Made in Segrate

Aprile 2015

MADEINSEGRATE Aziende, botteghe, artigiani, professionisti Un viaggio tra le eccellenze cittadine A cura di Beppe Maseri

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Cronaca

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5 dicembre 2012

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ANNIVERSARIO L’attività di foto-ottica dei due fratelli in via Gramsci compie 35 anni ed è radicatissima sul territorio

Piovani? Se li conosci torni o ti ci portano Una clientela servita con stile e professionalità «che non ci ha mai lasciato» - Quella volta che si presentò Gullit La cine-foto-ottica Piovani di via Gramsci compie quest’anno 35 anni di attività. Un traguardo di tutto rispetto in un momento di crisi che segnala nel settore artigianale-commerciale un triste elenco di chiusure. La “Piovani”, invece non presenta rughe, non dà segnali di cedimento. Radicatissima nel territorio, continua tranquillamente la sua attività grazie alla serenità e alla professionalità dei titolari, i fratelli Piovani: Antonio (60 anni, ottico specializzato che si occupa di lenti e occhiali) e Roberto (52, settore fotografia) che con molto realismo e buon senso e nonostante l’avanzare delle nuove tecnologie “sfollagente” dai negozi, hanno mantenuto intatta negli anni la numerosa clientela. Infatti “Piovani” a Segrate significa da sempre fotografia. Lo aveva saputo anche Ruud Gullit che, appena acquistato dal Milan, alla fine degli anni ‘80 andò provvisoriamente ad abitare a Milano 2 e si presentò un giorno in negozio per fare delle fototessera. Vedendolo apparire con un amico, i due fratelli Piovani si chiesero meravigliati che cosa volesse quel gigante color caffelatte con le trecce nere e la bianchissima

da, non tramontano le fototessera, specie per certe esigenze e il “recupero” di vecchie foto familiari da album ingialliti». Normale porsi la domanda: perché nell’era dei negozi super-specializzati e dei centri commerciali, i Piovani continuano la loro attività mantenendo la loro clientela? «Forse – dicono - per una questione di professionalità, di rapporti personali di serietà, di incentivi e promozioni che via via proponiamo. Constatiamo infatti che la clientela di una volta che era stanziale per comodità e fiducia è rimasta, segno forse che da noi ha trovato sempre le risposte che desiderava, specie nel campo dell’ottica. D’altra parte bisogna

Recentemente si sono aggregati Mazzarella e Mario Balestri.

I Piovani, segratesi dal 1962, rilevarono nel 1977 un negozio che era all’altezza della banca. All’epoca Segrate era un tranquillo centro agricolo di circa 25.000 abitanti, con la grande vocazione di diventare città. Cosa verificatasi con gli insediamenti residenziali di Milano Due, del Villaggio Ambrosiano e di San Felice «che hanno trasformato Segrate – osservano i Piovani – in una tranquilla città dormitorio, in un puzzle di quartieri che solo ora si stanno collegando tra loro, ma senza

Una foto di Roberto Piovani che documentò nell’inverno del 1983 l’allenamento svolto dalla Nazionale di Bearzot al campo Primo Maggio di Segrate (ora “Pastrengo”) prima della partenza da Linate per una trasferta. Per gli Azzurri si mobilitò l’intera città.

dentatura messa in mostra da un disarmante sorriso, «che assomigliava a Gullit». Era proprio lui, il fuoriclasse olandese che contribuì a fare le fortune del grande Milan di Sacchi. «La voce della sua presenza da noi fece in un baleno il giro della città- ricordano i fratelli Piovani - e in breve fuori dal negozio si scatenò la festa dei milanisti».

Ma tanti altri personaggi (sportivi, attori, presentatori, politici, scrittori, giornalisti) residenti a Segrate si sono serviti e si servono da Piovani.

convenire che non sempre il centro commerciale risponde alle esigenze del cliente che ha bisogno di essere ascoltato, consigliato e coccolato. E che, in caso di reclami, entra nel labirinto di una burocrazia insopportabile. C’è poi da dire che abbiamo sempre mantenuto buoni rapporti con le istituzioni e gli enti della città quali il Comune, la Caritas, la Misericordia, il Ceres, le Vele, D come Donna. Riteniamo che anche questo aiuti a darci una certa etichetta». Che i Piovani hanno sempre mantenuto, lustrato e meritato per il loro stile e che spiega il loro essere un punto di riferimento della città.

B.M.

un vero centro storico che già era poca cosa e che hanno un po’… maltrattato, e ora l’Amministrazione comunale cerca di recuperare, meglio identificare e costruire». I Piovani hanno seguito la trasformazione della città (nel loro archivio ci sono a questo proposito interessanti, significativi fotogrammi del suo rapido sviluppo che ha purtroppo comportato la scomparsa di vecchie cascine) radicandosi nel suo tessuto non tanto come reporter per i giornali («Per certi avvenimenti abbiamo solo collaborato volentieri con quelli locali, specie con Segrate Oggi») ma assecondando, diventando punto di riferimento degli abitanti per le loro esigenze di settore. «Credevamo –

dicono i Piovani – che l’avvento delle nuove tecnologie, specie del digitale che ha in breve trasformato tutti in fotografi con il gusto dell’immediatezza, del vedere subito, ci mandasse in crisi, invece la nostra clientela è rimasta intatta obbligandoci ovviamente ad adeguarci sempre al nuovo che avanza, anzi galoppa. Oggi, come dall’inizio della nostra attività, ci occupiamo di cerimonie religiose quali battesimi, comunioni, cresime, matrimoni e funerali; di feste, celebrazioni o eventi per conto di aziende o del Comune, di avvenimenti sportivi come quando nel 1983 venne ad allenarsi a Segrate la nazionale di Bearzot, campione del mondo in Spagna l’anno precedente, per la quale si mobilitò la città. Una volta la nostra presenza ad una corsa ciclistica fu determinante per stabilire chi aveva vinto allo sprint. Tornammo in negozio, sviluppammo subito i fotogrammi richiesti e portammo il documento alla giuria. Ora con gli strumenti elettronici che ci sono in dotazione e la tecnologia digitale, il responso è immediato». Negli anni il lavoro non è mancato, è solo cambiato. «Il digitale ha ovviamente ridotto lo sviluppo e stampa, ma ha portato la moda del… ritocco, del compilare album-ricordo con diapositive o su dischetti e i calendari di famiglia. Nonostante si possano fare anche per stra-

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16 gennaio 2013

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LE ECCELLENZE Ha dimensioni internazionali ed è in continua espansione la ditta da oltre 50 anni sul territorio

Le “Giubbe rosse” della Sice Previt

170 dipendenti (30 assunti nell’ultimo anno) - L’uomo sempre in primo piano, rispetto e collaborazione i princìpi guida Non manodopera, ma “Mano d’opera”, sì “Mano d’opera” vale a dire opera della mano dell’uomo, si intitola il bel volume che la “Sice Previt” di Segrate ha preparato per celebrare nel 2011 i cinquant’anni di attività. Una premessa significativa per introdurre e capire i princìpi cui si ispira un’azienda efficientissima, fuori dagli schemi attuali imperanti in fabbrica nel rapporto padrone-lavoratore che, purtroppo, regola gran parte delle strutture industriali d’oggi, eredità di lunghe, cieche battaglie sindacali che hanno trasformato le aziende in lager dove il dipendente-schiavo lavora con dispetto, quasi con rancore per il padrone. No, alla “Sice Previt” c’è sempre l’uomo in primo piano, il rispetto della sua dignità, dei suoi diritti. Quell’Uomo al quale l’azienda chiede altrettanto rispetto e collaborazione per portare avanti, insieme, progetti di reciproca soddisfazione.

Parlando con i titolari e visitando tutti i reparti della struttura (che si estende in via degli Alpini su un’area di circa 6.000 mq), dove il lavoro ferve con l’aiuto di impianti modernissimi, si ha la sensazione di tornare 20-30 anni a ritroso nel tempo, di vivere una favola. Una pausa che ritempra e ricarica con una botta di ottimismo e di nostalgia facendoti capire che certe cose esistono, si possono costruire se lo si vuole, se si hanno le idee

gli ultimi decenni, a causa della dogana, ha visto nascere soprattutto aziende di trasporti.

Con l’attuale amministrazione abbiamo un ottimo rapporto e la ringraziamo per quello che ci ha permesso di fare, sul piano delle infrastrutture, per agevolare anche la nostra azienda. Di fronte alle nostre richieste, precedenti amministrazioni oltre ad opporci sempre un deciso no, ci avevano anche minacciato di esproprio». A proposito di occupazione, l’ingegner Caprio è felice di rivelare che nell’ultimo anno la sua azienda (rara avis nel contesto attuale) ha fatto ben 30 assunzioni. Sì, perché nonostante il momentaccio il lavoro dell’azienda, che fattura circa 30 milioni all’anno, è in espansione «soprattutto in Francia – dice l’ingegnere -

UN’AZIENDA MODELLO Nella foto in alto, la sede in via degli Alpini, completamente rinnovata nel 2008.

Qui sopra, un momento dell’inaugurazione della sede del gruppo Alpini di Segrate-PioltelloLimito, realizzata dalla Sice-Previt sul proprio terreno. A sinistra, alcune foto degli uffici e dei reparti di produzione dell’azienda. A destra, i titolari Monica Tonini e Arturo Caprio.

chiare e soprattutto se ci sono dei principi ispiratori. Così i dipendenti nelle loro divise rosso (giubbetto) e verde (pantaloni), che incontri e ti salutano rispettosi, sembrano “garibaldini” o meglio “giubbe rosse” in… battaglia per una causa comune. Già l’impatto con l’imponente sede di via degli Alpini (una struttura di mattoni in stile inglese) e con la reception di sobria eleganza, trasmette la sensazione di efficienza e di fervore confermate dall’incontro e dalla chiacchierata con i titolari, i coniugi Monica Tonini e Arturo Caprio (lei architetto, lui ingegnere), persone cordiali e disponibili che ci spiegano la loro bella avventura, i loro progetti.

Un’avventura iniziata negli anni ‘60 nel campo dell’edilizia, sulla scia di una traccia lasciata dai nonni e dai genitori di lei, di origine trentina, la cui attività si è poi unita a quella iniziata sempre nello stesso campo da lui. “Sice Previt” sono due acronimi che stanno per “Società italiana costruzioni edili” e “Prefabbricati vermiculite italiana”. L’attività dell’azienda che lavora ed esporta in tutto il mondo (soprattutto Usa, Europa, Medio Oriente) si è un po’ modificata negli anni: lasciato il settore dei prefabbricati, si è concentrata sulle costruzioni e ristrutturazioni edili di pregio (sedi e boutique di marchi di prestigio come Trussardi, Versace, Louis Vuitton, Dolce e

Gabbana e molte altre griffe), sulla falegnameria e sulla carpenteria pesante. La filosofia di lavoro dell’azienda è: “Facciamo tutto noi e il prodotto richiesto è consegnato chiavi in mano”. «Niente esternalizzazioni – ribadisce l’ingegner Caprio, uomo pacato dalle idee chiare – con le quali si rischia sulla qualità e si incrementa magari il lavoro in nero. Preferiamo che tutto sia sotto il nostro controllo. Confidiamo nelle nostre maestranze di alto profilo professionale in ogni settore: le alleviamo, le facciamo crescere in casa. E lavorando in proprio si lavora meglio, tutto è più veloce, si riduce la burocrazia.

Noi abbiamo circa 170 dipendenti tra operai, impiegati, tec-

nici, disegnatori e architetti.

Circa 120 sono in produzione, una cinquantina negli uffici. Un altro centinaio di persone collabora con noi nell’indotto. Le selezioni del personale le facciamo noi secondo i nostri criteri, la nostra filosofia che rifiuta le prime donne e accoglie persone oneste, capaci, responsabili e in grado di lavorare in gruppo, di fare squadra. Al nostro interno non ci sono organizzazioni sindacali. I sindacati ci conoscono, sanno come lavoriamo e trattiamo i dipendenti e siamo orgogliosi di dire che non abbiamo mai avuto vertenze di nessuno genere. Rispettiamo le leggi in ogni settore, specie in quello della sicurezza e siamo lieti quando ven-

gono i controlli di routine.

Tempo fa ho licenziato un dipendente responsabile della sicurezza sul lavoro perché ci siamo accorti che non controllava a dovere». «Riteniamo – osserva la moglie Monica, donna mite, pudicamente orgogliosa dell’azienda – che i nostri dipendenti guadagnino bene e si trovino bene come è giusto che sia. Il lavoro ferve e ha ritmi sostenuti, ma c’è anche chi, come è successo recentemente con una ragazza, preferisce andare a fare la cassiera in un centro commerciale e guadagnare meno piuttosto che stare chiusa in ufficio.

Pazienza, le scelte vanno rispettate». «Noi – si intromette il marito – abbiamo bisogno di operai specializzati che, detto tra noi, guadagnano più di un architetto o di un geometra, e in questo senso siamo dispiaciuti di non venire incontro più di tanto alle proposte avanzate dall’attuale amministrazione comunale che ha istituito recentemente uno sportello di collaborazione con le aziende sul territorio, affinché segnalassero le loro esigenze per combattere la disoccupazione soprattutto giovanile. Noi abbiamo fatto presente le nostre richieste di manodopera, che però mal si conciliano con la realtà lavorativa di Segrate, ex città dormitorio di lusso, che ha una scarsa tradizione artigianale e che ne-

dove la burocrazia, contrariamente a quello che purtroppo succede in Italia, è ridotta all’osso ed è quindi più facile lavorare». La visita all’azienda dove l’Uomo ha un posto in primo piano è ultimata.

Dentro il recinto i coniugi Caprio ci mostrano la piccola sede della Associazione italiana Alpini del gruppo di SegratePioltello-Limito da loro restaurata e regalata alle “Penne nere”, un’orgogliosa tradizione della famiglia Tonini per via di nonno e papà. «Gli alpini – dice quasi commosso l’ingegnere incrociando lo sguardo della moglie – hanno sempre accompagnato e accompagnano i momenti più importanti della nostra azienda». Quasi all’uscita c’è parcheggiata su una struttura in legno una motovedetta Mp 2015 della Guardia Costiera in attesa di restauri. «L’ho acquistata tempo fa e spero di metterla a posto per realizzare il mio sogno: andare per mare. Ho già detto ai dipendenti – sorride l’ingegnere - di cominciare a preoccuparsi quando vedranno che ci metterò le mani perché nel giro di due-tre anni chiuderò…».

Ma quella motovedetta rischia di restare un monumento al sogno. La realtà, intanto, è questa azienda-gioiello di cui Segrate deve andare orgogliosa e che le istituzioni farebbero bene a difendere.

Beppe Maseri

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Attualità

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10 aprile 2013

MADEINSEGRATE

Da alcuni mesi (ora con una pagina dedicata) “Segrate Oggi” si sta occupando di attività commerciali, artigianali e industriali che abbiano alle spalle una tradizione o un’innovazione degne di essere conosciute. Siamo an-

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REDECESIO Ha 25 anni la macelleria Modica di via Abruzzi: a rischio di chiusura, ma il titolare non molla con tante iniziative

Da Aldo carne, affetto e tanta fantasia «Da boutique della carne a negozio di... prima necessità per sopravvivere; per i miei cari clienti svolgo un vero servizio sociale» Venite a vedere che cosa ci si inventa in tempo di crisi per andare avanti: mio papà ha una macelleria a Redecesio e per tenersi e incrementare i clienti si è inventato la tessera-fedeltà…”.

Detto fatto. Eccoci a Redecesio a curiosare all’indirizzo indicato. In via Abruzzi 60, al riparo dei portici ci accoglie un signore dai capelli increspati nero corvino con accenno di baffi: è il titolare Aldo Modica, 53 anni, che non tradisce le origini siciliane nemmeno nel cognome.

«Esatto – sorride accogliendoci nel suo ordinatissimo negozio che risplende di pulizia - I miei genitori sono siciliani, io sono nato lì ma all’età di tre anni la mia famiglia si è trasferita a Rovagnasco per motivi di lavoro del papà, qui sono cresciuto e 25 anni fa ho aperto questo esercizio che mi ha dato tante soddisfazioni, ma che ora, a causa di questa maledetta crisi, mi vede in difficoltà. Se la situazione non migliora sto pensando di chiudere a fine anno».

