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A nord di Trento. A sud di Bolzano.

SentieriUrbani

10 Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% NE/TN - anno V - numero 10 - aprile 2013 - € 10,00

Urbani Sentieri

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LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Issn: 2036-3109

In questo numero

A nord di Trento A sud di Bolzano





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SentieriUrbani LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Sentieri Urbani rivista quadrimestrale della Sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica nuova serie anno V - numero 10 aprile 2013 registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008

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06 Suolo, Strategia, Pianificazione. Un'intervista a Federico Oliva a cura di Alessandro Franceschini 12 Dossier: a nord di Trento, a sud di Bolzano a cura di Giovanna Ulrici

Issn 2036-3109 direttore responsabile Alessandro Franceschini direttore@sentieri-urbani.eu redazione Elisa Coletti, Paola Ischia, Luca Paolazzi, Giovanna Ulrici, Bruno Zanon redazione@sentieri-urbani.eu hanno collaborato a questo numero Carlo Calderan, Carlo Costa, Manuela Defant, Giorgio Deros, Corrado Diamantini, Giuseppe Ferrandi, Franco Frisanco, Diego Laner, Peter Morello, Oswald Schiefer, Gianluca Tait, Alberto Winterle, Gigi Zoppello, Adriano Oggiano

Bibliografia di riferimento

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Storia di un territorio di confine e di un divorzio consensuale di Giuseppe Ferrandi

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Percorsi di diffrenziazione territoriale: a nord di Trento, a sud di Bolzano di Corrado Diamantini

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L’Adige nella Bassa Atesina di Kurt Werth

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Il fondovalle a nord di Trento e a sud di Bolzano. Continuità e differenze delle forme insediative e degli approcci di pianificazione

29 Pianificazione urbanistica e forma del territorio tra Trento e Bolzano Il caso dell’area trentina di Bruno Zanon

concessionaria di pubblicità Publimedia snc via Filippo Serafini, 10 38122 Trento 0461.238913 © Tutti i Diritti sono riservati

I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono in redazione sono sottoposti a valutazione secondo competenze specifiche e interpellando lettori esterni

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27 I contributi

progetto grafico Progetto & Immagine s.r.l. - Trento

prezzo di copertina e abbonamenti Una copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25 Per ricevere Sentieri urbani è sufficiente inviare una e_mail indicando i dati postali di chi desidera abbonarsi alla rivista: diffusione@sentieri-urbani.eu

Editoriale di Alessandro Franceschini

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Pianificazione urbanistica e forma del territorio tra Trento e Bolzano Il caso della Bassa Atesina di Peter Morello

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ANORDDITRENTOASUDDIBOLZANO: uno sguardo sulla trasformazione di un paesaggio di Carlo Calderan e Alberto Winterle

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Raccontare i paesaggi che cambiano di Gigi Zoppello

53 La tavola rotonda 54

Paessaggi di voci. Mosaici di territori Carlo Costa, Manuela Defant, Giorgio Deros, Franco Frisanco, Adriano Oggiano, Oswald Schiefer, Gianluca Tait

61 I fotografi

contatti www.sentieri-urbani.eu 328.0198754 editore Bi Quattro Editrice via F. Serafini, 10 38122 Trento Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino Via Oss Mazzurana, 54 38122 Trento direttivo 2012/2014 Giovanna Ulrici presidente Bruno Zanon vice presidente Elisa Coletti segretario Alessandro Franceschini tesoriere Davide Geneletti consigliere Marco Giovanazzi consigliere Paola Ischia consigliere

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Doppio viaggio nell’architettura Leonhard Angerer

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Infrastrure Luca Chistè

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Confini Ivo Corrà

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Aree produttive Erich Dapunt

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Luoghi dismessi o in attesa di riqualificazione in Valle dell’Adige Anna Da Sacco

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Continuità (e non-continuità) Hugo Munoz

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La valle costruita Francesca Padovan

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Bellevue Paolo Sandri

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Un documento dell’INU. Per un rilancio del governo del territorio

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Biblioteca dell'urbanista


Frontiere Grenzen

Fra Trento e Bolzano corre una lingua di terra pianeggiante, circondata da alte pareti rocciose e da declivi collinari ed interamente percorsa dal fiume Adige e da grandi arterie di connessione viaria, dalla ferrovia all'autostrada del Brennero. Questo solco vallivo, definito da Cesare Battisti, all'inizio del Novecento, «una delle piane più ubertose d'Europa», è stato, storicamente, teatro di un importante cambiamento identitario: in quei pochi chilometri la cultura italiana scemava in quella tedesca, attraverso una frontiera immaginaria che, nel tempo, si è riposizionata più volte, ora avanzando a nord, ora arretrando a sud, a seconda del momento politico e della forza degli imperi a cui queste due culture erano, via via, assoggettate. Nel corso dei secoli queste dinamiche hanno lasciato molti segni sul territorio che raccontano una storia complessa e non priva di contraddizioni, ma sempre costruita in perfetto equilibrio con il contesto naturale circostante, e che ha generato un paesaggio riconoscibile ed universalmente riconosciuto. Una vicenda che attirato, in passato come oggi, l'attenzione di studiosi interessati a comprendere il senso delle dinamiche sociali collocate dentro un preciso territorio. Il principale riferimento culturale, in questo senso, è quello di John Cole ed Eric Wolf e del loro lavoro di indagine antropologica, compiuto oramai più di quarant'anni fa, su due paesini dell'Alta val di Non – il trentino Tret e il sudtirolese St. Felix – collocati da una parte e dall'altra della «frontiera nascosta» tra la cultura latina e quella

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Editoriale

germanica. I due antropologi spiegavano, nel 1974, che l'indisponibilità a fondere le rispettive tradizioni in un unico orizzonte socio-culturale derivava in larga parte dalla «divergenza nella gestione del potere in seno alla famiglia, che si esplicitava nella prassi della trasmissione ereditaria dei beni». Queste discordanze nelle relazioni di potere e prestigio erano servite alle due comunità per accentuare la loro diversità, in modo da stabilire identità separate, attraverso un meccanismo psicologico universale nella specie umana. Oggi le relazioni di potere sono profondamente mutate sotto la spinta della Modernità. E il territorio deve essere osservato con una prospettiva nuova, emancipata da una rigida suddivisione fra determinati ambientali e variabili socio-culturali. Questo numero di Sentieri Urbani, curato da Giovanna Ulrici, raccoglie gli atti del seminario organizzato dall'Inu del Trentino e dell’Alto Adige in occasione dell'iniziativa “A nord di Trento, a sud di Bolzano”, promossa da Ambiente Trentino nell'autunno scorso, e che aveva lo scopo di indagare dapprima fotograficamente, ma successivamente anche culturalmente ed urbanisticamente, il territorio che collega di due capoluoghi di provincia della Regione Trentino-Alto Adige. In realtà, leggendo in filigrana gli interventi degli esperti e le immagini dei fotografi, il tema che emerge è quello legato al senso della «frontiera» nel

nostro tempo, ed intesa come limite attraverso il quale un costrutto si trasforma in un altro. Non si tratta, quindi, solo dell'analisi di un tratto di territorio dalle forti valenze simboliche, ma di un'indagine sul senso della frontiera all'interno delle immagini culturali e territoriali che trentini e sudtirolesi hanno costruito in questi ultimi decenni. Le nuove frontiere che sono nate sul paesaggio della valle dell'Adige e sulle quali occorre seriamente interrogarsi non sono più quelle legate alla diversità culturale, sempre più flebili, come ci invita ad osservare Corrado Diamantini. Sono i nuovi limiti che separano l'accorta trasformazione del suolo da quella sciatta e irreversibile. Frontiera, allora, intesa come efficacia del piano urbanistico che rimane ancora uno strumento imprescindibile della pianificazione: la dispersione urbana dipende oggi più che mai dalle conseguenze di un'urbanistica priva di una chiara visione o di una sua rigorosa attuazione. Ma non solo: frontiera intesa come attenzione al riuso del suolo, sempre più prezioso soprattutto in questo territorio. Frontiera intesa come capacità di pianificare a scala sovracomunale, come esigenza oramai imprescindibile della costruzione del paesaggio. Frontiera, infine, come capacità d'immaginare un'architettura tradizionalmente moderna, in grado di dare prospettiva nuova a quadri territoriali in forte trasformazione. Per tutte queste ragioni questo numero di Sentieri Urbani non offre risposte univoche ma si pone come un laboratorio di idee e di intuizioni aperte a nuove elaborazioni e a nuovi contributi. Un ragionamento che consideriamo in progressione ed in costante evoluzione e che intendiamo promuovere con altre iniziative scientifiche e culturali. Perché la Valle dell'Adige, con i suoi rimandi simbolici e con le sue contraddizioni, non ci suggerisce solo quello che siamo stati o quello che avremmo potuto essere. Ma anche quello che saremo. A.F.

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Suolo, Strategia, Pianificazione Un’intervista a Federico Oliva a cura di Alessandro Franceschini

Federico Oliva, è presidente dell’INU dal 2005, insediato dopo il XXV Congresso dell’Istituto. Laureato in Architettura presso il Politecnico di Milano nel luglio 1969, è Professore Ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura e Società dello stesso Politecnico. Presidente del Corso di Laurea Specialistica in Pianificazione Urbana e Politiche Territoriali. Membro della Giunta della Facoltà di Architettura e Società. Titolare del “Laboratorio di Piani Urbani” della Laurea Specialistica in PUPT.

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Professore, la sezione “Trentino” dell'Inu ha organizzato, lo scorso autunno, un momento di riflessione urbanistica – con l'intervento di esperti di diverse discipline – dedicato alle mutazioni che il territorio tra Trento e Bolzano ha subìto in questi ultimi decenni. Quello fra i due capoluoghi è un tratto della valle dell'Adige piuttosto singolare e ricco di contraddizioni, caratterizzato dal passaggio invisibile della frontiera dove storicamente la cultura italiana è scemata in quella tedesca. «Conosco abbastanza bene il tratto di territorio compreso tra Trento e Bolzano. È un punto di passaggio obbligato, transitando verso il Brennero, e per questo ci sono passato molte volte. Si tratta di un fondovalle densamente abitato e molto utilizzato: uno spazio pieno di “cose” diverse: dagli edifici industriali ed artigianali alla residenza diffusa, dai centri storici fino alle grandi arterie di comunicazione viaria come l'autostrada e la ferrovia. Da punto di vista morfologico è un tratto di valle molto stretto che ha subìto una radicale trasformazione negli ultimi cinquant'anni e che concentra in uno spazio ridotto tutti i mali della città della dispersione edilizia. Naturalmente non siamo ai livelli della megalopoli padana perché la cultura nordica è riuscita a limitare e ad “ingentilire” questi processi, grazie ad un'attenzione più marcata nei confronti dello spazio pubblico». Per quale ragione i processi di antropizzazione pesante tendono a concentrarsi in luoghi particolari del territorio? «Quello che è avvenuto tra Trento e Bolzano, dove il territorio è caratterizzato da una forte pressione antropica, è un fatto piuttosto comune a tutti i territori di pianura e quindi


È arrivato il tempo di ripensare in maniera radicale le modalità in cui urbanizzare il suolo. Non si tratta di un problema di “paesaggio”, o non solo, ma di una questione di “ecologia”

non può essere considerato un fatto specifico di quell'area. Tuttavia anche lì le caratteristiche della crescita degli ambienti urbani ha causato, negli ultimi decenni, una crisi del sistema ambientale storicizzato che ha portato a trasformazioni che possiamo definire irreversibili». Si tratta veramente di un processo nel quale non è può tornare indietro? «È molto difficile pensare di tornare indietro perché stiamo parlando di un fenomeno vasto e capillare. Peraltro, nel caso della Valle dell'Adige, si tratta di un processo che era anche inevitabile: il resto del territorio regionale è collocato in montagna ed è quindi ovvio che proprio nel territorio pianeggiante tra Trento e Bolzano si collocassero i maggiori centri abitati, i luoghi del commercio e della produzione, la infrastrutture. Anche questo è un processo che, se guardato all'interno delle dinamiche economiche del Novecento, era inevitabile». È per questi motivi il “consumo di suolo” è entrato in maniera prepotente dentro gli studi e le pratiche urbanistiche? «Nella disciplina oramai non si parla più di “consumo di suolo” perché il suolo non si consuma ma si usa. Il punto è “come” lo si usa. È corretto, invece, parlare di “consumo di suolo agricolo”. Da tempo stiamo osservando con attenzione il consumo del suolo agricolo in Italia: si tratta di un fenomeno che, se escludiamo le aree più martoriate dall'edilizia del nostro Paese (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), non ha ancora delle caratteristiche “catastrofiche”. Tuttavia è arrivato il tempo di ripensare in maniera radicale le modalità in cui urbanizzare il suolo, trovando delle modalità più sostenibili. Non si

tratta di una questione di “paesaggio”, o non solo, ma di una questione di “ecologia”: l'impatto delle superfici impermeabilizzate sul sistema ambientale, sul ciclo dell'acqua, sui processi di rigenerazione naturale, sui cambiamenti climatici è molto alto e va a condizionare negativamente la qualità della vita dell'uomo». La pianificazione urbanistica e territoriale può essere ancora considerata uno strumento importante per governare questi fenomeni? «Attualmente non è pensabile trovare un rimedio solo nella pianificazione. Certo un buon piano urbanistico è un punto di partenza, ma la storia ci ha dimostrato come esso, da solo, sia insufficiente perché risente, soprattutto a livello locale, delle pressioni dei piccolo proprietari privati e delle lobby del mattone. Uno strumento importante è quello della leva fiscale. In pratica viene tassato il consumo di suolo agricolo o comunque extraurbano ed i relativi proventi vengono reinvestiti per riqualificare e rigenerare il tessuto urbano compromesso. Si tratta di un passaggio fondamentale che va assolutamente implementato perché i nostri territori sono già costruiti e molto degradati e vanno rigenerati con intelligenza». Insomma si tratta di un terreno su cui occorre investire e sperimentare… «Si tratta della politica urbanistico-territoriale più importante ed esistono già delle buone pratiche fatte in questa direzione. Ad esempio, la Germania ha già da alcuni anni implementato una legge federale che lavora proprio in questa direzione: ovvero una maggiore pressione fiscale legata al consumo di suolo agricolo, allineandosi così con i paesi

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C'è un problema di responsabilità e di etica professionale, che deve portare le scelte urbanistiche ad una maggiore autonomia da quelle della politica

nordici, più sensibili alla dimensione “civile” dell'uso del territorio. Ma si può fare qualcosa in più: la cosa migliore sarebbe quella di destinare i proventi di quelle tassazioni al recupero dei territori compromessi». Le criticità di queste aree riguarda, in particolare, la presenza di grandi edifici produttivi, spesso degradati, se non addirittura abbandonati… «Sugli edifici industriali e commerciali occorre superare un tabù che è quello della demolizione. I tempi sono oramai maturi per immaginare una demolizione di edifici obsoleti e, quando possibile, un ripristino dei territori che li hanno ospitati. In Svizzera, ad esempio, si sta lavorando molto proprio sul solco di questa linea politica: recentemente è stato confermata una legge con uno specifico referendum, per estendere a tutto il governo federale quello che è già realtà in alcuni cantoni. In partica si tassa il plus valore che si genere quando il piano trasforma un territorio da agricolo ad edificabile. Questa tassazione, di fatto sulla rendita, che in Svizzera hanno stabilito nell'ordine del 20%, entra in un fondo utilizzato destinato ad investimenti in riqualificazioni, rigenerazioni, demolizioni, soprattutto in quelle parti di territorio dove è difficile immaginare l'intervento dei privati». In pratica si tratta di inserire nei “valori” del territorio anche quello del terreno agricolo… «Un'altra pratica interessante è quella delle de-zonizzazione: si tratta di quell'attività grazie alla quale si prevede un indennizzo per il proprietario quando un territorio viene riclassificato – al contrario di quanto di solito avviene – da edificabile ad agricolo, creando incentivi che non vanno solo nella direzione della speculazione edilizia. In tutti questi casi

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si tratta di politiche urbanistiche che cercano di risolvere i numerosi problemi dei territorio che sono stati oggetti, in questi decenni, di un'urbanizzazione pesante e diffusa». Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma. «Le nuove soluzioni in urbanistica vanno nella direzione della conservazione o del recupero dell'agricoltura. I territori del Trentino e dell'Alto Adige non sono direttamente identificabili in questo tipo di paradigma perché in essi l'agricoltura esiste ed è viva. Gli agricoltori esistono, i vigneti esistono. Ma è presente anche tutto un ventaglio di usi del territorio agricolo che vanno necessariamente promossi e tutelati. Anche qui la pianificazione può dare un contributo importante, soprattutto nelle aree periurbane della città dove è più alta la possibilità che i territori vengano abbandonati e cadano in un successivo degrado ambientale. Questo problema è presente anche nella zona oggetto della vostra indagine, in particolare a nord di Trento. In realtà l'agricoltura periurbana è una grande occasione, scarsamente sfruttata, di promozione del territorio e di innalzamento della qualità della vita urbana. Ma, anche qui c'è bisogno di un progetto serio, che non sia solo nei contenuti di un piano urbanistico, che abbisogna di organizzazione, politiche di sviluppo, serietà dell'apparato amministrativo. Si tratta di una prospettiva seria che però abbisogna di un grande impegno e di un grande lavoro». Stanno cambiando quindi gli strumenti per il governo del territorio… «Lo slogan potrebbe essere “meno piano e più gestione”. Certamente il piano urbanistico è importante ed imprescindibile, ma esso non è


sufficiente. Le nostre città sono pieni di ottimi piani rimasti sulla carta, approvati e poi messi in un cassetto. L'efficacia del piano rimane una questione cruciale, e per questo è importante accompagnare i processi. E i piani devono mutare la loro mission: meno prescrizioni e più strategie d'intervento».

Cambia anche il ruolo dell'urbanista? «Anche la figura del pianificatore deve mutare il proprio ruolo all'interno del processo di pianificazione. Non è più possibile pensare che l'urbanista lasci l'amministrazione il giorno dopo l'approvazione del piano, ma deve accompagnare tutto il processo di attivazione del piano e deve essere in grado di individuare strategie e modalità di implementazione concreta delle scelte di piano, adattandole al rapido mutare dei tempi e delle condizioni economiche. C'è, infine, un problema di responsabilità e di etica professionale, che deve portare le scelte urbanistiche che hanno un maggior contenuto tecnico – quelle fondate su analisi scientifiche per intenderci – ad una maggiore autonomia da quelle della politica».

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Dossier: A nord di Trento A sud di Bolzano a cura di Giovanna Ulrici

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A nord di Trento a sud di Bolzano. Immagini del territorio, osservazioni delle trasformazioni.

La valle dell'Adige tra Trento e Bolzano: apparentemente uno spazio di mezzo, un luogo compreso fra due città capoluogo, un corridoio di transito veloce tra la pianura e l'Europa, dove a impressionare è una geologia fatta di piani orizzontali e verticali. In realtà questa terra è un microcosmo molto complicato. Ambiente Trentino e Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) - sezioni Trentino e Alto Adige con l'aiuto di altri partner hanno concentrato l'attenzione su questo territorio per guardarlo con occhi nuovi e capire come stiamo trasformando i nostri paesaggi e come siamo da essi trasformati. Raramente questa terra è stata oggetto di studi unitari, quasi sempre poi focalizzati sui temi ineludibili del confine e della separazione amministrativa. Un primo risultato di questa ricerca, che ci impegnerà anche per l'anno in corso, viene pubblicato su questo numero di Sentieri Urbani e riporta i risultati di un convegno regionale tenutosi pochi mesi fa presso la sede di Interbrennero Spa in occasione della mostra fotografica dedicata al lavoro di osservazione compiuto da otto fotografi. L'indagine si è infatti basata sulla restituzione per immagini di otto fotografi, trentini e altoatesini: Leonhard Angerer, Luca Chistè, Ivo Corrà, Erich Dapunt, Anna Da Sacco, Hugo Munoz, Francesca Padovan e Paolo Sandri. I loro scatti, pubblicati in un catalogo che ospita un saggio di Corrado Diamantini, sono e saranno oggetto di mostre itineranti per tutta la durata del progetto e alcuni di essi arricchiscono questo numero di Sentieri Urbani. Il paesaggio che osserviamo porta forti tracce politiche, e riflette la profonda trasformazione della società locale, cangiante nella sua composizione, nelle sue aspirazioni e nelle esigenze di auto rappresentazione che materializza nelle nuove architetture e nei nuovi modi di abitare. Nei contributi raccolti emergono i bisogni di una comunanza interna – regionale nel rispetto delle reciproche identità, a confronto con una rete di relazioni più ampia sviluppata lungo l'asse del Brennero o, trasversalmente ad esso, organizzata nella macroregione alpina. Vorremmo contribuire a riaffermare la peculiarità di questi luoghi quali testimoni della delicatezza e complessità dell'ambiente alpino, contesto di paesaggi sensibili esito di delicate interazioni tra natura e cultura che attingono a pratiche sociali secolari ma al contempo sono obbligate a mutare sempre più velocemente, spesso sotto la pressione di forze esogene che si muovono lungo i tanti vettori di mobilità nord-sud. Per fare questo è stato necessario capire gli effetti e l'efficacia della passata stagione di pianificazione urbanistica, declinata secondo due diversi assetti normativi e due distinte politiche di governo del territorio, che ha contribuito a dare opportunità di sviluppo ma anche a sfaldare un sistema compatto tra abitati e spazi aperti. Questo percorso concretizza una idea di Stefano Albergoni di Ambiente Trentino, ed è stato possibile grazie alla collaborazione di numerosi partner: Sezione Trentino e Alto Adige/Sudtirol dell'INU, Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori delle Provincie di Trento e di Bolzano e della Fondazione degli Architetti di Bolzano. In questa prima fase l'Ente capofila è stata la Comunità di Valle Rotaliana – Konigsberg e il sostegno finanziario è venuto da: Regione Autonoma Trentino Alto Adige, B.I.M. dell'Adige della Provincia di Trento, Ordine degli Architetti di Trento e Comune di Trento. Un grazie a tutti.

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Bibliografia di riferimento

John Cole, Eric R.Wolf La frontiera nascosta. Ecologia e etnicità fra Trentino e Sudtirolo

Pier Paolo Viazzo Comunità alpine. Ambiente, popolazione, struttura sociale nelle Alpi dal XVI secolo ad oggi

Corrado Diamantini, Bruno Zanon Le Alpi. Immagini e percorsi di un territorio in trasformazione

Mucgt/Carocci, Roma, 1994

Mucgt/Carocci, Roma, 2001

Temi Editore, Trento, 1999

Nell'alta val di Non, piccole comunità contadine di lingua romanza sono insediate fianco a fianco a comunità germanofone, lungo una 'frontiera nascosta' tanto linguistica quanto culturale. Perché, in presenza di condizioni ambientali simili, le culture dell'uomo possono essere tanto diversificate? Da un'ormai classica ricerca sul campo svoltasi a Tret e a St. Felix nell'alta val di Non, una delle risposte più qualificate e autorevoli nell'ambito dell'antropologia contemporanea.

