona nel Galles: scuola aperta dalle 7,30 alle 23, con nursery per i figli del personale che faceva gli stessi orari, ma soprattutto con una visione imprenditoriale della scuola, un’autonomia che in Italia non si conosce. Una scuola sita in un edificio storico vittoriano dove i laboratori erano in stanze stupende dal punto di vista architettonico ma poco funzionali. Le hanno vendute e con il ricavato hanno costruito dei laboratori moder-

Dove e come agire nel mondo della formazione Il panel ha visto la partecipazione di Carlo Romito, presidente emerito di Solidus, le professioni del turismo; Giovanni Guadagno, resp.le Dipartimento Tecnico-Professionale di FIC (Federazione Italiana cuochi); Marco Feruzzi, docente di Enogastronomia c/o Istituto alber-

Carlo Romito

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Marco Feruzzi

Laura Roncaccioli

ni. Hanno due ristoranti aperti al pubblico, una società di catering e un’agenzia viaggi interna per organizzare i viaggi di studio e vendendo anche all’esterno per autofinanziarsi; ragazzi che, oltre a studiare, fanno pratica quotidiana con un pubblico vero. Con queste soluzioni si rende la scuola davvero autonoma ed efficiente dal punto di vista gestionale”. Giovanni Guadagno ha presentato “il modello messo a punto con i due istituti professionali per l’enogastronomia e l’ospitalità di Seregno e Saronno, che riconosce agli studenti una certificazione europea (crediti professionali ECVET). Il credito europeo è come un passaporto: può essere letto, misurato, conteggiato in Italia come in tutte le altre nazioni della UE. Questo modello contempla un notevole incremento delle ore di laboratorio di quasi il doppio rispetto all’orario ministeriale e altre occasioni di formazione lavoro. Questo modello è frutto di un superamento della superficialità in cui viviamo in questo periodo storico dove non abbiamo voglia di approfondire, capire oltre le righe di un discorso. Ho avuto la fortuna di avere dirigenti scolastici che hanno capito la necessità di avere un rapporto forte con il territorio e creare le condizioni per rafforzare il rapporto tra scuola e lavoro, con il confronto con i produttori che ha visto la nascita di una Bottega scuola per le piccole produzioni di nicchia (panetteria, norcineria, vinificazione, gelateria...) che operano in sinergia con discipline teoriche.” Filippo Sinisgalli ha affrontato il tema della selezione e del legame con le persone dal punto di vista professionale: “Con i miei ragazzi tengo un occhio aperto (severo) e un occhio chiuso (come un padre fa con un figlio). Penso davvero che siano meglio di noi. Attenzione! Non voglio che questa passi come una frase fatta. E ora mi spiego meglio: se anche hanno avuto più possibilità di noi, chi fra loro sceglie di fare questo mestiere in maniera seria, sottolineo in maniera seria, è perché lo vuole. Nel loro inconscio il fuoco della passione per la cucina deve esserci, io devo solamente soffiare su quel fuoco con pazienza. Io non formo nessuno, sto solo accompagnando perché chi

fa questo mestiere dentro è già pronto per farlo. Di base hanno una grinta e una velocità di pensiero che io non avevo alla loro età. Per me questa è la benzina di tutti i giorni. Io vengo a lavorare ancora con il piacere di farlo. Però vanno create le giuste condizioni, se no non si va da nessuna parte: niente nero negli stipendi dei ragazzi, dare il giusto giro tra riposo e lavoro e retribuzione nella giusta misura. A queste condizioni i miei ragazzi sono pronti a fare muro con me. Io per loro e loro per me, disposti a fare qualsiasi cosa”. Marco Feruzzi si è concentrato sul ruolo dei professori all’interno degli istituti scolastici: “Facciamo tutto ciò che ci è possibile fare, molto spesso mettendoci del nostro per sopperire alle limitazioni che la legislazione e le regole burocratiche impongono. Ad esempio nel triennio formativo, prima di scegliere l’indirizzo finale, abbiamo pochissime ore di laboratorio (sei); come è pensabile che un ragazzo capisca davvero come funziona la cucina di un ristorante o conoscere in maniera concreta le caratteristiche di una materia prima? Cosa possiamo fare per aiutare di più i nostri ragazzi? Implementare, grazie alla poca autonomia che ogni istituto ha, le ore di laboratorio, di pratica. Gestire bene gli stage dove vanno i ragazzi. Gestire bene significa mandare i ragazzi migliori nei posti dove riescono ad arricchirsi ulteriormente, spiegare ai ristoratori che uno stage non deve essere un peso, che se non sono loro, i ristoratori, a credere nei ragazzi/e questa professione finirà. È indispensabile trasmettere professionalità ai giovani”.

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Il personale: problema o opportunità? Il tema del personale è un tema molto rilevante nella ristorazione ma non solo, è un tema che vede, dopo il Covid, un cambiamento nelle scelte delle persone che non vogliono più farsi rubare tempo per un lavoro non soddisfacente, o pagato poco rispetto all’impegno. Di come risolvere questo problema complesso hanno parlato, nell’ultimo panel di Oltre i Gesti, Laura Roncaccioli, restaurant manager del ristorante Le Cementine (gruppo


Alajmo), Niccolò Palumbo, socio del ristorante Paca di Prato, Simone Rosetti, fondatore di Romagna Gourmet, Andrea Chiriatti, Responsabile lavoro dell’Area Relazioni sindacali, previdenziali e formazione della FIPE. Laura Roncaccioli ha esordito spiegando il modello Alajmo: “Sono autodidatta rispetto alla scuola alberghiera, sono diplomata a un liceo, e sono qui a testimoniare una realtà che, nonostante abbia una visione internazionale, è molto familiare. Raffaele Alajmo, nel periodo Covid, è venuto a parlare con noi tutti, facendoci vedere i conti del gruppo e chiedendoci, per chi lo voleva, di restare uniti. Io ho scelto quella soluzione e sono rimasta. Oggi ho la conferma di aver fatto la scelta giusta perché lavorare con loro significa crescita continua, rispetto dei ruoli, condivisione degli obiettivi. Massimiliano Alajmo racconta sempre che “Il ristorante deve rispecchiare il tuo pensiero. Deve essere autentico. Noi abbiamo una clientela molto attenta. Il segreto? Mantenere sempre un profilo basso”. Niccolò Palumbo, invece, racconta del modello che hanno adottato a Paca, dove non esistono le gerarchie in nessun ruolo, se le gerarchie significano “mettere a disagio le persone, i collaboratori. Ho fatto diverse esperienze negative prima di aprire, con i miei soci, Paca e tutti abbiamo convenuto che nel nostro ristorante non sarebbero mai accadute le cose che avevamo vissuto. Oggi siamo una vera squadra, affiatata, forte, perché oltre al tempo del lavoro diamo importanza anche al tempo di vita. È fondamentale se vuoi sempre essere al massimo del risultato”. Simone Rosetti ha parlato di managerialità come condizione indispensabile per “riuscire a gestire più ristoranti contemporaneamente. Managerialità significa saper riconoscere le qualità delle persone e le loro predisposizioni; questo l’ho imparato sulla mia pelle ma oggi è l’elemento di forza che mi permette di vedere i miei locali funzionare bene perché danno esattamente ciò che gli ospiti desiderano. Ho, cioè, creato le condizioni affinché i locali abbiano una forte identità, grazie anche alle persoNiccolò Palumbo

ne che ho imparato a scegliere e valorizzare”. Andrea Chiriatti ha chiuso il panel rimarcando il ruolo importante che svolge un’associazione come la FIPE – Federazione Italiana pubblici Esercizi. “È vero ciò che è stato detto nell’introduzione: non solo la ristorazione ha un problema di personale. Altrimenti il rischio è che la ristorazione sia un comparto su cui non valga la pena investire. Invece, se si vuole invertire questo trend negativo, occorre far conoscere ai giovani le reali potenzialità del settore. Mancano completamente quei percorsi di orientamento dedicati ai ragazzi delle scuole e ai giovani in generale, che al momento non sono informati sulle opportunità di lavoro e su quali prospettive di crescita professionale e salariale esistono nelle nostre imprese. Per questo abbiamo realizzato il FIPE Talent Day, un road-show nelle principali città italiane che, dopo il successo registrato nel 2022 con 500 aziende coinvolte e oltre 5.000 partecipanti, è giunto quest’anno alla sua seconda edizione. Un’altra cosa riteniamo indispensabile: è fondamentale sviluppare un rapporto più concreto e solido tra operatori della ristorazione e associazioni sindacali e di categoria per conoscere come funzionano i contratti di lavoro e come scegliere i metodi più adatti per la selezione del personale. Occorre dare valore ai contratti integrativi aziendali che consentano di dare premi ulteriori in base ai risultati”. Andrea Chiriatti

Simone Rosetti

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La Carta di Pietrasanta un documento per la ristorazione

La ristorazione è un comparto che, per diversi motivi, è estremante utile alla collettività: è, infatti, una componente essenziale del turismo, è una delle principali occasioni di convivialità, è cultura gastronomica, è economia reale. Per questo è necessario dare risposte chiare ai problemi che affliggono il settore quali la scarsa attrattività delle professioni ristorative, la formazione come strumento indispensabile e la difficoltà al reperimento del personale. Amodo, la rete dei ristoranti etici e sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione, hanno avviato un confronto nel forum di Oltre i Gesti che si è tenuto a Pietrasanta (LU), da cui è uscito questo documento che viene inviato alle associazioni di categoria e alle istituzioni, oltre a essere divulgato sui media, dove sono indicate alcune soluzioni.

I servizi di sala La domanda è: Come rendere attrattivi i servizi di sala nei ristoranti in Italia? Innanzitutto è necessario creare un modello organizzativo, versatile ma fermo nei suoi principi, che tenga conto di un corretto rapporto tra lavoro e tempo di vita. Due giorni liberi alla settimana, doppi turni, rispetto e identità delle persone sono le prime azioni da mettere in campo. Formazione interna adeguata al livello del ristorante, stage retribuiti e indicazione

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sull’abito di lavoro quando la persona che serve al tavolo è uno stagista. Le persone, siano esse dipendenti o stagisti, che entreranno in sala, saranno seguiti con attenzione e cura, nel rispetto della loro condizione di apprendimento, con una particolare attenzione a un risultato: che vivano bene, con passione, il loro ruolo affinché ne parlino bene, in ogni occasione. Collaborazione tra istituti alberghieri e ristoratori per adeguare la didattica e permettere agli operatori professionali di entrare nelle scuole per raccontare esperienze concrete di lavoro.

La cucina italiana, come può e deve cambiare Questo è, forse, il momento più alto della cucina italiana, nel Paese e nel mondo, ed è quindi l’occasione per renderla ancora più adeguata ai tempi. Si mangerà sempre più spesso fuori casa, di conseguenza, è necessario che i cuochi e i ristoratori prestino maggiore attenzione alla qualità delle materie prime, da qualsiasi parte provengano, e al benessere psico-fisico; a questo proposito riteniamo che diventi indispensabile un rapporto costante tra i cuochi e i nutrizionisti, i medici, le organizzazioni medico-scientifiche. L’innovazione passa anche da qui, dall’offrire un modello di consumo che, insieme al piacere di star bene al ristorante, sia anche molto attento al benessere salutistico. Non dimenti-

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care, anche, l’ascolto del cliente che, oggi, viaggia, confronta, porta emozioni di altri luoghi; il rispetto della nostra cultura gastronomica non deve restare legato a una tradizione antica ma aprirsi a nuovi gusti ed esperienze. È inoltre necessario che la professione del cuoco esca dalla condizione (mai sufficientemente riconosciuta) di lavoro usurante e diventi professione emblematica di un settore, quello della ristorazione, rappresentativo per il nostro Paese. Le cucine devono essere luoghi sempre puliti, con spazi adeguati e tempi di lavoro civili.

La formazione Riteniamo le scuole alberghiere fondamentali per dare continuità alla ristorazione italiana e pensiamo anche che sia deleterio sottoporle a riforme che continuano a sovrapporsi tra loro. Piuttosto chiediamo che quell’autonomia irrisoria concessa alla scuola diventi sostanziale, consentendo la gestione vera e propria (e non simulata) di strutture quali ristoranti, bar, piccoli hotel... che portino profitto e quindi respiro alla scuola stessa, dotata di un manager scolastico, dedito ad amministrare, che si interfacci fra dirigente e docenti. Quanto alla didattica esistono esempi virtuosi come il modello messo a punto dai due istituti professionali per l’enogastronomia e l’ospitalità di Seregno e Saronno, che riconosce agli studenti una certificazione europea (crediti professionali ECVET). Il credito europeo è come un passaporto: può essere letto, misurato, conteggiato in Italia come in tutte le altre nazioni della UE. Questo modello, messo a punto grazie al forte interscambio con Solidus Turismo, contempla un notevole incremento delle ore di laboratorio di quasi il doppio rispetto all’orario ministeriale e altre occasioni di formazione lavoro come la Bottega scuola per le piccole produzioni di nicchia (panet-

teria, norcineria, vinificazione, gelateria...) che operano in sinergia con discipline teoriche. Fondamentale l’aggiornamento professionale degli insegnanti tecnico pratici (ITP).

Il personale Il problema non riguarda solo il settore della ristorazione, questo va detto. Occorre però un adeguamento delle condizioni di lavoro e di recruiting. Non servono annunci tipo Cercasi cameriere o Cercasi cuoco, non c’è più nessuno che voglia fare seriamente queste professioni che risponderà ad annunci così. Sono necessarie parole come trasparenza, progetto, coinvolgimento. Le persone scelgono i lavori anche in base a quanto si sentono coinvolte in un progetto, soprattutto in questo settore; scelgono la qualità della vita e non un semplice stipendio. È necessario spiegare con estrema chiarezza in cosa consiste il contratto di lavoro, quale compenso, quale ruolo, quale tempo libero si ha a disposizione. È fondamentale sviluppare un rapporto più concreto e solido tra operatori della ristorazione e associazioni sindacali e di categoria per conoscere come funzionano i contratti di lavoro e come scegliere i metodi più adatti per la selezione del personale. Occorre dare valore ai contratti integrativi aziendali che consentano di dare premi ulteriori in base ai risultati. Il costo del personale deve essere gestito con capacità imprenditoriale, sviluppando la conoscenza di come si determina, in modo preciso e tenendo conto di tutti i costi di gestione del ristorante, il food cost del piatto. È fondamentale dare valore a questa professione e non lo si fa con menu a pochi euro. E, infine, è indispensabile togliersi dalla testa che un dipendente abbia lo stesso impegno dell’imprenditore; la condivisione di un progetto implica anche chiarezza dei ruoli.

