Laboratorio Design dei Tipi

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Studente De Angelis Claudia

Assistenti Thomas Bisiani Gabriele Toneguzzi

Docente Leonardo Sonnoli

Laboratorio di Design dei tipi a.a. 2008/2009





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Indice

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Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4


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Capitolo 1

Impaginazione

La prima esercitazione riguarda una prova di impaginazione di un testo dell’architetto Nuno Portas, Personale e intrasmettibile, tratto da «Ípsilon», supplemento del quotidiano portoghese «Público».


Nuno Portas

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«Ípsilon» [supplemento del quotidiano portoghese «Público»]

Prima prova di impaginazione del testo

Personale e intrasmettibile

Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella propria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tutti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche avessi seguito altre strade più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’opera di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho definito «un giovane al quale per più di un motivo attribuiamo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di meditazione del fenomeno architettonico non attraverso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il contributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a proposito di questi capolavori. E poco tempo dopo, nella prima pubblicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza Vieira era senza dubbio una delle figure più significative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo, a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Madrid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito architettonico più influenti di allora- fu favorito anche dall’appoggio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condividevano la preoccupazione per le derive postmoderne o marcatamente esibizioniste del movimento moderno. Il riconoscimento del giovane portoghese era tanto più significativo in quanto le opere che si susseguivano non creavano uno “stile Siza”, bensì dimostravano una ricerca inquieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre legata alle circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità di cambiamento del registro estetico e metodologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiunque altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - contenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il progetto successivo molto probabilmente modificherà quello che prima sembrava un cammino sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio grazie a questa libertà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, nonostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se confrontati con i primi) o persino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In questo senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia facilmente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmettibili, libero ogni volta di inventare e sorprendere. Malgrado ciò, mi piacerebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testardamente periferico: una figura di creatore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente mercato globale, non esiste quasi più.


Nuno Portas

«Ípsilon» [supplemento del quotidiano portoghese «Público»]

Personale e intrasmettibile sino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In questo senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia facilmente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmettibili, libero ogni volta di inventare e sorprendere. Malgrado ciò, mi piacerebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testardamente periferico: una figura di creatore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente mercato globale, non esiste quasi più.

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favorito anche dall’appoggio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condividevano la preoccupazione per le derive postmoderne o marcatamente esibizioniste del movimento moderno. Il riconoscimento del giovane portoghese era tanto più significativo in quanto le opere che si susseguivano non creavano uno “stile Siza”, bensì dimostravano una ricerca inquieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre legata alle circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità di cambiamento del registro estetico e metodologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiunque altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - contenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il progetto successivo molto probabilmente modificherà quello che prima sembrava un cammino sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio grazie a questa libertà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, nonostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se confrontati con i primi) o per-

Seconda prova di impaginazione.

Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella propria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tutti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche avessi seguito altre strade più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’opera di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho definito «un giovane al quale per più di un motivo attribuiamo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di meditazione del fenomeno architettonico non attraverso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il contributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a proposito di questi capolavori. E poco tempo dopo, nella prima pubblicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza Vieira era senza dubbio una delle figure più significative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo, a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Madrid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito architettonico più influenti di allora- fu


Personale e intrasmettibile

circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità di cambiamento del registro estetico e metodologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiunque altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - contenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il progetto successivo molto probabilmente modificherà quello che prima sembrava un cammino sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio grazie a questa libertà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, nonostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se confrontati con i primi) o persino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In questo senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia facilmente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmettibili, libero ogni volta di inventare e sorprendere. Malgrado ciò, mi piacerebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testardamente periferico: una figura di creatore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente mercato globale, non esiste quasi più.

Nuno Portas

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«Ípsilon» [supplemento del quotidiano portoghese «Público»]

Terza prova di impaginazione.

Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella propria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tutti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche avessi seguito altre strade più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’opera di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho definito «un giovane al quale per più di un motivo attribuiamo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di meditazione del fenomeno architettonico non attraverso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il contributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a proposito di questi capolavori. E poco tempo dopo, nella prima pubblicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza Vieira era senza dubbio una delle figure più significative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo, a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Madrid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito architettonico più influenti di allora- fu favorito anche dall’appoggio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condividevano la preoccupazione per le derive postmoderne o marcatamente esibizioniste del movimento moderno. Il riconoscimento del giovane portoghese era tanto più significativo in quanto le opere che si susseguivano non creavano uno “stile Siza”, bensì dimostravano una ricerca inquieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre legata alle


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Capitolo 2

Lettera tridimensionale

La seconda esercitazione riguardava la realizzazione di una lettera tridimensionale, senza derivare da una estrusione. È possibile creare una lettera tridimensionale in cui, in base al punto d’osservazione, si può leggere una o più lettere differenti oppure partendo dalla costruzione di una lettera modulare si crea una struttura con cui poter giocare, creando varie forme.


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Realizzazione di un punto interrogativo. Visto dall’alto si visualizza un punto esclamativo. Attraverso l’utilizzo di una luce si ha la proiezione del punto interrogativo.


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Costruire delle lettere tridimensionali con dei cubetti in legno di 20 x 20 mm. Prima prova: cubetti attaccati l’uno con l’altro in modo da riuscire ad avere diverse lettere su diversi lati.


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Prove successive: nasce l’idea di aggiungere ai cubetti delle calamite inserendole in incavi appositamente realizzati. Ogni cubetto avrà così, su le quattro facce, quattro calamite in modo da riuscire ad avere una visualizzazione più rapida delle possibilità di composizione.


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Capitolo 3

Ricerca e manifesto

il tema sviluppato nella tesina e sintetizzato poi nel manifesto è il Futurismo. Il 2009 è il centenario sul futurismo, ricordiamo infatti il 20 febbraio 1909 come data della prima pubblicazione su «Le Figarò» del Manifesto del Futurismo ad opera di Tommaso Marinetti. La ricerca è stata sviluppata analizzando i caratteri generali del futurismo e in particolare “l’uso audace e continuo dell’onomatope”. In un foglio 100x70, stampato fronte e retro sono impaginati da un lato il manifesto e dall’altro la ricerca.


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Prova di manifesto: manfesto fotografico. Utilizzo di alcune componenti meccaniche per ricreare l’esaltazione della macchina e rendere il rumore.

Centenario della fondazione del movimento futurista 1909-2009


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Prova di manifesto: manifesto fotografico. La scritta viene “rotta� e poi, successivamente ricostruita e ricomposta attaccandola con viti e bulloncini.

centenario della fondazione del futurismo 1909-2009.


BANG!

BASH!

BOOM

ZZZZ bash

dash bip boom chirp tweet clang

craaack crash driiin growl grrr crunch plick ring rumble sigh slurp sob sock spalsh squeak thump tingle wrooom clap

creak

gnam

purr

knock

skid szock

thud

wooosh yawn

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Prova di manifesto. Impaginazione composta dall’utilizzo delle onomatopee tanto amate dai futuristi. Il carattere varia nel peso e nelle dimensioni.

Centenario del Futurismo 1909-2009


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Manifesto realizzato con l’utilizzo del filetto nero, molto usato nelle opere futuriste e con la scritta manifesto proprio come a descrivere l’opera.

MANIFESTO

centenario del futurismo manifesto futurista di tommaso marinetti 1909


MANIFESTO FILIPPO TOMMASO MARINETTI FONDA IL 20 FEBBRAIO 1909 A PARIGI IL MANIFESTO FUTURISTA

4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova:

la bellezza della velocità

7. Non vi è più la bellezza se non nella lotta.

e m ag

nific

primorenza, diali.

Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavore.

5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della propria orbita.

1. Noi vogliamo cantare l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. , i corsa d o s . s o il sonn e, il pa tasi ed nia febbril s e l’ , a penos inson obilità gressivo, l’ m im l’ i g ad ogg ento a ltò fino e il movim a s e a r saltar tteratu 3. La le vogliamo e Noi

8. Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementiessenziali della nostra poesia. il volo scivolante degli areoplani. È dall’ Italia che lanciamo questo manfesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il

Futurismo.