Un vero peccato. «Già perché ho sempre fatto questo mestiere con tanta passione e mi dispiacerebbe abbandonarlo. Ho iniziato come garzone all’età di 12 per la storica macelleria De Felice di Segrate dove ho imparato tutti i segreti. Dopo il servizio militare sono stato assunto all’Unes di Milano 2 come caporeparto della macelleria. Ci sono stato sei-sette anni e poi, visto che ho sempre avuto il pallino delle carni, mi sono messo

in proprio qui a Redecesio comprando il negozio». Una decisione di cui non s’è pentito. «No certamente. Lavoravo bene, c’era un bel giro. In negozio oltre a mia moglie Margherita avevo anche un dipendente. Negli ultimi due anni però con la progressiva diminuzione del lavoro ho dovuto ridurre le spese e sono rimasto solo».

Una macelleria particolare quasi in minimarket quella del signor Modica nella quale sono esposti con gusto per non “soffocare” la materia prima… anche salumi, vini, pasta, frutta, verdura e perfino detersivi. «Mi sono adeguato un po’ a tempi – sorride -: quando ha aperto l’Auchan ho introdotto i formaggi, quando ha aper-

to l’Esselunga ho cominciato a vendere anche vino e via discorrendo. Un po’ alla volta la macelleria allo scopo di trattenere e servire al meglio i miei clienti si è trasformata in un negozio di prima necessità. Se ha fun-

zionato? Certo». La necessità aguzza l’ingegno… «A me non piace vivere sugli allori o piangermi addosso cerco di darmi da fare. Alla ricerca di… strategie innovative l’anno scorso mi sono inventato la tessera-fe-

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deltà con dieci caselle in ognuna delle quali dopo ogni 30 euro di spesa appongo un timbro: completata la tessera offro 20 euro da spendere ancora nel negozio. Ha funzionato, è stata apprezzata. L’anno scorso ho completato ben 120 tessere e così quest’anno ho riaperto l’iniziativa. Insomma cerco di sopravvivere.

Per fortuna i miei clienti molti dei quali datati non mi abbandonano. Per loro cerco sempre di fare il meglio».

Sicuramente avrà instaurato un bel rapporto. «Su questo nessun dubbio. Con i clienti si è formato un bel gruppo quasi una famiglia.

C’è un rapporto di stima e di fiducia reciproca, addirittura di affetto. Ad alcuni faccio anche il servizio a domicilio gratuito aggiungendo magari qualcosa d’altro di non mio. Il pane… ad esempio. Aldo, mi dicono per favore… Ci mancherebbe… È il minimo che posso fare per chi mi ha sostenuto in questi anni. Alcuni sono anziani, alcuni sono vedovi, infermi e si muovono poco… Nel mio piccolo svolgo un servizio sociale che fa parte dei nostri doveri di negozianti».

Orizzonti molto ampi che grazie anche alla proprietà di linguaggio fanno supporre un buon titolo di studio.

«No, solo la terza media.

Ma è la passione per il mio mestiere che mi induce a leggere, ad aggiornarmi, a frequentare dei corsi. Io ai clienti suggerisco carni per determinati piatti, spiego anche le ricette per brasati,

bolliti, arrosti e tanto altro. E perfino indico le calorie. Aldo è sempre a loro disposizione!». Già perché la carne è sempre regina, qui…

«E la voglio di qualità. In rapporto qualità-prezzo sfido chiunque a Segrate dove di macellerie ne sono rimaste ancora due-tre. Qui tratto la scottona piemontese, carne pregiata e nutriente e tagli di vitelli solo italiani.

E poi ho prosciutti 5 stelle di Parma, pancetta e coppa piacentina e salami nostrani». Sentendo la passione con la quale parla del suo mestiere sarebbe davvero un peccato se dovesse chiudere.

«Non lo dica a me, ma la realtà va guardata in faccia.

Comunque, dovesse capitare andrei a lavoro sotto padrone. E senza vergogna. Di macellai specializzati c’è sempre bisogno. Io in ogni cosa cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno: dovesse capitare mi gusterei di più anche la mia famiglia e i miei nipotini che i miei figli Elena e Davide mi hanno regalato». Questo sì è saper vivere. Complimenti.

Pep Nei precedenti numeri: QB Style (27 marzo); Sabrina Cake Desing (13 marzo); La Pergola (13 febbraio); Cartoleria Mombelli (19 dicembre); Sice-Previt (16 gennaio); Foto Ottica Piovani (5 dicembre; La Lombarda (7 novembre)

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24 aprile 2013

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ECCELLENZE Da 40 anni la signora Egle Bramati gestisce col marito la “Bottega del fornaio”, il prodotto è artigianale e fatto a mano

«Tutt i nott a fà el pan, che gioia...»

«Ho cominciato a 15 anni: mia figlia appena nata è cresciuta qui dentro una cesta». Idee chiare, grinta, sensibilità e beneficenza La “Bottega del Fornaio”, panetteria di via Grandi, è il regno incontrastato della signora Egle Bramati, “solare” come garantisce il suo raro nome di origine greca entrato nella mitologia. «Me lo ha dato mia mamma – spiega - dicendomi che era il nome della morosa che mio nonno aveva quando era andato a lavorare in Germania. Deve aver lasciato tracce. Ah, questi uomini…», sorride Egle, capelli biondi mechati, donna dinamica e simpatica che mette subito l’interlocutore a proprio agio. La “Bottega del Fornaio” compie quest’anno quarant’anni di attività. Quarant’anni a Segrate perché prima i Bramati hanno avuto per anni un’altra panetteria tra Monza e Brugherio. Quindi un’antica tradizione di famiglia, nella quale la signora Egle ha tirato dentro anche suo marito Ulderico, «di origine altoatesine come dimostra il suo cognome… Gennatiempo – scandisce Egle – un terun emigrato al Nord con la valigia di cartone ai tempi del boom economico. Dileguatasi la nebbia ha visto me e io me lo sono sposato. Sono ormai 34 anni che siamo insieme e, a parte qualche lite fisiologica nel matrimonio, tutto procede per il meglio.

Abbiamo anche una figlia, Alessandra che ha 33 anni.

Otto giorni dopo averla partorita l’ho portata qui ed è cresciuta avvolta dentro una cesta del pane, al tepore del forno». Pane tradizione di famiglia, si diceva, nel senso che i Bramati il pane lo confezionano e poi lo vendono nel proprio negozio. Dal produt-

Egle Bramati nel laboratorio di via Grandi

tore al consumatore. «Il nostro pane non è industriale, è artigianale: ogni pezzo è lavorato a mano, non usiamo nessuna macchina se non ovviamente l’impastatrice e la spezzettatrice che ci garantisce i 50 grammi per ogni pezzo». Una vitaccia, quindi.

«Certo, mio marito viene qui a preparare l’impasto ogni notte all’una, io arrivo alle cinque per la parte artigiana-

le del prodotto e la cottura, circa venti minuti a ogni infornata a 320°. Anni fa arrivavo alle 8 all’apertura del negozio per la vendita perché avevamo dei lavoranti, ma da cinque-sei anni è così. Per fare questa vita ci vuole passione, tanta passione, altrimenti si molla… Io la confezione del pane ce l’ho nel sangue, mi piace vederlo impastare, lievitare e poi cuocere. Ogni

giorno mi sembra un miracolo. Il profumo del pane si espande ogni mattina nella via. I vicini dicono che con quel profumo è un bel risveglio, peccato che io non lo senta più. Il mio olfatto è assuefatto, non lo distingue più». Cinque-sei ore di lavoro ogni notte, tranne la domenica, per produrre un quintale di pane. «Sì, ma anni addietro erano anche cinque i quintali che producevamo.

Come le ho detto avevamo degli operai perché il lavoro era notevole e la distribuzio-

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ne riguardava anche supermercati, mense, scuole ecc.

E fino a un anno fa veniva in negozio a lavorare al banco anche mia mamma Luigia che ha 78 anni. Non mancava mai: per lei lavorare è vendere il pane. Ogni tanto viene ancora ed è severissima come sempre. Controlla che tutto proceda per il meglio. È lei la padrona. Ma dopo la scomparsa di mio fratello Marco, morto tempo fa in un incidente stradale a Bellaria a causa di un automobilista pirata, la mamma si è un po’ chiusa in se stessa. Come le dicevo il lavoro è diminuito con il passare degli anni perché un po’ alla volta sono cambiate le abitudini alimentari e si è cominciato a mangiare meno pane e poi perché si ci è messa di mezzo la burocrazia, le nuove norme igieniche a pretendere che il pane portato all’esterno dovesse essere impacchettato pezzo per pezzo e così abbiamo mollato la distribuzione (interna). Troppo lavoro, troppe complicazioni. Ora il rapporto è solo diretto tra noi e i nostri clienti».

Che considerata la qualità del prodotto saranno fedelissimi.

«Tanti e fedelissimi e questo è il nostro orgoglio: pensi che alcuni vengono ancora da Cernusco, Pioltello e Vignate: fanno la scorta per una settimana e lo mettono in freezer nel quale va solo il pane ben cotto». Michette e ciabatte sono i pezzi “pregiati” della Bottega, di grano duro e tenero, di segale e farina integrale. «Per ogni gusto perché il cliente va accontentato con la qualità, seconda l’antica ricetta. Nessun servizio a do-

micilio, li servo io direttamente al banco così i soldi, pochi e maledetti, li incassi subito.

E a chi non può pagare glielo regalo. Sapesse quanta gente non può permettersi al giorno d’oggi tre euro per un chilo di pane. I bambini mi prendono il cuore. Il pane non lo porto neppure ai bar perché loro fanno pagare cinque euro un panino e tirano sul prezzo di tre euro al chilo. Ennò!». Una telefonata ci fa capire che la beneficenza è tradizione di famiglia. Dai Bramati il pane non venduto non viene buttato, viene di volta in volta indirizzato a certe istituzioni: al Ceres, alle Vele, alla parrocchia, alle suore del Villaggio. «Fino a qualche tempo fa – dice Egle – ospitavamo alla mattina le scolaresche che venivano a vedere come si confezionava il pane: i bambini erano curiosi, incantati. Era bello vederli.

Ora non viene più nessuno a vedere come si fa il pane, il cibo, con il latte, più essenziale e noto della terra». Peccato perché il pane. esaltato anche nella Bibbia è vita ed è davvero un dono di Dio. Pep Nei precedenti numeri: Macelleria Modica (10 aprile); QB Style (27 marzo); Sabrina Cake Desing (13 marzo); La Pergola (13 febbraio); Cartoleria Mombelli (19 dicembre); SicePrevit (16 gennaio); Foto Ottica Piovani (5 dicembre; La Lombarda (7 novembre)

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22 maggio 2013

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ECCELLENZE L’Aframa, azienda segratese, sta invadendo il mercato dopo aver brevettato una composizione inodore biodegradabile

Eco-lettiera, felici micio e... padrone

”Green cat” è una cassettina vegetale composta di cereali anzichè di minerali che rispetta l’ambiente con grande risparmio sulla differenziata Caro micio “Fai… tranquillo” e per voi padroni, appassionati dei gatti più nessun problema, basta imbarazzi per certi odori in casa. Per tutti voi ecco la “lettiera ecologica” la Green Cat che elimina tutto e si elimina senza problemi gettandola nel water con grandi benefici per l’ambiente e la comunità. Un prodotto che sta invadendo anche l’Italia dopo aver sfondato sul mercato internazionale. L’invenzione, il brevetto è di un’azienda segratese, l’Alframa srl che ha il capannone in via Kennedy di cui sono titolari Ferdinando Ardemagni, 59 anni, e la moglie Luigina Formigoni. Alframa è l’acronimo di Albina, Francesco e Mario, tre soci che nel 2001 avevano fondato ad Albizzate un’azienda che si occupava di macchine per stampa e che ad un certo punto avevano avuto l’idea di costruire lettiere vegetali per gatti che però non riuscivano ad industrializzare. “Ad un certo punto – spiega il signor Ardemagni, capelli e baffi sale e pepe, persona pacata e buon comunicatore, da far frequentare a certi insegnanti per la chiarezza dell’esposizione – questi soci hanno conosciuto me che avendo lavorato per tanti anni al Molino Bianchetti di Lambrate mi sono sempre occupato di mangimi per cani e gatti e che avevo le conoscenze tecniche per mettere a punto il prodotto. Nel 2003 mi sono messo in società con loro e nel 2005 ho rilevato tutte le quote della società spostandomi a Milano in via Moran-

di”. E così è iniziata l’avventura della lettiera vegetale che andava a sostituire quella abituale a base di minerali. “Pensi – ci documenta l’Ardemagni – che in Italia si producono circa 360 mila tonnellate di lettiere per gatti, l’equivalente di 18.000 Tir che essendo di origine minerale non si possono smaltire, finiscono nei sacchi neri della spazzatura perché ma-

teriale indivisibile che poi viene portato negli inceneritori. Solo che questo materiale essendo minerale non brucia, diventa cenere che viene sotterrata con degli escavatori perché contaminata e quindi tossica. Un costo per la comunità di 211 euro a tonnellata che moltiplicate per le 360 mila impiegate fanno 70 milioni di euro annue a carico sempre

della comunità anche di chi non ha gatti. Bisogna poi pensare che 360 mila tonnellate di minerale equivalgono a demolizioni di montagne e all’inquinamento per il loro trasporto”. Cifre impressionanti e problemi da non sottovalutare che il brevetto messo a punto da Ardemagni ha risolto mettendosi in un grande business. “Così – spiega il signor Ferdinando

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- con l’aiuto di un veterinario e le sue conoscenze scientifiche ho messo a punto questo prodotto ecologico inventando una lettiera di cereali che non desse problemi. Ho stipulato un accordo con il consorzio agrario di Cremona che produce due milioni e mezzo di quintali all’anno di mangimi che arrivano da Ravenna a Porto Canale trasportate dalle chiatte sul Po (altro particolare ecologico, ndr) e con gli scarti della lavorazione di cereale non edibile, vale a dire che non si mangia e altri ingredienti ho messo a punto questo prodotto che lo fa diventare come un croccantino che assorbe molto, non lascia odori e che poi esaurita la sua funzione, si scioglie automaticamente nell’acqua e quindi si può buttare tranquillamente, senza problemi, nel water”. Non male.

Un’idea geniale nella sua semplicità e quindi da proteggere con dei brevetti. Ben tre: “Uno sulla procedura – spiega Ardemagni - uno sulla composizione, un altro sugli ingredienti in quanto ci sono dentro cinque lieviti che l’eliminano quel fastidio odore di ammoniaca che emana l’urina dei gatti. E’ nata così una lettiera per gatti certificata subito a livello internazionale che si può buttare nel composto e in regola per l’esportazione”. E all’esportazione ha subito mirato l’Alframa che nel frattempo ha aperto anche il deposito-compostazione di via Kennedy a Segrate. “Siamo partiti un anno fa dall’Inghilterra, da un mese siamo

in Francia e richieste del prodotto ci stanno arrivando dalla Germania, dalla Spagna, da Israele e anche da Taiwan, forse per copiarci”. E il mercato italiano? “Negli ipermercati quale il Gigante, Ipercoop, Carrefour, Esselunga, Auchan. Richieste stanno arrivando anche dagli oltre 4000 negozi specializzati italiani dove siamo presenti con marchi diversi.

Al prodotto si stanno interessando anche i comuni, il primo è stato Venezia, che stanno tentando per legge di portare la raccolta differenziata al 60%. Pensi che lettiere per gatti rappresentano attualmente il 5,5% della raccolta. Col nostro prodotto si ridurrebbe”. E si ridurrebbe anche il costo delle famiglie che hanno gatti in casa. “Le nostre lettiere del peso di 2,5 kg durano un mese, quelle minerali una settimana. Le nostre costano 5,90 euro al sacchetto, quelle minerali 2 euro”. Il calcolo del risparmio è subito fatto. Con l’aggiunta di un bel sorriso dell’ambiente.

