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Raccontare la terra attraverso chi la abita, ne fa parte e la interpreta con gli strumenti dell’arte è l’unico requisito per macchiare d’inchiostro queste pagine. Ogni edizione è dedicata a un’area geografica: un paese, una valle, una città, una regione. Raccoglie esperienze e ricerche di artisti che vivono quei luoghi o che li attraversano.
Il confronto aperto tra creativi è il cuore di questo progetto.
Il primo numero è dedicato a Roma, la città da cui tutto è partito. Insieme a mio fratello, nel tempo, ho costruito una rete di relazioni che mi ha permesso di avvicinarmi sempre di più al panorama dell’arte emergente romana. Questo debutto editoriale nasce proprio da quell’esperienza: da incontri reali, da una curiosità che ha trovato forma.
Per questa uscita ho scelto di coinvolgere tre giovani pittori romani, diversi per stile e approccio. Ognuno di loro restituisce una visione personale della città, ma ciò che li accomuna è lo sguardo attento alla vita quotidiana.
Accanto a loro, in un dialogo che attraversa le generazioni, compare l’unica donna del gruppo di Piazza del Popolo.
Insieme, queste quattro visioni, quotidiane e simboliche, si intrecciano e disegnano un profilo inedito di Roma, la città che abitiamo, guardiamo, attraversiamo.
Una città viva, ancora piena di voci da ascoltare.

Vorrei vivere in una città nuova e non incontrare più nessuno
A me invece Roma piace moltissimo. È una specie di giungla tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene. Anch’io vorrei nascondermi ma non ci riesco, non ci riesco… E adesso cosa si fa?
Facciamo un giro? Restiamo?
Uffa anche Roma che noia. Mi ci vorrebbe un’isola.
Se la compri Ci ho pensato… Ma poi ci andrei?
Giosetta Fioroni nasce a Roma il 24 dicembre 1932 in una famiglia di artisti, con il padre scultore e la madre marionettista. Cresce in un ambiente creativo che influenza profondamente la sua formazione. Studia all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove segue i corsi di Toti Scialoja, e negli anni Cinquanta entra in contatto con importanti artisti come Alberto Burri, Afro, Willem De Kooning e Cy Twombly. Dopo alcune partecipazioni a importanti collettive, come la Quadriennale di Roma nel 1955 e la Biennale di Venezia nel 1956, il suo vero debutto avviene nel 1957 con una personale alla Galleria Montenapoleone di Milano. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta vive a Parigi, dove frequenta l’ambiente dei Nouveaux Réalistes e conosce le nuove tendenze artistiche internazionali. Tornata a Roma, diventa l’unica donna del gruppo definito “Scuola di Piazza del Popolo”, accanto ad artisti come Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli. La sua pittura, pur vicina ai temi della Pop art, si distingue per un forte contenuto interiore e per l’uso artigianale del pennello, in contrasto con i procedimenti meccanici di artisti come Andy Warhol. Celebri sono i suoi “argenti”, opere realizzate con smalti color alluminio dall’effetto specchiante.Accanto all’attività pittorica, a partire dagli anni Sessanta, Fioroni intreccia un intenso dialogo con il mondo della letteratura, grazie anche alla
relazione con lo scrittore Goffredo Parise. Collabora con autori come Nanni Balestrini, Alberto Arbasino, Alberto Moravia e Andrea Zanzotto, realizzando libri d’artista e opere a più voci. Negli stessi anni crea i “teatrini”, piccoli scenari ispirati al mondo del teatro di figura, e sperimenta con il cinema in pellicola e la fotografia.
Durante gli anni Settanta, nel paesaggio della campagna veneta, sviluppa un nuovo ciclo ispirato alla fiaba popolare, che dà origine a opere tridimensionali come teche in legno contenenti oggetti naturali e annotazioni immaginifiche. Negli anni Ottanta e Novanta torna alla pittura tradizionale con nuovi mezzi come acquarello, olio, smalto e pastello, ispirandosi anche agli affreschi di Giandomenico Tiepolo. Da questo periodo si dedica inoltre alla ceramica, producendo opere che riprendono i temi ricorrenti della sua poetica, tra cui teatrini, natura, animali e figure femminili.
Numerose istituzioni italiane e internazionali hanno dedicato mostre e retrospettive al suo lavoro, tra cui la Calcografia Nazionale, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Drawing Center di New York e il Moscow Museum of Modern Art. Nel 2023, a riconoscimento della sua lunga carriera, le viene conferito il Premio Nazionale alla Carriera Elio Pagliarani.
Che tipo di rapporto ha avuto, e ha oggi, con la città di Roma? C’è stato un cambiamento nel paesaggio urbano che l’ha colpita in modo particolare, anche a livello emotivo?
Nonostante nella mia vita ci siano stati alcuni trasferimenti, tutti comunque momentanei, ho sempre mantenuto un legame profondo con la città di Roma. È una relazione che si è trasformata nel tempo e la città ha sempre continuato a nutrire il mio sguardo e il mio pensiero. Uno degli elementi che più contribuiscono a questa sensazione di continuità è per me il Tevere. Il fiume attraversa la città come una linea di memoria e di vita. Nella mia quotidianità, il Tevere è una presenza silenziosa ma profonda: lo incontro ogni giorno nel tragitto tra casa e studio, lo guardo scorrere e lo ascolto. Forse è per questo che mi sembra che Roma conservi una sua identità stratificata che resiste al passare del tempo.
a destra:
Il Ristorante Baffone sulla Via Flaminia dove canta l’usignolo , 1971 pagina successiva: Gli involucri , 1966