Apparso nel 1989, il libro fornisce una sintesi che molto ha contribuito a cambiare la nostra percezione del mondo alpino e del suo passato. Mettendo in discussione l'immagine canonica di una società montanara fatalmente isolata, povera e analfabeta, condannata all'arretratezza da un ambiente ostile e da un regime demografico "primitivo", il libro si è rapidamente imposto come una sorta di manifesto di quello che viene oggi spesso definito "paradigma revisionista".

Il libro analizza, con il contributo di molti autorevoli autori, il processo di transizione che riguarda l'area alpina da molteplici punti di vista: culturale, economico, politico e sociale. Una parte consistente del libro è dedicata ai temi della pianificazione politica, economica, sociale ed ambientale nel settore pubblico e in quello privato. Il libro raccoglie inoltre alcuni esempi di buone pratiche ed esperienze paradigmatiche.

Luigi Zanzi Le Alpi nella storia d'Europa: ambienti, popoli, istituzioni e forme di civiltà del mondo alpino dal passato al futuro

G. Pasquali, S. Bassetti, M, Fumai Il modello sudtirolese. Fattori di successo e di criticità

Iain Sinclair London Orbital. A piedi attorno alla metropoli

Cda Vivalda editori, Torino, 2004

Raetia Editore, Bolzano, 2002

Il Saggiatore, Milano, 2008

L'opera tenta di tratteggiare in breve la complessa vicenda delle Alpi nella storia d'Europa, riconoscendo tale ambiente naturale come matrice d'avanguardia di molteplici modelli di civilizzazione. Le Alpi hanno proposto agli uomini migranti in cerca di una propria sorte di civiltà una sfida "ambientale" che solo pochi popoli hanno saputo accettare come propria "scelta ambientale" facendosi montanari e facendo delle Alpi più volte un laboratorio di invenzione di una nuova società d'Europa.

Condotta con strumenti di analisi multidisciplinari e intersettoriali la ricerca ha indagato il "modello sudtirolese" come esito sistemico storicamente determinato delle interazioni tra i fenomeni territoriali, ambientali, economici e sociali. È più che mai evidente, che uno sviluppo sostenibile a lungo termine è possibile esclusivamente considerando le peculiarità naturali e la sensibilità ecologica di una regione.

Considerata da molti il confine di Londra, definita da alcuni uno dei "sette orrori della Gran Bretagna", l'M25 è una circonvallazione a dieci corsie che si estende per 150 chilometri intorno alla città. Una "terra di nessuno, situata dove Londra finisce e inizia qualcosa di diverso, che non era mai stato descritto prima". Un territorio inesplorato che per Iain Sinclair si trasforma in una sfida da affrontare in modo molto particolare: a piedi.

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A NORD DI TRENTO

Dossier: a nord, a sud

A SUD DI BOLZANO

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Storia di un territorio di confine e di un divorzio consensuale di Giuseppe Ferrandi

Inizio questa mia relazione con una constatazione di carattere generale sugli studi e le iniziative “regionali”. Nonostante continuiamo a lamentarci del ritardo con il quale, istituzionalmente e politicamente, ci si muove, non possiamo dimenticare i passi in avanti compiuti in direzione di una “visione regionale” della nostra storia, del nostro territorio, dei tanti processi che accomunano e rendono interdipendenti il Trentino e l'Alto Adige/Südtirol. Vi sono, infatti, iniziative importanti che stanno approfondendo questioni cruciali appartenenti a quest'area di riflessione e di confronto. A partire dal convegno di oggi e del percorso fotografico qui allestito che riesce ad affrontare una dimensione dei problemi non rappresentabili attingendo alla sola storiografia e al suo metodo di ricerca. Nella scorsa settimana, del resto, abbiamo avuto due momenti di elaborazione e di discussione davvero significativi ed emblematici. Mi riferisco al primo Forum degli storici dell'Euregio, che si è svolto al Le Gallerie di Piedicastello, per affrontare con sguardo comune le vicende della nostra autonomia e il Convegno “La storia attraverso i confini”, dedicato alle problematiche collegate all'insegnamento della storia nelle zone “divise” da confini (linguistici, di Stato o semplicemente amministrativi). Io credo che la questione del confine abbia una rilevanza molto pregnante per la riflessione di oggi. Si tratta di capire cosa significhi confine e se lo stesso concetto, che abbiamo ereditato da una complessa tradizione storica e culturale, non debba essere rivisto e precisato. In particolare si tratta di attingere, dal punto di vista metodologico e disciplinare, alle scienze antropologiche e sociali, che possono dialogare con altre discipline, compresa, ovviamente, la storia. In questo contesto mi permetto di rinviare alla recente pubblicazione curata da Andrea Di Michele, Emanuela Renzetti, Ingo Schneider, Siglinde Clementi, "Al confine. Sette luoghi di transito in Tirolo, Alto Adige e

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Trentino", Bolzano, Raetia, 2012. Mi limiterò a portare in questa sede alcune riflessioni di carattere storiografico, ma credo che l'esigenza che ho posto vada tenuta in considerazione e approfondita ulteriormente. Gli organizzatori del Convegno hanno già operato una scelta che va in questa direzione con il titolo “A nord di Trento e a sud di Bolzano” e con l'approfondimento della specificità del caso Rotaliana - Bassa atesina. E' una tematica che va ad intrecciarsi con la più complessiva dimensione regionale. Una dimensione che, politicamente e istituzionalmente, è andata evolvendosi nell'esperienza storica, ancora in corso, del “divorzio consensuale” (titolo bellissimo per il quale ringrazio). Ciò può essere fatto sviluppando gli studi comparativi, includendo, se possibile, lo spazio alpino delle “terre alte” e retrodatando la dimensione cronologica oltre le soglie dell'età contemporanea. Ho iniziato parlando della questione confinaria e quindi mi limito a citare due casi studio. Il primo è quello dell'alta Val di Non, dove più di 40 anni fa due antropologi americani, John Cole ed Eric Wolf hanno sul campo dimostrato l'esistenza di una frontiera nascosta. A fronte di una continuità/omogeneità fisica ed ambientale, dove non vi sono significative barriere (montagne, corsi d'acqua, avvallamenti) che dividono le due comunità, le stesse vivono condizionate da una serie di meccanismi, tradizioni culturali, rapporti di proprietà, tali da evidenziare una frontiera nascosta e a motivare il sottotitolo della loro ricerca con i concetti di ecologia e etnicità fra Trentino e Sudtirolo. Aggiungo il valore della testimonianza di chi presiede il Caseificio di Fondo, che ha tra i suoi soci una composizione molto particolare perché il caseificio copre i due territori a nord e a sud di quella frontiera (nascosta). Il presidente mi diceva che è problematico ma anche interessante avere a che fare con i tanti soci “trentini” che conferiscono poco latte e i pochi soci “sudtirolesi” che ne conferiscono la maggior parte. A monte, ovviamente, vi sono storie e tradizioni e forme


Dossier: a nord, a sud

economico-sociali diverse. Ho citato questo esempio perché ritengo che anche laddove vi sia una forte continuità ambientale ed economica, l'elemento culturale produce delle divisioni e delle differenze molto rilevanti. L'altro esempio è il caso delle valli ladine. È un caso difficile da rappresentare per l'indubbia complessità della questione (in termini di appartenenza culturale, per i fattori economicosociali, per la dimensione storica) e la sua estensione. Vi è, infatti, una comunanza linguistico - culturale molto forte, che si è intrecciata e rafforzata grazie ad altri fattori, pur rimanendo le stesse valli ladine divise da confini amministrativi e regionali: vi è la parte agordino/veneta, quella fassana e quella sudtirolese. Anche qui interessante la peculiarità delle relazioni che devono superare le barriere costituite dalle alte montagne dolomitiche insieme alla rilevanza che hanno i passi e le vie di comunicazione per lunghi mesi all'anno difficilmente percorribili. La questione ladina è una che ci restituisce la ricchezza e il groviglio di problematiche confinarie.

stata avanzata da coloro, dopo il 1918, ritenuti da parte italiana rinunciatari rispetto agli obiettivi di conquista dell'AltoAdige/Sudtirol. La loro posizione trovava fondamento nelle tesi del presidente americano Wilson, che sosteneva la corrispondenza tra confini di stato e confini linguistici. Ovviamente la situazione e la stessa opzione salornista era molto più complicata e aveva altrettante valide obiezioni, ma credo comunque che i conti con il “salornismo” vadano fatti. Ho la percezione non suffragata da studi specifici che attorno a questa problematica, che ormai appartiene alla storia, vi siano alcune delle questioni che dibatteremo oggi. Ciò può avvenire se teniamo fede alla distinzione tra confini amministrativi, di stato, culturali, linguistici, economico-sociale, naturali.

La seconda problematica attiene alla questione regionale nella sua dimensione storica: dal Tirolo storico alla Provincia unica di Trento, dalla nascita della Provincia di Bolzano alla Regione autonoma, alle più recenti evoluzioni. Prima della prima guerra mondiale, quando esisteva questa entità regionale che chiamiamo il Tirolo storico, vi era una suddivisione del territorio amministrativo basata su distretti politici e distretti Il pur breve riferimento ai due casi, ci introduce giudiziari. Se andiamo a vedere l'area che ci interessa alla questione oggetto principale di questo troviamo tre distretti politici: Trento, Convegno e alle sue interessanti peculiarità.. Basti Mezzolombardo e Bolzano, che corrispondeva ai pensare alla presenza massiccia e strategica delle confini attuali tra le due Province. È interessante vie di trasporto e di comunicazione e alla forte notare che la ripartizione politico - amministrativa dinamicità economica che hanno i territori voluta dall'Austria prevedesse ben tre distretti, con “confinanti”. un particolare ruolo rappresentato da Mezzolombardo. Per completezza va presa anche in La questione è resa più complicata e interessante considerazione gli ambiti dei distretti giudiziari: dalla storia. Provo ad elencare alcune delle quello politico di Trento si sovrapponeva a Lavis per problematiche aperte, che variamente incidono l'ambito giudiziario, distretto giudiziario erano sulla odierna situazione. Mezzolombardo, Caldaro, Egna e Bolzano (la parte a sud della città afferiva a Bolzano). Va notato che La prima è quella “salornismo”, che può sembrare anche l'organizzazione del catasto seguiva queste distante ma che in realtà pesa enormemente. Il suddivisioni. “salornismo” è un tema che esplode “attorno” alla La situazione muta profondamente con l'annessione prima guerra mondiale (prima e dopo) e al Regno d'Italia. Dopo la parentesi del nell'immediato secondo dopoguerra (1945-'47). Si governatorato militare e di quello civile, con trattava della proposta di stabilire i confini di l'invenzione della Venezia Tridentina tutto il Stato a Salorno e non al Brennero. L'ipotesi era territorio regionale è compreso nella Provincia unica

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Storia di un territorio di confine e di un divorzio consensuale

di Trento. Al di là delle vicende amministrative, gli anni venti sono caratterizzati dalle politiche di snazionalizzazione anti-sudtirolese attuate dal fascismo. A partire dalla famosa marcia su Bolzano dei fascisti, prove generali per la marcia su Roma, per proseguire con i provvedimenti ispirati ad Ettore Tolomei. La situazione si evolve passando ad una occupazione militare ad un progetto sistematico di negazione dell'identità culturale e linguistica dei sudtirolesi. Nel 1927 questa storia si complica con la nascita della Provincia di Bolzano. Pochi ricordano questo evento che in realtà è un provvedimento importante per le conseguenze che avrà a livello regionale. Nel 1927 il fascismo trentino, forse il Trentino in generale, fallisce nel proprio obiettivo di rappresentare il presidio degli interessi nazionali e di costituire il “centro di potere” in grado di amministrare l'Alto Adige per conto dello Stato italiano. È un fallimento politico, di un'intera classe politica, che porta con se conseguenze economiche notevoli. Il centro d'interesse delle politiche nazionali non e' più, ammesso che lo sia mai stato, Trento ma diventa Bolzano. Si pensi al ruolo avuto dal capoluogo altoatesino rispetto la politica industriale. Molto più rilevante e impattante rispetto a quella riguardante Trento. Da questo trauma si genera il cosiddetto "trentinismo", destinato ad avere nel corso della storia una sua complicata evoluzione che in qualche modo possiamo constatare anche in tempi più recenti. Una sorta di tradimento delle aspettative che Trento e il Trentino avevano nei confronti dell'Italia per il ruolo progressivamente rilevante e “autonomo” assunto da Bolzano e dall'Alto Adige. Il provvedimento del 1927, e le sue conseguenze, sono ancor più importanti per il nostro caso, se consideriamo il non trasferimento alla nascente provincia di Bolzano dei Comuni di Bronzolo, Cortaccia, Egna, Magrè, Montagna, Ora, Salorno e Termeno. Comuni che mantengono la loro aggregazione alla provincia di Trento fino al 1948 quando il primo Statuto dell'Autonomia li 18

attribuisce alla provincia di Bolzano. Credo che questo sia un tema molto forte: nello stesso momento vengono assegnati a Bolzano anche Anterivo e Trodena, il cui territorio è parte della Magnifica Comunità di Fiemme, e le frazioni sudtirolesi dell'alta Val di Non. Quello che e' avvenuto dal 1918 al 1948 è stata quindi una fase di grande importanza, che ha contribuito a delineare l'identità e l'unicità di questo territorio. Sappiamo che le Provincie non contavano molto, ma sarebbe interessante, e sicuramente qualcuno lo ha già indagato a livello di ricerca storica locale, cosa ha rappresentato il confine amministrativo che divideva, ad esempio, Bronzolo da Laives. Il caso, ovviamente, viene ulteriormente arricchito dalla rinuncia del Vescovo di Trento ai territori che corrispondono alla provincia di Bolzano. La decisione, davvero rivoluzionaria e molto contestata, venne presa nel 1964 in un clima e in una situazione particolare. Siamo nel pieno della questione sudtirolese e nel contesto difficile dei tentativi di risolverla dando vita ad una nuova soluzione politica ed istituzionale. Concludo dicendo che queste problematiche, solo riassunte ed esemplificate in questo mio intervento, caratterizzano in modo particolare la storia del divorzio consensuale tra il Trentino e il Sudtirolo. Per divorziare, prima, bisogna sposarsi. Era consensuale il matrimonio? Era un matrimonio d'amore, di convenienza o imposto dalla parte in quel momento più forte? Se è innegabile che il Tirolo storico, la Venezia tridentina e la Regione del primo statuto costituiscono forme di aggregazione unitaria dei due territori, è altrettanto evidente che tali unificazioni (o accorpamenti) hanno prodotto reazioni e risposte negative. Le due questioni autonomistiche, quella trentina e quella sudtirolese, si misurano con questa unificazione forzata della dimensione regionale. Esse, a livello rivendicativo, sono sorte in momenti diversi. Per i trentini vi fu una sorta di Los von Innsbruck, nel momento in cui si guardava a Vienna (e prima ancora all'Assemblea


Dossier: a nord, a sud

costituente di Francoforte) per risolvere il problema e ottenere uno status di autonomia. La situazione si è invertita quando diventò Trento il capoluogo nemico dell'autonomia sudtirolese. Si tenta di ricorrere a una trattativa diretta con Roma pur protetta e tutela da Vienna. Abbiamo quindi due territori, due realtà, che assomigliano a due "cugini" in perenne litigio, che fanno crescere la loro identità politico autonomistica in contrapposizione l'uno all'altro: i riferimenti polemici non sono le due capitali nazionali (Vienna e Roma), ma Innsbruck che torteggia il Trentino e Trento che torteggia il Sudtirolo. Spostando l'attenzione sulle vicende più recenti e sulla fase consensuale del divorzio, è importante riconoscere il carattere strutturale della crisi della Regione che accompagna il periodo dal 1953 fino all'approvazione del secondo Statuto di Autonomia. E' una crisi caratterizzata da un progressivo esaurimento di legittimità anche in virtù del non riconoscimento del ruolo politico delle due Provincie, così come concepito nello Statuto del 1948 Una sorta di peccato originario, che ha poi portato all'esaurimento e al lento svuotamento di un Ente quale quello regionale. A segnare questo destino non vi sono solamente le questioni statutarie e legislative, vi e' infatti tanta politica, segnata dagli errori, dalle sottovalutazioni, dalle difficoltà che la generazione di politici come Tullio Odorizzi, primo presidente della Regione, hanno avuto nell'interpretare il senso dell'Accordo De Gasperi Gruber. La violenza, gli atti di terrorismo, la contrapposizione etnica e l'estremismo di alcune minoranze, hanno reso davvero tormentato il percorso che poi è sfociato nel più recente divorzio consensuale. A posteriori nemmeno questa forma di divorzio “pacifico” può soddisfare e chissà che il nuovo diritto di famiglia non offra alla nostra situazione regionale qualche soluzione interessante. * L'autore è Direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. Il testo ha mantenuto, salvo qualche integrazione, la forma dell'intervento letto in occasione del Convegno.

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Percorsi di differenziazione territoriale: a nord di Trento, a sud di Bolzano di Corrado Diamantini*

La Piana Rotaliana (Fotografia di Paolo Sandri)

* Professore di Tecnica e pianificazione urbanistica nell’Università di Trento

Tornare, a distanza di tempo, al confronto tra le trasformazioni di territorio intervenute in Trentino e in Alto Adige-Süd Tirol, anche se limitatamente alla parte di territorio che si estende tra Trento e Bolzano, mi offre la possibilità di approfondire riflessioni già svolte, avvalendomi di ulteriori elementi. Le riflessioni cui faccio riferimento, relative alle differenze tra i due territori, compaiono in alcuni scritti degli anni novanta del secolo scorso (Diamantini, 1966; Diamantini, 1999) e sono state riprese proprio in occasione della mostra “A nord di Trento, a sud di Bolzano/ Nördlich von Trient, südlich von Bozen” (Diamantini, 2012). Si tratta di differenze di costruzione territoriale che si rispecchiano nei differenti paesaggi e che ho attribuito, trovando conferme in altri studi (Bassetti, 1993; Pasquali et al., 2002), alla peculiarità del modello di sviluppo intervenuto in Alto Adige- Süd Tirol. Tra le immagini esposte nella mostra “A nord di Trento, a sud di Bolzano/ Nördlich von Trient, südlich von Bozen” ce n'è più di una che pone in risalto la distesa dei coltivi che si succedono ininterrottamente, a partire dalle propaggini meridionali di Bolzano, fino alla Piana Rotaliana. Qui, questa distesa viene interrotta da un'ampia zona industriale per poi riprendere per un breve tratto, fino a una successiva zona industriale posta all'altezza di Lavis. Prendo spunto da questa duplice interruzione, che contrasta con la

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continuità delle forme territoriali che appare invece più a nord, perché essa si presta in modo emblematico alla rilettura, che intendo proporre, proprio del tema delle differenze. Una rilettura incentrata ancora una volta sul paesaggio, che utilizza però come chiave interpretativa la concezione del piano, intesa come un insieme di principi e di regole che sovrintendono la guida delle trasformazioni territoriali. Differenti concezioni del piano Nella precedente lettura, riprendendo Cole e Wolf (1993) ho ricondotto alla particolare cultura del mondo tedesco, non disgiunta da una fiera opposizione a qualsiasi forma di omologazione polico-culturale, la conservazione pressoché integrale del paesaggio tradizionale in Alto Adige- Süd Tirol almeno fino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso. In realtà questa particolare cultura, tolti specifici tratti di contesto, accomuna tutto il mondo nordico dove la natura, anche quella trasformata dall'uomo attraverso le pratiche agricole, è sempre apparsa un bene comune – per usare un termine oramai familiare a tutti - capace di suscitare un tempo anche un senso del divino. Al contrario nel mondo mediterraneo la natura è sempre apparsa un qualcosa di strumentale, se non di poco attraente, da cui ricavare soprattutto un tornaconto (Gauchet, 1985). Voghera (2006) parte da questa osservazione per


Dossier: a nord, a sud

spiegare due diverse concezioni del piano. Nelle pratiche di pianificazione che sono intervenute nel mondo nordico si è assistito, a partire dagli inizi del secolo scorso, ad una integrazione delle misure di tutela dell'ambiente e del paesaggio nella pianificazione urbanistica, che appare a sua volta interagire strettamente con i processi di sviluppo economico. Nell'area mediterranea questo non è accaduto se non, con grande ritardo, alla fine del secolo scorso quando con l'irrompere del paradigma ambientale e delle istanze di sostenibilità, sono in parte mutati gli approcci al piano. Se prendiamo il nostro paese, la legge urbanistica del 1942 è distante anni luce dalla legge che tutela le bellezze naturali del 1939. Nel primo caso l'urbanistica è ridotta a pratica rivolta esclusivamente all'assetto e all'incremento edilizio dei centri abitati oltre che allo sviluppo urbanistico – inteso come espansione edilizia – che interviene nel territorio. Nel secondo caso, la concezione del paesaggio che pervade la legge è ancora quella crociana di “rappresentazione materiale e visibile della patria, con i suoi caratteri fisici (...) quali ci sono pervenuti attraverso la lenta successione dei secoli” (Legge 11 giugno 1922, n. 778). In entrambi i casi si tratta comunque di leggi che sostenute solo da uno sparuto gruppo di tecnici e intellettuali, non riusciranno nei decenni successivi a sintonizzarsi con una larga parte di una società civile poco incline alle regole (Ernesti, 1993).

