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Issn: 2036-3109

LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% NE/TN - anno VII - numero 16 - aprile 2015 - € 10,00

CONTIENE I.P.

16 In questo numero:

Verso nuove mobilità sostenibili




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Sentieri Urbani è una rivista quadrimestrale

che pone al centro dell'attenzione i temi e i problemi del territorio del Trentino-Alto Adige ma che lancia sguardi verso luoghi lontani ed esperienze innovative che contribuiscono a costruire un futuro caratterizzato dalla sostenibilità e dall'equità. Sentieri Urbani, recentemente inserita dall'ANVUR nell'elenco delle riviste scientifiche, diffusa e postata in circa 2.500 copie, intende cogliere le sfide delle trasformazioni ambientali, del paesaggio, dell'abitare il territorio e la città contemporanei, divulgando le esperienze di successo, i progetti in corso e le sperimentazioni innovative, proponendosi come luogo di riflessione critica e tramite con le proposte più avanzate e gli interlocutori più stimolanti. Abbonarsi a Sentieri Urbani significa sostenere questo strumento di promozione e di diffusione della cultura urbanistica e attingere ad un contenitore sempre aggiornato di idee e esperienze orientate alla trasformazione del suolo.

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Urbani LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA


Urbani LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

16 Sentieri Urbani rivista quadrimestrale della Sezione Trentino dell'Istituto Nazionale di Urbanistica rivista scientifica riconosciuta dall'Anvur, l'Agenzia per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca anno VII - numero 16 - aprile 2015 registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008 - Issn 2036-3109 numero monografico “Verso nuove mobilità sostenibili” a cura di Alessandro Franceschini e Giulio Ruggirello comitato scientifico Andrea Brighenti, Federica Corrado, Giuseppe de Luca, Corrado Diamantini, Viviana Ferrario, Carlo Gasparrini, Raffaele Mauro, Ezio Micelli, Pierluigi Morello, Camilla Perrone, Paolo Pileri, Michelangelo Savino, Francesco Sbetti, Maurizio Tira, Andrea Torricelli, Silvia Viviani, Angioletta Voghera comitato@sentieri-urbani.eu direttore Alessandro Franceschini direttore@sentieri-urbani.eu redazione Elisa Coletti, Pietro Degiampietro, Mario Gasperi, Davide Geneletti, Margherita Meneghetti, Francesco Palazzo, Giuliana Spagnolo, Giovanna Ulrici, Bruno Zanon redazione@sentieri-urbani.eu

06 Editoriale

di Bruno Zanon

08 Intervista a Willi Hüsler

di Alessandro Franceschini

12 PRIMA PARTE: LE TEORIE E LE ESPERIENZE 14 Verso nuove mobilità sostenibili di Maurizio Tira

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Il progetto VENTO di Paolo Pileri

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Mobilità e processi partecipativi: un stato dell’arte di Francesco Avesani

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Infrastrutture, territori, cittadinanza: una integrazione necessaria per il futuro di Giulio Ruggirello

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Azioni di comunicazione e cultura della mobilità sostenibile di Günther Innerebner e Patrick Kofler

44 SECONDA PARTE: IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE 46

La mobilità alternativa tra nuovi impianti a fune e nuovi hub intermodali di Giulio Ruggirello

54

Pianificare la mobilità a scala sovracomunale: i PTC della Valle Alto Garda e Ledro e della Valsugana di Francesco Avesani

63

Oltre l’infratruttura per una nuova cultura della mobilità di Giuliano Stelzer

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L’esperienza del car sharing in Trentino di Marco Cattani

72

Città, previsioni di piano e trasporto urbano di Maurizio Tomazzoni

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Green Mobility – l'Alto Adige sulla via della regione modello per una mobilità alpina sostenibile di Harald Reiterer e Markus Belz

fotografia e sito web Luca Chistè - web@sentieri-urbani.eu hanno collaborato a questo numero Francesco Avesani, Markus Belz, Marco Cattani, Paolo Pileri, Harald Reiterer, Günther Innerebner, Patrick Kofler, Giuliano Stelzer, Maurizio Tira, Maurizio Tomazzoni progetto grafico Progetto & Immagine s.r.l. - Trento concessionaria di pubblicità Publimedia snc via Filippo Serafini, 10 - 38122 Trento 0461.238913 © Tutti i Diritti sono riservati

prezzo di copertina e abbonamenti Una copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25 Per abbonarsi a Sentieri Urbani: diffusione@sentieri-urbani.eu I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono alla redazione sono presi in considerazione se coerenti con la struttura dei numeri e sono sottoposti al giudizio di lettori indipendenti.

contatti www.sentieri-urbani.eu 328.0198754 editore Bi Quattro Editrice via Filippo Serafini, 10 - 38122 Trento Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino Via Oss Mazzurana, 54 - 38122 Trento

82 La recensione

di Margherita Meneghetti

84 Biblioteca dell'urbanista


E D I T O R I A L E

Stare e muoversi. Luoghi e reti Garantire la mobilità delle persone e delle merci costituisce una delle sfide del nostro tempo, ma da sempre abitare un luogo ha significato potere muoversi entro la dimensione locale ed essere in relazione con altri luoghi. Questa esigenza ha comportato modalità di organizzazione del territorio insediato - alle diverse scale – fortemente segnate dai percorsi, dagli spazi della mobilità, dalle tecnologie dei trasporti. Le città sono disegnate dalle strade, dai ponti, dalle piazze, e sono delimitate dai binari ferroviari e dalle circonvallazioni. La mobilità, come affermato anche in questo numero di Sentieri Urbani, è un valore, mentre il traffico e la congestione sono gli esiti della carente capacità di governare i flussi. L'urgenza di intervenire a favore della mobilità deriva quindi non solo dalla necessità di controllare il traffico, ma anche dalla esigenza di rimanere agganciati alle reti e ai flussi di livello superiore e dall'urgenza di qualificare le città recuperando il ruolo multifunzionale delle strade urbane, che non possono essere solo canali di traffico ma anche luoghi di incontro. Nell'affrontare tali compiti ci troviamo di fronte ad alcuni paradossi. La città, luogo denso per definizione, vive della capacità di attrarre flussi. Ma questi, in particolare quando sono costituiti dai veicoli, possono soffocarla. Gli interventi infrastrutturali e l'uso di tecnologie di trasporto (dalle ferrovie alle metropolitane, ai diversi sistemi di trasporto collettivo) richiedono un forte ruolo dell'ente pubblico, che deve affrontare i costi elevati della costruzione e della gestione. Lasciare spazio all'automobile, brutalmente, costa meno e genera interessanti flussi fiscali. Per contro, bisogna valutare tutti i costi, diretti e indiretti, economici e relativi alla qualità dell'ambiente e alla salute umana, oltre che considerare gli effetti sul clima, sull'esaurimento di energia fossile e, naturalmente, sulla qualità della vita. 6


Altro paradosso della città e della società contemporanee riguarda la complessa interazione tra realtà fisica e dimensione virtuale. La città ha rappresentato a lungo il luogo che traeva vantaggi dall'essere un nodo entro una rete di percorsi e la leggibilità dello spazio urbano garantiva la possibilità di spostarsi agevolmente. Oggi le connessioni telematiche generano effetti contraddittori di sostituzione di spostamenti e di incentivo a muoversi, come bene ricordato da Willy Hüsler in questo numero. E un navigatore satellitare o uno smart phone consentono di districarsi anche nella periferia più disordinata. Le sfide hanno quindi natura differente e si pongono a scale diverse, relative alla connessione dei singoli luoghi entro il contesto più ampio e alla mobilità locale. In entrambi i casi, le retoriche politiche e le attese di benefici economici e funzionali spingono verso la realizzazione di nuove infrastrutture, viste come risolutive dei “colli di bottiglia”. Poca attenzione è dedicata alla gestione della mobilità sulle reti esistenti, alla integrazione delle diverse modalità di trasporto, alla valorizzazione dei luoghi della mobilità, alla comunicazione delle informazioni e alla responsabilizzazione degli utenti nelle loro scelte. Tali problemi sono accentuati dalla frammentazione degli attori che intervengono nei diversi sistemi infrastrutturali e di trasporto, nonché dalle diverse scale della mobilità. L'accessibilità riguarda, per sua natura, livelli spaziali diversi e l'utente non si ferma di fronte ai confini amministrativi e alle competenze territoriali. Eppure, l'integrazione tra le diverse amministrazioni e i diversi gestori appare estremamente difficile. I contributi presenti in questo numero di Sentieri Urbani affrontano, con accenti diversi e da angolature differenti, tali questioni, fornendo spunti innovativi. In primo luogo viene sottolineata la necessità di superare le retoriche che connettono la mobilità più alla presenza delle infrastrutture che al loro uso regolato, alla loro gestione e manutenzione. Viene accentuato inoltre il senso delle reti, che si sostanzia nella connessione tra linee e luoghi diversi, tra livelli di mobilità e scale territoriali differenti. Di conseguenza, l'efficienza del sistema è data dalla coerenza di insieme e dalla capacità di governare gestione dei flussi e

manutenzione delle reti, più che dal rafforzamento di una singola connessione o di un nodo. A scala locale, la scommessa del trasferimento di quote importanti di flussi dall'automobile privata al servizio pubblico si basa su operazioni in buona misura fattibili a costi contenuti e in tempi brevi. Si tratta di garantire informazioni tempestive e aggiornate, di assicurare l'affidabilità delle connessioni tra sistemi diversi e di qualificare gli spazi della mobilità. In breve, è necessario avere il coraggio di sperimentare. Le soluzioni ovvie hanno spesso dimostrato di non funzionare, mentre proposte innovative hanno avuto successo. Ad esempio, se miglioriamo il trasporto pubblico (con oneri rilevanti) togliamo un po' di automobili dalla strada, eliminando le condizioni di congestione e attirando nuovo traffico. Le esperienze europee più avanzate ci insegnano quindi che è necessario operare sia sul versante del miglioramento delle condizioni del trasporto collettivo sia su quello della penalizzazione dei flussi veicolari, lasciando più spazio ai pedoni e alle biciclette. A proposito di innovazione, traiamo ancora pochi vantaggi dalle applicazioni delle tecnologie nei nostri spostamenti nel territorio e nella città. Eppure, ottenere informazioni in tempo reale, pagare una corsa senza problemi di contanti, cambiare con facilità sistema di trasporto entro lo stesso spostamento costituiscono ormai degli standard in molte città europee (oltre che nelle stazioni sciistiche). Infine, l'impegno alla qualità progettuale e l'integrazione tra politiche urbanistiche e interventi sul sistema dei trasporti e la mobilità costituiscono aspetti cruciali per conseguire risultati effettivi. La qualità dei luoghi urbani e del paesaggio e l'efficienza dei sistemi territoriali sono strettamente legate al corretto dimensionamento delle infrastrutture e al loro uso appropriato. Non dobbiamo dimenticare che le infrastrutture possono essere, a seconda del progetto di insieme e delle relazioni locali generate, fattori di degrado o di creazione di valore per la città, di efficienza del territorio, di arricchimento del paesaggio. Bruno Zanon 7


I N T E R V I S T A

MOBILITÀ, SOSTENIBILITÀ, SPAZIO URBANO Un'intervista a Willi Hüsler

a cura di Alessandro Franceschini

Willi Hüsler è nato nel 1945. Si è laureato in Ingegneria al Politecnico Federale di Zurigo. Svolge da anni un'intensa attività di consulenza e di ricerca in tutta l'Europa nel campo del traffico con particolare attenzione al rapporto tra traffico e città.

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“Da tempo cerco di evitare di usare la parola sostenibilità, che reputo troppo grande, troppo ambiziosa e, forse, troppo ambigua. Nella mia esperienza reale ho capito che le cose vanno diversamente. A volte “non peggiorare” una situazione è già un bel successo. Altre volte è possibile inserire una piccola miglioria in un sistema complesso”

Professore, tra le varie accezioni della parola “sostenibilità”, un intendimento particolare è riservato alla sua declinazione in ambito urbano, soprattutto per quanto riguarda il tema della mobilità. Lei da anni lavora su queste questioni: che idea si è fatto della messa in pratica di un concetto tanto astratto? In realtà, da tempo cerco di evitare di usare la parola sostenibilità, che reputo troppo grande, troppo ambiziosa e, forse, troppo ambigua. Evoca l'idea di un modello perfetto, efficientista, capace di limitare o annullare il consumo di risorse non rinnovabili anche in termini di trasformazione dell'energia. Nella mia esperienza reale ho capito che le cose vanno diversamente. A volte “non peggiorare” una situazione è già un bel successo. Altre volte è possibile inserire una piccola miglioria in un sistema complesso. E questo può essere considerato già un grande passo in avanti. In questo senso esistono delle esperienze interessanti in Germania, in Svizzera, in Italia. Eppure la mobilità sembra essere uno dei grandi temi sui quali si concentra l'attenzione di chi lavora alla creazione di un modello urbano efficiente e sostenibile. Se la prospettiva è quella della sostenibilità energetica, la mobilità non può dare grandi contributi. Si stima che circa 1/3 delle trasformazioni energetiche è dovuto alla mobilità delle persone e delle merci. Le statistiche degli ultimi anni hanno dimostrato che si tratta di un dato difficilmente migliorabile. Paradossalmente è più facile essere incisivi sui restanti 2/3 dei fattori di consumo, dovuti 9

agli utilizzi energetici per riscaldamento domestico e ai consumi industriali. In questi settori, con semplici accorgimenti, si può realmente ridurre la percentuale di consumo energetico. Gli spostamenti di persone e di merci, invece, stanno aumentando negli ultimi anni. Si vedono solcare gli oceani ed i mari navi cariche con qualcosa come 19 mila container pieni di merci: una cifra difficilmente immaginabile eppure reale. Questo ci dice che nel campo dei trasporti è ancora molto difficile arrivare ad una riduzione dei consumi. Fino a pochi anni fa, invece, autorevoli pensatori sostenevano che la rivoluzione tecnologica e la diffusione della rete di internet avrebbe reso meno necessario lo spostamento delle persone… L'idea di spostare le informazioni anziché spostare le persona è una bella idea. Ma ad oggi non esiste la prova che si vada realmente in questa direzione. Paradossalmente l'avvento di internet ha causato una forte diffusione delle informazioni che, ad esempio, ha portato ad un abbassamento dei prezzi dei voli aerei, ed oggi le persone si muovono con più facilità. Ecco perché finché l'energia avrà costi accessibili come quelli attuali, immaginare una riduzione del traffico aereo è una ipotesi irrealizzabile. Proviamo ad allargare questo ragionamento, dando alla parola sostenibilità una declinazione legata alla qualità della vita dei fruitori dello spazio urbano. Il discorso si fa diverso se diamo alla parola sostenibilità un'accezione diversa, in particolare


“Nelle città lo spazio pubblico è raro, limitato, pregiato. In queste situazioni di scarsità di spazio ecco che ragionamenti contro l'uso del mezzo privato possono fare breccia nelle amministrazioni e produrre progettualità interessanti. Le automobili, infatti, sono delle autentiche “divoratrici” di spazio pubblico”

relativa all'uso del mezzo di trasporto. In questi anni sono state sviluppate molte progettualità dentro le città europee in particolare in quelle densamente abitate e caratterizzate dalla presenza di una popolazione numericamente significativa. La particolarità di queste zone è la scarsità dello spazio pubblico, che rappresenta la vera leva che può far scattare interessanti politiche di mobilità alternative all'auto. Può approfondire meglio questo concetto? Nelle città, a differenza delle campagne, lo spazio pubblico è raro, limitato e generalmente pregiato. In queste situazioni di scarsità di spazio ecco che ragionamenti contro l'uso del mezzo privato possono fare breccia nelle amministrazioni e produrre progettualità interessanti. Le automobili, infatti, sono delle autentiche “divoratrici” di spazio pubblico. Ogni auto ha bisogno di 50 metri quadrati di spazio stradale per poter circolare e muoversi in un contesto urbano. Se ci muoviamo a piedi o in bicicletta abbiamo bisogno, invece, di 2 o 8 metri quadrati, che diventano 10 se utilizziamo un autobus pubblico (tutto questo senza prendere in considerazione la sosta dei mezzi). Si tratta di dati estremamente interessanti per chi è interessato alla trasformazione e al miglioramento delle qualità dello spazio pubblico delle città: davanti a queste informazioni gli amministratori si sentono stimolati e anche i commercianti iniziano a riflettere. Se tutte le persone si muovono in automobile risulta chiaro, per una questione matematica, che si riducono i numeri di chi può realmente accedere alla città. Ecco che, in questa situazione, si iniziano a trovare delle modalità di trasporto diverse da quella dell'uso esclusivo dell'auto privata. In questa prospettiva, la qualità della vita può diventare un concetto cruciale… 10

La qualità della vita di una città si misura, tra le altre cose, attraverso la qualità dei suoi spazi pubblici. Ed è impensabile immaginare degli spazi pubblici accoglienti quando questi sono riempiti da automobili in sosta o in circolazione. Paradossalmente non è necessario nemmeno un grande investimento in termini di arredo urbano o di architettura: spesso è sufficiente liberare uno spazio dalle automobili per vederlo ben presto riempirsi di cittadini interessati a poter “dominare” quel preciso spazio. Senza nemmeno il bisogno di prendersi un caffè o di accedere a chissà quale servizio pubblico. La nuova “Sechseläutenplatz”, poco distante dal mio ufficio a Zurigo, ne costituisce un esempio emblematico. Basta un po' di sole e questi spazi si riempiono di cittadini entusiasti. Ecco che per fare questo è spesso necessario affinare dei mezzi di trasporto pubblico urbani capaci di essere concorrenziali all'automobile. E questo tema, a differenza di quello legato al consumo energetico, riesce invece a “scaldare gli animi”? Per esperienza diretta: quando parlo di mobilità sostenibile come elemento in grado di abbassare l'inquinamento dell'aria ricevo molti applausi ma non ne deriva nessuna progettualità. Se invece parlo di mobilità sostenibile come elemento in grado di ridurre l'occupazione di spazio urbano pubblico, ecco che l'attenzione degli amministratori diventa più alta e ne consegue, spesso, una voglia di mettere in campo delle progettualità efficaci. Non crede che la crisi economica che il mondo sta attraversando, e la conseguente riduzione delle risorse per interventi pubblici, non faccia altro che favorire una maggiore diffusione del mezzo privato come alternativa alle sempre più latenti politiche di mobilità pubblica?


I N T E R V I S T A

“La qualità della vita di una città si misura, tra le altre cose, attraverso la qualità dei suoi spazi pubblici. Paradossalmente non è necessario nemmeno un grande investimento in termini di arredo urbano o di architettura: spesso è sufficiente liberare uno spazio dalle automobili per vederlo ben presto riempirsi di cittadini interessati a poter “dominare” quel preciso spazio” In realtà i dati ci dicono il contrario. Ad esempio, se osserviamo i flussi autostradali, che sono monitorati con molta precisione, possiamo scoprire che negli ultimi anni si sono ridotti sensibilmente gli spostamenti in automobile. Certo è plausibile che alcuni di questi viaggiatori abbiano utilizzato la strada statale al posto dell'autostrada, ma questo non è sufficiente a spiegare la dimensione di questa flessione, che deriva dal minore uso dell'automobile privata: oggi la famiglia media ci pensa più volte prima di mettersi in viaggio con il proprio mezzo. Ma questo fenomeno è leggibile anche nell'analisi di altri dati, in particolare quelli relativi alla fascia giovanile della popolazione. Può spiegare meglio questa affermazione? Molti giovani vivono dentro il tessuto urbano delle città, per motivi diversi, spesso legati al percorso di studio. Ebbene, guardando i dati statistici ci si accorge che, a differenza del passato, i giovani di oggi hanno meno brama nel possesso e nell'utilizzo dell'automobile. Mentre un tempo la patente di guida veniva fatta subito allo scoccare del diciottesimo anno, oggi non è più così. Si consegue la patente a 23, fino a 25 anni. Anche negli Stati Uniti e in Australia. Questo ci fa capire che l'automobile non è più considerata uno “status” sociale. Non è più una condizione necessaria, ad esempio, per far colpo sulle ragazze. E questo è un fenomeno culturale di grande importanza. Oggi i giovani preferiscono fare un'esperienza di studio o di lavoro a New York City o a Hong Kong piuttosto che investire lo stesso denaro nell'acquisto di un'autovettura. Un tempo si gareggiava con l'automobile. Oggi sono più importanti altre competenze ed altre abilità, in primis quelle informatiche. Sentieri Urbani è una rivista che lavora con particolare attenzione su quello che accade nel 11

Trentino-Alto Adige. A che punto sono, in questo contesto, le politiche di mobilità alternativa al mezzo privato? Conosco bene la realtà del Trentino-Alto Adige, perché da anni lavoro nella vostra regione, a Trento, a Bolzano ed in Val Venosta. Il trenino della Val Venosta, per l'appunto, è uno splendido esempio di mobilità alternativa: muove circa 7 mila passeggeri al giorno, quasi il triplo rispetto a quelli che transitano per il Brennero via ferro. Un'ulteriore prova che oramai tutti facciamo moltissimi spostamenti “brevi” e pochissimi spostamenti “lunghi”. Nella vostra regione mi piace molto lavorare sulla città di Bolzano, una autentica cittàlaboratorio perché raramente si trovano centri abitati di centomila abitanti articolati in una forma così compatta, dove è chiarissima la separazione tra tessuto urbano e spazio aperto. Questa particolare conformazione, facilitata da una felice pianificazione, ha portato la popolazione a muoversi moltissimo in bicicletta, anche in una dimensione di interscambio con altri mezzi di trasporto (l'auto, il treno…), portando sulla città moltissimi effetti positivi. A Trento, invece, abbiamo lavorato sul rafforzamento di una “rete forte” di bus urbano, invertendo il trend negativo nell'utilizzo del mezzo pubblico da parte della popolazione residente. Mobilità sostenibile significa anche mezzi di trasporto a fune. Che idea si è fatto in proposito? In generale nei territori di montagna è utile ragionare anche su sistemi a fune. Ma questi sono caratterizzati dalla particolarità che collegano due punti, massimo tre. Vanno quindi molto bene in montagna, nelle zone turistiche. Sono più difficili da implementare nelle zone urbane che necessitano, per definizione, di molti punti di osmosi tra tessuto urbano e mezzo di trasporto.


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Fotografia di L. Chistè


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LE TEORIE E LE ESPERIENZE

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LE TEORIE E LE ESPERIENZE

Verso nuove mobilità sostenibili di Maurizio Tira*

Introduzione Esistono diversi modi per trattare un tema complesso e articolato come quello della mobilità. Così come vi sono approcci disciplinari diversificati e complementari. Unica è solo la prospettiva: la sostenibilità dello sviluppo, ovvero la ricerca di un modello che utilizzi razionalmente le risorse e consenta di essere replicato nel futuro. Quello tra assetto dello spazio fisico e mobilità, tra stock e relazioni, tra aree e linee, tra staticità e dinamicità, è un conflitto che è nei fatti, radicato nella storia, cui si è aggiunta da più di un secolo una assoluta novità: il veicolo privato a motore. Si tratta, per dirla con Dupuy (1999), di una cellula privata che si muove e utilizza uno spazio pubblico, determinando il noto conflitto che ogni giorno crea problemi alle nostre città e al territorio. Evocato dalle norme e dalle politiche pubbliche, e mai risolto una volta per tutte, è divenuto una priorità assoluta nell'agenda politica, per far fronte alle esigenze della sostenibilità dello sviluppo e per rispettare i diversi target che la comunità internazionale si pone, dalla qualità dell'aria, alla riduzione del numero di vittime di incidenti stradali. *Maurizio Tira - Ingegnere ambientale, è professore Ordinario di Tecnica e Pianificazione Urbanistica presso l’Università degli Studi di Brescia

Per affrontare il problema è in ogni caso fondamentalmente distinguere lo spazio di analisi, ovvero:

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- le connessioni extraurbane che contribuiscono a disegnare le geometrie dello spazio - e l'ambito urbano, ove la città di pietra e quella delle relazioni si intersecano e si condizionano in un processo continuo. I percorsi delle carovane, le strade dei pellegrini, le vie dei mercanti e le moderne autostrade hanno contribuito in maniera spesso determinante a conformare il territorio, a condizionare nascita o declino di intere città, grazie a modalità e velocità di spostamento che si coniugano in un rapporto di causa-effetto. Conosciamo esempi di città che si sono sviluppate grazie alle nuove connessioni e ai loro nodi: si pensi alla città di Lille e al ruolo di snodo europeo ferroviario dopo l'apertura dell'Eurotunnel sotto il canale della Manica (Menerault, 2008). Ma sappiamo anche di città che hanno subito un congelamento o una contrazione per il mutare della gerarchia delle comunicazioni. Siena ne è un esempio pregevole: una città congelata alla sua immagine medievale per il dirottamento della via per Roma sulla direttrice di Firenze (Bortolotti, 1988). I molti piccoli e medi centri della pianura padana la cui popolazione ha subito un declino (invertito solo dopo la diffusione dell'auto) dopo le soppressioni delle numerosissime linee tramviarie avvenuta


nel secondo dopoguerra, ne sono un esempio meno eclatante, ma altrettanto eloquente (Tira, 1997). In questo spazio vasto si gioca la partita della competizione tra i territori e quindi si impone la programmazione strategica e la pianificazione nazionale e locale degli investimenti, che si auspica sia sempre più rivolta anche alle grandi infrastrutture di mobilità alternativa, ovvero all'attuazione delle reti ciclabili europee, con la stessa convinzione della necessità di completare la maglia della rete TEN-T.

La mobilità in città Tuttavia, quando varchiamo la soglia del centro abitato, moderna e a volte ambigua definizione dello spazio della città consolidata, al cui cuore troveremo la città storica, percepiamo la mobilità in un modo un po' diverso. Le relazioni, prima descritte come opportunità, si presentano spesso sotto forma di conflitto: - tra più utenti di mezzi privati, per esempio nella congestione del traffico, che fa perdere il tempo del lavoro o dello svago: esempio emblematico in cui produttore e consumatore sono la stessa persona, - tra utenti di mezzi di trasporto diversi, taluni deboli (i pedoni e i ciclisti soprattutto) e altri forti, - tra mezzi privati e mezzi pubblici, - ma anche tra mezzi di trasporto e spazio fisico¹ . Ciò che spessissimo si percepisce nello spazio urbano è una incoerenza, una disarmonia, talvolta un'invadenza del traffico, proprio ove la domanda di qualità della vita e le esigenze dell'accessibilità si manifestano in maniera preponderante. Ci si chiede quale sia la necessità di tanti spostamenti, se non riusciamo a governarne l'evoluzione. Le città sono tutte diverse, ma attraversando le vaste periferie si percorre uno spazio che l'auto ha sovente disegnato in modo ripetitivo: strade dritte e larghe, a volte inutili, spesso anonime; isolati regolari, affinché le forme non interferiscano con la “scorrevolezza” e “fluidità” del traffico. Nell'arrivare alle porte del centro storico percepiamo invece un vero fastidio, quello dell'intrusione: dell'auto, in movimento o in sosta, che non si sposa con la trama delle vie,

ma nemmeno con i colori della pietra e con uno spazio pubblico giustamente reclamato dall'utente “storico”, il pedone. Qui la cellula privata viola la sacralità dei luoghi della memoria con un'immagine di modernità tanto ostentata, quanto spesso inutile, come può capitare di vivere vedendo attraversare la piazza principale di Assisi con l'autovettura! Sappiamo tuttavia dall'esperienza che questi sentimenti quasi mai generano un'azione conseguente; anzi sono diffusi anche in coloro che contribuiscono a generarli. Mai come nel caso della mobilità l'utente della strada riveste contemporaneamente ruoli diversi e confliggenti: da autista a pedone, da passeggero a conducente, insomma da vittima a carnefice. Secondo Cerdà (1867) – che per primo utilizzò il termine “urbanistica” – la città deve garantire due funzioni: il comfort ed i rapporti umani. Tali funzioni daranno luogo alla dicotomia fondamentale movimento/soggiorno che inscrive una ripartizione nello spazio, una specializzazione che è caratteristica di ogni città: spazio privato dedicato al comfort e alla realizzazione delle singole aspirazioni dell'individuo; spazio pubblico che privilegia le relazioni sociali di qualsiasi tipo, tra le quali lo spostamento di persone e di beni. Poiché tanta parte dell'immagine e del destino urbano si risolve nello spazio pubblico, spazio delle relazioni, la questione della mobilità sostenibile dovrebbe risolvere la divaricazione tra urbanistica e mobilità, che invece nel passato si è andata accentuando e ha segnato profondamente il modo di essere di urbanistica e trasporti, due ambiti disciplinari separati e indipendenti (Tira, 2001)² . Il trasporto del resto pare orientato a pochi interventi rilevanti, da parte di soggetti unitari o comunque spesso pubblici; mentre la città si costruisce con molte e spesso micro soluzioni private, frammentate sul territorio, di valore unitario relativamente basso, condotte da soggetti molto diversi e quindi non in grado di generare contributi significativi al farsi dello spazio pubblico (Fubini, 2008). La pianificazione dovrebbe chiedersi quali siano gli effetti degli interventi spaziali (dalle grandi trasformazioni urbanistiche di porzioni di città, fino alle singole operazioni immobiliari, dalla realizzazione di un grande centro commerciale alla chiusura di negozi di vicinato, dall'apertura di un servizio pubblico allo spo-

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stamento di una piccola scuola locale) sul sistema della mobilità (infrastrutture, reti, trasporto pubblico, sosta, nodi d'interconnessione) (Fubini, 2008). Con la consapevolezza di inserirsi in un dibattito intenso, in una letteratura sterminata, in una ormai lunga lista di best practices, che non pareggia minimamente le infinite worst practices; ricordando quanta attenzione viene posta al tema a livello internazionale e dell'Unione Europea; rievocando le prospettive disegnate dalle nuove tecnologie della comunicazione, che hanno contribuito a coniare l'ultimo dei numerosi slogan che tanto contano nella società della comunicazione, la smart city, quali piste di ricerca si possono indicare? Abbandonando per i limiti dello scritto e lo scopo del dossier il primo filone, ovvero la mobilità extraurbana³ , una volta sommariamente enucleato il problema della mobilità in ambito urbano, con l'attenzione tutta particolare dovuta ai centri storici, quali possono essere le soluzioni, gli approcci e le realizzazioni, le politiche e le azioni?