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La formazione

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Autrice: Simona Vitali

Oltre l’ordinario Cosa succede quando gli istituti alberghieri si sanno incontrare


Da sinistra i dirigenti scolastici Massimiliano Urbiati e Cristina Tonelli e il Dott. Z. Xiao dell'Uffico Consolare Ambasciata Cinese

Immaginate di trovarvi in una splendida terrazza romana che dal Milite Ignoto guarda fino al Colosseo (e anche oltre) e di essere accolti con parole tanto inusuali quanto forti: “Chi è qui oggi crede nel futuro, crede nei talenti dei ragazzi e nell’importanza di individuarli precocemente per offrire loro maggiori opportunità di realizzazione. Chi è qui è un ottimista”. Così, Cristina Tonelli, la dirigente dell’Istituto alberghiero Tor Carbone - A. Narducci, introduce il Forum Scuola, mondo del lavoro, giovani talenti. E immaginate anche di accorgervi, da lì a poco, che è tutto vero, che i presenti stanno lavorando alacremente in questa direzione. Questo abbiamo percepito già dalle prime battute, pregustando di assaporare un momento alto di buona scuola (nel vero senso della parola!) di quelli che fanno bene alla salute anche nostra, che da anni ci ostiniamo a salire e scendere per l’Italia alla ricerca di buone iniziative e, meglio ancora, di buoni modelli. Che ci sono ed è nostra cura far conoscere ogni volta che li incontriamo. In un programma di interventi densissimo che si protrae fino al pomeriggio, emergono - fra gli altri - nominativi di dirigenti di altri istituti alberghieri del Paese, questo perché ci sono scuole che, insieme all’ospitante Tor Carbone, hanno saputo incontrarsi, fare rete fra loro, dare vita a progetti, interagendo di volta in volta con gli altri interlocutori del sistema in un’ottica di scambio. Ciò che ci interessa in questa sede non è passarli in rassegna tutti ma giusto alcuni, per poter riflettere su come si possa, in questo non semplice periodo storico per la scuola, riuscire in azioni che non sono più ordinarie bensì straordinarie.

L’internazionalizzazione con la Rete Progetto Made in Italy Sono ormai otto anni che è attiva la Rete Progetto Made in Italy, grazie all’impegno di Daniele Santagati, allora dirigente dell’istituto professionale alberghiero F.Datini di Prato, sollecitato da un bando del Miur, denominato Made in Italy, in cui si invitavano le istituzioni scolastiche riunite in rete a farsi portatrici di idee innovative sul made in Italy presso i Paesi esteri. Costituito un primo nucleo di tre scuole, coinvolti un consorzio di formazione (CONFAO) e l’università di Hanoi (Vietnam), conosciuti in quegli anni, parte la prima missione in Vietnam. Ne consegue che il numero degli istituti aderenti al progetto cresce da 3 a 22 e sempre più ragazzi vengono premiati per il profitto e il comportamento con la partecipazione ad altre missioni, tra Hong Kong e Thailandia, Malesia e Singapore, Guangzhou, Giappone, Uzbekistan e poi Canada, Washington e Miami, Brasile, Mexico City, Martinica, Etiopia... Con il tempo la rete, rappresentata dai tre dirigenti Daniele Santagati del Datini di Prato, Paolo Aprile IISS Polo Tecnico Mediterraneo Aldo Moro di Santa Cesarea Terme e Cristina Tonelli dell’IPSEOA Tor Carbone -A.Narducci, arriva a interfacciarsi con il Ministero degli Esteri portando in dote agli studenti la possibilità di essere Ambasciatori della Cucina Italiana nella settimana della Cucina Italiana nel mondo, e quindi di poter prendere parte ad altre missioni (Hanoi, Bangkok, Tokyo, Samarcanda, Vancouver, Adis Abeba...). Attualmente, con il cambio di Governo, è in sospeso una sottoscrizione di un Protocollo d’intesa con il Ministero | dicembre 2023

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Firma della convenzione tra tra il CPS (Centro culturale di promozione cinese) e la rete Made in Italy per introdurre la cultura del the negli istituti alberghieri.il Dott. Z. Xiao dell'Uffico Consolare Ambasciata Cinese

degli Affari Esteri, già nell’aria da qualche tempo, per poter mandare i ragazzi più meritevoli a fare alternanza scuola-lavoro presso le Ambasciate. L’auspicio è che ciò che ha avuto un inizio trovi una continuità, il più bel segnale di lungimiranza che possa arrivare dall’alto. Intanto le relazioni che la rete Made in Italy ha sviluppato nel mondo danno comunque i loro frutti. In occasione del forum romano in questione è stata infatti firmata una convenzione tra il CPS (Centro culturale di promozione cinese) e la rete Made in Italy per introdurre la cultura del tè negli istituti alberghieri.

Cosa implica a aprirsi all’internazionalizzazione per una scuola “Per guardare all’internazionalizzazione – racconta Paolo Aprile, l’attuale presidente della Rete Progetto Made in Italy - bisogna instaurare un rapporto molto forte con il territorio, le sue istanze produttive, le sue istanze sociali, vale a dire che ci dev’essere una ragione di scambio, per cui nessuno deve percepire il partner come fastidio ma come un’occasione di crescita e vantaggio reciproco. Per far questo bisogna riuscire a costruire però rapporti basati sulla vicendevole stima e ci vuole tanta apertura ma anche consapevolezza della propria funzione e predisposizione al cambiamento, o meglio, una buona propensione alla sperimentazione. Alla base di tutto, naturalmente, ci dev’essere una scuola che funziona: il dirigente scolastico dev’essere credente, credere in quello che fa, e il gruppo di collaboratori dev’essere stakanovista e credente , il direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) deve lavorare in armonia con il dirigente scolastico, altrimenti le cose non funzionano. L’ inglese è la lingua veicolare per comunicare e si deve diffondere sempre più sia fra gli

studenti che fra gli operatori della scuola. Non ci possiamo più permettere di avere otto anni di lingua inglese studiata nella scuola e vedere i ragazzi uscire senza una competenza linguistica degna di questo nome. Le relazioni internazionali stabili e affidabili si costruiscono sulla base della credibilità che si è dimostrata, senza dimenticare di assumersi responsabilità, perché per fare questo bisogna lavorare tanto e esporsi anche ad alcuni rischi”.

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Il Dott. Z. Xiaio e il rituale del tè, con degustazione di selezioni pregiate in Cina


La Rete degli Alberghieri ittici d’Italia Assoittica - Associazione nazionale delle aziende operanti, in tutto o in parte, nel settore ittico - ha strutturato una campagna di comunicazione con una forte valenza tecnico/scientifica volta a incentivare il consumo dei prodotti ittici, che vuole coinvolgere oltre a Ministeri, Università, Istituti Zooprofilattici, Istituti di Ricerca, associazioni di consumatori anche gli istituti alberghieri. È il 2020 quando Assoittica sottoscrive un protocollo d’intesa con l’Istituto alberghiero Tor Carbone per la costituzione della prima Rete degli Alberghieri ittici d’Italia, che non tarda a creare a sua volta un network tra più istituiti alberghieri dislocati sul territorio nazionale. Oggi sono 22. Diverse le iniziative che hanno preso vita tra Settimana dell’ittico (approfonditi gli aspetti igienico-sanitari, la tracciabilità, gli aspetti nutrizionali e la sostenibilità dei prodotti ittici) Bubble & Fish, La nostra pesca è mediterranea, Granchio blu fino a Un pesce al dì, tutte sapientemente pensate e proposte da Assoittica, sotto lo sguardo attento di Giuseppe Palma, segretario generale. “Mai come in questo momento - ci tiene a evidenziare Palma - in Italia si è mangiato tanto pesce e il fatto è che ci sarà la tendenza ad un ulteriore incremento del suo consumo”. E poi prosegue: “Un modello alimentare vario e equilibrato prevede il consumo di pesce 2/3 volte a settimana, per cui è opportuno variare le specie ittiche assunte, in virtù delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali di ciascuna”. Di fatto su 1010 specie ne conosciamo mediamente 50, al ristorante ne troviamo 30 e a casa ne mangiamo 15. Conoscere e imparare a cucinare nuove specie arrivando fino ai ristoranti, attraverso l’alternanza scuola/Lavoro: qui sta la lungimiranza di Assoittica, che ha colto l’utilità di un simile impianto ed ha apprezzato l’apertura dei dirigenti nel comprendere il valore di fare rete, perché la scuola diventi un interlocu-

tore affidabile per la veicolazione di messaggi.

Sapere creare una visione e non mettersi in attesa “ Ci vuole visione - ci tiene a sottolineare Massimiliano Urbinati, dirigente scolastico dell’Istituto di Istruzione Superiore Vergani-Navarra di Ferrara – ma questa non va aspettata, va creata. La riforma dei professionali dobbiamo reggerla, costruirla, darle un senso quindi bisogna che buttiamo il cuore oltre l’ostacolo. Occorre cercare di lavorare pensando al network: c’è la scuola, il lavoro, ci sono le istituzioni, c’è il mondo dell’associazionismo e il mondo della sanità. Ci sono questi cinque player e noi non dobbiamo essere secondi a nessuno. Noi rappresentiamo il futuro, questi ragazzi ne hanno il diritto e hanno potenzialità enormi, dobbiamo dargli la macchina e fargli immaginare la benzina e loro la benzina la trovano. Il progetto Un pesce al dì ad esempio, di cui sono responsabile, è nato in modo estremamente veloce, messo in piedi in pochissimo tempo, per cui se non c’era il network non ci saremmo mai arrivati. Ora, a fare la differenza è proprio il veicolare, dare gambe a un simile progetto che ha un obiettivo politico (creare salute e benessere) e non fine a se stesso, attraverso i giovani. Anche per noi stessi dirigenti, che ne abbiamo fin sopra i capelli di adempimenti amministrativi e burocratici, rappresenta quel qualcosa di nuovo, che un senso ce l’ha e ci fa recuperare e ritrovare quella passione che ci ha portato a scegliere di diventare prima docenti e poi dirigenti”. Dirigenti che si uniscono, scuole che si coalizzano mettendo sul piatto tutto quanto è nella propria disponibilità, atti di coraggio dettati da visioni chiare. L’unione di buone teste va premiata se abbiamo davvero a cuore il bene della scuola.


La distribuzione

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Autore: Luigi Franchi

Gli Stati Generali della Filiera Ho.Re.Ca Una filiera da riscoprire tra sostenibilità e tutela del made In Italy

Agrodipab – Associazione Grossisti della Distribuzione di prodotti alimentari e bevande, presieduta da Giuseppe Maria Arditi, e Rete Ho.Re.Ca. – Rete d’impresa Distributori H.Re.Ca. Italia, presieduta da Edoardo Solei, si sono unite nel convocare gli Stati Generali della Filiera H.Re.Ca. nell’ottobre scorso presso la Sala del Refettorio alla Camera dei Deputati per confrontarsi sulla proposta di legge n. 1205 a firma degli onorevoli deputati Giancarlo Zucconi e Salvatore Deidda recante “Disposizioni in favore delle imprese che svolgono attività di distribuzione di prodotti alimentari e di bevande per le strutture ricettive e gli esercizi commerciali del settore della ristorazione”. Al convegno ha preso parte, oltre ai firmatari della legge che ne hanno presentato i contenuti, anche il vice-ministro dei Trasporti, on. Galeazzo Bignami.

I contenuti del convegno L’on. Giancarlo Zucconi all’inizio ha dato la parola all’on. Salvatore Deidda, l’altro firmatario della proposta di legge, che ha ragionato sulle tempistiche del governo in merito ai problemi che interessano la filiera Ho.Re.Ca., a cominciare dalla revisione di alcuni aspetti del codice della strada per finire con la revisione dei codici ATECO. 38

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Da sinistra Andrea Marchi, Riccardo Zuccali, Benhur Tondini

Poi la parola è tornata all’on. Zucconi che ha illustrato la proposta di legge n. 1205, partendo dai dati del settore che raggruppa, come filiera, circa 400.000 imprese, con un 1,3 milioni di occupati, per un fatturato di 280 miliardi. “Un settore strategico, quindi, che diventa fondamentale per dare valore al mondo della ristorazione e, di conseguenza, del turismo, vero motore economico del nostro Paese con il 13% del PIL. – ha affermato l’on. Zucconi – Per questi motivi ho ritenuto giusto presentare una proposta di legge che affronta, per risolverli, alcuni problemi della categoria dei distributori. I distributori rappresentano l’anello intermedio del settore HORECA operando come tramite tra i produttori e i pubblici esercizi e svolgendo, pertanto, un ruolo inderogabile, in quanto provvedono all’acquisto all’ingrosso dei prodotti alimentari e delle bevande direttamente dalle imprese produttrici, garantendone il loro corretto immagazzinamento e stoccaggio e provvedendo alla successiva e tempestiva fornitura ai singoli esercizi commerciali, quali le strutture ricettive, i ristoranti, le gelaterie, le pasticcerie e i bar, che non detengono una struttura logistica e finanziaria per rivolgersi direttamente al settore industriale della produzione. Il comparto della distribuzione durante la pandemia di COVID- 19 ha assunto un ruolo di garanzia nei confronti del settore HORECA, configurandosi come una sorta di ammortizzatore sociale e finanziario dell’intera filiera. I distributori acquistano direttamente i prodotti con termini di pagamento da 30 a 60 giorni, mentre agli esercenti assicurano dilazioni e maggiori termini di pagamento sino a 180 giorni: queste dinamiche sinte-

tizzano in maniera eloquente il sistema che condiziona l’operatività del comparto e il ruolo di garanzia svolto dai distributori, in ragione del fatto che gli esercizi commerciali di destinazione del prodotto si configurano quali imprese individuali, ossia micro e piccole imprese che non detengono gli strumenti per far fronte ai loro impegni finanziari in altro modo e con termini più stringenti”. Fatta questa premessa che serve a inquadrare il comparto della distribuzione, l’on. Zucconi è entrato nel merito della proposta di legge spiegando che è necessaria “l’introduzione, da parte dell’ISTAT, di un codice ATECO specifico, mediante l’introduzione, nell’ambito dell’attuale classificazione alfanumerica delle attività economiche di distribuzione di prodotti alimentari e di bevande, di un ulteriore elemento, al fine di evidenziarne il nesso specifico con la distribuzione di prodotti alimentari e di bevande destinata al solo settore HORECA. In secondo luogo è indispensabile dar vita a un’agevolazione fiscale in materia di accise sul carburante per i mezzi delle imprese che esercitano l’attività di distribuzione all’ingrosso di prodotti alimentari e di bevande per il settore HORECA mediante l’utilizzo di veicoli di massa massima complessiva non inferiore a due tonnellate. Un’estensione del buono patente in favore dei cittadini e delle imprese operanti nei settori della distribuzione di prodotti alimentari e di bevande e dell’autotrasporto di persone e di merci, ai fini del conseguimento della patente e delle abilitazioni professionali per la guida dei veicoli destinati ai suddetti settori”. Queste sono solo alcune delle norme che la proposta di legge intende attuare; a queste si aggiungono agevolazio| dicembre 2023

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ni fiscali per l’ADBlue, la Promozione della distribuzione sostenibile e della dotazione di veicoli ad alimentazione elettrica per il trasporto di prodotti alimentari e di bevande, l’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per capannoni di deposito di prodotti alimentari e di bevande. “Gli Stati generali dell’Horeca – conclude l’on. Zucconi - rappresentano un momento storico di confronto per l’intero settore, avendo l’ambizione di far sedere allo stesso tavolo ciascun attore della filiera (produzione, distribuzione ed esercizi Ho. Re.Ca.) e creando le condizioni per un dialogo concreto con i referenti del governo, nella prospettiva di individuare soluzioni concrete ai problemi del comparto. Un primo evento che pensiamo di riproporre a cadenza annuale perché lo sforzo che dobbiamo fare adesso è lavorare nelle pieghe della legislazione per avere, da subito, una semplificazione delle norme procedurali che aiutino il settore”.