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19 giugno 2013

MADEINSEGRATE

Da alcuni mesi “Segrate Oggi” si sta occupando di attività commerciali, artigianali e industriali che abbiano alle spalle una tradizione o un’innovazione degne di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica

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ECCELLENZE Solo prodotti artigianali nella pasticceria di via 25 Aprile da 44 anni gestita dal signor Italo e dalla moglie Simona

È Ilàri a catturare i golosi più... raffinati «Una tradizione di famiglia, mio padre inventò il dolce di Segrate» - Qualità (frittelle e cannoncini) e innovazione premiati dalla clientela L’ordine, il buon gusto nell’esposizione dei prodotti multicolori che si intravvedono al banco, la pulizia, ma soprattutto i profumi di cioccolato, vaniglia e brioches che ti avvolgono e seducono all’esterno e specie al mattino ti invitano a entrare.

La tappa pericolosa per i segratesi golosi di dolci è da 44 anni la pasticceria Ilàri (accento sulla a, prego) sotto i portici di via 25 Aprile, quasi di fronte al nuovo Centro Civico Verdi. «Qui abbiamo piantato le tende nel 1969 e qui siamo rimasti», dice orgoglioso il titolare Gionata Italo Ilari, 42 anni, vale a dire due anni prima della sua nascita. «È stato mio padre Pietro ad aprire il negozio.

Prima era dipendente di una pasticceria a Milano e dal 1969 si è messo in proprio qui visto e considerato che siamo segratesi». Un’azienda quindi frutto di una tradizione e di una passione di famiglia. «Da bambino – ricorda il signor Italo, persona asciutta, di poche parole, ma molto disponibile e rispettoso - ero conosciuto e corteggiato dai miei coetanei perché ero il figlio del pasticcere. Giocavo a pallone e andavo a scuola sempre con un seguito di amici che si offrivano perfino di portarmi la cartella perché sapevano che di tanto in tanto tiravo fuori qualcosa di buono anche per loro. Sono cresciuto quindi tra impasti, dolci e il fascino della creatività di questo mestiere che mi ha trasmesso mio padre, che vent’anni fa ha inventato e brevettato il famoso dolce di Segrate per

In alto, da sinistra, la storica commessa Daniela Pirovano, Simona Malavasi e il titolare Italo Ilàri immortalati nel laboratorio della pasticceria di via 25 Aprile (qui a fianco le vetrine del negozio) davanti al “Dolce di Segrate” brevettato dal padre di Ilàri il quale è stato premiato con “L’ape d’oro”». Una volta tornato da militare il signor Italo si è automaticamente inserito nell’azienda di famiglia che da oltre vent’anni sta portando avanti con la moglie Simona Malavasi, di origine mantovane, donna dolce e schiva, che le ha dato due figli Matteo (6 anni) e Alessio (8) (le cui iniziali sono indicati come stelline nel

logo del negozio) e la timidissima commessa Daniela Pirovano, da ben 29 anni signora e padrona del banco.

Una bella avventura quella di Ilari che ha sempre richiesto passione, dedizione ed inventiva premiate dalla clientela. «La più bella soddisfazione – dice – è vedere i clienti entrare, tornare e chiedere. Se questo viene confermato nel tempo è segno che

sono soddisfatti della qualità dei dolci che produco personalmente: dalle brioche, alle torte, dai pasticcini, alle colombe e ai panettoni. Prodotti artigianali che pretendono cure, attenzione e aggiornamenti con il confronto con i nostri clienti e i miei colleghi». In questi 44 anni i prodotti si sono adeguati alle esigenze e a i gusti dei tempi.

«Ai tempi di mio padre Se-

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grate era ancora un paesotto e allora andava di moda la pasta fresca e la frolla. Mano a mano, con il boom economico, sono diventati di moda i prodotti di pasticceria sempre più raffinata. Ora andiamo avanti su questa linea: sono cresciute la gamma e la qualità che trovano riscontro tra i clienti. E onestamente le soddisfazioni non mancano. Quali sono i miei prodotti più ricercati e che io consiglierei? Beh prima di tutto i cannoncini alla crema divorati ogni giorno da bambini e adulti, poi il panettone, il dolce di Segrate inventato da mio padre, una torta a base di farina di segale che ha dato il nome a Segrate nota ai tempi per la coltivazione della segale, un dolce asciutto, non cremoso, da gustare con lo spumante e infine, quando è il momento, le chiacchiere al forno, non fritte, leggere e molto croccanti.

Ma sono qui per esaudire ogni richiesta nel limite del possibile…», sorride il signor Italo. Le giornate di lavoro sono intense ed impegnative. «Si comincia quasi all’alba e si prosegue per 10-12 ore: al mattino si inizia con la pasticceria fresca da banco, quella di giornata, poi si prosegue con le lavorazioni programmate vale a dire meringate, crostate, brioche. Nel pomeriggio ci si dedica alle richieste dei privati. Un ciclo continuo che comprende la provvigione e il controllo della freschezza delle materie prime e la loro conservazione per non incorrere in spiacevoli incidenti di percorso. Igiene e pulizia sono

inderogabili e ritengo giusto il rigore dei controlli dell’Asl». Chissà il lavoro in occasione delle del Natale, della Pasqua e delle altre ricorrenze. «Certo è notevole e va anche questo programmato: confezionare panettoni e colombe prevedendo le esigenze non è semplice. In quei periodi si sta in laboratorio molto di più, però poi è gratificante sentire i complimenti dei clienti. La qualità vince su tutto e vale la pena investirci». E magari aiuta anche a sopravvivere alla crisi.

«In un certo senso sì. Vede, il lavoro negli ultimi anni è sicuramente diminuito perché tante aziende sono in difficoltà e quindi come del resto anche enti e famiglie non ricorrono più ai tradizionali rinfreschi, ai buffet ai quali eravamo chiamati. E noi non forniamo bar o ristoranti, tranne uno. La nostra filiera era e resta dal produttore al consumatore qui in negozio».

Segrate lo sa e conferma la fiducia alla qualità.

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3 luglio 2013

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ECCELLENZE Il tempo sembra essersi fermato nel negozio di ferramenta aperto 49 anni fa dal signor Carlo in via Conte Suardi

Besia ha avvitato la storia di Segrate

“Qui era aperta campagna... Mettermi in proprio è stata sempre la mia fissazione. Uno splendido rapporto con i clienti, vengono anche da Milano” Seduto nel retrobottega appoggiato a un rudimentale bastone (un “ornamento” più che un’utilità) il signor Carlo Besia, 85 anni appena compiuti e ottimamente portati, corporatura massiccia, la folta capigliatura bianca ben pettinata, sembra un patriarca.

«Quando nel 1964 ho messo in piedi questo negozio di ferramenta la via Conte Suardi manco esisteva – spiega il signor Carlo – sembrava un sentiero nella campagna, c’erano sassi, tanta polvere.

Guardando là in fondo verso Tregarezzo si vedevano i treni passare. Adesso l’orizzonte è chiuso da palazzi e cemento. Il paese è diventato una città. Qui, dove con le mie mani e l’aiuto di alcuni amici ho costruito questa palazzina dove abito e ho incorporato il negozio, c’era un orto. Era di mio padre e quando gli ho spiegato il mio progetto mi ha chiesto subito se fossi matto… Alla lunga però e per mia fortuna ha ceduto alle mie insistenze». Il signor Besia all’inizio mica voleva metter su un negozio di ferramenta, voleva solo “mettersi in proprio” ,come si dice, e soprattutto si sognava a quei tempi, ai tempi del boom economico. «Ho sempre avuto questa fissa – spiega Carlo coccolato dalla presenza della moglie Giuseppina, donna dolce, sorridente e premurosa, visibilmente orgogliosa del marito – Insomma volevo un negozio.

Un’idea che avevo fin da quando a 17 anni ho iniziato a fare il tramviere a Milano e durante il servizio militare.

Nel 1955 mi sono sposato, ho continuato a fare il tramviere

Carlo Besia con il figlio Roberto dietro al bancone del negozio. Sotto, le storiche vetrine della ferramenta di via Conte Suardi

e nel frattempo ho iniziato a dar corpo al negozio che inizialmente era di mobili ma che piano piano, praticamente dal 1960 ho trasformato in ferramenta e casalinghi». E in poco tempo l’attività ha cominciato a dare soddisfazioni. «Abbastanza, tanto che nel 1964 ho salutato l’ATM e forse preso un po’ dalla megalomania – sorride – ho aperto anche un negozio di mobili

un po’ più avanti di qui dove ora c’è la Posta e dove ho piazzato mia moglie, negozio che però ho chiuso dopo una decina d’anni perché con due attività non ce la facevamo più. Era una vita da cani…».

E allora avanti tutta con il ferramenta. «Certo, solo con quello, impegnandomi in un settore che mi è sempre piaciuto: chiodi, viti, bulloni, martelli, pinze, cacciaviti, cin-

ghie, pompe sono entrati nel mio mondo da quando papà Luigi faceva il manovale alla Provincia e usava quegli attrezzi manuali». Così col suo negozio ha accompagnato la crescita, lo sviluppo di Segrate. «Proprio così, anche se a me piaceva di più il panorama rurale e l’atmosfera da paese dove tutti ci si conosceva e salutava e si scambiava qualche battuta e dove ancora si poteva far credito senza problemi. Adesso, invece, bisogna stare attenti a tutto, non ci si fida di nessuno. E non è un bel vivere…», argomenta quasi sconsolato il signor Carlo appoggiandosi a due mani

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sul bastone. «Se non va bene domani vieni qui e lo cambiamo, qual è il problema?», sentiamo dire dal bancone del negozio. È Roberto, uno dei figli di Carlo (l’altra è Pinuccia che non è in azienda) che ha congedato nella solita maniera confidenziale un vecchio cliente. «Qui si usa ancora così – dice Roberto, un omone ben strutturato al quale i genitori hanno lasciato la responsabilità dell’azienda alcuni anni fa – I nostri clienti li conosciamo quasi tutti, da tempo. C’è un rapporto reciproco di stima e fiducia. Non ci siamo mai sognati di fregare nessuno, ci abbiamo sempre messo la faccia. È così che mi piace lavorare. Speriamo che duri. Abbiamo clienti che vengono un po’ dovunque dall’area Martesana e anche da Milano». Da Milano? Eppure la metropoli non difetta di ferramenta. «No di certo, ma sono clienti acquisiti un po’ alla volta negli anni. Forse è dovuto al fatto che noi siamo sempre aperti anche ad agosto e in quel periodo le emergenze non mancano e noi le soddisfiamo. E soddisfacendole…». «Certo – interviene il signor Carlo – anch’io, anzi noi eravamo sempre aperti anche la domenica fino a mezzogiorno quando altri andavano a divertirsi. Dopo la messa i clienti venivano a prendere quello di cui avevano bisogno o si erano dimenticati di prendere durante la settimana occupata dal lavoro». «E io da bambino ero sempre seduto vicino alla cassa perché mi piaceva vedere cosa facevano... – sorride Roberto – Da allora è nata la mia

passione per il negozio e questo settore». Oltre al lavoro che adora, e la soddisfazione di muoversi impeccabile e quasi alla cieca tra scaffali e cassettoni dove sono riposti circa 10.000 prodotti, è soprattutto il rapporto confidenziale con i clienti quello che più piace a Roberto. «La soddisfazione più grande – dice – sono i saluti dei clienti quando vado in giro per Segrate». È così che Besia, questo ferramenta... artigianale è diventato un marchio di Segrate e dintorni. «Un marchio? – si guardano stupiti il signor Carlo, la signora Giuseppina e il figlio Roberto – Non ci abbiamo mai pensato». «La mia più grande soddisfazione - aggiunge il signor Carlo orgoglioso di aver onorato la sua missione di padre - è aver garantito un lavoro a mio figlio».

Quasi dispiace uscire dalla quieta, rilassante penombra del negozio dove si respirano ancora boccate di sana aria antica. Di una vita a misura d’uomo che fa star bene l’uomo.

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17 luglio 2013

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TRADIZIONE Compirà 50 anni l’anno prossimo (“Ubriacheremo tutta Segrate”) il negozio di vini aperto dalla famiglia marchigiana

Da Tarsi bevi ma non dimentichi. Torni...

Armando e il figlio Valerio tengono viva la tradizione del vino sfuso - “Abbiamo qui le radici, ci conoscono tutti”“La crisi? Ci salva il... prodotto” Una goduria nella calura di questo periodo scendere i pochi scalini e trovarsi all’improvviso in via Conte Suardi 60 nella fresca cantina-negozio “Tarsi”, tra quell’ordinata esposizione tra gli scaffali di vini di ogni marca e tipo. La voglia immediata è quella di un buon bicchiere di vino bianco ristoratore che il signor Armando Tarsi ti offrirebbe all’istante, ma non può perché non ha la licenza di mescita.

Il suo negozio, infatti, non è un’osteria. Al massimo il signor Armando ti porta a sinistra degli scaffali nel magazzino a riempirti una bottiglia di buon vino sfuso che fa scendere con una pompamanopola da una damigiana. Brava e bella gente i Tarsi, non per niente di origini marchigiane. Il signor Armando, 69 anni, uomo magro, schivo e gentile, ha aperto qui questo negozio nel 1964, sulla scia del padre Guido venuto con coraggio a Segrate dalle Marche alla fine degli anni Cinquanta (gli anni del boom economico) per far conoscere e vendere i vini verdicchio e sangiovese di sua produzione, che hanno fatto subito tanti proseliti. All’inizio il signor Guido portava la fornitura nella cantina della sua abitazione in via Roma e faceva vendita al dettaglio.

Mano a mano a Segrate sono arrivati anche il figlio, appunto il signor Armando, i fratelli e via discorrendo, fino ad arrivare alla scelta di togliersi dal caos provocato in via Roma per aprire il negozio attuale. Negozio so-

Qui sopra, da sinistra, Valerio Tarsi insieme con il papà Armando, che ha aperto nel 1964 il negozio-cantina di via Conte Suardi 60

pra al quale c’è anche l’abitazione del signor Armando nel frattempo sposatosi con Rosa Fichera con la quale ha avuto due figli: Fulvio, 40 anni e Valerio, 34, al qua-

le poco tempo fa il padre ha intestato l’azienda che ora conduce con polso fermo forte dell’esperienza accumulata per anni al fianco del padre. «Il negozio va, siamo

contenti – dice infatti Valerio, un simpatico morettino molto sveglio – a Segrate ormai abbiamo messo le radici, ci conoscono tutti. La nostra fortuna è che non ci sono in giro molti rivenditori di vino sfuso. Invece qui uno può venire con le proprie bottiglie, oppure gliele forniamo noi con tappo automatico, per comperare il vino che più gli piace. Sulla genuinità del prodotto garantiamo noi, sappiamo da dove arriva e ci mettiamo sempre la faccia». Ma è accontentato con prodotti etichettati di alta qualità anche chi magari vuole “fare bella

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figura” per una cena o per un regalo. E oltre al vino Tarsi fornisce, con servizio gratuito a domicilio, anche acqua minerale, bibite, birre.

Un bel movimento documentato dai circa 30.000 litri di vino venduti all’anno con forniture ogni 15 giorni. «L’anno prossimo – dice Valerio che ha il piglio dell’imprenditore – festeggeremo i 50 anni di attività: per l’occasione vogliamo ubriacare tutta Segrate. Sarà una bella festa di gratitudine alla città e di riconoscenza ai nostri clienti, molti fedelissimi da tanti anni che provengono dai comuni vicini, dall’area Martesana e anche da Milano».

Per i vini marchigiani (Verdicchio e Sangiovese) da Tarsi si va, si sarà capito, sul sicuro, ma anche per quelli di altre provenienze si può stare più che tranquilli. «Teniamo – precisa Valerio soprattutto prodotti piemontesi vale a dire Barbera, Nebbiolo, Dolcetto e del Veneto cioè Cabernet, Merlot, Raboso, Refosco, Chardonnay, Pinot, Riesling. In bottiglia c’è ovviamente anche qualche prestigioso vino toscano. Il prezzo delle bottiglie varia da 7 a… 50 euro.

Ma come le ho detto è il buon vino sfuso che ci dà le maggiori soddisfazioni. Vino sfuso in bottiglia, ma anche in damigianette da 5 litri».