C’è un oggetto, un’immagine o un simbolo ricorrente nella sua vita o nel suo lavoro a cui è particolarmente legata?
Non c’è un solo oggetto o simbolo ricorrente nella mia vita o nel mio lavoro: ce ne sono diversi, ciascuno con un significato preciso e personale che si è intrecciato nel tempo con la mia produzione artistica e con il mio vissuto. Mi vengono in mente la lampadina, o il cuore, segno di ciò che è vivo, della centralità dell’umano, o ancora la scala, passaggio ed evoluzione. Questi simboli — e altri ancora — non li ho scelti a tavolino: sono emersi naturalmente, si sono fatti strada da soli, trovando posto nelle mie opere perché già presenti, in qualche forma, nella mia vita.
Che consiglio si sentirebbe di dare oggi a un giovane artista che sta iniziando il proprio percorso?
Più che un consiglio, mi sentirei di fare un augurio. Perché credo profondamente che ogni artista debba attraversare il proprio percorso, con i suoi tempi, i suoi inciampi e le sue scoperte. Nessuna strada è davvero uguale. In ogni modo gli augurerei sicuramente di non perdere mai il piacere della ricerca.


Guglielmo Mattei (Roma, 1988) è pittore e professore di Lettere. Dopo aver conseguito il dottorato in Letteratura Latina nel 2017, insegna Latino e Greco presso il Liceo ‘Giulio Cesare’ di Roma. La pittura è la sua passione più profonda, trasmessagli dal nonno e dal padre fin dall’infanzia. Allievo del maestro Elio Mazzella, tra il 2017 e il 2019 ha esplorato sia la figurazione classica sia linguaggi più informali, illustrando nel 2019 la guida ufficiale dell’evento Cortili aperti Roma, a cura di ADSI. Dal 2020 ha focalizzato la sua ricerca sulla rappresentazione della città e del paesaggio, sviluppando cicli di opere come Paesaggi romani, Mesi a Roma, Estivi e Ritratti sospesi. Nel 2020 è ammesso alla 47ª edizione del ‘Premio Sulmona’. Nel giugno 2021
collabora con il collettivo STRUTTURA, partecipa alla 115ª edizione dei ‘Cento Pittori di Via Margutta’, mentre a ottobre vince il XXXI Premio ‘La scaletta’ di Velletri (RM).
Nel 2022 espone con la Galleria ‘Vittoria’ di Roma e vince nella categoria Under 35 al I Premio ‘La Pigna’.
Nel novembre 2024 espone con gli artisti di BABELE all’Istituto italiano di cultura ad Amburgo.
È ideatore e curatore della Biennale d’Irpinia, con Stefano Volpe. Vive e lavora a Roma. A febbraio 2025 inaugura la sua mostra personale “INTERIM” presso la Galleria Vittoria in cui espone oltre 22 opere inedite.