Il dibattito Moderato dal direttore generale di Rete Ho.Re.Ca., Roberto Santarelli, che ha ricordato che Rete Ho.Re.Ca. rappresenta il 42% delle imprese di distribuzione nel food service, con 700 aziende associate e 3,6 miliardi di fatturato, ha poi dato lettura di un messaggio del ministro alle imprese e al made in Italy, Adolfo Urso: “La filiera Ho.Re.Ca. rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell’italian way of life e questo convegno ha l’importante merito di far sedere attorno a un tavolo tutti i soggetti privati della filiera e i rappresentanti del governo per creare, per la prima volta, un dialogo e una conoscenza di una realtà, quella della distribuzione, ancora poco conosciuta”. Tra gli interventi più significativi quello dell’on. Gianluca Caramanna, consigliere del ministro del Turismo, che ha evidenziato come “anche il ministero del Turismo

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abbia messo al centro del proprio operato l’aiuto alle imprese a 360 gradi, attivando un censimento dei codici ATECO per capire come elevare il ruolo dei distributori in un settore, quello del turismo, che vede ormai quattro turisti su cinque scegliere l’Italia per la sua enogastronomia”. Edoardo Solei, presidente di Rete Ho.Re.Ca., ha affermato che “questi Stati Generali rappresentano una pietra miliare sul nostro futuro. Ricordo quando, per primo, andai all’ISTAT a chiedere di cambiare il codice ATECO per la nostra categoria perché noi non siamo grossisti, siamo distributori che hanno qualificato la categoria”. Infine Roberto Calugi, direttore generale della FIPE, ha evidenziato come, in un contesto di grande ripresa della ristorazione, “A soffrire di più è la fascia media del settore, quella che, per il 90% dei casi, viene servita proprio dai distributori, e che rappresenta la stragrande maggioranza dei locali pubblici italiani. Se continuiamo a permettere a chiunque di aprire un ristorante, senza che ne conosca le regole imprenditoriali, questo diventerà un danno enorme per l’intera filiera”.

La posizione di Cateringross Agli Stati Generali era presente anche una delegazione di Cateringross composta dal presidente Andrea Marchi, dal vice-presidente Riccardo Zuccali, dal consigliere Benhur Tondini e dal responsabile di sede Fabio Molinari. Ad Andrea Marchi abbiamo chiesto un’opinione: “Abbiamo aderito da subito a Rete Ho.Re.Ca. perché è nel nostro dna favorire il confronto e l’unità d’azione e gli Stati Generali di oggi sono la conferma della giustezza di questa scelta. Da soli non saremmo arrivati fin qui, non avremmo una proposta di legge per il nostro settore. Ora dobbiamo dare più forza, in termini di comunicazione, del nostro ruolo”.

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Autrice: Simona Vitali

Il futuro va coltivato Il progetto di una brillante agente di RZ Service

Avete mai provato a pensare all’universo dei prodotti di cui si circonda un distributore alimentare per poter rispondere in tutto e per tutto alle esigenze del mondo Ho.Re.Ca.? Corsie e corsie stipate dal basso verso l’alto, sia a destra che a sinistra, in magazzini enormi completamente dedicati, dove è molto più agevole muoversi con transpallet che a piedi. Il pensiero corre a chi li deve rappresentare tutti questi prodotti, l’agente, e ci si chiede se non sia dotato di qualche capacità superiore oppure se abbia fatto uno di quei corsi che insegnano a memorizzare per associazioni...come mai farà a ricordarseli tutti?! Lo abbiamo chiesto a Riccardo Zuccali titolare di RZ Service a Palazzolo sull’Oglio (BS), del gruppo Cateringross, che tra l’altro ha appena trasferito l’azienda in una struttura più grande, per dare respiro a ben 5000 referenze che contemplano veramente tutto ciò di cui una realtà del fuori casa necessita, persino frutta e verdura fresca (acquistata ogni giorno a Verona da un expertise interno), pesce fresco, beverage, pasticceria di qualità...oltre a tutto, veramente tutto, il resto. “È vero che abbiamo 5000 referenze – spiega Zuccali - ma sono suddivise anche in base alla fascia di mercato che l’agente va ad approcciare. Tuttavia la sua abilità dev’essere comunque quella di destreggiarsi tra il riordino e il proporre idee nuove, nuovi prodotti, cioè riuscire a fare tutto dentro il tempo che il cliente gli dedica, la qual cosa non è facile, non sempre riesce. Da parte mia mi preoccupo di dargli opportunità di conoscenza, quindi formazione sul prodotto, anche attraverso demo in cui degustare le nuove referenze via via inserite e il suggerimento di come selezionare ogni settimana una fascia di prodotti diversi da presentare in modo celere ed efficace, perché nell’arco di qualche mese siano sta44

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ti conosciuti tutti. E poi l’invito a professionalizzarsi, a essere curioso e a prendere spunti, imparare dai cuochi con cui entra in contatto, i migliori insegnanti. Quando succede che venga coinvolto dal cliente per suggerimenti circa il menù della settimana successiva, allora l’agente da riordinatore diventa consulente. E quello è l’obiettivo a cui voglio portare tutti i nostri agenti”.

Come nasce un progetto Serena Lunardi ha fatto la scuola d’arte e ama cucinare e assaggiare. È un agente di RZ Service. In autonomia riesce a vendere prodotti non alto-rotanti semplicemente perché stimolano la sua curiosità. “Perché non provi ad abbinare questo con quello?” dice ai suoi clienti, che da lei si aspettano che si sbilanci, che ci metta lingua, che li consigli. “Serena vorrei fare questo menu, cosa mi proponi?” questo le viene chiesto, a dimostrazione di un rapporto improntato sulla fiducia, che Serena si è saputa conquistare perché c’è sempre, anche fuori dal canonico orario lavorativo se necessario. “Ogni volta che esco da un cliente – racconta – gli stringo la mano e gli dico: ‘Grazie della fiducia’, cosa che non dev’essere mai data per scontata”. Fra i suoi contatti ci sono pure le Fondazione Ikaros e Fondazione Et Labora, che si occupano anche di formazione professionale dove, a un certo punto, per i percorsi di enogastronomia, sala&bar e arte bianca, Serena ha iniziato a coltivare il pensiero di portare in dote agli studenti una conoscenza più approfondita dei prodotti e pure tecniche nuove, con il coinvolgimento delle aziende produttrici, se queste avessero accettato di fare delle demo nei tre centri di Grumello (BG),

Calcio (BG) e Bergamo. Con il benestare di Riccardo Zuccali, che da tempo ha nel cuore di investire sulle giovani generazioni, Serena raccoglie la disponibilità dei produttori e si appresta a costruire un calendario di demo nelle tre sedi. E così queste scuole, sufficientemente lontane - come molte del resto - dal mondo produttivo, improvvisamente se lo trovano in casa e hanno la possibilità di interagirci in modo diretto, andando a colmare ciò che solitamente è una lacuna della formazione di base: la conoscenza del prodotto. Due ore intense per ciascuna demo, dall’inizio dell’anno scolastico ad oggi, con un coinvolgimento tale dei ragazzi da indurli spontaneamente a saltare anche la pausa. Così è accaduto con Eurovo con la sua narrazione dall’allevamento al piatto e molte informazioni sull’uovo, Molino Braga e l’approccio con le diverse tipologie di farine, gli impasti, la realizzazione di croissant e brioches e l’opportunità per i tre ragazzi più attenti di partecipare ad un corso sul panettone in azienda, Sysco e l’approccio con un prodotto pre-lavorato che dà certezza del risultato (realizzazione di ravioloni con guancetta di manzo cotta a bassa temperatura) e un invito a sorpresa per ben sei ragazzi a prendere parte a Hospitality a Riva del Garda, Roat e le sfilettature del pesce, Maiora e i tagli della carne e altro ancora... senza contare le varie ed eventuali emerse durante gli incontri, che hanno aperto ai ragazzi ulteriormente gli occhi sulla vita là fuori e sull’ampiezza dell’offerta del mercato del lavoro. Un distributore alimentare che appoggia la propria intraprendente agente in un’operazione di coinvolgimento di aziende produttive di non piccolo calibro su singole scuole del territorio, certosino lavoro utile a diffondere conoscenza, dice che il sistema della distribuzione alimentare sa essere molto più presente e attento a come gira il mondo di quanto non si creda.

Riccardo Zuccali

Serena Lunardi

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Il vino

Clicca e leggi l’articolo sul web Autrice: Giulia Zampieri www.colleflorido.it

Andrea, Daniela e Colle Florido Un approccio fondamentale, ma sempre più raro, al mondo del vino Daniela Trolio e Andrea Ugolotti in vigna


Nel numero di novembre abbiamo cullato i buoni pensieri di viticoltura di Daniele Piccinin, in passato ristoratore, oggi vignaiolo in Lessinia e sostenitore dei suoli vivi. Per l’ultima puntata dell’anno abbiamo preso la strada per il centro Italia, spostandoci di 554 chilometri a sud, fino a Pianella, in provincia di Pescara, per raggiungere Colle Florido. Dietro a questo rigoglioso nome ce ne sono altri due: Daniela Trolio e Andrea Ugolotti.

Su quel Colle un ecosistema coerente Andrea a Daniela, alleati sotto i propositi dell’azienda agricola ma prima di ogni altra cosa compagni di vita, hanno fondato Colle Florido dieci anni fa. Daniela è abruzzese d’origine, ha esercitato la professione di architetto; Andrea conta un lungo percorso nell’alta ristorazione, in sala e come sommelier, con una cascata di esperienze di spessore, dalla famiglia Santini a Canneto sull’Oglio a all’Ousteau de Baumanière in Provenza. Non staremo qui a sviscerare il suo lungo e importante percorso professionale o, se poco poco lo abbiamo capito, inveirebbe. Ciò che conta oggi è il messaggio che Colle Florido, Andrea e Daniela vogliono lanciare. Non attraverso manifesti, partecipazioni a fiere ed eventi, ma con la loro riservatezza, le loro scelte e i loro vini. Quindi cos’è Colle Florido? È parte viva di un ecosistema fatto di vigneti, uliveti, orti, terreni, seminativi e boschi, in un territorio ricco di risorse, oltre che il colle in cui tutto ciò si svolge. È una realtà piccola (quattro ettari a vigneto, poco più di tre ettari a uliveto, due a seminativi) che ha una precisa formula di fondo: la coerenza.

I vini di Colle Florido Quando Colle Florido ha visto la luce Andrea e Daniela non avevano esperienza diretta in campo. “Abbiamo imparato sbagliando, commettendo un errore dopo l’altro ed è stato un apprendimento continuo, dal campo alla vasca di fermentazione” ci confessa Andrea. “In questi anni vissuti da agricoltori abbiamo capito che seguire la natura significa inevitabilmente incontrare dei grandi cambiamenti, come la siccità degli ultimi anni. Abbiamo corretto il nostro modo di lavorare mettendo sempre al centro il valore di un’agricoltura | dicembre 2023

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Il mondo del vino

rispettosa dell’ambiente, degli animali e dell’uomo e il nostro vino nelle condizioni di esprimersi senza artifizi”. Non rientrano in alcuna denominazione d’origine; i loro vini sono da tavola, e nascono dall’incontro di varietà locali coltivate senza l’aiuto di collaboratori, unicamente con le loro forze. Il Postino, Erba Salata, Lalena e Salvo: curiose le motivazioni di questi nomi ma soprattutto di grande identità e riconoscibilità i vini. Non è un caso se compaiono in alcune tra le carte più curate del nostro Paese.

Il passato da sommelier ha un peso nella visione di Andrea, così come lo ha il presente da viticoltore. “Il vino che faccio è quello che avrei voluto servire nei ristoranti per cui ho lavorato? Sì, direi di sì. Non c’è una ricerca ossessiva della perfezione. Accettiamo ciò che, al netto del nostro impegno e del nostro lavoro, arriva. Siamo convinti che avvalersi di grandi consulenze sia penalizzante per l’affermarsi di un territorio e di un’azienda, così come lo sia fare un ricorso irragionevole a correzioni esterne. Si rischia l’omologazione, la perdita di identità”. Il pensiero di Andrea arriva fermo e chiaro anche sul modo in cui oggi si racconta il vino, quindi sulla ristorazione e sui canali di comunicazione. “Oggi il mondo del vino ha bisogno più che mai di competenze, di informazioni vere, di espressioni verificate da parte dei suoi divulgatori. Non ha bisogno di chi fa la gara a mostrare cosa beve e quanto beve. C’è bisogno di bere, certo; di avere dei riferimenti importanti nel proprio bagaglio di assaggi. Potrei farne una lista lunga ed esaustiva. Ma c’è anche tanto bisogno di conoscere in prima persona le realtà con cui si lavora, di andare a visitarle, di capire cosa significa assaggiare da una vasca. Conoscere il mondo del vino, lavorarci dentro anche stando nella sala di un ristorante, è un’altra cosa rispetto a scegliere un’etichetta perché ce l’hanno gli altri”.