Come è cambiato il gusto della gente in questo mezzo secolo? «Fino a circa 20 anni fa andavano per la maggiore i vini corposi, ora i ve-

neti più leggeri e fruttati che sono anche quelli preferiti dalle donne entrate di prepotenza in questo mercato».

E come va con la categoria degli… intenditori? «Ce ne sono tanti e crescono, nessun dubbio. C’è però anche anche chi finge di intendersene, che va incontro ad imbarazzanti figure, che magari scambia il vino fermo per quello frizzante… Piccoli peccati di crescita». Di solito nei negozi di vino si ricorre a dei motti spiritosi, lei, signor Valerio, a quali si ispira? «Non è il vino a farti star male, ma il risveglio…. Oppure: la vita è troppo corta per bere vino scadente… Ma anche : l’acqua fa male, il vino fa cantare». Tarsi avverte la crisi?

«Non si può dire che non si senta, ma forse è il… prodotto che ci salva». E se, come si dice, la gente beve per dimenticare, probabilmente qualche volta viene qui da Tarsi a fare un pieno di ottimismo...

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Attualità 11 settembre 2013

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ECCELLENZE Orologiaio da sempre, il signor Pezzi da 27 anni lavora con il figlio Massimo nel “Laboratorio” artigianale di via Grandi

Sergio, l’esperto chirurgo degli orologi Una passione trasmessagli dal nonno e dal padre - Ripara e fa “rivivere” qualsiasi cronografo di ogni tipo e marca - «C’è un revival dell’antico» Orologiaio? Manco per scherzo. «Non vendo orologi, li riparo…», precisa guardandoci sottecchi aldilà del bancone il signor Sergio Pezzi. Il suo è un “laboratorio orologeria”, come indica la dizione ufficiale nel biglietto da visita commerciale. Giusto, perché il signor Pezzi è un artigiano, il “meccanico” dell’orologio e si capisce subito parlandogli che tiene a questa precisazione. Lo sorprendiamo un pomeriggio nel suo laboratorio in via Grandi 18, nella “zona artigianale” di Segrate sorta attorno a via Conte Suardi negli anni ‘60-‘70 quando la città cominciava a espandersi rinunciando un po’ alla volta alla sua vocazione agricola per diventare città. Il suo bancone, sul quale è concentrato con un monocolo a scoprire le magagne di un orologio, sembra un piccolo bazar affollato di microscopici pezzi ed attrezzi che a utilizzarli porterebbero all’isteria una persona normale.

Dal 1986, quindi da 27 anni, il signor Sergio, 69 anni, che sembra il sosia di Otello (il simpatico brontolone protagonista di “Un posto al sole”) lavora qui. «Sono originario di La Spezia – racconta - da bambino mi sono trasferito a Milano e dopo pochi anni ho piantato le tende a Segrate sulla Cassanese aprendo poi questo laboratorio». Subito spiegata la passione per gli orologi. «Colpa – sorride – di mio nonno Donato, morto quando io avevo quattro anni, che lavorava al compartimento sperimentale dell’Arsenale militare di La Spezia. La sua passione per gli orologi l’ha trasmessa a mio padre Angelo

Qui sopra, il signor Sergio Pezzi al lavoro nel laboratorio di via Grandi. Sotto, insieme con il figlio Massimo

diventato appunto orologiaio e poi ha contagiato me. Sulla mia scia c’è ora mio figlio Massimo che lavora con me e al quale tempo fa ho intestato l’azienda». Massimo, presente in laboratorio, è un bel ragazzone dagli occhi bleu, due… fanali che colpiscono.

Assomiglierà alla mamma, deduciamo noi considerato che quelli del padre sono marrone. «Esatto, proprio a mia moglie Elena che è slovacca».

Appunto. Ok la tradizione di

famiglia, osserviamo noi, però poi per continuare su questo solco artigianale serve anche la passione per sopravvivere in questi anni in cui tecnologie, macchinari e industrie hanno spazzato via la paziente manualità. «Concordo...», dice il signor Sergio, dalle mani tozze e robuste che apparentemente poco si conciliano con il suo lavoro che farebbero pensare alla necessità di mani affusolate, da pianista. Invece la forza di quel-

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le mani serve a manovrare meglio, con grande sicurezza i minuscoli attrezzi del mestiere. Un colpo e via… «In questo mondo nel quale servono rigore e pazienza certosina sono entrato appunto da bambino. Rimanevo incantato nel laboratorio di mio padre che ogni tanto mi mandava a prendere dei pezzi di ricambi. Un po’ alla volta alla scuola di papà, che è sempre la migliore di tutte, ho imparato il mestiere, i suoi segreti e mi sono appassionato. E così finite le scuole, quando si trattava di trovarsi un lavoro, ho scelto questo che conoscevo preferendo restare in proprio piuttosto che andare sotto padrone. E a 17 anni, final-

Federico Viganò

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mente, ho compiuto l’impresa di riparare da solo un orologio che mio padre mi aveva affidato. Una gran bella soddisfazione dopo momenti di ansia…». La soddisfazione che il signor Sergio deve aver provato anche quando ha portato a termine quello strano orologio che tiene al polso «È un… Landor - butta là mostrandocelo - un nome che gli ho dato io dopo averlo messo insieme con pezzi non utilizzati in laboratorio. Un valore inestimabile…», sorride.

Le doti che deve avere un orologiaio sono intuibili. «Calma, pazienza, testa… vale a dire attenzione ai particolari altrimenti rischi di complicarti la vita. Stare qui concentrati per sette-otto ore al giorno tra chiavette, mollette, cacciavitini, pinzette e aggeggi che misurano un millesimo di millimetro non è facile. A volte ti dà di volta il cervello. Per vedere e catturare tutto al meglio, anche i… sospiri, si sta con il monocolo fisso negli occhi. E alla lunga si compromette un po’ la vista». Nel laboratorio di Pezzi si ripara tutto quanto serve alla misurazione del tempo. «Orologi da polso di ogni marca e tipo, a carica automatica e manuale, poi sveglie, pendole, cucù e chi più ne ha più ne metta.

Con l’esperienza che ho maturato non ho nessun problema. I meccanismi cambiano da orologio a orologio, ma il principio è sempre lo stesso... i clienti, i miei clienti che servo da anni e che vengono da tutta l’area Martesana, Milano compresa, mi portano spesso dei “reperti” che mi diverto a studiare. E da noi i preventivi sono gratis. Se uno poi ac-

cetta la riparazione ok, altrimenti nessun problema, amici come prima». Una curiosità signor Sergio: quanto può durare un orologio? «Anche 70-80 anni però serve un intervento di revisione ogni 78 anni perché polvere e ruggine possono rovinarli». C’è una moda anche per gli orologi? «Certo però alla lunga vincono sempre gli orologi tradizionali. Ora c’è un revival in questo senso: sapesse quanta gente vuole riportare in… vita per questioni affettive orologi di 30-40 anni fa che appartenevano magari ai nonni, ai genitori, a un caro amico. Piuttosto c’è da dire che una volta l’orologio aveva un’utilità, serviva a guardare l’ora, con l’avvento di telefonino e diavolerie connesse l’orologio è invece diventato più che altro un gioiello. Soprattutto per le donne, ovviamente. Gli uomini invece vogliono impressionare… anche se a guardar bene c’è da rilevare che per l’uomo l’orologio è l’unico gioiello». Il tempo non s‘è mai fermato dal signor Pezzi.

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25 settembre 2013

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ECCELLENZE Da 47 anni il signor Luigi, originario di Lodi ma segratese d’adozione, ripara apparecchi elettronici in via De Amicis 12

Per Casletti i televisori non han segreti «Era un hobby infantile che è diventato lavoro» - «Serve tanta pazienza, però alla lunga la vinco sempre io. Ma bisogna aggiornarsi sempre» Via De Amicis 12: uno scatolone color amaranto con la scritta “Tv-Radio-Hi-FiTelecamere-Videoregistratori-Installazioni Antenne Tv-Sat”. Dall’interno sottofondo di musichette e chiacchiericci. Entri e tra una selva di televisori collocati qua e là ti dà il benvenuto un “din-don” quasi intimidatorio, che ti mette sul “chi va là?”. «Vieni avanti, ti vedo…», dice una voce proveniente dall’altro locale a sinistra, oltre la tendina di ciniglia. Ad accoglierti, cordialissimo, nascosto dietro il grande schermo di un televisore che sta riparando è Luigi Casletti, in camice bianco, baffi e barbetta sale-pepe e occhiali sul naso che gli conferiscono un’aria professionale in atmosfera spaziale Nasa. Luigi, 67 anni, pensionato artigiano, è il fondatore del laboratorio di riparazione di apparecchi elettronici la cui titolarità è passata qualche anno fa al figlio Cristian, che lavora con lui occupandosi di computer e di installazioni di antenne. Lui, il signor Luigi, da 47 anni si “diverte” a riparare televisori. Aveva iniziato dalla preistoria di questi apparecchi «che allora avevano le valvole e i tubi catodici e duravano una vita mentre quelli di adesso durano meno, molto meno, anche se hanno altri pregi». L’elettronica, una tradizione di famiglia? «Assolutamente no, solo una mia passione, un hobby diventato poi un lavoro», spiega il signor Luigi, originario di Lodi e figlio di Annibale, un trovatello adottato dal nonno Giacomo Barboglio all’orfanotrofio Casletti (da lì il suo cognome) ma trasferitosi a Segrate all’età di

6 anni. «Ho cominciato per caso all’età di 12 anni: un giorno ho trovato una vecchia radio abbandonata e con cocciutaggine e molta pazienza l’ho fatta funzionare. Una soddisfazione enorme che mi ha dato entusiasmo e mi ha indicato la via da seguire. Smontare e montare radio è sempre stata la mia passione e a essa mi sono dedicato frequentando anche scuole specializzate e ottenendo

due diplomi: il primo sulle tv in bianconero e poi su quelle a colori ed elettroniche. Questa è un’attività che richiede aggiornamenti continui, bisogna andare al passo con i tempi altrimenti sei tagliato fuori. Avevo 22 anni quando ho aperto il mio primo laboratorio sulla Cassanese al 142, quindi mi sono trasferito a Lavanderie con un negozio di elettrodomestici, ma quando hanno aperto la “Città Merca-

In alto, Luigi Casletti mentre “visita” un televisore guasto. A sinistra, una foto del laboratorio e a destra lʼ “artigianale” insegna del negozio di via De Amicis, sede dellʼattività del signor Casletti dal 2001 (prima è stato in via Cassanese e poi in via Roma).

to” che non mi ha reso più concorrenziale sui prezzi, ho ripiegato ancora nel laboratorio di riparazioni in via Roma e 13 anni fa ho messo le tende qui». Quando ormai era diventato un “nome” nel settore e aveva una vasta clientela. «È il passaparola dei clienti la nostra garanzia: dicevano che ero bravo, onesto, cordiale e sempre disponibile.

In città avevano anche coniato uno slogan pubblicitario che mi faceva piacere diceva: “da Casletti tv perfetti”… Un’esagerazione forse, ma sulla professionalità e disponibilità non si sbagliavano. Il giro di clienti è sempre stato abbastanza ampio. Il miei preventivi sono gratis: illustro il danno, la spesa per riparare e poi decide il cliente che spesso è quello che, per risparmiare, ha acquistato l’apparecchio in un grande centro commerciale, ma poi non ha assistenza. E i più in difficoltà sono gli anziani che non capiscono certi meccanismi e come, dove mettere le mani». Riparare, far rivivere ciò che è spento o “morto”, questa la missione del signor Luigi. E chissà quanta pazienza. «Ce ne vuole tanta, specie in certe situazioni. Capita spesso che tu ti arrovelli su un apparecchio che, dopo mille tentativi e soluzioni diverse, non vuole dare segni di vita. Bene, l'esperienza mi dice che è il momento di lasciare perdere perché magari lo stress ti ha fatto perdere lucidità e di tornare all'attacco il giorno dopo. E quasi sempre il... miracolo avviene. E in quel caso è tanta la soddisfazione, che io e il mio collega Corrado che lavora con me

andiamo a festeggiare bevendoci un caffè». Il laboratorio zeppo di apparecchi sembra un cimitero. «Apparentemente è così, ma i... morti rivivranno - sorride Luigi - Sono qui fiduciosi nelle nostre mani in attesa della resurrezione. Alcuni andranno sotto in magazzino. Alcuni di questi apparecchi riparati vengono dimenticati dai clienti e così dopo i mesi di mora previsti dalla legge e gli opportuni avvertimenti ai clienti, diventano di mia proprietà.

E io posso rivenderli a prezzi interessanti. In media i clienti ne dimenticano una decina all'anno. Il cliente, ovviamente, non si è dimenticato dell'apparecchio, ma, per vari motivi preferisce perderlo...». C'è una stagione delle riparazioni, un periodo dell'anno in cui i televisori si guastano di più?

«Certo. In genere succede nel periodo umido e freddo.

Certi meccanismi ne risentono e fanno i capricci. Il periodo va da ottobre a febbraio-marzo» Così, come un cacciatore, anche il signor Luigi è ormai in attesa della... preda.

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TRADIZIONE Da 47 anni la signora Battistina, prima col marito, ora col figlio Carlo e la nuora Maria Rosa, gestisce l’attività in via Cellini

Tabaccheria Parati, la prima di Segrate La sede iniziale in via Roma 4: «Un ambiente familiare con cucina, gioco delle bocce, frequentato da pensionati e camionisti. Ma quante rapine!»

La tabaccheria numero 1, vale a dire la prima a ottenere la licenza di questo tipo a Segrate? La “Eredi Parati” di via Turati 4, però con ingresso all'angolo di via Cellini.

Risale al 1967, 46 anni fa, quando Segrate era ancora un centro di appena 8-10.000 abitanti e aspirava a trasformarsi da centro agricolo a città. Il defunto Giuseppe Parati che allora lavorava all'aeroporto di Linate aveva fortemente voluto (una sua passione) aprire un bar-trattoria in quella palazzina incastonata là in fondo in una macchia verde, ora incolta e abbandonata, di via Roma 4.

Un vecchio cancello arrugginito custodisce tanti ricordi e ricorda ancora agli anziani i magnifici anni trascorsi attorno a un attivissimo campo di bocce, vanto del tempo, e là dietro quell'orto che forniva verdura fresca “nostrana” per le necessità della cucina molto apprezzata e per questo frequentata dai camionisti, categoria, è risaputo, che segnala sempre dove si mangia bene e a basso costo. Normale che il signor Parati pensando anche a quella clientela avesse voluto migliorare la sua attività aggiungendovi la tabaccheria. Non gli fu difficile ottenere la licenza dei monopoli di Stato, la prima a Segrate, comprendente la vendita dei valori bollati. Un altro servizio fornito alla città.

Il signor Parati aveva così realizzato il suo sogno completato nel 1968 sposando la signora Battistina Rovini con la quale ha avuto due figli, Carlo e Oreste. Una moglie che con la sua bravura culinaria ha in breve incrementato i clienti della trattoria.

Nella foto in alto, la signora Battistina con il figlio Carlo Parati. Sotto, le vetrine del bar e lʼinsegna, dove si legge che la tabaccheria “Parati” è stata la prima a Segrate

«Una cucina tipicamente lombarda .. Avevamo creato un ritrovo simpatico, familiare – si illumina la signora Battistina, donna timida e pensierosa che ancora lavora nella tabaccheria di via Turati – molto frequentato dai pensionati attratti dal gioco delle bocce, che si attardavano fino a tarda ora crean-

doci col loro vociare non pochi problemi con i vicini. Venivano anche da Milano e le partite erano accanite. Tra bar, tabacchi che avevamo solo noi e la cucina le giornate erano interminabili. Si incominciava alle 6,30 del mattino... Per fortuna abitavamo sopra. Pane, salame, un buon bicchiere di vino, un

mazzo di carte bastavano a intrattenere i clienti dentro e fuori il locale. A mezzogiorno arrivavano i camionisti a mangiare. Un via-vai continuo. Mia sorella Maddalena ci dava una mano altrimenti non ce l'avremmo fatta. Davvero un bell’ambiente. In mezzo alla gente mio marito era felice... Insomma le sod-

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disfazioni non mancavano.