Bolzano: carta delle tutele paesaggistiche

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L'integrazione tra sviluppo e conservazione Come è noto, lo Statuto di autonomia del 1948 ha riconosciuto alle due Province di Trento e di Bolzano la potestà di emanare norme legislative in materia di urbanistica e di tutela del paesaggio. Questo riconoscimento ha posto quindi le due Province autonome nelle condizioni di dotarsi di un impianto normativo autonomo oltre che coerente con la propria idea di sviluppo e di assetto di territorio. Questo è stato fatto però con esiti diversi. La Provincia autonoma di Bolzano nel giro di pochi anni, ossia dal 1954 al 1960, ha approvato tre leggi: una con la quale ha reintrodotto il maso chiuso; una con cui ha definito gli obiettivi e le modalità di tutela del paesaggio e infine una con cui ha dettato le norme che disciplinavano l'urbanistica. Si è trattato certamente di provvedimenti separati – per evitare lo scostamento dal quadro normativo nazionale ma comunque riconducibili, come ho già in altre circostanze affermato, a un disegno unitario, ossia quello della conservazione del paesaggio come interprete del sistema dei valori tradizionali della popolazione di lingua tedesca. Ho anche rilevato come l'attenzione quasi ossessiva al paesaggio non solo non abbia precluso, ma anzi sia andata a sinergere con scelte di sviluppo che sono intervenute, in chiave territoriale, in conformità a una opzione per altro non molto dissimile da quella adottata in Trentino attraverso il primo Piano urbanistico provinciale: garantire


Bolzano, in una rappresentazione ortofotogrammetrica del 1980

l'equilibrio tra le diverse parti di territorio attraverso una distribuzione mirata di attività produttive e di servizi collegati tra loro tramite una efficiente rete di infrastrutture. In altri termini, siamo di fronte ad un impianto programmatico che ha tradotto consapevolmente una concezione del piano che faceva interagire, coerentemente con quanto accaduto appunto nel mondo nordico, lo sviluppo economico con la salvaguardia ambientale e le trasformazioni territoriali con la conservazione del paesaggio. E' interessante anche annotare che in questo impianto programmatico la conservazione del paesaggio, come sancito esplicitamente dalla legge, appare di fatto sovraordinata a ogni altro tipo di scelta urbanistica. C'è un passaggio, in questo quadro, che merita una particolare attenzione ed è quello che riguarda il significato attribuito alla legge del 1957 sul paesaggio. A ben vedere questa legge ricalca in tutto e per tutto il testo della legge nazionale del 1939, interpretando però in chiave di kulturlandschaft – ossia di paesaggio culturale – i “complessi di cose immobili” e le “bellezze panoramiche” di interesse pubblico. In tal modo una visione romantica - e quindi elitaria - di paesaggio viene sostituita da una visione che attribuisce uguale valore a siti monumentali e a 22

luoghi modellati e vissuti nella quotidianità dalle comunità locali, ai quali queste ultime si sentono pertanto legate da un senso di appartenenza. A questo proposito, in uno dei contributi al volume di Pasquali et al., già citato, si legge: “Non basta un mantenimento qualsiasi degli antropismi alpini; non basta conservare il popolamento e le culture, ma è necessario conservare le forme colturali essenziali, le modalità fondamentali di gestione e lavorazione della terra, le tipo-morfologie storiche degli insediamenti umani, le localizzazioni originali dei siti insediativi”. Questa interpretazione ha comportato che il territorio dell' Alto Adige-Süd Tirol, pressoché nel suo insieme, ricadesse sotto tutela paesaggistica. Valga, a titolo di esempio, uno dei decreti emanati a proposito dal Presidente della Giunta provinciale di Bolzano (25 luglio 1959, n. 30): “E' approvato senza introdurvi alcuna modifica l'elenco delle località del Comune di Laion da sottoporre alla tutela·del paesaggio, il quale comprende tutte le particelle edificiali e fondiarie del Comune catastale di Lajon, cioè l'intero territorio amministrativo del Comune di Laion”. Un collage delle tutele paesaggistiche, ancora incompleto perché risalente a un periodo compreso tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta del secolo scorso, restituisce un'immagine eloquente della posizione in cui si viene a trovare il comune di Bolzano a seguito della decretazione di tutela paesaggistica. Una posizione di accerchiamento che ne impedisce a tutti gli effetti l'espansione nelle campagne circostanti, come testimonia molto bene una immagine aerea della città e dei suoi dintorni del 1983, che compare nei materiali preparatori del Piano urbanistico del capoluogo redatti alla fine degli anni ottanta del secolo scorso. E questo perché l'espansione di Bolzano, in qualsivoglia direzione, non rientrava nel disegno di sviluppo e conservazione fatto proprio dalla Provincia autonoma. L'assetto di territorio, fino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, appare pertanto una costruzione che si avvale di poche e semplici regole – poste in atto, in assenza di un piano territoriale, dai piani urbanistici comunali (Morello, 1999) – che trovano però il loro fondamento e la loro efficacia in un disegno condiviso di società e insieme di territorio. La separazione tra sviluppo e conservazione La Provincia autonoma di Trento si dota di una prima legge organica in materia urbanistica nel 1964, in concomitanza con la redazione del primo Piano urbanistico provinciale e di una legge per la tutela del paesaggio nel 1971. Si tratta, come osserva Zanon (1993), di due provvedimenti


Dossier: a nord, a sud

separati, “secondo il modello avviato in Italia alla fine degli anni '30”. Questo significa che il primo Piano urbanistico provinciale, approvato nel 1967, viene redatto in assenza di una normativa specifica sulla tutela del paesaggio, affidando di fatto questa tutela alla sensibilità di una figura certamente di primo piano dell'architettura e dell'urbanistica italiane ma in ogni caso alle prime esperienze – come sarebbe stato per qualsiasi architetto e urbanista italiano – per quanto riguarda la pianificazione di area vasta. Samonà (1959) aveva da poco pubblicato “L'urbanistica e l'avvenire delle città” in cui, dopo aver preso le distanze sia dall'organicismo che dal razionalismo, assumeva nei confronti della città un punto di vista “territoriale” riferito alla nuova dimensione delle trasformazioni (Infussi, 1992). Ed è l'assunzione di questo punto di vista che lo porta, tra l'altro, in rotta di collisione con Plinio Marconi, incaricato della redazione del Piano regolatore di Trento il quale, come sottolinea Toffolon (2012) che ha recentemente svolto una riflessione sul duro confronto intervenuto tra i due urbanisti, era rimasto saldamente ancorato a un'idea più tradizionale di trasformazione urbana. Il punto di vista “territoriale”, tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta del secolo scorso, rimanda a un confronto che interviene soprattutto tra economisti e urbanisti, con questi ultimi impegnati a ritagliarsi un ruolo attivo all'interno della programmazione regionale (Giannattasio, 1994). Ma mentre gli urbanisti, per ammissione dello stesso De Carlo (1962), alla scala territoriale appaiono ancora incerti sui “contenuti su cui operare” – anche se sono in atto alcuni significativi tentativi di pianificazione comprensoriale - gli economisti possono già contare sulle esperienze di programmazione economica intervenute nel Mezzogiorno oltre che su solidi contributi disciplinari che sottintendevano tutti una concezione del piano che assegnava alle funzioni economiche un ruolo guida nella costruzione del territorio. Tra questi, quello di Perroux (1955), al quale si deve la teoria dei poli di sviluppo cui certamente non erano indifferenti figure come Andreatta e Secchi, che figurano come consulenti nella redazione del Piano urbanistico del Trentino. Sul versante dell'architettura, un punto di vista “territoriale” può essere rinvenuto nel lavoro, anche teorico, di Miljutin (Crippa, 1993) che, pur risalendo agli anni trenta, affronta una questione centrale nel pensiero di Samonà, ossia quella del divario tra città e campagna che lo stesso Miljutin si propone di superare attraverso il progetto di città lineare, intesa non come soluzione formale al problema della crisi della città industriale, ma come sintesi tra la dimensione urbana e quella rurale.

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A questi contributi Samonà accosta a sua volta una lettura del paesaggio, certamente innovativa, che era andata nel frattempo maturando attraverso apporti disciplinari diversi, come testimoniano, tra gli altri, i lavori di Sestini (1963) e di De Carlo (1966). Questa nuova lettura consiste in una critica dell'approccio crociano – ossia di una attenzione rivolta alle bellezze naturali che finisce con il privilegiare i paesaggi eccellenti – cui viene sostituito il riconoscimento del valore di ogni testimonianza visibile dell'evolversi della civiltà materiale, in analogia con quanto era stato dichiarato, attraverso la Carta di Gubbio, con riferimento agli insediamenti storici. Il paesaggio diventa così, in modo analogo a quanto interveniva in Alto Adige-Süd Tirol, l'espressione di ciò che di “armonico si è venuto a creare tra la storia dell'uomo e la storia naturale”, arrivando a comprendere le “strutture insediative integrate nell'ambiente”, le “opere di coltura agraria” e quelle di “infrastrutturazione del territorio”, naturalmente agrario (Provincia autonoma di Trento, 1968). Gli elementi del paesaggio, nel progetto di territorio, arrivavano a rivestire per Samonà la stessa rilevanza degli elementi compositivi nel progetto di architettura. Questo emerge in particolare sia nel lavoro di analisi che accompagna la redazione del Piano comprensoriale dei comuni del Polesine, al quale concorrono alcuni studenti del suo Corso di Composizione architettonica anche con tesi di laurea sia, soprattutto, nella riflessione sulle “unità insediative” intervenuta proprio attraverso il Piano urbanistico del Trentino. Ho utilizzato in precedenza il termine accosta, perché evidentemente questi due approcci, quello funzionalista e quest'ultimo che chiamerei culturalista, non riescono in realtà a integrarsi. Il Piano infatti, pure estendendo la tutela paesaggistica a una gran parte del territorio provinciale, la esclude proprio nei territori di fondovalle - in particolare quelli disposti lungo l'asta dell'Adige e la Valsugana - dove sono previste le maggiori trasformazioni. Come se in questi territori fosse improvvisamente svanita ogni traccia di paesaggio e la distesa di coltivi rappresentasse unicamente una tabula rasa su cui attivare le trasformazioni edlizie. Accade cioè che di fronte a istanze certamente ineludibili di crescita economica e di diversificazione delle fonti di reddito, nei territori più sollecitati dalle trasformazioni viene meno quell'attenzione rivolta insieme allo sviluppo e alla tutela che invece si rinviene, nel Piano, in altri ambiti del territorio provinciale. Un'attenzione tesa a fondere il “preesistente mondo rurale” con il “nuovo tessuto urbano” oltre che a operare, come viene sollecitato dallo stesso Samonà, una “saldatura tra componenti urbanistiche, economiche e sociali”. Si tratta di una scelta, quella di abdicare a questo approccio in aree strategiche, incoerente che per essere attuata deve fare ricorso, di fatto, a soluzioni


Piano urbanistico del Trentino (1967): particolare della Piana Rotaliana

urbanistiche, improntate allo zoning, che erano state criticate dallo stesso Samonà. Certo, tutto questo va ascritto a una storia di pratiche urbanistiche che accomuna, come ho rilevato, il mondo mediterraneo e alla quale non riesce a sfuggire neppure questa esperienza di pianificazione per altri versi originale. Originale perché riesce, per la prima volta nel nostro paese, a fare dialogare istanze economiche e soluzioni urbanistiche, risollevando quest'ultime dalla posizione ancillare in cui erano state precedentemente relegate dalla pianificazione regionale. Il limite segnalato, ripeto, è un limite ascrivibile a una visione diffusa all'epoca, quella per cui le trasformazioni del territorio erano

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l'esito meccanico di scelte economiche. Una visione, alla quale Samonà non riesce a contrapporne compiutamente una visione alternativa, anche se non può essere sottaciuto che contemporaneamente, a Urbino, De Carlo percorreva una strada diversa senza nulla concedere, pure in presenza di istanze altrettanto impellenti di modernizzazione, a uno snaturamento dei luoghi. A nord di Trento Il territorio che si estende a nord di Trento, ancora alla metà del secolo scorso presentava un assetto non molto dissimile da quello rinvenibile nella mappa catastale asburgica risalente a cento


Dossier: a nord, a sud

anni prima. Questo assetto muta radicalmente come del resto quello dell'intero territorio provinciale, proprio a partire dall'approvazione e dalla successiva attuazione del Piano (Diamantini, Franceschini, 2012). All'epoca, la vocazione industriale di questa parte di territorio, integrata con attività commerciali e agricole, era stata ricondotta da un lato alla sua posizione, con riferimento alla presenza di grandi infrastrutture e dall'altro alla vicinanza con Trento, dal momento che erano previsti trasferimenti di impianti industriali dalla città. E' a partire da questa vocazione che vengono individuate, tra Trento e la Piana Rotaliana, alcune aree industriali. Agli occhi di Samonà, la creazione di queste aree industriali risponde a uno schema che egli riconduce alla città lineare. Si tratta di un richiamo, certamente suggestivo in un'ottica funzionalista, destinato però a rimanere tale perché le funzioni urbane, che si vorrebbero appoggiate appunto su una ideale struttura lineare, appaiono in realtà incardinate, oltre che sul capoluogo, su due poli che fungono da altrettanti “capisaldi della localizzazione industriale”, collegati tra loro solo idealmente tramite l'autostrada. Da un lato Lavis e dall'altro la nuova aggregazione urbana costituita da Mezzolombardo e Mezzocorona. La realizzazione di questa città lineare viene inoltre affidata esclusivamente alle destinazioni d'uso del suolo senza alcun rimando a un progetto urbano capace di definirne la forma e gli elementi tipologici. Per cui compaiono nel Piano solo ampie e discontinue campiture tra cui spiccano la duplice zona industriale situata sul conoide dell'Avisio, la duplice zona industriale che si estende a sud di Mezzolombardo, e infine l'ampia zona industriale situata tra Mezzolombardo e Mezzocorona, di cui è prevista l'estensione fino all'autostrada.

All'inizio degli anni novanta l'assetto del territorio che si estende a nord di Trento già presenta, a seguito della realizzazione di una buona parte di queste previsioni di piano, la sua configurazione attuale. L'auspicata commistione di funzioni – manifatturiera, commerciale e agricola – si è infatti interamente realizzata traducendosi, dal punto di vista spaziale, in una ordinata zonizzazione – qui le fabbriche, là l'agricoltura, là ancora le residenze e i servizi – scalfita solo dall'accentuazione del fenomeno dell'intrusione di singoli edifici nel verde agricolo. Non è importante qui rilevare che questa zonizzazione è intervenuta sovradimensionando il numero dei posti di lavoro nel settore manifatturiero e quindi le stesse aree industriali che nel piano sono state dilatate fino a coprire, a nord e a sud, l'intero fondovalle. E' che in questo quadro, per richiamare il punto da cui sono partito, la scelta della localizzazione delle aree industriali appare oggi priva di una ragione urbanistica plausibile e del tutto emblematica di una concezione del piano – ancora mediterranea - che pure presentando aspetti originali rimane fondamentalmente ancorata al riconoscimento acritico della priorità da assegnare, nelle destinazioni d'uso del suolo, alle attività più remunerative. Un riconoscimento sancito emblematicamente dall'area industriale di Mezzocorona la cui realizzazione ha prodotto, attraverso una forma inutilmente geometrica, quell'occlusione della valle dell'Adige con cui si è interrotta per sempre la continuità dei coltivi che si estendevano da Bolzano fino a Trento.

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L'Adige nella Bassa Atesina di Kurt Werth*

La storia dell'Adige inizia con le glaciazioni che 65 milioni di anni fa significavano 3.000 metri di ghiaccio sopra Merano e fino a mille metri sulla Bassa Atesina. 15.000anni fa l'Adige ha rotto la barriera a Bolzano e il percorso del fiume ha preso più o meno il tracciato attuale. Le prime mappe dettagliate del suo reticolo nascono intorno alla fine del Cinquecento: nella mappa del 1573 non era l'Adige al centro dell'attenzione nella rappresentazione ma la terra e le strade, e questo spiega alcune inesattezze cartografiche (per esempio il fiume Noce si immette sotto Termeno). All'epoca le terre paludose di fondovalle erano proprietà comune, e questo ha generato delle difficoltà per la regolazione dell'Adige, condizionata al chiarimento sugli aspetti patrimoniali. La bonifica dei terreni di fondovalle ha permesso di gestire la regolazione. Altri grossi problemi nella regolazione idraulica erano dati dalle immissioni degli affluenti, dall'Isarco al Noce che usciva ad angolo retto a S. Michele. Le prime iniziative ufficiali e pubbliche per migliorare il fondovalle hanno avvio nel 1526. Ma la vera storia della regolazione idraulica dell'Adige ha inizio sotto il regno di Maria Teresa d'Austria, nel 1740/80. I meriti vanno ad Kassian Ignaz von Enzenberg , a suo tempo governatore, che ha fatto di tutto per arrivare ad un intervento da parte del governo locale del Tirolo, coinvolgendo esperti da tutta Europa. In questo periodo,a metà del 700, tre alluvioni, e specialmente la più pesante del 1757, convinsero ad intervenire. Si partì con l'elaborazione di alcuni progetti. Il primo progetto fu ritenuto troppo costoso. Il secondo progetto fu redatto da Josef Peter von Zallinger, un ingegnere che ha costruito la fossa di Caldaro. Poi un terzo piano di regolazione fu redatto da un geometra, Isidor Leporini di Pergine, nel 1776, ma anche questo non venne preso in sufficiente considerazione. A quell'epoca gli argini venivano realizzati con fascine: tra due pali di due- tre-metri, infissi nel terreno, venivano posati sassi e fascine per proteggere la riva dall'erosione. Si trattava di una soluzione piuttosto vulnerabile: nel 1797 Napoleone passò in Bassa Atesina con l'esercito, la portata del fiume era scarsa e le truppe rimossero facilmente le fascine da entrambe le rive. Questo dimostrò la debolezza di tale soluzione. La vera storia della regolazione parte dopo il 1800. Agli inizi del secolo l'ingegnere Ignatz von Novack redasse un progetto su tutto il

territorio, indagato nella doppia natura di luogo di interesse per l'agricoltura e di via di comunicazione. Il progetto Novack va da Merano fino a Sacco ed è descritto in 136 quadri, 40x60 cm, custoditi nell'archivio storico di Innsbruck. Tra il 1817 e il 1826, sotto il governo francese, si cominciano a realizzare i primi tagli utili alla rettifica delle maggiori anse del fiume: ne vengono realizzate sei, due sopra Ora, due sopra e sotto Egna e altre due a Laghetti e a Cortina. Come hanno fatto a realizzarle? Fu scavato un canale largo due - tre metri e profondo altrettanto e al momento giusto fu deviato il corso dell'acqua in questi canali, furono poi allargati i canali e fu lasciato il vecchio letto per 30-40 anni. Poi si chiusero le vecchie anse, ma questi sono sempre stati punti critici. Nel 1882 l'Adige ha rotto in uno di questi punti, e non per pura casualità: ha spinto su materiale leggero di riempimento. Altre alluvioni seguono nel '29 e '44 e tutti gli anni questi sei tagli a nord di Trento andavano in crisi, anche perché non avendo regolato il deflusso dell'acqua sotto la città di Trento le cose non hanno mai funzionato e ad ogni alluvione sorgevano problemi e le fosse si riempivano di detriti. La gestione del fiume cambia con l'inizio delle opere per la realizzazione della ferrovia, che doveva essere più sicura. Fu allora che venne predisposto un quarto progetto di messa in sicurezza, e per la ferrovia si devia il Noce e si esegue un altro taglio in località Masetto. Si poteva finalmente fare una regolazione generale, ma i tempi erano politicamente difficili, e gli interventi vengono procrastinati. Altre alluvioni, nel 1851, nel '56 e due storiche nel 1868 e nel 1882 in occasione delle quali tutta la valle venne sommersa di acqua hanno convinto ad intervenire. Fu promulgata la legge imperiale del 1879per la regolazione dell'Adige in cui l'ImperatoreFranz Josef affermava «La Regolazione dell'Adige fra le foci del Passirio e Sacco formi una indivisibile unità» così già alla fine del '79 iniziarono gli interventi su tutto il percorso in forma contestuale. La regolazione vera è stata realizzata tra il 1880 e il '90, con un preciso criterio di idraulica nella costruzione degli argini: se ne costruivano due, uno basso e uno alto con i sassi – sono ancora visibili quando il livello dell'acqua è basso – quello maggiore utile al contenimento delle portate estreme. Inoltre si intervenne nella regolazione del flusso dell'acqua modificando in alcuni tratti la larghezza del fiume. I lavori furono resi difficili dalle continue alluvioni, 26

*Kurt Werth, cronista Autore de «Geschichte der Etsch zwischen Meran und San Michele. Flussregelung-Trockenlegung der Möser Hochwasse» Tappeiner, 2002

quasi una ogni anno e la più grave nel 1882. E contemporaneamente in questi 10 anni della fine del secolo l'agricoltura soffre di grandi calamità: nella viticoltura si diffondono l'oidio, la filossera e la peronospora che minano le coltivazioni: un periodo estremamente arduo per le popolazioni locali. Durante l'epoca fascista vengono affrontate grandi opere: nell'ambito del Genio Civile la regolazione dell'acqua e le bonifiche avevano grossa importanza, vi sono diversi progetti in Provincia di Bolzano. Le competenze gestionali dal 1889 sono passate ai Consorzi di mantenimento delle opere ma in epoca fascista l'Adige resta in capo al Genio civile e poi alle Province (dal 2000) e le fosse restano affidate ai Consorzi di bonifica come tuttora. Due parole sulla sicurezza. La sicurezza idraulica è spesso conflittuale con un approccio ecologico ed ambientale, ma il contenimento della vegetazione in alveo è molto importante, se basti pensare che in un percorso come quello dell'Adige la presenza di vegetazione genera turbolenze e riduce fino al 30% la velocità dell'acqua. In epoca recente si è verificata qualche rottura degli argini, nel 1926, nel '60 e nel '65 e l'ultima nell''81, sotto Bolzano e a Laimburg però complessivamente con danni relativi. Sono stato in grado di ricostruire tutti i punti in cui gli argini hanno ceduto: solo nella Bassa Atesina si sono verificate 43 rotture nell'arco degli ultimi 150 anni, ed in alcune zone, come San Floriano o Magrè o Salorno, le rotture si susseguono. Il rischio dipende da tante cose e i modelli previsionali devono interpolare molteplici fattori: la quantità di pioggia, la sua distribuzione, la neve, la portata di materiali e la capacità dei bacini di trattenere l'acqua di precedenti precipitazioni. A mio avviso ci sarebbe un semplice modo per rendere tutta la Bassa Atesina compreso Trento sicura e ci sono anche progetti di esperti dell'Autorità del Bacino dell'Adige e valutazioni modellistiche dell'Università degli Studi di Trento già elaborati a riguardo: fare una diga sopra Bressanone per regolare l'afflusso del Rienza, anche perché si tratta di zone povere di insediamenti e la posizione richiederebbe un ritardo nel deflusso di sole due ore. Se si fosse optato per questa soluzione nel 1981 il livello a Bronzolo e Trento sarebbe stato di più di un metro inferiore. Le soluzioni per ridurre i rischi del fiume ci sarebbero, ma senza interventi strutturali l'Adige resta come una spada di Damocle sopra la Bassa Atesina.


I contributi

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Il fondovalle

Il fondovalle a nord di Trento e a sud di Bolzano. Continuità e differenze delle forme insediative e degli approcci di pianificazione. Il territorio tra Bolzano e Trento presenta delle continuità e delle diversità che devono essere attentamente colte. Si tratta, infatti, di un territorio unito dalla geografia ma segnato dalla “frontiera nascosta” (Cole e Wolf, 1993) posta tra differenti culture, lingue, modi di costruire lo spazio abitato. Le continuità riguardano ovviamente la morfologia valliva, ma anche le tracce profonde delle precarie condizioni originarie del fondovalle che hanno spinto i primi insediamenti sui bordi, alla ricerca di suoli sicuri, nonché le regole organizzative definite dalle grandi opere di bonifica e dalle infrastrutture che hanno segnato, a partire da metà '800, la progressiva colonizzazione - agricola e insediativa - di questo territorio. Le discontinuità riguardano le culture insediative, che emergono confrontando i centri compatti di tradizione italica con il sistema dei masi collocati sui versanti, ma anche riconoscendo nell'insediamento di Egna-Neumarkt la volontà di fondare un centro di mercato al servizio di un territorio abitato in modo diffuso. Le diversità emergono, infine, tra approcci della pianificazione che seguono concezioni e impiegano metodi di attuazione delle scelte differenti. La forza dei recenti fenomeni economici, di riorganizzazione territoriale, di costruzione delle infrastrutture, nonché la tendenza pervasiva all'abitare in modo diffuso stanno peraltro omologando sempre più i due contesti. Gli interventi di Peter Morello e di Bruno Zanon indagano questi temi alla ricerca dei fattori di continuità e di discontinuità che hanno caratterizzato la costruzione del territorio e i processi di pianificazione che nei decenni recenti hanno rappresentato, in modo più marcato che in altre parti del paese, i principali meccanismi decisionali relativi all'assetto territoriale e degli insediamenti. Gli esiti richiedono naturalmente una attenta valutazione, in vista delle sfide poste dai rapidi cambiamenti in corso.