Tre requisiti progettuali: prossimità, accessibilità, sicurezza La possibilità di scelta del modo di spostamento dipende da diversi fattori, ma quello della prossimità è certamente determinante. Le distanze dilatate dalla consuetudine all'uso dell'auto privata impediscono di fatto la scelta per il movimento pedonale per molte persone, in molte situazioni ed in numerosi contesti. In un circolo vizioso, l'aumento delle distanze ha cancellato le infrastrutture per il movimento pedonale, contraendo quindi la domanda e – in un circolo vizioso – riducendo ulteriormente l'offerta (OECD, 2012). Il disegno dei nuovi quartieri urbani non ha dimenticato la prossimità, ma le previsioni pianificatorie (per esempio degli esercizi di vicinato) si scontrano con le logiche economiche che accentrano servizi pubblici e luoghi del commercio in poche sedi. Per il commercio poi, la destinazione periurbana o extraurbana è ormai pervasiva, tale da vanificare non solo i progetti di riduzione dell'uso dell'auto privata, ma anche le possibili regolazioni del traffico automobilistico nei centri urbani. I pochi negozianti rimasti nei centri città cercano infatti di


fornire ai loro potenziali clienti servizi analoghi a quelli della grande distribuzione (in particolare accessibilità libera e parcheggio gratuito). Il recupero della prossimità costituisce in ogni caso una priorità della pianificazione urbanistica e la letteratura e l'esperienza internazionale ci danno l'opportunità di verificare già qualche esito. Le linee guida per la pianificazione Tran-

sit Oriented (si veda il documento della città di Ottawa, Transit Oriented Development-TOD), costituiscono un approccio molto stimolante in quanto si sforzano di trovare occasioni per rifocalizzare i nodi urbani che possono fungere da catalizzatori multifunzionali. Ove nella pratica della città giardino il centro di vita del quartiere era ipotizzato al centro di cerchi funzionali

Fig.1 - I sobborghi di Radburn (New Jersey) nel progetto di Stein e Wright

Non disgiunta dalla prossimità in quanto la distanza fisica è uno degli elementi che la condizionano, l'accessibilità è una caratteristica in sé, legata alla attrezzatura del canale di connessione tra origine e destinazione. Se per accessibilità ad un edificio si deve intendere “la possibilità (…) di raggiungere l'edificio o le singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza ed autonomia” (D.P.R. 503/96), con analoga accezione l'accessibilità dello spazio aperto, spazio percorso, quindi luogo della mobilità, inserisce sostanzialmente l'allocazione delle funzioni, degli spazi pubblici e dei luoghi dell'abitazione in funzione del reciproco raggiungimento, differenziato per tipo di mezzo di movimento (Tira 2007). Se alla scala urbana ciò comporta un progetto di trasporto multimodale, per singole parti di città l'ambiente va pensato per il movimento pedonale. La progettazione

di raggio dato (figura 1), nel TOD il luogo catalizzatore è la fermata del trasporto pubblico locale. In sostanza si organizza lo spazio urbano per sub-aree (o unità elementari) che gravitino sulle fermate del TPL (figura 2). È evidente la potenzialità di creazione di aree di interscambio in corrispondenza di tali fuochi urbani.

Fig. 2 - Schema di Transit Oriented Development (Ottawa City Council)

accessibile si basa per altro sull'ipotesi che l'utente normale è tale, in realtà, solo relativamente a situazioni ambientali normali e note (ed è per contro a sua volta debole in condizioni anomale). In questo senso, ciò che normalmente viene intesa come differenziazione di protezione a favore degli utenti deboli, quali l'eliminazione delle barriere fisiche e percettive, è in realtà una importante occasione di incremento di sicurezza globale del sistema insediativo e quindi prestazione di validità generale. Per questo oggi si parla in termini positivi di Design for all. Accessibilità e sicurezza sono spesso due facce della stessa medaglia. Si tenga anche conto che le azioni per la messa in sicurezza dell'utente debole sono tutte di tipo attivo, diversamente da quanto avviene per il veicolo e perciò vanno ad incidere sulla conformazione dei luoghi e non sulla configurazione dell'utente.

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Ne discende il corollario per cui l'accessibilità con mezzi deboli (o lenti) e la sicurezza sono due requisiti direttamente proporzionali nel sistema urbano: al crescere dell'una aumenta l'altra. Un percorso pedonale accessibile anche ai disabili, quindi realizzato con sezione più ampia, pendenza minore, segnalazione adeguata, indicazione acustica e visiva delle intersezioni, inserimento funzionale nel sistema dei percorsi pedonali, separazione dai percorsi veicolari, risponde senz'altro a molte caratteristiche di sicurezza, in quanto, fra l'altro, consente il più agevole passaggio di un maggior numero di persone. Tuttavia nel trattare la sicurezza, i modelli di rischio e quindi le soluzioni per garantire mobilità in sicurezza per tutti, evidenziano due possibili strategie d'intervento. La prima consiste nell'eliminare i conflitti e i pericoli, per esempio impedendo gli incontri (segregando) tra le diverse categorie di utenti. La seconda consi-


ste nel puntare il più possibile sull'integrazione, evidenziando i rischi del muoversi, in modo da far sì che gli utenti regolino autonomamente i conflitti, consci delle possibili conseguenze. La segregazione consiste nel creare delle reti differenziate per modo di spostamento, caratterizzate nell'infrastrutturazione, senza connessione tra loro. Esse dovrebbero tendere a generare dei flussi omogenei ed uno spostamento più sicuro. Nel campo del movimento pedonale, il prototipo è sicuramente la zona pedonale per un verso (figura 3) e il sovrappasso (o sottopasso) stradale per l'altro (Figura 4). Nondimeno, il concetto di segregazione pre-

senta innanzitutto difficoltà applicative e, di conseguenza, effetti perversi quando non rigorosamente applicato, oltre che discutibili esiti dal punto di vista dell'arredo urbano. Nei tessuti urbani antichi (o semplicemente consolidati), a causa della presenza di forti vincoli fisici (come le costruzioni), è spesso difficile realizzare spazi adeguati alle esigenze di tutte le categorie di utenti: la sezione stradale esistente non consente la creazione di un percorso pedonale a norma; i dislivelli preesistenti non sono modificabili; i materiali di pavimentazione sono sostituibili solo con spese ingenti, o in caso di interventi manutentivi radicali, nor-

malmente generati da esigenze altre dalla creazione di accessibilità ai disabili. Paradossalmente, più facilmente si addiviene talora alla realizzazione di zone pedonali, o perlomeno a traffico limitato. Nelle realtà urbane più piccole sono praticamente assenti, mentre si possono trovare frequentemente nei contesti storici di pregio. In ogni caso sono percentualmente risibili rispetto alle esigenze del movimento. Un secondo ordine di problemi riguardo la segregazione dei modi è l'intersezione tra le reti. Il sottopasso (o sovrappasso), creato normalmente in anni in cui i flussi veicolari erano sen-

Fig.3 - Zona pedonale a San Sebastian

Fig.4 - Sovrappasso pedonale a Brescia: a fronte del sovrappasso, non viene sufficientemente curata la possibilità di attraversare a raso in sicurezza

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sibilmente minori e spesso in assenza (o senza l'applicazione) della normativa per l'eliminazione delle barriere architettoniche, è struttura solo teoricamente sicura. Di fatto, anche dove accessibile, prevede normalmente vuoi l'allungamento del percorso, vuoi il superare comunque un dislivello (seppur con pendenze a norma). L'effetto spesso riscontrato è il disuso di tali infrastrutture. Il principio di gerarchizzazione (o classificazione funzionale) delle strade, viene spesso presentato come il

complemento della segregazione dei modi di spostamento: ogni spazio di movimento va dimensionato per l'utenza che deve accogliere e la quantità che deve sopportare. È fin troppo facile notare come tale concetto si applichi solo rarissimamente alle infrastrutture per la mobilità pedonale, ed in ogni caso può sortire effetti soddisfacenti, ancora una volta, solo nel progetto dei nuovi spazi per la mobilità (e molto meno sulle reti esistenti).

Fig. 5 - Woonerf in Olanda

Fig. 6 - Liveable street

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Per i motivi sopra sinteticamente richiamati, verso la metà degli anni '70 del secolo scorso, si iniziarono a sperimentare importanti soluzioni a superamento della segregazione, radicate in un più vasto movimento di revisione delle politiche urbane troppo centrate su di una ripartizione rigidamente funzionale dello spazio urbano. Una prima interessante sperimentazione di integrazione fu in Olanda il “Woonerf”, o “strada urbana” (figura 5). Anche a causa del fatto che molte strade locali erano state realizzate


con tecniche “leggere”, avendo quindi bisogno di frequenti manutenzioni, la sperimentazione di nuove forme di spazi pubblici per la mobilità integrata fu facilmente possibile, semplicemente progettando con gli abitanti ciò che più avrebbero gradito davanti alle loro case: un marciapiede, una piazza per il parcheggio delle loro auto, una fioriera, una panchina, ecc.. Questa nuova concezione della strada entrò ufficialmente in vigore nei Paesi Bassi nel 1977: fu creata una nuova segnaletica, con dispositivi regolamentari che danno la priorità ai pedoni rispetto ai veicoli motorizzati, pur non vietando la circolazione di questi ultimi. Si assiste così all'originalità delle idee messe in opera per il trattamento dello spazio pubblico. L'integrazione dei modi e delle funzioni permette di far coabitare l'insieme degli utenti di uno stesso spazio urbano conseguendo due obiettivi: una buona sicurezza e una migliore qualità di vita. È del resto evidente come anche in questo caso la soluzione sia tutt'altro che generalizzabile. Le aree cui si può applicare il sistema sono quelle residenziali, dove il traffico automobilistico è solo quello locale. In ogni caso, si tratta sempre di porzioni di città solitamente più estese dei centri storici e quindi delle aree pedonali in senso stretto. L'idea del woonerf ha avuto sviluppi nel mondo anglosassone con le cosiddette liveable street (figura 6). Oggi la concezione tecnica delle strade urbane si è evoluta verso delle soluzioni che integrino le diverse funzioni, modi di spostamento e usi, in particolare attraverso la riduzione delle velocità tramite dispositivi fisici. Tale evoluzione si appoggia sulle sperimentazioni di traffic calming condotte in diversi paesi, in particolare del nord Europa, nel corso degli anni '80. Esperienze sufficientemente numerose per poterne trarre conclusioni affidabili (Fleury, 1998). Tali principi di gestione sono stati dunque estesi a molti paesi europei. Per altro, se tali dispositivi erano stati concepiti inizialmente soprattutto per la sicurezza, il loro uso attuale assomma più funzioni, tra cui per quanto qui di interesse, l'accessibilità. Tre possibili approcci per la gestione della mobilità e la qualità dello spazio pubblico Liberare lo spazio urbano dall'auto presume una decisione non facile, politicamente sfidante,

quindi si impongono modi diversificati per raggiungere l'obiettivo (Tira, 2003). Si proverà ad enucleare tre strategie: - l'approccio strategico - l'approccio target oriented - l'approccio progettuale. La strategia per la sostenibilità urbana può essere perseguita partendo da diversi punti di vista: - la qualità ambientale, in particolare dell'aria - la sicurezza stradale (safety) e la security - la salute pubblica - la qualità dello spazio pubblico - l'inclusione sociale e il design for all - la gestione del traffico e la riduzione della congestione. Malgrado nelle pratiche di pianificazione territoriale, nella definizione delle politiche, nella gestione quotidiana degli enti locali e talvolta negli stessi studi teorici, si registri ancora un grande divario fra urbanistica e mobilità , la maggior parte di questi approcci presumono un'azione integrata.

Definire una strategia non è facile, soprattutto nelle realtà urbane più piccole (che sono la stragrande maggioranza delle realtà italiane ed europee). V'è bisogno di analisi, esperienza e capacità di visione. Tuttavia nelle realtà urbane più grandi questo dovrebbe essere l'approccio corretto. Un visione che coglie il contributo di tutte le diverse politiche messe in atto a livello urbano per arrivare ad un risultato. Rientrano in questa categoria i programma comunali per la promozione della salute, le campagne sulle città dei bambini, sulla promozione della sicurezza, sulla riduzione della velocità a 30km/h in tutte le aree urbane, ecc...

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L'approccio target oriented si basa sulla definizione e il perseguimento di obiettivi, esogeni o locali, tesi a perseguire il raggiungimento di un obiettivo quantitativo. Ne sono un esempio gli obiettivi di riduzione dell'incidentalità (dimezzamento entro il 2020), o gli obiettivi di Kyoto, o ancora degli obiettivi locali imposti da programmi comunali. La mobilità sostenibile è uno dei veicoli per perseguire tali traguardi. Ogni comunità dovrebbe contribuire nell'ottica più generale. Tali approcci, anche se non sortiscono necessariamente il risultato sperato, orientano l'azione verso una direzione comune, consentendo di orientare risorse e azioni in un'unica direzione. L'approccio progettuale è tuttavia quello più diffuso, sia perché alla portata di tutte le realtà, dalle piccole alle grandi, che perché di più immediato effetto. Se può risultare difficile disegnare una strategia generale per la gestione dell'accesso veicolare nei centri storici, o per regolamentare la sosta nelle zone più sensibili della città, tutti possono apprezzare la realizzazione di misure per i pedoni, di piste ciclabili, di riqualificazione di spazi pubblici, di piazze liberate dall'invasione della sosta, di soluzioni di moderazione della velocità di fronte alle scuole, ecc.. Per essere efficacie, anche l'approccio progettuale (spesso puntuale) deve partire da dei dati, dalla rappresentazione e dall'analisi, da una visione minimamente comprensiva degli effetti indotti. Soprattutto le misure devono essere adattate


al tipo di ambiente urbano, che significa anche alla classificazione funzionale delle strade esistenti. Come ricordato all'inizio, la situazione delle periferie porta a delle misure che si possono sostanzialmente basare sulla riduzione dello spazio creato nel tempo per il traffico veicolare. Strade troppo larghe per una presunta fluidificazione sono delle ottime opportunità per recuperare spazio per le attrezzature per il movimento pedonale e ciclabile. Una rete, pianificata e progettata con gli stessi riferimenti progettuali che si utilizzano per il disegno stradale deve essere prevista ove

possibile. La letteratura internazionale evidenzia come la scelta dipenda in gran parte dalla funzione e dai modi d'uso della strada da parte del traffico motorizzato, nonché dalla rete stradale nel suo complesso. Occorre, inoltre, valutare l'importanza dell'itinerario ciclabile in relazione: - al disegno complessivo e alla coerenza della rete ciclabile; - allo spazio disponibile nella carreggiata e in adiacenza a essa; - alla peculiarità del territorio attraversato; - alla presenza del trasporto pubblico.

sono possibili o risultano inefficaci si deve scegliere il tipo di infrastruttura ciclabile da realizzare. Uno dei primi schemi elaborati per la definizione dei domini di validità per l'uso di determinati tipi di attrezzatura per la mobilità ciclistica (percorsi promiscui o piste ciclabili su corsia riservata) in funzione di velocità e volume del traffico a motore è il Bicycle Compatibility Index (figura 7). Il grafico, che riassume i risultati delle elaborazioni sperimentali, riporta in ascissa la velocità reale a cui viaggia almeno l'85% dei veicoli. In ordinate il numero di autoveicoli al Se gli interventi sul traffico motorizzato non giorno, in migliaia ⁵.

autoveicoli al giorno in migliaia

Fig. 7 - Tipi di separazione tra ciclisti e veicoli motorizzati secondo diverse combinazioni di velocità e volume di traffico (Tom Godefrooij-SWOV, riproposto da CROW, 1994)

12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

B

2

6

4 1

3 C 5

0

10

20

30

40

50

A 60

70

80

90

V (velocità percentile (km/h))

5 Area 1: se V85 del traffico motorizzato è più bassa di 30 km/h un percorso promiscuo è generalmente raccomandabile. Corsie o piste ciclabili possono essere realizzate con l'intento di migliorare la sicurezza percepita o la continuità della rete. Nelle “zone 30”, per loro stessa definizione, non si dovrebbero costruire infrastrutture dedicate; Area 2: combinazioni di basse velocità e alti volumi di traffico sono rare. Non è possibile dare indicazioni e ogni caso ha la sua specificità; Area 3: in linea di massima un percorso promiscuo è accettabile. È utile considerare la velocità di progetto, che solitamente non coincide con V85. Se risulta elevata (per esempio Vp = 60 Km/h), qualche intervento segregativo è consigliabile; Area 4: in questo caso una pista o una corsia ciclabile è certamente desiderabile; Area 5: il volume del traffico è molto basso, ma la velocità elevata (60 – 80 km/h). Si può ancora scegliere un percorso promiscuo. In caso contrario proprio per l'alta velocità è meglio evitare la sola separazione visuale, perché dà troppa sicurezza sia ai ciclisti sia agli automobilisti. Le piste ciclabili su corsia riservata non sono quindi, raccomandate; Area 6: la separazione fisica si deve sempre realizzare.

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Fig.8 -Zona di transizione extraurbano/urbano; zona di centro abitato; zona di centro storico

Il grafico mostra con tutta evidenza la necessità di pianificare anche i singoli interventi progettuali, in quanto l'ambito di transizione extraurbano/urbano, ad esempio, è il luogo più rischioso per l'utenza debole, diversamente da quanto avviene, per esempio, nel cuore dei centri storici, ove le infrastrutture ciclabili devono essere evitate, selezionando le aree promiscue rispetto a quelle interamente riservate ai pedoni (figura 8). Ecco quindi che le tendenze più interessanti, tra le tante nel campo della gestione dello spazio per la mobilità, sono quelle degli shared spaces e delle liveable streets. Esse si innestano nella convinzione che l'integrazione dei modi di trasporto sia la soluzione innovativa da perseguire nelle aree centrali, protette dal traffico di transito e di attraversamento. Si tratta di soluzioni che vanno pianificate e correttamente identificate, ma che consentono interventi di grande valore sullo spazio urbano (figura 9).

Fig.9 - Liveable streets and home zones

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Innumerevoli sono le sperimentazioni che si Fig.10 - Nancy, Piazza Stanislao, prima e dopo la pedonalizzazione (Fonte: Le Monde, 1 marzo 2008) possono realizzare, nella convinzione che le tecniche e i processi sono noti, ma meno evidenti sono i blocchi alla realizzazione di quanto si è dimostrato efficace. Forse non bisogna trascurare l'importanza del paesaggio urbano e della bellezza che si può ridonare alle magnifiche città europee, quale quella di una piazza restituita ai pedoni (figura 10).

Note 1. Quest'ultimo è forse il campo di sperimentazione più interessante per chi si occupa di urbanistica con una attenzione privilegiata alla mobilità. 2. La perdurante separazione delle deleghe a livello amministrativo descrive questa permanente separazione. 3. … dove fra l'altro l'uso del veicolo motorizzato privato ha un significato diverso, una funzione più razionale sulle distanze lunghe ed una utilità innegabile nell'accessibilità ad aree marginali. L'automobile ha ampliato considerevolmente il raggio d'azione dell'individuo, consentendogli di esplorare territori sempre più vasti e di aumentare il campo delle proprie attività e le possibilità di contatto. Essa occupa quindi un posto sempre più importante nella vita di tutti giorni e diviene uno degli elementi fondamentali della nostra cultura moderna. Alcuni riferimenti bibliografici BORTOLOTTI L. (1988) Le città nella storia d'Italia. Siena, Laterza, Bari BUSI R., TIBONI M. (2003), Integrazione tra autoveicoli e traffico non motorizzato, EGAF, Forlì BUSI R., TIRA M. (2001), Safety for pedestrians and two-wheelers/Sicurezza dei pedoni e dei conducenti dei mezzi a due ruote (Final Report del WP6 del Progetto europeo “Developing Urban Management and Safety”), Bios,, Cosenza CERDA' I., (1979). La théorie générale de l'urbanisation. Présentée et adaptée par A. de Aberasturi. Editions du Seuil. Collection "Espacements". Parigi. 251 pagine. CROW (Information and Technology Centre for Transport and Information), 1994, Sign up for the bike. Design manual for a cycle-friendly infrastructure, Record no. 10, Ede DUPUY G., (1991). L'urbanisme des réseaux. A. Colin. Parigi. 198 pagine. DUPUY G. (1995) Les territoires de l'automobile. Anthropos collection Villes. Parigi. 216 pagine FLEURY D. (1998), Sécurité et urbanisme: la prise en compte de la sécurité routiére dans l'aménagement, Presse de l'ENPC, Paris FLEURY D. (2012), Sicurezza e urbanistica, Gangemi, Roma (traduzione e a cura di M. Tira) HASS-KLAUS C. (1990), The pedestrian and city traffic, Belhaven Press, London & New York. FLINK J., (1990). The Automobile Age. The MIT Press Cambridge, Ma. 456 pagine. FUBINI A. (2008), Il difficile rapporto tra pianificazione urbanistica e della mobilità, in Riganti P., Città, attività, spostamenti, Carocci MENERAULT P. (2008), Gares ferroviaires et projets métropolitains : une ville en mutation, METROPOLE LILLOISE, Lille OECD-ITF (2011), Pedestrian safety, urban space and health, Paris OTTAWA CITY COUNCIL (2007), Transit Orientede Development Guidelines TIRA M. (1997) a cura di: Sostenibilità territoriale delle tecnologie ferroviarie innovative, Editrice Sintesi, Brescia TIRA M. (2001), Mobility plans, in: Fleury D. (ed) A city for pedestrians. Policy making and implementation, Final Report dell'Azione COST C6, UE, Brussels-Luxembourg TIRA M. (2003), Safety of pedestrians and cyclists in Europe: the DUMAS approach, in Tolley R., Sustainable transport, Woodhead Publishing, Cambridge (UK) TIRA M. (2007), Accessibilità e sicurezza degli spazi pubblici urbani, in Arenghi A.: Design for all, UTET, Milano TIRA M., LOMBARDI S. (2009), La scelta della localizzazione ottimale delle fermate del TPL nella tecnica urbanistica, in Maternini G., Foini S., Linee guida per la realizzazione delle fermate del trasporto pubblico locale, EGAF

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LE TEORIE E LE ESPERIENZE

Il progetto VENTO, per rimettere in pista i territori di mezzo attraverso il cicloturismo di Paolo Pileri*

*Paolo Pileri è professore di Tecnica e pianificazione urbanistica presso il Politecnico di Milano.

VENTO è noto per essere il progetto della dorsale cicloturistica più lunga d'Italia (679 km). Ma prima di essere un progetto di bicicletta, VENTO è un progetto di paesaggio e territorio grazie alla bicicletta. Per i Paesi a nord delle Alpi, il cicloturismo si è rivelato un'autentica forma di riscatto territoriale, soprattutto per le aree interne, belle ma escluse dai circuiti turistici di massa e dove la crisi è ancora più dura. In questi Paesi, grazie a piani cicloturistici e opportuni investimenti pubblici, oggi sono centinaia di migliaia i turisti che, pedalando lungo le ciclabili, si disperdono in tutto il territorio, rianimando le attività commerciali e ricettive, le aziende agricole e le varie attività dedicate al tempo libero. Grazie a loro sono tornati alla luce luoghi, beni culturali e natura che nessuno più considerava come attrattivi o perché erano stati declassati dalle retoriche del turismo dei principali operatori o semplicemente perché lontano dai punti di scambio autostradale e ferroviario. D'altronde la retorica della infrastrutturazione veloce, tipica di questi venti-trenta anni, ci ha come imposto una modalità di fruizione della geografia fatta sempre più di origini e destinazioni, obliterando quel che vi è nel mezzo. L'esperienza del viaggio ad alta velocità, che sia in treno o in auto, esclude per necessità tutto quel che sta nel mezzo. Ma non solo. I

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paesaggi sono fuggevoli e durano lo spazio di una frazione di secondo, se non addirittura meno. Paesaggi che in fotografia verrebbero mossi e in cui solo l'orizzonte lontano rimarrebbe fisso e osservabile. Viaggiare ad alta velocità è trasporto e non è mobilità perché si viene letteralmente trasportati come pacchi postali alle destinazioni volute. Abbiamo patteggiato la riduzione del tempo di viaggio con la rinuncia di fare esperienza di gran parte di ciò che c'è “tra” origine e destinazione del viaggio. È evaporata la stessa consapevolezza che esista una geografia delle terre di mezzo e che sia bella, viva e generosa di emozioni. Se l'alta velocità in alcuni casi è un'esigenza dei tempi moderni, non dobbiamo comunque permetterle di escludere dal possibile le altre velocità che ci riservano territori che altrimenti perdiamo. Senza voler banalizzare, ma una proposta per i cosiddetti territori lenti sta in buona parte nell'immaginare progetti “riabilitanti” ovvero in grado di riaccendere interesse e desiderio verso quei luoghi e quelle terre rimosse dal nostro immaginario. La mobilità può avere un ruolo chiave in questo. Ma non tutte le mobilità. Solo quelle capaci di ripristinare la positività di un movimento a misura di paesaggio, su strade che passano e fanno scoprire e non solo che attraversano e con un veicolo che fa la dif-


ferenza come la bicicletta, il posto migliore dove far girare una ruota. La bici non è troppo lenta e soprattutto non è troppo veloce. Permette di guardare la scena accanto e di fermarsi quando si vuole. Si può decidere quanta strada percorrere, se e dove andare. Ci riconsegna un uso del tempo perfetto per fare esperienza di territorio e paesaggio cogliendone le sue caratterialità, ovvero quella combinazione di caratteristiche e carattere. L'opportunità imperdibile del cicloturismo Come abbiamo detto, VENTO è un progetto di territorio attraverso il cicloturismo. Questo non riduce di un un solo decimale il fatto che sia un progetto di cicloturismo. Anzi, secondo noi, conferisce a quest'ultimo maggior ruolo e importanza di quello che pianificatori e politici pensano, solitamente (almeno qui in Italia). Il cicloturismo in Italia è sostanzialmente sottovalutato se non più propriamente ridicolizzato o considerato una sorta di mania di qualche accanito personaggio o di associazioni. A riprova di questo, se si sfoglia la letteratura urbanistica italiana non si troveranno che un paio di teorizzazioni e riflessioni e pure molto recenti (forse quella di Bozzuto e Fabian (2014) è la più esplicita e recente), mentre oltralpe troviamo articoli, manuali e libri. In Italia se si digita la parola cicloturismo nel motore di ricerca dell'osservatorio nazionale

del turismo il risultato sarà 'not found', mentre in Europa quasi tutti i Paesi hanno uffici e dipartimenti dedicati e un piano nazionale della ciclabilità che comprende sempre una sezione dedicata al cicloturismo e alle sue implicazioni territoriali. Per cercare di spiegare perché il cicloturismo ci sembra straordinariamente qualcosa di importante, useremo tre argomenti che sono tra loro intrecciati e che abbiamo scelto come pilastri per il progetto VENTO, dopodiché ne illustreremo brevemente le sue caratteristiche più tecniche, peraltro già molto note. Bikejobs e bikeconomy Iniziamo dall'occupazione e dall'economia che il cicloturismo può generare sul territorio in cui passa. Oggi, tempo di crisi nera, mi pare importantissimo partire da qui. Il discorso è molto complicato e occorrerebbero molte pagine, pertanto ci accontenteremo di alcuni riferimenti e statistiche tra le tante che iniziano a emergere, ovviamente dai Paesi che da qualche decennio hanno capito la cosa. Partiamo dalla Germania che ha scelto una forma di cicloturismo a cui ci siamo ispirati per VENTO (e lo vedremo poi) e che tutto sommato è solo da una ventina di anni che si occupa così assiduamente della materia. I dati sul cicloturismo li fornisce il ministero dello sviluppo economico e tecnologico attraverso un rapporto di

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ricerca pubblicato nel 2009. Sono 9 i miliardi di euro spesi ogni anno in Germania da coloro che fanno cicloturismo. Di questi, ben 4 sono spesi direttamente nelle migliaia di località e attività in cui passano i percorsi cicloturistici. Voglio subito soffermarmi su questa osservazione per far notare che il cicloturismo, a differenza di altre iniziative ad impatto economico, è una sorta di “distributore buono” di risorse sul territorio. I flussi di spesa non si concentrano nelle mani di pochi soggetti ma di una varia e numerosa pluralità di attività disseminate sul territorio. Sicuramente alcuni settori ne sono più avvantaggiati di altri, ad esempio l'agricoltura o la ricettività o il settore food, ma non uno in particolare né un gruppo di concessionari. Al pari della distribuzione orizzontale delle economie vi è quella verticale delle occupazioni. Già perché le tipologie di impiego che ruotano attorno al cicloturismo sono molteplici e varie anch'esse. Vanno da tutto ciò che è l'industria della bicicletta e gli accessori, a chi accompagna e immagina le proposte di viaggio, a chi progetta e realizza le piste ciclabili, a chi offre accoglienza e ristoro, alle migliaia di attività culturali e di divertimento, ad attività nel campo ambientale e naturalistico, a chi scrive guide e redige mappe e, oggi, a chi mette a punto tecnologie per il cicloturista e predispone siti web per orientarlo nei servizi. Ma molti di questi lavori, ed è


questa una caratteristica peculiare, sono distribuiti anch'essi sul territorio come è tipico del settore turistico. In Germania sono 186.000 i posti di lavoro legati al cicloturismo. Di questi 89.000 dipendono proprio dalle spese fatte sul territorio. Incredibile. In tanti anni di ricerca, non abbiamo trovato analisi statistiche più precise e affidabili, per di più in un contesto geografico dissimile dal nostro dove la stagionalità sarebbe certamente più lunga e favorevole per il clima e dove non manca un'offerta culturale e paesaggistica quanto meno più varia (senza togliere nulla alla Germania). Potremmo riempire pagine con altri dati da altre fonti, ma giungeremmo a rafforzare la stessa conclusione, stupendoci

sempre più nello scoprire di quanto questa attività sia una leva tanto potente quanto sottoconsiderata per la vitalità del territorio. Ma i risultati non giungono dal caso quando da una volontà ben precisa che si è cristallizzata in progetti, infrastrutture, piani, regole, promozione, accordi, etc. Anni di lavoro. La pista ciclabile, sicura e continua, è garanzia di successo e popolarità Per fare un'ottima esperienza cicloturistica non basta la bicicletta, ma serve la strada per la bici. È la strada la porta di accesso al paesaggio, alla sua esplorazione, conoscenza e sguardo. Sulla strada ci si sente sicuri, non ci si perde, ci si orienta. La strada ciclabile (usiamo questa coppia inedita di parole per ora) possiamo considerarla anche una sorta di presidio territoriale permanente che invita a viaggiare in bici nel territorio. Insieme alla bicicletta e alla gradevolezza dei luoghi e dell'esperienza, la pista ciclabile accende il desiderio di viaggio. Ma non tutte le strade sono ugualmente amiche del cicloturismo e non tutte massimizzano i suoi obiettivi. Innanzitutto chi va in bicicletta è vulnerabile e quindi pedalare sapendo che si è al riparo da incidenti rende più felice e sereno il viaggio, e questo è fondamentale sia per chi sceglie questa forma di vacanza e sia per chi progetta percorsi e infrastrutture per il cicloturismo. Il caso di successo tedesco è ancora emblematico al riguardo. L'88% dei percorsi cicloturistici tedeschi, pari a oltre 45.000 km, sono costituiti da piste ciclabili e/o ciclopedonali ovvero da vere e proprie infrastrutture dove è inibito il transito a tutto ciò che è motorizzato. Su questo vale la pena fare una puntualizzazione che è molto importante per capi-