Come vivi la dualità Professore\Artista?
So che hai coinvolto anche i tuoi studenti in alcuni progetti: quanto pensi che l’arte possa ancora dire qualcosa di importante a chi va a scuola oggi?
In primo luogo, va spiegato che io sono, oltre che pittore, un professore di latino, greco e italiano, presso il liceo Giulio Cesare di Roma; quindi ho, per così dire, una frequentazione quotidiana con la poesia, la letteratura, la cultura antica (e meno antica). Questo non può non influenzare ciò che sono e la mia sensibilità. Mi sembra allora di poter affermare che la mia esperienza a scuola e la mia pratica artistica si nutrono a vicenda. Artista e professore: due facce della stessa medaglia!
Per me è particolarmente emozionante quando riesco a far incontrare questi due mondi: quando per esempio organizzo una mostra a scuola (come accaduto lo scorso novembre: Il mare nell’arte, presso il Museo del mio liceo), o quando invito gli studenti alle mie esposizioni presso la Galleria Vittoria di Via Margutta.
Devo dire che anche loro, gli studenti, sono particolarmente curiosi di scoprire un altro aspetto di me, della mia umanità, attraverso le mie opere.
A mio avviso, del resto, l’Arte può dare moltissimo alla scuola. Sono quattro anni che organizzo nel mio liceo un concorso in cui i ragazzi possono liberamente presentare opere di vario genere attorno a un tema assegnato, e hanno sempre dimostrato viva partecipazione e desiderio di esprimersi anche attraverso l’arte. C’è da dire che, purtroppo, la scuola superiore italiana in questo si dimostra un po’ carente: si è relegata infatti la possibilità di cimentarsi con la pratica artistica solo all’indirizzo specifico del liceo artistico, quando invece anche nei licei classici, scientifici, ecc., dove l’arte è affrontata solo teoricamente, potrebbe essere apprezzata e praticata con favore.



Che rapporto hai con Roma?
C’è un angolo della città che senti particolarmente tuo, magari anche solo per ragioni emotive?
Il mio rapporto con Roma è assolutamente viscerale, cioè: io sono come Roma è.
Non riesco a pensare di vivere lontano da Roma, nonostante appaia forse più conveniente trasferirsi altrove.
Roma ha un angolo per ogni colore del mio animo. Nella mia città sono pertanto moltissimi i luoghi che mi emozionano, che mi suggestionano.
Amo tutti gli esempi di edilizia popolare o borghese della fine dell’Ottocento, dell’inizio del Novecento, degli anni ’50 e ’60: penso a Garbatella, a San Giovanni, al Pigneto, a Monteverde e così via.
Amo il fiume Tevere, con i suoi ponti e i suoi platani.
Amo le ferrovie e le stazioni.
Amo la Tangenziale Est, con la sua sopraelevata.
Amo l’ombra e il silenzio improvviso dentro le infinite chiese, antiche o moderne.
Sono tutti luoghi dove si svolge la vita quotidiana dei Romani.
Più che gli spazi monumentali, gli spazi dei turisti, per me il cuore della città pulsa negli spazi della quotidianità: della vita semplice, dimessa, affrettata.
Peraltro, più che i luoghi in sé, di Roma amo certe atmosfere, certe luci, certe ombre, una certa qualità dell’aria e del cielo, che appunto si scoprono, come doni immeritati, proprio mentre scorre la vita di tutti i giorni.
Ispirandoci alla visione poetica e simbolica di Giosetta Fioroni, che spesso ha personificato Roma nelle sue opere, se dovessi immaginare Roma come una persona, che tipo di persona sarebbe per te?
Come la descriveresti?
Questa è una domanda difficilissima. Decisamente, non mi interessa la Roma dei coatti. Ti direi allora, un po’ borghesemente forse, che Roma è una donna o un uomo che passeggiano la mattina presto, o la sera dopo una giornata di lavoro, e si perdono nei propri pensieri, nella luce vibrante della città. Una donna o un uomo che sono immersi nel presente, ma anche, insieme, catapultati fuori dal tempo.
Garbatella, acrilico su carta strappata su tela, Roma 2021 (collezione privata)