Purtroppo non è un periodo che ricordo con piacere...», s'intristisce all'improvviso la signora Battistina. Il motivo (i motivi) sono subito spiegati. «È un periodo della mia vita legato purtroppo alla morte nel 1988 di mio marito portatomi via, dopo 20 anni di matrimonio e di attività, da un male incurabile. M'è crollato il mondo addosso.

Avrei voluto bruciare tutto.

Se mi sono fatta forza, se ho continuato è stato grazie all'affetto, alla vicinanza dei miei due figli ormai grandicelli che mi hanno spronato ad andare avanti dandomi una mano. Ma quel periodo in via Roma è legato anche a paure e spaventi...». In che senso, signora? «Pensi che abbiamo, ho, specie dopo la morte di mio marito, subito alcuni furti di merce con scasso delle porte di casa e del magazzino e ben sei rapine. Tutte portate a termine armi in pugno, anche in pieno giorno. E spesso quando ero sola. Certamente anche il posto un po’ nascosto in mezzo al verde ha favorito le loro scorribande. Arrivavano e ci rapinavano dell'incasso. Fare resistenza, reagire era pericoloso. Si capiva dai modi di fare che quei balordi erano disposti a tutto: una volta ci hanno strappato di mano un grosso malloppo di valori bollati di cui avevamo appena fatto la scorta a Milan, roba da centinaia di migliaia di lire.Ormai lavoravamo per i ladri.... Si viveva nell'angoscia. Che tristezza...».

E chissà che spaventi. «Ci voleva qualche giorno per riprendersi dalla paura. Ma poi tornavano quei mascalzoni.

Mamma mia... ma come si fa ad essere così malvagi?

Ancora adesso a distanza di anni ho gli incubi». “Estote parati” (“Siate pronti”) ammonisce il Vangelo, ma tutto quello capitato ai... Parati ci sembra effettivamente troppo per esserne pronti ed accettarlo Per fortuna la vita della signora Battistina e della sua famiglia si è un po' più tranquillizzata con il trasferimento dell'attività circa dieci anni fa in via Cellini. Una sede più piccola, raccolta, moderna e.. blindata rispetto a quella di via Roma. L'indomita e coraggiosa signora Battistina lavora ancora («Non posso stare a casa, non ci riesco, mi sembrerebbe di essere inutile, malata») con il figlio Carlo e sua moglie Maria Rosa.

Qui niente cucina: solo bar, tabacchi, ricariche, pagamenti di bollette, il gioco del lotto e i “gratta e vinci” che fanno sognare. La vita continua.

Deve continuare. Come ha fatto e sta facendo la signora Battistina. Con la nostra ammirazione.

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TRADIZIONE Un’azienda familiare che affonda le sue radici nel 1600, è sul territorio da 57 anni, e continua con grande passione e professionalità

I Porro, lavandai dalla notte dei tempi...

Un mestiere in grande evoluzione: dalle donne inginocchiate sui torrenti alla lavatrici a secco - Imprevisti e, tra i capi, imbarazzanti sorprese I Porro, lavandai a Milano dal 1600 (sì, proprio dal 1600) e tra i primi a Segrate, esattamente dal 1956. Lo testimonia l'albero genealogico della famiglia esposto in bella vista all'ingresso dell'azienda, inserita in una moderna villetta incastonata nel silenzio e nel verde di via Lucania 4 a Lavanderie il quartiere, appunto, dei lavandai. Lavanderia, quella dei Porro, rimasta nei secoli a carattere familiare, nulla a che vedere con quelle industriali che la circondano in zona. Ampi saloni a piano terra dell'edificio riservati al lavaggio (con imponenti e sofisticati macchinari), all'asciugatura, allo stiraggio e al deposito della merce pronta alla consegna costituiscono l'azienda dove risultano abili e arruolati il “patron” Giuseppe, 82 anni, accanito podista (si sciroppa 15 km alla settimana), asciutto, arzillo, ben tenuto e ovviamente mai stanco di lavorare; il figlio Andrea, 39 anni sposato con Filomena (non impiegata nell'azienda), padre di due figli, Alessandro di 6 anni e Elena di 11 mesi e la moglie di Giuseppe, Anna Maria Mascarini, con l'aggiunta di una collaboratrice per la stiratura. Promette bene, oltre che nel calcio (aspira a fare il centravanti) anche il piccolo Alessandro, morettino dallo sguardo vivace, già in grado, assicura il nonno, di “farsi una macchinata”, vale a dire caricare e controllare una lavatrice.

«A Milano era stato mio bisnonno Celso all'incirca nel 1830 a dare impulso all'attività – spiega il signor Giuseppe portata poi avanti dal nonno Romeo e quindi da mio padre Carlo. La prima sede era stata in via Senato (nei pressi del-

l'attuale piazza Cavour, ndr) zona ricca d'acqua (ora sotterranea); dopo lo sfratto gli antenati si erano trasferiti in via San Marco, quindi in via Ponte Seveso e, all'inizio del 1900, in via del Progresso (zona Melchiorre Gioia). Nel 1956 con mio padre Carlo ci siamo trasferiti qui a Segrate dove siamo poi rimasti. Il quartiere di Lavanderie, che abbondava di acqua pulita, aveva esercitato allora un forte richiamo per i lavandai. La gente, soprattutto i ricchi, mandava la biancheria e i vestiti a lavare e stirare in lavanderia.

Con lo sviluppo industriale, turistico e anche sociale aziende, ristoranti, alberghi, pensionati, istituti, conventi e mense hanno sentito la necessità di un'assistenza-lavanderia a ciclo continuo. Allora il lavoro non mancava, ce n'era per tan-

ti. Bastava averne voglia e inseguirlo. Pensi che quando noi Porro siamo approdati a Segrate, 57 anni fa, i lavandai erano ben 34». Lavoro duro, pesante, agevolato dalle macchine col passare degli anni. «E meno male – si fa serio il signor Giuseppe – perché ancora all'inizio del Novecento il lavoro era sconciante soprattutto per le donne che in riva ai torrenti stavano ore in ginocchio appoggiate a delle assi, in milanese i brellin, a lavare a mano biancheria, tovaglie e lenzuola.

Una fatica disumana. Le mani di quelle poverette si deformavano per il freddo e l'umidità. Dopo avere lavato tutto a mano al torrente facevano il bucato: la biancheria era messa a bollire con la pomice o la lascivia in enormi mastelli dai quali dopo un po' era estratta per essere a sua volta risciac-

quata nell'acqua. Dopo c'era il problema dell’asciugatura: all'aperto, quando si poteva, altrimenti, soprattutto d'inverno, si portava la biancheria in grandi locali riscaldati con stufe. Per agevolare l'asciugatura e strizzare al meglio tutta quella roba - continua Giuseppe il suo appassionante racconto, splendido affresco dell'epoca da consegnare alla memoria - alcuni s'erano inventati una specie di centrifuga azionata attraverso delle stanghe dagli asinelli. E poi... mica era finita. Poi c'era la stiratura da fare con quei pesanti ferri da stiro alimentati con le braci.

di ricorrere alle lavanderie come invece hanno continuato a fare i benestanti. Questa rivoluzione ha sottratto quasi tutta la biancheria dalla... giurisdizione delle lavanderie trovatesi nel contempo nella necessità di adeguarsi alle nuove esigenze, meglio alle nuove pretese, rivolgendo le loro attenzioni al lavaggio a secco, un procedimento messo a punto dai francesi negli anni Settanta w diventato indispensabile per abiti, capi delicati, tappeti, coperte, piumini, capi in pelle.

Si sono così resi necessari investimenti per apparecchiature sempre più sofisticate e sem-

Un lavoro che andava avanti di notte. Quanto pagava il cliente dopo tutta quella fatica?

Non a capo come ora, allora il pagamento era forfettario: tot a sacco o a peso». Per fortuna la tecnica è venuta negli anni in soccorso ad alleviare il lavoro dei lavandai. E l'evoluzione sociale frutto del boom economico l'ha differenziato.

«L'avvento delle lavatrici tra gli anni Sessanta-Settanta – spiega il signor Giuseppe - ha senz'altro reso meno gravoso il nostro lavoro, ma nel contempo ha reso più autonome le famiglie che mano a mano, lavando quasi tutto in casa, non hanno più avuto bisogno

pre meno inquinanti a circuito chiuso che trattengono odori e vapori tossici». L'organizzazione del lavoro è rimasta la stessa da decenni. «Il lunedì – spiega il signor Porro - c'era il giro grosso. Si andava, si va, a Milano e dintorni dai clienti privati, alberghi, ristoranti, a ritirare la merce da lavare; il martedì e il mercoledì si lava e si stira e poi si fanno le consegne a domicilio. Una volta il lavoro era enorme. Solo a Milano avevamo 500 clienti.

Ma che soddisfazioni. Tempo fa i clienti diventavano anche amici, i rapporti erano confidenziali, ma col passare degli anni si è avuto sempre più a

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che fare con le domestiche e così i rapporti sono diventati più distaccati. Come va ora il lavoro? La crisi si sente, eccome. Il lavoro che normalmente aveva alti picchi stagionali in primavera e in autunno s'è diradato. L'anno scorso ci siamo trovati in grande difficoltà, poi per fortuna il rigagnolo s'è ingrossato. Nel frattempo ci siamo inventati la vendita di saponi e detersivi per lavatrici da noi sperimentati che ci ha aiutato un po’».

Imprevisti e curiosità di questo lavoro che impone l'attenta divisione e controllo dei capi per qualità, stoffa e colore? «Qualche disastro capita ogni tanto, anche se di rado. Una volta una penna dimenticata in una giacca ci ha rovinato un'intera macchinata e abbiamo dovuto, dopo le scuse, risarcire i clienti. Imprevisti... imbarazzanti?

Bè, sì... - sorride il signor Giuseppe - Capita talvolta di trovare nelle tasche di giacche e pantaloni, non solo maschili, oggettini curiosi e qualche bigliettino sfuggito ai radar familiari. Ovviamente tutto viene distrutto, dimenticato e blindato nel segreto professionale...».

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TRADIZIONE Da 35 anni il negozio di abbigliamento di via Grandi (il primo del genere a Segrate) tiene alto il gusto della moda femminile

Donna, c’è sempre una... Pirola per te

«Una passione trasmessami dalla zio “sarto”Agostino e affinata in via Montenapoleone», dice la premurosa e paziente signora Eliana “Scusi Eliana cosa dice? Mi sta meglio questo o quello?”, “Scusa Eli tu cosa mi consigli?”, “Guarda io ti vedrei meglio con questo grigio...”. Eli, Eliana... è un'invocazione continua nel luminoso e ampio negozio “Pirola, abbigliamento donna” con le vetrine all'angolo di via Grandi con via Gramsci, punto di riferimento delle segratesi da 35 anni. Eliana Pirola interrompe la chiacchierata e con l'immancabile sorriso corre sempre premurosa in aiuto alle clienti, che la invocano mentre con i capi in prova si scrutano con studiate mosse femminili e le smorfie di circostanza davanti ai numerosi specchi. Si intuisce che per loro Eliana è un'amica, una sorella, male che vada una simpatica consulente. Confidenze frutto di lunghe frequentazioni, di un passaparola che induce ad entrare in quel negozio “Dove si è ascoltate...”. E coccolate. Una garanzia per un commerciante che ci sa fare, che conosce il proprio mestiere. «Siamo qui dal 1978... un anno dopo esserci sposati ed aver rilevato la licenza che lo zio di mia moglie, Agostino “il sarto” aveva dal 1950», ci dice nel frattempo il marito Paolo Ardrizzi, 67 anni, grafico pubblicitario in pensione, che ora aiuta la moglie in negozio. Ardrizzi, signore tranquillo e pacato, è noto a Segrate per essere stato per tre anni, dal 1993 al 1996, consigliere comunale della Lega, («Quando c'era...», sospira) con Ligarotti sindaco.

«Mi sono dimesso per dei contrasti interni – ricorda – poi mi hanno convinto a rientrare, ma poco dopo mi sono definitivamente ritirato deluso dalla politica». Da certe sfu-

tanta psicologia, specie con chi – sorride - non è “fatta bene”... Mi piace inquadrare la cliente, capire la sua personalità e trattarla con dolcezza. E per questo a volte mi prendo della... caramellosa dai rispettivi mariti, che passando di qua vengono a lamentarsi da me per le spese della moglie.

Lei ha la marmellata addosso.... scherzano. All'inizio magari la cliente sconosciuta sta un po' sulle sue, ma poi si lascia andare, si fa consigliare. È segno che hai fatto breccia...

E più a lungo resta meglio è, vuole dire che si trova a suo

mature si intuisce che Eliana e Paolo, con due figli, Alessandro e Stefano, rispettivamente di 31 e 20 anni, sono in bella sintonia. Il negozio di abbigliamento, la moda sono da sempre nel Dna dei Pirola.

Lo zio Agostino, sarto da tempo immemorabile con un negozietto nei paraggi di via Grandi, ha catturato e alimentato la passione della nipote Eliana. «Da bambina – dice – venivo in negozio a curiosare e aiutare lo zio, specie nei mesi estivi, perché lui non chiudeva mai. Da ragazza poi sono stata rapita dalla moda.

Lavoravo nello studio di un avvocato in via Montenapoleone a Milano e in quella zona le vetrine dei negozi di alta moda stuzzicavano la mia curiosità e fantasia». Così la signora Eliana ha elaborato i propri gusti che poi ha portato a Segrate. «Ricordo che appena aperto il negozio, allora di pochi metri quadrati, ho messo in vetrina cinque vestiti e ne ho venduti subito tre il primo giorno. Man mano li sostituivo. Un po' alla volta il

lavoro ha cominciato a darmi soddisfazioni da indurmi piano piano ad allargarmi. In breve tempo ho eliminato la linea maschile che non tira molto per dedicarmi solo a quella femminile, più interessante e stimolante». Un mondo tutto particolare, quello della donna: ambizioso, vanitoso, esigente, capriccioso e volubile.

«Capita anche – ci diceva una volta un amico commerciante del settore – che una donna entri nel negozio per comperare un cappellino rosso ed esca con delle scarpe verdi...».

Tra gonne, vestiti, pantaloni,

abiti, cappotti, giacche, magliette, jeanseria, maglieria, impermeabili, accessori e bigiotteria, una donna è in continuo conflitto con i propri gusti, i propri desideri, con le proprie possibilità, con i... confronti e le imitazioni. «Il target della mia clientela è medio-alto - dice Eliana – gente quindi con discrete possibilità. C'è la cliente che al mattino entra, guarda, curiosa, si fa consigliare, magari non compra subito ma ritorna più convinta e decisa al pomeriggio o il giorno dopo. Servono competenza, delicatezza. E

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agio. E quasi sicuramente torna. Questo è il negozio del passaparola, dove c'è un buon, indispensabile assortimento.

E anche delle riparazioni. Così si allarga la clientela». Non parla mai di pazienza... «Certo ce ne vuole, e tanta perché i maleducati e gli indisponenti non mancano mai in nessun settore della vita. Ma anche, e soprattutto, in questi casi servono comprensione e dolcezza. Conquistare un maleducato è per me la vittoria più bella». La moda, chissà che turbinio di cambi e di aggiornamenti durante l'anno. «Bi-

sogna stare al passo dei tempi, anzi delle settimane, delle stagioni, di articoli, modelli e colori che lo stilista inventa e mette sul mercato. Servono riflessi pronti per adeguarsi subito altrimenti ciao clienti...

Modelli che si riciclano? No, nella moda femminile non esiste. Se ritorna un modello di successo è con un particolare o un colore nuovo che influenza la donna e la obbliga a comprare. Un certo tipo di moda dura dieci anni: cinque anni per salire e altri cinque per scendere. Sono cicli in continua evoluzione». La passione per la moda ha spinto la signora Pirola anche a organizzare delle sfilate. «Ma solo qui a Segrate, una all'anno per il momento, con modelle casalinghe che hanno suscitato molto interesse ed apprezzamento. Una questione pubblicitaria, con un buon riscontro. Quello che ci vuole in questo momento di crisi.