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re cosa sta accadendo in Italia. Nel nostro paese si parla molto spesso di itinerari cicloturistici che non sono piste ciclabili ma semplici tracciati che corrono spesso su strade ordinarie, pur a basso traffico (quindi con meno di 500 veicoli/giorno), e quindi in una condizione di promiscuità tra ciclista e auto o camion. In questa situazione il rischio di incidentalità è sempre in agguato. Vale la pena anche ricordare che la pratica della bici in città e fuori città è decisamente diversa sia perché in città una buona regolazione e calmierazione del traffico potrebbe rendere perfino inutili alcune piste ciclabili e sia perché fuori città la velocità del traffico motorizzato è comunque mediamente più alta (ricordiamo che già a 30 km/h i danni che un auto può fare a un ciclista sono seri) unitamente al fatto che il ciclista necessita di particolari condizioni per il suo spostamento che non ha bisogno in città: dimensioni, continuità, pendenze, protezioni, incroci, intermodalità, regolazione degli accessi, pavimentazioni, segnaletica, servizi, illuminazione, visuali, regole d'uso e tanto altro ancora che fanno delle infrastrutture cicloturistiche qualcosa di tecnicamente complesso e, soprattutto, diverso da quelle in ambito urbano. In uno studio del Parlamento Europeo del 2010 le quattro chiavi fondamentali per sostenere il ciclismo e quindi il cicloturismo sono così ordinate a) la presenza di infrastrutture ciclabili corredate di servizi e accessori esclusivamente per i ciclisti; b) l'intermodalità che combina l'uso della bici con quella dei mezzi di trasporto pubblici; c) la sicurezza nel senso di incolumità e d) la sicurezza nel senso di prevenzione al furto. L'importanza della sicurezza del ciclista è stata di nuovo confermata in un recente sondaggio


fatto fare dalla Commissione Europea e pubblicato nel dicembre 2014 dove per il 51% dei ciclisti la manutenzione delle strade è fondamentale, per il 25% lo è la assoluta sicurezza, per il 62% la congestione delle strade. L'infrastrutturazione ciclabile gioca quindi un ruolo fondamentale soprattutto per il buon esito di un progetto di cicloturismo. Non è pensabile lasciare al caso o alla buona iniziativa delle azioni locali. Se non si vuole relegare il cicloturismo a qualcosa di residuale od occasionale occorre dotare anche questo settore delle infrastrutture e delle opere di cui necessita, nelle forme appropriate. Ad esempio, sempre in Germania, una ciclabile inizia ad essere in grado di generare flussi cicloturistici se è almeno lunga centocinquanta chilometri: 'ciclabili di lunga distanza', le chiamano i tedeschi. Il cicloturismo popolare, inclusivo è fatto di grandi numeri Il popolo dei viaggiatori in bicicletta non deve essere immaginato come costituito solo da coloro che hanno esperienza di bicicletta da anni o da coloro che sono allenati o sportivi o da quelli che per tradizione nazionale vanno più in bici che in auto. Se li si va a contare, questi sono pochi rispetto a tutti gli altri. Il cicloturista va pensato come un cittadino che dall'oggi al domani decide, improvvisamente, di prendere la bici e partire. Il cicloturismo deve essere pensato per tutti e non solo per i ciclisti. In Germania il 60% dei milioni di cicloturisti è costituito da famiglie con bambini e/o ragazzi. In questo caso spesso si ha a che fare con soggetti deboli e meno esperti per i quali la sicurezza e la facilità sul percorso contano tantissimo al pari della gradevolezza dei paesaggi, della segnaletica e dei servizi. Nessun genitore lascerebbe andare i propri figli di 8 anni su una strada utilizzata anche da auto e furgoni sebbene non intensamente. Il progetto infrastrutturale deve perciò tener conto degli utenti meno tutelati perché questo garantisce sicurezza anche ai più esperti, ma non viceversa. Non abbiamo al momento statistiche ufficiali sul popolo dei cicloturisti. Sappiamo che è in fortissima crescita e continua ad essere composito. Sappiamo che ormai il 36% della mobilità in Olanda è in bici, in Germania il 12% e in Italia solo il 6% (Eurobarometer 422a). Sicuramente la crisi e i maggiori costi del petrolio aiu-

teranno molti a scegliere questo tipo di vacanze e tra questi sempre più saranno coloro che non provengono dalle file degli esperti. Al momento in Italia ENIT stima in 450.000 le presenze annuali di cicloturisti (G. Cillo in www.stai.it). Un dato che, se vero, sarebbe follemente basso ed equivarrebbe al numero di quanti frequentano la sola pista ciclabile Vienna-Passau in un anno. Di questa quota probabilmente la maggior parte è in Trentino Alto Adige che da anni ha investito nelle ciclabili turistiche il cui indotto annuo stimato supera già gli 85 milioni annui. Questo per dire solo che il cicloturismo in Italia è ancora tutto da pensare e non manca nulla di nulla per far diventare questo un settore su cui investire per attirare turisti dall'estero mostrando la parte migliore di noi, il paesaggio e il territorio. Ma il cicloturismo non viene da solo, dobbiamo essere noi a pianificarlo e progettarlo nel modo migliore, più duraturo e meno impattante. Le caratteristiche del progetto VENTO L'obiettivo generale. Per questi e altri argomenti e per quanto detto all'inizio, consideriamo il cicloturismo un'opzione seria per il futuro dei nostri territori e la pianificazione territoriale dovrebbe occuparsene. Per questo lo consideriamo una vera e propria chiave progettuale per rigenerare territori e rianimare paesaggi. Il progetto VENTO è proprio il tentativo di condensare tutto questo in quella che abbiamo chiamato “dorsale cicloturistica”, ovvero una pista ciclabile e pedonale che ha tutte le caratteristiche funzionali e tecniche richieste. Nel caso di VENTO la dorsale corre lungo il fiume Po, prevalentemente sfruttando le sommità arginali che sembrano fatte apposta per la bicicletta, ma che formalmente lo diverranno a breve mentre ancora sono per alcuni tratti strade secondarie o in qualche caso addirittura statali. Nell'idea di VENTO gli argini diverranno piste ciclopedonali e il traffico verrà deviato definitivamente su strade alternative, tranne che per le esigenze dell'agricoltura e dei residenti laddove non vi siano altre strade. VENTO è un progetto con tre anime che convivono fianco a fianco: il disegno tecnico del tracciato, lo studio di tutta una serie di manufatti e opere accessorie e il coinvolgimento di tutti possibili portatori di interesse, in quanto il progetto nasce dalla ricerca universitaria la

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quale si è fatta carico di farne capire i vantaggi direttamente sul territorio e al tempo stesso interloquire con i soggetti preposti per legge alla realizzazione di un progetto come questo. Il tracciato. Il disegno del tracciato (679 km) è l'esito di un lungo lavoro di rilievo e censimento dei tratti esistenti, di quelli facilmente convertibili in piste ciclabili (come appunto le sommità arginali dove passa oltre il 50% circa di VENTO) e quelli che invece hanno seri problemi e richiedono forti interventi. Lo spunto iniziale è stata l'ipotesi di tracciato Bicitalia 2/Eurovelo 8 (in accordo con FIAB) per poi, con criteri propri (sicurezza, pista riservata, gradevolezza, continuità, prossimità ai luoghi della intermodalità, etc.), sostanziarsi in un nuovo tracciato ora in sponda destra ora in sponda sinistra e costituito da una pista ciclopedonale a due sensi di marcia (carreggiata larga 2,5 metri). Secondo le valutazioni attuali, il 15% del tracciato è già ciclabile in modo esclusivo e sicuro ma non continuo. Un 42% circa potrebbe divenire ciclabile con uno sforzo economico basso in quanto si tratterebbe di andare a utilizzare le sommità arginali rendendole ciclabili a tutti gli effetti. Dopodiché c'è un altro 22% del tracciato progettato che richiede interventi importanti ma 'leggeri', consistenti nella realizzazione di nuovi tratti, nuove pavimentazioni, nuovi incroci o nuovi percorsi urbani (spesa stimata: 22% del budget). Infine il 21% del tracciato richiede forti trasformazioni per renderlo percorribile dalla bicicletta in sicurezza, a partire dagli attraversamenti fluviali, ovvero i ponti e tante altre opere accessorie sostanzialmente per vincere dislivelli: per tali interventi occorre circa il 75% del budget. VENTO tocca circa 10000 aziende agricole, oltre 121 comuni, 242 località, oltre 40 aree protette, più di un migliaio di beni culturali che oggi non hanno un filo narrativo che li leghi tra loro. Opere e manufatti. Le opere e i manufatti sono stati progettati in senso modulare ovvero facilmente replicabili lungo la linea e sostanzialmente assolvono al compito di eliminare tutti gli ostacoli e risolvere le mancanze che oggi non consentono di pedalare in sicurezza e con continuità lungo il Po. La gamma delle opere necessarie è abbastanza limitata e va dalle passerelle, alle rampe, alla


realizzazione di tratti ex-novo, alla scelta delle pavimentazioni, a soluzioni per rendere agibili iponti, incroci, rotonde svincoli e sottopassi, alle protezioni laterali, etc. Pertanto lungo tutto il tracciato sono state individuate, punto per punto, le opere necessarie, le soluzioni più vantaggiose in termini di spesa e beneficio e il loro costo di progettazione e realizzazione. Evidentemente l'occasione di mantenere una visuale ampia su tutta la linea ha consentito di formulare soluzioni strutturali ripetibili abbattendo quindi i costi di progettazione e dando una maggior identità unitaria al progetto nel suo complesso. Costo dell'opera. Poichè VENTO non è un itinerario appoggiato alla rete stradale già esistente, ma un percorso ciclabile sicuro, perciò fatto di piste ciclabili al 95% del suo tracciato e con l'ambizione di generare un flusso cicloturistico di almeno 300.000 utenti/anno per garantire consistenti flussi economici e occupazionali, VENTO ha un costo di investimento stimato in 80 milioni di euro (poco più di 100 se si comprende la progettazione, gli oneri fiscali e accessori, il coordinamento e la progettazioni di alcuni applicativi). Il costo è sostenibile e soprattutto irrisorio se pensiamo che equivale alla spesa pubblica per realizzare circa 3 km di autostrade e che a regime potrebbe generare indotti distribuiti per circa 100 Milioni/anno e 2000 nuovi posti di lavoro oltre al manteni-

mento degli attuali. Partecipazione e coinvolgimento. Dal 2012 VENTO è al centro di una intensa attività di partecipazione che a oggi vede l'adesione di oltre 200 soggetti istituzionali tra comuni, province, associazioni nazionali e locali. A questi si aggiungono le due autorità fluviali, AdBPO e AIPO, la Regione Piemonte, l'ANCI il Corpo Forestale dello Stato, numerose fondazioni bancarie (CARIPLO, CARIPARO, CARIBZ, S.PAOLO) e il patrocinio di tre Ministeri: Beni culturali e Turismo, Ambiente e Agricoltura. Molti hanno addirittura sottoscritto un primo protocollo di intesa che li impegna a farsi promotori del progetto e collaborativi per la sua realizzazione. Ma VENTO ha superato la dimensione locale guardando a quella delle istituzioni nazionali, che dovrebbero occuparsene in prima persona. È stato audito in commissione ambiente alla Camera (26 settembe 2012) ed è stato oggetto di un particolare interessamento di MIBACT che ha dato avvio (luglio e settembre 2014) ad un pre-tavolo tecnico con tutte le quattro regioni interessate al fine di giungere ad un atto concreto di programmazione delle opere necessarie. Nel frattempo continuano le attività di promozione e formazione sul territorio attraverso la terza edizione di VentoBiciTour, che è diventata a tutti gli effetti una forma di partecipazione itinerante al progetto, indirizzata tanto ai cittadini quanto

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alle istituzioni. (il progetto è su www.progetto.vento.polimi.it) Progetti come VENTO mettono a nudo una delle vulnerabilità del sistema Paese: l'eccesso di frammentazione amministrativa La ciclabilità nel nostro Paese è una sorta di Cenerentola, bella idea ma alla fine buttata in un angolo o, tutt'al più accontentata con qualche intervento spot possibilmente sotto elezioni. L'idea di una rete cicloturistica europea risale agli anni '90 (EUROVELO) come pure la proposta Bicitalia ha ormai quasi 15 anni. Eppure gli investimenti in questo settore non arrivano ma, ancor prima, non arriva l'idea di investirci. Le realtà che hanno capito che le infrastrutture cicloturistiche (e non certo e solo gli itinerari) possono rianimare i territori, hanno investito e oggi raccolgono i primi frutti (lo abbiamo detto sopra). Banalmente in Italia si persegue la malsana prassi di escludere a priori che una parte del riscatto dei nostri territori possa giungere da retoriche e proposte diverse da quelle a cui siamo abituati da anni. Men che meno da ipotesi di turismo per giunta anch'esse diverse. Come si vede, di nuovo si tratta di mandare in frantumi gli impianti di pensiero che ancora animano le decisioni urbanistiche e di governo territoriale alle quali continuiamo a essere troppo legati. Ma tutto ciò ha un altro alleato potentissimo e


problematicissimo che ci inchioda a rallentare opzioni come VENTO ed è la frammentazione amministrativa e decisionale di questo nostro Paese. VENTO è la proposta di una dorsale cicloturistica che fungerebbe da spina dorsale di un sistema a rete enorme e capillare, fatto di sistemi locali (magari quelli sì anche di soli itinerari) come sovralocali come europei. Quindi un progetto e un'opera interscalare. Per dare futuro a questa idea occorre il coraggio di alzare lo sguardo oltre i confini dei propri comuni e regioni dove, nel frattempo, un legislatore miope ha relegato la ciclabilità. È totalmente insensato ogni progetto turistico che, pur bello, non si raccordi con una proposta ampia e unitaria. Pensare che ogni comune realizzi il proprio tratto ciclabile significa solo generare una gran confusione e una enorme duplicazione di spesa pubblica senza la garanzia di eliminare le discontinuità tra le tratte. Al pari è fallimentare un progetto organizzato per regioni a meno che non vi siano forti spinte cooperative e di coordinamento. Una proposta turistica nasce da una visione ampia e da un progetto che è, lo ripetiamo, innanzitutto progetto culturale e di territorio e non di servizio all'una o all'altra categoria commerciale o professionale o lobbistica che sia. VENTO attraversa territori che sarebbe in grado di unire come il filo di una collana unisce le sue perle. E la bellezza della collana sta nell'insieme delle perle quanto dal filo che le tiene assieme. VENTO è questo prima di essere un progetto di bicicletta. È una proposta nuova di infrastrutturare il nostro Paese per dargli una prospettiva che la frammentazione decisionale e la concentrazione decisionale tutta a ridosso delle aree metropolitane negano, di fatto, a questi territori interni, bellissimi ma dimenticati o su cui si vuole appiccicare un'idea di sviluppo che c'entra poco. Fare VENTO si può e pure con poco, ma bisogna essere disinteressati alle rendite della solita idea di sviluppo e interessati al bene comune e diffuso che infrastrutture leggere come queste farebbero su un territorio ampio. Più ampio di ogni bacino elettorale, più generoso con tutti e meno profittevole per pochi. Non saranno questi i (suoi) difetti da abbattere?

Note Bozzuto P, Fabian L. (2014), Per una possibile "urbanistica della bicicletta" in Territorio n. 69, Franco Angeli Milano AA.VV. (2009), Grundlagenuntersuchung Fahrradtourismus in Deutschland Langfassung, Bundesministerium für Wirtschaft und Technologie (BMWi), Berlin, www.bmwi.de Vedi www.bikeitalia.it; www.etc-corporate.org/; www.peopleforbikes.org/; www.velo-city2009.com/; www.eesc.europa.eu/?i=glossaries.en.cycling-some-cycling-statistics; www.ecf.com; www.bikepride.it; www.fiab-onlus.it; www.progetto.vento.polimi.it

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LE TEORIE E LE ESPERIENZE

Mobilità e processi partecipativi: uno stato dell'arte di Francesco Avesani *

*Francesco Avesani – ingegnere, si occupa di pianificazione e progettazione di interventi per la mobilità sostenibile e la smart mobility. Collabora con Netmobility srl e CAIRE – Urbanistica ed ha contribuito in Trentino alla stesura dei Piani Urbani della Mobilità a scala urbana e a scala territoriale fra i quali i PTC dell’Alto Garda e Ledro e della Vallagarina

Introduzione Anche in un mondo che viaggia sempre più spesso e sempre più velocemente sul web, la mobilità delle persone e delle merci riveste un ruolo più che mai cruciale nell'ambito delle politiche mirate al miglioramento del benessere sociale ed attente alla protezione dell'ambiente. In Italia le persone dedicano più di un'ora del proprio tempo quotidiano ai propri spostamenti, e, anche se la crisi dal 2009 in poi ha fatto registrare una diffusa riduzione della mobilità (il traffico veicolare è quasi ovunque stabile se non in flessione e il numero medio di spostamenti pro-capite è sceso sotto i 3 spostamenti/giorno), aumenta invece la distanza media percorsa. Quanto la mobilità rappresenti una dimensione esistenziale intrinseca nella vita di ogni individuo non può che costituire quindi la considerazione iniziale per affrontare il tema della partecipazione nei piani, programmi e progetti che riguardano il settore dei trasporti e della mobilità. L'attuale modello dominante di mobilità, molto “autocentrico” (fondato sull'automobile e sul mezzo motorizzato privato) e poco “multimodale”, scarica su collettività e ambiente le esternalità negative ormai percepite dalla società, inclusi i costi economici dei singoli individui, come un problema a cui porre

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rimedio nel momento in cui gli obiettivi sono quelli comunitari della riduzione dei consumi e della produzione di inquinanti e quelli locali del miglioramento della vivibilità dei territori e delle città. Come e perché le diverse forme della partecipazione e dell'ascolto sociale possono contribuire al successo delle politiche e delle azioni per una mobilità più intelligente (smart) e sostenibile? Partecipazione vs tecnocrazia? La richiesta di partecipazione da parte dei cittadini alle decisioni ed alle scelte amministrative si manifesta in tempi più o meno recenti in forme nuove, costruttive ma spesso anche conflittuali, e affonda probabilmente le sue ragioni più profonde anche nella crisi delle forme convenzionali della rappresentanza e in una sfiducia generalizzata nelle istituzioni. Una nuova consapevolezza, spesso orientata alla sostenibilità e alimentata da un patrimonio informativo che può viaggiare veloce sul web, porta i cittadini ad esprimersi e ad aggregarsi. Quella che qualcuno ha battezzato la “stagione dei comitati” nasce negli anni '90. Da un lato ha portato alla luce la nota sindrome di NIMBY (Not In My Back Yard) con la quale si definisce la logica utilitaristica che guida


l'azione di persone che vedono toccati i propri interessi o privilegi. Dall'altro ha prodotto il moltiplicarsi di cittadini (e associazioni) permanentemente attivi e competenti che hanno a cuore il “bene comune” e che tendono a interiorizzare l'importanza di affrontare le singole questioni in un quadro strategico più ampio o che fin dal principio pongono questioni in termini strategici ampi, che spesso non trovano rispondenza in una pianificazione strategica di lungo termine assente, carente o superata di livello regionale e nazionale. La “Legge Obiettivo” del 2001 sulle grandi infrastrutture strategiche per l'Italia non brilla certo per risultati raggiunti né per aver stabilito i criteri con cui assegnare le priorità. I Piani dei Trasporti di livello regionale sono datati, mancano di un dibattito aperto sugli scenari alternativi (esempio: “Valdastico Nord” o potenziamento Valsugana?), contengono spesso previsioni sovrastimate sui flussi veicolari attesi sulle nuove infrastrutture di progetto (esempi: Passante di Mestre o Bre.Be.Mi). Che si tratti di una singola opera o di una visione generale, è facile verificare come spesso l'oggetto dell'attenzione dei suddetti gruppi locali abbia a che fare con la mobilità, trattandosi di una nuova infrastruttura (“NO T.A.V.” o “NO PI.RU.BI.” per la Valdastico Nord) o di problematiche nella mobilità di una singola via o quartiere di una città. Spesso tali istanze sono viste dalle Amministrazioni Pubbliche come un intralcio piuttosto che come una risorsa per la vita pubblica di un territorio, anche per la difficoltà o non volontà di gestire processi di ascolto sociale. Introdurre pratiche di partecipazione rappresenta tuttavia sempre più un'esigenza sentita anche dalle Amministrazioni che credono in una certa “democrazia partecipativa” o che interpretano il coinvolgimento dei cittadini, i veri attori della mobilità che con i loro comportamenti ne possono modificare l'assetto, come uno dei fattori per il successo nell'attuazione delle diverse progettualità sulla mobilità sostenibile. La partecipazione con i suoi strumenti non può e non deve comunque sostituire le forme canoniche e istituzionali della democrazia rappresentativa, quanto piuttosto affiancarsi ad essa. A volte è anche una certa mentalità “tecnocratica” a scoprirsi riluttante nell'aprire ad un pieno coinvolgimento della cittadinanza l'oggetto di una scelta, che sia la realizzazione di una infra-

struttura piuttosto che la stesura di un piano della mobilità o del traffico, sulla base di una errata lettura della competenza tecnicotrasportistica come elemento prevalente rispetto ai pareri o alle istanze rappresentate da cittadini e portatori di interesse. È evidente invece come vadano trovate le forme per integrare questi due elementi in egual modo importanti, in primo luogo attraverso una partecipazione informata, che deve mettere le conoscenze tecniche di base a disposizione di tutti (l'informazione diffusa riduce i pareri non pertinenti ed aumenta la capacità di comprensione delle ragioni di un progetto), in secondo luogo attraverso una gestione organizzata della partecipazione stessa, che coinvolga professionalità formate sul campo. La cultura che legge i processi partecipativi e la costruzione del consenso come fattori chiave del successo di un piano o di un progetto e non come rischio o rallentamento dell'attività amministrativa e operativa (rischio comunque reale ma sempre gestibile) trovano peraltro fondamento negli indirizzi contenuti in diversi documenti e norme di livello comunitario. La convenzione di Århus, che ha prodotto la Direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale (recepita poi dallo Stato Italiano con il Testo Unico Ambiente D.Lgs. 152/2006), ha stabilito il diritto del pubblico ad essere informato fin dalla fase iniziale del processo decisionale in merito all'oggetto e alla natura della decisione da adottare che abbia impatti significativi sull'ambiente. Le norme oggi vigenti sulla V.A.S. di un Piano dei Trasporti, della Mobilità o del Traffico e sulla V.I.A. di un progetto infrastrutturale derivano da questo impianto. Le Linee Guida per la stesura ed attuazione dei P.U.M.S. (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) titolano in modo significativo “pianificare per le persone” e ci raccontano di una nuova visione europea sul modo di fare pianificazione strategica della mobilità in ambiti urbani e di area vasta basata sui principi di integrazione modale, partecipazione, monitoraggio e valutazione. L'approccio partecipativo viene considerato fondamentale e parte integrante del processo di stesura del Piano al fine di favorire l'accettazione ed il supporto da parte della

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popolazione, di legittimare le scelte di un'amministrazione Locale, di indurre il cambio culturale necessario al perseguimento degli obiettivi della mobilità sostenibile. Alcune esperienze Le esperienze concrete dimostrano come i processi partecipativi (ben guidati!) aventi come oggetto il tema della mobilità, proprio perché tocca la quotidianità e la abitudini consolidate dei singoli, riscuotono quasi sempre adesioni rilevanti e contributi significativi. Del resto non è difficile riscontrare quanto i dibattiti su provvedimenti viabilistici o su progetti di nuove infrastrutture trovino risalto sulle cronache locali di qualsiasi mezzo stampa. L'articolazione di un percorso partecipativo varia in funzione di molteplici fattori, tra cui le intenzioni dell'amministrazione, i tempi e le risorse a disposizione. Nel caso di partecipazione legata al progetto di una infrastruttura di trasporto esistono chiaramente gli strumenti previsti dalle norme già citati, che prevedono una “consultazione” pubblica di enti, gestori di servizi e liberi cittadini nelle forme codificate dalle norme sulla valutazione ambientale dei progetti secondo il meccanismo dei pareri e delle osservazioni. Ciò non mette al riparo dalle forti contestazioni mosse dai territori (cittadini ma anche amministrazioni locali) agli iter progettuali e realizzativi di infrastrutture di impatto significativo, con particolare riguardo alle cosiddette “grandi opere”, tacciate di risultare “inutili” o “dannose” o “eccessivamente costose” rispetto ai benefici realmente apportati. Grandi opere che alle spalle non hanno un processo decisionale che rende trasparente e visibile ai cittadini l'analisi degli scenari alternativi e delle ragioni forti a supporto. In Francia l'esperienza delle fortissime contestazioni legate alla progettazione della linea ferroviaria ad alta velocità TGV Lione – Marsiglia ha portato il Governo Francese a creare ormai vent'anni fa l'istituto del “débat public”, una procedura di consultazione pubblica obbligatoria sui progetti preliminari di determinate categorie di grandi opere, coordinata a verificata, soprattutto per gli aspetti dell'informazione adeguata al cittadino, da


una Commission Nationale. Il rapporto steso dalla Commissione al termine della consultazione, che ha una durata certa di quattro mesi, viene analizzato dal promotore dell'opera che può decidere se proseguire la progettazione o se abbandonare l'idea. Nel 2013 (XVII Legislatura) è stata presentata in Parlamento una proposta di legge dal titolo “Norme per la consultazione e la partecipazione in materia di localizzazione e realizzazione delle opere pubbliche” con contenuti analoghi a quelli della norma francese, che stabilisce modalità di svolgimento del “dibattito pubblico” e la creazione di un apposito Osservatorio nazionale quale organismo tecnico di verifica e controllo del funzionamento del nuovo istituto. Nella lista delle opere da assoggettare obbligatoriamente al dibattito pubblico prima della stesura del progetto definitivo compaiono, per quel che riguarda più prettamente il settore trasporti di terra, autostrade, superstrade e strade a più corsie per senso di marcia delimitate da spartitraffico, allargamenti a più corsie di strade, realizzazione di linee ferroviarie. È emblematico di quanto una certa cultura della partecipazione in Italia sia ancora arretrata o fatichi perlomeno ad attecchire, rilevare come diversi commenti comparsi su stampa e siti specializzati a valle dell'ipotesi di istituzione del dibattito pubblico abbiano tenuto a sottolineare l'utilità di questo strumento per mettere a tacere le associazioni ambientaliste o i “comitati del no” piuttosto che l'arricchimento che indubbiamente potrebbe portare al processo decisionale che guida la scelta di realizzare o meno un'infrastruttura, processo non sempre trasparente e chiaro nel dimostrarne la reale utilità rispetto a possibili alternative. Quest'ultima considerazione sposta naturalmente il piano del ragionamento sul livello della pianificazione dei trasporti e della mobilità che sta a monte della definizione degli interventi e dei progetti. A centrare il senso più profondo della partecipazione pubblica sono i processi di ascolto sociale volti alla condivisione degli obiettivi e delle strategie a monte della stesura di un piano o di un programma attuativo, da portare avanti a partire dalla costruzione del quadro diagnostico (problem setting) fino alla formulazione delle soluzioni alla valutazione ex post dei risultati (problem solving), mediante tecni-

che e metodi coinvolgenti e responsabilizzanti rispetto agli obiettivi condivisi. Il progetto MUSA – Mobilità Urbana Sostenibile e Attrattori Culturali, finanziato dal Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri e rivolto alle realtà urbane delle Regioni Obiettivo Convergenza del Sud Italia, rappresenta un esempio di come strumenti integrati di formazione, comunicazione e partecipazione possano contribuire fattivamente a rafforzare la “capacity building” della Pubblica amministrazione I partner scientifici del progetto hanno condiviso una metodologia innovativa di ascolto che è stata proposta alle amministrazioni delle città pilota ed ha portato in ogni realtà in due step successivi alla definizione dello schema di valutazione (formato da una griglia di obiettivi specifici legati alla mobilità sostenibile, ripartiti per le dimensioni dell'accessibilità, della vivibilità, della sostenibilità ambientale e della sostenibilità economica, ed affiancati dalle possibili strategie) ed all'esercizio di valutazione sullo schema condiviso (che prevedeva l'assegnazione di una priorità a ciascuno di essi). La procedura ha previsto il coinvolgimento diretto di decine di portatori d'interesse con interviste individuali e a seguire focus-group specifici. Il lavoro dei professionisti-mediatori è consistito nel veicolare il significato del progetto e poi soprattutto nel gestire la discussione e la costruzione delle scelte nei focus-group proponendo il metodo del consenso, in modo da stimolare nei partecipanti lo sforzo di formulare un parere condiviso e unitario mantenendo in ultima istanza la possibilità di esplicitare al suo interno eventuali riserve o pareri non allineati. Il lavoro ha incontrato la collaborazione costruttiva dei portatori d'interesse ed ha consegnato alle amministrazioni un rapporto assai utile a delineare gli obiettivi prioritari da perseguire in una road map orientata alla mobilità sostenibile.

pagna di ascolto sociale attuata ha consentito ai tecnici di disporre di informazioni di grande utilità, di trasporre la lista dei desiderata anche aprendo alcune contraddizioni interne, e di produrre come risultato finale la “Carta della Circolazione dei Cittadini”. La VAS (Valutazione Ambientale Strategica) di cui virtuosamente si è voluto poi dotare il PUM ha così acquisito una dimensione che ha consentito di valutare il piano non solo sotto il profilo della sostenibilità ambientale ma anche di quella sociale. A Feltre l'amministrazione insediata nel 2012 sta portando avanti in modo particolarmente efficace e pratico un processo di costruzione di spazi di democrazia partecipativa sui temi di maggior interesse per la collettività. È stato così predisposto un innovativo Regolamento che stabilisce le modalità di partecipazione e funzionamento dei Laboratori di Cittadinanza e del Forum che li raccoglie, nonché gli obblighi da parte dell'amministrazione ad esprimersi nel merito delle istanze nate al loro interno. È in corso il lavoro di stesura di uno studio dell'accessibilità e della mobilità sostenibile per Feltre in cui risulta coinvolto l'intero Forum dei Laboratori di Cittadinanza ed in particolare il Laboratorio sulla mobilità. Gli scambi e le relazioni tra amministrazione, tecnici incaricati e Laboratori di cittadinanza sta portando alla definizione di un quadro estremamente ricco e completo di questioni, analisi, punti di vista, valutazioni e proposte. Particolarmente interessante il confronto tra visioni e istanze diverse sul tema della riqualificazione del centro, che ha come precondizione la revisione dell'assetto viabilistico e la scelta sull'adozione di provvedimenti di controllo viario (sensi unici) e/o limitazioni al traffico più o meno spinte. Si tratta di un tema rilevante e sempre attuale per moltissime città italiane, che vede spesso contrapporsi i commercianti, contrari a qualsiasi ipotesi di chiusura al traffico, ai residenti e/o agli utenti/clienti dei servizi e delle attività del centro. I percorsi partecipativi su questo tema, che porLe esperienze di percorsi partecipativi inseriti tino anche ad esempio interventi attuati e best nei processi di stesura di Piani della Mobilità o practices, tendono ad aprire ed affrontare aperdel Traffico sono molto variegate per articola- tamente questi conflitti, arrivando poi, nella zione e tecniche adottate in funzione, come loro fase di sintesi, a veicolare positivamente il già detto, del contesto, delle risorse a disposi- messaggio di quanto sia più importante “portare dentro le persone e non i veicoli” e di quale zione, dei tempi imposti dalla Committenza. Nell'ambito della stesura del Piano Urbano sia la reale portata della sfida di trovare un della Mobilità di Rovereto, ad esempio, la cam- modello di accessibilità al centro che porti cia-

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scuno ad utilizzare il modo di spostamento più intelligente nell'interesse comune. Conclusioni Le dinamiche e le metodologie della partecipazione sono molteplici e trovano applicazioni diversificate a seconda dell'oggetto di studio, del contesto sociale, delle risorse e dei tempi. Un percorso partecipativo allargato ai cittadini, che non sia un mero passaggio informativo, non può che richiedere tempi più lunghi rispetto ad un percorso che coinvolga un gruppo più circoscritto di soggetti, quali i cosiddetti portatori d'interesse privilegiati. Ad oggi le professionalità formate per organizzare e gestire processi partecipativi propongono strumenti innovativi ed efficaci, che potremmo definire “smart”, che si affiancano a quelli convenzionalmente utilizzati come assemblee pubbliche, focus groups, interviste agli stakeholders. Si diffondono allora pratiche come quelle legate al mondo del web come il “geoblog” o il “geotagging” in tempo reale, che consentono ai cittadini più “social” di segnalare le proprie istanze su una mappa dell'area di interesse. Il “planning for real”, una sorta di gioco in cui, sulla base di un perimetro e di un budget predefinito per un progetto, i partecipanti sono chiamati ad usare delle carte che rappresentano i diversi elementi progettuali (arredi, pavimentazioni, verde, ecc.) ai quali previamente sono stati assegnati un costo, un punteggio di impatto sociale, un punteggio di impatto ambientale. Le “passeggiate urbane”, sempre più conosciute nel mondo delle scuole (sul tema dei “percorsi sicuri” casa-scuola) ma anche nei progetti di riqualificazione urbana che mettono al centro

la viabilità, per toccare con mano le problematiche e le criticità riscontrate dai residenti ed auto-formarsi sulle strategie e le possibili soluzioni. Informazione e comunicazione rappresentano aspetti da curare sempre con attenzione. Da un lato la partecipazione, per essere considerata tale, non può che essere informata per dare la possibilità ai cittadini di esprimersi consapevolmente sulla base di conoscenze comuni veicolate, dove necessario, dai tecnici per portarle ad un livello di comprensione accessibile. Dall'altro la comunicazione degli obiettivi consente ad amministrazione e società civile di misurarsi successivamente in un processo di valutazione e monitoraggio dei risultati effettivamente raggiunti. Concludendo, le amministrazioni, i committenti di opere pubbliche e i tecnici trasportisti o esperti della mobilità devono oggi fare i conti con la necessità di includere tra i criteri di scelta degli interventi la loro accettabilità sociale. I processi partecipativi e di ascolto sociale, grazie a tecniche e strumenti ormai consolidati nelle esperienze europee ed italiane, possono rappresentare una risposta sostanziale che crea benefici per tutti i soggetti coinvolti: la partecipazione riduce o comunque aiuta a gestire i conflitti, consente di veicolare in modo chiaro gli obiettivi delle amministrazioni, responsabilizza i cittadini e gli attori locali nell'attuazione degli interventi. La partecipazione può quindi aiutare a rendere anche le scelte pianificatorie e progettuali sulla mobilità e sulla viabilità strumenti concreti per la formazione di una collettività in grado di praticare la sostenibilità sociale ed ambientale in modo condiviso.