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Il territorio

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Autrice: Simona Vitali

Aprirsi ai mieli

Prendere confidenza con un alimento naturale amico di una cucina di qualità C’è una buona notizia per i cuochi che intendano ampliare il proprio bagaglio di conoscenze: il miele nel mondo della ristorazione non è ancora molto presente ma soprattutto non si conoscono adeguatamente le differenze fra le diverse tipologie di miele, perché è di mieli e dei loro diversi utilizzi che si deve parlare. C’è quindi molto ancora da scoprire e da cui lasciarsi ispirare per la realizzazione di gustosi piatti. Un’altra buona notizia è che l’Italia è l’unico Paese al mondo a contare un Albo degli esperti in analisi sensoriale del miele, ente istituito dal Ministero per le Politiche Agricole nel 1999 con l’intento originario di controllare la veridicità delle diciture sulle etichette. Ci sono quindi figure qualificate che ci possono guidare a un approccio sensoriale ai mieli (in Italia c’è una produzione di una cinquantina di mieli uniflorali - provenienti da un’unica specie botanica - oltre a infinite variazioni di mieli millefiori) e lo fanno attraverso un metodo oggi codificato nel disciplinare dell’Albo, che contempla l’utilizzo di un bicchiere a ballon da 160 millilitri, o più semplicemente un calice da vino, nel quale trasferire una piccola quantità di miele, circa 30 grammi da analizzare, appunto, attraverso la vista e l’olfatto prima di passare alle sensazioni di bocca. Da una quindicina d’anni c’è pure un’associazione culturale, AMI , Ambasciatori dei mieli: “Nata - racconta Alessandra Giovannini, vicepresidente dell’associazione - da una riflessione emersa nel | dicembre 2023

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corso di una cena fra amici, produttori ed esperti sensoriali dell’Albo con una visione evoluta, secondo cui in Italia nessuno si stava occupando di comunicare il miele in modo disinteressato rispetto al momento commerciale, cioè di fare cultura del prodotto miele”. AMI, che conta tra i fondatori figure del calibro di Andrea Paternoster e Lucia Piana (una delle maggiori esperte di miele a livello mondiale), ha come obiettivo quello di sostenere e diffondere la cultura apistica, del miele e degli altri prodotti dell’alveare. “Sono molte – racconta Alessandra Giovannini - le collaborazioni all’attivo con associazioni del mondo alimentate (come ONAF o ANAG) e pure dell’associazionismo apistico (è recente il progetto “Lezioni di miele” in collaborazione con UNA-API, Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani), così come il coinvolgimento del mondo scuola (dalle primarie agli alberghieri) e dei cuochi (I Cuochi dell’alleanza, Les Collectionneurs e pure diversi stellati), capaci di restituire preziose ricette, primo veicolo di promozione dei mieli. La partecipazione al Corso di analisi sensoriale del miele di I° livello (c’è anche un II° e III° livello) rappresenta per un cuoco un’ottima base, dal momento che arriva a conoscere i 18 principali mieli uniflorali italiani e acquisisce consapevolezza

delle caratteristiche di ciascuno da sfruttare in cucina, oltre ad avere elementi conoscitivi per arricchire di specifiche il menù in tema di miele. Per chi non lo sa c’è una sorta di ombelico del mondo apistico che è Castel San Pietro Terme (BO), dove già dal ‘700 ci sono le testimonianze di un’apicoltura condotta in modo professionale, perpetrata nel corso dei secoli e culminata, nel 1988, con la nascita di un Osservatorio Nazionale Miele, organismo di supporto alla produzione, promozione, valorizzazione della qualità e la diversità dei mieli italiani attraverso diverse iniziative. Fra queste certamente la storica Fiera e Borsa nazionale del miele. L’edizione di quest’anno ha visto un programma di ben due weekend di settembre densi di seminari tecnici, mostre, attività culturali culminati nel consueto e l’attesissimo concorso Le tre gocce d’oro, giunto alla sua 43ma edizione, con 1294 mieli di produzione nazionale in gara, di cui ne sono stati selezionati 455 (20 insigniti con tre gocce d’oro, 174 con due gocce d’oro e 261 con una goccia d’oro) confluiti nella Guida tre gocce d’oro 2023, uno strumento utilissimo per chiunque intenda individuare a colpo sicuro i migliori mieli prodotti. Un’altra bella iniziativa sempre ad opera dell’Osservatorio è stata il coinvolgimento di 22 chef stellati che realizzassero con le proprie ricette una sorta di viaggio nei paesaggi italiani con i grandi mieli d’Italia, progetto coordinato da Igles Corelli e sfociato in una pubblicazione, Mieli italiani fra le stelle. Riportiamo di seguito la ricetta della chef Martina Caruso del ristorante Signum a Salina, perché possa essere uno stimolo per quei colleghi che oltre la realizzazione di un dessert non riescono a spingersi, nell’utilizzo dei mieli. Ci sono invece primi e secondi piatti meravigliosi che meritano di essere sperimentati e proposti alla clientela:

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Cozze lardellate con lenticchie di Ustica al miele di timo Ingredienti (ricetta per 4 persone) Per le lenticchie Lenticchie di Ustica 100 gr Aglio 1, Cipolla 1, Carota 1, Sedano 1, Alloro 2, Olio evo, Acqua 1 L Per la panataura (mollica atturata) pangrattato 100 gr, aglio 1, alloro 2, olio evo Per lo spiedino cozze n° 28 (7 per spiedino) (consiglio quelle di Ganzirri), panatura 100 gr, lardo di suino nero dei Nebrodi 8 fette, miele di timo, origano

Preparazione Mettere nella pentola a pressione le lenticchie con tutti gli ingredienti, chiudere e lasciar cucinare, aggiustarle di olio e sale. In padella mettere un filo d’olio extra vergine d’oliva e l’aglio in camicia, aggiungere il pangrattato e farlo colorire un po’. Pulire e aprire le cozze a vapore, appena le cozze si raffreddano levare il guscio e inserire le cozze in uno spiedino.

Quando tutti gli spiedini sono pronti avvolgerli con le fettine di lardo e passarli nella mollica atturata. Passarli alla brace, il tempo per far sciogliere il lardo. Finitura e presentazione del piatto: Nel piatto fare una striscia di miele e una spolverata di origano. Sovrapporre gli spiedini di cozze lardellate, le lenticchie. Concludere con un giro un d’olio extra vergine l’oliva. Le cozze lardellate, le lenticchie un filo d’olio extra vergine d’oliva.

Vino consigliato GRILLO Un appunto: I vini ottenuti dal Grillo sono di un colore giallo paglierino chiaro e luminoso. I profumi fruttati e agrumati si integrano con le note floreali di fiori di campo e zagara. Al palato il vino è fresco, ben strutturato con un finale piacevole, leggermente sapido e minerale.

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La storia

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Autrice: Alessia Cipolla

Talleyrand e la diplomazia a tavola Venne definito “un uomo per tutte le stagioni”: il principe di Benevento fu religioso, abile politico dalla lingua tagliente, calcolatore, esperto di tradimenti e sotterfugi ma anche brillante seduttore, grande anfitrione e ideatore di banchetti memorabili. Charles Maurice de Talleyrand-Périgord- da Wiki Commons

Affetto da una malattia genetica, la sindrome di Marfan, e non per colpa di una caduta accidentale, come vuole la leggenda, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838) aveva un piede talo e zoppicava, cosa che determinò il suo carattere e anche il suo destino. “Una vipera che cambia pelle” è una delle descrizioni più gentili riferite a Talleyrand, detto il diavolo zoppo, principe di Benevento, vescovo di Autun, fedele alla monarchia sotto Luigi XVI, alla Rivoluzione del 1789, riparando poi come inviato diplomatico a Londra e negli Stati Uniti per salvarsi la pelle; successivamente giurò fedeltà a Napoleone e divenne Ministro dell’Impero napoleonico. Alla sua disfatta fu parte attiva nel-

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la Restaurazione borbonica con Luigi XVIII e poi con Carlo X e divenne un perno attorno al quale si svolse il Congresso di Vienna del 1814-1815: insomma, fu uomo fedele a nessuno tranne che a sé stesso, rendendo, comunque e sempre, grandi servigi alla Francia, pur ai limiti dell’opacità.

Talleyrand e Carême Ideatore di cene e balli ai quali tutti ambivano a partecipare, il principe di Benevento ebbe a servizio, non a caso, Marie-Antoine Carême, il cuoco dei re e il re dei cuochi, al quale lo legò una stima che durò fino alla morte. Due maestri che, insieme, collaborarono alla rivoluzione gastronomica tra i due secoli: l’arte culinaria di Carême, la sua creatività e la sua abilità si unirono all’eleganza, ai gusti raffinati e alla passione per la tavola del principe gourmand, codificando così un nuovo stile di cucina, più semplice rispetto a quella settecentesca ma dalle ricette raffinate e scenografiche, senza mai abbandonare la nostalgia per le “grandes tables” e “les grandes manières” dell’Ancien Régime. “Se non si è vissuto prima della Rivoluzione, non si conosce il paradiso”: questa una delle frasi celebri del nobile gourmet. I due studiarono un nuovo schema di menu, rivoluzionario e di gran successo che consisteva in: due potages, ossia zuppe, due relevés di cui uno di pesce, quattro entrées, due arrosti, quattro entremets dolci e per finire il dessert inteso come formaggi, dolci e frutta. Le ricette variavano in base alla stagione, mentre le quantità in base al numero di invitati, naturalmente. Talleyrand, come ogni grande gourmet che si rispetti, passava quotidianamente in cucina per discutere con Carême e organizzare il menu della giornata ma anche per ascoltare i resoconti della sera precedente dalla propria servitù, sempre attenta alle conversazioni altrui a tavola. La cena era il pasto più importante della giornata al quale dedicava molta attenzione scegliendo prodotti eccellenti trasformati poi in ricette sorprendenti dal suo cuoco, il quale dichiarò: “Ah! che differenza tra la brutta casa di Cambacérès (n.d.r. politico francese del periodo rivoluzionario e napoleonico) e la grande e degna residenza del Principe di Bénévent... Qui vengono utilizzati solo i prodotti più sani e pregiati. Lì tutto è abilità, ordine, splendore. Il talento è felice e altolocato. Il cuoco governa lo stomaco. Chissà, forse influenza i grandi pensieri del ministro…”.

Anfitrione perfetto Talleyrand ebbe più sedi dove tessere le sue trame politiche, lecite o illecite: il palazzo Galliffet a Parigi, dal 1803 il castello di Valancay e dal 1812 l’Hôtel de Saint-Florentin, splendide dimore neoclassiche con ta-

Una caricatura del 1815 di Talleyrand - L'Homme aux six têtes (L'uomo con sei teste), in riferimento al suo ruolo di primo piano in sei diversi regimi- da Wiki Commons

vole note in tutta Europa. Da uomo di gusto, era noto per le splendide scenografie dei suoi banchetti, affidate ai più influenti architetti del periodo, per l’eleganza degli addobbi e per la magnificenza della sua tavola. Molti furono gli ospiti celebri: Napoleone e la sua famiglia, diplomatici, politici, affascinanti donne e anche intellettuali illustri come Benjamin Constant e Chateaubriand, Madame de Staël e il poeta Arnault. Il motto del principe era: “Quando un negoziato va male, bisogna dare un pranzo.” Era, infatti, un grande sostenitore della “diplomazia gastronomica” secondo la quale non esisteva altro luogo migliore dove riunire le persone a discutere, se non la tavola. L’eleganza tipica dell’aristocrazia settecentesca, assieme a una grande passione per la cucina “alta”, lo resero un grande anfitrione, capace di porzionare abilmente un arrosto a tavola e servirlo ai suoi ospiti. Se uno di questi fosse stato superiore di rango avrebbe porto lui il piatto dicendo: “Posso avere l’onore di servirvi? “. Ai commensali del suo stesso rango chiedeva: “Mi concedete il piacere di servirvi?”. A quelli di posizione più bassa, invece, domandava: “Volete servirvi?”. Talleyrand, di spirito arguto, non lasciava mai nulla al caso, né in politica né sulla tavola. Avvenne questo episodio: a Parigi, per un breve periodo, mancò il pesce fresco, elemento essenziale di un menu ben orchestrato. Una sera, i suoi ospiti non si aspettavano certo la presenza del pesce, ma il principe, che aveva fatto acquistare due bei salmoni del Reno, ordinò di portare | dicembre 2023

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Caricatura Forceval-Congrès de Vienne 1814-815- da Wikipedia

fuori uno degli esemplari, freschissimo, mostrandolo con l’ammirazione dei convitati. Il servitore fece finta di inciampare, in accordo con il padrone di casa, e il salmone finì a terra, con lo sconforto dei presenti. Talleyrand non si scompose e, magistralmente, ordinò: “Portate un altro salmone”. Da grande conoscitore del piacere condiviso a tavola, in uno dei momenti politici più importanti della sua vita, il Congresso di Vienna del 1814-1815, portò con sé proprio Carême, riuscendo, anche grazie alle mirabili ricette del famoso chef, a ottenere i favori dei vincitori.

di quel diavolo di Talleyrand. Venne indetta una riunione convocando Talleyrand, il quale, arrivato a Vienna una settimana prima, aveva già molto ascoltato e visto: si era ben preparato. Arrivò per ultimo, facendosi aspettare, mentre i plenipotenziari erano già seduti, in sua attesa: Talleyrand si accomodò con nonchalance tra Metternich (Prussia) e Lord Castlereagh (Inghilterra) prendendo la parola e rigettando la validità delle decisioni prese. Costernate, le grandi potenze, non sapendo come reagire, decisero, poi, di riformulare i punti del trattato, e va da sé, che la Francia, partita malissimo, ne uscì senza grandi umiliazioni.

Il Congresso di Vienna Con la caduta e l’abdicazione di Napoleone a Fontainebleau del 1814, si riunì a Vienna il Congresso delle potenze vincitrici nell’intento di ricostruire l’Europa del dopo-Napoleone: la Francia, perdente, si trovò in una situazione difficile ma venne salvata proprio da Talleyrand. A Vienna il soggiorno dei reali di tutta Europa, di diplomatici, rappresentanti di Stato e di tutti le grandi personalità presenti all’evento “del secolo” venne reso certamente più piacevole grazie alla magnificenza dei luoghi, alle numerose cene, feste, balli e banchetti tenuti dalla corte austriaca, dai nobili viennesi o dalle numerose delegazioni convenute: tra queste quella che primeggiò fu naturalmente la Francia di Talleyrand e Carême, la coppia formidabile della diplomazia gastronomica. Prussia, Russia, Austria e Inghilterra, le nazioni vincitrici avevano già definito un anno prima, a Londra, la spartizione dell’Europa, ma non avevano tenuto conto

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Un menu secondo lo schema di Carême e Talleyrand- da Wiki Commons.