Una crisi che anche noi abbiamo sentito specie negli ultimi mesi e che ci ha indotto a rinunciare, per il momento, al punto in più scattato per l’Iva che abbiamo mantenuto al 21%».

Pep Nei precedenti numeri: 2013: Tabaccheria Parati (9/10); Riparazioni audiovideo Casletti (25/9); Laboratorio Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2); 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

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redazione pubblicità amministrazione

20 novembre 2013

MADEIN SEGRATE

Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali che abbiano alle spalle una tradizione o unʼinnovazione degne di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i famosi mestieri in... via di estinzione. Chiediamo ai lettori di segnalarci queste realtà chiaman-

doci al numero 02.2139372 o scrivendoci allʼindirizzo di posta redazione@segrateoggi.it.

Nei precedenti numeri: 2013: Boutique Pirola (20/11); Tabaccheria Parati (9/10); Riparazioni audio-video Casletti (25/9); Laboratorio Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri

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(19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2); 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

TRADIZIONE Da quasi 50 anni (da 34 a Segrate) l’Impresa Funebre di Gianni Preatoni si occupa con riconosciuta professionalità di funerali

Attenti al “Caro estinto” e a chi lo piange «Una professione complessa che richiede rispetto, sensibilità, scrupolo e spesso strappa partecipazione. Al dolore non ci si abitua mai» Imbarazzo? Ci mancherebbe.

Ma entrare nell'ufficio di un'agenzia di pompe funebri un certo disagio sinceramente lo provoca, perché non ci si va per hobby, per curiosità, ma sempre per necessità. Per preparare nel migliore dei modi l'ultimo viaggio del “caro estinto”. Con la sua cordialità e disponibilità Gianni Preatoni, 74 anni benissimo portati, titolare dell' “Impresa Funebre Segratese” ci mette subito a nostro agio tra le luci soffuse dell'elegante sede sotto i portici di via 25 Aprile. Sulle mensole una processione di pipe di valore e per ogni necessità: la sua passione «fino a qualche anno fa, finché me la sono potuta permettere: ne ho una a cui sono particolarmente affezionato regalo del grande presidente Sandro Pertini». Pompe funebri, o onoranze funebri come noi preferiamo, un mestiere come un altro (o quasi) tra l'altro indispensabile per dare dignitosa sepoltura ai defunti. Un mestiere che per il signor Preatoni - sposato con Cornelia Bertoni, padre di Silvana e Debora e nonno di tre nipotini, originario di Garbagnate, sfollato a Milano durante l'ultima guerra - non ha tradizioni familiari, ma che ha scelto in gioventù per necessità negli anni Sessanta dopo il servizio militare assolto come sottufficiale all'autocentro dei Marines di Taranto («Per la prima volta in Italia addestravamo i militari sui mezzi da sbarco»).

«Da ragazzo - racconta il signor Gianni - avevo fatto il volontario della Croce Rossa a Milano, in via Pucci, dove poi sono stato assunto. Frequentando la mia futura moglie avevo conosciuto il signor Arcadio Motta, funzionario di

un'agenzia di pompe funebri, che mi aveva offerto di lavorare in questo settore in via Regina Giovanna. Un incontro fortunato con un grande signore, persona splendida e professionista impeccabile che mi ha insegnato il mestiere.

Non lo ringrazierò mai abbastanza. Io sto conducendo la mia azienda sul suo esempio e non mi sono mai pentito.

Con lui sono stato vent'anni, poi mi sono messo in proprio a Milano e nel 1979 sono arrivato qui a Segrate dove da alcuni lustri ho come collaboratore Bruno Arrigoni, ottimo elemento, per me insostituibile. L'ho tirato su, come si dice, strappandolo al lavoro di ebanista». Nel frattempo l'azienda del signor Preatoni ha aderito a un consorzio («Oneri e ed onori, gli utili sempre reinvesti in parco macchine e divise») che raggruppa 25 aziende con 45 dipendenti. Consorzio che fornisce materiale (ad esempio casse da morto, che per legge

devono essere sempre pronte in deposito in numero non inferiore a 3.000, “in caso di stragi”) mezzi e personale.

Come si svolge, che cosa comporta il lavoro di un'azienda di pompe funebri? Grosso modo tutti lo immaginiamo, ma conoscendolo nei particolari si scopre che è davvero delicato e complesso. Innanzitutto comporta scrupolosità, sensibilità e grande rispetto per il cliente che sta attraversando un momento doloroso della sua vita. «Come in ogni settore anche nel nostro c'è chi fa più o meno bene il proprio lavoro. Io, noi cerchiamo di fornirlo al meglio secondo le varie esigenze. Ci mettiamo in moto quando il cliente, un parente del defunto ci contatta per un funerale. Quello è un momento molto delicato per chi viene da noi: di solito è confuso, non sa come procedere, dove mettere le mani.

Con garbo e delicatezza, offrendogli umano conforto, ci mettiamo a sua completa di-

sposizione, dalle pratiche burocratiche alle cose più concrete: dalla dichiarazione di morte del medico autorizzato alla vestizione del cadavere, dai permessi comunali e cimiteriali al contatto con la chiesa e quindi alla preparazione della cerimonia funebre - cassa, addobbi, annunci pubblici, santini-ricordo, necrologi, registri di condoglianza, corone di fiori, mezzi per il trasporto della salma e del corteo al seguito. Ci occupiamo poi, poiché autorizzati, delle pratiche della cremazione e della dispersione delle ceneri, una pratica sempre più in aumento. Ci interessiamo pure di domiciliare i telegrammi e poi, se richiesto, dei testamenti. In quei tre-quattro giorni di lutto siamo a disposizione del cliente notte e giorno per qualsiasi esigenza, sempre partecipi e rispettosi del dolore al quale non ci si abitua mai anche se frequentarlo, esserne sempre a contatto come comporta il nostro lavoro, dà mag-

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gior forza per affrontarlo. Creda, la nostra non è una recita di circostanza. C'è spesso partecipazione, siamo uomini e anche noi in tante circostanze ci commuoviamo conoscendo certe storie e certi drammi. La nostra soddisfazione è alla fine il ringraziamento del cliente: sapesse quante lettere toccanti riceviamo dopo i funerali. Significa che tutto è andato bene secondo i voleri e le esigenze e il cliente ben servito oltre a diventare qualche volta un amico poi porta nel tempo altri clienti tra parenti, amici e conoscenti. Un brutto funerale, invece, resta impresso tutta la vita». Ma non c'è solo chi ha la “fortuna” di morire a casa nel proprio letto, c'è anche da occuparsi, purtroppo, delle morte violente delle vittime di stragi, incidenti stradali, omicidi e suicidi. «Operazioni delicate e complesse - spiega Preatoni – disciplinate da regolamenti scrupolosi che devono essere coordinate dall'autorità giudiziaria e che comportano licenze, autorizzazioni, personale specializzato oltre a quello dei Vigili del Fuoco, dei Carabinieri, della Polizia, della Finanza e della Croce Rossa.

Enti con i quali siamo sempre in contatto e che ci allarmano in caso di necessità. Come azienda ci siamo occupati nel tempo delle vittime della banda Cavallero, di quelle di via Osoppo, della strage ferroviaria di Monza, di quella all'aeroporto di Linate. Operazioni in scenari da incubo che trasmettono angosce al cospetto di cadaveri martoriati, spesso irriconoscibili. Operazioni però da svolgere con professionalità, rispetto e pietà, senza mai dimenticare che si tratta di esseri umani. Non dimen-

ticherò mai il recupero del corpicino di una bambina che si era andato a infilzare nella cancellata di recinzione di uno stabile a Milano. Uno strazio.

Un vigile del fuoco preposto all'operazione non se l'era più sentita, ha rinunciato passando l'incombenza a me... Purtroppo bisognava farlo». La “giurisdizione” dell'azienda o del consorzio non ha confini.

«Possiamo operare ovunque in Italia e all'estero. Io mi sono occupato del trasporto di una persona dagli Stati Uniti. Recentemente ho preparato le onoranze funebri di Raimondo Vianello, di Sandra Mondaini, di Mattarella. Di quanti funerali ci occupiamo a Segrate? Una media di settantaottanta all'anno. Il costo? Il Comune è intervenuto a calmierare i prezzi imponendo un listino minimo di partenza di 1.450 euro. Ma i funerali, come i matrimoni, non hanno prezzo. I loro costi dipendono ovviamente dalle esigenze e disponibilità. Dipende dal costo della cassa, se è di legno pregiato come il rovere, il mogano o il noce, se è addobbata e con che cosa. Dipende dalla scelta dei fiori, del contorno, dal luogo, dal tipo di sepoltura, dall'eventuale cremazione.

Dipende da tante cose. Comunque un buon funerale rientra mediamente nei 5.000 euro». Una curiosità, facendo questo mestiere che idea si è fatto della morte? «La morte non mi fa paura, mi fa paura il dolore. Per questo io sono a favore dell'eutanasia che non significa affidarsi a un medico nella veste di killer-esecutore, ma nelle mani pietose di chi ti indica gli strumenti per sollevarti da un tormento senza speranza».

Pep

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4 dicembre 2013

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Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali che abbiano alle spalle una tradizione o unʼinnovazione degne di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i famosi mestieri in... via di estinzione. Chiediamo ai lettori di segnalarci queste re-

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TRADIZIONE Da 50 anni opera in via Kennedy l’officina Euroassistance di Fabio Gementi, geniale restauratore di “gioielli” d’epoca

Faccio rivivere solo auto di 30-50 anni fa «Guardo al futuro guidando i veicoli del passato». «Un mestiere per il quale servono tempo passione, pazienza e ricerca. Ma quante soddisfazioni!»

Via Kennedy 4 angolo via Di Vittorio, Segrate. Nessuna insegna e nessun nome, né sulla cancellata, né sul capannone che dà su un cortiletto dove sono sistemati alcuni rottami di auto. Parcheggiati sulla strada tre furgoni per il soccorso stradale e finalmente, sopra le cabine di guida, l'indicazione “Gementi”.

Il titolare dell'officina Euroassistance, Fabio Gementi, appunto, è balzato alle cronache mesi fa per aver approntato una Fiat Panda 4x4 Monster Truck per uno spot invernale di grande successo, che ha fatto il giro del mondo. Un “mostro” alto 3 metri che montava gomme da trattore del peso di 150 kg. l'una. Proprio così, perché a Fabio Gementi, 47 anni, fisico da rugbysta e due occhi dal colore indecifrabile tra il grigio-verde-marrone, piacciono le cose originali, frutto di studio e di intuizioni, complicate da realizzare, ma che danno grande soddisfazione. Lui è meccanico nel senso che si occupa di meccanica, ma, ci tiene a sottolinearlo, non ripara: restaura auto d'epoca che abbiano almeno 30-50 anni. Soprattutto americane e italiane. Restaurate e... autentiche, vale a dire con pezzi originali come se fossero appena uscite dalla casa costruttrice. Un lavoraccio che richiede passione e competenza ma soprattutto «tanta, tantissima pazienza», dice il signor Fabio con la sua voce in falsetto che ti penetra come un laser. Accomodati nel suo ufficio, che dà sull'officina nella quale sono in attesa del “chirurgo” un'auto americana di 40 anni fa con le classiche alette, una rarissima Fiat Abarth 850 TCR del 1965 originale (nel mondo ne esistono

ancora solo due-tre immatricolate) e sul ponteggio un mastodontico Chevrolet Blazer del 1976, il signor Gementi ci trasmette tutta la sua passione.

Sembra un fiume in piena, inarrestabile. Parla con grande proprietà di linguaggio e il suo volto ha spesso lampi di soddisfazione coinvolgenti. A lui nulla sembra impossibile da realizzare, basta che si convinca di poterlo fare. «Sono nato – racconta – in una famiglia di meccanici. Nel 1963 aveva cominciato mio nonno Giannino con un'officina in via Conte Suardi all'angolo con via De Amicis, poi aveva proseguito mio padre Roberto, che ha 75 anni e che ancora mi fa da consulente e mi dà una mano, dopo essere sempre stato appassionato e riparatore dell'Alfa Romeo. Quelle auto per lui non avevano segreti, le conosceva come le sue tasche. Era un vero mago

dell'Alfa. Da quattro anni ci siamo trasferiti qui: il decentramento delle officine è ormai obbligatorio nelle città per via dei rumori e degli odori che emettono, giusto così.

Pian piano, da meccanici, ci siamo trasformati in restauratori di auto d'epoca. Ci siamo rifugiati in un mercato di nicchia che ci dà tante soddisfazioni. Soddisfazioni, certo, ma per... vivere ci occupiamo del soccorso stradale. Collaboriamo con il Comune e il lavoro non manca, anche se ora tante compagnie di assicurazione per catturare i clienti offrono nelle polizze il soccorso stradale, così noi siamo meno... disturbati», sorride Fabio, sposato con Barbara e con due figli, Rachele di 13 e Edoardo di 8, che si coccola nella foto sulla scrivania che li ritrae insieme uno dietro l'altro durante una gara di go-kart. «Li porto spesso su una pista di Cur-

no e si divertono da pazzi, vedesse che duelli – si illumina - mi sembra che Edoardo abbia talento e anche un bel caratterino... Però non voglio forzare nessuno. Ciascuno sceglierà la propria strada».

Perché restaurare auto d'epoca? «Solo per passione, passione per certe linee e per certe carrozzerie di un tempo, alcune con l'aria delle vecchie signore, altre di provocanti ragazzine che ancora appagano l'occhio - spiega Gementi - e poi perché questo lavoro dà

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davvero soddisfazione. Ma io non mi fermo all'abito, alla carrozzeria, a me interessa e mi occupo del cuore che dà vita, che fa muovere queste auto, vale a dire della parte meccanica, del motore. Mano a mano che certi lavori volgono al termine ti senti impegnato, coinvolto a far rivivere una creatura. Questa è un po' la mia sensazione. Noi – scandisce compiaciuto Fabio guardiamo al futuro guidando i veicoli del passato. Una volta gli oggetti, quindi anche le auto, erano costruiti per durare a lungo. Ora invece siamo nella civiltà del consumismo, dell'usa e getta. Le auto di adesso fanno sicuramente più chilometri di quelle di una volta, ma sono a scadenza. Dopo sette-otto anni sono da cambiare. Quelle di una volta, invece... Ricordo che i tassisti facevano la revisione del motore della loro auto due-tre volte e arrivavano tranquillamente a 300.000 chilometri. E poi ora non c'è più la cultura della riparazione: i meccanici di adesso sono degli assemblatori di pezzi messi a disposizione dalle case». Restaurare comporta soprattutto competenza. Quindi documentazione e ricerca. «Certo, prima di mettermi in azione in officina con mio padre e i miei due collaboratori bisogna fare delle ricerche attraverso il computer o con dei libri illustrativi dell'auto che si vuole riportare in vita. Occorre una pazienza certosina. La ricerca e il reperimento del materiale in vecchie officine o presso appassionati di auto d'epoca

comporta mesi perché i pezzi devono essere tutti originali.

Servono due-tre anni, anche sette ne ho impiegati con una, per rimettere a nuovo queste auto. Ma poi quando finalmente si mette in moto, tutto funziona e la macchina può tornare in strada bella arzilla si prova una gioia incredibile». Ma chi sono i suoi clienti e soprattutto quanto costa restaurare queste auto? «Bè, i clienti sono prima di tutto degli appassionati. Chi decide di rimettere in vita una vecchia auto in tutto il suo splendore lo fa soprattutto perché è un cultore di quel mezzo o di quell'epoca, magari perché è un collezionista, ha un garage o partecipa a competizioni. Ma c'è anche chi lo fa per motivi affettivi, per coltivare il ricordo di un familiare, di un amico che non c'è più. C'è pure chi lo fa per esibizione e per riprovare le sensazioni di gioventù. Quanto costa? Non poco – sorride – chi commissiona questi restauri qualche euro da spendere ce l'ha. Ma c'è anche chi di soldi ne ha pochi e si adatta con pazienza a restaurare la vecchia auto un po' alla volta, dedicandosi prima a un settore e poi a un altro finché il mosaico non è completo. E c'è anche chi, è successo recentemente con un ragazzo, viene qui in officina e partecipa personalmente al restauro della sua auto. E ci prende gusto...». Nell'officina di Fabio Gementi l'estro e il talento accendono passione, entusiasmo, competenza, voglia di fare e di arrivare. Un esempio, un esercizio per tanti giovani disposti a mettersi in gioco e alla prova per guardare al futuro.