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11. Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto,

Manifesto che utilizza il «Manifesto del Futurismo» pubblicato su «Le Figarò» il 20 febbraio 1909.

elemen

o fervaordore, sfa re degl rzo i siastic

6. Biso g per au na che il poe menta re l’ enta prodichi c tu on

ei, us im o, ere gg cie lism a pe ora tru s ic dis ni m ist l i un mo , og o ort lia che di ntr e pp vog ote mi co ào oi bli de ere . N bi ca att mo vilt 10 le le ac omb inis ogni m e c fem ntro ria. il o ta e c utili o

ti

9. Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore.


MANIFESTO Filippo Tommaso Marinetti fonda il 20 febbraio 1909 a Parigi il manifesto futurista

8.

Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

4.

Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

7.

Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente. Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igene del mondo-il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. E’ dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.

2.

9.

1.

.

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Nel passo successivo, il testo viene scardinato. Rimangono i numeri sparsi nel manifesto con dimensioni ed orientamenti diversi e il testo viene messo a bandiera, tutto con lo stesso corpo.

5.

6.

3.

11.


MANIFESTO 2. 8. 5. 4. 1. 11. 6. 9. 7. 3. 10. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente. Noi vogliamo glorificare la guerra-sola igene del mondo-il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria

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I numeri sono riuniti in un punto bene definito e con un corpo esagerato, in contrapposizione al testo.

Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. E’ dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo


MANIFESTO Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

2. 8. 4. 5. 1. 11. 6. 7. 9. 3. 10.

Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igene del mondo il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria. Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. È dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.

«Il Manifesto del Futurismo» di F. T. Marinetti

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Manifesto semidefinitivo: il testo, a bandiera, corre lungo una stretta colonna in contrapposizione ai numeri, diversificandosi per peso e dimensione del carattere. La font utilizzata è il Franklin Gothic, Demi Extra Compressed per i numeri e Book per il testo.

«Le Figarò» 20 Febbraio 1909


FUTURISMO centenario 1909-2009

Giacomo Balla, Onomatopea rumorista Macchina tipografica, 1914 Fortunato Depero, da « Depero futurista », Milano, 1913-27 F. Cangiullo, da « Piedigrotta », Milano, 1916

tra tipografia e uso delle onomatopee Caratteri generali del futurismo

Onomatopee Cosideriamo «l’uso audace e continuo dell’onomatopea» che scaturisce dall’amore dei futuristi per la materia, dalla volontà di penetrarla e di conoscerne le vibrazioni, dalla simpatia che li lega ai motori. L’onomatopea che riproduce il rumore è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia, la sua brevità permette «di dare degli agilissimi intrecci di ritmi diversi». Nel Manifesto del 1914 Marinetti distingue diversi tipi di onomatopee: a) l’onomatopea diretta imitativa elementare realistica (esempio: «pic pac pum, fucileria»); b) l’onomatopea indiretta complessa e analogica (Marinetti cita l’esempio dell’onomatopea «stridionla stridionla stridionlaire» che si ripete nel primo canto del suo poema epico «La conquista delle stelle», volta a «formare un’analogia fra lo stridore di grandi spade e l’agitarsi rabbioso delle onde, prima di una grande battaglia di acque in tempesta»; c) l’onomatopea astratta, «espressione rumorosa e incosciente dei moti più complessi e misteriosi della nostra sensibilità»; d) l’accordo onomatopeico psichico, ovvero la fusione di due o tre onomatopee astratte. L’importanza e la dominanza dell’onomatopea nel linguaggio dei futuristi sono suffragate dalla creazione nel 1916 dell’«onomalingua» da parte di Fortunato Depero. Linguaggio delle forze naturali (vento, pioggia, mare, ecc.) e degli «esseri artificiali rumoreggianti creati dagli uomini» (biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine), l’«onomalingua» è lo strumento più rudimentale e più efficace

per esprimere le emozioni e le sensazioni. Nei monologhi dei clowns e dei comici di varietà, scrive Depero, vi sono tipici accenni all’onomalingua che costituisce la lingua più indovinata per la scena e specialmente per le esagerazioni esilaranti. Con l’«onomalingua», aggiunge Depero, si può parlare efficacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali e con le macchine, dato che è un linguaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori. L’onomatopea in quanto specchio sonoro, armonia imitativa di una realtà naturale è stata spesso interpretata come l’espressione di un linguaggio primitivo, originario, parlato prima della confusione delle lingue e quindi universale. Lo stesso Marinetti, nel primo Manifesto del Futurismo del 20 febbraio 1909, inneggia al bisogno che «il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali». Fra questi elementi primordiali c’è il linguaggio come materia, oggetto puramente sonoro.