Citami le tue fonti di ispirazione.
Ci sono immagini, persone o cose che tornano spesso nel tuo lavoro?
La mia fonte d’ispirazione principale è la pittura che, tra gli anni Venti e la metà del Novecento, ha rappresentato lo spazio urbano.
Penso naturalmente a Sironi, o in ambito “locale” alla cosiddetta Scuola di Via Cavour, nonché a tutti i pittori che hanno vissuto a Roma durante il Fascismo o poco dopo; Scipione, Mafai, Ziveri, Trombadori, Levi, Donghi, Pirandello e così via: tutti Maestri incredibili, secondo me.
Dal mio punto di vista, hanno saputo raccontare, in maniera disincantata e allo stesso tempo emozionante, la città in tutti i suoi aspetti.
Ci sono naturalmente dei temi che tornano nella mia ricerca artistica: i pini, i ponti, la Tangenziale… per certi aspetti, la solitudine… in particolar modo, però, nell’ultimo periodo ho voluto indagare il tema dell’arrivo della sera, quindi del crepuscolo, così come è emerso dalla mia ultima mostra personale Interim (Roma, Galleria Vittoria, 19 febbraio-7 marzo 2025, a cura di Tiziano Todi), dedicata proprio a una serie di opere in cui rappresentavo quel momento magico che è il passaggio tra il giorno e la notte, con una piccola luna a vegliare sulla città.
Come nasce un tuo quadro?
Parti da un’idea precisa o è qualcosa che si costruisce strada facendo?
Le mie opere sono documenti di un luogo, o meglio, della sensazione che si prova in quel luogo. I miei quadri nascono fuori dai quadri, mentre sono per strada, in giro, quando posso cogliere un certo taglio del paesaggio urbano: uno scorcio, un’ombra, un angolo o uno spicchio di cielo. Questi li fotografo tutti; ho una specie di archivio di immagini, e poi da lì parto con il quadro. Naturalmente cerco di non essere un semplice pittore fotografico, in quanto interviene la sensibilità pittorica, perché l’opera deve funzionare per i colori, le luci, le ombre, la composizione e quant’altro.
Di base c’è già tutto nella realtà, poi c’è il mio intervento di semplificazione e interpretazione della realtà stessa. Ho scelto di non dipingere direttamente sulla tela i miei paesaggi, ma di applicare prima uno strato di carta su cui poi stendo il colore.
Alla fine, una volta che l’immagine è completa, intervengo strappando, frammentando e riattaccando i frammenti, così da creare un’immagine che, almeno in alcuni punti, ha l’aspetto di qualcosa di rovinato, tormentato. Questi strappi sono in qualche maniera metafora della nostra realtà: una realtà frammentata e drammatica. Soprattutto, e questo è l’aspetto che più mi interessa, perché permettono di confrontarsi con un’opera che si può rompere, anzi, è già rotta. I miei paesaggi riflettono sulla pratica stessa della pittura di paesaggio che, forse, al giorno d’oggi non può essere più mera rappresentazione, ma anche qualcosa di problematico che suscita degli interrogativi.
L’ora delle streghe, acilico su carta su tela, Roma 2023


La pratica pittorica di Elisa Selli gioca fra un approccio figurativo e astratto, dove la natura e il quotidiano diventano la rielaborazione personale di esperienze vissute dall’artista che si traducono poi in scenari universali. Le opere di Selli sono pitture immerse nel visibile, mediante elementi percepibili in continuo movimento, il quale si esprime come un proseguimento naturale verso la maturazione di una visione. In un continuo fluire di immaginari stratificati e densi, che nella gestualità e nella pregnanza incisiva del segno trovano la loro dimensione, l’artista immagina la superficie del quadro come uno spazio di contemplazione.
Nel corso della sua pratica l’artista sceglie di guardare al mondo sensibile e naturale con un approccio femminile in una sinuosità percettibile all’occhio, ma
senza attribuirne una assunzione personificata e codificata. Attraverso la pittura, alle volte accompagnata dall’installazione, l’artista ricerca una visione del mondo dilatata e fluida che risulta ammantata di un continuo susseguirsi di immagini reali ma che sfumandosi si trasformano in immaginari onirici. Elisa Selli studia in modo ricorrente l’elemento naturale come strumento di visione alternando la ricerca fra un’analisi microscopica e macroscopica di scenari vissuti e che lei stessa reinterpreta. Si serve della pittura per ricreare una dimensione sinergica fatta di campi di forze diversificate e tensive che spingono lo spettatore a riflettere sulla natura del visibile e del reale, servendosi della Natura stessa attribuendone un valore simbolico ed archetipico.