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Dossier: i contributi

Pianificazione urbanistica e forma del territorio tra Trento e Bolzano. Il caso dell’area trentina di Bruno Zanon

Un territorio tra monti e acque Il fondovalle tra Bolzano e Trento è una stretta striscia di territorio tra monti e acque. E' delimitato dalle pareti delle montagne che si elevano a picco per diverse centinaia di metri ed era dominato, fino alla metà del secolo scorso, dalla forza delle acque dell'Adige, del Noce e degli affluenti minori. Uno sguardo, anche frettoloso, al paesaggio rotaliano ci ricorda come il territorio sia l'esito delle azioni delle comunità insediate finalizzate alla costruzione di uno spazio di vita, di lavoro, di relazioni. La valle, percorsa e abitata da millenni, è stata strutturata nell'assetto attuale a partire dalla metà dell'Ottocento mediante poderose opere di regimazione dei corsi d'acqua e di bonifica dei terreni impaludati, nonché con la realizzazione di infrastrutture che hanno tracciato nuove linee regolatrici del territorio. Si tratta, in particolare, della ferrovia del Brennero, della Trento-Malé (tramvia prima, ferrovia a scartamento ridotto dagli anni '60), delle strade, dei ponti, dell'autostrada, ma anche delle opere idroelettriche. Questi interventi hanno costituito un sistema di punti di accesso, di polarità, di margini che ancora oggi strutturano campagne e insediamenti, pur entro una fase di rapida transizione tra l'assetto storico e le forme esplose della città e del territorio contemporanei, tra il senso dei luoghi e la forza dei flussi che attraversano questo “corridoio”. Il fondovalle storicamente era uno spazio non adatto all'insediamento stabile e gli abitati si collocavano ai margini, lungo i conoidi dei torrenti e sui rilievi ai piedi delle ripide pareti delle montagne. Anche la percorrenza lungo uno dei corridoi di collegamento tra Europa centrale e Mediterraneo (basti ricordare la via imperiale Claudia Augusta) era spesso difficoltosa e la via d'acqua costituiva, da Bronzolo in poi, uno strumento fondamentale di trasporto. Ne è testimonianza l'iconografia storica relativa alla città di Trento - sempre rappresentata con l'Adige in primo piano -, che ci ricorda come i viaggiatori giungessero spesso dal fiume, le cui condizioni non di rado mettevano alla prova il 29

figura 1

Catasto austroungarico, ca. 1860, scala originale 1:2880 (montaggio di S. Weber)

buon esito del viaggio. Questo breve esercizio di lettura storica è importante per ribaltare un punto di vista dominante. Il fondovalle sembra oggi “naturalmente” lo spazio privilegiato di insediamento, perché pianeggiante, accessibile, ben coltivato, mentre fino ai grandi interventi citati era un'area residuale rispetto alle aree di versante, più sicure per la frequentazione, la coltivazione, gli insediamenti. Questo non significa che non vi fossero usi, anche importanti, di tale spazio - quali il pascolo, la raccolta di legna, la pesca nelle vaste aree allagate ma si trattava di usi complementari rispetto a quelli delle aree di versante. Gli insediamenti, da quelli preistorici in poi, erano posti sulle aree più sicure, come attestato dai ritrovamenti neolitici in corrispondenza dei conoidi e dei rilievi, mentre i centri abitati successivi sono sorti ai margini della valle, spesso a ridosso delle pareti di roccia o dove (come a San Michele) le colline si elevano rispetto alla piana del fiume. La messa in sicurezza dei percorsi e il recupero a usi stabili del fondovalle sono stati ovviamente obiettivi a lungo perseguiti e in parte realizzati, seppure per piccole porzioni di territorio che rimanevano in ogni caso in conflitto con la forza delle acque (come ricordato dai ritrovamenti di età romana a Mezzocorona), ma è solo nella seconda metà dell'800 che vennero avviate trasformazioni stabili, con opere che avrebbero segnato l'organizzazione e la forma della piana rotaliana. Le regole tracciate sul territorio sono, infatti, quelle definite dalla funzionalità delle opere di sistemazione dei corsi d'acqua, di scolo delle acque, di tracciamento del sistema infrastrutturale. Tra tali linee portanti si collocano le vaste plaghe agricole ed entro di esse hanno dilagato gli


figura 2

Peter Anich e Blasius Hüber, Atlas Tyrolensis, 1774, scala originale 1:103.800.

insediamenti che, dalla loro sede appartata iniziale, hanno esteso l'occupazione a suoli prima insicuri o inaccessibili ma che, grazie alle nuove opere, sono diventati di agevole utilizzo. La costruzione del territorio La lettura proposta di questo territorio ruota attorno alla affermazione che si tratta di uno spazio insediativo costruito in tempi recenti e una rapida lettura della cartografia storica consente di evidenziare tale processo. Una prima immagine (figura 2) è quella classica dell'Atlas Tyrolensis di Peter Anich e Blasius Huber del 1774. Il fondovalle è dominato dai corsi d'acqua, gli insediamenti sono a ridosso dei versanti, i percorsi risalgono le zone collinari e i toponimi ci ricordano la presenza di aree impaludate (Ischia, Moos) e aree sottoposte a dissodamento (Raut). Gli attraversamenti dell'Adige e degli altri corsi d'acqua sono pochi e in alcuni casi affidati a traghetti. Prima della metà dell'800, nonostante le iniziative di Maria Teresa d'Austria a metà '700 e gli studi sui modi di regimare il fiume Adige (è noto, in particolare quello di Ignaz von Novak del 1805), vennero realizzate solo poche opere di sistemazione. Tra il 1849 e il 1852 venne deviato il corso del Noce e nel 1856 venne realizzata una serra alla Rocchetta. L'urgenza di mettere in sicurezza la ferrovia del Brennero costrinse però ad accelerare la sistemazione dell'Adige con un insieme di opere le cui dimensioni richiesero l'elaborazione di una visione di insieme (secondo quanto previsto dal quadro normativo del 1879), e l'assegnazione a soggetti diversi del compito di presidiare le diverse aree. Tale responsabilità venne affidata, per la Rotaliana, al consorzio Atesino S. Michele-Sacco. 30

Le mappe del catasto austro-ungarico (figura 1) evidenziano la fase di passaggio intervenuta a metà del secolo XIX. Emergono in particolare le nuove linee direttrici dell'organizzazione del territorio: la grande curva del Noce – assieme al tracciato del vecchio alveo -, la ferrovia, i canali scolanti che da Caldaro scendono fino a Grumo attraversando le ampie aree paludose a sud di Roveré della Luna. Le operazioni di bonifica sarebbero proseguite a lungo, fino agli anni '30 e, in alcuni casi, fino a dopo la Seconda Guerra mondiale, facendo uso anche di impianti idrovori a presidio delle campagne nei periodi di piena. La stessa sistemazione dell'Adige, messa a dura prova dalle alluvioni (tra le più devastanti quelle del 1882, del 1926 e del 1966), sarebbe stata soggetta a successivi interventi di miglioramento, mediante l'allargamento del letto e il rafforzamento degli argini. La realizzazione della ferrovia del Brennero, oltre ad accelerare la rettifica di ampi tratti del fiume, costituì nuove polarità nel territorio, tra le quali la stazione di Mezzocorona, che richiese una connessione con una breve linea per raggiungere Mezzolombardo, tracciando il forte segno della “retta”. Nel 1909 si aggiunse la tramvia TrentoMalé, in gran parte lungo le strade esistenti, fino a quando, nel secondo dopoguerra, venne realizzato un nuovo tracciato in sede propria, a conclusione di un aspro dibattito tra chi voleva una ferrovia a scartamento normale (anche in ragione del trasporto merci) e chi sosteneva una “ferrovia leggera”. La scelta di quest'ultima soluzione, che sembrava rinunciataria, si rivelò, al contrario, strategica, definendo una linea di tipo metropolitano che garantisce un servizio passeggeri di grande efficacia. In questo quadro venne consolidato anche il sistema viario, fortemente condizionato dagli


Dossier: i contributi

figura 4

Carta del Touring Club Italiano, anni '20, scala originale 1:50.000. figura 3

Carta topografica di origine ungherese, 1898, scala originale 1:250.000.

attraversamenti dei corsi d'acqua. Storicamente i ponti erano pochi, anche per l'intralcio che producevano alla navigazione del fiume e alla fluitazione del legname. La ferrovia, ponendo termine all'uso del fiume per i trasporti, agevolò la realizzazione di nuovi ponti, ormai tra argini più stretti e consolidati. Lo stretto passaggio dell'Adige tra i rilievi di San Michele e Grumo costituiva un punto favorevole alla realizzazione di un attraversamento, anche se la confluenza del Noce comportava spesso dei problemi. Il ponte attuale, realizzato negli anni '30, è attestato sulla strada arginale esterna al vecchio centro ed è stato realizzato con una particolare tipologia strutturale (ormai un vero e proprio “landmark”) ripresa nel ponte sul Noce di accesso a Zambana, paese particolarmente isolato. Tra Nave San Felice e Nave San Rocco, come ricordano i toponimi, esisteva un traghetto, poi sostituito da un ponte di legno e negli anni '30 dal ponte attuale, ad opera del Consorzio Atesino di Bonifica. Infine, a Masetto venne eretto un ponte in legno, sostituito con un'opera in cemento armato dopo l'alluvione del 1966. Una carta del 1898 (figura 3) mostra il fondovalle segnato ormai dalle nuove linee portanti del territorio, costituite dal sistema idraulico e dalla infrastrutture. Traspaiono peraltro ancora i segni dell'assetto precedente, assieme ad ampi spazi in cerca di sistemazione definitiva. Anche la carta del Touring Club Italiano del primo dopoguerra (figura 4) descrive (con una certa inerzia, essendo probabilmente costruita su basi cartografiche precedenti), il fondovalle a sud di Bolzano completamente sgombro di insediamenti stabili e con un assetto incerto 31

dello spazio agricolo. Questa situazione si protrae a lungo e la carta dell'IGM del 1923, aggiornata per le strade principali nel 1950 (figura 5), descrive ancora un territorio per buona parte libero da insediamenti e da tracciati infrastrutturali (ma in questo caso traspare, oltre che il mancato aggiornamento, la probabile censura, data la natura militare della carta, di opere e insediamenti industriali ritenuti strategici). Le grandi trasformazioni del sistema insediativo presero quindi avvio nel corso degli anni '60, in coincidenza con la grande stagione della pianificazione trentina, anche se buona parte degli interventi non furono strettamente dipendenti da questa. Molte opere vennero (ed ancora vengono) decise in parallelo ai processi di pianificazione e si intrecciano in modo non sempre coerente con questi. E' il caso dell'autostrada, ma anche delle altre opere infrastrutturali, degli insediamenti produttivi, in parte precedenti alle scelte di piano e punto di partenza per le ampie zonizzazioni del Piano Urbanistico Provinciale del 1967 (Provincia Autonoma di Trento, 1968). Un fatto territoriale rilevante è stata la realizzazione dell'autostrada, alla cui progettazione si pose mano negli anni '60 (Zanon, 2005). In quel periodo le priorità stradali riguardavano le connessioni interne al paese, in particolare tra le grandi aree metropolitane, mentre quelle internazionali apparivano secondarie. Una regione “ponte”, qual è il Trentino-Alto Adige, giocava il proprio ruolo proprio sulla possibilità di migliorare l'accessibilità verso nord, in un momento di apertura dei mercati, di rapida crescita della motorizzazione e di avvio dello sviluppo turistico. L'autostrada richiese opere di grande impegno e costituì un fattore di riorganizzazione territoriale e di ridisegno del paesaggio. Il fondovalle dell'Adige, posto a quota


figura 5

Carta topografica dell'Istituto Geografico Militare, 1923 con aggiornamenti al 1950, scala originale 1:100.000.

inferiore alla massima piena del fiume, comportò la scelta di realizzare il tracciato praticamente tutto in rilevato, con il piano viario ad alcuni metri sopra la quota di campagna. Per lunghi tratti l'autostrada corre inoltre lungo gli argini del fiume, opportunamente rafforzati. I numerosi vincoli e ostacoli lungo la valle richiesero infine numerosi passaggi del fiume, con la realizzazione di undici ponti, al contrario della ferrovia che ne conta solo tre tra Bolzano e Verona. Sempre negli anni '60 venne rafforzata la viabilità ordinaria, avviando quel processo di costruzione di circonvallazioni che segnano l'urbanizzazione “a cipolla” di molti centri abitati. Ne è un esempio la “retta” di Gardolo, che sposta dal centro del paese la statale del Brennero e rafforza la compartimentazione lineare di quel pezzo di valle tra la “variante”, la ferrovia, la Trento-Malé, quindi l'autostrada e il recente tracciato della strada di scorrimento verso Mezzolombardo. La stagione della pianificazione In questo gioco si sono naturalmente collocati i piani, territoriali e urbanistici. A partire dagli anni '60, con il Piano Urbanistico Provinciale del Trentino (PUP), iniziò una nuova fase caratterizzata da un ruolo centrale della pianificazione nel definire l'assetto del territorio (Zanon, 1993). Gli esiti devono essere analizzati con attenzione al fine di esprimere una valutazione sulla efficacia di tali strumenti, che non deve riguardare solo il quadro normativo di regolazione dei diritti di uso del suolo (compito precipuo dei piani dei comuni), ma il complesso processo di pianificazione relativo alla individuazione degli obiettivi di sviluppo, alle 32

priorità per le azioni pubbliche, alle regole da assegnare all'attività privata. Il PUP, giunto ad approvazione nel 1967, costituì un momento di assunzione di ruolo della Provincia autonoma, utilizzando le competenze nel campo urbanistico (quelle in campo economico erano ancora in capo alla Regione) per dare corpo a un programma di sviluppo che consentisse di uscire dalle condizioni di marginalità del territorio provinciale. La prospettiva della crisi dell'agricoltura di montagna e dell'esodo della popolazione dalle valli spinse verso la definizione di un ruolo centrale dell'industria, secondo una modalità che avrebbe dovuto riguardare tutte le vallate, ma che vide una concentrazione tra Trento e l'area rotaliana, dove erano previsti 500 ettari di aree industriali, pari a circa un terzo di quanto previsto a livello provinciale. Tali aree erano collocate a nord di Trento, a Lavis e tra Mezzolombardo e Mezzocorona, dove venne consolidato il comparto tracciato dalle infrastrutture otto-novecentesche, formando un singolare “triangolo industriale”. Nell'area rotaliana, il PUP individuò peraltro il ruolo del territorio agricolo di fondovalle, da sviluppare e specializzare, potendo competere nel nuovo quadro europeo del mercato comune. L'attività di pianificazione fu segnata quindi dalla scommessa dei Piani Urbanistici Comprensoriali (PUC), il cui ruolo stava a cavallo tra la dimensione territoriale (per la dimensione coinvolta) e quella regolativa dei piani comunali (sostituiti proprio dai PUC). In val d'Adige lavorò, tra gli anni '80 e '90, Giovanni Astengo, uno dei maestri dell'urbanistica italiana del dopoguerra, il quale sviluppò delle analisi approfondite, che


Dossier: i contributi

figura 6

Schema strutturale per il Piano Comprensoriale della Valle dell'Adige, responsabile scientifico Giovanni Astengo. Analisi dei centri abitati, scala originale 1:8.000.

sostennero la redazione del piano e che testimoniano ancora oggi del metodo rigoroso da lui adottato (Comprensorio Valle dell'Adige, 1983). In sintesi, i documenti analitici (figura 6) mettevano in evidenza come fosse in atto un processo di trasferimento di popolazione dai piccoli paesi di montagna verso valle, in un quadro territoriale che vedeva grandi flussi di mobilità e di pendolarismo che riguardavano in parte la Rotaliana ma che tendevano a concentrarsi su Trento. Si trattava quindi di un territorio di frontiera, attraversato da flussi lungo la ferrovia e l'autostrada e dal pendolarismo. Astengo sottolineava peraltro come ci fosse un eccesso di previsioni di aree edificabili nei piani comunali, così come le aree industriali previste dal PUP fossero in buona parte ancora disponibili, pur con la presenza di industrie problematiche, in particolare a Mezzocorona, dove c'era un impianto chimico inquinante. La realizzazione della Cantina in tale contesto, dopo la chiusura dello stabilimento, va vista da diverse prospettive. Non è solo un oggetto architettonico di forte immagine ma anche il simbolo della capacità della comunità locale di riappropriarsi di un'area industriale che generava conflitti. Le aree produttive – sia quelle attive che quelle dismesse - vanno viste ora in una prospettiva ancora diversa, in ragione della mobilità delle imprese che rende precarie le localizzazioni esistenti - e a causa della pressione esercitata da altri settori, in particolare il commercio nella forma dei poli commerciali di livello sovracomunale. In questo quadro l'area rotaliana costituisce sicuramente una zona di cerniera tra il Trentino e la Bassa Atesina o, meglio, tra ampi bacini di utenza lungo un territorio attraversato da flussi 33

poderosi. Nel 1987 giunse ad approvazione la seconda versione del Piano Urbanistico Provinciale (Mancuso, 1991), che confermò i capisaldi del piano precedente – quali le aree industriali - e disegnò nuovi raccordi infrastrutturali, ponendo peraltro una maggiore attenzione alla difesa del territorio agricolo, per cui gli insediamenti, posti ancora ai bordi della valle, vennero contornati da aree agricole specializzate da difendere in modo rigoroso. Il PUP recente, approvato nel 2008, pone i problemi in modo nuovo, sottolineando la necessità di leggere le specificità del territorio e di elaborare delle strategie condivise di lungo periodo che si collochino all'interno di un impegno nei confronti della sostenibilità, affrontando le sfide della competitività. L'attenzione al tema del paesaggio, o meglio, l'impegno a “costruire paesaggi”, riflette la necessità di integrare le azioni al fine di definire una nuova qualità dello spazio insediato, sia urbano sia agricolo. Il nuovo PUP descrive la Rotaliana, in particolare mediante la cartografia dell'Inquadramento strutturale (figura 7) e la Carta del paesaggio, come un territorio fortemente segnato dagli “atti territorializzanti” descritti prima, mentre riprende e valorizza elementi che, pur difficili da cogliere, definiscono la struttura profonda del territorio: il conoide e il vecchio alveo del Noce, le vecchie anse dell'Adige, i segni forti delle infrastrutture che organizzano e strutturano questo spazio. Il paesaggio è descritto attraverso due tematismi: il paesaggio agricolo di fondovalle e il paesaggio fluviale, pur se questo significa soprattutto il corso del fiume costretto entro argini stretti. In conclusione, il futuro di questo territorio dipende dalla capacità di ridare identità e struttura agli insediamenti, preservando il territorio agricolo specializzato. A tale fine è necessario rafforzare le


figura 7

Piano Urbanistico Provinciale, Carta dell'Inquadrame nto strutturale, scala originale 1:50.000.

relazioni tra le comunità insediate e un contesto messo alla prova da linee infrastrutturali soggette a continue azioni di potenziamento e costellato di insediamenti produttivi in cerca di nuove destinazioni. La sfida è di grande momento, perchè da un lato si sconta la specializzazione funzionale dei diversi ambiti, dall'altro le linee portanti del disegno territoriale creano una grande quantità di frammenti. E di fronte a tali ritagli i punti di vista sono spesso divergenti. Non di rado sono visti come aree di saturazione edificatoria, vuoti da edificare al fine di favorire la “densificazione” e il rafforzamento dei “fronti urbani”, mentre sono spazi con dei valori naturalistici, produttivi, di sostegno alle connessioni ecologiche o di mobilità lenta da valorizzare mediante operazioni coerenti. A tale fine vanno adottati modelli di intervento nuovi ed è necessario sperimentare strumenti di perequazione e di compensazione che bilancino oneri e vantaggi, valorizzando la

multifunzionalità del territorio aperto. La sfida deve essere raccolta in particolare dalla pianificazione territoriale di Comunità. Si tratta di cogliere il ruolo della nuova scala di intervento e la nuova missione del piano sovracomunale. Per questo è necessario leggere le condizioni territoriali alla ricerca delle criticità e delle opportunità. Partire dal territorio significa però affermare una concezione che vede il territorio stesso non come uno spazio da riempire di funzioni, ma come l'esito complesso delle azioni delle comunità locali nei confronti del proprio spazio di vita, di lavoro, di relazioni. E' necessario quindi sapere “costruire il territorio” facendo buon uso delle risorse naturali e degli investimenti fatti nel corso del tempo per organizzare tale spazio, facendo leva sulla risorsa più importante, vale a dire il capitale sociale. E' una sfida da affrontare con nuove competenze tecniche e con il pieno impegno della politica, dedicando grande spazio al coinvolgimento della comunità locale.

Bibliografia Cole J.W, Wolf E.R., 1993, La frontiera nascosta. Ecologia e etnicità tra Trentino e Sudtirolo, Museo degli usi e costumi della gente trentina, San Michele all'Adige, Trento. Comprensorio Valle dell'Adige, 1983, Per il Piano Comprensoriale. Schema strutturale. Volume primo, Trento, giugno 1983, Vilalagarina (TN), Pizzini. Mancuso F., (a cura di), 1991, L'urbanistica del territorio Il nuovo Piano Urbanistico del Trentino, Venezia: Marsilio. Provincia Autonoma di Trento, 1968, Il Piano Urbanistico del Trentino, Padova, Marsilio. Zanon B., 2005, “Territorio, urbanistica, ambiente: l'organizzazione del paesaggio umano”, in: A. Leonardi, P. Pombeni, Storia del Trentino, vol. VI, L'età Contemporanea. Il Novecento, ITC – Il Mulino, Bologna, 2005. Zanon, B., 1993, Pianificazione territoriale e gestione dell'ambiente in Trentino, Città Studi, Milano.