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Le persone

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Autore: Bruno Damini

Le quattro promotrici di Serata Spalata - la fotografa Greta Sartarelli, la giornalista del Corriere Romagna Laura Giorgi, Giulia Minardi di Birra Amarcord e Katia Piazzi, da anni nel mondo della ristorazione. Foto di Greta Sartarelli

Serata "Spalata" (che di più non si può) Tre appuntamenti con cuochi e produttori a sostegno dei colleghi romagnoli alluvionati. I romagnoli, non è una leggenda, lavorano il doppio, hanno doppia inventiva, e pure certe parole nel loro, anzi nei loro dialetti riescono a ribaltare in positivo la valenza che hanno in italiano. “Spalata” descrive l’azione tempestiva dei volontari intervenuti a liberare dal fango case, botteghe e imprese travolte dell’alluvione del 16 maggio di quest’anno. Tantissimi i giovani fra loro che sbadilavano con il fango fin nei capelli cantando Romagna Mia (non per folclore ma per romagnolità). È nei momenti festosi e in quelli più drammatici che si pensa in dialetto, perché, come scriveva il grande poeta santarcangiolese Raffaello Baldini “In dialetto puoi parlare con Dio”. Ed ecco che da quelle parti avviene il ribaltamento dialettale del significato perché per i romagnoli “spalata” è sinonimo di “stratosferico”, “imperdibile”, “superlativo”, “buonissimo”, insomma qualcosa che di più non si può. E “qualcosa di più” si sono messe in testa di fare quattro amiche il giorno dopo il disastro, dopo essersi consultate con Davide Fiorentini, il cui laboratorio di Faenza, O’ Fiore Mio Hub, 320 metri quadri pieni di preziose attrezzature, era stato travolto da quattro metri di acqua e fango. Fin da subito il mondo della ristorazione si è attivato organizzando cene per raccogliere fondi che venivano destinati alla Regione o alla Protezione civile, grandi istituzioni che hanno attivato importanti raccolte. | dicembre 2023

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La Brigata della terza Serata Spalata. Foto di Bruno Damini

La serata spalata Katia Piazzi lavora da tanti anni nel mondo della ristorazione. Assieme a tre amiche, Giulia Minardi di Birra Amarcord, la giornalista del Corriere Romagna Laura Giorgi e la fotografa Greta Sartarelli, hanno pensato che per le loro forze fosse meglio individuare delle singole realtà da sostenere in forma diretta. Poi, perché limitarsi a una cena formale, nella quale ci si siede un tavolo, perché non fare invece qualcosa che rappresentasse maggiormente lo spirito romagnolo che alla ristorazione abbina festa, cultura, musica, facendo ritrovare le persone insieme a dialogare e condividere esperienze? Volevano trovare il modo per aiutare direttamente alcuni dei loro amici ristoratori e produttori danneggiati dall’alluvione. Così hanno cominciato a sentirsi quasi tutti i giorni con Davide Fiorentini. Sono nate così le tre serate “Spalate”, mettendo insieme professionisti del mondo della ristorazione, cuochi, produttori, che hanno sposato appieno la causa azzerandone i costi per permettere di devolvere il 100% del ricavato ai beneficiari che sono: Al Vecchio Convento, di Portico di Romagna (alluvionati e terremotati); pizzeria O’ Fiore Mio di Faenza (sommersa da 4 metri di acqua e fango); “Brisighella anima dei tre colli” associazione dei vignaioli di Brisighella (colpiti da numerose frane); Trattoria Monte Paolo di Dovadola (chiusa da maggio a causa di una grande frana); Cantina Ballardini di Forlì (che ha subito gravi danni nello stabilimento). Il quartetto ideatore era ben consapevole che le tre serate non avrebbero mai potuto ripianare quei disastri, se non in minima parte, ma il gesto assumeva un valore simbolico che andava al di là del risultato immediato. Questa raccolta fondi ha rappresentato linfa

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vitale per i beneficiari e, forse ancor più del contributo economico, hanno avuto peso e valore psicologico e morale la solidarietà e la vicinanza manifestate da tutti i soggetti coinvolti, anche perché il bando del governo, essendo stato attivato solo recentemente, a sei mesi dagli eventi catastrofici, purtroppo non metterà molte imprese nelle condizioni di risollevarsi. La prima serata “Spalata” si è svolta a Rimini col sostegno di “Piacere Spiaggia Rimini”, Cooperativa Operatori di Spiaggia Rimini SUD che ha offerto gli spazi in riva al mare del bagno 62. Ai fuochi e ai fornelli hanno lavorato: Pier Giorgio Parini, Giorgio Rattini (Santabago e Osteria da Oreste), Edi Dottori, Gianni Guizzardi (Signori del barbecue) Jacopo Ticchi (Da Lucio Trattoria), Luciano Braca (Ricci di Mare), Max Bertoia (Baldoria brewpub), Davide Fiorentini (Pizzeria ‘O fiore mio), Casina del Bosco. Alla mescita: Associazione “Brisighella anima dei tre colli”, cantine Gallegati, Vigne di San Lorenzo, Vespignano, Birra Amarcord con la “Gradisca” in botte a caduta. La seconda ”Spalata” si è tenuta al ristorante “Al Vecchio Convento” di Portico di Romagna. Ai fuochi e ai fornelli hanno lavorato: Matteo Cameli (Al Vecchio | dicembre 2023


Convento), Riccardo Agostini (Il Piastrino), Pier Giorgio Parini, Giorgio Rattini (Santabago e Osteria da Oreste), Edi Dottori, Davide Fiorentini (Pizzeria ‘O fiore mio), Filippo Baroni (Ristorante Mater). Alla mescita: Birra Amarcord. La conclusiva “Serata Spalata” è stata generosamente ospitata al Battirame 11 dalla Cooperativa Sociale Eta Beta. Ai fuochi: Matteo Cameli (Al Vecchio Convento -Portico di Romagna FC), Pier Giorgio Parini (Rimini), Edi Dottori (Montecarotto AN), Masterchef Erica Liverani, Andrea Incerti Vezzani (Ca’ Matilde RE), Agostino Iacobucci (Ristorante Iacobucci BO), Davide Grumbianin (Benso, FC), Mario Ferrara (Scaccomatto agli Orti, BO). Pizza e focaccia di Davide Fiorentini (‘O fiore mio - Faenza RA) e Giovanni Mandara (Piccola Piedrigrotta, RE). In pasticceria: Luca Cappelletti e Antonio Boscia (Paciugo Lab). Nei calici, vini delle cantine di “Brisighella Anima dei Tre Colli”: Bacana, Bulzaga, Casadio, Gallegati e Birra Amarcord.

I sostenitori Impossibile citare tutti i sostenitori e gli sponsor che hanno generosamente sostenuto le tre serate senza fare torto a qualcuno. Li ritrovate tutti doverosamente citati nelle pagine Facebook “Serata Spalata”. Tutte e tre le serate sono state arricchite da interventi musicali e teatrali grazie alla cantante Kelly Joyce, con il progetto DeCanto – MUSIC TASTING insieme al sommelier Gilles Coffie Degboe; dj Luca Belloni; gruppo A-Nura Stiletribale; l’attrice Erica Maiardi in arte Uvetta che ha presentato in anteprima lo spettacolo “Vino Ridensì; la musica di Jacopo Raggi; l’attrice teatrale Erika Maiardi con l’interpretazione di testi, pensieri e poesie dedicati al cibo e Silvia Valtieri cantante e polistrumentista faentina. E poi, visite in tartufaia, passeggiate in paese e nei boschi, laboratorio di cucina con la Masterchef Erica Liverani, laboratorio con il legno di recupero sotto la guida dell’artista La Brigata della seconda Serata Spalata. Foto di Greta Sartarelli

Joan Crous, scoperta dell’orto dello Spazio Battirame e creazione di cocktail “extra-ortinari” con la barmaid Stella Palermo Un’esperienza di aggregazione così bella non si concluderà con le tre serate, non solo perché purtroppo ci saranno sempre emergenze da affrontare ma perché lo spirito con cui tutti si sono mossi si proietta verso il futuro come segnale forte di solidarietà e impegno civile di un territorio abituato da sempre a rimboccarsi le maniche. Ora le quattro infaticabili organizzatrici stanno già pensando a fare qualcosa per sostenere con azioni di solidarietà dei ristoratori romagnoli chi in Toscana subito altrettanti gravi danni alluvionali.

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Amodo, la rete dei ristoranti etici

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Autrice: Giulia Zampieri Gianvito Matarrese e Debora Dipinto

EVO

Il ristorante ad Alberobello che punta all’evoluzione Tante, tantissime parole, vengono spese quotidianamente in quest’era per connotare un’attività di valori green e abiti sostenibili. Ma quante volte poi si arriva al dato concreto, all’azione misurabile? È una riflessione che nasce come un fiore a primavera quando s’incontra il ristorante Evo di Alberobello, un’insegna che aderisce alla rete Amodo ma ci tiene anche a darne una prova netta, tangibile, delle proprie scelte e dei propri impegni.

Il risparmio idrico Ci spiega Gianvito Matarrese, chef e patron: “Uno degli aspetti su cui lavoriamo assiduamente da Evo è il risparmio idrico. Significa eliminare le cotture in cui c’è dispersione d’acqua e ridurre al massimo gli sprechi. L’utilizzo d’acqua va centellinato in cucina, ci sono sempre delle strade alternative che si possono percorrere per fare una buona cucina”. Mentre Gianvito racconta questa ’impostazione - messa a punto con l’altra executive chef, Debora Dipinto - pensiamo ad alcune assurde pratiche in voga negli ultimi decenni nella ristorazione, con disidratazioni a cui fanno seguito idratazioni, e cotture con una dispersione folle d’acqua. 58

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Il ristorante Evo ad Alberobello

“Il fine gastronomico, a volte per altro discutibile perché non funzionale al sapore, non può sovrastare l’attenzione per l’ambiente e la salvaguardia per le risorse che scarseggiano” ci conferma lo chef. E su questo aspetto è fondamentale responsabilizzare le brigate e chiunque maneggi quotidianamente cibi e lavabi. Se a casa propria una scelta e un’azione hanno un certo peso dobbiamo considerare che la stessa scelta si moltiplica più e più volte all’interno di un ristorante in cui la mole di volumi trattati è sensibilmente diversa. Ce lo conferma Gianvito, a gran voce: “Saprei dire con esattezza quanta acqua risparmiamo ogni anno per ciascuna preparazione. È un dato importante, perché le cifre parlano da sole. Solo noi di Evo, con le nostre accortezze in ogni fase della preparazione, siamo in grado di risparmiare un quantitativo d’acqua che equivale al fabbisogno giornaliero di un numero considerevole di persone”.

I giovani e il futuro L’attenzione idrica non è l’unica sfera in cui Evo dimostra sensibilità e pragmatismo. Il tema giovani è caldo e centrale: “Siamo una squadra giovane, tutti sotto i trent’anni. E la scelta è precisa: vogliamo un ristorante condito dalle idee, da nuove proposte, da personalismi originali. Vale per la cucina ma anche per la sala: non ci siamo mai prefissati di allestire un ambiente freddo, asettico, ma un luogo in cui anche con pochi dettagli si possa trasferire identità e calore alle

Nero

persone”. Un errore di narrazione, a nostro avviso, riguarda il fatto di esaltare l’occupazione giovanile, ponendola come condizione essenziale, senza darne motivazione. Gianvito, invece, ha le idee chiare: “Andare a pescare le tradizioni, gli usi e costumi di un territorio, è una pratica necessaria per noi, per far conoscere con un linguaggio moderno le consuetudini del passato. Lavorare con un team giovane significa mettere i giovani nelle condizioni di allungare con le proprie mani un tempo già trascorso proiettandolo al futuro. Significa lasciare qualcosa, seminare per il futuro non ostinandosi a credere che ‘com’era prima fosse meglio di oggi’”.

Le materie prime La dedizione agli aspetti concreti di un ristorante si percepisce in Evo anche nella scelta delle materie prime che, a cominciare dall’olio extra vergine di oliva, è fatta di conoscenza e pensiero. “Per noi non esiste alternativa alle materie prime italiane. Non ci poniamo un raggio limite estremamente vicino, il cosiddetto chilometro zero, ma un raggio territoriale italiano per valorizzare i prodotti eccellenti che il nostro Paese sa offrire. Nei nostri piatti non anteponiamo il salmone o il tonno di allevamento al pescato dei nostri mari solo perché il pubblico vive di abitudini e si aspetta di rintracciarlo nel menu. L’obiettivo di Evo, nome che sta anche per evoluzione, è educare al gusto e al prodotto mettendo in chiaro le responsabilità del ristoratore e del cliente finale”.

EVO scopri Evo su Amodo, la rete dei ristoranti etici

Via Giovanni XXIII, 1 70011 Alberobello (BA) Tel. 320 848 1230 www.evoristorante.com | dicembre 2023

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Il prodotto

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Autrice: Antonella Petitti

Cotto di fichi Antico e tipico, è il sapore autentico del Natale in Puglia Nero come la notte e denso come un miele. Dolce e profumato, ricorda sentori di frutta appassita e spezie, mentre in bocca lascia un persistente finale. Inserito tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali dal 2001, relativamente all’intero territorio regionale della Puglia, il cotto di fichi è un prodotto antico. Prima di ogni altra cosa lo si utilizzava per realizzare granite espresse ai bambini quando nevicava, ma anche per dare sollievo alla gola arrossata. Golosità e cura, che trova ancora spazio soprattutto durante le feste comandate, in particolare quelle natalizie. Usato per guarnire cartellate e calzoncelli, in molte zone della Puglia viene semplicemente chiamato vincotto. La ricetta tradizionale del cotto di fichi Un tempo ogni famiglia lo preparava prima di affrontare l’inverno, realizzandolo artigianalmente tra fine agosto e i primi di settembre, quando di fichi freschi se n’erano già mangiati tanti e si pensava alle conserve. E se quelli intatti venivano essiccati al sole, tutti gli altri si trasformavano in cotto di fichi. Una preparazione tutto sommato semplice ma lunga, che coinvolgeva le donne della famiglia. 60

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La ricetta tradizionale vuole che i fichi freschi vengano sciacquati e tagliati in quattro parti, senza eliminare la buccia esterna. Una volta messi in un grande pentolone, venivano ricoperti completamente di acqua e lasciati cuocere a fuoco molto lento, fin quando non si riducevano in poltiglia. A quel punto si aspettava si intiepidisse e si passava a filtrarla con l’aiuto di un telo bianco pulito, meglio se di lino. Il succo che se ne otteneva finiva in un’altra pentola che andava ad addensarsi sul fuoco lento per ancora qualche ora. Quando il liquido raggiungeva la consistenza del miele, il cotto era considerato pronto e veniva invasettato. Oggi è una tradizione meno in uso nelle famiglie, ma alcune piccole aziende che fanno conserve si dedicano alla sua produzione.

Il matrimonio perfetto: le cartellate e il cotto di fichi Sono un simbolo indiscusso dei dolci tipici natalizi pugliesi e continuano ad essere le protagoniste delle tavole moderne. Le cartellate, semplici e versatili, si realizzano con pochissimi ingredienti: farina, vino bianco, olio evo e poco più.

Ricordano un merletto o i rosoni di alcune cattedrali, ma sono il frutto della manualità delle donne, impegnate prima a tirare una sfoglia a regola d’arte e poi a comporre la propria opera. Con tutta probabilità il nome farebbe riferimento alla forma arabesca incartocciata, ricordando la carta nel momento in cui si ripiega la sfoglia su sé stessa e si formano le rose. Ma, nella tradizione cristiana, c’è chi fa riferimento alle fasce che avvolgevano Gesù nella culla o alle corone di spine della crocifissione. Tante le testimonianze delle lunghe radici delle cartellate, le quali trovano traccia in un manicaretto simile, disegnato in una pittura rupestre del VI secolo Avanti Cristo, nel barese. L’altro dolce pilastro del Natale che prevede l’utilizzo del cotto di fichi sono i calzoncelli. Che siano ripieni di castagne o di ceci, molto di frequente è questa salsa dolce che li accompagna in tavola. Utilizzato proprio come si farebbe con il miele, intensifica il sapore del ripieno di questi dolci cuscini della tradizione. In alcune varianti c’è chi unisce il cotto, in piccole quantità, anche per realizzare il composto di farcitura.

Nel materano il cotto di fichi fa parte dell’Arca del Gusto I confini delle tradizioni non rispecchiano quasi mai quelli geografici. Sono molte le comunanze tra Puglia e Basilicata. Infatti, anche il cotto di fichi lo si ritrova inserito tra i prodotti lucani dell’Arca del Gusto di Slow Food. Anch’esso realizzato esclusivamente con fichi freschi e senza l’aggiunta di zucchero. Si trattava di un vero e proprio dolcificante, seppure molto intenso, diffuso particolarmente nell’area materana. Tra le ricette tramandate oralmente si nota la sua presenza nella preparazione di biscotti, dolci, ma anche primi piatti tipici come la “lag’na recc pu mier’cutt”. Lo si realizza ancora ad Irsina e lo si consuma tradizionalmente la Domenica delle Palme. Si tratta di una pasta riccia condita con la mollica del pane raffermo, grattugiata e fritta in olio evo, e il cotto di fichi.