Pep

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redazione pubblicità amministrazione

18 dicembre 2013

MADEIN SEGRATE a cura di Pep

Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali che abbiano alle spalle una tradizione o unʼinnovazione degne di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i famosi mestieri in... via di estinzione. Segnalateci queste realtà chiaman-

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Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2); 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

TRADIZIONE All’interno dello Sporting Club Marconi il ristorante, accessibile a tutti, di Micaela e Davide Murgolo, gente che... vien da lontano

Ricette e prezzi, che sorprese tra “Il Verde” «Rivisitando la cucina tradizionale proponiamo dei piatti che ci fanno scoprire sempre più nuovi clienti». Ambiente raffinato che garantisce relax “Chissà quanto si paga...”. È l'interrogativo che viene spontaneo a chi mette piede per la prima volta al ristorante “Il Verde”, situato all'interno dell'esclusivo Sporting Club Marconi in via per Mirazzano 1, nei pressi dell'Idroscalo e proprio di fronte all'ingresso di San Felice: piscine, tennis, palestre, calcetto, benessere e spazio fitness, sale per riunioni e di intrattenimento per il gioco delle carte. Invece bisogna entrare (non è necessario essere soci del club), accomodarsi in quella sala di sobria eleganza spalancata sul verde e pranzare.

Al momento del conto (40 euro circa) ci si convince che il rapporto qualità-prezzo è quasi sorprendente e... stimolante. E il cliente converrà anche sulla sobria, rilassante atmosfera del locale e su un servizio discreto, pieno di attenzioni. Oltre una vetrata un'invitante spazio fasciato di verde dove rifugiarsi a mangiare all'aperto durante la stagione estiva. Un ambiente adatto per un relax con gli amici, con la famiglia, dove i bambini stanno al sicuro. Grande regina, meglio principessa del locale, è la titolare Micaela Murgolo: mora, slanciata, impossibile non notarla. Incontrandola viene spontaneo chiedersi da dove provenga: scandinava, dell'Est europeo o...?

«Semplicemente italiana... sorride Micaela, detta “Michi”, intuendo la curiosità - padre pugliese e madre veneta. Da Giovannina, la nonna materna, ho ereditato la passione per la ristorazione e il piacere di stare a contatto con la gente. Quand'ero bambina andavo a fare le vacanze a Piove di Sacco, nel padovano, dove i nonni avevano un locale, la “Trattoria Boscolo”, e dove io non mi stancavo mai di stare facendo com-

martedì e mercoledì sera». A leggere o sentire scandire certi menù viene l'acquolina in bocca. Sentite a caso: “Tiepido di mare su insalatina fresca”, “Tartara di ricciola ai profumi dell'orto con vinaigrette al limone”, “Frittelle di radicchio e stracchino con speck del Tirolo”, “Fonduta valdostana, patata, rosso d'uovo e tartufo nero di Norcia”, “Sushi di manzo, caciotta al tartufo e cipolla stufata”. E poi “Spaghetti con po-

con la sua presenza e la sua classe. «Questo - dice convinta e orgogliosa – è il mestiere più facile e difficile del mondo. Richiede impegno, passione, psicologia e tatto perché a volte hai a che fare con gente che crede di saperne di più di chi sta dall'altra parte. Ma è un mestiere che ti dà energia e soddisfazioni quando vedi che la gente torna e che entri in feeling con essa. Da quando siamo qui la nostra clientela è cam-

modorini al forno profumati d'origano”, “Fusilli campani con fagioli borlotti e 'nduja calabrese”, “Stracci ai ceci e cozze”, “Risotto al barolo e fonduta”, “Gamberoni all'armagnac”, “Tagliata e cotolette di manzo di ogni genere”, “Tagliata di spada gorgonzola e noci”. Una serenata alla cucina italiana. A Micaela e Davide non mancano fantasia e iniziative per attirare i clienti come ad esempio la “Locandina gastronomica d'autunno” con musica dal vivo, servita ogni venerdì di novembre con “Porcini e castagne”, “Lo stravacco di pesce”, “Il bollito” e “Stracotto con polenta” al prezzo di 2530 euro. Micaela, madre di Ariel di 8 anni, riempie la sala

biata: il ristorante non aveva una “storia” perché passato attraverso varie gestioni senza una loro personalità. Speriamo di riuscire col tempo a dare una nostra impronta». La signora Micaela, molto riservata e all'impatto un po' sulle sue, sembra sciogliersi durante la chiacchierata e glielo facciamo rilevare. «Sono tutt'altro che chiusa – precisa – sono solare, mi piace dialogare, scherzare con i clienti e coccolarli, farli sentire a casa loro, ma essendo donna c'è il rischio, in questo mestiere di essere fraintesa.

Quindi, finché non ci si conosce, meglio essere prudenti».

Giusto. Una spiegazione che durante l'incontro aiuta a capire la personalità poliedrica di que-

Micaela Murgolo, titolare del Ristorante “Il Verde” con il marito Davide. A destra, la sala nello Sporting Marconi

pagnia alla nonna ai fornelli, curiosando su ogni cosa. Un bel mondo che ho assorbito e che poi è diventato mio». Spingendola a sua volta a occuparsi di ristorazione e ad arrivare fin qui dopo un lungo tragitto.

«Proprio così - conviene Michi – Esperienze mie e di mio marito poi messe insieme. Perché l'abbiamo chiamato “Il Verde”?

Perché siamo al verde... scherza - abbiamo battezzato così, rilevandola anni fa, l'antica trattoria “da Carlo” di Tregarezzo, un'istituzione. Di verde ce n'era davvero parecchio allora intorno al ristorante, finché non gli hanno costruito di fronte il palazzo della Mondadori. Io e mio marito Davide, grande chef, maestro di cucina, abbiamo pensato di rivisitare la cucina tradizionale di quel locale, conquistando un po' alla volta nuovi clienti. A un certo punto però si è presentata l'occasione di trasferirci allo Sporting Club Marconi e tra questo verde il nome del nostro ristorante ci è sembrato più che appropriato». E non è cambiata la cucina. «No, abbiamo con-

tinuato e continuiamo con la nostra, diciamo così, specializzazione, seguendo l'estro di mio marito che ogni tanto va tenuto con le briglie. Io assaggio ed eventualmente lo correggo. Si tratta di cucina tradizionale rivisitata con qualche soluzione nuova, con qualche tocco in più o in meno. Comunque non nouvelle cousine, che non incontra i nostri favori». E la risposta dei clienti?

«Sempre più soddisfacente, attratti dai menù molto vari e curati che coprono antipasti, primi, secondi, carne, pesce e dessert. Non manca ovviamente una ricca scelta di vini per ogni esigenza. Siamo soddisfatti, ma vogliamo, possiamo fare di più anche per gratificare certi... cavalli di razza che ci sono qui al club. Quello che forse frena un po' i nostri potenziali clienti è credere che il ristorante sia aperto solo ai soci del club. Invece no, si tratta di un ristorante privato all'interno di una struttura privata, ma aperto a tutti.

Per il momento siamo aperti a pranzo sette giorni su sette, mentre siamo chiusi il lunedì,

DIRETTORE RESPONSABILE: Federico Viganò REDAZIONE: Beppe Maseri, Raffaella Turati REALIZZAZIONE GRAFICA: Federico Viganò

MILANO COMMUNICATION SRL Proprietaria ed Editrice

COLLABORATORI: Anna Olcese, Enrico Sciarini, Giulia Di Dio, Federica Nin, Roberto Rossi

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E-MAIL: redazione@segrateoggi.it SITO INTERNET: www.segrateoggi.it Stampa: Seregni Cernusco - via Brescia 22, Cernusco S/N (MI) Registrazione Tribunale di Milano n.369 - 19/11/1974 Segrate Oggi

@SegrateOggi

sta donna intelligente, colta, con esperienze giovanili durante e dopo gli studi nelle agenzie di moda e negli uffici stampa di case editrici di moda e arte. E inoltre pubbliche relazioni per ristoranti e locali di Milano come l'americano “Julep’s”, lo spagnolo “Joe Pena’s” e il messicano “Tijuana Cafè” che l'hanno messa a contatto con cucine particolari e con gente di varia estrazione e cultura. «Esperienze che mi hanno arricchito e affinato». In quel periodo è sbocciata in lei anche la passione per la pittura e la scultura. Un suo quadro in acrilico che rappresentava un uomo stilizzato su una croce che apriva le braccia in segno di pace ha vinto quattro anni fa un premio alla mostra di Segrate nell'anniversario della caduta del muro di Berlino. E per quanto riguarda la scultura è attratta dal “materico” (che non mira tanto a comunicare significati quanto a valorizzare la materia di cui le opere sono composte, per lo più cartone, stracci, plastica o altri materiali poveri) come si evince dal delicato profilo, quasi un'ombra, di donna, il cui viso si intravvede sotto un largo cappello, adagiato con grande effetto in un angolo del ristorante. «Anche ai clienti piace molto – dice Micaela – ma vorrei più tempo da dedicare alle mie passioni artistiche». Cultura e cucina (pure essa cultura) costituiscono un binomio che ha sempre aiutato a elevare l'animo umano. Cultura che non viene solo da dotte lezioni o leggendo libri, ma anche cogliendo delle emozioni o respirando l'atmosfera di certi ambienti. E a “Il Verde” si ha la sensazione di sentir vibrare qualcosa che conquista e fa star bene. E stare rilassati aiuta anche a digerire.

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Attualità

redazione pubblicità amministrazione

29 gennaio 2014

MADEIN SEGRATE a cura di Pep

Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali che abbiano alle spalle una tradizione o unʼinnovazione degne di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i famosi mestieri in... via di estinzione. Segnalateci queste realtà chiamandoci al numero

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Nei precedenti numeri: 2013: Officina Gementi (4/12); Impresa funebre Preatoni (20/11); Boutique Pirola (6/11); Tabaccheria Parati (9/10); Riparazioni audio-video Casletti

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(25/9); Laboratorio Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2); 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

TRADIZIONE L’anno prossimo la famiglia Sirtori festeggerà i 100 anni di “fondazione” dell’omonima cascina, una delle più antiche di Segrate

Noi, dei sopravvissuti là dove c’era l’erba...

«Questa è la nostra sede, assediata e sempre più ridimensionata dal cemento: per trovare campagna da lavorare “emigriamo” in provincia» Cascina Sirtori in via Olgetta a Rovagnasco è una delle più antiche e una delle poche rimaste in... vita delle quaranta segnalate a Segrate all'inizio del Novecento. Allora la struttura di proprietà del conte Leonardo Bonzi - affascinante e notissimo personaggio del primo Novecento (sportivo, regista, aviatore, protagonista di grande imprese che interessarono le cronache), proprietario a Segrate di un'area di 712.000 mq in parte ceduta al Comune con complesse trattative nelle quale negli anni Sessanta entrarono anche gli interessi dell'emergente Silvio Berlusconi (Milano Due) - era inserita in un fondo di 35 ettari lavorativi.

Di quei terreni alla cascina ridotta a reliquia, stritolata dal cemento e dalla speculazione immobiliare, ne sono rimasti poco meno della metà. Ora la struttura, rimodernata in alcune sue parti, serve alla famiglia Sirtori da campo base per lavorare altrove: ad Assago e Buccinasco, ad esempio, dove sono stati reperiti un centinaio di ettari per continuare l'attività e la tradizione di famiglia vale a dire fare gli agricoltori, affidarsi e fidarsi della terra per sopravvivere. Una scelta di vita che è diventata passione.

«Tra due anni, nel 2015, la famiglia festeggerà i cento anni della sua permanenza qui a Rovagnasco», fa notare orgoglioso il patriarca Antonio Sirtori, 84 anni, viso cotto dal sole, sguardo sereno e illuminato dal sorriso. Il signor Antonio, qualche piccolo acciacco che non intacca la sua lucidità, è seduto alla tavola della veneranda cucina i cui muri trasudano ricordi di antichi riti contadini, coccolato da una poltrona dallo sguardo partecipe della moglie Maria Bambina Marchesini («Lo devo controllare - sorride la signora, donna schiva e minuta - perché altrimenti andreb-

Il patriarca Antonio Sirtori, 84 anni, con il figlio Roberto (a sin.) e il cugino Mario. A destra unʼimmagine della cascina e antichi attrezzi agricoli (foto Raffaella Turati). Sotto, lʼaia dove un tempo si allevavano anche bovini da latte

be ancora sui trattori...») e circondato dalle premurose attenzioni del figlio Roberto e del cugino Mario. Cesare Sirtori, padre di Antonio, approdò a Rovagnasco nel 1915 con due fratelli che misero su famiglie e che, via via, popolarono la cascina bisognosa di forza lavoro. L'Antonio a sua volta ha avuto due figli, Roberto e Cesare: il primo rimasto a lavorare, il secondo che ha preso un'altra strada. È Roberto a percorrere la storia della cascina e a inquadrarne la realtà attuale. «Fino ad almeno 20 anni fa - racconta - la vasta campagna intorno significava lavoro e produzione di mais, frumento, riso e latte grazie alle 130150 mucche che allora garantivano 20 litri al giorno cadauna, ma che ora la tecnologia porta anche a 80 spremendo un po' troppo le bestie. Latte che portavamo a una società di Peschiera Borromeo che poi ha fondato la Centrale del latte Milano. Noi siamo stati uno dei primi soci». Fino agli anni

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Ottanta hanno lavorato tutti sodo, parenti e alcuni dipendenti, per far fronte alle necessità («Quando si ha il bestiame da curare si è prigionieri...») finché con il boom edilizio di Segrate che ha visto spuntare quartieri e villaggi come funghi non è iniziata la strozza anche attorno alla cascina. «Nel volgere di pochi anni ci siamo ridimensionati – dice Roberto, faccia da ragioniere più che da contadino - I terreni intorno sono stati divorati dalla speculazione edilizia, che prosegue e lusinga..., e noi per sopravvivere siamo andati alla ricerca di nuovi terreni da coltivare. E nel 2000 siamo stati costretti

a vendere le vacche e quindi a rinunciare alla produzione del latte che costava tanta fatica, ma che garantiva un reddito diverso da quello attuale, un mensile sicuro. In tutti noi è subentrata anche un po' di tristezza perché un'azienda agricola senza animali è incompleta. Spopolata. Oltre alle mucche, infatti, un po' alla volta abbiamo anche rinunciato per la crescente ritrosia delle donne a farlo, ad allevare gli animali da cortile come galline, anatre e conigli che tenevano vivo l'ambiente». In questa situazione i Sirtori sembrano dei sopravvissuti. «Più o meno – sorride Roberto – da quando mi

sono sposato, nel 1981, a ora qui lo scenario è cambiato tutto: prima c'era una distesa di verde tutto intorno a noi, c'erano i campi, le bestie. Ora sembriamo, anzi siamo in città, chiusi tra quattro mura, costretti a emigrare per lavorare. Sono cambiate persino le stagioni; non ci sono più il gelo, la nebbia e la neve di una volta». Stagioni che scandiscono gli orari e il tipo di lavoro per la campagna». Orari comunque sempre lunghi: una media di 1012 ore al giorno specie d'estate.

Si parte con i trattori, noi ne abbiamo sei, e altri mezzi e si va nei campi. In questo periodo si ara, ci si dedica alla manu-

tenzione, alla pulizia delle campagne e delle ripe che devono far arrivare l'acqua. La nostra produzione in questi anni si è ridotta e specializzata ad alcuni prodotti: al mais, ne produciamo circa 6-700 quintali all'anno; al frumento, 1500, al riso, 1200. Ricaviamo quel serve per sopravvivere anche perché i nostri figli nel frattempo si dedicano al giardinaggio». Di fronte alla crescenti difficoltà i Sirtori non hanno pensato nemmeno un momento a cambiare mestiere. «Di certo non la mia famiglia – precisa Roberto – io sono orgoglioso di essere rimasto qui con mio figlio, appassionato della campagna come me. Prima che si iscrivesse alla facoltà di Agraria l'ho più volte ammonito affinché pensasse bene a quello che faceva e a che cosa andava incontro. Non volevo che fosse condizionato da me, ma lui mi ha ripetuto che quella era la sua strada. La laurea lo aiuterà a prendere in mano un po' alla volta le redini dell'azienda. A lui, tecnicamente più preparato di noi, offriremo la nostra esperienza. Perché, checché se ne pensi, un agricoltore deve sapere un sacco di cose».