Rumore nel testo Un altro aspetto importante della poesia futurista, legato strettamente all’uso delle onomatopee, è l’irruzione travolgente del rumore nel testo, che si accompagna alla scoperta futurista del «suono–rumore», del «rumore musicale» prodotto dal fragore delle saracinesche dei negozi, dalle porte sbatacchianti, dal brusìo e dallo scalpiccìo delle folle, dai diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee. Questa nuova «sensibilità sonora» è il sintomo dell’evoluzione della musica in parallelo con il moltiplicarsi delle macchine che ha creato «tanta varietà e concorrenza di rumori». Il «suono–rumore», al pari dell’onomatopea, prefigura la struttura di un nuovo linguaggio musicale che «ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio» come scrive Luigi Russolo nel manifesto «L’arte dei rumori» del 1913. Per regolare la velocità dello stile, Marinetti propone di servirsi dei «brevissimi od anonimi segni [...] musicali», ponendo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (più presto) (rallentando) (due tempi), che possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico. Sull’universalità del linguaggio musicale scrive Francesco Cangiullo nel testo Poesia pentagrammata del 1922: «La Musica è linguaggio universale, e gli uomini che sanno leggere uno spartito sono infinitamente più di quelli che sanno leggere un libro nel testo originale. Perciò una poesia scritta su carta da musica avrà, oltre il suo numero di lettori, nel testo originale, un infinito numero internazionale di persone (con appena una qualche cognizione musicale) che se non la leggono nella lingua in cui è scritta, la intendono benissimo dal lato musicale; cioè afferrano i passaggi melodici e allegri del suo ritmo, il chiaroscuro delle parole-note, acute e basse, infine il lirico disegno pentagrammato».

F. T. Marinetti, da « 8 anime in una bomba », Milano, 1919 F. T. Marinetti, Le soir, couchée dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front (1918), da « Les mots en liberté futuristes », Milano, 1919

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ne del dinamismo degli oggetti), il peso (facoltà di volo degli oggetti), l’odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti); 9. fare coraggiosamente il «brutto» in letteratura ed uccidere dovunque la solennità. Per imprimere alle parole tutte le velocità – «quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole, e degli atomi» – e raddoppiarne la forza espressiva Marinetti introduce anche una «rivoluzione tipografica» diretta «contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana»: «Noi useremo perciò» scrive Marinetti nel Manifesto del 1913 - «in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche venti caratteri tipografici diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc.». C’è infine l’ideazione del «lirismo multilineo» con il quale ottenere la «simultaneità (concetto mutuato dai pittori futuristi) lirica», ossia la possibilità di percorrere contemporaneamente «catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie». Nascono così le tavole parolibere, chiamate da Marinetti «tavole sinottiche di poesia o passaggi di parole suggestive», veri e propri «collages tipografici», anticipatori di quella che verrà chiamata poesia concreta e visiva.

Prova di impaginazione della ricerca sul Futurismo impaginata sul retro del manifesto. Sono mantenute delle analogia tra fronte e retro. La ricerca è impaginata come se fosse una pagina di un giornale.