Quando hai capito che l’arte sarebbe stata il tuo cammino, sia a livello spirituale che materiale?
Da dove nasce questa tua passione?
È qualcosa di innato, come avere i capelli castani: semplicemente ci nasci, è una parte di te. Fare arte diventa esigenza e mi accorgo di non riuscire a starne lontana, mi fa rebbe stare male.
È una necessità che nasce da dentro, naturale come la crescita delle unghie: crescono, le tagli, poi ricrescono. Con la pittura succede lo stesso. A un certo punto, cresce dentro di me e sento il bisogno di tirarla fuori. Poi ricomincia tutto da capo.
C’è una ciclicità anche nella passione: ci sono momenti in cui sono totalmente immersa nell’arte, e altri in cui invece sento un vuoto. In quei momenti mi chiedo “perché mi sento così?”, ma credo sia normale. Non possiamo essere sempre “sul pezzo”, e ogni cosa ha il suo ritmo.
Anzi, se fossi costantemente attiva senza pause, forse ci sarebbe qualcosa che non andrebbe.
Ho capito solo di recente che l’arte è davvero il mio cammino. Per tanto tempo l’ho considerata un percorso parallelo, qualcosa che poteva convivere con il resto della mia vita. Ma oggi, alla soglia dei trent’anni, ho capito che non può più essere una strada secondaria.
Che rapporto hai con Roma?
C’è un luogo della città che senti vicino, tuo, anche solo emotivamente?
A Roma ci sono nata, mi ci sono trovata dentro e non è stata una mia decisione.
Nel tempo, però, ho avuto modo di vivere altrove per lunghi periodi e nonostante questo ho scelto di tornare. Una serie di circostanze mi ha riportata qui e oggi sento che questo ritorno ha un senso profondo.
Il luogo che più sento mio, in questo momento, è Spazio Lea. È qualcosa di più di un semplice spazio fisico: è un’entità, viva, presente, anche spiritualmente.
Quando penso a Roma, penso a Lea.
Nel tuo lavoro, quanto è presente Roma come città?
Forse la mia è una risposta un po’ al contrario. Vivendo Roma in un momento in cui domina il cemento e l’architettura è ovunque, nel mio lavoro cerco di ricordare che, prima di tutto, siamo esseri umani, siamo terrestri: veniamo dalla terra, non dall’asfalto.
Il mio lavoro, in un certo senso, compie un gesto opposto rispetto alla città che mi circonda.
Roma è una città decorata da giardini, ma io sogno una città che sia il decoro di un grande giardino.



Da dove arrivano le tue ispirazioni?
Ci sono immagini, ricordi o simboli che ti accompagnano spesso mentre lavori?
Le mie ispirazioni arrivano dalla natura. Amo stare nel verde, sentirmi parte di qualcosa di più grande e, in un certo senso, comunicare con la natura stessa.
Ti faccio un esempio: l’altro giorno sono andata in un vivaio per comprare delle mini-piante grasse da usare come segnaposto per il mio matrimonio. Ho chiesto alla negoziante se avesse il nastrino (una pianta), e lei mi ha risposto: “No, quella non la prendo, porta sfortuna.” La mia reazione è stata immediata: “No, non si dice! Le piante non portano sfortuna!”; Poi mi sono girata verso le altre piante e ho detto loro: “Non è vero, non l’ha detto.”
Per me le piante non sono semplici elementi decorativi, sono esseri viventi e con loro possiamo comunicare. Ma forse sto andando fuori tema…
Tra i simboli che più mi accompagnano ultimamente c’è la sirena bicaudata. All’origine, infatti, la sirena non aveva una sola coda, ma due, che rappresentavano le gambe. L’ho ritrovata anche sotto casa mia, raffigurata in una statua. Questo simbolo mi affascina molto, l’ho inserito un paio di volte nei miei quadri. Mi piace esteticamente, ma soprattutto mi colpisce il fatto che rappresenta un ibrido, un ponte tra due mondi.


Come nasce un tuo quadro?
Parti da un’idea precisa o è qualcosa che si costruisce strada facendo?
Questa domanda mi piace tantissimo, ne stavo proprio discutendo con un mio professore di Napoli. Molte persone tendono a chiedere “Come hai fatto a fare questo quadro?” o “Che cosa hai utilizzato per farlo?” e mai invece “come nasce questo quadro?”. Effettivamente la trovo una domanda giusta perché non bisognerebbe fermarsi solo sulla tecnica e sull’apparenza di un quadro, ma anche indagare sul come ci si arriva a farlo. Un mio quadro fondamentalmente nasce sempre come un’epifania. Colleziono delle immagini che scatto in momenti precisi della giornata, in cui mi capita di vedere una particolare luce che tocca le piante, in un modo che trovo interessante. Successivamente analizzo le fotografie che ho nell’archivio e decido con cura quello che potrebbe essere “trasformato” in un quadro. Un mio dipinto nasce principalmente dall’attenzione verso il mondo. Osservare quello che c’è intorno e cristallizzarlo attraverso l’immagine da trasformare poi in un quadro.
A volte mi piace accompagnare la pittura a delle letture, della teoria. Mi capita che ogni tanto, per caso, leggendo un libro, ci ritrovo dei significati coerenti con quello che sto facendo in quel periodo. Questa cosa mi diverte molto e dà significato poi a quello che dipingo.
Mi è successo di ricominciare un quadro su una tela già iniziata, ma solo in casi in cui si trattava di opere vecchie che non sentivo più mie e anche per una questione pratica di spazio.
In generale, però, quando inizio un quadro ho le idee piuttosto chiare, non cambio direzione a posteriori. Magari il cambiamento avviene durante il processo pittorico, ma fa parte del flusso, non è una revisione a opera finita.
Ultimamente mi sto concentrando su formati piccoli. Un po’ per motivi di tempo, un po’ perché mi danno un senso di appagamento immediato: posso iniziare e finire un quadro nello stesso giorno. Con i formati grandi questo non succede, e al momento sento il bisogno di chiudere il cerchio in tempi più brevi.