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LE TEORIE E LE ESPERIENZE

Infrastrutture, territori, cittadinanza: un'integrazione necessaria per il futuro di Giulio Ruggirello*

*Giulio Ruggirello – ingegnere libero professionista, svolge l’attività professionale tra Trento e Riva del Garda.

Introduzione Esiste un'infrastruttura di trasporto intrinsecamente adatta ad un dato territorio? L'interrogativo si pone in relazione alla necessità di pianificare e gestire un sistema di mobilità delle persone e delle merci all'interno di un ambiente antropizzato le cui caratteristiche orografiche e geomorfologiche siano sostanzailmente stabili e ben individuati. L'obiettivo di una gestione efficiente e di una implementazione efficace di un sistema infrastrutturale organico al territorio cui serve ed alla popolazione che ne usufruisce appare indissolubilmente legato alla matrice territoriale che ne costituisce lo sfondo ed il substrato di innesto. Se appare abbastanza naturale sovrapporre più layers infrastrutturali in contesti territoriali caratterizzati da dislivelli contenuti ed estensioni ampie, non altrettanto si può pensare di attuare quando le morfologie si complicano e gli spazi si riducono. Come sempre accade, una maggiore presenza di vincoli al contorno impone un ragionamento in termini di efficienza ed efficacia più articolato e strategicamente orientato. Nel contesto territoriale della regione alpina ed in particolare in Trentino Alto Adige, le pecu-

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liarità del territorio impongono quindi un'attenta lettura delle potenzialità e delle criticità ambientali al fine di inserire un sistema infrastrutturale calibrato e funzionale, in stretta relazione ed interdipendenza con la pianificazione urbanistica e le politiche di sviluppo del territorio. Gli strumenti legislativi che la provincia autonoma di Trento si è data nel tempo per il governo dello sviluppo urbanistico sembrano in generale mancare della dovuta attenzione verso una pianificazione infrastrutturale corretta ed orientata alla compatibilità ambientale, lasciando di fatto ai soli strumenti dei Piani Stralcio delle Comunità di Valle il compito improbo di governare le dinamiche evolutive della rete trasportistica provinciale. L’integrazione necessaria Si impone quindi una riflessione circa il ruolo che la pianificazione delle infrastrutture deve rivestire all'interno del quadro normativo, ma soprattutto si vuole in questa sede lanciare lo sguardo verso una riflessione del tutto generale e strategica allo scopo di interpretare il territorio trentino e ricavare da tale analisi gli spunti per un piano d'azione orientato allo sviluppo infrastrutturale.


In Trentino Alto Adige - ma il ragionamento potrebbe essere esteso anche a scala di territorio alpino in genere - coesistono di fatto due sistemi ambientali molto differenziati, facilmente riconoscibili ed individuabili: da un lato l'asta del fiume Adige ed il solco vallivo che percorre nella direttrice nord-sud l'intero territorio regionale; dall'altro il sistema delle vallate alpine che nel succedersi delle altimetrie caratterizzano la parte restante della superficie regionale. In questi due “ambienti” trovano spazio sia i centri abitati che le infrastrutture di trasporto, con caratteristiche differenziate e distinte capacità di sostenere la domanda di mobilità indotta in primis dal pendolarismo scolastico e lavorativo, al di sopra della quale si pone la domanda di mobilità di natura turistico-vacanziera di matrice prettamente esterna. La valle dell'Adige di per sé non appare troppo diversa da una pianura estesa di tipo subalpino

ed infatti è quasi interamente solcata da infrastrutture di trasporto (ferrovia, autostrada, strade extraurbane, piste ciclabili) che ne caratterizzano l'immagine paesaggistica in maniera fortemente connotata. Le valli laterali invece non manifestano, salvo rare eccezioni, elementi infrastrutturali differenziati, con la presenza preponderante del sistema stradale spesso affiancato da sistemi ciclabili a valenza perlopiù turistica. Analogamente le valli laterali si caratterizzano per la presenza di infrastrutture esclusivamente vocate al turismo ed all’ “escursionismo” in ambiente alpino, che non ritroviamo in val d'Adige: gli impianti a fune. È interessante notare come la connessione fisica tra le diverse vallate costituisca spesso la cesura tra i vari sistemi di trasporto, come se le barriere fisiche indotte dalla morfologia non potessero non diventare anche ostacoli all'interconnessione tra le varie mobilità. Sono

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le forre, i salti rocciosi, i rapidi cambiamenti di forma del territorio che impediscono la continuità delle infrastrutture? Osservando il caso concreto del Trentino parrebbe di sì: la forra del Limarò, la barriera di Ponte Pià, la gola del torrente Vela, l'Orrido del torrente Fersina, il salto tra Nago e Torbole, le valli del Vanoi, la gola del Noce in val di Non, le sponde pendenti della val di Cembra; sono tutti esempi di situazioni in cui il contesto territoriale impedisce un semplice raccordo tra i sistemi infrastrutturali ed impedisce la ramificazione libera della rete di trasporto, che quindi in corrispondenza di tali “emergenze naturali” trova ostacoli insormontabili o variazioni del livello di servizio che conseguentemente si ripartiscono sull'intera filiera. Non è un caso che la pur diffusa e sviluppata rete ciclabile trentina, il cui scopo è bene ribadirlo è soprattutto turistico e non trasportistico in senso stretto, risulti incom-


pleta proprio laddove il territorio rende ostico il collegamento ed oneroso il superamento dell'ostacolo naturale. Negli ultimi due decenni le risorse per la realizzazione di infrastrutture di trasporto si sono concentrate soprattutto sul sistema stradale, che infatti ha ormai raggiunto un livello di servizio estremamente sviluppato ed articolato (soprattutto se confrontato con contesti territorialmente analoghi nel resto d'Italia), con la sola eccezione di alcuni collegamenti non ancora completi (Loppio-Busa su tutti) e di qualche importante by-pass dei centri urbani più popolosi (variante di Cles, galleria di Comano Terme, circonvallazione di Pinzolo, varianti sulla S.S. 43 in val di Fassa). La rete stradale provinciale è quindi sostanzialmente “assestata” e le risorse (pur ridotte di recente) si concentrano sulle opere di completamento e cucitura. Ma gli altri sistemi di trasporto? Poco o nulla è stato realizzato negli stessi

decenni per quanto concerne il trasporto su ferro (con l'unico caso del prolungamento della Ferrovia Trento Malé) e nessun investimento ha riguardato il sistema aeroportuale. Certamente l'impatto finanziario delle opere relative spesso costringe ad attingere a quantitativi di risorse più complesse da reperire e da gestire in termini di appalti dei lavori, ed allo stesso tempo la scala delle infrastrutture strategiche è spesso sovra-regionale (il tunnel del Brennero lo dimostra). Diverso il caso delle piste ciclabili, la cui estesa rete percorre gran parte delle vallate trentine, le quali però, come già scritto sopra, non possono definirsi come sistema di mobilità per la popolazione residente, in quanto hanno anch'esse, in analogia con gli impianti a fune, una valenza principalmente turistica. Un discorso a parte meriterebbero i sistemi di trasporto delle merci; l'intermodalità gommabinario sviluppata sul territorio provinciale rap-

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presenta senza dubbio un esempio di politica trasportistica lungimirante, ma rimane confinato alle sole merci in transito e non riguarda la distribuzione delle stesse a scala intraterritoriale, il cui flusso è di fatto legato al solo trasporto su gomma; né le ferrovie locali sono in grado di modificare tale modalità visto che il compito di trasportare i passeggeri pendolari è del tutto preponderante. Il quadro infrastrutturale appena descritto impone una riflessione sulla corretta allocazione delle risorse finanziarie future dedicate al miglioramento della mobilità provinciale e non appare pensabile che l'obiettivo possa prescindere da una visione strategica di lungo periodo che interpreti correttamente il tema. I piani urbanistici provinciali in passato hanno sempre contenuto al proprio interno grandi “visioni trasportistiche”: il PUP del 1967 immaginava un arcipelago di piccoli aeroporti locali che consentissero di raggiungere rapidamen-


te i capoluoghi di valle; nel PUP del 2008 è stata invece inserita, ancorché nelle fasi finali della redazione del documento, l'ipotesi Metroland la quale rilanciava, questa volta per mezzo della ferrovia, una visione territoriale connessa ed una modalità di spostamento col mezzo pubblico effettivamente concorrenziale (visti i tempi ed i costi trasportistici presunti per l'utente finale) rispetto all'automobile privata. Purtroppo la concreta fattibilità di una tale visione è rimasta di difficile se non impossibile attuazione; ciò non toglie che si possano recuperarne lo slancio ed il “valore tecnico” all'interno di una nuova visione della mobilità provinciale. Ed il luogo deputato dovrebbe essere il Piano provinciale della Mobilità, normato in coda alla L.P. 5/2008, di cui però si sono nel frattempo perse le tracce. Ma quelle “visioni” caratterizzate da una grande carica utopica derivavano da una reale esigenza di mobilità e di connessione intraterritoriale. Non è certo ambizione di questo scritto trovare la soluzione al problema della mobilità provinciale, ma l'occasione è ghiotta per riflettere sul tema. E la provocazione che ne deriva vuole spostare il ragionamento dal piano concreto delle “strutture” al piano ideale del “sistema”. Possiamo permetterci anche solo di ipotizzare una multimodalità di trasporto estesa all'intero territorio provinciale? Possiamo cioè pensare che ogni valle abbia la sua strada, la sua ferrovia, il suo carosello sciistico eventualmente mascherato da mobilità alternativa? Forse è finalmente giunto il momento di investire sull'intermodalità, sulle connessioni tra le infrastrutture già presenti, sul completamento di una rete fatta di nodi e collegamenti di diversa natura ma che faccia dell'efficienza dell'interscambio la propria forza. L'intermodalità può essere una risposta sostenibile, sia in termini di costi di attuazione concreta qualora si configuri come un'attenta operazione di cucitura ed ottimizzazione di sottosistemi elementari, sia in termini ambientali, qualora si percepisca la potenzialità di ridurre l'incidenza ambientale dei “nodi” di trasporto attraverso la creazione di veri e propri “hub intermodali”, in luogo di più complesse ed impattanti connessioni multiple di singoli sistemi di trasporto, certamente meno reversibili e flessibili.

Alcuni esempi sono già stati realizzati (stazione intermodale di Pergine Valsugana, stazione intermodale di Daolasa), ma appaiono felici episodi isolati dei quali si fatica a replicare i benefici: più in generale ciò che sembra mancare è un disegno generale che pianifichi e racchiuda al proprio interno un progetto di mobilità territoriale complessivo adatto al territorio con il quale si interfaccia. La pianificazione integrata della mobilità dovrebbe essere anzitutto concepita come uno strumento fondante per la preservazione del territorio che consenta di contenere lo spopolamento delle valli decentrate e dei piccoli centri abitati più periferici che subiscono più di ogni altra realtà le conseguenze di un difficile accesso fisico ai servizi ed ai luoghi del lavoro e dell’istruzione: evitare che le difficoltà di spostamento causino il deperimento del rapporto uomo-ambiente è una strategia politica di governo del territorio che tende a preservarne l'integrità e l'attrattività. Un concetto di “mescolanza infrastrutturale” dovrebbe inoltre essere esteso anche alla modalità di utilizzo dei mezzi di trasporto, in termini di utenza, orari e pagamento: ad esempio un più generale ragionamento sulla multiutenza, quale l'integrazione tra l'utenza turistica e quella pendolare, può diventare uno strumento per incrementare la saturazione delle capacità dei singoli mezzi, con conseguente miglioramento dei costi di gestione. Parallelamente la diffusione di sistemi di pagamento evoluti e l'implementazione di sistemi di consultazione e fruizione degli orari e delle connessioni più completi e facili da raggiungere possono garantire l'ampliamento della platea degli utilizzatori. Infine, in termini di risorse finanziarie non sembra più procrastinabile lo spostamento di fondi all'interno dei bilanci pubblici dal capitolo di spesa per le opere a quello per le politiche di gestione della mobilità. Un'amministrazione che voglia investire in termini di mobilità sostenibile e di politiche virtuose deve poter attingere le risorse anche dal piano triennale delle opere pubbliche, perché di opere vere e proprie si parla in termini di risultati finali, ancorché virtuali (campagne informative, sistemi di gestione delle flotte, coinvolgimento degli stakeholders, educazione alla mobilità sostenibile) o “diverse” (trasporto pubblico locale, car sharing, car pooling).

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Conclusioni È ancora una volta la pianificazione lo strumento propedeutico alla concreta implementazione delle soluzioni, una pianificazione che deve però essere inclusiva verso le istanze di mobilità e nei confronti delle tematiche infrastrutturali, poiché diversamente il territorio non perdona. Non è consentito, in un ambiente fortemente caratterizzato dai caratteri morfologici, separare le strategie urbanistico-edilizie da quelle infrastrutturali e trasportistiche. Gli strumenti tecnici tipici della pianificazione dei trasporti (Piani del Traffico, Piani Urbani di Mobilità, Mobility Plan) devono trovare asilo all'interno dei piani subordinati (si pensi all'impatto sul traffico locale di alcune lottizzazioni o riconversioni industriali) per far sì che le previsioni urbanistiche e quelle trasportistiche siano intrinsecamente legate e funzionali ad un disegno generale organico ed integrato. La recente esperienza di alcuni documenti preliminari ai PTC insegna che questa integrazione pianificatoria è possibile ed efficace e dimostra che le competenze tecniche dei professionisti della pianificazione possono aiutare la comunità a raggiungere un livello di sviluppo efficiente anche semplicemente valorizzando le peculiarità territoriali e mettendo a sistema le potenzialità già presenti. La sfida che il territorio trentino può e deve affrontare è quella di immaginare un futuro infrastrutturale integrato, connesso ed intermodale il quale, pur essendo forse meno affascinante delle visioni dei PUP del passato, raggiunga comunque lo scopo di permettere alla cittadinanza di godere di un sistema di mobilità efficiente ed in armonia col paesaggio.


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LE TEORIE E LE ESPERIENZE

Azioni di comunicazione e cultura della mobilità sostenibile di Günther Innerebner e Patrick Kofler*

* Günther Innerebner (1975), laureato all'Accademia di Design di Bolzano e Patrick Kofler (1973), laureato in Scienze Naturali all'Università di Innsbruck, sono tra i soci fondatori ed amministratori dell'agenzia Helios - sustainable communication. La mobilità sostenibile è per loro più di una missione, è elemento fondamentale del loro stile di vita.

Una storia vera Corre l'anno 1999. Un gruppo di giovani studenti altoatesini si dibatte nella foresta amazzonica contro la calura e l'umidità. Ogni passo nel fango è una tortura. Davanti a loro un indigeno del popolo Shuar e due bambini, che però si muovono senza fatica nel loro elemento naturale, con passo sicuro e leggero. Poco dopo il gruppo arriva ad un piccolo torrente. Hanno fame e soprattutto sete. Günther, alto quasi 2 metri, è pronto a buttarsi nell'acqua per bere. L'indigeno lo ferma dicendo: «Non bere, acqua contaminata!». Lo Shuar si avvicina ad alcune piante di bambù e colpisce la canna. Poi con due colpi forti taglia una fessura. Lentamente esce del liquido trasparente. Sono alcune gocce d'acqua pura. Dopo un piccolo riposo il gruppo raggiunge una radura. Quello che si vede però non è un bel prato con mucche al pascolo, ma un impianto di estrazione di petrolio. Ecco perché l'indiano Shuar li aveva tenuti lontani dall'acqua. Da quel gruppo di studenti si è formata l'agenzia «Helios sustainable communication» e oggi la riposta di quei giovani a quell'intensa e sconvolgente esperienza sono i progetti di comunicazione nell'ambito della economia, energia, mobilità e cultura.

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Mobilità e la vita dell'uomo La mobilità è un bisogno primario dell'uomo. Rappresenta anche un'inevitabile fattore che accompagna la nostra vita di ogni giorno, cambiando la propria forma a seconda del comportamento dell'utente e del mezzo di trasporto utilizzato. Come nel caso di una personalità multipla la mobilità si rivela in identità, caratteri o stereotipi diversi, ma vista in maniera prettamente razionale la mobilità non risponde ad altro scopo che alla necessità di spostarsi da “A” a “B”. Quale di queste personalità della mobilità si esprima nel singolo, dipende dalle possibilità, dalle condizioni al contorno ma anche dalla capacità di identificazione del singolo con il tipo di mobilità. Sono comunque i fornitori dei servizi di mobilità che determinano queste molteplici personalità ancorando con specifiche azioni di marketing e di pubblicità determinate idee nel nostro immaginario collettivo. Il settore automobilistico è un esempio classico per questo processo. Mediante una strategia di comunicazione accattivante e perfettamente messa in scena esso sintetizza il prodotto dell'“auto-mobilità” di tutte le classi sociali, con il risultato di influenzare fortemente il sistema dei valori dell'individuo e di conseguenza il suo comportamento in fatto di mobi-


lità e dei relativi consumi. «(...) la cosa più grave è la completa mancanza di creatività e professionalità nella comunicazione e pubblicità (...)» Monheim, 2007, pag. 505] Prof. Dott. Heiner Monheim, Scienziato della Mobilità, Università di Trier, sul trasporto pubblico. La mobilità e le emozioni Quali sono le possibilità di una società moderna per affrontare e gestire la mobilità sostenibile? Quali sono le opzioni per influenzare il comportamento umano? Le tesi dei “Colloqui di Dobbiaco” del 2006 mettono a fuoco l'aspetto emozionale della comunicazione. «Una nuova cultura della mobilità nasce quando le persone vengono coinvolte, con la loro ragione e le loro emozioni, nella ridefinizione delle offerte di mobilità. Le emozioni non devono essere negate né amplificate artificiosamente, ma avere la possibilità di esprimersi in un contesto adeguato. Per la mobilità occorrono quindi soluzioni congegnate in modo tale da non essere solo accettate passivamente, bensì vissute attivamente perché associate a emozioni positive. Le città di Zurigo e Friburgo dimostrano come, passo dopo passo, sia possibile non solo sviluppare ulteriormente un'offerta multimodale già eccellente, ma anche far nascere su questa base una nuova cultura della mobilità. L'atteggiamento nei riguardi della mobilità deve cambiare, ma le esperienze maturate dimostrano che è senz'altro possibile rompere con le vecchie abitudini e la routine, purché le relative scelte politiche vengano effettuate in modo serio e coerente, in un costante dialogo con la cittadinanza. In un confronto pubblico le argomentazioni ragionevoli riescono a prevalere» (tradotto da Glauber, Hans: Frankfurter Allgemeine Zeitung, 24 novembre 2006, pag. 14). Il social marketing: verso una accelerazione culturale Punto d'inizio per giungere ad un'azione coordinata in favore della mobilità è rendere visibile e di conseguenza realizzare il valore centrale che la mobilità sostenibile ha per la qualità della vita in ambito urbano. L'accento sul valore aggiunto per l'individuo ha come conseguenza un innalzamento del valore attribuito ai mezzi di trasporto sostenibili in termini generali. Questi ultimi in ambito urbano ven-

gono dunque percepiti come alternativa attraente o addirittura come mezzo di trasporto migliore rispetto al trasporto privato motorizzato. La mobilità sostenibile diventa perciò espressione di una nuova cultura urbana e di uno stile di vita moderno. Lo spazio pubblico come spazio di vita per l'intera popolazione. L'obiettivo centrale di un'azione di marketing a favore della mobilità è la costruzione di una cultura della mobilità sostenibile per incrementare la qualità della vita. Si tratta dunque di iniziare a sostenere un processo culturale orientato e incentrato sui valori. Con azioni di comunicazione mirate (eventi, pubblicità, video, dialoghi con gli stakeholder) e la creazione di immagini e simboli chiave vogliamo sostenere e amplificare tendenze preesistenti generando dei segnali positivi. Queste misure avranno l'effetto di accelerare il processo culturale, sempre comunque in atto, verso una cultura della mobilità sostenibile che altrimenti impiegherebbe molto più tempo per svilupparsi. I valori su cui si posa la cultura di una società possono variare sensibilmente a livello individuale. La sfida consiste quindi nell'individuare macro valori come attitudini di ampia valenza o altri fattori condivisi a cui agganciarsi e di collegarli tramite immagini e messaggi positivi nei confronti della mobilità sostenibile. Per ottenere questo tipo di accelerazione culturale vengono applicati gli stessi principi del “brand building” e del “brand communication”. L'obiettivo di una campagna a favore della mobilità sarà dunque quello di costruire un marchio che venga percepito come un marchio di alto valore dal gruppo target. A questo scopo conviene utilizzare come ambito del marketing il „Social Marketing“, perché quest'ultimo mira a migliorare il consenso sociale e quindi anche il comportamento individuale rispetto a una determinata tematica. Il „Social Marketing“ si distingue dal marketing di matrice più classica per il fatto che come

obiettivo non ha il profitto di un'impresa, ma quello di aumentare il bene comune. Inoltre il social marketing non cerca di vendere un prodotto o un servizio, ma piuttosto di cambiare le abitudini della società. Per avere successo questo tipo di campagna deve includere il pubblico, i partner e rispettare diverse sensibilità politiche. Il „Social Marketing“ vuole trasformare i vari gruppi d'interesse in attori attivi del processo del cambiamento culturale. Un modello per il marketing sostenibile Se applichiamo questi concetti al cambiamento verso una cultura della mobilità sostenibile otteniamo un modello di generale applicabilità per tutte le attività di marketing che ne conseguono: Al centro sta il valore attribuito al sistema della mobilità sostenibile. Esso definisce l'attitudine e l'atteggiamento verso un nuovo marchio. La grafica presenta i tre fattori fondamentali del sistema di valori: - visibilità: la visualizzazione della mobilità sostenibile tramite il Corporate Design, azioni pubblicitarie e azioni in luoghi pubblici; - coinvolgimento : il coinvolgimento dei cittadini, ma anche dei gruppi di interesse. Significa integrare il pubblico nel processo di cambiamento; - identificazione: ogni individuo del gruppo target deve sentirsi appartenente al sistema e sentirlo in parte come proprio. Questi tre fattori psicologici si influenzano a vicenda e, se messi in sinergia, portano ad una attribuzione di valore maggiore verso la mobilità sostenibile.

Triangolo dei valori – Marketing emotionale, 2010"

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Posteggio bicicletta con integrato il simbolo del logo di Bici Bolzano

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Riassumendo, l'azione di marketing a favore della mobilità sostenibile porta ad una presa di coscienza da parte della popolazione. Le basi sono immagini in chiave positive, rese visibili e ben ancorate nella psiche del gruppo target. Tramite la costruzione di sinergie, reti e il coinvolgimento attivo del pubblico si garantisce un largo supporto a tutta l'azione. La partecipazione di gruppi d'interesse importanti, ma anche solo di personaggi conosciuti, dà ulteriore credibilità al concetto, rendendolo più noto e allo stesso tempo provocando lo sviluppo di una maggiore empatia nei confronti della mobilità sostenibile (identificazione e reputazione). L'esperienza di Bici Bolzano, città della bicicletta Il progetto mobilità sostenibile a Bolzano è visto come uno dei più riusciti della sua categoria. Rappresentanti di città di tutta Europa (Londra, Milano, Monaco, Roma, Francoforte, Breda…) si sono recati a Bolzano per studiare le peculiarità di questo progetto. La mobilità ciclabile a Bolzano è divenuta un fattore importante anche per il city marketing. Infatti, dopo il successo di Bolzano anche altre città Italiane come Trento, Schio, Cassano d'Adda o il comprensorio dei Comuni della Martesana hanno scelto di migliorare la loro mobilità ciclabile. Il marketing della mobilità ciclabile funziona solamente se infrastrutture e comunicazione interagiscono in maniera ottimale. È per questo che uno dei punti più importanti in questi progetti e stata la collaborazione tra progettisti e designer. A Bolzano è stata realizzata un'estesa rete di vie ciclabili che si snoda lungo otto assi principali e una serie di assi secondari. Oltre a ciò la città di Bolzano ha provveduto a eseguire molti altri interventi per realizzare un sistema viabilistico assolutamente favorevole alla bicicletta. In questo senso è stata particolarmente importante la creazione di parcheggi per le bici con i necessari supporti per il loro deposito. Prima di questo intervento gli spazi per posteggiare le bici erano pochi e risultavano male attrezzati. Anche il bike sharing, riorganizzato, ampliato e dotato di nuove biciclette di alta qualità ha riscontrato un grande successo. Tutti gli interventi sono ovunque stati contrassegnati dal

nuovo logo “BiciBZ”. L'esperienza di Monaco, capitale della bicicletta Nell'anno 2009 la città di Monaco di Baviera decise di promuovere in maniera integrale la mobilità ciclabile aggiungendo ai lavori infrastrutturali e di servizio una campagna di marketing. L'obiettivo dichiarato della campagna era di arrivare ad uno split modale del 17% in favore della bicicletta entro quattro anni. La mobilità ciclabile doveva rientrare a fare parte dello stile di vita (lifestyle) e della cultura della capitale bavarese. L'idea centrale della campagna era di creare un alto livello di identificazione della popolazione con la mobilità ciclabile. È stato quindi creato un marchio ed un posizionamento di Monaco come "Capitale della Bici" (Radlhauptstadt München) che tiene conto della voglia di superlativi della capitale bavarese, che non solo si sente la città italiana più settentrionale d'Europa, ma anche la vera capitale della Germania; è comunque la prima della classe indiscussa nei campi dell'economia, della moda, del calcio, della birra (vedi l'Oktoberfest) e via dicendo: punti forse discutibili, ma sicuramente presenti nella coscienza collettiva di Monaco. Oltre a questi fattori emozionali, essere all'avanguardia anche nel settore della mobilità ciclabile sottolinea il profilo di una delle città più sostenibili e con la qualità della vita più alta a livello mondiale. Monaco, infatti, dispone di più di 1.200 chilometri di piste ciclabili e nel 2010 aveva già uno share modale ciclabile del 14%, e quindi a livello di metropoli era prima in Germania ed una delle migliori tra le metropoli europee. Risultati certamente buoni, ma con un potenziale di sviluppo ancora enorme. Anche in questo senso il nome della campagna "Monaco - Capitale della Bicicletta" (Radlhauptstadt München), è un vero e proprio claim, cioè una pretesa e una promessa. Come esaudirla? Le linee guida vengono stabilite dal triangolo del valori. Quest'ultimo viene applicato all'accelerazione culturale nell'ambito della mobilità ciclabile. Una colonna portante del triangolo dei valori è dare visibilità alla tematica soprattutto nei luoghi pubblici, con l'organizzazione di grandi eventi con una forte partecipazione, la seconda colonna del triangolo, dei cittadini. La pubblicità quindi non presenta solo un'idea oppure

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un messaggio astratto, ma è un evento concreto con un valore concreto: vivere Monaco Capitale della Bicicletta insieme ad amici e molti altri partecipanti. La terza colonna, l'identificazione, è invece data dal logo, dal corporate design, dal nome della campagna, dal lavoro con i simboli conosciuti di Monaco. Il budget economico disponibile, pur superando il milione di Euro nel primo anno, risultò troppo scarso per concepire ed eseguire una campagna di un anno in una delle città più care d'Europa. La pubblicità classica quindi, oltre a non convincere in merito all'obiettivo da raggiungere (l'accelerazione culturale), risultò troppo cara. Quindi la comunicazione con la massa fu ed è tuttora gestita con il lavoro di stampa e sui social media. E sono sempre gli eventi che ci permettono di raccontare una storia e di avere delle immagini forti da presentare e quindi di distribuire in maniera indiretta il messaggio della campagna nei media classici in formato di articoli e redazionali. Alla fine l'importante è che il pubblico senta sensazioni positive, gioia, allegria quando pensa alla bicicletta e poi la usa. Entrando nello specifico della campagna comunicativa, essa si sviluppa in modo ripetitivo e con cadenza annuale mediante conferenze stampa, eventi pubblici e alcune serie di affissioni pubblicitarie. Gli eventi maggiori per il pubblico vengono organizzati principalmente in primavera ed in autunno, mentre i microeventi si svolgono in modo continuo. Tra gli eventi sono particolarmente interessanti e di successo il mercato per biciclette usate, accompagnato da momenti di intrattenimento per oltre 7.000 visitatori (Radlflohmarkt), oppure la “notte della bici” (Radlnacht) durante la quale un tracciato nel centro di Monaco di circa 10 km di lunghezza viene chiuso al traffico motorizzato e più di 10.000 partecipanti vivono la loro città in modo diverso e con emozioni nuove. In autunno la campagna organizza la famosa "Radl&Fashion Show", un sfilata di moda e bici per un moderno stile di vite urbano. Questo è un evento concepito per soli 600 invitati e circa 20 rappresentati dei media in modo da garantirne l'esclusività. Inoltre si possono elencare le giornate oppure il week end della bicicletta, dove scoprire nuove tecnologie e nuovi concept di bici. Per i più creativi vengono organizzati concorsi aperti al pubblico per elaborare altre tematiche connesse alla mobilità ciclabile


Simbolo chiave della campagna di marketing, la statua "Bavaria di Monaco" versione bicicletta

Logo della "Capitale della bicicletta di Monaco di Baviera" su asfalto di fronte al vecchio municipio di Monaco.