Il fico: l’albero della sopravvivenza Fino a pochi decenni fa il fico ha rappresentato una coltura di sostegno importante per le comunità rurali. Basti pensare al valore energetico dei frutti secchi, i quali - correttamente conservati – rappresentavano una scorta invernale di grande importanza nell’economia domestica di molti popoli del Mediterraneo. E in Puglia, dopo la vite e l’ulivo, è tra le specie legnose che hanno caratterizzato (e caratterizzano) maggiormente il paesaggio. Un frutto minore, però, legato alla tradizione familiare più che al commercio, tranne per i nuovi impianti. Definito anche “pane dei poveri”, il fico è originario dell’Asia Minore e si è diffuso velocemente assieme all’a-

gricoltura in tutta l’area mediterranea. Amato da Greci e Romani, continua ad essere sinonimo di povertà. Nel linguaggio comune è ancora usuale dire “non vali un fico secco”, come a dire non vali nemmeno così poco! Una pianta diffusa anche in altre regioni, in particolare del Sud Italia, che si adatta e non richiede particolari cure, purché si trovi in zone con climi caldi e temperati. Nonostante siano decine le varietà diffuse in tutta la Puglia, è il Dottato che ha catalizzato l’attenzione di consumatori, artigiani e industrie. Merito della sua polpa carnosa, della sua buccia verde chiaro e della forma a goccia. Zuccherini e ricchi di calorie, i fichi sono anche carichi di fibre e di vitamine.

Un dolce semplice della tradizione pugliese, oggi sempre più proposto con abbinamenti inusuali, sia dolci che salati. Da sempre sono servite in tavola accompagnate semplicemente dal cotto di fichi. Ingredienti 500 g di farina 00, 150 g di vino bianco secco 100 g di olio evo, un paio di cucchiaini di zucchero, un pizzico di sale, buccia grattugiata di un’arancia o un limone, vincotto di fichi q.b. Procedimento Impastare la farina, l’olio evo, il vino bianco, il sale e lo zucchero su di un piano di lavoro. L’impasto dovrà risultare sodo, se serve aggiungete ancora un poco di vino per ammorbidire. In alcune zone si aggiungono anche le bucce di agrumi, grattugiate sottilissime, oppure delle spezie. Amalgamare bene il tutto fino a ottenere un impasto liscio ed elastico. Lasciar riposare per almeno 30 minuti. È consigliabile coprire il composto con un panno. Prendere la pasta, stenderla fino a renderla molto sottile (in questo modo le cartellate risulteranno più leggere e

croccanti) e ritagliare con la rotella dentellata delle strisce lunghe circa 50 cm e larghe 3 cm. Mantenendo la stessa distanza si procede dapprima pizzicando la striscia e poi, partendo da una estremità, andando a comporre una sorta di rosa e andando a pizzicare in altri punti affinché non si smonti. Procedere allo stesso modo per tutto l’impasto e adagiare le cartellate su uno strofinaccio di cotone, evitando di metterle l’una sull’altra. Necessitano di riposare ed asciugare per tutta la notte. Al mattino preparare un tegame largo con abbondante olio, una volta caldo cominciate a friggere le cartellate. Basterà che si gonfino leggermente, in uno o due minuti sono pronte, l’importante è che risultino leggermente dorate. Lasciate asciugare l’olio in eccesso su della carta da cucina e raffreddare. Le cartellate vanno guarnite soltanto all’occorrenza, il rischio è che perdano di fragranza. Alcuni preferiscono riscaldare il cotto di fichi prima di cospargere o intingere i dolci. In alternativa, possono essere servite anche con granella di noci e miele.

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Le cartellate


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Le novità

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Autore: Luigi Franchi

Il lievitato all'olio

Il lievitato all'olio Nato dalla collaborazione tra il pasticcere Andrea Tortora e l’azienda olearia gardesana Le Pradine Andrea Tortora è figlio di pasticceri e ne rappresenta la quarta generazione in famiglia. Per anni alla guida del reparto pasticceria del ristorante St. Hubertus, nel 2018 vi ha conseguito la terza stella Michelin come chef pasticcere. Nella sua carriera ha collaborato con grandi Chef come Giovanni Ciresa, Antonio Guida, Christian Le Squer, Michel Roux, Gualtiero Marchesi, Fabio Cucchelli e Norbert Niederkofler. Gli anni passati al fianco di quest’ultimo sono stati decisivi per Andrea, nonostante il ricordo del suo primo Maestro, Maurilio Giacomelli, resti indelebile e fondamentale. A seguito degli importanti riconoscimenti ricevuti, nel 2017 Andrea Tortora dà vita al suo progetto AT Pâtissier, che continua a portare avanti con entusiasmo, con l’obiettivo di offrire grandi lievitati d’autore caratterizzati da fresca eleganza contemporanea, come l’ultimo da lui creato, in collaborazione con l’azienda olearia gardesana Le Prandine, che ci racconta alla fine di questa intervista.

Qual è il tuo posizionamento attuale, cosa stai facendo di interessante? “AT Pâtissier è 100% Andrea Tortora. Ho riportato la mia filosofia in una collezione, rigorosa, minimale, essenziale. AT Pâtissier racconta chi sono io, i miei viaggi, la mia idea di pasticceria. Il punto di partenza è sicuramente la tradizione che deve andare a pari passo con l’innovazione, la cultura, intesa come bagaglio di esperienza e conoscenza, ma anche una forte attenzione al mondo che ci circonda e ai fragili equilibri naturali. AT Pâtissier è un’azienda molto dinamica: partecipiamo ad eventi tra Italia ed estero, collaboriamo con molti chef, oltre a curare le nostre produzioni di lievitati e cioccolato. Inoltre AT Pâtissier ha un ruolo consolidato nella consulenza industriale e nel settore alberghiero”.

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L’alta pasticceria in Italia, soprattutto nella ristorazione, come è vissuta? “L’alta pasticceria in ristorazione ha un ruolo sempre più prominente: la creazione di associazioni, eventi, concor-


si internazionali hanno fatto sì che il know-how italiano andasse in giro per il mondo e si aprisse verso nuove influenze e nuovi stili. Ad oggi vedo una pasticceria creativa, giovane, vivace”. Per questo Natale produrrai, oltre al tuo ormai famoso panettone, un lievitato con l’olio evo del Garda, a cosa è dovuta questa scelta? E in cosa consiste questo lievitato? “Il lievitato all’olio nasce da un lunghissimo studio tecnologico, che ho perfezionato negli ultimi due anni: al posto del burro, viene inserita un’emulsione a base di olio extravergine di oliva. Il prodotto anche a livello di lievitazione ha degli equilibri delicatissimi, ma il risultato è stato molto soddisfacente. L’obiettivo era non far sentire la mancanza del burro, ma neanche la preminenza dell’olio e l’abbinamento con albicocca e mandarino risalta le note profumate dell’olio. Per raggiungere questo risultato era necessario poter contare su un olio extravergine d’oliva che avesse determinate caratteristiche di profumo e sapore. Ho provato l’olio de Le Prandine che mi ha meravigliato per la perfezione”.

ti, ad di Sigla.com: da qui è nata una prima collaborazione che ha visto la creazione di questa edizione limitata del Lievitato all’olio. L’olio extravergine è stato scelto con un bassissimo livello di perossidi, delicato, non troppo pungente”. Come hai conosciuto Le Prandine e cosa ti ha colpito di più di quest’azienda? Come anticipato, è stata una conoscenza in comune a presentarci e a farmi conoscere questa realtà. Dopo averla visitata ho capito che, dietro alla straordinaria bellezza dei suoi uliveti, si celava una filosofia imprenditoriale identica alla mia: bellezza e qualità. Credo molto nelle collaborazioni che crescono gradualmente, passo dopo passo, soprattutto se si hanno filosofie comuni”.

Un’azione di co-branding che avrà un futuro? E in quale modo si svilupperà? “Ho conosciuto Giovanni Morselli, patron de Le Prandine, grazie alla comune amicizia con Andrea Belfiori Fan-

L'olio evo de Le Prandine

Il pasticcere Andrea Tortora

Giovanni Morselli, patron de Le Prandine

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Le aziende

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Autrice: Marina Caccialanza

L'alternativa al fresco “Ispira la tua passione con il nostro amore per il gusto” è il claim che descrive la filosofia di Bresc, la più valida alternativa al fresco proposta da Ali-Big Il segreto è nel DNA Bresc che risale ai suoi fondatori, perché da sempre l’azienda è focalizzata sui cibi gourmet. Ha tutto inizio quando JHRS a HB decidono di allevare lumache, di confezionarle in piccoli vasetti e fornirle direttamente alle aziende di Catering di prestigio. Ma ben presto la passione si sposta sull’aglio… Gertjan, chef di formazione e da 25 anni sviluppatore, descrive così il suo lavoro, un’autentica passione: “Bresc è lo specialista di prodotti refrigerati a base di aglio ed erbe aromatiche, con particolare attenzione al mercato europeo dei prodotti gastronomici. Quando progettiamo i nostri prodotti, cerchiamo sapori puri ed autentici, con una praticità ottimale e di qualità costante. Ci ispiriamo ai professionisti culinari che lavorano nelle cucine gourmet. Siamo sempre alla ricerca di nuove sensazioni gustative, nuovi concetti e nuove opzioni, per usi diversi ed in modo da poter offrire assistenza agli chef nelle differenti tipologie di cucina gourmet. Poiché vogliamo garantire una qualità costante e la purezza dei nostri prodotti, lavoriamo

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per costruire relazioni a lungo termine con i nostri coltivatori e clienti. Dopotutto, insieme, ci assumiamo la responsabilità degli ingredienti che deliziano i vostri ospiti nel vostro ristorante. In qualità di produttore, Bresc richiede trasparenza e chiarezza in tutti gli anelli della catena di approvvigionamento. Il nostro obiettivo è quello di essere il produttore e l’ispiratore di soluzioni refrigerate per utenti professionali che si dedicano alla preparazione di cibi con abilità culinaria”.

Ingredienti e tecnologia per il miglior gusto Bresc dialoga di qualità degli ingredienti con i produttori nei campi, per assicurare la giusta qualità ed il giusto momento della raccolta. Un esempio? Il lemongrass, o lo zenzero, entrambi raccolti davvero giovani per evitare la presenza di fibre fastidiose e preservarne il loro gusto autentico e fresco. Il segreto sta anche nella rielaborazione di un’antica

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tecnologia di trattamento del prodotto: conservare ottima materia prima in olio ed in atmosfera refrigerata. La polpa d’aglio per esempio, è ottenuta da spicchi freschi interi, finemente tritati fino ad ottenerne una polpa davvero pratica, conservata con poco sale ed acido citrico per garantirne la qualità costante. È adatto per tutti gli usi in cucina, base ideale per salse, zuppe, marinature e molto altro.

Un range completo per innovare e rinnovare, dalla mise en place ai blend ed il bbq L’assortimento è basato su tre linee differenti. Mise en place: • polpa d’aglio • scalogno tritato • aglio tritato • zenzero • lemon grass • strattu di pomodoro • aglio nero Blends: • Chimichurri • Curry Madras • Ras-el-hanout La linea BBQ: • marinatura per pollo • marinatura per maiale • marinatura per manzo • glassa prugna e zenzero • glassa miele e timo • salsa mango & habanero

Aglio e scalogno Come tutta la famiglia delle agliacee la pianta dell’aglio conserva la sua energia nel bulbo durante la sua crescita, dove accumula i nutrienti per l’inverno. Se consumato fresco il sapore è delicato senza essere “tagliente” e risultando più facilmente digeribile. Viene raccolto giovane e lavorato in meno di 24 ore in modo da conservare un’aroma fresco e ricco. Bresc propone una miscela di aglio fresco tritato di diverse origini, una polpa lavorata in puree ideale per tutte le preparazioni di base e dello scalogno fresco finemente tritato, pronto all’uso in punta di cucchiaio adatto per salse, pasta e risotti.

per l’acidità tipica dell’agrume. Sorprendentemente, risulta perfetto anche in pasticceria, per preparazioni come la crème brulé o il gelato. E’ in grado di sprigionare subito un sapore intenso senza dover ricorrere a lunghe cotture ed è ideale per bilanciare sapori forti. Lo zenzero è ottenuto anche in questo caso da materia prima appena raccolta, ed offre un caratteristico sapore che contrasta con quello dello zenzero vecchio o secco con note più aggressive. Bresc in questo modo è in grado di garantire un’ingrediente fresco tutto l’anno, l’ideale per dare gusto speciale ai piatti. È ideale per ricette da saltare in padella, ed oggi molto di moda anche in Italia.

Quando si parla di umami Aglio nero e Strattu di pomodoro sono due referenze che interpretano l’umami in maniera eccellente. L’Aglio nero è realizzato facendolo opportunamente fermentare fino a raggiungere la sua tipica colorazione e texture.

A ISLAPIR tua PASSIONE CON IL nostro AMORE PER IL GUSTO

Lemongrass e zenzero Il Lemongrass (o citronella) è ottenuto da materia prima fresca, raccolta quando era ancora verde e soffice offrendo un sapore fresco, bilanciato e senza fibre. Ridotto in puree, è un prodotto facile da aggiungere a tutte le ricette salate come sostituto del limone, in grado di fornirne lo stesso sapore ma senza caratterizzarsi

a La più avltaliedrnativa al fresco

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In questo processo perde il gusto tipico dell’agliolina, risultando ancora più digeribile. Diventa un esaltatore di sapidità naturale, universale. Umami per eccellenza, si abbina con tutto. Incredibile anche l’effetto sul cioccolato. È facile da usare, sempre in punta di cucchiaio, e si rivela il vero segreto in cucina. Per realizzare lo Strattu di pomodoro invece, dopo la raccolta i pomodori vengono affettati ed essiccati per una settimana al pieno sole. Questa è la base per il prodotto finale, dove alla purea ottenuta si aggiungono olio ed aceto bianco. Il risultato è un intenso e robusto gusto di pomodoro carico di umami. Ideale per salse ed applicazioni fredde (anche tal quale in tartine e schiacciate).

I blend, che esaltano ogni piatto rendendolo unico Il Blend è l’amico perfetto per piatti moderni ed internazionali. Bresc ha aggiunto tutti gli ingredienti di cui un cuoco ha bisogno per ogni piatto autentico, semplice e buono. Il Chimichurri nasce in Argentina anche se ormai è famoso nel mondo. Un connubio perfetto con la carne alla griglia. Per preparare un autentico chimichurri sono necessari più di 10 ingredienti e davvero tanto tempo. Bresc riunisce in un pratico vasetto tutti gli ingredienti garantendo efficienza, rapidità d’utilizzo e qualità costante. Il Curry Madras è una deliziosa miscela di spezie ideale per preparare il ben noto pollo al curry. Prende Il nome dalla città di Madras nel sud dell’india. Refrigerato dona un gusto intenso e può essere utilizzato per le preparazioni sia a caldo che a freddo. “Ras el hanout”, in arabo, significa letteralmente “il meglio del negozio”. Utilizzato per aromatizzare l’agnello, il couscous e gli stufati in genere. È caratte-

rizzato da molte spezie fra cui paprika, cannella, zenzero, cumino, coriandolo, cardamomo, chiodi di garofano. È pronto all’uso, per un gusto immediato e senza sprechi.