Visual artist nata nel 1993 in Danimarca, residente a Roma dal 2014. Si è laureata in Pittura nel 2017 e in Arti Grafiche nel 2020 presso RUFA, vincendo diverse borse di studio e svolgendo uno stage presso l’Archivio Pizzi Cannella del Pastificio Cerere San Lorenzo nel 2017. Dal 2017 al 2022 lavora come illustratrice archeologica freelance per S.H. Andersen, Moesgaard Museum (DK). Nel 2022 insieme all’artista Elisa Selli ha co-fondato Lea APS (Associazione culturale di promozione sociale senza scopo di lucro), un project space indipendente gestito da artisti, e Artificio, Art Lab per persone affette da sindrome di Down. Dal 2021 insegna Pittura e Disegno; è impegnata nel tutoraggio di studenti
di scuole superiori e accademie d’arte affetti da sindrome di Down; nel 2023 ha iniziato come assistente alla didattica dell’artista e Prof. Andrea Aquilanti presso il corso di laurea RUFA in Pittura. Partecipa a diverse mostre collettive, residenze d’artista e concorsi d’arte in Italia e all’estero: recentemente è stata invitata a una serie di mostre collettive internazionali presso 8. Salon di Amburgo (DE), Springtime Art-Camp Artist Residency organizzato dal Ministero della Cultura dell’Azerbaigian a Baku (AZ), Ladispolaneamente Artist Residency a Ladispoli (IT) e Seminaria Sogninterra Biennale d’Arte Ambientale VIa Edizione a Maranola (IT).


Quando hai capito che l’arte sarebbe stata davvero parte della tua vita, sia a livello interiore che pratico?
Da dove nasce questa tua passione?
Un po’ come per Elisa, questa passione nasce insieme a me. Mi esprimo con il creativo e con il linguaggio senza parole da sempre, da quando ancora non camminavo e disegnavo per terra con le matite.
Fino a poco tempo fa non immaginavo che avrei vissuto della mia arte. La vivevo in modo molto romantico, quasi esclusivamente spirituale.
Poi, con il tempo, mi sono resa conto di una cosa semplice ma fondamentale: più tempo dedicavo all’arte, più mi sentivo felice.
È stato questo a farmi decidere di intraprendere davvero questo cammino, a partire dall’Accademia e da tutto quello che è venuto dopo.
Che rapporto hai costruito con Roma da quando sei arrivata dalla Danimarca?
Come ti ha accolto la città, e quanto è diversa la tua vita qui rispetto a prima?
Sono persone come Elisa il motivo per cui ho avuto il coraggio di rimanere...
La prima volta che sono venuta a Roma è stata in veste di turista e avevo circa 14 anni. Mi ricordo ancora: con la mia famiglia siamo arrivati a Termini, abbiamo preso la metro e poi, senza ancora aver visto niente della città, mi sono affacciata su piazza di Spagna. C’erano tante persone eccentriche, abbiamo camminato su Via dei Condotti fino all’appartamento e mi sono totalmente innamorata della città. Già da allora promisi a me stessa che prima o poi nella vita avrei passato un lungo periodo a Roma. Ogni volta che visito una città infatti, mi si manifesta subito un sentimento che mi fa capire se mi sento a casa o meno. Roma sicuramente mi ha dato l’idea di un luogo in cui voglio stare, che voglio conoscere. Alla fine sono tornata. Sarei dovuta rimanere solo tre mesi ma sono ancora qui.
Questa città è così romantica e meravigliosa perché c’è tanta bellezza anche solo camminando per strada. È un’estetica totalmente diversa dalla Danimarca, molto più calda e con tanta storia dentro, soprattutto in confronto al nord dove la storia è totalmente diversa. Anche con le persone mi sono sempre trovata molto bene. Ho incontrato tante persone gentili che mi hanno fin da subito dato una mano nei momenti in cui avevo bisogno. Purtroppo, finita la vita da studentessa, si manifesta il lato complicato di vivere a Roma, lontano dalla famiglia. Come diceva Elisa, anche per me Spazio Lea rappresenta un polo fondamentale. Dopo l’Accademia infatti, ho pensato che sarebbe valsa la pena rimanere in questa città solamente se fossi riuscita a fare qualcosa di concreto, riuscita a costruire qualcosa. Non è stato semplicissimo, soprattutto non avendo l’appoggio della mia famiglia, senza le mie radici.