Per parlare di futurismo dobbiamo iniziare considerando la teoria delle «parole in libertà» definita e perfezionata da Marinetti, in tre successivi manifesti «tecnici»: il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, con l’annesso Risposte alle obiezioni dell’11 agosto 1912, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà dell’11 maggio 1913 e lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica del 18 marzo 1914. L’urgenza di un nuovo linguaggio nasce in Marinetti dall’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mondo. Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Il telegrafo, il telefono, il grammofono, il treno, la bicicletta, la motocicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo, il grande quotidiano: tutte queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d’informazione, afferma Marinetti, esercitano sulla psiche una decisiva influenza in quanto producono fenomeni significativi come l’acceleramento della vita, l’amore del nuovo, dell’imprevisto, del pericolo, la moltiplicazione e lo sconfinamento delle ambizioni e dei desideri umani. Tutto ciò sta alla base della nuova sensibilità futurista. Le «parole in libertà» sono lo strumento linguistico per tradurre in modo efficace questa nuova sensibilità. Del resto, qui si constata un’evidenza banale: il linguaggio (anche quello poetico) è un sistema di segni regolato da un codice non fisso, ma aperto, che varia sulla base dei bisogni da soddisfare. Se i bisogni cambiano, il codice deve adeguarsi alle nuove necessità. Le indicazioni di Marinetti sono chiare e perentorie: 1. distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono; 2. usare il verbo all’infinito perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’«io» dello scrittore che osserva o immagina; al contrario, l’«io» dev’essere distrutto in letteratura; 3. abolire l’avverbio, la punteggiatura, l’aggettivo qualificativo che presuppone un arresto nella intuizione (nel 1913 Marinetti parla di aggettivo semaforico, aggettivo–faro o aggettivo–atmosfera, cioè di un aggettivo separato dal sostantivo, isolato in una parentesi, capace di lanciare lontano «la sua luce girante»); 4. ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia (esempi: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto); 5. trovare gradazioni di analogie sempre più vaste (a questo riguardo Marinetti usa una terminologia molto attuale, se pensiamo alle «autostrade telematiche»: parla infatti di «reti d’immagini» che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni); 6. realizzare un maximun di disordine nel disporre le immagini; 7. sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia; 8. introdurre in letteratura il rumore (manifestazio-


MANIFESTO . . .

Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

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Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.

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Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

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Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

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Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.

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Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

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Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igene del mondo il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore.

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Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.

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Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. È dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.

«Il Manifesto del Futurismo» di F. T. Marinetti «Le Figarò» 20 Febbraio 1909

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FUTURISMO F. Cangiullo, da « Piedigrotta », Milano, 1916

laboratorio di design dei tipi a.a. 2008/2009 claudia de angelis

F. T. Marinetti, da « 8 anime in una bomba », Milano, 1919

F. T. Marinetti, Le soir, couchée dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front (1918), da « Les mots en liberté futuristes », Milano, 1919

1909-2009. Tra tipografia e uso delle onomatopee. Caratteri generali del futurismo Per parlare di futurismo dobbiamo iniziare considerando la teoria delle «parole in libertà» definita e perfezionata da Marinetti, in tre successivi manifesti «tecnici»: il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, con l’annesso Risposte alle obiezioni dell’11 agosto 1912, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà dell’11 maggio 1913 e Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica del 18 marzo 1914. L’urgenza di un nuovo linguaggio nasce in Marinetti dall’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mondo. Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Il telegrafo, il telefono, il grammofono, il treno, la bicicletta, la motocicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo, il grande quotidiano: tutte queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d’informazione, afferma Marinetti, esercitano sulla psiche una decisiva influenza in quanto producono fenomeni significativi come l’acceleramento della vita, l’amore del nuovo, dell’imprevisto, del pericolo, la moltiplicazione e lo sconfinamento delle ambizioni e dei desideri umani. Tutto ciò sta alla base della nuova sensibilità futurista. Le «parole in libertà» sono lo strumento linguistico per tradurre in modo efficace questa nuova sensibilità. Del resto, qui si constata un’evidenza banale: il linguaggio (anche quello poetico) è un sistema di segni regolato da un codice non fisso, ma aperto, che varia sulla base dei bisogni da soddisfare. Se i bisogni cambiano, il codice deve adeguarsi alle nuove necessità. Le indicazioni di Marinetti sono chiare e perentorie: 1. distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono; 2. usare il verbo all’infinito perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’«io» dello scrittore che osserva o immagina; al contrario, l’«io» dev’essere distrutto in letteratura; 3. abolire l’avverbio, la punteggiatura, l’aggettivo qualificativo che presuppone un arresto nella intuizione (nel 1913 Marinetti parla di aggettivo semaforico, aggettivo-faro o aggettivo-atmosfera, cioè di un aggettivo separato dal sostantivo, isolato in una parentesi, capace di lanciare lontano