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Concorso d'idee per il tema "piĂš convivenza" fra gli utenti del traffico.


in maniera più creativa e coinvolgente. Quale offerta continuativa, è stato instaurato lo stand „Radl-Sicherheitscheck", uno stand mobile con due tecnici che controllano gratuitamente le bici e riparano guasti minori; questo Saftey Check gestisce circa 3000 biciclette controllate all'anno ed è un indizio per il fatto che la campagna produce un servizio ed un benefit concreto alla popolazione. Altra iniziativa continuativa è la "Schultournee" un'unità didattica per scuole elementari fortemente richiesta perché interpreta la bici ed il tema sicurezza in maniera coinvolgente e non scolastica. Infine, è stata realizzata una serie di affissione di grandi big-print (mega manifesti semi trasparenti) su edifici di proprietà della città con un messaggio chiaro: noi siamo la capitale della bicicletta. La campagna è stata sottoposta ad una valutazione scientifica eseguita dall'Istituto Wuppertal e da Raumkom, su incarico della Città di Monaco stessa. I valori in termini di modal

split, che la città si era prefissa di raggiungere dopo quattro anni, sono stati raggiunti dopo solo un anno di campagna. Il grado di notorietà del marchio aveva raggiunto, dopo nove mesi, il 5%, valore ritenuto molto alto, solitamente raggiunto solo con budget molto più elevati. Dopo cinque anni, la campagna si è conclusa nel novembre 2014. Non però in maniera definitiva. Nonostante il contesto politico fosse cambiato radicalmente nelle elezioni comunali del 2014, proprio su proposta della CSU, i cristiano-sociali, molto critici verso la campagna al suo inizio e per 20 anni all'opposizione, la campagna dovrebbe continuare a tempo indeterminato, far parte del budget standard del Comune ed essere dotata di un budget più alto rispetto agli ultimi tre anni. La mozione fu approvata con un solo voto contrario. È chiaro quindi che il tema ha raggiunto un ampio consenso politico-sociale e che quindi sia diventato parte della cultura “mainstream” di Monaco.

La notte in Bici a Monaco

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Fotografia di P. Baldessarini


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IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE

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IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE

La mobilità alternativa tra nuovi impianti a fune e nuovi hub intermodali di Giulio Ruggirello

La mobilità alternativa in Trentino-Alto Adige: come eravamo (molto) avanti Il legame tra l'ambiente montano ed i sistemi di trasporto a fune è molto stretto. Storicamente le origini dei sistemi di trasporto di persone mediante impianti a fune sono strettamente correlate alle allo sviluppo del turismo in ambiente montano - soprattutto alpino - ed in particolare alla pratica delle discipline invernali dello sci alpino. Gli impianti consentono infatti, l’aflusso di turisti alle quote elevate consentendo il collegamento delle cosiddette “stazioni sciistiche” con il fondovalle e gli insediamenti dotati di ricettività alberghiera e servizi alla vacanza. La regione Trentino Alto Adige ha ricoperto in passato un ruolo pionieristico nella progettazione e nello sviluppo di sistemi di trasporto a fune e nel territorio possiamo ancora trovare testimonianze di alcuni impianti dalle origini molto lontane nel tempo ovvero segni di infrastrutture che fino a poche decine di anni or sono erano perfettamente funzionanti ma sono state, per motivi perlopiù finanziari e gestionali, dismesse o abbandonate. Risale al 1903 la costruzione della funicolare della Mendola - Mendelbahn, primo impianto di questo tipo nell'allora Tirolo, classico esempio di cremagliera a fune traente e binari di appoggio che, dopo essere stata completa-

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mente rinnovata nel 2009 con l'aggiunta di una fermata intermedia, svolge tutt'ora il ruolo di collegamento tra la zona del lago di Caldaro ed il passo Mendola, con valenza principalmente turistica e panoramica. Del 1908 è invece la realizzazione della prima (anche se il primato pare conteso da un'analoga realizzazione svizzera) funivia per il trasporto di persone, quella “del Colle” di Bolzano - Kohlerer Bahn, anch'essa tutt'ora funzionante ed interconnessa alla rete di trasporto pubblico bolzanina e ad un parcheggio. A Trento bisogna aspettare qualche anno in più, ma nel 1925 è l'ora della funivia TrentoSardagna, costruita per collegare il sobborgo al fondovalle superando in un solo slancio il doppio ostacolo rappresentato dal dislivello e dal fiume Adige. Lo stesso anno viene inaugurata la funivia Zambana (vecchia)-Fai-Dosso Larici che per arditezza e dislivello diventa un riferimento mondiale, salvo poi essere sostituita, causa frana di Zambana, dalla cosiddetta “direttissima Paganella”, un impianto impressionante che collegava direttamente il paese di Lavis in sinistra Adige con la cima Paganella oltre i 2.000m di quota. Soprannominata anche l'“ascensore delle Dolomiti”, presentava una pendenza massima del 105% e rimase in servizio dal 1957 al 1979, per poi essere dismessa per questioni legate ai costi di manu-


tenzione e sostituzione dei cavi. Di entrambi questi impianti sono tutt'ora ben visibili anche dal fondovalle i tralicci abbandonati lungo le balze della montagna (non certo un esempio di reversibilità applicata). Un primato lo può vantare anche la provincia di Trento, con la realizzazione nel 1935 della prima slittovia d'Europa sul Bondone che consentiva la pratica dello sci alpino tramite una specie di grande slitta sulla quale gli sciatori salivano sci in mano per farsi trascinare a monte lungo un percorso di neve battuta. Nel 1965 è invece la volta della funivia Mezzocorona-Monte, rinnovata

nel 2005, la quale funge da servizio di trasporto per turisti e residenti della località che sovrasta la piana Rotaliana. Di recentissima realizzazione è invece un brillante esempio di hub intermodale, un polo di connessione di più sistemi di trasporto - treno+bus+auto+cabinovia - che vede nella presenza dell'impianto di risalita a fune la caratteristica peculiare. Si tratta della stazione di Daolasa ultimata nel 2007 che consente di arrivare sulle piste da sci della val di Sole direttamente salendo sulla ferrovia Trento-Malé-Marilleva a Trento.

Tutte le realizzazioni suddette ben configurano il livello di abitudine ai sistemi di trasporto a fune che le popolazioni del Trentino Alto Adige hanno sperimentato da inizio '900 ad oggi, ma il ruolo da padrone nell'immaginario collettivo lo hanno certamente gli impianti di risalita a servizio dello sci alpino i quali, si sono diffusi via via durante il secolo scorso fino ad arrivare ad una rete notevolmente estesa e diffusa che ad oggi serve decine di comprensori sciistici con sconfinamenti oltre i limiti regionali ed un'attrattività turistica di livello mondiale. Lo stato della mobilità alternativa: gli esempi virtuosi (e non) Gli impianti a fune si distinguono tra impianti a terra o terrestri (con binari o sistemi analoghi di scorrimento e portate orarie mediamente superiori a fronte di un bisogno di una sede propria) e impianti sospesi (svincolati dal suolo e indipendenti quindi dall'andamento planialtimetrico, ma con l'esposizione al vento a creare potenziali difficoltà di esercizio, con portate inferiori ma leggerezza e impatto ambientale favorevoli). Entrambe le tipologie possono a loro volta essere divise tra “va e vieni” (ad esempio la classica funivia) e “movimento continuo” (ad esempio la classica cabinovia-seggiovia alpina per lo sci). Della categoria, ma con alcuni distinguo, fanno parte gli APM - Automated People Mover (trasportatore automatico di persone) - su sede propria ed automatizzati completamente (senza personale a bordo quindi), che possono eventualmente presentare un sistema di trazione a fune che li rende quindi una sorta di ibrido tra una funicolare terrestre ed un impianto a fune a movimento continuo; non troviamo alcun esempio in regione di questo tipo di sistema, ma è una delle alternative proposte per il tanto discusso, per ragioni soprattutto ambientali, collegamento San Martino di Castrozza - Passo Rolle. Le funicolari terrestri generalmente sono più costose da realizzare per le opere strutturali necessarie, mentre quelle sospese risultano più semplici e più facili da rimuovere, ma appaiono più impattanti da un punto di vista paesaggistico (un po' come avviene per le pale eoliche) pur consentendo di “sfruttare” il panorama durante l'utilizzo, con indubbi risvolti per quanto concerne la piacevolezza

Slittovia Bondone 1935

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Funivia Trento - Sardagna

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del viaggio. In questo scritto ci si vuole soffermare sugli impianti a fune soprattutto come concetto di trasporto di persone per mobilità (Trasporto Pubblico Locale) analogamente ad autobus, tram, metropolitane ecc. ed in maniera marginale agli impianti per il turismo, i cui scopi esulano dalla potenzialità di collegamento intermodale tra differenti sistemi di trasporto esistenti. Gli impianti a fune costituiscono infatti una risorsa potenziale da implementare quali possibili elementi di collegamento (link) tra nodi esistenti per il completamento di una rete di trasporto in ambiente alpino o subalpino, dove le problematiche legate ai dislivelli accentuati rendono più inefficienti i tradizionali sistemi di trasporto su rotaia o gomma. L'inefficienza è da intendersi in senso trasportistico lato, quindi sia in termini di costo di realizzazione che di costo di spostamento (incluso il tempo necessario allo spostamento stesso quindi). Nei sistemi a fune si hanno tipicamente poche fermate - nel caso tipico solo due, le stazioni di partenza e di arrivo - e lunghezze ridotte, limitate al massimo a poche migliaia di metri di sviluppo, ma tali sistemi funzionano bene in combinazione con altri e diventano praticamente imbattibili quando vi sono ostacoli naturali molto importanti, quali laghi, corsi d'acqua, dislivelli accentuati e continui. Difficile risulta la loro implementazione all'interno dei nuclei urbani, dove si prestano soprattutto alla connessione tra nodi attorno ai quali sviluppare sottoreti secondarie; in questo senso la compattezza della forma urbana favorisce l'implementazione di sistemi di trasporto puntuali, mentre edificazioni estese e “sparpagliate” diventano di difficile collegamento per la necessità di introdurre troppe stazioni intermedie che vanificano i vantaggi intrinseci dei sistemi a fune. È quindi difficile collegare un continuo urbano o una somma di agglomerati tramite un sistema di trasporto a fune, ma ciò non toglie che si possano ipotizzare situazioni ibride in cui l'impianto funiviario svolge un ruolo parallelo a quello di altri sistemi che abbiano ad esempio raggiunto un livello di saturazione della propria capacità di trasporto. Nello specifico della provincia di Trento, i dati sugli impianti a fune sono disponibili alla consultazione sul sito web del Servizio Impianti a Fune provinciale; dall'analisi delle tabelle pub-

blicate si ricavano alcuni numeri interessanti, di seguito riassunti: - funivie bifuni “a va e vieni” – 10 impianti – 16,4 km – 8.230 p/h - funivie monofuni a collegamento temporaneo - 88 impianti – 134,3 km – 178.440 p/h - funivie monofuni a collegamento permanente - 90 impianti – 20,5 km – 128.477 p/h - sciovie (skilift) - 51 impianti – 22,6 km – 38.726 p/h per un totale di oltre 193 km di impianti e 350.000 persone/ora di capacità di trasporto. Un po' come se tutti i trentini residenti di maggiore età potessero in un'ora essere portati a spasso per il cielo. Tra tutti questi chilometri di cavi d'acciaio in Trentino esiste allo stato attuale un solo vero e proprio impianto di trasporto urbano a fune (funivia urbana), rappresentato dalla funivia cittadina Trento-Sardagna, che svolge servizio quotidiano per la popolazione residente nel sobborgo ed in maniera estremamente limitata per i turisti in visita al capoluogo, soprattutto da quando non è più presente l'attrazioneorso e da quando il “centro Panorama” risulta abbandonato a sé stesso; è invece parzialmente identificabile come sistema di trasporto urbano l'impianto funiviario del Monte di Mezzocorona, che serve i pochi residenti ed alcune attività ricettive presenti, ma soprattutto effettua un servizio di natura turisticoescursionistica. Nello specifico della funivia Trento-Sardagna, i dati forniti da Trentino Trasporti che è proprietaria dell'impianto e ne cura l'esercizio, parlano di un costo di gestione medio totale annuale pari a circa 500.000euro, l'80% dei quali per i costi del personale addetto; nel 2013 sono stati trasportati 111.173 passeggeri in circa 50 corse al giorno (con una media di 3 passeggeri a cabina per corsa quindi), con un costo unitario pari a circa 4,50euro, a fronte di ricavi per poco più di 80.000euro, che coprono circa il 15% del costo di funzionamento. Tutti gli impianti restanti sono di fatto impianti a scopo turistico e “ricreativo” e risultano perlopiù utilizzati in maniera stagionale, con un livello di sfruttamento del territorio alpino piuttosto spinto e soggetto sempre più alla riduzione del periodo di attività invernale a causa della diminuzione della nevosità, parzialmente recuperata attraverso gli impianti di innevamento artificiale. Viene quindi spontaneo chie-

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dersi quale possa essere il futuro di alcuni comprensori sciistici, soprattutto a quote inferiori, ma non è questa la sede per considerazioni ambientali e turistiche. Ciò che importa è capire come il know-how acquisito in più di un secolo di costruzione ed esercizio di impianti a fune possa adesso diventare un punto di forza per la progettazione di sistemi di trasporto integrato ed intermodale in ambiente montano. Le potenzialità sono molte e le prospettive, determinate soprattutto dal relativamente ridotto costo di realizzazione, allettanti: se da un lato appare difficile immaginare una diffusione degli impianti a fune nelle zone urbane per la citata problematica di osmosi tra punti di salita-discesa e tessuto costruito, molto meno difficoltoso sembra immaginare un sistema diffuso di collegamenti tra centri urbani e tra fondovalle e paesi in quota, sulla scorta di esempi virtuosi presenti anche nel vicino Alto Adige, come le teleferiche della Val Venosta o la funivia del Renon, che, recentemente rinnovata, costituisce un valido caso studio per gli ottimi risultati ottenuti. L'esempio del Renon risulta utile per introdurre un argomento delicato che spesso impedisce ai decisori di valutare l'ipotesi impianto a fune quale alternativa concreta tra i vari sistemi di trasporto disponibili: il sorvolo. Nell'immaginario comune appare stravagante se non addirittura pericolosa l'ipotesi che cabine più o meno grandi passino sopra le teste (ed i tetti) degli abitanti delle nostre città; ma gli esempi nel mondo di realizzazioni simili sono ormai molti e sembra più che altro che sia un problema culturale di approccio ideologico a frenare le sperimentazioni in tal senso. La norma che regola il trasporto su fune, un decreto nazionale valido anche nella nostra Regione senza particolari restrizioni, non impedisce infatti che un impianto funiviario sospeso sorvoli gli edifici, purché vi siano le necessarie misure di sicurezza e franchi relativi (le distanze tra le cabine e gli ostacoli fissi sul terreno) adeguati; le problematiche fondamentali da valutare sono quelle dell'incendio (delle case, non delle cabine) e del soccorso dei passeggeri in caso di guasto. Entrambi gli aspetti possono essere tecnicamente risolti, e la funivia del Renon, che nel tratto iniziale passa sopra molti palazzi e case di abitazione, lo dimostra. Un caso emblematico per la valutazione del problema è dato dal progetto di collegamento Bressanone-Plose,


dove una funivia ad alta capacità dovrebbe collegare la stazione del treno (con annessi autobus e parcheggi) con la località sciistica eliminando così gran parte del traffico veicolare dalle strade cittadine verso le pendici della montagna. Il progetto è sotto valutazione dell'Amminis-trazione e delle popolazione che in un referendum apposito si è detta contraria alla realizzazione dell'opera a favore di un più tradizionale - e rassicurante - servizio autobus potenziato. Gli impianti a fune vengono spesso loro malgrado affiancati al concetto di “mobilità alternativa”, espressione sotto cui si cela la volontà di attribuire funzioni di trasporto pubblico locale non ben precisate a progetti di collegamento sciistico altrimenti poco difendibili sul piano economico-ambientale: a tal proposito risulta emblematico il caso del collegamento funiviario Pinzolo-Campiglio realizzato pochi anni or sono in val Rendena con l'intento dichiarato di ridurre drasticamente l'afflusso

Funivia Bolzano - Renon

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di veicoli privati verso Madonna di Campiglio favorendone l'attestamento presso la stazione di partenza di valle ubicata nel centro del borgo di Pinzolo. Il tentativo, pur nobile, non ha sortito gli effetti sperati, un po' per la difficoltà di rientro “sci ai piedi” per chi parcheggia (gratuitamente) l'auto nel parcheggio dedicato alla stazione di valle, con orari di collegamento per il ritorno troppo anticipati e sciabilità delle piste verso Pinzolo piuttosto aleatoria, un po' per il costo del ticket giornaliero, la cui differenza supera il costo dello stazionamento presso i parcheggi degli impianti di Campiglio, dove il livello di servizi annessi allo sci è nettamente più allettante per il turista di giornata. Un tentativo poco riuscito quindi, ma un esempio da studiare per i casi futuri di collegamenti tra versanti di comprensori sciistici o per il completamento di sistemi di arroccamento da valle, che in altri contesti hanno dimostrato di funzionare piuttosto bene (si pensi ad esempio al caso Predazzo-Obereggen).


Conclusioni: eravamo dei pionieri. Ed ora? La situazione dei sistemi di trasporto su fune in provincia di Trento pare quindi congelata in una sorta di stallo; da un lato gli investimenti pubblici in impianti di risalita a servizio dello sci alpino sono risultati spesso poco remunerativi, per usare un eufemismo, dall'altro non vi sono particolari slanci verso nuove progettualità che rinvigoriscano lo spirito pionieristico dei sistemi di trasporto a fune di inizio '900. Negli ultimi decenni sono stati affrontati due casi emblematici di progetti di impianti a fune - ciascuno per una tipologia tipo - che non hanno mai avuto la luce e che potevano rappresentare, in particolare per la città di Trento, due sfide interessanti ed orientate al futuro; da un lato il tanto discusso progetto di collegamento in funivia col monte Bondone, affrontato già a partire dal 1987 e successivamente rispolverato a più riprese perlopiù in corrispondenza delle quinquennali campagne elettorali comunali, dall'altro il progetto di collegamento città-collina Povo-express del 2005, quale risposta all'annosa esigenza di collegamento tra i poli universitari e di ricerca della collina est del capoluogo trentino ed il centro storico. Un esempio virtuoso di recente realizzazione in provincia di Trento è invece rappresentato dalla stazione intermodale di Daolasa, dove la convivenza felice di treno (con eventuale bici al seguito), autobus, autorimessa e cabinovia costituisce un pregevole esempio di integrazione trasportistica e visione turistica. Le stazioni di questo tipo, dette anche hub intermodali per la capacità di collegare contemporaneamente una pluralità di sistemi di trasporto concentrando l'interscambio in uno spazio ridotto, possono rappresentare il futuro dell'integrazione trasportistica provinciale, e la

Stazione intermodale di Daolasa

combinazione con gli impianti a fune risulta strategica per le prospettive di destagionalizzazione del turismo in montagna in parallelo con il contenimento dello spopolamento delle valli. Ancora una volta “interconnessione ed intermodalità” appaiono come parole chiave per lo sviluppo trasportistico provinciale, vista la scarsità di risorse finanziarie e la disponibilità di sistemi di trasporto molto sviluppati ed efficienti da collegare tra loro. Un modello di esercizio integrato in grado di intercettare la domanda sia dei residenti sia dei turisti rappresenta lo scenario all'interno del quale far tornare i conti della mobilità provinciale, utilizzando il know-how sugli impianti a fune acquisito nei decenni per il target turistico verso un nuovo approccio all'intermodalità, sfruttando le caratteristiche vincenti degli impianti a fune nelle situazioni inefficienti per gli altri sistemi - a causa di forti pendenze ed ostacoli importanti.

Riferimenti bibliografici: - “Trasporto urbano...dalla parte di chi deve scegliere” di Andrea Marocchi in Quota Neve n. 161 settembre-ottobre 2011 - “O.I.T.A.F. 2011” di Josef Nejez in ISR International Ropeway Review 2011 - http://www.sif.provincia.tn.it/ - decreto n. R.D. 337 - 08.09 del 16 novembre 2012 detto “Decreto Infrastrutture” - Piano stralcio della mobilità Collegamento San Martino di Castrozza - Passo Rolle

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Fotografia di L. ChistĂŠ


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IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE

Pianificare la mobilità a scala sovracomunale: i PTC dell’Alto Garda e Ledro e della Vallagarina di Francesco Avesani

Introduzione I territori delle Comunità di Valle Alto Garda e Ledro, a ovest, e Vallagarina, a est, occupano il basso Trentino con rispettivamente 350 kmq e 700 kmq di superficie. La prima Comunità è formata da 8 Comuni ed è abitata da una popolazione di circa 50.000 residenti, dei quali più di due terzi risiedono ad Arco e Riva del Garda; la seconda è formata da 17 Comuni in cui abitano circa 90.000 persone, di cui il 40.000 circa a Rovereto. Oltre alla contiguità territoriale, le due Comunità condividono una geografia che presenta caratteri similari, con i centri principali (la conurbazione Riva-Arco da un lato, Rovereto dall'altro) a fungere da baricentri per le valli minori e le relazioni con gli altri centri. È forse anche questo aspetto ad aver fatto sì che di recente, con l'opportunità creata dall'avvio dei processi di stesura dei Piani Territoriali di Comunità, e in particolare con l'approvazione dei Documenti Preliminari, ambedue le Comunità si siano dotate di strumenti pianificatori della mobilità sostenibile di area vasta dal forte carattere innovativo sia nell'approccio che nei contenuti. In entrambi i casi infatti il processo di pianificazione della mobilità di area vasta è germinato con la stesura dei Piani Urbani della Mobilità

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(nel seguito PUM) dei centri maggiori (Rovereto da un lato e Arco e Riva del Garda dall'altro), grazie alla maturata consapevolezza della necessità di estendere l'ambito di studio, analisi e proposta all'ambito territoriale di riferimento, se l'obiettivo è rendere realmente efficace l'attuazione delle politiche per la mobilità sostenibile. Un dato quantifica forse nel modo migliore la forza della correlazione tra centri principali e loro comprensori di riferimento sotto il profilo della mobilità. Un dato che nasce dall'elaborazione dei dati sul pendolarismo ISTAT¹ ed ha trovato poi conferma in altre diverse indagini e analisi svolte nell'ambito dei rispettivi piani: degli spostamenti pendolari che interessano le due Comunità, l'84% per l'Alto Garda e l'80% per la Vallagarina si svolgono internamente ai rispettivi territori (cioè hanno sia origine che destinazione al loro interno). Si tratta quindi di sistemi relazionali in gran parte “autoreferenziali” sotto il profilo della mobilità delle persone, se si esclude chiaramente la mobilità turistica con tutto il suo rilevante peso stagionale. Ecco quindi come la dimensione dei comprensori, o comunità di valle, si presenta come quella ideale per costruire una nuova “governance” della mobilità (sostenibile) urbana.


La mobilità su area vasta La stagione della pianificazione del traffico iniziata coi primi anni '90, grazie all'impulso che il nuovo Codice della Strada aveva dato all'istituzione dei Piani Urbani del Traffico, ha prodotto risultati sicuramente apprezzabili sul fronte delle tecniche per l'organizzazione della circolazione veicolare e sul miglioramento della viabilità di numerosissime città. Tuttavia a distanza di vent'anni risultano evidenti a tutti i limiti di questo approccio nel soddisfare questioni sostanziali oggi non più eludibili se relazionate agli impegni conseguenti alle strategie internazionali inerenti impatto ambientale, salute umana, energia nonché relazionate alla crisi delle finanze pubbliche. Il tasso di motorizzazione è costantemente aumentato (secondo l'ultimo Rapporto ACI, la consistenza del parco veicolare in Trentino è cresciuta del 50% dal 2000 al 2013, l'aumento più alto tra le Regioni in Italia, e il tasso di motorizzazione in Provincia di Trento è pari a 0,74 auto/ab con una media nazionale di 0,62 auto/ab che ci vede secondi nella graduatoria della UE28 dietro al Lussemburgo) e il traffico motorizzato di conseguenza. Solo la crisi dal 2009-2010 in poi ha fermato, quando non ridotto, l'incontrastato aumento del traffico veicolare dalla data di nascita dell'automobile ai giorni nostri, come dimostrano gli andamenti storici sulla rete autostradale ma anche i rilievi dei flussi veicolari eseguiti in numerose realtà urbane e non. Un'opportunità da sfruttare per parlare di “mobilità” e non di “viabilità”? Di sistemi democratici “multimodali” piuttosto che di monarchia “autocentrica”? Di una pianificazione urbanistica più integrata con la pianificazione della mobilità? Oggi l'Unione Europea sta rilanciando i PUMS, Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (mentre i PUM italiani rimangono strumenti “volontari” secondo quanto enunciato da un semisconosciuto articolo della Legge 240/2000 che li ha istituiti), fondati su alcuni pilastri fondamentali, tra cui il coinvolgimento dell'area vasta attorno ai centri urbani, la partecipazione di cittadini e portatori d'interesse, la quantificazione degli obiettivi e il loro monitoraggio nel tempo per verificare l'efficacia delle azioni intraprese. In Trentino sono diversi i Comuni che si sono dotati di un PUM: Trento, Rovereto, Arco, più

di recente Pergine Valsugana, e, in corso di stesura, Riva del Garda e Cles. Come già detto, la Vallagarina e l'Alto Garda e Ledro sono le prime comunità in Trentino ad analizzare approfonditamente le prospettive per la mobilità sostenibile in una logica di area vasta, superando la logica che storicamente ha lavorato sull'adeguamento e incremento dell'offerta di infrastrutture a favore di un approccio nuovo orientato al governo della domanda di mobilità (mobility management) ed alla mobilità intelligente (smart mobility).

nità mette in luce una visione comune su alcuni temi strategici rilevanti per lo sviluppo della mobilità sostenibile nei rispettivi territori. Un primo tema trasversale è quello della “governance”, tema di estrema attualità nella stagione delle riforme delle istituzioni e degli Enti Locali a livello nazionale e regionale trentino. Assodato che le politiche per la mobilità sostenibile debbano valicare i confini amministrativi dei Comuni, i Piani individuano nella capacità di coordinamento tra i diversi attori pubblici e privati, che a diverso titolo si occupano di infrastrutture, servizi, comunicazione per la mobiliLa pianificazione della mobilità in Vallagari- tà del territorio, uno dei fattori di efficacia del na e Alto Garda e Ledro: questioni metodo- processo di attuazione di tali politiche. Il sistema del trasporto collettivo, i servizi per la logiche Nel caso della Vallagarina il “Piano della Mobi- mobilità condivisa (bike sharing, car sharing, lità Sostenibile” rappresenta un elaborato car pooling), il sistema della sosta, la gestione autonomo annesso a tutti gli effetti al Docu- della viabilità accresceranno le proprie potenmento Preliminare del PTC a seguito di un zialità e sinergie qualora si realizzi una maggior primo Documento Preliminare Stralcio in mate- integrazione sul piano della gestione, della ria di Mobilità “Linee guida e prime indicazioni governance e della capacità di fornire informasulle emergenze di mobilità”, con il quale la zioni all'utenza. Comunità si era impegnata a raccogliere e ordi- Questo significa pensare di istituire una “cennare per priorità una serie di istanze dei Comu- trale della mobilità” (Vallagarina) o “agenzia della mobilità” (Alto Garda), intesa come “cenni aderenti. La finalità del Piano della Mobilità Sostenibile tro di servizi fisico e virtuale” o “cabina di della Vallagarina sta nella condivisione di un regia”, orientata a creare gli strumenti per far “progetto di mobilità sostenibile” che affronti dialogare maggiormente le strutture tecniche in modo organico il tema della mobilità di che si occupano di mobilità sul territorio (dagli macroarea declinandone obiettivi, strategie uffici tecnici dei comuni e della provincia ai ed azioni in funzione di uno sviluppo sostenibi- gestori dei servizi di trasporto e sosta) ed a forle ed armonico del territorio da porre come nire informazioni integrate migliori “on denominatore comune al PTC. Si potrebbe demand” e “real time” agli utenti. definire quindi il percorso del PMS un percor- Monitoraggio dei flussi veicolari, gestione della so “parallelo” a quello di stesura del PTC, in cui sosta e dei servizi per il Park&Ride, centrale per i tecnici di CAIRE – Urbanistica s.c. hanno l'infomobilità, agenzia per la comunicazione affiancato sul tema della mobilità il gruppo di della mobilità sostenibile, organizzazione di eventi ed iniziative promozionali, agenzia per il lavoro interno che si è occupato del PTC. Un percorso “integrato” con quello di stesura mobility management, gestore di car sharing e del PTC ha caratterizzato invece la pianifica- bike sharing, sono solo alcune delle funzioni zione della mobilità sostenibile in Alto Garda e che dovrebbero essere se non assegnate ad un Ledro. La costituzione di un gruppo multidisci- soggetto unico, perlomeno coordinate ed orgaplinare esterno costituito da tecnici che hanno nizzate unitariamente in modo più proficuo. lavorato fianco a fianco, con la società Netmo- Questo soggetto deputato al mobility manability srl a occuparsi della mobilità, ha prodotto gement rappresenterebbe cuore e cervello di quale risultato finale un PTC in cui contenuti, una “smart-community”, la cui rete neurale è analisi, strategie e progetti sulla mobilità si formata da sensori sul territorio, da intendersi sono armonizzati ed integrati, anche nello stes- come strumenti di misurazione ma anche so indice dei contenuti di Piano, con quelli pae- come individui che forniscono e socializzano saggistici, urbanistici, economici, sociali, ener- informazioni attraverso i propri smartphone. Il tema della “smart mobility” trova anch'esso getici. Tuttavia, il raffronto tra i piano delle due Comu- spazio in entrambi i piani, che intravedono