Quanto ti lasci ispirare da Roma nel tuo lavoro?
In generale non moltissimo. Ultimamente ho dipinto dei parchi di Roma, ma è la mia quotidianità, le persone che frequento che inevitabilmente entrano nel mio lavoro, forse non in modo esplicito, ma sicuramente ci sono. Per me l’ispirazione resta un mistero. Non credo esista una ricetta precisa e se ci fosse forse avrei già svoltato nella vita oppure avrei smesso di fare arte, perché non ci sarebbe più la magia, quel senso di mistero che la rende viva. L’ispirazione arriva in momenti in cui qualcosa del quotidiano, senza un motivo preciso, sembra splendere in modo particolare. E trovo che anche questo sia meraviglioso. In danese esiste un modo di dire che rappresenta al meglio quello che voglio esprimere, l’ispirazione è “come una saponetta”, cerchi di prenderla per mano ma ti sfugge sempre, la riesci a toccare per pochi secondo ma salta via subito.
In generale però, mi piace vedere lavori di altri artisti, osservare oltre al soggetto soprattutto l’utilizzo del colore e il modo in cui si esprimono; questo mi aiuta a trovare nuove idee.


Come nasce un tuo quadro?
Parti da un’idea chiara o è qualcosa che prende forma un po’ alla volta, mentre lavori?
È una domanda un po’ difficile perché spesso un mio quadro nasce da questo momento misterioso di cui ho parlato poco fa, però, come Elisa, anch’io scatto delle foto che rappresentano per me degli appunti visivi; uso le immagini come base per crearne una mia versione e visione, ragionando sul modo in cui ho vissuto personalmente quell’istante, tramite il ricordo che leggo all’interno dell’immagine stessa.
Diversamente è accaduto per un progetto, ancora non uscito, su cui ho lavorato in questi ultimi anni. In questo caso l’ideazione del mio lavoro è più strutturata e sono partita da un concetto per poi cercare delle immagini.
Penso però che il bello sia anche cambiare.
a sinistra: Villa Borghese , olio su tela, 30x30 cm, Roma 2023
pagina successiva:
Siblings , olio su tela, 100x70 cm, Hamburg 2023


Nel cuore del
di
a due passi dalla stazione Termini, si
cui l’intreccio tra arte e convivialità genera sinergie ed esperienze virtuose: Spazio Lea. Uno studio d’artista con le pareti rosa, fondato da Elisa Selli e Ellen Wolf nel 2022. Cosa c’è dentro? Un tripudio di colori, pennelli, fiori, quadri e bozzetti; insomma pura creatività. Entrambe laureate all’Accademia di Belle Arti, hanno
deciso di intraprendere quest’avventura per dare spazio alla loro vena artistica e alimentare la loro sinergia.
La promozione sociale, culturale e territoriale sono i principi cardine su cui essa si fonda. È curiosa, intraprendente, inclu siva e multidisciplinare. Lea è uno spazio per osservare e osservarsi, per ritrovare quella dimensione in cui tutto può ancora accadere: è il luogo in cui abita la creatività.
Come è nata la vostra collaborazione che ha portato al progetto Spazio Lea?
La nostra collaborazione per Spazio Lea è nata tre anni fa ma in realtà noi ci siamo conosciute in Accademia, quindi siamo state prima colleghe di università, poi siamo diventate amiche e adesso collaboriamo. Già in Accademia avevamo iniziato a pensare e a immaginare quanto sarebbe stato bello creare qualcosa insieme ma per vari motivi la vita ci ha fatto allontanare e prendere delle strade diverse. Poi ci siamo re-incontrate per caso e perdendoci in chiacchiere ci siamo rese conto del fatto che entrambe sentivamo la necessità di trovare uno spazio dove poter esprimere al meglio la nostra arte, che non era affatto un hobby. Non ci bastava più creare e pensare in casa, perché quel luogo faceva sembrare questa attività come qualcosa di secondo livello, avevamo bisogno di un vero e proprio luogo di lavoro. Questo Spazio è poi diventato un posto che ci fa sentire bene, una specie di seconda casa in cui abbiamo trovato il nostro equilibrio. Non abbiamo trovato solo uno spazio fisico ma abbiamo anche trovato uno spazio tra di noi.