«la sua luce girante»); 4. ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia (esempi: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto); 5. trovare gradazioni di analogie sempre più vaste (a questo riguardo Marinetti usa una terminologia molto attuale, se pensiamo alle «autostrade telematiche»: parla infatti di «reti d’immagini» che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni); 6. realizzare un maximun di disordine nel disporre le immagini; 7. sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia; 8. introdurre in letteratura il rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti), il peso (facoltà di volo degli oggetti), l’odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti); 9. fare coraggiosamente il «brutto» in letteratura ed uccidere dovunque la solennità. Per imprimere alle parole tutte le velocità – «quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole, e degli atomi» – e raddoppiarne la forza espressiva Marinetti introduce anche una «rivoluzione tipografica» diretta «contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana»: «Noi useremo perciò» - scrive Marinetti nel Manifesto del 1913 - «in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche venti caratteri tipografici diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc.». C’è infine l’ideazione del «lirismo multilineo» con il quale ottenere la «simultaneità (concetto mutuato dai pittori futuristi) lirica», ossia la possibilità di percorrere contemporaneamente «catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie». Nascono così le tavole parolibere, chiamate da Marinetti «tavole sinottiche di poesia o passaggi di parole suggestive», veri e propri «collages tipografici», anticipatori di quella che verrà chiamata poesia concreta e visiva.

Onomatopee Cosideriamo «l’uso audace e continuo dell’onomatopea» che scaturisce dall’amore

dei futuristi per la materia, dalla volontà di penetrarla e di conoscerne le vibrazioni, dalla simpatia che li lega ai motori. L’onomatopea che riproduce il rumore è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia, la sua brevità permette «di dare degli agilissimi intrecci di ritmi diversi». Nel Manifesto del 1914 Marinetti distingue diversi tipi di onomatopee: a) l’onomatopea diretta imitativa elementare realistica (esempio: «pic pac pum, fucileria»); b) l’onomatopea indiretta complessa e analogica (Marinetti cita l’esempio dell’onomatopea «stridionla stridionla stridionlaire» che si ripete nel primo canto del suo poema epico «La conquista delle stelle», volta a «formare un’analogia fra lo stridore di grandi spade e l’agitarsi rabbioso delle onde, prima di una grande battaglia di acque in tempesta»; c) l’onomatopea astratta, «espressione rumorosa e incosciente dei moti più complessi e misteriosi della nostra sensibilità»; d) l’accordo onomatopeico psichico, ovvero la fusione di due o tre onomatopee astratte. L’importanza e la dominanza dell’onomatopea nel linguaggio dei futuristi sono suffragate dalla creazione nel 1916 dell’«onomalingua» da parte di Fortunato Depero. Linguaggio delle forze naturali (vento, pioggia, mare, ecc.) e degli «esseri artificiali rumoreggianti creati dagli uomini» (biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine), l’«onomalingua» è lo strumento più rudimentale e più efficace per esprimere le emozioni e le sensazioni. Nei monologhi dei clowns e dei comici di varietà, scrive Depero, vi sono tipici accenni all’onomalingua che costituisce la lingua più indovinata per la scena e specialmente per le esagerazioni esilaranti. Con l’«onomalingua», aggiunge Depero, si può parlare efficacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali e con le macchine, dato che è un linguaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori. L’onomatopea in quanto specchio sonoro, armonia imitativa di una realtà naturale è stata spesso interpretata come l’espressione di un linguaggio primitivo, originario, parlato prima della confusione delle lingue e quindi universale. Lo stesso Marinetti, nel primo Manifesto del Futurismo del 20 febbraio 1909, inneggia al bisogno che «il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo

e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali». Fra questi elementi primordiali c’è il linguaggio come materia, oggetto puramente sonoro.