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Dossier: i contributi

Pianificazione urbanistica e forma del territorio tra Trento e Bolzano Il caso della Bassa Atesina di Peter Morello*

*Urbanista, Istituto Nazionale di Urbanistica, sezione Alto Adige/Süd Tirol

Premessa Bruno Zanon, nel descrivere la forma urbana e la pianificazione a nord di Trento, avvalendosi di un ricco repertorio iconografico, evidenzia le trasformazioni del territorio in un periodo lungo per poi approfondire le trasformazioni recenti in rapporto alla pianificazione territoriale e comprensoriale. Le considerazioni di lungo periodo, sugli insediamenti storici ai margini della valle lungo i conoidi di deiezione, sugli interventi di bonifica e regolazione delle acque e poi di infrastrutturazione ferroviaria e stradale, valgono anche per la parte sudtirolese della Valle dell'Adige e hanno avuto effetti analoghi sullo sviluppo degli insediamenti fino agli anni '60 del secolo scorso. Possiamo affermare che i due territori risultano specularmente omogenei nelle caratteristiche fisico-geografiche di base: - il fondovalle pianeggiante dell'Adige attorniato da ripide pareti delle montagne, - i due poli urbani di Trento e Bolzano alle estremità con le propaggini delle urbanizzazioni di Lavis e di Laives, rispettivamente a nord e a sud dei due capoluoghi, - i centri intermedi di Mezzocorona e Mezzolombardo sul versante trentino e di Ora ed Egna su quello altoatesino alla confluenza delle valli laterali. Fino a tutti gli anni '60 i due contesti risultavano tra loro molto simili sia nella forma accentrata degli insediamenti che nella caratterizzazione dei territori agricoli che li attorniavano. 35

Radicalmente diversa invece risulta la storia recente e in particolare la pianificazione territoriale urbanistica nei due contesti provinciali. Nel Trentino e nel comprensorio della Valle dell'Adige, dal PUP del 1967 di Samonà fino a quello del 2008, passando per il piano comprensoriale di Astengo e il PUP del 1987, ha prevalso la pianificazione territoriale su quella urbanistica comunale. Ha prevalso cioè una visione strategica sullo sviluppo economico dei territori, nel tempo sempre più attenta alla sostenibilità ambientale e paesaggistica. In Alto Adige, pur nel quadro di un progetto di società e di territorio fortemente incentrato sull'identità della popolazione autoctona, ha nettamente prevalso la pianificazione urbanistica a livello comunale fortemente promossa e controllata dalla Provincia. Questo diverso approccio nel governo del territorio, più strategico e strutturale in provincia di Trento e più puntuale e concreto in provincia di Bolzano, ha certamente contribuito a determinare effetti sulle trasformazioni territoriali molto diversi nell'insieme delle due province e anche nei due contesti particolari della Valle dell'Adige che qui descriviamo e confrontiamo. Questa considerazione vale soprattutto dalla seconda metà degli anni '60 fino a tutti gli anni '80, determinando a mio avviso nella parte sudtirolese un maggior controllo dello sviluppo quantitativo e in alcuni casi anche qualitativo degli insediamenti. La storia più recente (cioè degli ultimi due decenni) sia della pianificazione che delle trasformazioni territoriali e insediative, invece, mi pare ci riavvicini


nel bene e nel male per una serie di fattori di reazione alle precedenti politiche territoriali, ma anche di carattere più generale ed esterni ai contesti esaminati. Nel Trentino hanno portato a porre maggiore attenzione alla sostenibilità e al controllo dello sviluppo e in provincia di Bolzano, al di là delle dichiarazioni formali e ufficiali di attenzione alla sostenibilità, hanno determinato processi di liberalizzazione e di allentamento delle regole in campo urbanistico, soprattutto nella salvaguardia del paesaggio agricolo tradizionale e nel controllo quantitativo e qualitativo dello sviluppo degli insediamenti. Questi due diversi approcci nella pianificazione ci portano anche a due diverse letture delle trasformazioni territoriali nei due ambiti. Nella parte sudtirolese non è possibile leggere le trasformazioni attraverso la descrizione e il progetto dei piani territoriali. E' quindi più difficile fornire una visione d'insieme e una prospettiva strategica di lettura e governo del

territorio, direttamente desumibile dai piani. La mia lettura quindi non può che partire dalla descrizione della situazione amministrativa, geografica e territoriale e dalla evoluzione demografica, sociale ed economica dalla fine degli anni '60 ad oggi, per poi tentare di interpretare quanto in questi processi di trasformazione abbia inciso la pianificazione urbanistica comunale. Il quadro socio-economico e territoriale dell'Oltradige e Bassa atesina La prima domanda che mi sono posto è quale sia l'oggetto, l'ambito della mia e della nostra indagine. Infatti l'area della Bassa atesina e dell'Oltradige riguarda: - amministrativamente: il Comprensorio dell'Oltradige - Bassa atesina con i 18 comuni posti nella parte meridionale della provincia di Bolzano, - geograficamente: l'Oltradige (8 comuni sulla sponda sinistra dell'Adige da Terlano a Magrè) e la Bassa atesina (i 10 comuni sulla sponda destra),

La Bassa Atesina e l'Oltradige: situazione amministrativa, morfologia e altimetria Fonte: Geobrowser - Provincia autonoma di Bolzano - Alto Adige

Carta dell'uso del suolo – 2001

Classi di legenda Territori urbanizzati Territori agricoli Superfici coperte a vegetazione Territori privi di vegetazione Territori umidi ed acque Totale

Oltradige- Bassa Atesina ettari % 2.310,18 5,5 13.173,75 31,3 25.622,35 60,8 558,86 1,3 461,76 1,1 42.126,90 100,0

Fonte: Provincia autonoma di Bolzano - Alto Adige

36

Alto Adige ettari % 17.034,23 2,3 86.735,32 11,7 493.751,42 66,8 137.071,51 18,5 4.383,28 0,6 738.975,75 100,0


Dossier: i contributi Demografia – 2011

Comune Aldino Andriano Anterivo Appiano s.s.d.v. Bronzolo Caldaro s.s.d.v. Cortaccia s.s.d.v. Cortina s.s.d.v. Egna Laives Magre' s.s.d.v. Montagna Ora Salorno Terlano Termeno s.s.d.v. Trodena n.p.n. Vadena Oltradige-B.A. Bolzano Alto Adige

Popolaz. Italiani Stranieri residente N. N. % 1.669 1.626 43 2,6 1.037 983 54 5,2 383 374 9 2,3 14.364 13.029 1.335 9,3 2.649 2.435 214 8,1 7.740 7.123 617 8,0 2.231 2.129 102 4,6 654 600 54 8,3 5.028 4.524 504 10,0 17.394 15.676 1.718 9,9 1.297 1.139 158 12,2 1.649 1.576 73 4,4 3.569 3.284 285 8,0 3.591 2.859 732 20,4 4.202 3.858 344 8,2 3.312 3.095 217 6,6 1.021 932 89 8,7 1.022 920 102 10,0 72.812 66.162 6.650 9,1 104.755 90.342 14.413 13,8 511.688 467.333 44.355 8,7

di cui non UE N. % 20 1,2 21 2,0 6 1,6 592 4,1 183 6,9 318 4,1 44 2,0 28 4,3 391 7,8 1.393 8,0 90 6,9 28 1,7 221 6,2 644 17,9 173 4,1 118 3,6 68 6,7 84 8,2 4.422 6,1 11.802 11,3 30.117 5,9

Famiglie Componenti N. N. 601 1.669 410 1.037 172 383 6.120 14.143 1.118 2.649 3.321 7.689 882 2.209 272 654 2.114 4.972 7.136 17.108 541 1.297 652 1.649 1.485 3.537 1.475 3.568 1.692 4.184 1.358 3.297 410 1.021 402 1.022 30.161 72.088 48.356 103.247 209.554 506.436

Ampiezza media 2,78 2,53 2,23 2,31 2,37 2,32 2,50 2,40 2,35 2,40 2,40 2,53 2,38 2,42 2,47 2,43 2,49 2,54 2,39 2,14 2,42

Fonte: ASTAT - Istituto provinciale di statistica

- territorialmente si articola in un contesto con forte carattere urbano (Laives e Appiano), un contesto di fondovalle (con la prevalenza dei comuni) e un contesto montano (Aldino, Anterivo e Trodena). L'area interessata dall'indagine fotografica riguarda prevalentemente il contesto del fondovalle dalla zona industriale di Bolzano sud fino a Trento nord. Dalla sequenza delle ortofoto dell'area risultano evidenti: - il fondovalle con i suoi insediamenti, ancora nettamente distinti dal territorio agricolo, - le ripide montagne a est e a ovest, coperte da vegetazione boschive e poco insediate. Secondo la carta dell'uso del suolo del 2001 il comprensorio dell'Oltradige - Bassa atesina risulta caratterizzarsi diversamente rispetto all'insieme dell'Alto Adige: - i territori urbanizzati sono pari al 5,5% del totale, mentre nell'insieme della provincia sono solo il 2,3%, - i territori agricoli rappresentano il 31,3% rispetto all'11,7% provinciale, - le aree coperte da vegetazione (boschi e pascoli) sono il 60,8%, simili per peso alla realtà provinciale (66,8%), - più ridotta è la quota di territori privi di vegetazione nel comprensorio rispetto alla provincia (1,3% rispetto a 18,5%), - più estesi invece sono i territori umidi e le acque (1,1% rispetto allo 0,6%). In altri termini la diversa caratterizzazione altimetrica del comprensorio rispetto all'insieme 37

dell'Alto Adige, determina che pur rappresentando solo il 5,7% dell'intero territorio provinciale, vi si concentrano il 13,6% dei territori urbanizzati e il 15,2% di quelli agricoli e, viceversa, risultano molto più ridotti quelli naturali (il 5,2% dei boschi e pascoli e solo lo 0,4% delle rocce). Gli abitanti sono 73 mila e le famiglie 30 mila (pari al 14% della provincia). Due terzi della popolazione è tedesca e un terzo italiana. Gli stranieri sono 6.650 (9,1% della popolazione), di cui 4.422 cittadini non UE (6,1%), con punte molto elevate in alcuni comuni (a Salorno sono il 20%). La popolazione dal 1971 al 2011 è passata da 49 a 73 mila e le famiglie da 14 a 30 mila con un tasso di crescita nettamente superiore a quello provinciale (la popolazione rispettivamente del 47,5% nel comprensorio e del 23,6% in provincia, mentre le famiglie del 121,2% e dell'88,5%). Anche dal punto di vista sociale le differenze sono significative. Nel 2001 gli occupati erano 31 mila: 13,6% nell'agricoltura, 24,6% nell'industria e 61,8% nei servizi. A livello provinciale sono rispettivamente il 9,9%, il 26,4% e il 63,7%. Dal punto di vista economico l'area si caratterizza per una presenza significativa dell'agricoltura, soprattutto con coltivazioni intensive di mele e uva. Nel 2000 le aziende agricole erano circa 5 mila (il 19% di quelle provinciali) con una superficie aziendale di circa 36,5 mila ettari (6% del totale provinciale) e 13,7 mila ettari di superficie agricola utilizzata (5,1%). Particolarmente significativa è la presenza di frutteti (6,7 mila ettari pari al 36% di


ne 2 010 Pae s sul t aggio ota le d natura el te le rrito (%) rio Sup per erficie abit urba ante nizz ata (mq Ver ) d e su p a aes gricolo agg io n (%) Zon atur ale su ine resid sed enzia iam l i enti (%) Sup residerficie enz (etta iali A ri) d – Ce elle Z ntro one Sup stor e ico resid rficie enz (etta iali B ri) d di c elle omp Zon Sup leta e men residerficie to enz (etta iali C ri) d e di e l Sup spa le Zone nsio pro erficie ne dutt d ive elle Zo (%) n s u in e sed Sup iam e r enti Zon ficie e pr (ett odu ari) ttive delle Sup pub erficie d blic he ( elle Zo %) s n u in e sed Sup iam enti Zon erficie e pu (ett bbli ari) d che elle Sup pub erficie ( blic o pemq) di r ab verd e itan Are te e p su te er la rrito v rio u iabilità rba nizz (%) ato

olaz io

Comune Pop

Piani urbanistici in vigore per periodo

1965 - 1990

1991 - 2000

2001 - 2005

2006 - 2011

Zonizzazione dei PUC per comune (a) nel 2011 – Dati e indicatori

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Dossier: i contributi

Salorno. Piano urbanistico comunale del 1972

tutta la provincia) e di vigneti (3,3 mila ettari pari al 69% provinciale). I masi chiusi sono relativamente pochi e si collocano nell'assoluta prevalenza nelle aree montane. E' un aspetto rilevante rispetto al resto dell'Alto Adige dove il paesaggio agrario tradizionale (la Kulturlandschaft) è storicamente determinato dalla presenza del maso chiuso. Nonostante l'assenza dei contesti montani più tipici dell'Alto Adige, il turismo gioca un ruolo significativo nell'area. I 930 esercizi ricettivi con 18 mila posti letto ospitano 460 mila turisti (arrivi) con 2 milioni di pernottamenti (pari al 7% delle presenze in provincia). E' un turismo prevalentemente di stranieri (1,7 milioni di presenze) concentrato nel semestre estivo (1,6 milioni di presenze). L'area è caratterizzata da forte pendolarismo per motivi di lavoro verso i poli attrattori di Bolzano e dei centri maggiori del fondovalle. La quota di pendolari giornalieri in uscita sul totale degli occupati nel comune di residenza risulta particolarmente elevata (nella prevalenza dei comuni sopra il 40%). Dal 1995 al 2011 si sono realizzati 11 milioni di metri cubi, di cui 4 milioni in fabbricati residenziali e 7 milioni in fabbricati non residenziali (pari a circa il 14% provinciale). Il 34,3% delle cubature è stato realizzato nelle zone residenziali (A, B e C), il 35,0% nelle zone produttive (D) e il 24,8% nel verde agricolo (E). Rispetto alla realtà provinciale risulta più elevata la quota di cubatura realizzata nelle zone di centro storico e inferiore quella realizzata nelle zone di completamento e di espansione residenziale. Nettamente maggiore risulta quella realizzata nelle zone produttive. Mentre quella realizzata nel verde agricolo risulta simile alla media provinciale a conferma che le “deroghe” previste dalla normativa urbanistica hanno effetti simili nei diversi ambiti territoriali. Questo spiega alcuni fenomeni che i fotografi hanno evidenziato. La prevalenza di questa attività edilizia si è realizzata nel verde agricolo e nelle zone produttive, due aree che vengono trattate dal punto di vista urbanistico molto diversamente da quanto succede negli insediamenti residenziali. Soprattutto nel periodo più recente, mentre permane un controllo abbastanza cogente del dimensionamento delle aree residenziali e quindi della loro espansione, nettamente diversa è la pratica concreta e la normativa per quanto riguarda il verde agricolo e le zone produttive.

Salorno. Piano urbanistico comunale del 2010

Salorno. Catasto asburgico

Salorno. Ortofoto 2011

Fonte: Geobrowser - Provincia autonoma di Bolzano - Alto Adige

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Appiano. Piano urbanistico comunale del 1969

La pianificazione urbanistica Una recente ricerca che ho curato direttamente per la sezione provinciale dell'INU, mi permette di esporre un quadro aggiornato sulla situazione della pianificazione urbanistica a livello comunale, sulla sua evoluzione negli ultimi 40 anni, in particolare di quantificare l'utilizzo e il consumo di suolo. Come già accennato all'inizio di questa relazione, contrariamente al Trentino che nella pianificazione ha privilegiato la scala territoriale, in Alto Adige ci siamo concentrati sulla pianificazione a livello comunale. In estrema sintesi possiamo affermare che tale scelta era dettata dal ritenere la scala comunale quella più adatta per dare risposta alle domande insediative e per controllare efficacemente le trasformazioni territoriali. Pur in assenza fino alla metà degli anni '90 di un piano territoriale approvato, la consistente produzione di leggi, norme e piani hanno permesso di perseguire un disegno politico preciso che qui possiamo sintetizzare nel perseguire lo sviluppo e il riequilibrio sociale e territoriale conservando il paesaggio agrario tradizionale. In questo senso sono stati particolarmente efficaci la pianificazione urbanistica alla scala comunale, avviata sin dalla seconda metà degli anni '60, e due indirizzi normativi dell'inizio degli anni '70 tra loro complementari, ossia la riforma dell'edilizia abitativa e la tutela del verde agricolo. Con la riforma dell'edilizia abitativa (L.P. 15/1972) si sono creati i presupposti per risolvere il problema della casa e del posto di lavoro all'interno di zone edificabili a densità relativamente elevata. Con la tutela del “verde agricolo” si sono frapposti limiti all'edificabilità indiscriminata nel territorio agricolo. La complementarità di questi due binari normativi ha sortito un effetto che nessuno dei due da solo sarebbe stato in grado di produrre e cioè la formazione di abitati ad alta concentrazione edilizia, immersi in un paesaggio agrario tradizionale. Nei Comuni dell'Alto Adige la pianificazione urbanistica ha svolto un ruolo importante nel governo del territorio e nello sviluppo degli insediamenti, nell'assecondare seguire e spesso anticipare e guidare i processi di sviluppo socioeconomico e nel rispondere alla domanda abitativa, con aree edificabili. Ciò è stato possibile per l'origine precoce della pianificazione urbanistica a livello comunale: infatti a

Appiano. Piano urbanistico comunale del 2010

Appiano. Catasto asburgico

Appiano. Catasto Ortofoto 2011

Fonte: Geobrowser - Provincia autonoma di Bolzano - Alto Adige

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Dossier: i contributi

metà degli anni '70 tutti i comuni dell'Alto Adige avevano un piano urbanistico comunale. Nella nostra area nel 1970 avevano un piano già in vigore, oltre a Bolzano (1964), i comuni di Appiano, Bronzolo, Caldaro, Egna, Terlano, Termeno e Vadena ed entro il 1974 tutti gli altri. La prima rielaborazione si concentra in modo prevalente negli anni '80, la seconda negli anni '90 e la terza nell'ultimo decennio, con un ritmo di circa 12-15 anni da un piano al successivo. Siamo quindi alla terza generazione dei piani e in un terzo dei comuni alla quarta. L'andamento del processo di pianificazione di livello comunale segna una certa riduzione del tasso di produzione dei nuovi piani e nella nostra area, se andiamo a vedere la data dei piani in vigore, più che nel resto della provincia. Va anche detto però che molti sono in elaborazione o in fase di approvazione e quindi il quadro è in evoluzione. Di seguito analizziamo la zonizzazione dei piani urbanistici in vigore. A livello provinciale sono 108 quelli in formato digitale (ne mancano solo 8). Nella nostra area sono 15 su 18 (mancano Anterivo, Caldaro e Vadena).

Grado di insediamento (= superficie insediata/superficie territoriale) – 2007 Fonte: ASTAT - Istituto provinciale di statistica

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Paesaggio naturale e superficie urbanizzata A conferma di quanto emergeva dalla carta dell'uso del suolo del 2001, l'assoluta prevalenza del territorio del comprensorio risulta zonizzato nei piani urbanistici come paesaggio naturale (94,9%). A livello provinciale è il 98,1%. Solo 5,1% risulta urbanizzato (insediamenti, verde pubblico e aree per la viabilità). A livello provinciale è l'1,9%. Le zone di verde agricolo, che sono quelle più trasformate dall'azione dell'uomo, rappresentano il 33,2% del paesaggio naturale e si concentrano nel fondovalle. A livello provinciale è solo il 12,6%. Insediamenti La superficie destinata agli insediamenti e al verde pubblico nei piani urbanistici è di 1.265 ettari, pari al 3,6% del territorio e al 71,0% di quello urbanizzato (che comprende le aree per la viabilità). Le zone residenziali (centro storico, di completamento ed espansione) nelle quali oltre alla residenza troviamo quote consistenti delle attività commerciali e terziarie rappresentano circa la metà della superficie destinata agli insediamenti. L'altra metà è destinata a zone pubbliche e produttive. La superficie urbanizzata è pari a 282 mq per


Territorio insediato e insediativo ad Appiano s.s.d.v. – 2007

Superficie territoriale Superficie insediata Grado di insediamento (a) Territorio insediativo Grado di pot. insediamento (b) Superficie insediata Vie di comunicazione Superficie insediata all'interno del TI Superficie insediata all'esterno del TI Territorio insediativo Utilizzato Utilizzabile % su superficie territoriale

5.959,50 466,1 7,82 1.450,40 24,34

ha ha % ha %

ha 126,1

% 27,05

375,8 90,3

80,63 19,37

ha 375,8 1.074,60 -

% 25,91 74,09 18,03

Fonte: ASTAT - Istituto provinciale di statistica

abitante (simile alla media provinciale). Nei centri maggiori (Laives e Appiano) risulta minore per un miglior utilizzo del territorio (maggiori densità). Nei comuni minori invece la superficie urbanizzata per abitante risulta molto più elevata, sia per le minor densità insediative che per l'incidenza maggiore delle superfici destinate alla viabilità. Le zone residenziali A – Centro storico sono pari a 208,6 ettari e rappresentano il 24,1% di tutte le zone A a livello provinciale e il 33,4% di tutte le zone residenziali. Si concentrano infatti nei centri maggiori e nella Valle dell'Adige (dalla Val Venosta alla Bassa Atesina) in diretta relazione alla forma storica accentrata di insediamento in queste aree della provincia. La dimensione significativa dei centri storici si può vedere molto bene nelle mappe del catasto asburgico della metà dell'ottocento. Le zone residenziali B di completamento sono pari a 272,7 ettari (11% di quelle a livello provinciale e il 43,7% delle zone residenziali). Assieme alle zone A rappresentano il territorio insediato a scopo residenziale già negli anni '60 (prima dei piani urbanistici). Le zone residenziali C di espansione sono pari a 142,7 ettari (11,6% di quelle a livello provinciale e solo il 22,9% di tutte le zone residenziali), quindi una quota relativamente ridotta. Rappresentano il territorio insediato a scopo residenziale dagli anni '60 ad oggi (attraverso i piani urbanistici). Le zone produttive, realizzate nell'assoluta prevalenza dopo gli anni '60, sono pari a 302,1 ettari e rappresentano il 14,6% di tutte le zone produttive dell'Alto Adige e il 25,0% delle superfici destinate ad insediamenti. La loro

dimensione è particolarmente significativa sia rispetto alla realtà provinciale che al resto degli insediamenti e trova spiegazione nel ruolo che il settore produttivo riveste nell'area, anche per la buona accessibilità al sistema infrastrutturale. Le zone pubbliche (zone per attrezzature collettive comunali e sovracomunali e le zone militari) sono pari a 280,6 ettari e incidono per il 23,3%. Le quote maggiori si registrano nei comuni minori. Le zone pubbliche che a livello comprensoriale sono pari a 280,6 ettari, però si concentrano prevalentemente nei centri maggiori e nei comuni con zone militari. Le zone di verde pubblico e quelle destinate a parco giochi per bambini complessivamente riguardano 58,2 ettari. La dotazione è di 9,2 mq per abitante e risulta maggiore nei comuni demograficamente più piccoli. Le aree destinate alla viabilità (autostrada, strade statali, provinciali e comunali, zone ferroviarie, piste pedo-ciclabili e parcheggi pubblici), sono pari a 516,5 ettari e incidono per il 29,0% sull'insieme delle aree urbanizzate. Si registrano quote maggiori alla media provinciale lungo l'asse del Brennero (ferrovia, autostrada e strada statale) e nei comuni territorialmente più grandi (con una vasta rete di strade di collegamento agli insediamenti minori e alle case sparse). Considerazioni conclusive Le stesse questioni che ho fin qui descritto possono essere lette anche con uno sguardo più ravvicinato. Se ad esempio confrontiamo il primo piano urbanistico comunale di Salorno del 1972 con 42


Dossier: i contributi

quello più recente del 2010, si vede con tutta evidenza che le aree previste allora per gli insediamenti sono sostanzialmente le stesse, fatta eccezione per quelle a destinazione produttiva. Anche confrontando il piano con la mappa del catasto storico e con l'ortofoto più recente si può vedere come l'insediamento storico sia stato determinante nel definire la prima zonizzazione di piano e come l'edificazione avvenuta negli ultimi 40 anni corrisponda in modo molto preciso con quanto previsto dal primo piano urbanistico, poi confermato da quelli successivi fino al più recente del 2010. Si può anche vedere che l'edificazione in verde agricolo è stata molto limitata e che la distinzione tra aree insediate e la campagna circostante risulta particolarmente netta. Parzialmente diversa risulta la situazione ad Appiano. Pur riscontrando una significativa corrispondenza tra il primo e l'ultimo PUC (nel nuovo troviamo in più alcune zone produttive e residenziali di espansione a S.Michele e a Cornaiano) risulta molto evidente la rilevante edificazione in verde agricolo (all'esterno delle zone destinate dal PUC agli insediamenti). Infine vorrei fare alcune considerazioni sul consumo di suolo. La presenza consistente di un patrimonio edilizio storico che la pianificazione urbanistica ha classificato come zone residenziali di centro storico e di completamento (zone A e B) ha fortemente determinato le condizioni perché le nuove aree a destinazione residenziale (le zone C) fossero particolarmente limitate. Più consistenti invece risultano le aree destinate alle attività produttive (zone D) e ad insediamenti pubblici (zone F), che si sono sviluppate grazie alle previsioni di piano. Complessivamente però la loro incidenza sul totale delle aree urbanizzate, pur rilevante, non risulta così determinante. Una conferma in tal senso ci viene da una analisi svolta dall'Astat sulla variazione delle superfici urbanizzate tra il 1968 e 1989 (confrontando i

perimetri dei centri edificati e la zonizzazione di PUC) e la stessa variazione tra il 1996 e il 2007 (confrontando dati sull'uso del suolo – Corine). Nella nostra area si è costruito nettamente meno che in altri comuni della provincia. Tuttavia il grado di insediamento, cioè il rapporto tra le superfici insediate e la superficie territoriale, nella nostra area è nettamente più rilevante rispetto ad altri contesti, spiegabile da un lato con la consistenza della edificazione storica preesistente e con il fatto che la conformazione fisico-territoriale dell'area, la sua buona raggiungibilità infrastrutturale la rendono particolarmente adeguata agli insediamenti residenziali e produttivi. Un ultima considerazione di carattere più critico si può sviluppare analizzando la situazione di Appiano, avvalendosi di una analisi anche in questo caso sviluppata dall'Astat sul territorio insediato e insediativo nel 2007 per tutti i comuni. Il territorio insediato è pari a 466 ettari (l'8% della superficie territoriale) e quello insediativo (che potrebbe accogliere, per caratteristiche fisiche e assenza di vincoli, nuovi insediamenti) è pari a 1.450 ettari (24%). Si possono fare due considerazioni e cioè che: - la crescita degli insediamenti è stata consistente, superiore ad altre realtà comunali, e si è fortemente ridotto lo spazio disponibile per futuri insediamenti, - la crescita è avvenuta a macchia d'olio, invadendo la campagna che circondava gli insediamenti storici e determinando anche continuità nell'urbanizzazione tra gli insediamenti originari. Contrariamente a Salorno, sull'entità della crescita ha inciso la vicinanza con il capoluogo e la domanda insediativa che Bolzano ha riversato su Appiano (ma anche su Laives e Bronzolo) per il blocco della sua urbanizzazione negli anni '70 e '80. Sulle modalità della crescita ha inciso la presenza di un insediamento originario più sparso e meno accentrato. Per quanto riguarda poi l'edificazione in verde agricolo hanno inciso le possibilità di riutilizzare per scopi residenziali fabbricati rurali dismessi.