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nello sviluppo di servizi “on demand” (es. servizi di trasporto a chiamata) e di informazioni “real time” (stato dei parcheggi, traffico sulla rete, ritardi dei mezzi pubblici) la possibilità di mettere l'innovazione tecnologica a servizio di una maggior facilità di spostamento per i cittadini e i turisti. Particolare risalto è dato poi dai due piani al modal split. L'uso del mezzo motorizzato privato interessa il 62% e il 63% rispettivamente degli spostamenti dell'Alto Garda e Ledro e della Vallagarina. Ragionare di “mobilità nuova” significa ridurre progressivamente questa quota nel tempo fino ad abbassarla ad una percentuale vicina al 50%. La ricetta proposta per raggiungere questo risultato viene denominata “mobilità multimodale”, da intendersi come l'insieme di politiche ed azioni (interventi infrastrutturali e immateriali) in grado di mettere le persone nelle condizioni di spostarsi consapevolmente nel modo più intelligente in funzione della destinazione del viaggio e delle proprie esigenze. Il quadro delle nuove infrastrutture stradali, associato al potenziamento della sosta di interscambio e di attestamento e ad un sistema di accessibilità ai centri attrattori più selettivo per i veicoli, viene interpretato come uno dei modi per ridurre la pressione del traffico veicolare sui centri abitati e come una condizione che apre alle opportunità di riqualificazione dello spazio pubblico urbano ed allo stimolo all'utilizzo delle modalità di spostamento alternative alla mobilità motorizzata privata. Nella logica di una mobilità “da porta a porta” e “senza intoppi” (concetto espresso anche nel Libro Bianco dei Trasporti della UE) a livello di macroarea diventa fondamentale creare le condizioni perché si sviluppino “catene” di spostamenti eseguiti con mezzi sostenibili realmente concorrenziali rispetto all'uso dell'auto privata, sia sul piano dei tempi ed organizzativo sia su quello economico. Ciò significa lavorare innanzitutto su un servizio di trasporto pubblico strutturato in modo tale da favorirne l'uso come mezzo principale di uno spostamento articolato in viaggi eseguiti con più mezzi. Tutte le fermate devono configurarsi come nodi di interscambio, con piedi e bicicletta quelle minori, con autoveicoli e bike sharing nei parcheggi di interscambio, con treno o altri autobus presso le stazioni ferroviarie. Sotto il profilo degli interventi strategici proposti, si riconoscono svariati punti in comune tra i due piani, dalle idee per il potenziamento del traspor-

to pubblico di bacino alle azioni per la promozione della ciclabilità anche sul piano della mobilità sistematica, oltre che su quello della fruizione turistica e del tempo libero, alla creazione di “aree a pedonalità privilegiata” come contesti che accrescono la qualità e il comfort urbano, rendendo i centri abitati più vivibili ed aumentando la percezione di benessere di chi li vive. Alcuni di questi verranno ripresi nella descrizione delle “highlights” dei singoli Piani. Merita riportare qui come elemento di forte interesse comune per la Vallagarina e l'Alto Garda e Ledro il tema del collegamento ferroviario tra Rovereto e l'Alto Garda, ritenuto la linea a cui dare in assoluto priorità in tutto il Trentino per le potenzialità espresse dalla domanda di mobilità sistematica e turistica. Raffrontando le istanze del territorio dell'Alto Garda e Ledro con alcuni degli elementi che attengono alla fattibilità tecnico-economica di un progetto importante ed oneroso come quello della Linea Azzurra di Metroland, i piani condividono l'idea che il sistema di trasporto collettivo sull'asse Alto Garda – Rovereto debba soddisfare le seguenti condizioni: - risultare concorrenziale rispetto all'uso dell'autovetture privata, per tempi e costi di viaggio; - interfacciarsi al meglio col progetto dell'AV/AC del Brennero, per offrire agli utenti diretti in Alto Garda una possibilità di interscambio vero e realistico; - disporre di fermate intermedie, attrezzate come veri e propri nodi intermodali (parcheggio, fermata bus, ciclostazione, info-point, ecc.), nell'ottica di un servizio metropolitano di bacino che serva adeguatamente l'utenza pendolare. In particolare, anche per la migliore accessibilità rispetto alla “stazione urbana” di Rovereto, il Piano della Vallagarina ritiene vada necessariamente toccata anche la stazione di Mori, che si configurerebbe come una “stazione territoriale” di comunità. Particolarmente stimolante la riflessione sul collegamento con la futura linea AV/AC del Brennero in rapporto al numero di interscambi effettuati dagli utenti provenienti da fuori regione. Se sarà rispettato l'impianto del progetto preliminare, l'unica stazione sulla linea AV/AC in Trentino sarà nel capoluogo Trento. La linea di collegamento con l'Alto Garda dovrà quindi da qui partire, toccando Rovereto e Mori partendo direttamente da Trento; si

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ritiene che un ulteriore cambio di mezzo a Rovereto risulterebbe alquanto penalizzante per l'utente e rischierebbe seriamente di ridurre le potenzialità di utilizzo del sistema. Provocatoria, ma dal forte valore simbolico, la proposta alternativa di individuare in Vallagarina (a nord di Rovereto?) la sede per la stazione trentina della futura linea AV/AC, da mettere poi a sistema col resto del sistema ferroviario metropolitano esistente, da valutare in considerazione del peso significativo degli spostamenti pendolari ed internazionali/turistici del basso Trentino rispetto a quelli dell'area di Trento. Rimane il fatto che i Piani colgano l'importanza di “stare in Europa” sia nell'approccio sia in progetti come quello del collegamento ferroviario, e in questo senso individuino come strategico il rapporto tra l'Alto Garda, straordinaria attrattività turistica, e la Vallagarina, sua principale e più veloce porta d'accesso, nel costruire progettualità sinergiche mirate a mettere in relazione la mobilità sostenibile con un certo tipo di fruizione del territorio che ben si sposa con essa essendo legato alla cultura, al benessere, allo sport outdoor, all'enogastronomia e ai prodotti tipici. Il Piano della Mobilità Sostenibile della Vallagarina Del Piano della Mobilità Sostenibile della Vallagarina alcuni punti vale la pena evidenziare in particolare. Il contenimento dell'infrastrutturazione viaria Per perseguire l'obiettivo di un modal share coerente con il modello della mobilità nuova, occorre rivedere per quanto possibile la consuetudine di assecondare la domanda di mobilità con interventi di nuova infrastrutturazione a servizio del trasporto privato e studiare le strategie per il governo della domanda, orientandola verso forme di trasporto meno impattanti sull'ambiente, sul territorio e sulla società nel suo complesso. Una razionalizzazione e gerarchizzazione della viabilità che parta dalla verifica delle possibilità di sfruttare meglio l'esistente è peraltro principio stabilito dal Protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi e che trova sponda nella recente stabilizzazione dei flussi veicolari sulle strade. La realizzazione di infrastrutture viarie più che un'invariante della pianificazione urbanistica


Il Piano della MobilitĂ Sostenibile della Vallagarina

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dovrebbe essere valutata come una delle alternative possibili sullo stesso piano di altre politiche nel processo di scelta insito nella pianificazione della mobilità (e non del traffico) che sta alla base di uno sviluppo armonico e sostenibile del territorio. Esempi di questo approccio risultano le valutazioni portate dal piano su tangenziale est e tangenziale ovest di Rovereto, due infrastrutture dibattute da anni. Gli effetti della loro realizzazione, misurati con apposite simulazioni modellistiche, sono soppesati rispetto agli ingenti costi ed all'impatto rispetto agli obiettivi di modal split. Sotto questi profilo le nuove strade risultano spostare veicoli circolanti, non ridurli, con un indubbio beneficio sulla circolazione di Rovereto ma con vantaggio pressochè nullo sulle emissioni inquinanti in atmosfera. Per questo, mettendo in “concorrenza” la scelta di infrastrutturare con altri progetti strategici, il piano valuta per le Valli del Leno, interessate alla tangenziale est, soluzioni legate a servizi di trasporto a chiamata, alla mobilità condivisa, alla sosta di attestamento alle porte di Rovereto e mostra come efficaci politiche per il modal shift (mirate ad una riduzione del traffico privato di un 10%) porterebbero a risultati migliori della tangenziale ovest nello stesso orizzonte temporale attuativo del medio-lungo termine. Un modal split virtuoso Per la Vallagarina assume un livello di importanza primario innescare un modal shift che porti la ripartizione modale degli spostamenti a riequilibrarsi con decisione a favore dei sistemi di trasporto sostenibili, basati sull'uso del mezzo collettivo, della bicicletta e della condivisione dei mezzi. L'elemento di interesse sta nel fatto che il Piano non enuncia un obiettivo teorico, ma ne verifica la fattibilità andando a stabilire obiettivi specifici più dettagliati e le misure per raggiungerli. Portare dal 63% al 50% l'uso del mezzo privato si traduce così in una riduzione del 30% del traffico veicolare interno alle principali conurbazioni (1 automobilista su 3 diventa pedone, ciclista, utente TPL), in una riduzione del 20% del traffico veicolare indotto nell'area coperta dal trasporto pubblico di bacino, in una riduzione del 20% del traffico veicolare scambiato dalla Vallagarina con l'esterno sulle direttrici servite oggi o in futuro dal treno, in una ridu-

zione molto più contenuta del 3% del traffico privato per tutte le altre relazioni origine/destinazione, per le quali è più difficile offrire servizi di trasporto sostenibili alternativi. Peraltro è da sottolineare come le proiezioni tengano conto degli incrementi demografici attesi dal PTC, ribadendo ancora una volta come solo attraverso le politiche per il modal shift si ottiene, anche in futuro, una riduzione dei veicoli circolanti rispetto ad oggi.

(ma anche ciclabili!) esistenti anche come strade per conoscere e scambiare relazioni oltre che come corridoi di transito e attraversamento. Allegata al Piano, una carta mostra il concept di un “progetto di valorizzazione del paesaggio stradale” che identifica alcuni dei luoghi che potrebbero costituire la rete delle attrazioni da mettere in relazione al corridoio plurimodale della Val d'Adige.

La ferrovia e l'asse multimodale del Brennero Il potenziamento del sistema ferroviario auspicato viaggia su due binari: quello veloce dei collegamenti internazionali e quello più lento ma comunque competitivo dei collegamenti regionali. Oltre che sulla realizzazione della linea Rovereto – Alto Garda, il progetto del nuovo sistema metropolitano su ferro punta a valorizzare la stazione di Rovereto come “stazione di città” e quella di Mori come “stazione di comunità” della Vallagarina e dell'Alto Garda nonché come polo logistico per le merci. Andrebbero poi recuperate le stazioni dismesse per organizzare un sistema di stazioni minori in grado di servire la gran parte della popolazione della Vallagarina (il Piano stima 68.000 residenti e 31.000 addetti) con distanze da percorrere inferiori ai 10 min di auto. Si tratta di cifre di un certo peso, che non tengono conto peraltro degli spostamenti occasionali e dei movimenti dei turisti. Un sistema così configurato sarebbe in grado di servire adeguatamente la mobilità sistematica e di accrescere le opportunità di un turismo associato ad una fruizione “slow” del territorio. Il sistema potrà entrare in funzione a regime nel lungo termine, ma progressivamente potrà essere reso funzionale attraverso la rivitalizzazione delle stazioni dismesse.

Il Piano della Mobilità dell'Alto Garda e Ledro Nel Piano dell'Alto Garda e Ledro i contenuti sono sempre trattati tenendo conto della dualità rappresentata da mobilità sistematica e mobilità occasionale/turistica.

Un progetto di valorizzazione del paesaggio stradale I cospicui investimenti per il potenziamento dell'asse ferroviario del Brennero e l'attenzione progettuale volta a fluidificare gli assi stradali primari che segnano la valle potrebbero essere accompagnati parallelamente da una progettualità più interessata a valorizzare i caratteri insediativi e le potenzialità attrattive del territorio, che legga le infrastrutture viarie

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Mobilità sistematica e mobilità turistica Il peso della mobilità occasionale è tale da fare dell'estate il periodo dell'anno in cui la pressione del traffico veicolare sulla rete viaria è maggiore e da uniformare sugli stessi volumi di traffico i fine settimana e i giorni feriali durante la maggior parte dell'anno. Si contrappongono così da un lato le criticità associate alla congestione della viabilità (di accesso e interna) nei periodi di traffico intenso, dall'altro le potenzialità, ormai comprese da tutti gli attori istituzionali, sociali ed economici che operano nel territorio della Comunità, di una mobilità “nuova” che trova nella bicicletta il modo di trasporto di maggior successo, con l'altissimo numero di biciclette che impegnano la rete dei percorsi urbani, del tempo libero ed escursionistici. Secondo l'Osservatorio Provinciale per il Turismo, la vacanza in bici in Alto Garda genera delle ricadute economiche dirette sul territorio di poco inferiori ai 77 milioni di euro all'anno. Per il target dei turisti si registra già il successo di una strategia di marketing mirata ad una fruizione del territorio come “outdoor park” che ben si sposa con la mobilità ciclabile e pedonale nonché con i concetti di salute e benessere della persona. Occorre rafforzare questa visione lavorando oltre che sull'offerta per il tempo libero del turista anche sull'offerta per l'accessibilità del turista al territorio sia per quel che riguarda le infrastrutture sia per quel che riguarda i servizi e le informazioni. Non solo “cosa ti faccio fare quando sei qui” ma anche “come ti faccio arrivare” e “come ti fac-


cio spostare in Alto Garda”. Nelle analisi e nelle proposte sulle reti di trasporto il Piano si muove su questo doppio livello, mobilità sistematica e mobilità del tempo libero, contemperando con attenzione le esigenze di entrambe.

L'organizzazione della sosta Nel caso dell'Alto Garda e Ledro gli impatti della mobilità motorizzata, oltre che ai picchi stagionali, vanno associati alla pressione del traffico veicolare sui centri abitati e sulla viabilità interna, da collegare anche ad una forte disponibilità di sosta al loro interno ed alla mancanza di alternative concorrenziali. A differenza che nei parcheggi organizzati ad accesso controllato, la sosta su strada è difficilmente governabile e indirizzabile, generando “traffico parassitario” che interessa la viabilità interna alla ricerca dello stallo libero. Inoltre l'offerta di sosta nei centri abitati risulta dimensionata per rispondere ai picchi stagionali ma rimane poi libera e inutilizzata nei lunghi periodi di morbida, configurando un'occupazione poco funzionale ed ambientalmente impattante del suolo pubblico, che, all'interno dei centri abitati, preclude un utilizzo dello spazio ad altre funzioni e componenti di traffico lente (pedonalità e ciclabilità). Il Piano propone quindi una riorganizzazione funzionale strategica del sistema della sosta che sappia fungere da filtro al traffico veicolare di penetrazione verso i centri abitati. Il filtro dovrà essere organizzato con membrane dalla tessitura/funzione via via più stretta: interscambio lungo la viabilità primaria che dà accesso al territorio, attestamento esterno da localizzare in posizione perimetrale rispetto ai centri abitati, attestamento interno da spostare il più possibile nei parcheggi organizzati disincentivando la sosta su strada. Per far funzionare il “filtro” della sosta di attestamento, dev'essere particolarmente curato l'ultimo miglio che conduce l'utente dal parcheggio alla sua meta finale. A seconda della distanza dalle centralità che devono servire, i parcheggi di attestamento devono essere attrezzati con punti informativi, fermate del trasporto pubblico, servizi di bike sharing. I percorsi pedonali di collegamento con i centri devono risultare gradevoli, confortevoli ed appetibili. L'esperienza del camminare tra il parcheggio e la propria metà finale deve diventare parte essenziale dello stare in un territorio di qualità come si presenta l'Alto Garda.

Il sistema del trasporto collettivo e l'hub intermodale I due elementi cardine per lo sviluppo del trasporto pubblico proposto sono la realizzazione del collegamento ferroviario Rovereto – Alto Garda, di cui si è già detto, e di un trasporto pubblico locale su gomma di bacino riconfigurato di conseguenza. A fare da collante, la rete dei nodi intermodali e dei servizi annessi. Il Piano si pone la questione di quale sia il modello di trasporto di bacino più adatto e sostenibile, in un territorio come quello dell'Alto Garda caratterizzato da una domanda di mobilità diffusa e reticolare e in più da una domanda fortemente stagionale. La risposta viene trovata non tanto nella realizzazione di un sistema di trasporto di massa a guida vincolata, suggestiva quanto onerosa in termini economici rispetto ai mesi dell'anno in cui l'utenza turistica si aggiunge a quella sistematica per fare massa critica, quanto piuttosto in un sistema di tre linee da far viaggiare su altrettanti assi forti nella “Busa” (toccando i centri di Riva, Arco e Torbole), da potenziare in frequenza e comfort, e in un sistema a servizio delle aree periferiche “a domanda debole”, per le quali trovare modalità innovative e fattibili come i servizi a chiamata o i taxi collettivi. La fermata del nuovo sistema di trasporto di massa dell'Alto Garda dovrà configurarsi come un vero e proprio polo intermodale, in cui localizzare tutte le attrezzature e i servizi per l'intermodalità delle persone (parcheggi, fermata/stazione TPL, ciclostazione e bike sharing, info point e accoglienza dei visitatori, car sharing) e delle merci (centrale “city logistic”, magazzini e depositi). Il Piano individua nell'area più a sud all'interno del polo industriale del Linfano il sito ideale per accogliere questo hub intermodale, per la sua posizione baricentrica, che garantisce una buona accessibilità verso tutti i Comuni dell'Alto Garda e Ledro, per la possibilità di una riconversione funzionale di parte delle strutture esistenti, per Mobilità lenta privilegiata nei centri abitati l'occasione che tale soluzione determina di riqua- La “pedonalizzazione” dei centri abitati prolificazione urbana di tutta l'area industriale. mossa dal Piano va inquadrata in un processo più generale di recupero della dimensione di

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vivibilità dei centri abitati in grado di accrescerne anche il potenziale turistico, le relazioni di vicinato, la fruizione degli spazi pubblici e dell'aria aperta che rappresentano i punti di forza del comprensorio. Il termine che il Piano utilizza (“pedonalizzazione”) richiama la creazione di condizioni di fruizione privilegiata degli spazi da parte della mobilità lenta ciclopedonale e la creazione di spazi sicuri che costituiscono nel contempo condizione e obiettivo di uno sviluppo armonico del territorio ispirato da criteri di sostenibilità sociale ed ambientale in primo luogo. All'interno dei centri abitati per la riqualificazione della viabilità si adotteranno in modo diffuso le tecniche comuni di moderazione del traffico. Oltre ad istituire i 30 km/h all'interno dei centri abitati, le progettualità legate alla riqualificazione dovranno porsi l'obiettivo di riequilibrare l'uso degli spazi pubblici a favore della pedonalità e della mobilità lenta, facendo largo uso di un arredo urbano di qualità che induca percettivamente maggior attenzione al conducente dell'autovettura e nel contempo comfort e piacere nel pedone e nel ciclista. La socialità e le relazioni ne usciranno accresciute a tutto vantaggio anche del commercio e delle attività economiche, come dimostrano le migliori esperienze europee di successo. “Pedonalizzare” i centri abitati significa creare condizioni ideali anche per un maggior sviluppo della ciclabilità. Va da sé che la realizzazione di percorsi ciclabili rappresenta comunque uno degli ingredienti fondamentali della ricetta. È fondamentale che la rete ciclabile non risulti come sommatoria di percorsi ma come un vero e proprio sistema di trasporto caratterizzato da continuità e sicurezza dei percorsi, comfort e riconoscibilità visiva. Conclusioni Le esperienze di pianificazione della mobilità sostenibile di area vasta in Vallagarina e Alto Garda e Ledro possono in questo momento storico rappresentare un esempio per il Trentino, e non solo. La riforma dell'assetto istituzionale in atto a diversi livelli spinge verso forme di aggregazione per le quali si pongono, tra le altre, le questioni dell'organizzazione dei servizi e del governo del territorio. Con questa prospettiva, la mobilità sostenibile rappresenta uno di quei temi che risulta naturale, oltre che vantaggioso, affrontare in un qua-


Il Piano della Mobilità dell’Alto Garda e Ledro

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Fotografia di E. Rosà

dro organico di macroarea. Ciò significa trovare le modalità per fare sintesi tra istanze diverse quand'anche contrapposte nelle diverse porzioni di territorio, valutare e mettere in concorrenza tra loro le politiche alternative, stabilire di conseguenza in modo condiviso le priorità in modo da avviare una programmazione delle risorse razionale e coerente con gli obiettivi prefissati. Obiettivi che non hanno a che fare solamente con il tema dei trasporti e della mobilità, ma anche con quelli relativi alle altre dimensioni strategiche dello sviluppo territoriale (ambiente, energia, paesaggio, cultura, economia, ecc.).

Quale considerazione finale, vale la pena ricordare come il Piano della Mobilità Provinciale², che ad oggi risulta costituito da un atto di indirizzo della Giunta Provinciale risalente all'anno 2000, “è approvato, anche per stralci tematici o territoriali o relativi a singole opere e interventi strategici, previa conclusione di un'intesa con le comunità interessate con richiamo alle Norme in materia di governo dell'autonomia del Trentino”. Una prospettiva che godrebbe oggi delle condizioni di contesto ideali per essere rilanciata, associandola al tema dell'intercomunalità.

Note 1. I dati sul pendolarismo su base comunale sono forniti da ISTAT in occasione dei censimenti decennali della popolazione e riguardano numero e caratteristiche degli spostamenti eseguiti per motivi di studio e di lavoro. 2. Il Piano della Mobilità Provinciale è riconducibile ad oggi all'”Atto di indirizzo sulla mobilità” approvato dalla Giunta Provinciale con DGP n.1948 del 28 luglio 2000, e, in base a quanto disposto dalla L.P. n.3/2000, dovrebbe costituire lo strumento pianificatorio per l'attuazione delle politiche provinciali e per la programmazione delle opere e degli interventi a carattere strategico sotto l'aspetto della mobilità sostenibile coerentemente con gli obiettivi e le azioni strategiche del P.S.P.

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IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE

Oltre l’infrastruttura per una nuova cultura della mobilità di Giuliano Stelzer *

* Giuliano Stelzer – Servizio Urbanistica e pianificazione della mobilità del Comune di Trento

Gestire la mobilità di un sistema complesso come quello di una città è compito molto difficile perché richiede la capacità di contemperare esigenze estremamente eterogenee, a volte contrapposte. Gestire la mobilità di Trento è compito ancora più difficile perché alla complessità tipica di ogni città si somma la complessità dovuta a una orografia particolare che vede la città articolarsi in più sobborghi e su più livelli altimetrici con una distribuzione della popolazione di circa il 60% nel fondovalle e il 40% nei territori di collina e di montagna. Sintetizza in modo molto efficace questo aspetto caratterizzante di Trento la definizione di città arcipelago data all'inizio degli anni 2000 dal gruppo di consulenti per la variante generale al Piano Regolatore Generale. Inoltre il ruolo di capoluogo e in particolare la concentrazione di servizi, dei luoghi di lavoro e di studio, aumenta l'attrattività di Trento nei confronti non solo del territorio comunale ma anche di quello provinciale. Quando i comuni della provincia erano 223, 222 contavano pendolari che gravitavano giornalmente sulla città. I dati sui flussi di traffico evidenziano che giornalmente entrano nel territorio del Comune

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circa 100.000 veicoli (omogeneizzati) e che l'80% di questi si fermano nella città mentre solo il 20% è traffico di attraversamento. A questi flussi di traffico si sommano i flussi interni al Comune tra sobborghi e città. Nella convinzione che non sia possibile sacrificare a tale pressione gli spazi urbani rassegnandosi ad accettarli come banali canali di traffico o come magazzini temporanei per automobili, con tutte le ovvie conseguenze in termini di degrado della qualità ambientale e urbanistica della città, nel 2010 il Comune di Trento si è dotato di un Piano Urbano della Mobilità (PUM). Il PUM si può definire un quadro di coerenza entro cui collocare le molte iniziative nel campo della mobilità con riguardo alla pedonalità, alla ciclabilità, al servizio di trasporto pubblico, al sistema dei parcheggi scambiatori e di attestamento, ai sistemi di mobilità alternativi, all'introduzione del car sharing e del car pooling, alla definizione di zone a traffico limitato o di rilevanza urbanistica, alla gestione del traffico privato e della sosta privata (causa la congiuntura economica sfavorevole, le previsioni del PUM sono state realizzate per ora solo parzialmente, ma la sua visione rimane assolutamente attuale e confermata


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Fotografia di L. ChistĂŠ


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dall'Amministrazione comunale). Nella consapevolezza che la complessità sopra accennata non possa trovare soluzione in un unico intervento (ad esempio non è pensabile che a Trento si riesca a trasferire una quota così significativa di traffico dall'auto privata alla bicicletta tale da risolvere il problema), il PUM ha scelto come strategia per conseguire gli obiettivi prefissati la multimodalità. Multimodalità significa l’uso di più sistemi di trasporto a seconda dello spostamento da effettuare, in considerazione dell'offerta di mobilità e dei vincoli territoriali e infrastrutturali, nell'ottica di una accessibilità alla città che sia rispettosa della città stessa e delle sue condizioni ambientali. Sintesi delle principali modalità di mobilità nella visione del PUM di Trento. La pedonalità – è una modalità di spostamento decisamente sottovalutata. Soffre spesso la scarsa qualità dei percorsi ma anche il peso di convinzioni legate più a distanze psicologiche che fisiche. E' il caso della zona in destra Adige considerata come zona fuori città ma distante dal centro storico allo stesso modo di ampi brani della città consolidata. Nel dibattito sullo spostamento delle scuole delle vie Brigata Acqui e Barbacovi nella zona ex Italcementi, molti lamentavano l'impoverimento della città derivante da questo trasferimento all'esterno; se però si punta un compasso su piazza del Duomo e lo si apre in modo da ricomprendere le scuole delle vie Brigata Acqui e Barbacovi, con la stessa apertura si ricomprende anche la zona ex Italcementi. Non si tratta quindi di una distanza fisica ma psicologica per la quale arrivare al di là della ferrovia e al di là del fiume significa uscire dalla città ovvero andare in un posto psicologicamente molto lontano. Le isocrone della pedonalità evidenziano invece come moltissime aree della città sarebbero facilmente raggiungibili a piedi. Si tratta di darne evidenza e di rendere maggiormente attrattiva questa modalità di spostamento con il miglioramento dei percorsi. La ciclabilità – come anticipato, la ciclabilità nel comune di Trento non può essere considerata la soluzione unica per eliminare il traffico dalle strade, ma ha comunque grandi potenzialità quantomeno nel fondovalle. Come per la pedonalità, il problema è di tipo infrastrutturale (il Comune

è fortemente impegnato per il potenziamento della rete ciclabile) ma anche culturale. C'è ancora chi ritiene che la bicicletta venga utilizzata solo nella bella stagione o chi ritiene che venga utilizzata esclusivamente nel tempo libero. Evidentemente non è così, basti pensare ai livelli di ciclabilità delle città del nord Europa e al fatto che il transito delle biciclette nei giorni feriali crolla negli orari tipicamente lavorativi e scolastici. Nelle previsioni del PUM un intervento perfettamente coerente con il concetto di multimodalità è il servizio di bike sharing con chiave elettronica recentemente attivato grazie a un progetto finanziato e gestito dalla Provincia Autonoma di Trento in collaborazione con i Comuni di Trento, Rovereto e Pergine Valsugana. La possibilità di prelevare una bicicletta di questo servizio presso una delle stazioni installate in città e depositarla presso una qualsiasi altra stazione, oltre ad aumentare il livello di condivisione di una stessa bicicletta dando la possibilità a chiunque di riutilizzarla, introduce la possibilità di utilizzare temporaneamente un mezzo per una specifica tipologia di spostamento che, in funzione di esigenze di viaggio modificate, potrebbe benissimo modificarsi per il percorso di ritorno. Il trasporto pubblico locale – per il territorio di Trento è il sistema con le maggiori potenzialità per modificare le modalità di accesso e spostamento nella città. Il problema principale dell'attuale servizio (anche nella versione recentemente modificata) è quello della commistione con il traffico privato che costringe gli autobus a velocità commerciali ridotte e non competitive con il mezzo privato (se i mezzi pubblici e privati viaggiano in commistione, la velocità del mezzo pubblico è quella del mezzo privato che viaggia sulla stessa tratta, gravata però dai tempi delle fermate e quindi inevitabilmente inferiore). La previsione del PUM è quella di dotare la città di un sistema dorsale in sede propria ad alta frequenza, obiettivo che il Comune intende perseguire con la massima convinzione. In attesa di tale realizzazione, lo sforzo compiuto, tramite una riorganizzazione del servizio introdotta a febbraio di quest'anno, è stato quello di modificare il servizio di trasporto in modo tale da renderlo più veloce e quindi più attrattivo. I tempi di percorrenza, da quanto

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emerge dalle rilevazioni compiute nelle fasi di analisi per la redazione del PUM, sono l'elemento che più di altri disincentiva dall'uso del trasporto pubblico. La riorganizzazione del trasporto ha considerato quali criticità da risolvere proprio quelle evidenziate da chi attualmente non utilizza gli autobus: 1 – tempi di percorrenza, 2 – comfort, 3 – adeguatezza del servizio, 4 – (evidenziato con percentuali assolutamente marginali) costi del servizio. L'ambizione del Comune è infatti quella di far evolvere il servizio perché non venga più inteso come il sistema di trasporto di chi non può permettersi l'uso di un'automobile. I percorsi sono stati semplificati con particolare riferimento allo snodo di piazza Dante e i tempi di percorrenza conseguentemente ridotti. Il traffico privato e la sosta – il traffico privato è fortemente condizionato dalla possibilità di sostare. Non ha infatti significato un viaggio in auto in città che non preveda la sosta. Per questo l'intervento del Comune si è concentrato sulla regolamentazione della sosta estendendo le zone a pagamento (stalli blu) e differenziando le tariffe a seconda del grado di utilizzo degli stalli, prevedendo il più possibile tariffe agevolate per i parcheggi di struttura rispetto a quelli su strada. Il sistema privilegia i residenti (pur con limitazioni al numero di contrassegni previsti per la sosta sugli stalli blu) e tende a disincentivare l'utilizzo del mezzo privato, se non strettamente necessario, per il quale si cerca di garantire un numero minimo di stalli liberi (per questo la differenziazione delle tariffe a seconda del grado di utilizzo degli stalli) in modo da evitare traffico improprio (quello speso per la sola ricerca del parcheggio). Va peraltro evidenziato che l'offerta di parcheggio a Trento è assolutamente adeguata. Si rileva infatti una saturazione dei posti disponibili solo in un paio di occasioni l'anno coincidenti con le maggiori fiere cittadine. La visione Smart nel campo della mobilità Nel concetto complesso di smart city, l'aspetto della smart mobility è centrale. La scelta di passare da una mobilità tradizionale a una sostenibile nelle smart city non è vista come una rinuncia ma come una scelta


decisamente conveniente nell'interesse collettivo ma anche del singolo. Questa visione pervade completamente il Piano Urbano della Mobilità della città di Trento. La mobilità smart parte dall'assunto che il cittadino deve essere messo nelle condizioni di constatare la convenienza a utilizzare il meno possibile la propria auto e a questo si stanno orientando tutti gli interventi, da quelli per la ciclabilità a quelli per il trasporto pubblico. L'efficacia di questi interventi è indissolubilmente legata alla loro conoscenza da parte dei fruitori della città ma, nell'ottica della multimodalità, questa non può ridursi alla banale conoscenza delle linee e degli orari degli autobus, della presenza del servizio di bike sharing, della presenza di parcheggi in struttura. Quello a cui la smart mobility ambisce e di cui la multimodalità necessita è la conoscenza del percorso più veloce per raggiungere la propria destinazione e della combinazione di mezzi ideali per effettuarlo; è la conoscenza della disponibilità di mobilità in quel determinato momento; è la conoscenza dei tempi di percorrenza nella prospettiva di muoversi a piedi; è la conoscenza degli orari degli autobus alla fermata che interessa e della posizione dell'autobus che si intende prendere per apprezzarne l'eventuale ritardo (che nei casi in cui coincide con il proprio ritardo può diventare un elemento di facilitazione all'utilizzo del servizio di trasporto pubblico); è la conoscenza della disponibilità di biciclette nella stazione più vicina al luogo di origine del bike sharing e la posizione della stazione più vicina al luogo di destinazione, è la possibilità di prenotarne l'utilizzo; è la conoscenza della disponibilità di parcheggio per l'auto e delle tariffe della sosta. Un accesso alle informazioni sulla disponibilità di mobilità in tempo reale è condizione ideale per affrontare la mobilità in ottica multimodale. Su questi temi il Comune di Trento sta lavorando in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler. E' già stata elaborata una applicazione per smart phone, Viaggia Trento, che si sta implementando sempre più proprio per facilitare l'accesso ai vari sistemi di mobilità e facilitare così la pratica della multimodalità. Ma le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) aprono le porte anche

alla partecipazione della comunità allo sviluppo del proprio sistema di mobilità sollecitando il ritorno di informazioni da parte degli utenti in un processo di feedback. Evidentemente l'alfabetizzazione tecnologica dei cittadini rappresenta un passaggio fondamentale all'interno del progetto di smart city, ma l'evidenza dei fatti dimostra che questa è la direzione che il mondo ha intrapreso e questa va sfruttata per perseguire gli obiettivi che la comunità si è data. Conclusioni Oltre l'infrastruttura non vuol dire che la mobilità si possa gestire senza nuovi interventi. L'offerta di mobilità è infatti determinante per sollecitare e governare la domanda di mobilità. Oltre l'infrastruttura vuol dire che gli interventi hanno senso solo se inseriti in una visione chiara di città, solo se il sistema della mobilità si sviluppa contestualmente allo sviluppo della città e non sia costretto a rincorrere le nuove espansioni o i nuovi luoghi di destinazione. Oltre l'infrastruttura vuol dire facilitare il più possibile l'accessibilità alle informazioni affinché le infrastrutture siano sfruttate al meglio e consentano il feedback che i sistemi ICT offrono per migliorarsi costantemente. Questo è il percorso che il Comune di Trento ha intrapreso.