Il meglio per il bbq Valorizzare tagli di carne meno nobili, creare cibi di tendenza ed arricchire il gusto della materia prima. Tutto questo è possibile con i prodotti della gamma Bresc dedicati al mondo del BBQ. Realizzare le preparazioni diventa così molto semplice seguendo gli step consigliati dai nostri culinary advisor: utilizzare le tre Marinades Bresc per insaporire la carne, finire la cottura con le due Glazes ed infine, secondo fantasia, abbinare la salsa più adatta. Le Marinades sono marinature già pronte e ricche di gusto, da utilizzare tal quali. Bresc ha imparato dai campioni delle competizioni mondiali BBQ, che in gara usano marinature a base d’acqua senza olio. In questo modo garantiscono lo scambio dei sapori e degli aromi in modo migliore e più velocemente. Con le tre marinature – marinade for beef, marinade for pork, marinade for chicken - preparate 24 ore prima della cottura, oppure anche con una cottura espressa, si può fare la scelta giusta per ogni carne. Ci sono poi le Glazes, il tocco finale, le incredibili glassature da aggiungere appena prima della fine della cottura. La glaze aumenta l’appetibilità delle grigliate e fornisce un boost di gusto, il tutto con una sola pennellata direttamente sull’alimento. L’ultima proposta è la Salsa Mango Habanero. Nata dall’ispirazione degli chef di Bresc, questa salsa combina la dolcezza fruttata del mango con la piccantezza dell’habanero. Un matrimonio incantato e perfetto. La stessa salsa poi può essere usata per esaltare e guarnire grigliate di carne, wrap, poke ma anche sfiziosi dessert.

Novità 2024

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La produzione Clicca e leggi l’articolo sul web Autore: Guido Parri

Unika® Golden Age: la linea dedicata alla carne marezzata, solo dai migliori tagli anatomici Un prodotto tenero e gustoso caratterizzato dagli elevati standard qualitativi e da un buon grado di marezzatura, volti a soddisfare le richieste dei consumatori amanti della carne gustosa Unika®, il marchio di Centro Carni Company SpA promuove la linea Golden Age, carne bovina di altissima qualità frutto di una selezione delle migliori Frisone (vacche con più di 30 mesi), tra cui Simmenthal, Canadese e Holstein, scelte con cura e provenienti dai principali territori europei che si dedicano da generazioni all’allevamento dei bovini. L’alimentazione contraddistingue in buona parte il prodotto finale: il cereale conferisce gusto e contribuisce alla marezzatura e il risultato è un prodotto gustoso. Unika® Golden Age si caratterizza da una buona qualità di grasso intramuscolare distribuita in modo uniforme e che conferma ancora una volta che una buona marezzatura è sinonimo di eccellenza. e che un buon grado di marezzatura contribuisce alla bontà del prodotto. Il brand ha selezionato per la ristorazione alcuni dei migliori tagli anatomici in primis la lombata intera fresca o frollata secondo metodo dry aged, passando per il filetto e ancora per il ribeye, taglio che si ricava dalla lombata ed è famoso per la sua spiccata tenerezza per l’accentuata marezzatura e copertura di grasso. La linea Golden Age è dedicata agli chef offrendo un prodotto in linea con i trend del momento. Questo tipo di prodotto ha, infatti, già riscosso grande successo in Europa e nel mercato orientale e, da alcuni anni, è arrivato anche in Italia dove

sta incontrando il favore di tutti gli amanti della carne. «La linea Unika® Golden Age è nata a seguito di un’analisi di mercato e di conseguenti valutazioni condivise in azienda e direttamente con i clienti - dichiara Raffaele Pilotto, Direttore commerciale e marketing di Centro Carni Company SpA -. Vogliamo offrire al settore Horeca, e quindi al consumatore finale, un prodotto gourmet, capace di esaltare le caratteristiche delle diverse razze che utilizziamo per la nostra gamma, garantendo sicurezza, bontà e unicità». Il marchio Unika® di Centro Carni Company deriva da una lunga tradizione nel disosso della carne bovina e dall’esperienza nella selezione delle materie prime, ed è stato creato per dare al settore della ristorazione un prodotto dalle elevate proprietà organolettiche, caratterizzato da uno standard qualitativo costante e custom-based. Centro Carni Company ha realizzato anche per la linea Unika®, una cella all’interno della quale avviene una particolare frollatura, detta dry aging o frollatura a secco. Le lombate subiscono questo processo di frollatura in questo ambiente a temperatura e umidità controllate: il risultato è un prodotto stagionato correttamente e dal gusto deciso, la cui morbidezza viene accentuata. | dicembre 2023

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Le aziende

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Autrice: Marina Caccialanza

I fratelli Cremonini

Obiettivo sostenibilità Olitalia presenta il suo primo Report di Sostenibilità per il 2022 e si propone di portare la qualità, il benessere e l’eccellenza del buon vivere italiano sulle tavole di tutto il mondo “Da una piccola sede nel cuore dell’Emilia-Romagna, siamo arrivati in oltre 120 Paesi, in tutti e cinque i continenti, con un fatturato record di 269 milioni di euro e una produzione di 91 milioni litri di olio - ha affermato Angelo Cremonini, Presidente del Gruppo Olitalia - mio padre, per primo, ebbe l’intuizione di credere nel valore dell’olio, prodotto simbolo della nostra tradizione italiana, e da lì, strada ne abbiamo fatta”. Negli ultimi anni, Olitalia ha registrato una crescita sostenuta sia in Italia che all’estero diventando un punto di riferimento nel settore grazie al costante impegno nel fornire prodotti di qualità, apprezzati sia da chef e ristoratori e sia dai consumatori. Il Report di Sostenibilità 2022 di Olitalia si propone di raccontare un anno e una storia piena di importanti traguardi raggiunti e altrettanti impegni assunti, nel rispetto dell’ambiente e di tutte le persone che ogni giorno lavorano in azienda.

I punti principali del Rapporto di Sostenibilità 2022 di Olitalia riguardano governance, sociale e ambiente.

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La governance di Olitalia Azienda a 100% capitale sociale italiano, di proprietà della famiglia Giuseppe Cremonini, Olitalia ha generato nel 2022 un fatturato di 269 milioni di euro e ha confezionato più di 91 milioni di litri di olio. Presente in 120 paesi nel mondo, distribuisce i propri prodotti sia nel food service sia nel canale retail. Olitalia pone grande attenzione alla ricerca e lo sviluppo di prodotti innovativi anche grazie alle numerose collaborazioni con associazioni di chef, italiane e internazionali, con cui crea e testa prodotti per le cucine dei ristoranti e per le cucine casalinghe, e investendo in tecnologia, impiantistica e software. All’interno dell’azienda, O.I.L. (Olitalia Innovation Lab), spazio con cucina professionale destinato alla formazione e ai


progetti di innovazione di prodotto, ne è un esempio.

L’impegno sociale Attenta al benessere dei suoi dipendenti, l’azienda si è dotata di un Codice Etico contenente linee guida e principi alla base del suo operato e di quello delle persone che vi lavorano. La formazione è una delle attività in cui Olitalia esprime il suo impegno secondo una politica di work-life balance e di accesso ai sistemi di flessibilità lavorativa. La sostenibilità, inoltre, abbraccia l’aspetto delle relazioni con la comunità locale, per cui l’azienda fornisce il suo sostegno attraverso varie partecipazioni.

stenibilità intrapreso. Numerosi i progetti allo studio e in fase di applicazione sia sul fronte della governance sia in merito al sociale e all’ambiente e che entreranno a far parte dei programmi futuri dell’azienda seguendo la via tracciata da questo primo, importante, Report di Sostenibilità 2022. L’invito è scoprirli online con un semplice gesto: scannerizzando il QR code, infatti, saranno visibili e leggibili al completo.

L’ambiente: risparmio energetico e riciclo Il risparmio energetico e l’impiego di energia da fonti rinnovabili è uno degli aspetti più importanti per Olitalia. Dal 2018 infatti è iniziato un percorso di adeguamento degli impianti che consente risparmio di emissione di CO2 in atmosfera e ottimizza l’efficienza dello stabilimento così come quella degli uffici e delle aree produttive. Anche per il packaging sono stati avviati progetti di miglioramento: per esempio, nella gestione operativa delle linee per la produzione di bottiglie in PET con una riduzione significativa dei quantitativi di sfrido di preforme; col passaggio alla nuova bottiglia in vetro “Evolution” che ha permesso risparmio di materie prime e ottimizzazione della logistica; infine, supportando un progetto di sensibilizzazione sul corretto smaltimento dell’olio esausto dedicato al settore professional.

Obiettivi futuri L’impegno di Olitalia non finisce e fino al 2028 le sue attività saranno rivolte a migliorare il percorso di so-

Scopri tutti i dettagli del Rapporto di Sostenibilità di Olitalia:

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Le aziende

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Autrice: Marina Caccialanza

La farina giusta Una visione aziendale che punta a conciliare la qualità e la stabilità della farina con il rispetto della materia prima; e nuovi prodotti affinché ogni professionista abbia la sua farina Agugiaro & Figna Molini nasce dalla fusione di due storiche famiglie dedite all’arte molitoria che hanno saputo integrare le rispettive competenze ed esperienze. La sua missione è rimasta sempre la stessa: portare in tutto il mondo farine e miscele di altissima qualità, preservando il rispetto per l’uomo e per l’ambiente. Il suo cammino, in questi anni, è stato perseguito mantenendo intatti il rispetto della terra, la tutela delle persone e del posto di lavoro, lo sviluppo e l’applicazione di un preciso codice etico, la passione per la qualità e per la naturalità, dirigendo le scelte verso l’adozione di energia da fonti rinnovabili, verso farine ottenute da filiere certificate, verso nuove estrazioni che esaltano l’autenticità del grano. Questi valori guida restano alla base delle azioni intraprese per conciliare la qualità e la stabilità della farina con il rispetto della materia prima, a favore di tutti gli

attori di filiera. Con il prerequisito essenziale della salubrità, l’azienda punta a ottenere farine dalle caratteristiche funzionali e, al contempo, a perseguire un’idea di farina gentile, rispettosa di ogni singola varietà, che tuteli la qualità naturale, valorizzi le caratteristiche native, preservi gusto e biodiversità. È un sistema che viene definito di “macinazione gentile”, finalizzato al massimo rispetto del chicco e delle sue peculiari caratteristiche.

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Una gamma ampia e innovativa La gamma di prodotti Agugiaro & Figna è sviluppata per soddisfare le esigenze di chiunque, dal professionista a chi ama i prodotti fatti in casa a mano. • Le 5 Stagioni è la gamma più completa di farine e miscele per pizza, conosciuta e apprezzata in tutto


il mondo; un brand che garantisce il massimo risultato in qualunque tipo di lavorazione a tutti i professionisti del settore. Le Sinfonie si rivolge al mondo pasticceria: nove referenze di farine di grano tenero delle migliori qualità. La linea di lieviti madre essiccati per differenti utilizzi Naturkraft prevede lieviti specifici per panificazione, pizzeria e pasticceria con varianti integrali, biologiche e di farro. Le miscele Faridea si basano sulle qualità tecniche delle farine, forniscono le necessarie prestazioni aggiuntive per migliorarne i processi e la resa finale. MIA è la linea di farine ottenute da Macinazione Integrata, un processo brevettato che associa due tipologie di molitura, quella più tradizionale a pietra con quella moderna a cilindri, e che regola in maniera innovativa i diagrammi dell’intero processo di lavorazione, con particolare attenzione al controllo delle temperature di produzione. Storie di farina a casa tua, è linea di farine per soddisfare le esigenze domestiche.

Una linea per l’alta ristorazione Si chiama Alta cucina & Farina perché i risultati più gustosi nascono da due ingredienti: la sapienza di chi lavora e la scelta di materie prime di qualità. È la linea professionale di farine A&F, Alta cucina e Farina, nata dall’esperienza molitoria di Agugiaro & Figna, dedicata ai professionisti della ristorazione per ogni specifico utilizzo. È composta da 8 referenze, per impastare pane, pizza, pasta e dolci, per addensare, farcire, separare, friggere. Una gamma completa per valorizzare ogni singola ricetta perché ogni cuoco possa sentirsi libero di esprimersi: ognuno con la sua storia, le sue ricette e i suoi ingredienti. E ciascuno con la propria farina. La linea di farine A&F – Alta cucina & Farina – si distingue per una selezione accurata delle materie prime e per accurati diagrammi di macinazione che valorizzano i risultati finali nelle preparazioni di cucina. Per preservare tutte le qualità organolettiche dei grani si è scelta la macinazione gentile, con procedimenti meccanici non invasivi. Questo significa che, a parità di impianti, si ma-

cina una minore quantità di frumento privilegiando una grande qualità della farina che si esprime in ogni preparazione. Panfocaccia: Speciale miscela a base di farina tipo 0, lievito disattivato e farina di grano tenero maltato che non richiede l’aggiunta di sale, per pizze in teglia, focacce e pani morbidi con lavorazioni brevi. Panmuesli: Miscela ai cereali, semi e lievito madre essiccato che facilita l’impastamento, conferisce colorazione bruna, fragranza e morbidezza ai prodotti da forno salati e dolci. Miscelata con farine bianche, è adatta anche alla produzione di focacce e pizze al padellino a cui infonde gusto e personalità. Mora: Farina integrale di grano tenero ottenuta da macinazione calibrata a tutto corpo. Mantiene le frazioni più nobili del chicco, farinaccio, tritello, cruschello, germe di grano conferendo note doci e un sapore gentile a tutte le preparazioni. E-legante: Farina speciale, termotratta ideale per friggere e addensare. Nei fritti evita le consistenze gommose o collose favorendo friabilità. Adesiva anche senza pastella. Rende crêpes, gnocchi, polpette più consistenti con minore quantità di farina. Pasta Linda: Farina di tipo 00 a ridotto contenuto di ceneri, speciale per pasta fresca laminata e trafilata, con o senza uovo. Setosa al tatto, veloce da impastare e amalgamare, lascia gli impasti chiari ed evitandone l’ingrigimento. Emilia: Sfarinato di grano tenero e duro per pasta fresca, trafilata o laminata, con o senza ripieno, dal colore vivo e dall’espetto rustico. La presenza di semola, bilanciata con la farina di grano tenero, apporta equilibrio tra estensibilità e tenacità degli impasti ed una colorazione giallo paglierino. Duttile: Farina di grano tenero tipo 00 per tutte le preparazioni generiche in cucina. Conferisce estensibilità e friabilità: il particolare equilibrio tra amidi e proteine la rende reattiva all’espansione in forno e conferisce una struttura gentile rendendo i prodotti soffici e friabili. Vigorosa: Farina di tipo 0, altamente performante, adatta sia ad impasti manuali che meccanici. Ideale per la produzione di prodotti a lunga lievitazione, come prodotti da forno o sfogliati dolci o salati.