Riferimenti bibliografici Diamantini C. (1996) (a cura di), Gli ambienti insediativi del Trentino e dell'Alto Adige, Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell'Università di Trento e ITATeN, Trento-Roma Morello P. (1996), L'immagine dell'Alto Adige nelle indagini territoriali, in C.Diamantini (a cura di), Gli ambienti insediativi del Trentino e dell'Alto Adige, Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell'Università di Trento e ITATeN, Trento-Roma Diamantini C. (1998), Differenti percorsi e esiti territoriali dello sviluppo del nord-est: un confronto tra “modello sudtirolese” e “modello veneto”, in Archivi di studi urbani e regionali n. 63, Franco Angeli, Milano Diamantini C. e Zanon B. (1999) (a cura di), Le alpi. immagini e percorsi di un territorio in trasformazione, Temi, Trento Morello P. (1999), Le azioni di controllo e di indirizzo delle trasformazioni territoriali nel modello sudtirolese, in Diamantini C.e Zanon B. (a cura di), Le alpi. immagini e percorsi di un territorio in trasformazione, Temi, Trento Accademia europea di Bolzano (2002) (a cura di), Il modello sudtirolese: fattori di successo e di criticità, Raetia, Bolzano ASTAT (2008), Territorio insediativo in provincia di Bolzano 2007, Collana ASTAT 141, Bolzano ASTAT (2008), Territorio insediativo in provincia di Bolzano 2007 – Dati comunali, consultabili in internet all'indirizzo: http://www.provincia.bz.it/astat/it/agricoltura-ambiente-territorio/964.asp, Bolzano Morello P. (2012), Stato e prospettive della pianificazione urbanistica comunale in Alto Adige negli ultimi 50 anni in ATLAS 39/2012, Rivista quadrimestrale dell'INU Alto Adige-Südtirol, Bolzano

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ANORDDITRENTO ORDDIT ASUDDIBOLZANO UDDIBO ANORDDITRENTOASUDDIBOLZANO Uno sguardo sulla trasformazione di un paesaggio di Carlo Calderan* e Alberto Winterle**

Nella nostra regione il tema del confine configura un vero e proprio “luogo” culturale, direttamente legato alle diverse esperienze personali, di chi questo luogo abita ed attraversa quotidianamente. Per questo motivo abbiamo cercato di unire le nostre visioni per definire una lettura comune del territorio, senza soluzione di continuità, “anordditrentoasuddibolzano”. Le immagini dei fotografi che hanno partecipato all'inziativa ci restituiscono un tratto di territorio caratterizzato da una costante presenza di manufatti ed infrastrutture che si addensano o si dilatano in relazione alla vicinanza dei centri abitati. Emerge, quindi, la rilevante responsabilità degli architetti e pianificatori nella definizione e trasformazione di questo importante tratto di Valle dell'Adige posto tra la città di Trento e quella di Bolzano.

*Architetto, direttore della rivista Turrisbabel **Architetto, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della provincia di Trento

Le immagini: il termine stesso “immagine” racchiude in sé qualche cosa di fantastico e soggettivo, evidenziando, quindi, di fatto la componente “interpretativa” nella lettura e descrizione di un luogo attraverso l'obiettivo del fotografo. Le immagini ci mostrano infatti una selezione di porzioni di territorio, ponendo in evidenza specifiche tematiche. La fotografia ha la capacità di isolare e analizzare ciò che è visibile rispetto alla complessità delle sensazioni percepibili, ed al contempo organizza e cataloga gli elementi individuando aggregazioni significative. Questa è l'operazione che gli otto fotografi hanno compiuto sul territorio oggetto di indagine, scegliendo, in base alla propria 44

sensibilità, otto tematiche, inquadrando manufatti ed elementi naturali lungo i 60 km che stanno tra Trento e Bolzano e rimettendo in qualche modo “ordine” alla complessità che caratterizza questo paesaggio. In effetti ciò che “loro” hanno visto e ciò emerge da questa “interpretazione” è che l'attenzione si rivolge in particolare agli spazi aperti e vaghi posti al centro della valle e non ai margini caratterizzati dalla presenza dei centri abitati. La descrizione dei fotografi ha quindi prediletto l'indagine degli spazi non definiti dove la trasformazione è ancora in atto, territori “vivi” soggetti alle pressioni delle esigenze funzionali ed economiche contemporanee. Tali esplorazioni non sono però rappresentazioni banali dell'esistente, ma svelano la natura di questo ambito geografico, evidenziando caratteri comuni e peculiarità di qualcosa che all'inizio della ricerca era solo un'ipotesi: anordditrentoasuddibolzano. Attraverso l'obbiettivo dei fotografi è possibile costruire i materiali di un'indagine che può diventare strumento di lavoro per chi si appresta ad affrontare un'attività di programmazione e pianificazione di questa regione. Nello specifico, del lavoro dei singoli fotografi è interessante evidenziare che solo due, Sandri e Munoz, hanno allargato il loro sguardo ed obbiettivo inquadrando ampie porzioni di territorio visto dall'alto. Il primo dai diversi belvedere ed il secondo dall'aereo. Gli altri fotografi hanno preferito stringere e concentrare l'attenzione su singoli oggetti.


Dossier: i contributi Fotografia di Leonhard Angerer

Il territorio. Questa porzione di valle, oggetto delle nostre riflessioni, di fatto non ha un nome. Per evitare di ripetere per intero il titolo del progetto lo abbiamo abbreviato in ANTASB. Il titolo indica infatti che questa porzione di territorio è un luogo senza nome proprio, un luogo che è descritto come un segmento, uno spazio interposto tra due periferie, un intervallo tra due accadimenti che invece sono chiaramente identificabili, basta dire Trento e Bolzano. Da nord di Trento a sud di Bolzano definisce uno spazio geografico che, considerato nella sua interezza, non sappiamo come chiamare. Valle dell'Adige? Ma ne è solo un tratto, scandito in frazioni, chiare e definite: la Piana Rotaliana, l'Oltradige, la Bassa Atesina. Anche la sua dimensione è definita dalla durata di attraversamento, ovvero i 30 minuti che separano il casello di Trento nord da quello di Bolzano sud. È quindi la velocità che unisce questo “vuoto”. La velocità di attraversamento, ci fa infatti percepire questo tratto di valle come uno spazio unitario ma al contempo lo nasconde. Centinaia di migliaia di persone lo attraversano quotidianamente con diversi mezzi, facilmente ma in maniera distratta senza coglierne davvero la complessità e senza vederlo fino in fondo. Cosa succede se rallentiamo? Che cosa vuol dire esplorare con più lentezza questi 30 minuti di intervallo, quanto meno per chi come noi è abituato a guardarlo “dall'alto e dal basso” per così dire, da Bolzano in giù o da Trento in su. Per poterlo vedere e conoscere veramente è necessario decelerare, cioè uscire

dall'autostrada, scendere in una delle stazioni intermedie e prendere una delle molte tortuose strade che lo attraversano perpendicolarmente più che seguire la direzione la valle. Scendendo però le immagini che riporteremo a casa saranno frammentate e parziali. La valle ha una conformazione naturale che appare semplice, un solco ad “U”, ma è in realtà ricca di sfumature: la sezione si allarga e si restringe, l'Adige piega, ruota e orienta singoli tratti creando “stanze” e “rive” molto differenziate. Non è una valle ma a ben guardare sono due tra loro parallele: il lato ad est e quello ad ovest, entrambi fortemente connotati. Fisicamente questo segmento di valle è un semplice corridoio che favorisce lo scorrimento fluido lungo il suo asse principale, nord/sud,dove al centro si affollano le infrastrutture: il fiume irregimentato, la strada statale, l'autostrada, la ferrovia. Sono le infrastrutture l'elemento che permette di precipitare questo canale come uno spazio/transito unico, ciò che tiene tutto assieme. Allo stesso tempo costituiscono però anche una sequenza di barriere che rendono difficile l'attraversamento trasversale della valle: sovra e sotto passi, tortuose strade minori che si muovono tra le piantagioni seguendo gli scarti dei confini fondiari allontanano le due sponde della valle. Le infrastrutture costituiscono l'ossatura, la spina dorsale che regge la struttura del paesaggio. Ponti, cavalcavia, barriere acustiche, caselli e stazioni di servizio segnano invece il territorio, ma lo fanno in modo poco coerente ed unitario, evidenziando la carenza progettuale e spesso la sottovalutazione del ruolo che esse stesse 45


Fotografia di Leonhard Angerer

allargamento della città che niente ha a che fare con la sua piana. Quando attraversiamo Bolzano e arriviamo in fondo al suo limite estremo in zona industriale, sbattiamo contro un recinto. Bolzano ha praticamente ancora delle mura, da cui possiamo uscire solo varcando i cancelli dell'Autostrada o Quali sono però o quali potrebbero essere i luoghi cercando l'uscita per Laives, che non è cosa facile. Vi sono stati dei progetti di crescita alternativi, per dell'architettura di questo territorio? Forse esempio il bellissimo piano di Weyhenmeyer negli bisognerebbe partire dai margini, là dove questo anni '20 in cui l'architetto interpreta il dato ambito geografico ha inizio. Si è detto che geografico con un'ampiezza di respiro quasi ANTASB è lo spazio tra due periferie ma a ben ottocentesco: propone una stazione ferroviaria alla guardare il modo in cui le due città stanno nella confluenza tra Isarco ed Adige e davanti, nella valle non è lo stesso. Salendo da Trento verso stretta Mesopotamia tra i due fiumi, progetta un nord la città diventa un'agglomerazione grande parco urbano attraverso cui regolare il indistinta che ha fagocitato Lavis e poco dopo si passaggio tra città e campagna, una proposta del “insabbia” nelle foci dell'Avisio e del Noce. tutto diversa da quella dei piani di sviluppo Un'area naturale di grande valore, una specie di industriale mono funzionali che saranno poi scelti e inestricabile giungla che rende il contatto con la che ci hanno regalato Bolzano sud. Questi bordi piana Rotaliana faticoso, un luogo che viene potrebbero essere il primo luogo dell'architettura da percepito così lontano dal centro, così appartato prendere in considerazione, un primo tema da poterci nascondere anche il nuovo carcere progettuale specifico: fare in modo che la linea dove provinciale. le due città confinano con la campagna non sia una All'altro estremo di ANTASB il bordo è invece frontiera, un finisterrae urbano, ma un affaccio, un quello netto, tracciato dal piano regolatore, ma lungomare in cui non finisce il mondo ma la nostra non è che questa precisione urbanistica faciliti il città lineare atesina cambia solo natura e densità. rapporto della città con la valle dell'Adige. In Qualcosa di sta facendo: la nuova sede della Salewa realtà Bolzano storicamente non si trova nella a Bolzano, mescolando interessi aziendali, pratiche Valle dell'Adige, se ne sta in disparte, nascosta del tempo libero e disegno del suolo e degli spazi dal Virgolo, è in fondo ancora in Val d'Isarco. collettivi riesce a costruire effettivamente ai margini Quando si trattò di superare l'Isarco, che ha la stessa funzione dell'Avisio a Trento, cioè quella di della città una centralità che si affaccia sulla piana dell'Adige. separare la città dal territorio che stiamo Cosa succede tra queste due soglie? I centri abitati cercando di descrivere, i piani regolatori hanno si trovano perlopiù a ridosso della montagna, a concepito una sorta di cul de sac urbano cioè un assumono. Andrebbe posta quindi maggiore attenzione alla qualità di questi manufatti per il ruolo che essi hanno nel disegno del paesaggio che segnano più di ogni altra emergenze architettonica.

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Dossier: i contributi

destra o a sinistra dell'Adige, in posizione leggermente rilevata e protetta sui conoidi naturali, per difendersi dalle esondazioni del fiume che in passato “dominava” il fondovalle muovendosi come un serpente capace di ridefinire continuamente il territorio agricolo. Una volta irregimentate e controllate le acque del fiume, questo spazio è stato occupato dalle aree produttive. Il centro della valle è la periferia di ogni uno dei comuni di costa, è la periferia in comune, anzi a ben guardare è l'unico spazio in comune. Dalla mappatura fotografica emerge infatti con chiarezza: anorditrentosudibolzano, questo spazio senza nome, non è la somma dei paesi disposti lungo le due coste ad est ed ovest, non a caso poco frequentati dai nostri esploratori, anzi inizia dove cessano questi centri consolidati, è lo spazio neutrale, scarto, libero, esposto, retro, indefinito che sta tra uno e l'altro. Se questa è la natura di questo spaziovalle che ruolo ha l'architettura? Non esiste un specifico linguaggio architettonico di questa porzione di territorio. Esistono molte architetture, emergenze fatte da figure e sensibilità diverse. Parlare di identità regionali o locali è spesso difficile e rischia invece di diventare un semplice elenco di singoli esempi e personalità più che di definizione di una scuola o di un linguaggio comune. È più utile allora capire che funzione può avere l'architettura nel disegno di questo ambito, nel definirne caratteri e qualità. Non sono poche le nuove architetture che capiscono le particolarità di questo paesaggio. La particolarità della valle dell'Adige, ciò che la rende particolare rispetto alle altre della regione, è la sua apertura, la sua inaspettata larghezza. Ci sono numerosi edifici che lavorano su questo aspetto, sul piacere di essere l'ultimo edificio prima di scivolare nella grande piana tanto da diventate ormai quasi delle icone: la cantina di Termeno di Werner Tscholl, la caserma dei pompieri a Magrè di Bergmeister Wolf, forse l'esempio più radicale dove l'architettura coincide con il bordo laterale roccioso della valle, o ancora la piscina di Caldaro di next ENTERprise dalle cui terrazze possiamo immaginarci come dovesse apparire la valle quando il fiume non era ancora regolato. E' chiaro però che il problema vero non sta tanto lungo questi margini laterali ma nella città comune che è nata lungo le infrastrutture. Anche qui non mancano gli esempi, c'è anzi nella bassa atesina e nella piana rotaliana quasi un piacere a farsi notare. La Salewa di Cino Zucchi, l'inceneritore di Bolzano di Lucchin, la rothoblass dei Monovolume, le cantine di Mezzocorona di Cecchetto, sono tutte architetture affacciate sull'infrastruttura, edifici che sfruttano questa condizione di sovraesposizione. Sono tutti edifici privati, lo

spazio pubblico è altrove. Si potrebbe dire che le industrie, relegate vicino all'infrastruttura, di recente hanno scoperto il vantaggio di questa collocazione, quello cioè di essere visibili. Questa visibilità implica una responsabilità comunicativa. I primi a coglierlo sono state le cantine di Mezzocorona quasi venti anni fa, e da allora per i milioni di viaggiatori che transitano lungo la ferrovia del Brennero, Mezzocorona non è più la cupola della sua parrocchia, ma il terrapieno infinito con le viti che scorre accanto al finestrino. Più di recente a Bolzano il complesso lavoro di “rivestimento” del nuovo inceneritore che, sostituendo quello esistente (concepito ancora come scarto della vita urbana), è cosciente di diventare un segnale che segna il punto di passaggio e non di cesura tra il centro e questa cosa strana che sta a sud. L'occhio dei fotografi, come spesso accade, è un occhio curioso e spiazzante che indica a noi architetti e pianificatori un campo di lavoro poco frequentato: occupati come siamo a curare le specificità dei singoli centri, a preservarne i valori storici abbiamo perso la capacità di vederli parte di un grande spazio comune per il quale è necessario pensare a forme di intervento adatte alla sua scala.

Fotografia di Leonhard Angerer

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Dossier: i contributi

Raccontare I paesaggi che cambiano di Gigi Zoppello*

La mia esperienza è stata questa: camminare attraverso il Trentino per 16 giorni, 286 chilometri e quindi è stata una esperienza assolutamente personale, ma che mi ha dato la possibilità di vedere il Trentino da una prospettiva completamente diversa e ad una velocità diversa. Non è niente di speciale, ma si tratta solamente di mettersi in cammino e di camminare tutto il giorno intorno o attraverso il paesaggio del Trentino. Nel mio caso, cercando di rimanere nei fondovalle, quindi vicino alle acque, alle strade ed agli insediamenti. Questa immagine è una rappresentazione dei confini del Trentino, il quale ha questa forma a farfalla. La prima domanda che mi sono posto è: come voglio camminare per il Trentino? E la prima idea era di ripetere quanto fatto da Iain Sinclair, scrittore e viaggiatore inglese che ha fatto il giro della capitale britannica seguendo la tangenziale di Londra, da cui il suo libro “London Orbital”. Volevo fare, quindi, Trentino orbital. Parlando con i miei amici e accompagnatori di viaggio ci siamo resi conto però che sarebbe stato un percorso alpinistico al 99% in cresta e lontano da insediamenti e valli. Quindi la seconda idea maturata è stata di fare una traversata del Trentino in lungo e in largo e cioè partendo dal confine sud con Verona a Borghetto e andando fino su a Salorno, e poi partendo da Primolano arrivando al passo del Tonale. Attraversare il Trentino lungo i fondovalle principali e quindi con una prospettiva diversa perché è la prima traversata a piedi del Trentino senza cercare di salire sulle cime, cosa che è

*Giornalista, vice capo redattore del quotidiano l’Adige di Trento

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piaciuta molto agli editori ed ai non Trentini, che l'hanno trovata abbastanza originale. Questo ha voluto dire intanto attraversare la valle dell'Adige, per cominciare. Camminando nella valle dell'Adige e cercando di stare vicino all'acqua e fuori dall'asfalto ad esempio ho trovato che la campagna – dal punto di vista paesaggistico - è estremamente monotona, e non la conosciamo. Nessuno di noi va più in campagna. Persino i contadini, quando ci vanno, vi si recano in auto o con il trattore. Quando invece ci si va camminando, come nel mio caso, si scoprono cose divertenti. La prima è che è una campagna meccanizzata, la seconda è che è una campagna chimica, che contiene tanta chimica, la terza è che in campagna ci sono tante discariche, ogni campo ha una discarica, in fondo al campo si buttano sacchi, taniche, e rifiuti di ogni tipo, temo anche sostanze, coperte di frasche e terra. In particolare, visto che qui parliamo della zona tra Trento e Bolzano, dal punto di vista di un camminatore la zona si divide sostanzialmente in quattro blocchi molto diversi tra loro. Il primo è quello dove ci troviamo, dal centro città alla zona industriale dell'Interporto, è una zona di servizi e di industrie, in particolare – come potete vedere è una zona che conserva molti spazi di terreni incolti che sono stati riconquistati dalla natura, quello che Gilles Clement chiama il “Terzo Paesaggio”, zone tanto vicine alla città tanto più rinascono di vegetazione, spesso rappresentando dei corridoi verdi di ripopolamento con una

grande ricchezza biologica, più delle campagne addirittura. La seconda zona va da qui fino a Lavis, alle foci dell'Avisio, e qui c'è commistione con il biotopo, una forte presenza di traffico, ferrovia, strade secondarie. Per un camminatore questo vuole dire infiniti ostacoli. Una volta i camminatori temevano soprattutto l'acqua, quanto era importante il paesaggio delle acque da qui a Bolzano lo ha spiegato bene un altro relatore in mattinata; oggi i nuovi ostacoli sono strade, tangenziali ed autostrade invalicabili per un pedone. E molto spesso ci si scontra con la nuova tendenza “americana” di fare rotatorie e svincoli senza marciapiede, cosa che mette in crisi il camminatore il quale deve trovarsi delle strade, dei percorsi alternativi. Proprio qui dove ci troviamo, è molto bello scoprire come uscendo dall'Interporto ci sono dei passaggi praticamente abbandonati con strade pedonali che portano molto velocemente in luoghi che in macchina impieghereste 20 minuti a raggiungere. Da qui io posso arrivare a piedi alle rive dell'Avisio in dieci minuti, mentre in auto ce ne metterei più di venti. L'altra zona è la Rotaliana, con Mezzolombardo e Mezzocorona, dove l'Adige e il Noce sono presenze molto forti, il resto è quasi tutto agricoltura. Infine la parte del Cadino, con la fossa di Salorno, tra Nave San Felice fino al confine provinciale. Questo è un disegno che ho fatto di una delle zone che sono state ripopolate dal terzo paesaggio, che è la zona della Sloi, ex fabbrica chimica abbandonata dal 1975. Sappiamo che sotto ci sono 40.000 tonnellate di piombo tetraetile mortale, un blocco esteso e fermo a 1,5 metri di profondità su uno strato di argilla sopra la falda acquifera dell'Adige;