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IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE

L’esperienza del car sharing in Trentino di Marco Cattani*

*Marco Cattani – Ingegnere, è direttore di Trentino Mobilità. Dal 2014 fa parte dei Consigli di Amministrazione di Trentino trasporti esercizio (come vicepresidente) e di Trentino trasporti, le società provinciali del trasporto pubblico.

Introduzione Il possesso di un'automobile comporta una quota di spese fisse che può risultare significativa, in rapporto ai costi complessivi degli spostamenti che il veicolo permette al suo possessore. Per questo, il concetto di condividere tra più utilizzatori un'unica auto di proprietà (per un utilizzo regolare e non del tutto saltuario, come per gli autonoleggi) non è assolutamente nuovo: le prime esperienze di car sharing risalgono infatti agli anni '70 e '80, essenzialmente nei paesi dell'Europa centrale, come Svizzera e Germania. Il servizio è promosso per lo più da gruppi di persone particolarmente motivate, soprattutto dal punto di vista ambientale, ed è basato sulla fiducia reciproca: essenzialmente le spese per il mantenimento dell'auto vengono suddivise in base ai km effettuati da ciascun utilizzatore, registrati in maniera manuale su libretti di bordo appositi. In seguito, tali servizi pionieristici evolvono verso forme più strutturate, e negli anni '90 si iniziano a diffondere servizi professionali di car sharing. Il primo paese dove il fenomeno assume dimensioni significative è la Svizzera, dove si riscontrano condizioni particolarmente favorevoli (vedremo in seguito quello che ciò significa).

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È invece negli anni 2000 che il car sharing si afferma e assume dimensioni rilevanti, in diversi paesi dell'Europa occidentale e del Nord America. I fattori fondamentali per la diffusione di un servizio di questo tipo sono: - la presenza di realtà urbane organizzate, nelle quali le esigenze quotidiane di mobilità personale sono assicurate da efficienti reti di trasporto pubblico e di percorsi ciclabili, e dove il possesso di un'auto comporta oneri elevati per il suo parcheggio, oltre che per l'acquisto e il mantenimento; - una sensibilità ambientale diffusa, con la consapevolezza da parte di strati di popolazione sempre più ampi degli effetti negativi sull'ambiente generati dal traffico veicolare; - l'evoluzione tecnologica, che consente di rendere accessibili e sempre più immediati servizi di condivisione di risorse, non solo autoveicoli: la cosiddetta sharing economy. Anche in Italia il car sharing arriva nei primi anni 2000, su impulso del Ministero dell'Ambiente, che promuove (e finanzia in maniera significativa) il consorzio ICS - Iniziativa Car Sharing. Ad esso aderiscono i pochissimi car sharing già attivi e quelli che nascono per l'occasione: il servizio


diventa così disponibile in molte tra le principali città italiane. Accanto a questa esperienza, fenomeno unico a livello nazionale, nasce nel 2002 il Car sharing di Bolzano, ad opera di una cooperativa, che non si affilia a ICS e che ricalca in buona parte lo spirito dei car sharing delle origini: l'idea è sostenuta da un gruppo di persone sensibili dal punto di vista ambientale e si basa in parte sul lavoro volontario dei soci; inoltre, le modalità operative adottate per l'organizzazione del servizio fanno leva sul senso civico degli aderenti, sfruttando solo in parte i nuovi strumenti tecnologici. I servizi di car sharing e la multimodalità A questo punto è opportuno un breve passo indietro, per chiarire precisamente che cosa si intenda per un servizio di car sharing. Sintetizzando un maniera un po' brutale, il car sharing è un autonoleggio self-service. A differenza del noleggio tradizionale, infatti, il cliente è pre-registrato al servizio, attraverso una iscrizione una tantum, e accede autonomamente ai veicoli della flotta messa a disposizione del gestore del servizio. Nei car sharing “tradizionali” (negli ultimissimi anni, dopo il 2010, si sono infatti diffusi anche nuovi servizi “punto a punto”, tipicamente metropolitani), l'utilizzo dei veicoli avviene sulla base di una prenotazione, effettuabile anche con canali web, nella quale l'utente specifica il veicolo desiderato e gli orari di inizio e fine del suo utilizzo. Tipicamente, la durata ammessa non supera la soglia di alcuni giorni, per mantenere una idonea disponibilità dei mezzi. Ogni veicolo ha un suo parcheggio riservato, presso il quale l'utente deve riconsegnarlo al termine dell'uso. La tariffazione dei viaggi è sia oraria sia su base chilometrica, ed è omnicomprensiva, nel senso che l'utente car sharing non deve sostenere altre spese, nemmeno quelle per il carburante: i rifornimenti infatti, sebbene evidentemente eseguiti da chi ha in uso l'auto, sono direttamente a cari-

co del gestore, attraverso carte di credito specifiche disponibili nei veicoli. Inoltre, il gestore si occupa degli aspetti amministrativi e di cura e manutenzione dei veicoli, rendendoli disponibili agli utenti sempre pronti all'impiego. A cadenza regolare, di regola mensilmente, l'utente riceve dal gestore un resoconto dei propri viaggi e ne effettua il pagamento. La mobilità diventa in questo modo un servizio, del tutto analogo ad esempio a quello di telefonia: il gestore car sharing invia infatti una vera e propria bolletta, e l'utente è completamente estraneo a tutti gli obblighi e le incombenze legati al possesso di un'auto: pagamento di tassa di possesso e copertura assicurativa, lavaggi, manutenzione, cambi gomme, parcheggio / rimessaggio, ecc. Dalle caratteristiche appena illustrate, discendono le condizioni nelle quali il car sharing può trovare diffusione: si tratta di quelle tipiche dei centri urbani, principalmente di quelli di dimensione media e grande. In queste realtà, infatti, per una quota non trascurabile di persone l'uso dell'automobile privata non è una necessità quotidiana, ed anzi il possesso dell'auto è spesso fonte di disagi e spese elevate, per la necessità di disporre di un luogo dove parcheggiarla. Gli spostamenti possono avvenire di regola con i mezzi pubblici (autobus, tram, metropolitana) e in bicicletta, mentre l'auto si rivela necessaria solo per una piccola quota dei viaggi: quelli in orari notturni, escursioni nel week-end, quelli che comportano un trasporto di merce, ad esempio in caso di acquisti particolari. Un'organizzazione dei trasporti di questo tipo, nei centri urbani che sono stati in grado di attuarla, si è dimostrata più efficiente di quella basata sull'utilizzo preponderante, anche in ambito urbano, del veicolo privato, in termini di minore congestione e di minore utilizzo di suolo per la sosta delle auto, suolo che è evidentemente una risorsa estremamente preziosa nelle aree urbane. In questo contesto il car

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sharing rappresenta un elemento importante, perché intrinsecamente in grado di regolare l'utilizzo dell'automobile, grazie alla struttura tariffaria priva di costi fissi per l'utente, che quindi percepisce per intero gli oneri connessi ai viaggi in autovettura – di gran lunga maggiori rispetto ai mezzi pubblici – e ne minimizza l'uso, riservandolo alle situazioni non coperte dagli altri modi di trasporto. Questa circostanza, unita alla condivisione dei veicoli tra più utenti, porta al riscontro empirico che ciascuna auto in car sharing sostituisce fino a 8-10 auto private, con gli evidenti benefici di minore occupazione di suolo, oltre che di minori emissioni inquinanti per via del minore impiego. La diffusione del car sharing, effetto di numerosi fattori, quali un mutamento culturale per cui nelle giovani generazioni l'auto ha perso in parte la valenza di simbolo di libertà e di emancipazione che aveva assunto nel Novecento, o la congiuntura economica sfavorevole, si è accompagnata ad una generale riduzione, in molte città europee, del numero di autoveicoli in rapporto al numero di abitanti. I valori di città quali Amsterdam, Berlino, Vienna, Zurigo, ma anche di numerosissimi centri urbani di medie dimensioni, si attestano tra le 30 e 40 autovetture private ogni 100 abitanti. Al contrario, nelle città italiane si registrano i massimi valori a livello europeo, con lo stesso indice che supera spesso le 60 autovetture private per 100 abitanti. La differenza è evidente, e si ripercuote sulla qualità della vita nei centri urbani. Il car sharing, anche nelle realtà che ne vedono la massima diffusione, non è un fenomeno di massa, tutt'altro, ma costituisce un elemento fondamentale per rendere possibile la multimodalità, cioè la possibilità di scegliere per ciascun spostamento il modo di trasporto più appropriato, in funzione di costo, accessibilità, confort. La presenza di un servizio di car


sharing è così uno dei requisiti importanti per- break even point, attraverso un progressivo affidabilità del sistema di prenotazione, di conché si possa ridurre il numero di auto di proprie- incremento del numero di iscritti, di utilizzi e venienza tariffaria, fa sì che le adesioni alla protà nelle città. quindi di veicoli, che avrebbe permesso di rag- posta di Car Sharing Trentino crescano costangiungere adeguate economie di scala. Fonda- temente, inducendo la cooperativa ad incrementale era, per raggiungere lo scopo, il coin- mentare il numero di veicoli a disposizione La nascita della coop. Car Sharing Trentino La diffusione sempre maggiore, anche in Italia, volgimento dei principali enti pubblici, che a degli utenti, che crescono con regolarità fino dei servizi di car sharing, avvenuta nel corso Trento contano migliaia di dipendenti e di con- all'attuale numero di 14. Il grafico che segue mostra chiaramente la credegli anni 2000, desta l'interesse di una serie di seguenza numerose necessità di spostamenti. soggetti affinché si potesse attivare un servizio Al termine di un periodo di raccolta di adesioni scita molto significativa della produzione del di questo tipo anche a Trento: si tratta da un e di preparazione, a maggio 2010 la cooperati- servizio, espressa dal numero medio di km perlato delle società pubbliche di trasporto pubbli- va avvia il servizio, con tre veicoli disponibili agli corsi mensilmente anno per anno dalle auto del car sharing. co e di gestione di parcheggi e altri servizi di utenti, nelle aree centrali di Trento. mobilità, rispettivamente Trentino Trasporti e L'organizzazione è affidata ad una struttura I risultati raggiunti rendono possibile Trentino Mobilità, dall'altro di un'associazione estremamente snella: la cooperativa è priva di l'ottenimento, per gli esercizi 2012 e 2013, del che si occupa delle promozione di consumo dipendenti e affida la parte operativa in outso- pareggio di bilancio. Si tratta di un traguardo di critico e stili di vita sostenibili, Trentino Arcoba- urcing al socio Trentino Mobilità, oltre che al assoluto rilievo, ma che è basato su una situaleno, insieme alla cooperativa Car sharing Bol- lavoro volontario dei consiglieri di amministra- zione che necessita di essere consolidata, per zano che cura (lo farà fino al 2011) il servizio nel zione. Ciò consente di limitare al massimo i potersi dire stabile. costi di gestione, in attesa della crescita dei rica- Come accennato più sopra, infatti, l'approccio capoluogo altoatesino e a Merano. Questi soggetti costituiscono nel 2008 un grup- vi. Sempre con l'obiettivo dell'econo-micità, della cooperativa è stato prettamente imprenpo di lavoro che predispone, sulla base princi- anche il servizio è organizzato in maniera “basi- ditoriale, pur nella consapevolezza della ridotta palmente dell'esperienza sudtirolese, un pro- ca”, con un limitatissimo ricorso agli strumenti rilevanza economica di un servizio di car shagetto imprenditoriale per avviare a Trento il car tecnologici normali per i car sharing del 21° ring, in una realtà di limitate dimensioni come quella trentina. sharing. Da tale progetto nasce nel 2009 la coo- secolo. Le società pubbliche che hanno promosso la perativa Car Sharing Trentino, espressione dei proponenti e di altri soggetti, pubblici e privati, L'evoluzione del CS in Trentino: risultati della nascita della cooperativa ritengono che il servicooperativa zio sia assolutamente funzionale ai loro scopi nel frattempo coinvolti. La scelta della forma cooperativa deriva dalla A partire dall'avvio, la cooperativa registra risul- sociali, da un lato per la sua complementarietà opportunità di dare rappresentanza ad attori tati in costante crescita, anche se condizionata al trasporto pubblico, che incrementa estremamente diversi per forma giuridica e dalla scelta di fondo di rispettare un realistico l'attrattività di quest'ultimo (per Trentino Tradimensioni, nonché per garantire anche in pro- progetto di sviluppo, e quindi di regolare molto sporti), dall'altro perché rappresenta un servizio di mobilità aggiuntivo all'offerta cittadina di spettiva un coinvolgimento degli utenti nella attentamente gli investimenti. La qualità che si riesce a dare al servizio, in ter- sosta e parcheggi e di bike sharing (per Trentino gestione del servizio. La attivazione del servizio vero e proprio è pre- mini di tipologia e condizioni delle vetture, di Mobilità, e ora anche per Azienda Multiservizi ceduta da una attenta e capillare raccolta di adesioni, attraverso la promozione dello stesso Numero medio di km percorsi mensilmente anno per anno dalle auto del car sharing di Trento. presso numerosi soggetti della città di Trento. 25.000 Obiettivo principale della cooperativa è infatti fin da subito quello di garantire la sostenibilità economica del servizio. Si tratta di un traguar20.000 do estremamente ambizioso, considerata la novità della proposta, le dimensioni urbane di Trento e le esperienze italiane che al riguardo 15.000 sono state negli anni 2000 decisamente negative, nel senso che anche laddove si sono avuti buoni riscontri in termini di iscritti e utilizzi, i 10.000 costi sono stati eccessivi, anche per un effetto distorsivo dovuto ai contributi pubblici, dei quali i car sharing italiani hanno beneficiato 5.000 attraverso il consorzio ICS. Il business plan di Car Sharing Trentino prevedeva all'inizio un periodo di start up di tre anni, trascorso il quale il servizio avrebbe raggiunto il 0

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Rovereto e Altogarda Parcheggi e Mobilità, che curano la gestione del servizio rispettivamente a Rovereto e a Riva del Garda). Vi è la convinzione che il car sharing, che da un certo punto di vista potrebbe essere considerato un'estensione del trasporto pubblico e come tale essere fisiologicamente deficitario nel confronto tra costi e ricavi di gestione, possa invece raggiungere il pareggio nel conto economico, sebbene senza garantire – quantomeno in una realtà come quella locale – gli utili tipici di una attività imprenditoriale. In questo, come già accennato, il car sharing trentino rappresenta un modello alternativo a quello italiano, nel quale, nella grande maggioranza dei casi, il car sharing è stato considerato effettivamente alla stregua del trasporto pubblico, anche nella gestione, spesso affidata proprio alle società di gestione del trasporto pubblico. Un'altra peculiarità dell'esperienza locale di car sharing è data dalla forma cooperativa. Sebbene la parte preponderante della attività sia garantita dal supporto dei soci “istituzionali”, i soci persone fisiche vengono coinvolti per attività di comunicazione, principalmente per la partecipazione a fiere, in cui offrire la propria testimonianza di utenti soddisfatti e promuovere così il servizio. Anche per quanto riguarda gli aspetti più prettamente quantitativi, il servizio trentino si discosta significativamente dalla maggioranza dei servizi italiani. Questo è dovuto alle caratteristiche essenzialmente extraurbane degli utilizzi dei clienti di Car Sharing Trentino. La lunghezza media dei viaggi - e la loro durata - è quindi molto maggiore di quella che si riscontra nei car sharing che operano in città di maggiori dimensioni, dove l'utilizzo avviene prevalentemente in ambito urbano. A questo aspetto è strettamente legata la politica tariffaria adottata dalla cooperativa: non sarebbero infatti competitive le tariffe chilometriche molto elevate adottate in generale dai car sharing italiani. Esse sono sostenibili per viaggi lunghi al più poche decine di km, laddove invece la distanza media percorsa in un singolo utilizzo dagli utenti trentini è di circa 90 km. Gli sviluppi Come anticipato, l'esperienza trentina della cooperativa di car sharing, pur avendo raggiun-

to risultati senza dubbio soddisfacenti nei suoi primi cinque anni di attività, necessita un ulteriore sviluppo, per potersi considerare consolidata e in grado di garantire il servizio per gli anni a venire, contando solo sui ricavi dello stesso. Il maggiore ostacolo a questo obiettivo appare al momento la difficoltà di conseguire maggiori economie di scala. Su una dimensione della flotta di circa 15 veicoli, infatti, l'incidenza dei costi fissi necessari per un servizio di car sharing (amministrativi, di sportello al pubblico, di call center) rimane piuttosto elevata, e rende difficoltosa la compensazione dei costi con i ricavi di esercizio. La cooperativa sta ricercando quindi, escludendo per il momento fusioni con altri servizi locali di car sharing nelle province limitrofe, di incrementare il proprio giro d'affari, consolidando i due segmenti di mercato sui quali finora ha operato, gli utenti privati e quelli aziendali, e facendo decollare un ulteriore mercato che appare promettente, quello dei numerosi turisti che affollano le località trentine in estate e in inverno. Per raggiungere nuovi clienti, rimane fondamentale la strategia di collaborare strettamente con soggetti territoriali, come avvenuto in questi primi anni, da un lato per offrire riferimenti locali agli utenti (ad esempio con gli sportelli a Rovereto e a Riva del Garda), dall'altro per acquisire utenza (con le collaborazioni con le aziende o con le APT o gli albergatori). Un altro driver di crescita può e deve essere una più stretta collaborazione con le società provinciali di trasporto pubblico. Tale collaborazione è di reciproca utilità, perché come detto più sopra il car sharing è assolutamente complementare al trasporto pubblico, e ciascuno dei due servizi trae benefici dalla presenza e dall'efficacia dell'altro. La collaborazione può consistere in un'integrazione tariffaria, che preveda sconti per gli utenti di entrambi i servizi, o nella copertura dei principali nodi del trasporto pubblico con postazioni di car sharing, per agevolare l'interscambio modale e accrescere la capillarità del servizio, con una combinazione trasporto pubblico / car sharing. Evidentemente, però, il mercato provinciale è per forza di cose limitato dalle sue dimensioni complessive (poco più di 500.000 abitanti) e da quelle dei centri urbani, mediamente molto ridotte.

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Sull'orizzonte della cooperativa Car Sharing Trentino ci sono quindi altre opportunità, che nei prossimi anni andranno attentamente considerate e valutate. Il riferimento è prima di tutto ad un altro prodotto della sharing economy, il car sharing peer-to-peer (P2P). A differenza del car sharing tradizionale (quello gestito dalla cooperativa trentina), si tratta di una messa in condivisione di auto private, il cui proprietario definisce degli orari nei quali il suo veicolo è a disposizione di altre persone, e il prezzo richiesto per l'utilizzo. Servizi di questo tipo sono già operativi in diverse parti dell'Europa e del Nord America. Il gestore degli stessi offre la piattaforma informatica utilizzata dagli utenti del servizio (sia i proprietari delle auto che coloro che le prendono in uso) che rende possibile l'incontro della domanda e dell'offerta, basandosi sul concetto di rating ormai ampiamente consolidato nei servizi online (si pensi ad esempio a Ebay, Airbnb o Tripadvisor), e inoltre, aspetto fondamentale, mette a disposizione una copertura assicurativa specifica a tutela dei proprietari che cedono l'uso del proprio mezzo a potenziali sconosciuti. È proprio questo aspetto che sta frenando la diffusione in Italia di questo tipo di servizio, insieme con il tradizionale stretto legame degli italiani con la loro auto. Le potenzialità di questo car sharing con auto private sono peraltro immense, e il P2P appare particolarmente adatto anche ai piccoli centri del Trentino, laddove tra l'altro la conoscenza reciproca tra le persone potrebbe renderlo ancora più appetibile. Ancora più futuribili sono le connessioni con le norme o comunque con le pratiche urbanistiche, con la previsione di veri e propri insediamenti o quartieri “car free”, dei quali si trovano già esempi in altre realtà europee: in essi il possesso di un'auto privata è disincentivato, mentre è a disposizione un congruo numero di veicoli in car sharing. Gli sviluppi qui delineati garantirebbero al car sharing, anche in Trentino, ulteriori opportunità di crescita, e consentirebbero il mantenimento a livello locale di un servizio che offre convenienza economica ai suoi utenti e benefici ambientali a tutta la popolazione.


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IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE

Città: previsioni di piano e trasporto urbano di Maurizio Tomazzoni*

*Maurizio Tomazzoni, architetto libero professionista svolge l’attività professionale a Rovereto.

La legge n. 340 del 24/11/2000 ha, tra le sue principali finalità l'abbattimento dei livelli di inquinamento causato dai veicoli privati, la necessità di controllo della sicurezza, favorire nuove forme di spostamento che permettano una sempre crescente mobilità all'interno delle città. Tra le finalità della legge 340 quindi, non vi è quella di ridurre gli spostamenti delle persone all'interno delle città, ma principalmente di renderli più fluidi, sicuri ed abbattere l'inquinamento da combustione causato dalle auto. Per raggiungere questo obiettivo la legge prevede che i comuni possano fornirsi di strumenti urbanistici quali il PUM (Piano Urbano della Mobilità) o il PUT (Piano Urbano del Trasporto). Lo scopo dichiarato dalla legge 340 è infatti di avere strumenti: “...intesi come progetti del sistema della mobilità comprendenti l'insieme organico degli interventi sulle infrastrutture di trasporto pubblico e stradali, sui parcheggi di interscambio, sulle tecnologie, sul parco veicoli, sul governo della domanda di trasporto attraverso la struttura dei mobility manager, i sistemi di controllo e regolazione del traffico, l'informazione all'utenza, la logistica e le tecnologie destinate alla riorganizzazione della distribuzione delle merci nelle città.” Potendo prevedere anche infrastrutturazioni, accade che i piani della mobilità possano confliggere con i PRG (Piani Regolatori Generali), diventando in qualche caso varianti sostanziali

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o quanto meno una sorta di piano attuativo. La tendenza a tradurre in termini pianificatori il tema della mobilità ha portato pero' le amministrazioni a concentrarsi sull'esistente, ovvero perdere di vista la rapida evoluzione tecnologica in atto, in particolare quella legata all'innovazione dei mezzi di spostamento. La rapida diffusione del motore elettrico dovuta ai nuovi sistemi di accumulazione di energia, è oggi un elemento generalmente sottovalutato ma destinato a rivoluzionare i modi di spostamento, particolarmente quelli interni ai nuclei urbni. Sia perché la auto private in futuro non produrranno emissioni inquinanti da combustione facendo così venir meno uno dei fini principali della legge, sia perché anche il modo di utilizzo delle biciclette sara' modificato, rendendole di fatto un mezzo non distinguibile dalle motociclette. Si verranno a creare cioè dei mezzi di trasporto privati che oggi non sono collocabili nelle rigide categorie esistenti: facili da usare, pratici ed a basso costo. Quali possono essere quindi gli interventi da parte delle amministrazioni? Vanno distinte anzitutto le aree metropolitane o realtà urbane di una certa consistenza, ed il resto dei centri abitati. Escludendo ovviamente i piccoli centri o le frazioni, che non necessitano di alcun mezzo di mobilità interna ma solo di collegamenti coi centri principali, resta una larga fascia di centri abitati che non hanno dimensioni tali da giustifi-


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Fotografia di L. Chistè


care una rete di mobilità alternativa a quella delle auto private, e che pertanto stentano a risolvere le richieste di mobilità anche per motivi economici. In questi casi molto spesso i PUM e i PUC si sono rivelati costosi, inapplicabili o quasi. Nella provincia di Trento, la sola città che può affrontare il tema della mobilità con un piano specifico e di una certa efficacia, è il capoluogo. Le aree pedonali e storiche da tutelare sono molto vaste e la costruzione delle tangenziali e dei parcheggi di attestamento sono stati avviati da tempo, la dimensione del bacino d'utenza e' apprezzabile. La città appare perciò attrezzata a poter affrontare il tema di trasporti collettivi alternativi con un utilizzo tale da garantirne la sostenibilità economica. A Trento è di recente attuazione un nuovo sistema di trasporto pubblico integrato con autobus, autocorriere, treni (la città di Trento può contare anche su alcune tratte di ferrovie locali oltre l'asse del Brennero). Si è puntato sull'uso della bicicletta ma non come mezzo sostitutivo, bensì integrativo alla mobilita', e poi il car-sharing. Molte realtà urbane trentine più piccole hanno invece puntato, con un forte investimento economico, principalmente sull'uso della bicicletta, creando cioè per questo mezzo una rete di collegamenti che non deve interagire ne coi pedoni, ne con le automobili. Si sono costruite piste ciclabili protette separando alcune vie in tre o più settori. Appare tuttavia un investimento fuori tempo rispetto a quanto fatto negli esempi che solitamente vengono citati del nord Europa, ed infatti non ha portato ai risultati sperati. E anche se non vi sono i dati statistici sufficienti per confrontare i trend di utilizzo delle biciclette prima e dopo l'introduzione delle corsie ad esse dedicate, resta il fatto che nelle giornate fredde o di pioggia i numeri non giustificano la presenza di tali infrastrutture e le auto intasano ancor più le vie cittadine ridotte nella loro sezione dalla presenza delle piste ciclabili. La bici non è più un mezzo alternativo di mobilità cittadina. Non lo è per tutti i giorni dell'anno, e quindi non permette alla rete stradale veicolare di essere destrutturata dovendo essa comunque sopportare il carico delle giornate di inverno o di pioggia. E lo è sempre meno anche per molti cittadini per cui la bicicletta rappresenta un mezzo non più compatibile con tempistiche e funzionalità della vita in città, coi tempi di percorrenza e le distanze dilatate della moderna socialità. La bicicletta ha assunto sempre più una funzione sportiva, perdendo via via la connotazione di mezzo di trasporto per lavoro o per gli sposta-

menti legati alla vita quotidiana. Aver confuso questi due aspetti dell'uso della bicicletta ha portato alcune piccole realta' a cercare di integrare piste ciclabili sportive con quelle destinate ai luoghi di lavoro o di interesse, con scarsi effetti. Nelle finalità della legge 340 all'art. 22 si parla di: “... minimizzazione dell'uso individuale dell'automobile privata e la moderazione del traffico, l'incremento della capacità di trasporto, l'aumento della percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi anche con soluzioni di car pooling e car sharing ...”. I numeri non sempre giustificano il car sharing, il cui investimento appare difficilmente colmabile. Inoltre i collegamenti con le valli o le frazioni che caratterizzano il territorio trentino, rendono necessaria una pianificazione che sia collegata ad un sistema di trasporti territoriale. Oggi i servizi di trasporto pubblico con le corriere sono pianificati quasi esclusivamente per le scuole, e nell'arco della giornata vi sono solo servizi troppo saltuari per poter essere competitivi con il trasporto privato. Si puo' affermare pertanto che il trasporto pubblico attraverso il servizio di autocorriere e autobus per la realtà trentina è tutt'ora l'unico mezzo alternativo all'uso dell'automobile nonostante dal 2011 vi sia stata una contrazione dell'uso del mezzo pubblico, con un calo soprattutto nel 2012 di -7,5% accompagnato da un lieve calo anche dell'uso dell'auto privata dello 0,7%. I sistemi di mobilita' pubblica, ovvero le tratte e le frequenze delle corse, sono pero' necessariamente vincolati ad una pianificazione sovracomunale, poiche' devono tenere conto dei flussi provenienti dalle valli. I PUM o i PUC sarebbero quindi materia da trattare a livello di Comunita' di valle, ma poiche' le stesse non prevedono deleghe di questo tipo, si puo' affemare che i piani della mobilita' nei piccoli centri sono sostanzialmente aggiustamenti di viabilita' o affermazione di principi non supportati da una reale capacita' di condizionare i modi degli spostamenti. La conseguenza della difficolta' di avere la possibilita a pianificare un bacino d'utenza significativo, ha fatto si che si e' registrato anche un calo medio dello 0,5% dell'offerta delle tratte. Ma oggi la grande flessibilità degli orari delle fabbriche e degli uffici ed in qualche caso delle scuole, rende l'uso dei mezzi pubblici quali treni corriere ed autobus di difficile programmazione

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e coi costi fuori controllo. O le corse degli autobus sono molto frequenti, e per le realtà delle cittadine trentine significa ogni 15 o 20 minuti, oppure diventa impensabile l'utilizzo del mezzo pubblico. Gli stessi collegamenti fra le città e le frazioni e Trento non sono utilizzabili da chi non è legato ad un preciso orario. Pertanto il tema della gestione della mobilita' come servizio e quindi gestito dal pubblico anziche' dal privato, e' problema non ancora risolto. Il privato non garantisce né car-sharing né bikesharing per uso quotidiano per spostamenti di lavoro, e per quanti incentivi si possano proporre, il bacino d'utenza insufficiente non permette di far decolare un sistema alternativo. Fino a poco tempo fa si pensava che la diffusione di Internet avrebbe portato ad un calo dei trasporti di uomini e merci, immaginando forse che lo scambio di informazioni avrebbe consentito di decentralizzare il lavoro. Invece la tecnologia dell’informazione ha provocato un aumento dello spostamento sia di merci che di persone. Perché su Internet in realtà viaggia soprattutto la pubblicità e con essa il sostegno alla concorrenza che ha indotto a concentrazione di produzione anziché delocalizzazione. Rimanendo bassi i costi diretti del trasporto, lo spostamento merci ha avuto una crescita che la crisi ha solo parzialmente rallentato. La pianificazione dei piccoli comuni trentini, cioe' a dire tutti escluso Trento, non puo' dirsi una concreta applicazione della teoria elaborata per le grandi conurbazioni. Il contributo economico dei privati e' praticamente assente, ed i comuni non si sono coordinati, sicche' non vi e' uniformita' di intenti. Manca in particolare la volonta' di guardare avanti e ricercare un modello di mobilita' che si adatti ad un territorio morfologicamente variegato e antropicamente frazionato. Infine va notato che a parte la ridefinizione delle tratte o gli acquisti degli stalli per bici elettriche, le opere infrastrutturali in realta' erano gia' tutte pensate nei PRG. Di fatto gia' pianificate senza bisogno di introdurre una nuova retorica legata alla pianificazione che con la proposta di legge attualmente in discussione a Trento si dovrebbe semplificare partendo proprio dall'eliminare le sovrapposizioni, cosa che PUT e PUM sembrano invece riproporre.