Rumore nel testo Un altro aspetto importante della poesia futurista, legato strettamente all’uso delle onomatopee, è l’irruzione travolgente del rumore nel testo, che si accompagna alla scoperta futurista del «suono–rumore», del «rumore musicale» prodotto dal fragore delle saracinesche dei negozi, dalle porte sbatacchianti, dal brusìo e dallo scalpiccìo delle folle, dai diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee. Questa nuova «sensibilità sonora» è il sintomo dell’evoluzione della musica in parallelo con il moltiplicarsi delle macchine che ha creato «tanta varietà e concorrenza di rumori». Il «suono-rumore», al pari dell’onomatopea, prefigura la struttura di un nuovo linguaggio musicale che «ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio» come scrive Luigi Russolo nel manifesto «L’arte dei rumori» del 1913. Per regolare la velocità dello stile, Marinetti propone di servirsi dei «brevissimi od anonimi segni [...] musicali», ponendo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (più presto) (rallentando) (due tempi), che possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico. Sull’universalità del linguaggio musicale scrive Francesco Cangiullo nel testo Poesia pentagrammata del 1922: «La Musica è linguaggio universale, e gli uomini che sanno leggere uno spartito sono infinitamente più di quelli che sanno leggere un libro nel testo originale. Perciò una poesia scritta su carta da musica avrà, oltre il suo numero di lettori, nel testo originale, un infinito numero internazionale di persone (con appena una qualche cognizione musicale) che se non la leggono nella lingua in cui è scritta, la intendono benissimo dal lato musicale; cioè afferrano i passaggi melodici e allegri del suo ritmo, il chiaroscuro delle parolenote, acute e basse, infine il lirico disegno pentagrammato».


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Capitolo 4

Cercelletta Lorenzo Pietro Paciullo

in collaborazione con

Installazione tipografica

Il luogo scelto per l’installazione tipografica è il colonnato a San Francesco della Vigna, tra la zona di San Francesco Paolo e l’Arsenale. Le colonne, raddoppiate, sono state pensate come una proiezione delle giganti semicolonne della facciata palladiana della chiesa di San Francesco della Vigna. A pochi metri dal colonnato, vicino gli scalini che danno sul canale, si può notare lo stemma della Confraternita. È proprio qui che le barche destinate al recupero dei corpi defunti colpiti dalla peste approdavano, per condurli poi a sepoltura. Il risultato che si voleva ottenere era proprio quello di riportare in vita delle notizie storiche sconosciute alla maggior parte delle persone che abitualmente attraversa il colonnato. Abbiamo scelto, quindi, un testo di Ambroise Poiré, che attraverso l’uso audace di otto aggettivi descrive cos’è la peste.


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Testo completo di Ambroise Poiré. Nell’installazione sono stati utilizzati soltanto gli otto aggettivi. Vista dall’alto della disposizione iniziale dei teli. La disposizione è relativa poichè essendo i teli mobili, possono assumere ogni volta una composizione differente.

tu sei qui

“[La Peste] È malattia furiosa, tempestosa, mostruosa, spaventosa, orrenda, terribile, feroce, traditrice... [Quando le si sfugge, È cosa più divina che umana.]”

Ambroise Poiré


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Attraverso l’utilizzo del programma Maxon Cinema 4D abbiamo ricreato il colonnato in 3d per poter visualizzare piĂš facilmente alcune prove di impaginazione degli aggettivi. In questo caso specifico i teli sono tesi a diverse altezze come se le colonne fossero “impacchettateâ€? da un telo unico. I teli sono a diverse altezze.


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In quest’altra soluzione, che risulterà essere poi la definitiva, ci sono otto grandi teli, 200x70 cm, bianchi su cui sono impaginati gli aggettivi.


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Prove di impaginazione dei teli. Nel primo caso le lettere sono impaginate su diverse linee, le lettere che sono più grandi occupano lo spazio di più linee proprio perchè sono presenti più di una volta nella parola. Nel secondo caso tutte le lettere partono dalla stessa linea di base e crescono di dimensione. Le lettere più grandi sono quelle numericamente più presenti in tutti gli aggettivi, decrescendo fino alla lettera meno usata tra gli otto aggettivi.

c

ero e f


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Testo impaginato in modo illustrativo. Non funziona però per tutti gli aggettivi.


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Prove di impaginazione utilizzando le legature.

e c f ro e


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Prove di impaginazione dei teli. Testo in Bauer Bodoni nero con una sola lettera in ogni telo colorata di rosso. La singola lettera nel testo compone complessivamente la scritta: la peste.

traditrice

terribile


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orrenda

tempestosa


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mostruosa

spaventosa


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furiosa

feroce

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Impaginazione definitiva. Le parole, sempre in Bauer Bodoni, sono state trattate con la tecnica del retino mezzetinte e all’allontanarsi dei teli corrisponde un maggiore completamento delle parole da parte dell’occhio nonostante la loro definizione sia via via piÚ bassa.


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Installazione tipografica


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Dettaglio del pannello esplicativo applicato vicino al punto d’osservazione privilegiato.


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