Come ha accolto la città i vostri progetti didattici che portate avanti?
La città ancora ci deve conoscere meglio, ma per quello che abbiamo fatto in questo poco tempo ci è sembrato che le persone ci abbiano accolto molto bene. Spazio Lea sta diventando un punto di riferimento anche per quelle piccole realtà che abbiamo intorno, per quelle poche persone che abbiamo avuto modo di accogliere, cercando di farle sentire in un luogo sicuro, tranquillo. Siamo convinte che questo progetto possa solamente crescere. È stato proprio il quartiere ad accoglierci, siamo riuscite ad entrare all’interno di comunità solide con realtà e locali della zona. A partire dal condominio che ci ha accolto a braccia aperte, felice di ospitare un luogo socialmente utile per le persone del posto. Siamo state davvero fortunate.
La comunità del quartiere, ha modificato in qualche modo l’intento di ricerca di Spazio Lea?
Avete iniziato a sentire una responsabilità più forte rispetto al luogo in cui vi trovate?
Alcuni progetti di ricerca li avevamo ideati ancor prima dell’apertura dello Spazio, come per esempio il corso per ragazzi con Sindrome di Down, che non si limita solo al quartiere. La responsabilità che ci sentiamo adesso è quella di mantenere l’attenzione e il rapporto con gli altri. L’idea di Spazio Lea, in realtà, non nasce dal desiderio di fare qualcosa a Roma, per Roma, ma innanzitutto per un bisogno personale. La responsabilità verso il luogo è venuta dopo.
Artificio: Laboratorio d’arte persone con Sindrome di Down
L’Artificio è il primo progetto attivato da LEA APS, Independent ArtistRun Project Space nato dalla collaborazione tra le artiste visive Elisa Selli ed Ellen Wolf. Il Progetto Artificio consiste in un laboratorio di pittura e disegno rivolto a persone con Sindrome di Down e nasce a novembre 2022 dalla volontà delle artiste di infondere la passione per l’arte contemporanea.
La finalità principale dell’Artificio è quella di sensibilizzare gli allievi all’arte in tutte le sue molteplici forme, esortandoli a vivere un rapporto stretto con il disegno e la pittura grazie a una variegata offerta di attività artistiche esperienziali. L’Artificio a partire dalla sede di LEA APS nel cuore del quartiere Esquilino di Roma, ha viaggiato attraverso alcuni luoghi artistici della città alla scoperta dei colori, delle forme e della modalità del disegno dal vero, tra cui il Museo Civico di Zoologia, il Museo Nazionale Romano Palazzo Massimo alle Terme e il Museo Orto Botanico di Roma per finire al Must - Museo di Scienze della Terra. Gli allievi durante le visite al Museo di Scienze della Terra sono rimasti ammaliati dagli elementi esposti, in particolare dalla possibilità di poter vedere minerali, gemme, meteoriti e fossili così da vicino al tal punto di poter instaurare un rapporto 1 : 1 grazie al disegno dal vero.
L’idea di costruire un progetto espositivo nel Museo nasce dal fascino riscontrato nei nostri allievi durante le sessioni di disegno dal vero. Abbiamo percepito in loro una sensibilità artistica particolare, data da una spiccata capacità di osservazione: disegnare è ragionare sulla percezione della realtà e sull’esperienza che si sta vivendo. Sarà interessante osservare i lavori realizzati per le capacità immaginative e creative che i ragazzi possiedono.
Il progetto si articola in due fasi: la prima di studio e ricerca da parte degli allievi disegnando dal vero gli elementi in mostra al museo e la seconda di rielaborazione degli sketch in studio.
L’evento espositivo che si è tenuto presso la sala Gismondi della Sapienza, si è caratterizzato come un insieme di opere scelte per esprimere una particolare visione del mondo attraverso gli occhi degli artisti. Può essere pertanto una raccolta di vari sketch, fatti in loco durante i vari incontri al museo e una selezione di opere di ogni allievo, che sono state prodotte durante gli incontri nei prossimi mesi.
La mostra si é svolta la sera del 18 maggio 2024 in occasione della “notte dei musei” fino al giorno successivo 19 maggio 2024.


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