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IL LABORATORIO DEL TRENTINO/ALTO ADIGE

Green Mobility L'Alto Adige sulla strada per diventare una regione modello per la mobilità alpina sostenibile di Harald Reiterer e Markus Belz*

L'Alto Adige punta a diventare una “Regione modello per la mobilità alpina sostenibile”. Per raggiungere questo obiettivo, nei prossimi anni saranno realizzate molte iniziative in particolare nei settori dell'elettromobilità, della mobilità ciclabile e dell'intermodalità. Tutti i provvedimenti in materia saranno riuniti nel progetto “Green Mobility”, il cui coordinamento spetterà alla Business Location Südtirol – Alto Adige (BLS).

*Harald Reiterer - coordinatore provinciale di Green Mobility Markus Belz - collaboratore Green Mobility presso BLS"

Il progetto Green Mobility “Green Mobility” è un progetto dell'Assessorato alla mobilità della Provincia di Bolzano. Green Mobility riunisce in sé tutte le forme di mobilità sostenibile, le mette in connessione tra loro, prepara il campo per l'innovazione e propone nuove iniziative. Sulla base di un trasporto pubblico di persone ben funzionante, anche la restante mobilità dovrebbe essere strutturata nella maniera più sostenibile possibile per contribuire al mantenimento e quindi all'incre-mento della già elevata qualità della vita presente in Alto Adige, all'incremento dell'attrat-tività turistica, al mantenimento e quindi all'incremento della competitività e allo sviluppo dei settori economici legati alla tecnologia. I principali ambiti d'azione sono il settore dell'elettromobilità, della mobilità ciclabi-

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le e dell'intermodalità. In primo piano ci sono soprattutto fattori come un'ideale interconnessione e la creazione di diverse forme di mobilità sostenibile (traffico pedonale, mobilità ciclabile, trasporto pubblico di persone) nonché un ulteriore sviluppo del trasporto individuale motorizzato che punti sulle soluzioni a emissioni ridotte, campo questo dove l'elettromobilità gioca un ruolo imprescindibile. Il via di tutto il progetto è stata la creazione del centro di coordinamento Green Mobility nel maggio del 2012. Nell'ottobre dello stesso anno è stato quindi dato l'incarico a Fraunhofer Italia di elaborare una “Roadmap Smart Alpine Mobility” che indichi la strada da percorrere per far diventare l'Alto Adige una regione modello per la mobilità sostenibile in ambito alpino. La Roadmap è stata conclusa nell'autunno 2014 e presentata alla Giunta provinciale dell'Alto Adige. Prima di ciò, in collaborazione con Alto Adige Marketing (SMG), era già stato sviluppato il logo “Green Mobility”, che fa parte della famiglia dei marchi ombrello dell'Alto Adige e garantisce un'immagine comune a tutti i progetti, le iniziative e i provvedimenti a favore della mobilità sostenibile in Alto Adige.


Illustrazione 1: Il logo Green Mobility

Visione: l'Alto Adige regione modello per la mobilità alpina sostenibile L'illustrazione 2 mostra il modello Smart Alpine Mobility come è stato formulato nella Roadmap di Fraunhofer Italia. Il 9 dicembre 2014 la Giunta provinciale ha approvato il piano di marcia presentato dalla BLS e da Fraunhofer che suggerisce come trasformare l'Alto Adige in una regione modello per la mobilità alpina sostenibile¹.

L'obiettivo della Giunta provinciale, cioè trasformare l'Alto Adige in una regione modello per la mobilità alpina sostenibile, può essere considerato la logica conseguenza di passate decisioni e dei risultati concreti già raggiunti: - Negli ultimi anni, non senza sforzo, l'Alto Adige ha rinnovato il proprio trasporto pubblico e introdotto un innovativo sistema tariffario, l'Alto Adige Pass.

Illustrazione 2: Modello Smart Alpine Mobility (fonte: Fraunhofer Italia)

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- Già da anni l'Alto Adige si autopromuove, soprattutto in Italia, come “Green Region”; l'insediamento di aziende nel settore guida “Energie rinnovabili” ha la massima priorità². - In Alto Adige si produce sensibilmente più energia rigenerativa da fonte idroelettrica di quella che viene consumata in totale. - La strategia climatica stabilita dalla Giunta provinciale nel 2011 prevede che, entro il 2050, le emissioni di CO2 pro capite in Alto


Adige siano gradualmente ridotte dalle attuali 4,9 a meno di 1,5 tonnellate. Da solo, il traffico in Alto Adige genera annualmente 2,3 tonnellate di CO2 per abitante, fatto che, se davvero si vuole raggiungere gli obiettivi fissati dalla strategia climatica, rende primario l'obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni. La Roadmap Smart Alpine Mobility di Fraunhofer Italia definisce in totale 48 provvedimenti grazie ai quali il traffico in Alto Adige potrebbe diventare più rispettoso dell'ambiente. Per lo sviluppo dell'Alto Adige verso la condizione di regione modello, la BLS considera nove provvedimenti come particolarmente prioritari: - Entro tre anni dovrebbe essere realizzata una rete con almeno 30 stazioni di ricarica rapida per veicoli elettrici. - Entro il 2020 in Alto Adige dovrebbero circolare almeno 1.000 auto elettriche. - Dovrebbe essere identificato un Comune di riferimento in Alto Adige cui assegnare la funzione di pioniere nel campo della mobilità verde. - Una regione vetrina dal turismo meno invasivo dovrebbe assumere un ruolo guida

nell'ambito della mobilità turistica sostenibile. - Il “Cicloconcorso Alto Adige” (vedi più sotto) dovrebbe essere ulteriormente ampliato. - Presso le imprese altoatesine dovrebbe essere presente una gestione aziendale della mobilità che incentivi il traffico ecocompatibile. - Il CarSharing presente in Alto Adige dovrebbe essere ampliato con veicoli elettrici. - A Merano dovrebbe essere verificata l'implementazione di un progetto pilota di Bike-Sharing. - I decisori e i progettisti nei Comuni dovrebbero essere adeguatamente formati nell'ambito di un percorso dedicato al tema della mobilità sostenibile. Interventi di livello superiore I 48 interventi definiti dalla Roadmap, con i quali potrà essere incentivata la mobilità sostenibile in Alto Adige, sono stati suddivisi nei settori Elettromobilità, Intermodalità, Mobilità ciclabile e “Altri provvedimenti”. I suddetti ambiti rappresentano “Compiti trasversali e interventi di livello superiore”, chiamati a rappresentare una sorta di insieme che comprenda un certo numero di altri interventi

Illustrazione 3: Incontro di networking sulla mobilità sostenibile il 06.03.2015

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minori. A stare in primo piano nell'ambito degli interventi di livello superiore è il Management della mobilità, che comprende: - Il coordinamento degli stakeholder e dei principi alla base degli interventi - Il lavoro pubblico e la sensibilizzazione - Il Management della mobilità comunale - Il Management della mobilità aziendale - Il Management della mobilità scolastico e le lezioni di mobilità - Il Management della mobilità turistica Il coordinamento degli stakeholder e dei principi alla base degli interventi è competenza della BLS con il punto di coordinamento Green Mobility. A intervalli regolari si terranno degli incontri di networking in occasione dei quali tutti gli attori istituzionali e di interesse collettivo nell'ambito della mobilità sostenibile in Alto Adige – p.es. l'Agenzia provinciale per la mobilità, l'Accademia europea EURAC, l'Ecoistituto Alto Adige e il centro per la produzione di idrogeno IIT – scambieranno informazioni ed esperienze relativamente ai progetti di mobilità in corso e futuri, dando vita a progetti e gruppi comuni. L'ultimo incontro si è tenuto il 6 marzo 2015 a Castel Flavon a Bolzano.


fotografia di BLS/STOL

Nell'ambito del compito trasversale “Lavoro pubblico e sensibilizzazione” è attualmente in corso di sviluppo il sito internet Green Mobility, che ha la funzione di riunire tutti i progetti, le informazioni e le novità sulla mobilità sostenibile in Alto Adige e di sensibilizzare la popolazione verso la mobilità rispettosa dell'ambiente. Il sito sarà gestito dalla BLS, ma tutti gli altri protagonisti dei progetti potranno pubblicare informazioni sui lavori e sugli ambiti di loro competenza. In questa maniera – così come già avviene per il logo Green Mobility – il sito fungerà da casa comune per la mobilità in Alto Adige. Il sito si trova ora in fase di programmazione, ma dovrebbe essere online nei prossimi mesi ³. Elettromobilità Sebbene si tratti ancora di una nicchia di ridotta importanza, l'elettromobilità automobilistica sta attirando sempre più l'attenzione anche in Alto Adige. Il ben noto problema “prima l'uovo o la gallina?” – in assenza di un certo numero di auto elettriche in circolazione non vale la pena realizzare colonnine di ricarica, ma finché non ci sono abbastanza colonnine di ricarica in giro nessuno si comprerà mai un'auto elettrica – è attualmente in fase di risoluzione grazie al lavoro di SEL e Azienda Energetica, i principali fornitori di energia a livello provinciale. A Bolzano e Merano sono già state installate numerose stazioni di ricarica per veicoli elet-

trici, mentre la costruzione di altrettante stazioni di ricarica è programmata in diversi Comuni dell'Alto Adige. La stessa Azienda Energetica ha già integrato il proprio parco auto con numerosi veicoli elettrici. In Alto Adige l'elettromobilità viene trattata in maniera tecnologicamente aperta, nel senso che, oltre alle infrastrutture necessarie ai veicoli a batteria viene anche incentivato l'uso di veicoli a idrogeno. A Bolzano sono già in servizio diversi autobus di linea dotati di motore a idrogeno e molte flotte aziendali comprendono veicoli alimentati dalle celle d'idrogeno. Ma come è possibile sensibilizzare ancora meglio la popolazione altoatesina verso l'elettromobilità e i suoi vantaggi, quali la riduzione di rumore e di emissioni? “La pratica è meglio della teoria” è il concetto che ha convinto la BLS a realizzare, già nel 2013, le prime tappe di un “Roadshow per l'elettromobilità”. Durante gli eventi, allestiti in diversi Comuni dell'Alto Adige, i partecipanti avevano la possibilità di testare gratuitamente in prima persona auto, biciclette e scooter con motore elettrico messi a disposizione dai rivenditori. In questo modo è stato possibile sperimentare direttamente cosa si provi alla guida di un'auto completamente silenziosa e confortevole. Grazie al grande successo, il Roadshow sarà ripetuto annualmente. Nel 2015 sono previste le seguenti tappe:

Data

Luogo

Evento di contorno

26.-28.03.2015

BolzanoFiera

Klimaenergy/Klimamobility

12.04.2015

Brunico

Fiera Tipworld

18.04.2015

Safety Park

Open Day

25.04.2015

Appiano

eppanBike / Expo

16.05.2015

Merano

Roadshow in piazza Terme

Illustrazione 4: Roadshow elettromobilità

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Mobilità ciclabile Il secondo dei settori chiavi di Green Mobility Alto Adige è la mobilità ciclabile. L'Alto Adige è noto e amato per essere un territorio accogliente verso i ciclisti soprattutto grazie alla disponibilità di un'eccezionale rete di piste ciclabili. Al di fuori di “Bolzano, città della bicicletta”, però, le due ruote non sono ancora pienamente accettate come un mezzo di trasporto per tutti i giorni, mentre si confermano il mezzo ideale per il tempo libero. Per mezzo di diverse iniziative e provvedimenti, quindi, la mobilità ciclabile in Alto Adige è stata incentivata in maniera mirata. Una di particolare importanza è il Cicloconcorso Alto Adige. Il concetto di “Cicloconcorso” è già da molti anni una realtà nelle province austriache del Tirolo e del Vorarlberg, dove rappresenta un divertente incentivo per spingere la popolazione a compiere i propri tragitti quotidiani in bicicletta piuttosto che in auto. Chi, tra marzo e settembre, copra almeno 100 km, può alla fine vincere un premio, che va ad aggiungersi alla consapevolezza di avere contribuito al bene dell'ambiente, di avere risparmiato denaro al distributore e di avere guadagnato in salute grazie al movimento. Nel 2014 la BLS e l'Ecoistituto hanno organizzato per la prima volta un Cicloconcorso a livello provinciale. In occasione della prima edizione dell'evento si sono registrati 1.400 partecipanti, che hanno pedalato per circa 860.000 km. Una valutazione scientifica commissionata dalla BLS ha rilevato che, grazie al concorso, sono stati percorsi in bici circa 60.000 chilometri più del solito. Circa un partecipante su quattro ha dichiarato di avere cambiato le proprie abitudini d'uso dell'automobile. Il concorso ha inoltre contribuito a modificare, in positivo, la percezione della mobilità ciclabile di molte aziende e Comuni. Il 23 marzo 2015 ha preso il via la nuova edizione del Cicloconcorso Alto Adige. Tra le innovazioni apportate c'è anche una app per smartphone che conteggia automaticamente i chilometri percorsi. L'obiettivo degli organizzatori è di convincere sempre più persone dei vantaggi connessi all'uso della bicicletta. Dato che sia la piattaforma online che tutti i materiali del Cicloconcorso Alto Adige sono stati completamente tradotti in italiano, è in teoria possibile applicare il progetto “Cicloconcorso” anche in altre province italiane.

Intermodalità Grazie a moderni treni e autobus, capaci spesso di transitare ogni mezz'ora, in Alto Adige è sempre più comoda e apprezzata la possibilità di andare al lavoro con i mezzi pubblici. Ovviamente non è sempre possibile avere la fermata del treno o dell'autobus sotto casa; per questo motivo l'adozione del principio dell'intermodalità diventa necessario: non si utilizza cioè lo stesso mezzo per coprire l'intero tragitto, ma si usa il più adatto per ciascun tratto di strada. Per esempio la bicicletta per recarsi in stazione e il treno per recarsi in ufficio nel centro cittadino. Affinché sia possibile lasciare la bicicletta in stazione in un luogo sicuro e al riparo, nelle stazioni di Gargazzone, Lana/Postal e Naturno, la Strutture Trasporto Alto Adige Spa (STA) ha allestito dei depositi per biciclette chiusi, protetti dalle intemperie e videosorvegliati. Ciascuno dei depositi si trova in un edificio chiuso situato nelle immediate vicinanze dei binari. Possono accedervi solo gli utenti registrati che vi abbiano prima prenotato un posto presso il Comune – in maniera semplicissima, per mezzo dell'Alto Adige Pass, la tessera elettronica del trasporto pubblico in Alto Adige. I possessori di bici elettriche possono addirittura prenotare una postazione dotata di presa di corrente per ricaricare la bicicletta. Se l'iniziativa avrà successo sarà estesa ad altre stazioni in Alto Adige. Sintesi L'Alto Adige si è posto l'ambizioso obiettivo di diventare la regione modello per la mobilità sostenibile in ambito alpino. Per raggiungere questo traguardo, la BLS ha allestito un centro di coordinamento e, in collaborazione con Fraunhofer Italia, elaborato una Roadmap che indica la strada da seguire. Dopo la stesura della Roadmap nell'autunno 2014 e la conseguente decisione della Giunta provinciale altoatesine nel dicembre 2014 che ha approvato i piani della BLS e di Fraunhofer, parte ora la realizzazione concreta. Nei prossimi anni, tutti gli attori presenti in Alto Adige realizzeranno numerose attività e iniziative nei settori dell'elettromobilità, della mobilità ciclabile e dell'intermodalità, ma anche negli ambiti più estesi del Management della mobilità. Tali attività saranno riunite sotto lo stesso concetto di “Green Mobility” e saranno presentate alla popolazio-

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ne altoatesina sul sito internet dedicato. I progetti concreti, già in fase di realizzazione, sono, per esempio, l'installazione di colonnine di ricarica, il Roadshow dedicato all'elettromobilità, il Cicloconcorso Alto Adige e l'installazione di depositi sicuri per le biciclette nelle stazioni dell'Alto Adige. La Provincia di Bolzano sta già attivamente lavorando per diventare la regione modello per la mobilità sostenibile in ambito alpino e un esempio per le altre province – ma la strada che ha davanti è ancora molto lunga.

Note 1.vedi: http://www.provincia.bz.it/news/it/news.asp?news _action=4&news_article_id=479208 2. vedi:http://www.bls.info/it/businesslocation/green-region 3.Il dominio sarà http://www.greenmobility.bz.it/.


Illustrazione 5: Key Visual Cicloconcorso Alto Adige

Illustrazione 6: Postazioni per biciclette sicure e coperte (Foto: STA)

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LA RECENSIONE

Marc Augé, 2010,

Per un'antropologia della mobilità.

Jaca Book, Milano

di Margherita Meneghetti

Viviamo in un contesto in cui tempo e spazio presentano elementi sia di dinamismo, sia di staticità: questa è una dimensione complessa che richiede un approccio di studio altrettanto complesso. Si tratta di numerose realtà, spesso in contraddizione tra loro e che preservano al loro interno sia elementi afferenti al passato, ma che tendono anche verso un futuro più o meno prossimo che a volte spaventa. Analizzare questi fenomeni antichi e nuovi allo stesso tempo non è semplice e richiede un approccio “comprendente”, che si proponga di trattare questi elementi attraverso acute ed intelligenti osservazioni e riflessioni della e sulla realtà. Marc Augè non ha certo bisogno di presentazioni: celebre antropologo francese, dapprima attento studioso di alcune popolazioni della Costa d'Avorio, del Togo e dell'America latina, è conosciuto anche per aver formulato interessantissime considerazioni riguardanti la società contemporanea metropolitana e globale. È in questo frangente che egli conia il concetto di “surmodernità”, che indicherebbe a suo avviso “[…] la sovrabbondanza di cause che complica l'analisi degli effetti […]” (p. 7), laddove si registra un paradossale incremento della solitudine, nonostante l'evoluzione dei mezzi di comunicazione. Nel saggio qui preso in considerazione Augé fa corrispondere la mobilità surmoderna “[…] al paradosso di un mondo in cui in teoria si può fare qualsiasi cosa senza muoversi e in cui tuttavia ci si muove […]” (p. 8). Il libro si snoda su determinati concetti chiave, tutti afferenti al contesto surmoderno da lui delineato: quelli di «frontiera», «urbanizzazione», «migrazione», «viaggio» e «utopia». Nel primo capitolo del libro, Augé mostra l'ambiguità del concetto di “frontiera”, la quale “[…]- riprendendo Lévi-Strauss – è stata impiegata per conferire un significato all'universo, per dare un senso al mondo e renderlo vivibile […] per simbolizzare lo spazio suddividendolo” (p. 11). Oggi sembra che la globalizzazione abbia fatto sì che la necessità di suddividere lo spazio, il mondo, sia meno evidente, ma in realtà essa crea altre frontiere, anzi “nuove barriere” basate sostanzialmente sulle ineguaglianze: paesi ricchi e paesi poveri, quartieri agiati e zone malfamate, centro e periferia. “[…] Nel mondo «surmoderno» […] il divario tra la rappresentazione di una globalità senza frontiere che permetterebbe a beni, esseri umani, immagini e messaggi di circolare senza

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«Lo spazio urbano è […] complesso, intricato, un insieme di fratture su un fondo di continuità, uno spazio in estensione dalle frontiere mobili. Come immaginare la città senza immaginare il mondo?» Marc Augé

limitazioni, e la realtà di un pianeta diviso, frammentato, […] si fa sempre maggiore […]” (p.14). A quella che è stata definita da Paul Virilio la «metacittà virtuale», contraddistinta da filamenti di strade e reti di comunicazione che abbracciano l'intero mondo, si contrappone la realtà di una città-mondo divisa da diversi tipi di ineguaglianze. Basti pensare ai limiti reali e alle problematiche concrete che sono seguiti alla stipula degli accordi di Schengen tra alcuni stati. “[…] Oggi dobbiamo […] ripensare la frontiera, questa realtà continuamente negata e continuamente riaffermata […]” (p.15). Le vere frontiere, per Augé, devono essere mobili, in continua ridefinizione e rendere così possibili nuove conoscenze (così come avviene con la scienza che sposta le frontiere dell'ignoto, superando quindi i propri limiti) e favorire l'integrazione fra culture diverse. Infatti, “[…] Le frontiere non si cancellano, si ritracciano […]” (p. 17). Quando le frontiere sono frutto di politiche di separazione e di esclusione nascono i conflitti: disuguaglianze, mancanza di diritti, sfruttamento e così via. Di qui il problema vero che si pone: assumere la frontiera non come un dato assoluto, ma come una sfida nella direzione di un continuo superamento, per costruire una democrazia autentica, senza che le differenze salutari tra modi di sentire e di vivere debbano scomparire. Ed è a questo punto che si delinea la limitatezza e la staticità del concetto di globalizzazione, parola che suggerisce un'idea di compiutezza del mondo e di supremazia del presente, contrari proprio ai principi del progresso scientifico e allo spirito della politica democratica. Il secondo capitolo tratta del processo di urbanizzazione mondiale, che afferisce a due aspetti spaziali di novità e in continua espansione: la crescita dei grandi centri urbani e la comparsa di “filamenti urbani”, ossia di elementi strutturali che saldano visivamente le città tra loro, lungo le vie di circolazione terrestri, fluviali e di costa. In paesaggi di tale sorta, sempre più uniformi tra loro, e che danno una certa continuità spaziale del costruito, resistono comunque astratte demarcazioni tradizionali, alle quali spesso ci si fa comunque riferimento. Il binomio città/sobborghi, ad esempio, che si rifà a quello più generale di centro/periferia, rimane anche oggi una categorizzazione spaziale molto utilizzata, sebbene sia ormai poco definibile nella pratica. Ma si sa, la semplificazione talvolta è

necessaria per comprendere la realtà, per cui “[…] è nelle «periferie» della città che si trovano i problemi della città […]” (p. 21). Perciò, mentre il centro (che tuttavia è nella realtà poco definibile) rappresenta tutto quello che vorremmo che fosse una città (si pensi ai centri urbani di oggi, sempre meno abitati e sempre più meta di turisti, i cosiddetti musei all'aperto), è nelle periferie che si concentrano i problemi e le contraddizioni propri della città. A questo proposito, Augè non può fare a meno di portare l'esempio delle banlieues parigine, luoghi di frammentazione e contenitori di marginalità sociali. Il centro verrebbe, secondo l'autore, definito sulla base di cosa non è periferia, sia dal punto di vista geografico, ma anche da quello politico-sociale. Perciò periferia non è solo ciò che sta spazialmente ai margini: “[…] Periferia non è sobborgo. Ci sono sobborghi chic e «periferie» negli antichi centri cittadini […]” (p. 24), per cui la periferia sarebbe marginalità innanzitutto socia-le. Accade che nella monotonia dei filamenti urbani compaiano delle “zone bianche”, vuote, costituite il più delle volte da cantieri in fase di costruzione o, al contrario, da aree abbandonate, che determinano piccole interruzioni panoramiche: Augè le chiama “[…] la forma nuda del «nonluogo» […] spazi in cui non è possibile riconoscere alcuna relazione sociale […]” (p. 27), nessun tipo di comunicazione o interazione umana. Lo studio delle città non può fare a meno di interessarsi dei filamenti urbani che le collegano, come anche non può evitare di prendere in esame le zone bianche che abbiamo appena trattato: le categorizzazioni binarie non sono più possibili in un contesto così controverso e complesso: “[…] la città si estende e si disloca […]” e “[…] L'urbanizzazione si presenta […] sotto due aspetti contraddittori ma indissociabili, come le due facce di una medaglia: da una parte il mondo è una città […], dall'altra la grande città è un mondo in cui si ritrovano le stesse contraddizioni e gli stessi conflitti comuni a tutto il pianeta […]” (p. 33-34). Il punto d'incontro del mondo-città con la città-mondo è proprio la zona vuota, contraddistinta da sodaglie industriali, terreni in abbandono e così via, che tuttavia spesso si trovano vicino ad autostrade, ferrovie e aeroporti, tutti simboli della mondializzazione. Il terzo e quarto concetti-chiave trattati da Augè sono quelli di migrazione e viaggio.Su quest'ultimo egli delinea un itinerario nel quale giunge a definire le due forme contrastanti dell'etnologo e del turista. Per quest'ultimo ha

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giocato un forte ruolo la democratizzazione del turismo, specialmente nei paesi più ricchi, fenomeno che sarebbe divenuto di massa nell'ultimo secolo e che avrebbe condotto a far divenire i viaggi come una serie di tappe di breve periodo, dove “[…] il lungo viaggio verso le rovine delle civiltà perdute e il bighellonare meditativo non trovano più posto […]” (p. 57) e dove i paesaggi e gli itinerari sono diventati dei meri prodotti: in questo contesto, non ci sarebbe più posto per la scoperta, l'incontro e l'imprevisto, ma la pianificazione delle tappe da parte delle agenzie turistiche produrrebbe uno sfalsamento della realtà che si va a visitare. A differenza del turista, l'etnologo, che parte per studiare società per lui esotiche, “[…] viaggia da solo e si ferma a lungo […]” (p. 62), utilizza metodologie di studio che gli permettono di effettuare un'osservazione prolungata e sistematica della realtà presa in esame, che lo portano ad uscire fuori di sé attraverso lo spaesamento tipico degli antropologi che gli fa mettere in discussione la propria identità. L'etnologo durante il viaggio elabora così un sistema di riflessione che lo aiuterà a scrivere il resoconto analitico delle sue escursioni. “[…] La scrittura è [per lui] la fine del viaggio, il suo scopo e il suo compimento [...]" (p. 70). Egli “[…] sa che il suo soggiorno, per lungo che eventualmente sia, avrà senso solo al ritorno […]” (p. 71). Il concetto di utopia viene utilizzato da Augé nel tentativo di delineare la città del futuro. A questo proposito, egli riconosce che “[…] lo spazio urbano è […] complesso, intricato, un insieme di fratture su un fondo di continuità, uno spazio in estensione dalle frontiere mobili. Come immaginare la città senza immaginare il mondo? […]” (p. 73). Per completare questo interrogativo si potrebbe aggiungere: come immaginare il mondo senza immaginare la città? A queste questioni, secondo Augé, deve rispondere un rivoluzionamento radicale della politica della mobilità, che invita anche a ripensare il tempo, a cambiare paradigma e approccio, smettendo di utilizzare cornici ormai superate, ma avendo il coraggio e la lungimiranza di coniare termini nuovi che possano ben descrivere i nuovi mutamenti. Occorre sempre più uscire da sé, “[…] promuovere l'essere transculturale […]”, l'unico in grado di interessarsi a tutte le culture e perciò non alienarsi ad alcuna di esse.


LIBRI

La biblioteca dell’Urbanista

Andrea Iacomoni “Topografie dello spazio comune”

Rosario Pavia “Il passo della città. Temi per la metropoli futura”

Federica Visconti “L'architettura della strada. Un atlante italiano”

Franco Angeli, Milano 2015, 25 euro

Donzelli editore, Roma 2015, 20 euro

Editore Giannini, Napoli 2015, 15 euro

La molteplice natura degli spazi pubblici metropolitani stimola al ripensamento della forma urbana nel suo complesso, come occasione per la messa a punto di una diversa idea di città - in considerazione della continua trasformazione del suo spazio pubblico - in rapporto all'evoluzione urbana e sociale. Allo stesso modo viene da chiedersi se il termine "spazio pubblico" sia ancora adeguato alla condizione metropolitana, oppure troppo ambiguo e vagamente riferito alle tante forme della vita urbana. Più consona sembra la nozione di "spazio comune", maggiormente legato alla condizione della sfera pubblica e privata della società attuale. In questo senso è opportuno riconsiderare lo spazio urbano in base a canoni formali e funzionali riferiti non solo al modello usuale, ma soprattutto ai caratteri della città contemporanea, dove le infrastrutture e il territorio hanno un ruolo determinante.

Per migliaia di anni gli insediamenti sono stati misurati dai passi; con il "passus" i Romani hanno dimensionato le città e colonizzato il territorio. Questo rapporto si è interrotto nel XX secolo, quando l'espansione della città è dipesa sempre più da infrastrutture stradali fatte per le auto e il camminare è stato represso, con conseguenze profonde sulla qualità urbana. Lo spazio ordinario dei pedoni va riscoperto e riproposto con decisione nelle politiche di rigenerazione urbana, e la questione ambientale va colta nel suo aspetto più oscuro, quello degli scarti e dei rifiuti: se la città della prima modernità esprimeva un progetto, se proiettava in avanti il suo presente, di cui i rifiuti costituivano una componente significativa, la città contemporanea occulta e rimuove i suoi scarti per non vederli; li getta all'indietro piuttosto che in avanti.

Questa pubblicazione raccoglie gli esiti del lavoro di ricerca svolto nell'ambito della Convenzione tra l'Anas S.p.A. e il Centro interdipartimentale per l'archivio e l'interpretazione del progetto architettonico e urbanistico contemporaneo della Università degli Studi di Napoli "Federico II" sul tema de "La strada e l'architettura". La ricerca è stata condotta con l'obiettivo di individuare e studiare, nell'ambito del territorio italiano, i casi nei quali alla strada fosse attribuibile il valore di 'bene culturale'. Questo valore può e deve riconoscersi ai tracciati quando sia possibile leggere in essi una relazione con la geografia e con la sedimentazione storica dei luoghi che attraversano. Guardare al 'manufatto-strada' da questo punto di vista può significare introdurre una nuova valenza in relazione agli studi sul tema della strada, ora letta non tanto e non solo come opera di ingegneria ma come Architettura.

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Mi considero giardiniere perché ho un giardino e spesso ho le mani nella terra. Questo è molto importante perché è proprio a partire da tale esperienza che ho maturato certe posizioni in rapporto alla vita, al futuro e alle azioni da compiere Tratto dall’intervista a Gilles Clément in Sentieri Urbani n°.15

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(I sopraluoghi, i consigli e gli eventuali preventivi di spesa sono gratuiti)







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