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Dossier: i contributi

nessuno sa come disinquinarlo, si tratta di una vera bomba ecologica sospesa sulla vita dell'Adriatico: mezzo metro cubo di questo materiale, se prendesse la via del fiume, potrebbe uccidere la fauna di tutta la zona del delta del Po fino a Venezia. Non tutti lo sanno ma questa è la situazione attuale. La soluzione è di costruirci sopra perché nessuno sa come bonificare. In situazione analoga in Germania si è provato a scavare per rimuovere il materiale ma ci si è fermati perché è peggio che lasciarla li, fino a che non va nella falda, ma non si sa come trattarla. Ho fatto questo disegno per fare capire che tra via Brennero e via Maccani esistono una serie di diversità: si va dal capannone dall'insediamento dagli uffici del Comune di Trento ai magazzini alle zone di servizio, alle case di via delle Foibe dove sono stati realizzati insediamenti di edilizia popolare fino ad arrivare alla ferrovia. Su via Brennero è la stessa cosa. Il secondo tratto che si incontra da qui in avanti è quello della confluenza tra Noce e Adige, dove per un camminatore siamo di fronte a dei mastodonti: grandissimi viadotti ma come sempre sotto si cammina benissimo, si è riparati dalla pioggia, ci abitano senzatetto simpatici e una fauna interessante da scoprire. La vera differenza, ovviamente, è la percezione del paesaggio fra chi percorre questi viadotti (vede tutto dall'alto, ma è limitato dal suo spostarsi velocemente senza poter apprezzare i dettagli) e chi invece cammina sotto i ponti (oltre a poter vedere gli animali, gli insetti, le erbe, i cespugli, egli può godere di tutti i sensi, ha dalla sua l'olfatto, e il gusto dell'aria che lo circonda). Il paesaggio della Rotaliana che si incontra 51

subito dopo (alla confluenza fra il Noce e l'Adige) è caratterizzato da queste righe, che ben si vedono dalle foto scattate dall'alto: si tratta dei filari delle viti che hanno ispirato anche Kengo Kuma che a Rovereto nel progetto per la nuova Manifattura tabacchi, dove ha pensato all'ampliamento verso il Leno ricreando le linee dei filari per mantenere l'ordine con il contesto. Camminando - ma anche dall'alto - questo è il tipo di paesaggio che si incontra. Io nel mio racconto di viaggio l'ho definito “la monotonia del paesaggio” perché mentre prima con la vite a pergola la regolarità di righe era mitigata da una forte presenza di verde, oggi con le nuove tecniche di vigna a guyot, ad alberello senza spalliera, questo elemento è ancora più forte, sono righe e tra le righe c'è lo spazio per un trattore per passare. Si accentua ancora di più questo elemento a righe che caratterizza questa zona. La differenza è quella di avere un tetto di copertura della pergola invece degli alberelli di questo tipo. Il Cadino (vedi immagine a p.50), la zona dopo Grumo verso Salorno, è l'ultimo tratto andando verso Bolzano. Volevo parlare qui dell'importanza della regimentazione delle acque; probabilmente il vero intervento rivoluzionario (se parliamo di paesaggio in questa zona) è stato la rettifica austriaca del 1845-1870, quella che veramente ha segnato l'unico grande cambiamento di questa zona perché voi pensate che proprio qui al Cadino il Noce non aveva il corso attuale ma arrivava dove oggi c'è il ristorante “La cacciatora”. Quindi nei


momenti di piena sbarrava l'Adige e tutta la parte a nord fino a Laghetti di Egna. Perché questa località si chiama così? Proprio perché si creavano grandi laghi con il salire del livello dell'acqua del fiume. Questo tratto era molto difficile da attraversare, fin dal tempo dei romani si cominciò a costruire passerelle e dei passaggi sopraelevati sul fianco est ma in molti periodi dell'anno non si poteva comunque attraversare la valle dell'Adige: abbiamo ad esempio l'illustre testimonianza del passaggio di Albrecht Dürer che ha tentato qui di camminare verso sud, ma non può perché la valle è allagata e deve fare il giro salendo su verso il Roccolo del Saugo (sopra Faedo) e scendendo giù in val di Cembra dall'altra parte, per una via alternativa. Vie alternative che sono molto belle, vengono chiamate nel loro complesso “via Imperiale”, e di esse permangono degli interessanti resti storici che purtroppo si vanno perdendo. Un altro di questi passaggi in quota si trova tra Besenello e Acquaviva di Trento, dove in caso di allagamento della valle si saliva sulle pendici della Vigolana, sulla Scanuppia, per scendere di nuovo in valle all'attuale Besenello. (FIG. 8) Quando questa mattina ci chiedevamo del confine e della differenza che c'è tra il paesaggio trentino e quello di Bolzano; dare definizioni esatte è molto difficile, abbiamo discusso di un confine storico, mentale, indotto, culturale. Dal punto di vista di un camminatore solitario, però, una grande differenza appare evidente: subito dopo il confine si è sostituita quasi interamente la coltura a vite con la coltura a mela. Ci si è resi conto che nella parte bassa della valle la resa qualitativa della vigna non è così buona come sui conoidi e quindi in tutto l'Alto Adige si è trasferita la coltura della vigna in particolare sul versante est, sui declivi di Montagna, Mazzone fino a Castelfeder, mentre in fondovalle si sono impiantate le mele che crescono meglio. La vera divisione al confine è che noi trentini abbiamo continuato a fare vino, ed appena al di la si fanno solo mele, praticamente. Ma per essere molto veloci, le differenze tra una parte e l'altra spesso non esistono o sono culturali e come vedete anche la nostra parte politica continua a pensare che siamo in fondo unità culturali dello stesso ceppo: ci può essere quella dei Vigili del fuoco e delle stelle alpine e delle aquile, simboli delle due Provincie e della Regione. (FIG. 9) Per concludere vi lascio un pensiero: per chi come me ha attraversato questa valle camminando ovviamente succede che non si percepisce il confine se non per le bandiere che la Provincia Autonoma di Trento ha voluto mettere per marcare la propria appartenenza. Per chi cammina attraverso il paesaggio il concetto di confine è ininfluente, l'unico confine è vedere davanti a se dove sta andando e vedere alle proprie spalle da dove è partito. Il resto conta poco e naturalmente se non si venisse avvertiti, il superamento dei confini avverrebbe senza avvertire alcun cambiamento. (i disegni sono dell’autore)

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La tavola rotonda

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Paesaggi di voci Mosaici di territori Gli interventi che seguono rappresentano i contributi raccolti nel corso della tavola rotonda organizzata in occasione del convegno “A nord di Trento a sud di Bolzano”, moderata da Paolo Campostrini, Caporedattore del quotidiano Alto Adige con lo scopo di comporre un insieme di autorevoli punti di vista sui temi che si reputano centrali e connessi allo sviluppo del territorio. Abbiamo mantenuto il taglio della comunicazione caratterizzato dalla immediatezza del dialogo tra partecipanti e dalla sua freschezza espressiva, ci scusiamo quindi con lettori e autori per la voluta mancata rielaborazione dei testi.

Tra città e campagna: quale politica?

Domanda. Due comprensori che si toccano, quello della Bassa Atesina e quello della Rotaliana. Ci sono solo collisioni o invece questo confine è molto meno forte di tanti altri? Gianluca Tait, Presidente della Comunità RotalianaKonigsberg: I confini ci sono, ben delineati dalla politica ma non così netti. Nel passato non si è dialogato tra le due comunità. Ora ci incontriamo e ci chiediamo subito perché non lo si è fatto prima e perché i confinanti non possano godere dei servizi sul territorio vicino. Per esempio: chi frequenta asili nido a Salorno e vive a Roverè non ha diritto ad agevolazioni: problemi che nascono non dalla ideologia ma dalla burocrazia. Di questi confini vogliamo ragionare ora, portando alla luce dinamiche che vale la pena affrontare, a partire dai temi urbanistici. In Rotaliana i Piani fino ad un passato recente erano Piani di fabbrica, anche questo ha generato il degrado del territorio che si conosce. Diversa la pianificazione di Comunità: oggi con la collaborazione dell'Università di Trento si sta lavorando al Piano preliminare, anche attraverso un percorso partecipato. Ogni categoria dei cittadini ha individuato i propri rappresentanti, quali portatori di interesse a cui è demandato contribuire alla individuazione di bisogni e criticità, un tavolo dal basso usato anche nella costruzione del Piano sociale. E' una condivisione che parte dal basso e chiede poi anche la condivisione dei Consigli Comunali. La Rotaliana conta meno di 30.000 abitanti, 8 Comuni di cui 5 sopra i 5.000 abitanti, abituati ad essere autonomi su tutto. Cerchiamo di farci portavoce di quelli più piccoli in un ragionamento di economia di scala.

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Oswald Schiefer, Presidente del Comprensorio OltradigeBassa Atesina: Come rappresentante della Bassa Atesina vorrei riprendere un concetto per me fondamentale. Autostrada, treno, fiume: tutto attraversa questo confine amministrativo, il confine è più nelle nostre teste che altrove. Dopo il '21 fino al '75 anche il Consorzio di Bonifica era unico fino a S.Michele, poi è arrivata l'idea che si doveva separare anche quello, e ora finisce giusto a Salorno, anche se a mio parere funzionava bene, ma tutto è stato rivisto con questo confine nella nostra testa. Sono convinto che dobbiamo superarlo per fare meglio una politica del territorio insieme tra Trento e Bolzano. In passato forse era anche diverso, perché i Comprensori trentini avevano altre funzioni, oggi le Comunità di Valle sono simili ai Comprensori altoatesini per competenze. Anche da noi il confine amministrativo crea difficoltà nella gestione dei servizi, penso per esempio agli asili nido e alla domanda con la val di Fiemme. Un altro problema: a Salorno abbiamo il 20% di stranieri soprattutto extracomunitari, una percentuale in crescita perché si trasferiscono a Salorno, anche se lavorano in Trentino, a motivo delle diverse politiche di sostegno sociale e perché a Salorno, ma solo li, ci sono gli affitti delle case più bassi del territorio tra Merano e Trento. Questo è problema urbanistico ma anche sociale. Abbiamo trovato contatti con la Provincia di Trento: certo dobbiamo superare quelli con l'Austria e il Nord, ma perché non lavorare anche su questi con il Trentino? Tornando all'urbanistica: noi sappiamo tutti della rigidità nell'approccio al territorio dell'Assessore Alfons Benedikter ma se oggi possiamo dire che un pò di ordine siamo riusciti a conservarlo, dobbiamo riconoscere che è suo merito grande, l'urbanistica in quegli anni ha avuto grande importanza. Dobbiamo renderci conto che è territorio molto delicato, il solo 10% è utilizzabile per l'abitare. Dobbiamo conservare il paesaggio naturale ma anche culturale perché conta per il Trentino e anche per l'AltoAdige, e anche per l'ottimo turismo che abbiamo. Cosa conta per noi a livello urbanistico e architettonico? Non possiamo capirlo con il confine di Salorno nella testa.


Ambiente: il futuro?

Domanda. Colpisce la richiesta di regole per l'AltoAdige, in un territorio tra i più regolati. Mentre si discute animatamente sullo smembramento della Regione, sul togliere competenze ad una istituzione formale, viene da pensare che ci vorrebbe una “microeuroregione” di questo territorio tra Trento e Bolzano, prima o oltre la costruzione della Euroregione con Innsbruck. L'AltoAdige è luogo di regole ferree e visibili nel paesaggio, frutto di precise politiche territoriali più che una programmazione in anni decisivi. L'AltoAdige è visto come un modello, ma la tutela dell'ambiente e del territorio può essere vista non come cornice all'operare ma come un freno, insieme di regole che rappresentano un costo e non una opportunità? Adriano Oggiano, Provincia Autonoma di Bolzano: Le regole sono rimaste le stesse, la legge di tutela e quella urbanistica nell'impianto poi mangiucchiato dalle riforme sono ancora quelle del 1970 di Alfons Benedikter. Sulla questione delle regole attualmente c'è un ripensamento anche dal punto di vista politico, mi riferisco al progetto complesso di riforma portato avanti di recente dall'ass. Lainer. Sulla questione delle regole volevo dire qualcosa: non è tanto il fatto che qualcuno di noi ha deciso per volontà individuale di cambiare qualcosa ma è che il mondo è un pò cambiato, e non riusciamo a considerarla come una cosa positiva. Per esempio sul tema dell'immigrazione: il terzo gruppo linguistico non è il gruppo ladino, pur tutelato con attenzione. La società altoatesina ha creato qualcosa (la stessa cosa si verifica nel Trentino) di nuovo, cioè una generazione anche io contribuisco con i miei figli - che parla due lingue, e che è già una micro-regione. Individui che abitano nel territorio dell'Altoadige portano una cultura nuova, mistilingue, che la politica non ha la forza di comprendere, basti pensare alla questione del proporzionale basata su tre gruppi linguistici. Volevo inoltre accennare alla questione della mobilità: nel 1970 la gente non si muoveva come si muove ora, la civiltà digitale pure non esisteva: origine di fenomeni assenti nel governo del territorio degli anni settanta. Ma voglio ricordare anche il cambiamento del clima, che ha modificato il territorio, come si

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vede dalle fotografie. Uno dei fenomeni in AltoAdige è il lento migrare delle colture ortofrutticole verso l'alto: abbiamo i ciliegi a 1100 metri s.l.m. Abbiamo fenomeni di sfruttamento del territorio che non c'entrano con la costruzione di infrastrutture ma con lo sfruttamento agricolo del suolo agronaturale. Dobbiamo considerare il suolo come risorsa scarsa che ha bisogno di poche regole. La risorsa è scarsa, ed è molto diminuita dal '90 in poi, fenomeno secondo me generato non da scarsità di cultura, ma da processi esterni, da politiche globali. Ad esempio nell'agricoltura sono successe un sacco di cose generate da politiche di settore che hanno stabilito che solo alcune colture – tipo il mais – andavano sovvenzionate. Ora ci sono i ciliegi, che in montagna coprono un certo tipo di mercato. Si tratta di politiche che generano trasformazioni visibili che percepiamo. Il fatto che la risorsa sia scarsa ne decreta un bisogno di protezioni e di regole. Il compito attuale è mettere regole e meccanismi che premino la qualità e vale per tutte le professioni, concentrandoci sulla qualità abbiamo regole che abbiano questa discriminante: le cose fatte bene. Parliamo di land spending review: leggi per risparmiare suolo.

Industria e mondo produttivo: frammentazioni e ordini di grandezza.

D. A proposito di regole: una volta si pensava che chi doveva raggiungere plusvalore aveva bisogno di assenza di regole. Adesso invece si comincia a capire anche da parte di chi cerca di fare attività produttiva che servono regole. Le aziende lo capiscono? Manuela Defant, BLS Business Location SudtirolAltoAdige: Voglio partire presentando Business Location Südtirol Alto Adige: è società di diritto privato con intero capitale della Provincia Autonoma di Bolzano, finalizzato a promuovere, mediante marketing territoriale, la il territorio


altoatesino come luogo per fare impresa e abbiamo quindi il compito di insediare imprese. I clienti non sono solo aziende da fuori ma anche locali che cercano il luogo dove investire. Ci troviamo a fare da ponte tra le esigenze di un privato che vuole investire e si vuole sentire tutelato da parte di un Ente pubblico, e le esigenze di un territorio, urbanistiche e anche ambientali ed ecologiche. E' un campo di azione in cui si sviluppano conflitti anche molto pesanti, che quasi sempre derivano dal fatto che l'Ente pubblico dà risposta ad un progetto di un privato mediante un processo di valutazione, che richiede tempo e fa esplodere conflittualità. Penso che la risposta non sia nel cancellare le regole , crea problemi anche a chi vuole fare reddito. Forse oggi ci sono troppe regole e anche confuse. Il mondo produttivo fa questa richiesta, a chi si occupa di governo del territorio: che le regole siano chiare, poche e ragionevoli , conoscibili e interpretabili già prima, per non dover aspettare un tempo irragionevole per avere risposte. Quello che manca, pensando alla pianificazione, per mia esperienza, è un a programmazione che pensi al futuro. Se penso alle zone produttive che gestiamo noi, esse vengono previste sotto la spinta di tutta una serie di imprese che segnalano un fabbisogno, che è concreto ed attuale. Non può quindi aspettare sei anni per valutare la richiesta e dare una risposta, ma i tempi sono questi. Non colgo il peso di regole diverse fra questi territori confinanti, ma la differenza di risorse, prezzi e sensibilità. È fenomeno curioso perché le due zone sono simili per dimensioni e cifre. La sensazione che l'AltoAdige sia più rigido è vista dal mondo imprenditoriale come impedimento. Noi di BLS stiamo proponendo di togliere e segnalare alla politica una serie di riforme che potrebbero migliorare la situazione economica, e uno dei compiti dell'AltoAdige sarà garantire le regole fondamentali sulla trasformazione del territorio. La gestione delle aree produttive, per esempio: la regola attualmente è che si procede con un esproprio delle aree che vengono poi assegnate agli imprenditori che ne fanno richiesta. Oggi è difficile stabilire quali imprese siano migliori e penso che non sia più un compito dell'Ente pubblico. Aggiungerei che rispetto a venti anni fa oggi vi sono molti più vincoli per prendere decisioni riferite all'autorizzazione ad attività produttive. Un tempo la credibilità politica era più alta e il cittadino accoglieva la decisione del politico come presa a ragion veduta. Oggi invece per ogni decisione c'è una contestazione, ci sono normative sui procedimenti e sulla trasparenza: sacrosanto in un mondo democratico ,ma la conseguenza è che poi si mette in discussione ogni decisione.

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Diego Laner, Presidente di Trentino Sviluppo: Trentino Sviluppo è azienda pubblica, 100% capitale sociale della Provincia Autonoma di Trento, ed ha un compito solo, di supportare le aziende facendo partecipazione nei capitali di rischio dando la location alle aziende. Il nostro patrimonio si attesta sul miliardo di euro, operiamo su tutto il territorio trentino, la nostra storia, a parte il nome, ha 25-30 anni. Fra le tante attività TS svolge quella immobiliare, ma io dico sempre che non dovremmo, a mio avviso il pubblico non deve farlo se non quando serve a risolvere il problema delle aziende Partiamo dal PUP del '67, che prevedeva in Provincia di Trento due poli principali, uno verso Bassano e uno verso Verona, concentrazioni utili a generare contaminazioni e scambi, perché per le imprese serve essere massa critica, trovarsi a lavorare in mezzo ad altri. Oggi. Oggi a Rovereto parliamo di 250-300.00 mq, coperti, su questi noi siamo vicini ad un 50%, come Trentino Sviluppo, di partecipazioni e patrimonio. Purtroppo le scelte pianificatorie non sempre danno buoni risultati. Rovereto ha vissuto la crisi industriale. La Valsugana, testa di ponte del Veneto, non si è sviluppata in modo adeguato, è insignificante rispetto a Rovereto come numeri. Di fatto le scelte politiche successive al '67 hanno generato diverse aree industriali, uno per comune, scelta che non ha senso, non ha senso dal punto di vista economico avere ciascun Comune i suoi 10.000metri quadri. Almeno ora si sta parlando di aree produttive di Comunità di certe dimensioni. E a questa scala la richiesta arriva, e Trentino Sviluppo interviene cercando una localizzazione. Se gli studi urbanistici lo consentono si avvia una preanalisi di ricerca di imprese interessate ad insediarsi. Se la ricerca è positiva si avvia la fase di acquisizione mediante esproprio dei terreni e del loro apprestamento e infrastrutturazione, e in generale passano tre anni prima dell'assegnazione, che spesso non viene fatta agli imprenditori originari, perché i tempi non collimano. Un altro fronte di azione incentivante riguarda i costi di assegnazione dei lotti, perché in rapporto al personale che viene occupato nell'area dove ci si insedia, ci può essere una agevolazione significativa fino al 30 % dei 120 euro medi di costo dell'area, che rende i prezzi più appetibili di quelli del mercato. Per quanto riguarda la zona a nord di Trento, fino a Salorno, abbiamo oggi un buon sviluppo industriale. Tra Trento nord, Gardolo, Lavis e Mezzolombardo abbiamo un totale di circa 330340.000mq di zone industriali di cui circa 200.000mq di superficie coperta. Pensando che come media un capannone è 2.600mq vuole dire 7080 capannoni. La proprietà di Trentino Sviluppo in questo territorio è di circa 236.000mq di terreno di cui 124.000mq di superficie coperta. A Mezzolombardo abbiamo un BIC, un incubatore per aziende concepito per ospitare le attività


leggere, a differenza di quelli di Rovereto e Pergine, pensati originariamente per le professioni e nei quali ora non abbiamo neanche un metroquadro libero, mentre li abbiamo ed enormi sui capannoni. Invece nel BIC della Rotaliana restano spazi liberi, 2500 mq, segno che le attività leggere non hanno bisogno di spazi, e questo è testimoniato da quanto ci dicono i 50 imprenditori che abbiamo cercato proponendo loro questi spazi.

Agricoltura, il disegno di un paesaggio.

D. Agricoltura e disegno di un paesaggio. Territorio e paesaggio, territorio filtrato dallo sguardo. Si può ancora disegnare o no? Si parlava di non luoghi. Solo l'agricoltura disegna lo spazio abitato o le imprese o altro? Franco Frisanco, Fondazione E.Mach: Su gran parte del territorio il disegno del paesaggio è frutto della storia naturale e umana. Ce ne dimentichiamo quando lasciamo il territorio urbano, invece ricordiamoci che la pennellata di attività umane ha lasciato il segno anche sul paesaggio silvopastorale. Quello che vediamo nel territorio in oggetto è frutto di tante cose, è fotogramma di un filmato, i cui fotogrammi precedenti sono stati descritti dagli storici: il fondovalle fino a pochi secoli fa era palude, c'è stata una velocissima evoluzione. Il fotogramma futuro potrà o dovrà essere diverso. Credo sia opportuno mettere in evidenza alcuni punti di forza, per esempio il fatto che l'agricoltura, sostenuta dall'Ente pubblico, è produttiva. Le criticità vengono dall'esterno, credo che il territorio agricolo sia eroso da altre attività. Finora si è parlato di insediamenti produttivi, industriali, di infrastrutture. Il resto è agricolo, dal nostro punto di vista c'è ancora pericolo di erosione da altro, ed è criticità dall'esterno. Ma potremmo riflettere sulla criticità dall'interno: gli agricoltori sono veramente dei giardinieri del paesaggio o la loro attività può arrivare a deturpare il paesaggio? Va messa evidenza sulle colture intensive e sulla banalizzazione del paesaggio agricolo. Se ne può discutere: le fotografie, quelle che osservano il paesaggio agrario, sono belle, perché il paesaggio geometrico e regolare è bello, ma dall'altro punto di vista, un paesaggio più variegato è legato alla biodiversità e rappresenta una maggiore sanità

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dell'ambiente. Questa estrema banalizzazione del paesaggio e pressione conseguente sull'ambiente, per le tecniche intensive applicate si accompagna alla scomparsa di tutti quei frammenti di territorio che potrebbero essere biodiversità e diversificazione del paesaggio. Si può fare qualcosa? Io credo di si, in Val d'Adige ci sono terreni che rappresentano sfridi di proprietà pubblica, che non hanno uso agricolo: un terzo paesaggio, spesso generato dalla realizzazione di infrastrutture come la Rocchetta sui terreni espropriati. Li abbiamo censiti, sia per accelerare le pratiche di riacquisto, sia per migliorare l'aspetto paesaggistico: potrebbero essere l'occasione di qualificare il territorio agricolo con elementi di naturalità. Gli agricoltori potrebbero farlo e lo fanno già di più sopra Salorno, introducendo siepi, barriere verso l'autostrada, ecc. Aggiungerei che andrebbero valorizzate similmente tutte quelle aree perifluviali che potrebbero essere arricchite di vegetazione non produttiva. Mi sento infine di parlare di strutture a servizio delle aziende agricole, che possono essere impattanti e rappresentare una erosione dall'interno per l'uso del suolo ma anche per l'impatto visivo che generano: anche in questi casi si potrebbe parlare dell'uso del verde non produttivo. Il recupero del vecchio albero – ogni centro aziendale un tempo aveva i suoi alberi, tagliati per incuria. Ma anche facendo ricorso a tecniche urbane tipo coperture a verde, o muri verticali a costi ridotti: elementi di natura che possono alleviare gli impatti. Giorgio Deros, Fondazione E.Mach: Si può ancora disegnare il paesaggio. L'agricoltura lo fa di regola, pochissimi fotografi sono sfuggiti nei loro scatti ai frammenti e ai vasti campi di monocolture. L'agricoltura lo può fare anche indirettamente. Se si percorre la strada Rocchetta si deve avere coscienza che il suo percorso sarebbe stato diverso se il Teroldego non avesse avuto il peso economico che ha. Prima che il PUP del 2008 individuasse le aree agricole di pregio, il fatto che un'area fosse altamente produttiva ha imposto un paesaggio che erodeva in modo significativo questa zona. Il paesaggio esiste solo in quanto percepito, quindi bella idea affrontarlo con il linguaggio dell'arte, della fotografia. Ma la percezione non è solo individuale ma anche collettiva, e gli agricoltori saranno portatori di percezioni diverse da altri. Un'ultima osservazione: a S. Michele in questo periodo si susseguono incontri a tematiche paesaggistiche: se la terra era un fattore produttivo ottocentesco, il paesaggio sta diventando una risorsa produttiva, da “valorizzare” sulle etichette dei


vini, per esempio. Nella pianificazione va tenuto conto che il paesaggio può essere disegnato e che è una risorsa.