Le aziende

ed olive della sola varietà Clicca e leggi l’articolo sul web TAGGIASCA

Autrice: Marina Caccialanza

garantiamo le nostre olive taggiasche mediante la certificazione del loro DNA

L’Oliva Taggiasca e il DNA di una Cultivar

Regione Gombi della Luna, 29 - 18027 Chiusavecchia (IM) - tel. +

Olio Salvo e l’oliva Taggiasca: un sodalizio d’amore per il territorio e per la valorizzazione di un prodotto unico nel suo genere, raffinato, dal gusto piacevolmente amaro, un’eccellenza da tutelare Quando si pensa alla Liguria viene spontaneo associare mare e terra in un’unica immagine. Questo territorio impervio, infatti, incastonato tra colline e scogliere, offre un panorama e un habitat unici proprio perché mare e terra si fondono in un abbraccio, un po’ rude a volte, affascinante sempre. Un territorio che offre mille colori e sfumature, eccellenze impareggiabili, siano esse ortaggi, pesce, specialità gastronomiche. L’oliva taggiasca emerge in questo scenario con un impatto visivo e sensoriale imponente. Perché è una cultivar unica nel suo genere, identificabile e indimenticabile. Nella provincia di Imperia la coltivazione dell’oliva taggiasca scandisce il paesaggio dal mare all’entroterra, fin dal 1300 quando i monaci di San Colombano vi piantarono i primi arbusti importati dalla Provenza.

Da allora i liguri l’hanno curata con amore e passione, le condizioni pedoclimatiche del territorio le hanno conferito qualità organolettiche ben precise. È un prodotto della terra che va protetto e tutelato, e gli agricoltori liguri lo fanno, malgrado le difficoltà della sua coltivazione, arrampicata tra i terrazzamenti, in fazzoletti di terra carpiti tra i muretti a secco.

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Olio Salvo e la tutela della cultivar Olio Salvo, azienda storica, fondata nel 1897 a Bordighera dalla famiglia Rossi, passata negli anni sessanta del secolo scorso a Vincenzo Salvo che ne ha ampliato le prospettive e incrementato la produzione, e tutt’ora guidata dalla famiglia, produce un olio leggero, con sentori aromatici, leggermente torbido per valorizzare il naturale contenuto in antiossidanti. L’azienda ha fatto una scelta


di qualità: ha deciso di preservare l’identità della cultivar e valorizzare il prodotto che se ne ricava attraverso una serie di azioni indipendenti e condivise. Punto di partenza, il rispetto per il territorio e la sua conservazione che nel Ponente Ligure è un credo sacro perché deriva dalla fatica quotidiana di chi coltiva eroicamente a forza di braccia in un territorio impervio. Il corretto rapporto con gli agricoltori che conferiscono le olive è alla base delle azioni della proprietà e comprende il giusto compenso. Poi la manutenzione dei muretti a secco, dei terrazzamenti, condizioni indispensabili alla crescita delle piante sane e rigogliose. La filiera aziendale dell’oliva Taggiasca della Liguria è alimentata, nel suo insieme, dai 5.000 ulivi coltivati ed i 250 conferitori indipendenti che operano su ettari di terra rubata alla montagna. Olio Salvo, in questo contesto, ha deciso di dare un’identità precisa al suo prodotto puntando l’attenzione su ristorazione e turismo, spesso strettamente connessi, e distribuire direttamente i suoi prodotti, dall’oliva in salamoia all’olio extravergine. Un olio dalle caratteristiche uniche che in cucina è capace di esaltare ogni piatto in maniera straordinaria.

La certificazione del DNA dell’oliva taggiasca Allo scopo di preservare l’identità dell’oliva taggiasca, dunque, è nata un’iniziativa grazie all’impegno di Olio Salvo che, insieme ad altri produttori, ha sostenuto nel 2018 un progetto di ricerca sviluppato nel parco Tecnologico Padano di Lodi, laboratorio accreditato Accredia per il rilascio di certificazioni di prodotto da analisi effettuata, con l’intento di ottenere la certificazione del DNA dell’oliva taggiasca e immettere sul mercato le confezioni di olive taggiasche riportanti il logo DNA CULTIVAR TAGGIASCA abbinata al marchio collettivo TAGGIASCHE DELLA LIGURIA. L’iniziativa è nata e cresciuta con l’intento di abbinare ad un modello di valorizzazione territoriale, spendibile per concertare promozione e tracciabilità di filiera, gli innovativi strumenti di protezione dalle frodi messi a disposizione dalla Comunità Scientifica. Dagli anni 60 del secolo scorso, in cui è stata riconosciuta la prima Denominazione Protetta, è passata tanta acqua sotto i ponti. Il test del DNA sull’oliva da tavola dice con esattezza se è taggiasca o no, garantendo al Consumatore l’acquisto della varietà vegetale desiderata. L’analisi può avvenire direttamente sul prodotto al consumo, sia esso a scaffale o nel piatto del Ristoratore, questa è la vera novità, evitando passaggi intermedi che ne possano inficiare l’autorevolezza. L’abbinamento poi al marchio collettivo Taggiasche della Liguria ne certifica l’origine e l’effettiva qualità del prodotto; aspetti fondamentali che permettono alle aziende di recuperare redditività, indispensabile per la manuten-

zione degli oliveti terrazzati. Un vantaggio, dunque, per il produttore ed il consumatore. Il riconoscimento da parte dell’Unione Europea del marchio collettivo Taggiasche della Liguria, con relativo disciplinare, è determinante. Le olive che possono fregiarsi del riconoscimento devono rispondere ai seguenti requisiti: devono essere coltivate esclusivamente nel Ponente Ligure devono essere trasformate e confezionate all’interno della Regione Liguria tutta la filiera deve rispettare il regolamento d’uso, sottoponendosi ai controlli di enti terzi (Parco Tecnologico Padano e Valoritalia).

Amabile e Saporito La condivisione di intenti e filosofia di produzione e distribuzione accomuna Olio Salvo al gruppo Cateringross che ha realizzato con l’azienda ligure un progetto di co-branding su due confezioni di olio extravergine d’oliva per i ristoranti e le pizzerie serviti dai soci del gruppo. Olio Salvo ha realizzato in esclusiva per Cateringross due blend di olio extravergine di oliva 100% italiano denominati Amabile e Saporito. Amabile è un blend particolarmente indicato per piatti di pesce e crostacei, ottenuto a freddo, non filtrato per mantenere la naturale ricchezza di antiossidanti; possiede qualità organolettiche particolarmente delicate. Saporito è un blend ottenuto a freddo, non filtrato, dal colore oro con sfumature verdi, per pietanze che richiedono un ingrediente dal sapore deciso, come zuppe e carni. Le confezioni riportano i due marchi – Cateringross e Olio Salvo – un valore aggiunto al prodotto e garanzia di qualità, e sono disponibili da mezzo litro, a disposizione della ristorazione in tutta Italia, grazie alla rete di distribuzione di Cateringross.

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La distribuzione

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Autrice: Giulia Zampieri

Le intense giornate di Ristora Hotel Sicilia Una partecipazione vivace, sentita, coinvolgente! “Nei quattro giorni di fiera a Catania abbiamo dato modo ai nostri clienti di testare alcuni prodotti per l’utilizzo professionale e di partecipare a speciali Masterclass sul tema pizza. Non solo: abbiamo avuto il piacere di incontrare anche nuovi professionisti della ristorazione e dell’hotellerie con cui ci auguriamo di collaborare al più presto! Incontrarvi è stato stimolante, oltre che utile… la Sicilia può contare su una ristorazione che ha buoni propositi!” afferma Carmelo Nigro, titolare di Nogro Catering di Modica, nel raccontare la presenza dell’azienda a Ristora Hotel Sicilia delle scorse settimane. “Un plauso va a tutto il team Nigro Catering che si è prodigato in quei giorni. Continua Nigro - È grazie a loro se la fiera si è rivelata un’ottima opportunità per chi opera in questo settore. Spesso avvertiamo da parte dei nostri interlocutori, o dei potenziali interlocutori, il bisogno di uno spazio dedicato alla formazione, all’aggiornamento, al confronto con le aziende fornitrici e la forza vendita. Ci impegniamo ogni anno per creare queste occasioni, anche internamente… sfruttare al meglio giornate come quelle appena trascorse aiuta sicuramente al raggiungimento di questo obiettivo!” Infine grazie agli sponsor – Le 5 Stagioni, Scuola Italiana Pizzaioli, Unilever Food Solutions, Olitalia, Surgital, Centro Carni Company – e a chi ha dato il proprio contributo professionale per gli show-cooking, le master-class, l’accoglienza degli ospiti che ha fatto in modo che lo stand fosse sempre pieno di gente. 76

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La distribuzione

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Autore: Guido Parri

Grande successo per il primo Porte Aperte di Selezioni di Gusto

Martedì 14 e mercoledì 15 novembre Selezioni di Gusto ha, di fatto, inaugurato la sua nuova sede a Giustino (TN), con un evento che ha visto molte tra le aziende fornitrici farsi parte attiva durante il Festival dei Sapori ospitato negli spazi della nuova sede. Sono state decine e decine le persone che si sono susseguite ai bachi degli espositori, durante gli show cooking di presentazione dei prodotti.

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L’occasione è stata utile anche per fare il primo ordine per la stagione invernale che, da queste parti, inizierà a giorni vista la nevicata delle notti scorse, con un prezzo promozionale previsto nella due giorni del Festival. “L’evento ha avuto un ottimo riscontro, segno di quanto sia stata giusta la scelta compiuta dai nostri dirigenti per rendere gli spazi di Selezioni di Gusto più funzionali ed efficenti. Anche il nostro nuovo logo, con il catalogo delle eccellenze ha riscosso il successo spe-

rato” dichiara Angelo Ferrazza, direttore commerciale di Selezioni di Gusto, che insieme a Laura Rossini e a tutto lo staff si apprestano ad affrontare la nuova stagione. Ma il Festival dei Sapori ha avuto in calendario una seconda data, mercoledì 22 novembre, dove, a farla da protagonista, sono stati gli oli e le bevande – le birre artigianali, il Trento DOC, le bevande dissetanti – in una giornata dove gli invitati eranosempre i clienti professionali di Selezioni di Gusto.

Da sinistra Laura Rossini, Luca Pederzolli e Angelo Ferrazza

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Ciceroni in crosta del Borgo CECI, SALVIA E ROSMARINO IN CROSTA DI FARINA DI GRANO E LIMONE

FOTO: Sergio Supino

TESTI: Sonia Anna Leo


L’ultima novità in catalogo: i Ciceroni in crosta del Borgo La crosta saporita di grano e limone avvolge i ceci interi e li rende croccanti ed invitanti. Un finger food sfizioso, ottimo da gustare anche in abbinamento a salse, piatti di carne, pesce o verdure. Un prodotto versatile, semplice da preparare velocemente in 4 modalità di cottura differenti, come tutte le nostre referenze in crosta di farina di grano. In questo modo potrai ottimizzare i tempi e i processi di lavoro risulteranno più semplici, per un incremento del business e il successo della tua azienda!

Grani antichi e verdure scomparse

La preparazione della nostra crosta di farina di grano è fatta con l’antica ricetta della nonna, una lavorazione che dà vita a impasti che donano croccantezza alle verdure dell’orto. Ad ogni verdura o ortaggio la sua ricetta e così un velo di crosta accoglie e avvolge all’interno la freschezza ed il colore naturale, senza perdere le proprietà organolettiche e l’aromaticità. Un perfetto equilibrio, riconoscibilità e leggerezza, dove il gusto si stratifica e poi esplode, come quando si assaggiano le “Pomodorelle” oppure la foglia carnosa di “Borragine” che può essere interpretata con abbinamenti fantasiosi e sorprendenti.

Per un’attività di successo

Siamo sempre attenti alle esigenze dei nostri clienti e con la filiera corta riserviamo qualità controllata, affidabilità e sicurezza di ortaggi d’eccellenza abbattuti con conservazione criogenica, appena raccolti più freschi del fresco, consentendo di ridurre i costi, gli scarti e le scorte di magazzino. Per offrirti l’Eccellenza che ti aspetti. Visita il nostro orto su www.spiritocontadino.com

Puglia Italy 71040 Borgo Tressanti (FG) ex s.s. 544 Trinitapoli/FG n. 57/C tel +39 0885 418626 info@spiritocontadino.com


I libri

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Autore: Luigi Franchi

Apriscatole Storia di un attrezzo da cucina Un libro unico che nasce da un bell’incontro tra persone: è questa la genesi di Apriscatole, il saggio scritto da Beatrice Dallasta, ma andiamo con ordine. Carlo Grandi, un signore bolognese che nella vita professionale faceva il direttore commerciale di un’azienda alimentare, è stato forse il più importante collezionista di apriscatole al mondo, ne ha raccolti 365, datati da metà Ottocento fino ai giorni nostri, e li ha donati al Museo del Pomodoro di Corte Giarola (PR). Giancarlo Gonizzi, direttore dei Musei del Cibo, si è posto il problema di come valorizzare questa collezione e ha contattato l’Università di Parma che ha destinato, come stage universitario, Beatrice Dallasta al Museo del Pomodoro. La studentessa, nel trovarsi a catalogare questa collezione di apriscatole, ne è rimasta affascinata al punto di farne oggetto di ricerca che è culminata nel bel libro edito da In riga Edizioni. Un libro praticamente unico a livello europeo, forse il secondo a livello mondiale. Una storia che richiama quella dell’uovo e della gallina: è nata prima la lattina per conservare i cibi o l’apriscatole per aprirla? Qui la risposta arriva dalla storia: è nata prima la lattina, frutto di un processo lento e lunghissimo che parte dall’esigenza umana di conservare i cibi e arriva al 1810 quando il francese Nicolas François Appert realizza la prima lattina che sarà poi brevettata non da lui bensì dall’inglese Peter Durand. Ma come si aprivano le lattine, utilizzate prevalentemente per il rancio dei militari? Con un colpo d’arma da fuoco! Fu alla fine della guerra civile americana che le lattine si diffusero anche tra i civili e fu in quel momento, siamo nel 1855, che un signore, abitante del Connecticut, Ezra Warner, inventò il primo apriscatole. Anche in questo caso il brevetto lo depositò un produttore di posate, l’inglese Robert Yates, con un modello che, pur con le varianti del caso, è ancora oggi utilizzato. Di apriscatole oggi se ne usano ormai pochi, essendosi affermata la linguina a strappo, ma l’apriscatole è ancora indispensabile per gli usi professionali nelle cucine dei ristoranti, ad esempio, perché per le latte grandi non sempre consentono l’apertura a strappo, più ardua e pericolosa. Il fascino della storia dell’apriscatole e la sua importanza sono racchiusi nel prezioso volume di Beatrice Dallasta, nel frattempo laureatasi alla Facoltà di Scienze Gastronomiche dell’Università di Parma che, oltre a scriverne la storia, riporta, con foto e descrizione accurata, buona parte dell’originale collezione di Carlo Grandi.

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Apriscatole Storia di un attrezzo da cucina Beatrice Dallasta In riga edizioni 222 pagine 50 euro



Millesimato ALTEMASI TRENTODOC

Medaglia d’Oro

The Global Sparkling Masters 2022 The Drinks Business

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