Infrastrutture e il mondo intorno: reti o passanti? D. L'infrastruttura autostradale è legame quanto più potente tra territori: l'A22 ci racconta di unità tra territori. Ma è solo passante o è rete, ha senso anche dal punto di vista della politica territoriale o convoglia solo denaro? Carlo Costa, Direttore tecnico generale Autostrada del Brennero spa: Argomento interessante e oggetto di lunghe riflessioni da noi fatte. Per quanto concerne le infrastrutture stradali, sono state negli anni '60 il veicolo per la ricrescita economica in periodo postbellico, in Italia in modo particolare, e, per sua conformazione geografica e morfologica, ne ha avuto danni ingentissmi. All'inizio degli anni '70 eravamo lo Stato dell'Unione Europea con la maggiore rete infrastrutturale, e oggi abbiamo perso posizioni: anche su questo siamo in fondo alla classifica. La nostra regione ha una fortuna geografica: la connessione tra mondo nordico e mediterraneo offre poche alternative al Brennero, e per questo attraiamo traffico turistico e commerciale. Per le nostre due Province l'autostrada è stata grandissima opportunità. Viene vista come problema rispetto al transito e all'inquinamento, ma ricordo che ci sono pochissime giornate in cui si ferma. E quando questo accade, immediatamente si paralizza il traffico europeo. Ciò mi fa dire che il problema è quindi la mancanza di alternative infrastrutturali. Rispetto all'argomento in questione negli ultimi 6-7 anni abbiamo cercato di concepire questa infrastruttura in modo diverso. Siamo riusciti ad ottenere una serie di benefici rispetto all'ambiente. Abbiamo scelto di riqualificarla

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rispetto alle opportunità che fornisce, qualificare la Società ISO 9001 e abbiamo provato a riqualificare l'arteria. L'elemento più evidente e banale sono le barriere fonoassorbenti: abbiamo un tasso di barriere più elevato di tutte le concessionarie d'Europa. Il chilometro all'altezza di Isera è caratterizzato dal fatto che le barriere producono energia rinnovabile: è stato un passaggio epocale, non solo perché si è abbinata la capacità di produrre energia rinnovabile ma anche perché ci passano davanti 100.000 persone al giorno, ovvero 40.000 veicoli al giorno, e tutti hanno potuto percepire un messaggio nuovo. L'intervento è stato premiato come miglior progetto mondiale di mobilità sostenibile, ad Orlando/Florida: non solo perché produce 800.000 kilovattore (all'anno vuol dire 600 utenze urbane), ma perché è un messaggio. L'autostrada può essere rivista rispetto a quanto può dare ai territori che attraversa, non è solo beneficio di mobilità e attrazione turistica, ma boulevard urbano: cucire il territorio che è stato tagliato dall'infrastruttura, e questo lo stiamo cercando di fare con modalità le più diverse. Abbiamo concretizzato l'idea di creare una esposizione di diverse tipologie architettoniche di sovrappassi, che è l'opposto della tendenza di omologazione dell'ingegneria stradale di altri territori, di modularità e semplicità costruttiva e manutentiva, ma che annulla i territori attraversati. Abbiamo voluto connotare i singoli territori con le opere che vengono realizzate in quei territori, avere per l'utente la chiara impressione del luogo in cui ci si trova. A questo sono succedute altre azioni: concorsi di idee per connotare le entrate autostradali, che possono essere passaggi funzionali ma possono essere porte di ingresso ai territori, lo vedete a Rovereto, a Trento sud, a Chiusa, ce ne sono una serie in corso ora a Verona, lo vedrete al Brennero, luogo che ha valenza storica e simbolica a dividere Alpi e Mediterraneo. Nelle aree di servizio (Paganella Est sarà la prima) si promuoverà il territorio non solo come prodotti locali ma a livello di territorio. A Bolzano il centro di produzione di idrogeno: sono interventi che manifestano la volontà di volere rendere al territorio alcune cose, momenti di arricchimento del territorio secondo principi diversi .


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I fotografi Leonhard Angerer Luca Chistè Ivo Corrà Erich Dapunt Anna Da Sacco Hugo Munoz Francesca Padovan Paolo Sandri

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Leonhard Angerer Classe 1953, insegnante. Da studente di scienze politiche a Padova impara a stampare e a fotografare nello studio fotografico Durst. Partecipa a collettive e personali, ultima: L'architettura del Mondo, Triennale Milano, 2012 (www.leonhardangerer.com).

Trento – Interporto

Mezzocorona - Cantine Rotari

Bolzano sud - Salewa Cube

Magrè - Caserma Vigili del Fuoco

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I fotografi

DOPPIO VIAGGIO NELL’ARCHITETTURA

Laives - Aereoporto

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Luca Chistè Fotografo dal 1980 per passione. Sociologo, con un master in formazione, ha un forte interesse per la fotografia fine-art dedicata al paesaggio urbano, naturalistico e al reportage sociale. Cura l'insegnamento della fotografia e delle tecniche di stampa digitale ed è autore di numerose pubblicazioni e rassegne tra cui “Berlino. Profili urbani”, esposta al Centro Internazionale di Verona Scavi Scaligeri (www.lucachiste.com). Ponte ciclabile San Michele sul fiume Adige

Ponte San Michele sul fiume Adige

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I fotografi

INFRASTRUTTURE

Accesso interporto doganale ROLA Trentino Trasporti

Ingresso galleria Rupe a Mezzolombardo

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Ivo CorrĂ Fotografo, diplomato all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, ha esposto e pubblicato in Italia e all'estero, collocandosi nell'ambito del reportage, della ritrattistica e della fotografia di paesaggio. Accanto all'attivitĂ di fotografo, cura dal 1998 i progetti e le proposte di mediazione d'arte per il Museion, Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano.

Mezzolombardo

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I fotografi

CONFINI

Cortaccia

Magrè 67


Erich Dapunt Vive e lavora a Bolzano come fotografo ed insegnante di fotografia presso la Scuola superiore di grafica. Ăˆ attirato soprattutto dalle riprese d'architettura e dagli spazi deserti in ambiente urbano (www.erichdapunt.com).

Laives

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I fotografi

AREE PRODUTTIVE

Trento Nord

Mezzocorona

Egna

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Anna Da Sacco Fotografa, ha lavorato per il quotidiano L'Adige di Trento, agenzie, pubblicazioni di vario genere. Ha partecipato a mostre con reportages sociali (www. annadasacco.daportfolio.com).

Bronzolo - cave di porfido

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I fotografi

LUOGHI DISMESSI O IN ATTESA DI RIQUALIFICAZIONE IN VALLE DELL’ADIGE

Trento nord - area ex concessionaria Opel

Zambana vecchia - ex locanda Dopolavoro

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Hugo Munoz Nato nel 1971 a Santiago del Cile, in Trentino svolge con spirito eclettico, e grazie anche agli studi formali in fotografia e cinema, l'attivitĂ in diversi settore della comunicazione visiva, sia nel settore artistico che in quello commerciale (www.hugomunoz.it).

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I fotografi

CONTINUITÀ (E NON CONTINUITÀ)

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Francesca Padovan Nata a Milano nel 1978, si laurea in Psicologia e si diploma in Fotografia presso lo IED di Roma mentre lavora come assistente fotografo di Carlo Valsecchi. A Roma collabora con riviste di architettura di interni. A Trento continua come fotografa freelance. Predilige la fotografia di architettura e di scena (teatro e rock underground) e conduce laboratori di fotografia creativa per bambini e ragazzi.

Termeno sulla Strada del Vino-Tramin an der WeinstraĂ&#x;e

Zambana Vecchia 74


I fotografi

LA VALLE COSTRUITA

Trento, Interporto

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Paolo Sandri Fotografo, specializzato in architettura e paesaggio, espone le sue ricerche e insegna tecnica della fotografia (www.paolosandri.it).

Monte di Mezzocorona, arrivo della funivia

Termeno, dosso di Kastelaz

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I fotografi

BELLEVUE

Bolzano, Chiesa del Calvario al Virgolo

Trento, Riparo Gaban

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Un documento dell’Inu Per un rilancio del governo del territorio L'Inu rivolge un appello alle forze politiche del Parlamento e ai membri del governo. 1. L'Inu ritiene che il piano territoriale e urbanistico sia ancora lo strumento più efficace per guidare i processi di trasformazione territoriale, da quelli locali di riqualificazione/rigenerazione e trasformazione urbana, a quello più impegnativo del governo della metropolizzazione della città e del territorio. Un piano che sia, però, completamente nuovo anche rispetto a quelli prodotti nel più recente passato, radicalmente riformato, con una forma ancora più strutturale, più semplice ed essenziale, nonché un piano adeguato alle esigenze concrete della contemporaneità. 2. L'Inu ritiene che solo il piano, in quanto progetto pubblico di territorio, sia lo strumento istituzionale più efficace per contrastare la diffusione e la dispersione insediativa tipica del territorio contemporaneo e il conseguente crescente consumo di suolo; un piano fondato su nuovi sistemi di mobilità sostenibile che interconnettano le nuove centralità della “città contemporanea”, sede di funzioni territoriali di eccellenza, dei servizi fondamentali e dello spazio pubblico, di cui la stessa è priva, oltre che su una rete ecologica territoriale che metta in relazione le aree di maggiore potenziale ambientale, massimizzando gli effetti delle rigenerazione delle risorse fondamentali riproducibili e la tutela di quelle non riproducibili. 3. L'Inu chiede ancora una volta, e con grande forza, l'approvazione da parte del prossimo Parlamento di una legge nazionale sui “principi fondamentali del governo del territorio”, un atto ormai costituzionalmente obbligatorio dopo il nuovo Titolo V; una legge fatta di pochi articoli, ma tale da rendere più solide e giuridicamente fondate le leggi regionali; una legge che definisca più spedite e trasparenti procedure di formazione dei piani, che richiami i principi del governo cooperativo, che consenta un efficace contrasto all'eccessivo e insostenibile consumo di suolo e che, al contempo, incentivi in modo determinante il processo di riqualificazione/rigenerazione urbana; una legge, infine, che innovi in modo ancora più deciso di quanto non sia stato fatto nel recente passato la forma strutturale del piano, abbandonando definitivamente la via regolativa, puntando a documenti programmatici e concentrando la parte regolativa negli strumenti di gestione degli insediamenti esistenti, che sono regolativi per loro natura e che vanno mantenuti, ma anche semplificati, oltre che nella componente operativa relativa alle trasformazioni che sarà ancora utile programmare. 4. Un piano, dunque, programmatico e non conformativo dei diritti edificatori, che garantisca la necessaria visione al futuro degli assetti urbani e territoriali, ma che sia un utile quadro di riferimento per poter valutare le trasformazioni urbanistiche e un telaio per le politiche urbane. Un piano che, a differenza della tradizione italiana del vecchio modello regolativo prima e del più recente modello strutturale poi, non dovrà contenere tutte le trasformazioni insediative possibili, ma solo quelle oggettive, in qualche modo indiscutibili, mature e condivise e soprattutto finalizzate alla riqualificazione e rigenerazione urbana; un piano che lasci ad un futuro momento valutativo la decisione di coinvolgere altre aree non interessate da invarianti strutturali che ne abbiano imposto la tutela, la cui trasformazione è stata momentaneamente sospesa dal piano. 5. Adeguare ogni scelta alle risorse disponibili o a quelle reperibili è, infine, un passaggio fondamentale per costruire il nuovo modello di piano che l'Inu ritiene necessario, realmente convincente ed efficace. Sono le risorse necessarie per costruire la “città pubblica”, vale a dire il sistema di infrastrutture e servizi di cui le città italiane sono ancora fortemente carenti e, in generale, per garantire un efficiente governo del territorio. Un tema oggi ingigantito dalla crisi globale, che proietta pesanti ombre sulla qualità e le dimensioni della ripresa, quando ci sarà. Tra le risorse che l'Inu ritiene debbano essere reperite vi sono quelle legate alla fiscalità locale (nuova fiscalità di scopo, oneri, IMU, ecc.) fondamentali per disincentivare il consumo di suolo e incentivare il processo di rigenerazione/riqualificazione urbana e quelle legate ad una fiscalizzazione della rendita fondiaria, nell'immediato parziale (contributi speciali sulle trasformazioni) e in prospettiva generalizzata, fondamentali per finanziare infrastrutture e dotazioni territoriali.

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Inu/Trentino Chi siamo, cosa vogliamo, come partecipare COSA È L’INU? L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato fondato nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e urbanistici, diffondendo i princìpi della pianificazione. Lo Statuto, approvato con DPR 21.11.1949, definisce l’Inu come “Ente di diritto pubblico ... di alta cultura e di coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto” (art. 1). L’Inu è organizzato come libera associazione di Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale forma l’Istituto persegue con costanza nel tempo i propri scopi statutari, eminentemente culturali e scientifici: la ricerca nei diversi campi di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento continuo e il rinnovamento della cultura e delle tecniche urbanistiche, la diffusione di una cultura sociale sui temi della città, del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali. LA SEZIONE “TRENTINO” Dopo molti anni di “affiliazione” alla sezione della Regione Veneto i membri effettivi presenti in Regione hanno costituito, nel 1985, la sezione Trentino-Alto Adige dell’Istituto, inizialmente suddivisa in due “comitati” per poter rispondere meglio alle specificità normative e legislative delle due provincia autonome. Per questo, nel 1993 i due comitati si costituiscono in sezioni autonome provinciali. L’attività della Sezione Trentino si concentra nella promozione di convegni, seminari di studi, corsi di formazione, studi che abbiano come oggetto le trasformazioni del territorio. La sezione è storicamente dotata di un foglio informativo che nel 2008 è diventata rivista riconosciuta dal tribunale: Sentieri Urbani. NUOVI SOCI Il consiglio direttivo dell’Inu del Trentino dello scorso 16 aprile ha approvato le domande di iscrizione all’istituto di tre nuovi soci aderenti: si tratta dell’architetto Pietro Degiampietro e dagli urbanisti Giuliana Spagnolo e Daria Pizzini. COME ASSOCIARSI Per associarsi all’Istituto Nazionale di Urbanistica occorre presentare al Presidente della Sezione di competenza una domanda sottoscritta da due Membri effettivi dell’Istituto e accompagnata da un breve curriculum e dalla ricevuta di pagamento della quota associativa per il primo anno. Per gli Enti pubblici che intendono associarsi è sufficiente inviare alla sede nazionale dell’Istituto la delibera degli organi competenti contenente anche l’impegno di spesa per la prima quota annuale. Per contatti e ulteriori informazioni: Segreteria INU Sezione Trentina (arch. Elisa Coletti, elisa_coletti@alice.it ).


Biblioteca dell’ rbanista

Alessandro Franceschini (a cura di) “A nord di Trento, a sud di Bolzano Nördlich von Trient, Südlich von Bozen”

Marco Romano “Liberi di costruire”

Paolo Pileri, Elena Granata “Amor Loci. Suolo, ambiente, cultura civile”

Ambiente Trentino, Trento 2013, 20 euro

Bollati e Boringhieri, Torino 2013, 15 euro

Edizioni Libreria Cortina, Milano 2012, 21,50 euro

Il volume, bilingue, è il catalogo dell’omonima mostra fotografica promossa dalla sezione Trentina dell’Istuiuto Nazionale di Urbanistica e da Ambiente Trentino ed allestita, a Trento, presso la sede di Interbrennero spa nell’autunno del 2013. Otto fotografi, di cui quattro trentini e quattro sudtirolesi (Leonhard Angerer, Luca Chistè, Ivo Corrà, Erich Dapunt, Anna Da Sacco, Hugo Munoz, Francesca Padovan e Paolo Sandri) hanno fotografato quella fascia di territorio compresa tra Trento e Bolzano: un tratto della Valle dell’Adige composito, ricco di funzioni: dalla residenza al commercio, dalle infrastrutture all’agricoltura. Come scrive Corrado Diamantini nel saggio introduttivo del volume «nel tratto di territorio compreso tra Trento e Bolzano, questa complessità viene accentuata dal fatto che vi insistono due distinte regioni storiche, una di lingua e di cultura italiana e l’altra di lingua e cultura tedesca, anche se separate da un confine che ha storia molto recente. A questo proposito si può obiettare che il tratto di Bassa Atesina situato lungo la sinistra orografica dell’Adige è in realtà un territorio mistilingue ma questo non cambia molto la sostanza delle cose. Il paesaggio infatti ha conservato per molto tempo, in una di queste regioni, un significato politico».

La città è stata fin dal Medioevo il luogo della socialità per eccellenza, il contesto nel quale si sviluppano le dinamiche che determinano l'identità individuale, la dignità e i sentimenti dei "cittadini". La civitas europea ha trovato storicamente la sua manifestazione esteriore nell'urbs, la cornice quotidiana fatta di strade e case in cui le persone ambientano le proprie vite, in un confronto interpersonale che è la base stessa della libertà. Per secoli le città hanno visivamente "mostrato" le tensioni, i conflitti e le diverse istanze di chi le aveva abitate, lasciandole scolpite nella tessitura delle strade e nell'architettura delle abitazioni. Nell'ultimo secolo ha invece preso il sopravvento il concetto di pianificazione, l'idea che fosse vantaggioso stabilire a priori in quali direzioni e con quali modalità una città dovesse svilupparsi, in vista di un fine considerato - dall’autorità necessario al benessere della cittadinanza. Ma così facendo si è inevitabilmente sottratto al cittadino il diritto di esprimere la propria visione e di far parte a tutti gli effetti della società in cui vive. "Liberi di costruire" è un libro "impegnato", denso di denuncia e di consapevolezza politica, nel quale l'autore reclama il diritto alla libertà. “Ridurre i desideri degli uomini a diritti codificati nella dottrina della pianificazione (...) significa cancellare ciò che li rende uomini: la diversità dei loro individuali progetti di vita”.

Se il modo in cui una società si prende cura della terra è indice della sua cultura civile, in Italia non mancano segnali d’allarme. Negli ultimi vent’anni il suolo e il paesaggio sono stati minacciati in forme senza precedenti, con grave perdita di risorse agricole, di cibo, di paesaggi e di beni comuni. Un cambio di rotta appare urgente. Dal suolo dipende il destino della nostra cultura e la qualità del nostro futuro. La dissipazione degli spazi aperti è da leggersi come l’esito di una profonda crisi culturale che affonda le sue radici nell’incuria e nella mercificazione del suolo e dell’ambiente. Prendersi cura della terra deve diventare tensione irrinunciabile che sostanzia ogni progetto ambientale e sociale. Un’attitudine che abbiamo chiamato amor loci. Il suolo è la questione intorno a cui si intende richiamare a impegno e responsabilità le scienze, la politica e l’urbanistica, a lungo distratte e silenti di fronte alla rovina del Bel Paese. Cambiare rotta richiede la convergenza di saperi diversi, nuove sintesi tra pensiero ecologico e prassi politica entro un processo vitale che sappia tradurre le conoscenze scientifiche in atti politici concreti e coraggiosi. Per questo, il libro vuole proporre al lettore alcune riflessioni che, mentre denunciano la gravità dei problemi, non rinunciano a indicare possibili soluzioni.

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porfido e pietre trentine Verso nuovi traguardi

DISTRETTO DEL PORFIDO E DELLE PIETRE TRENTINE

MISSION DELLA SOCIETA'

Promuovere l'evoluzione competitiva del sistema produttivo locale che ha per oggetto l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione del porfido e delle pietre trentine con la prestazione di servizi a supporto dei processi innovativi delle imprese operanti nell'ambito provinciale

OBIETTIVI DELLA SOCIETA' - la promozione della cultura e dell'immagine del distretto oltre al confronto e lo scambio culturale, commerciale e produttivo; - l'incremento della capacità di innovazione delle imprese; - il potenziamento e l'evoluzione qualitativa dell'accesso al mercato delle imprese distrettuali; - l'aggregazione di imprese, finalizzate al rafforzamento competitivo e la cooperazione tra imprese in progetti che perseguono il medesimo obiettivo; - la creazione e lo sviluppo e risorse capaci di generare benefici collettivi; - il consolidamento dei livelli occupazionali e delle altre risorse umane del distretto attraverso attività di istruzione e formazione mirata; - miglioramento delle condizioni ambientali del distretto e delle condizioni di sicurezza sul lavoro e della qualità della vita; - l'internazionalizzazione delle imprese e l'accesso a nuovi mercati.

PROGETTI Riutllizzo scarti e ricerca nuove applicazioni

Caratterizzazione viabilità con uso pietra trentina

Promozione Pietra Trentina

Ricerca, qualità e nuove tecnologie

Osservatorio Provinciale

Riorganizzazione settore estrattivo provinciale

Sostenibilità ambientale della pietra Trentina

Sito Web

Nuovi prodotti e design

Nuovi inserimenti per lavoratori inabili e formazione

Codice etico Formazione

Accordo con Enti locali per la promozione e uso della pietra trentina

IN COLLABORAZIONE CON TRENTINO SVILUPPO SONO STATI SVILUPPATI I SEGUENTI PROGETTI. Progetto Kaizen per miglioramento processo produttivo - Progetto Hab per nuovi prodotti - Progetto Innova per la commercializzazione



A nord di Trento. A sud di Bolzano.

SentieriUrbani

10 Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% NE/TN - anno V - numero 10 - aprile 2013 - € 10,00

Urbani Sentieri

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LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Issn: 2036-3109

In questo numero

A nord di Trento A sud di Bolzano


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