Antonio Sirtori annuisce compiaciuto all'esposizione del figlio di cui deve essere giustamente orgoglioso. «Peccato – si lamenta - che l'età mi impedisca di andare nei campi. Pensi che io ho passato almeno 40 dei miei 80 anni sui trattatori.

Avevo iniziato a 13 anni... Se mi manca la campagna? Tanto... Ho soprattutto nostalgia della vita di una volta: c'erano più semplicità e serenità. Ci si voleva più bene. Si faticava di più, ma avevamo più pause.

Ora invece il cosiddetto progresso ci costringe ad andare sempre di corsa. E ci uccide».

Parole sacrosante signor Antonio. Da noi condivise.

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12 febbraio 2014

MADEIN SEGRATE a cura di Pep

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TRADIZIONE L’anno prossimo festeggerà i 30 anni di attività il locale aperto da Gerardo Derna, uno dei primi vigili urbani ed ex assessore della città

Paninoteca Cellini, la colazione di Segrate «Avevo colto un’opportunità per i miei figli. L’inizio fu entusiasmante grazie agli uffici sopra di noi di Canale5 con 150 dipendenti. Ora si vivacchia...»

La “Paninoteca Cellini” incastonata sotto i portici dell'omonima via al civico 11, all'angolo con una banca facente parte di un'elegante palazzina rosa-amaranto stile Milano Due, compirà l'anno prossimo 30 anni di attività. Aperta nel 1985, è stata una delle prime a Segrate proprio quando la città abbandonava l'agricoltura e si stava rapidamente trasformando in cittadina industriale, commerciale e di servizi. L'idea di aprire il locale venne a Gerardo Derna, 73 anni, distinto e riservato signore originario di Avellino, noto a Segrate per essere stato per ventidue anni (dal 1963 al 1985) vigile urbano e poi (dall'85 al '90) consigliere comunale del Psi con integrato un assessorato alla vigilanza e al commercio nell'amministrazione di Renato Turri. Colpisce sul suo volto una strana cicatrice-tassello rettangolare posta nella bassa fronte, poco sopra il naso.

«Il ricordo – spiega – di uno spaventoso incidente stradale patito nel 1993 sulla tangenziale. Sono fortunato a raccontarlo», sorride.

Perché l'apertura di questo locale? «Un investimento fatto come spesso fanno i genitori pensando al futuro dei propri figli. Io ne ho tre: Ermanno, Roberta e Guido che con mia moglie Elisa hanno avuto gran parte negli anni a portare avanti il locale – spiega il signor Gerardo seduto a un tavolino del sobrio locale - Poi Ermanno e Guido hanno fatto la loro strada e qui è rimasta solo Roberta, alla quale dal 2001 ho dato in gestione l'azienda. Un lavoro che le piace molto perchè gradisce stare tra la gente e comunicare. Io vengo qui da

vano due perché la città aveva appena 3.500 abitanti. Quindi capirà bene che dopo 52 anni che sono qui, dove ho trovato lavoro avendo anche la possibilità di mettermi al servizio della città, io mi senta segratese fino al midollo. La città mi piace, tra l'altro è una delle poche che possano vantare ancora un po' di verde. Ne sono davvero innamorato, non me ne andrei mai via».

Allora via col bar, la paninoteca e la tavola fredda per venire incontro alle esigenze di quei clienti di passaggio. «Certo, una scelta felice. Questo bar più che i segratesi ha servito ed è servito nei primi anni a operai e impiegati di passaggio oc-

Nel frattempo il locale è stato... scoperto dai segratesi stanziali. Comunque è sempre rimasto come si dice un bar di passaggio nel senso che la gente non staziona qua, non si intrattiene a giocare alle carte...». Nel tempo è anche cambiato il modo di lavorare. «All'inizio ci affidavamo alla nostra produzione, poi siamo passati ai prodotti pronto consumo come merendine e simili per venire incontro alle nuove esigenze della clientela». Signor Gerardo, è valsa la pena fare questo investimento? «Allora sì, oggi come oggi non lo rifarei non perché il lavoro non piaccia, ma perché il ritorno economico non è entusia-

cupati qui in zona. Il locale, che apre ogni mattina alle 7, ha sempre lavorato soprattutto a mezzogiorno: i 35-40 posti interni con altrettanti all'esterno sfruttati d'estate sono sufficienti alla bisogna. Anni fa si lavorava di più, ma la crisi ora ha colpito anche il nostro settore a causa della disoccupazione e della necessità dei clienti di risparmiare.

smante. Ora si vivacchia sperando in tempi migliori...». Nel frattempo la “Paninoteca Cellini” ha accompagnato il “risveglio”, lo sviluppo di Segrate assecondandone la storia nella quale entra a buon diritto come un gioiellino prodotto dal geniale orafo fiorentino Benvenuto Cellini, al cui nome ha afffidato il ricordo e la fortuna.

Il fondatore del bar-paninoteca Cellini, Gerardo Derna, insieme con la figlia Roberta (a destra) e alla collaboratrice Anna. A destra, le vetrine e i alcuni dei tavoli esterni del locale di via Cellini. Sotto, Derna con il nostro Pep

buon padre pensionato a dare una mano di tanto in tanto, ma Roberta e la sua collaboratrice Anna se la cavano benissimo». Una particolare predisposizione per il bar o...?

«No, si trattava di un'opportunità e l'ho colta al volo ragionando sulle prospettive. La città era in espansione, ci voleva anche qualche bar...». Con l'apertura del locale ha agganciato il boom economico dell'epoca...

«Proprio così. Questa palazzina fu costruita qui dove c'era una cascina, una delle tante che c'erano allora a Segrate. Qui sopra vennero subito gli uffici di Canale 5 con circa 150 dipendenti e intorno furono costruiti altri palazzi con sedi

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di aziende. I clienti non mancarono... Quello è stato davvero un bel periodo per il nostro lavoro. Da quel momento ci siamo sentiti ancora più segratesi». “Milan, pan...”, dicevano una volta i nostri vecchi esaltando le potenzialità della metropoli, un detto, una realtà che si adatta anche il suo caso. «Proprio così. Io a Segrate sono approdato

nel 1962. Prima ero stato tre anni a Roma a fare il finanziere. Poi mi sono congedato e sono venuto a Milano in cerca di lavoro trovando occupazione alla Montecatini in zona Bonfadini. Nel 1963 sono diventato vigile urbano di Segrate. Eravamo in due: il signor Fabietti, comandante, e il sottoscritto, suo vice.

Allora – sorride - ne basta-

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26 febbraio 2014

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TRADIZIONE Da trent’anni il negozio di Giorgio Leonardi è il punto di riferimento di un elegante modo di vestirsi di Milano 2 e dell’hinterland

Runner, al passo con l’alta moda sportiva

«Ero in banca, ho realizzato un sogno. Il mio pubblico è soprattutto femminile. Ho vestito tre generazioni. Sos: il commercio nel quartiere muore» Sotto quella nuvola di capelli sale-pepe e dietro quei ristretti occhiali alla moda che evidenziano la sua personalità, Giorgio Leonardi, 57 anni, titolare di “Runner”, boutique di abbigliamento sportivo alla Residenza Botteghe, da anni punto di riferimento di Milano 2, è un vulcano. Un vulcano che erutta passione ed entusiasmo per il proprio lavoro e tanto amore per il proprio quartiere. Suo ospite al bar accanto al suo negozio, Leonardi accompagnato dall'inseparabile iPad si siede al tavolino e propedeutico alla chiacchierata ci apre orgoglioso il giornalino dei residenti dove in prima pagina troneggia un titolo “Dove siete?”, richiamo di un articolo che il signor Giorgio ha scritto nel numero natalizio. Un articolo, si dice, che ha fatto rumore. «Infatti – dice Leonardi, dialetticamente molto vivace – l'ho scritto per smuovere un po' i residenti di Milano 2. Ho ricordato loro come era vivo il quartiere trent'anni fa quando io ho iniziato la mia attività alla residenza Portici con il nome di Piùsport e come è invece ridotto ora con tante, troppe attività chiuse. Una tristezza. Dopo le 17 alle residenze Arti, Mestieri e Portici sembra di essere nel Bronx. Tra le luci soffuse, tante vetrine sono spente, non sorridono più, tante saracinesche sono abbassate, molti uffici abbandonati. Ci si sente insicuri, indifesi, si vive nella penombra e con un po' di paura. E si rasenta il degrado. È così, purtroppo, e parlo di Milano 2, di una realtà urbanistica speciale, bellissima, di un gioiello dove abito anch'io. Preoccupato di questa situazione mi sono sentito quasi in dovere di lanciare un appello ai residenti perché riprendano a

cultura e di spettacolo quali giornalisti, scrittori, attori, pittori che abitano qui». «Ho seguito una passione e ho realizzato un sogno – dice il signor Leonardi, aggirandosi compiaciuto nel negozio a presentarci la merce assistito da Raffaella, la bella commessa dai riccioli corvini, che fa presa – Pensi che fatti gli studi e abbandonata l'università ho trovato occupazione in banca dove stavo facendo una bella carriera. A un certo punto, seguendo un cliente ho saputo che a Milano 2, alla residenza Portici, c'era la possibilità di rilevare un'attività commerciale che stava andando male. Mi sono fatto avanti e ho fatto il grande passo tra le perplessità e i maQui sopra, Giorgio Leonardi insieme con la moglie Lorella (al centro) e la collaboratrice Raffaella allʼinterno del negozio. Sotto, le vetrine presso la residenza “Botteghe”

frequentare il quartiere, a passeggiare sotto i portici, tornino a fare acquisti nei negozi del quartiere per tenere in vita le ultime realtà e magari farne nascere delle altre senza rifugiarsi anonimi nei centri commerciali dove non c'è contatto umano, dove si diventa dei numeri. Un consiglio, sia chiaro. Solo così si può rianimare il quartiere. Concludo questo mio accorato appello con un augurio e cioè che entro pochi mesi dopo esserci chiesti “dove siete cari concittadini”, si possa finalmente dire “ma allora dove eravate?”». Un appello anche pro domo propria? Lo provochiamo. «Veda lei, visto che lavoro in questo quartiere – sorride – ma davanti a tutto c'è l'interesse generale. Io, per fortuna, della mia attività sono ancora contento. Certo la crisi c'è, si sente, non si guadagna più come qualche anno fa, come negli anni ruggenti.

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Anch'io, ad esempio, ho dovuto rinunciare alla commessa a tempo pieno per ripiegare su una a part-time che nella giornata divide il lavoro con mia moglie Lorella. Ho cercato di tenermi a galla coinvolgendo, fidelizzando i miei clienti con iniziative, sconti e promozioni». Il negozio in galleria è davvero di livello.

Attira per l'elegante e il sobrio arredamento, per la qualità della merce esposta che cattura i competenti e magari converte al “Meglio un capo che si nota, che due qualunque...” i meno, ma soprattutto le meno abbienti. Essì, perché il signor Giorgio assicura che almeno il 70% della sua clientela è femminile. Jeans, maglie, felpe, piumini, giacche, scarpe, costumi da bagno e via discorrendo sono di marca, le più prestigiose e conosciute quali Aspesi, Canadian, Lacoste, Dimensione danza, Freddy, Converse, Re-

play, New Balance, G-Star, Sundek. Un negozio di abbigliamento sportivo di qualità dove il cliente ha solo da scegliere. « È difficile – interviene Giorgio - che chi entra non trovi un articolo di suo piacimento e non esca soddisfatto.

Noi siamo qui per un suggerimento in base alle esigenze.

E anche per eventuali reclami.... Negli anni ho servito clienti illustri come Patty Pravo, Enrico Mentana, Little Tony, Bobby Solo, la Cuccarini, le veline di Striscia la Notizia e tanta altra gente di

lumori dei miei genitori che non capivano come potessi buttarmi nell'avventura abbandonando un posto sicuro come allora era considerato quello in banca. Pazienza, ho fatto di testa mia ma ho avuto ragione. Nell'avventura ho coinvolto anche mia moglie Lorella che lavorava in una casa editrice e con la quale ho avuto due figli, Martino, 23enne, dottore in economia e commercio e Oliviero, 18 anni, che frequenta il liceo classico. Nel negozio che allora si chiamava Piùsport ho

riversato tutta la mia passione per lo sport dopo essere stato un buon calciatore, ero un trequartista-fantasia fino alla serie D, mi chiamavano il.... Riverino, e aver praticato lo sci e il tennis. Infatti ho iniziato la mia attività con articoli per sci e tennis che ho ben presto abbandonato perché poco remunerativi e mi sono dedicato con ottimi risultati all'abbigliamento sportivo di qualità, che ho sempre tenuto da quando circa vent'anni fa mi sono trasferito qui alla Residenza Botteghe dove praticamente ho vestito tre generazioni». Un'attività che, come tutte, ha preteso attenzioni alla moda e aggiornamento sulle tendenze. «È fondamentale – s'illumina Giorgio – cogliere per tempo il giro del vento.

Col passare degli anni la gente ha preferito abbandonare la moda paludata per convertirsi a un modo di vestire sportivo, elegante e pratico sia in ufficio che nelle occasioni importanti. I piumini hanno sostituito le pellicce, il giaccone il cappotto e via discorrendo. La conversione è stata veloce e ha fatto proseliti. Negli anni Novanta e Duemila c'è stato il boom, ho avuto grandi soddisfazioni anche nei fatturati assestatisi ora sul medio-alto, quello che basta per mantenere il tenore di vita della mia famiglia.

Quali sono i miei clienti? All'inizio erano soprattutto di Milano 2, poi sono arrivati anche i segratesi e i milanesi.

Ci aiuta molto il passaparola di chi da noi è sempre stato trattato bene, con onestà e rispetto». Perché “Runner”, signor Giorgio? «Perchè nella vita bisogna sempre correre, guardare avanti, rinnovarsi...». Chi si ferma e non è spinto da passione e orgoglio, è perduto.

Pep

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PREVENTIVI A DOMICILIO SENZA IMPEGNO Via Borioli, 34 - 20090 Lavanderie di Segrate (MI) Tel/Fax 02 26950424 - Cell. 338 9975098 Orari: da martedì a sabato 9.00-12.30 15.30-19.30 mail: agtende.segrate@tiscali.it LUNEDÌ CHIUSO AG Tende di Grassa Alessandro

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redazione pubblicità amministrazione

12 marzo 2014

MADEIN SEGRATE a cura di Pep

Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali con alle spalle una tradizione degna di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i mestieri in... via di estinzione. Segnalateci queste realtà al numero 02.2139372 o scrivendoci a redazione@segrateoggi.it.

Nei precedenti numeri: 2014: Runner Abbigliamento (26/2); Bar Cellini (16/2); Azienda agricola Sirtori (29/1); 2013: Officina Gementi (4/12); Impresa funebre Preatoni (20/11); Boutique Pirola (6/11); Bar Tabaccheria Parati (9/10); Riparazioni audio-video Casletti (25/9); Laboratorio Orologi Sergio

redazione@segrateoggi.it tel/fax 02.2139372 via Benvenuto Cellini 5 www.segrateoggi.it

Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Aldo Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2); 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

PRESTIGIO Da trent’anni sulla breccia, gli architetti di San Felice sono conosciuti nel mondo (“tranne a Segrate”) per i progetti realizzati ai Giochi

Lo Studio Zoppini sale sui podi olimpici

Il boom con l’Oval di Torino 2006, poi Sochi e in futuro i Giochi in Corea e Croazia. «Il segreto? Pensare alla gestione degli impianti, non solo all’evento» «Dopo trent'anni che siamo sul territorio solo ora vi accorgete di noi...», si lamenta alla richiesta di un incontro l'architetto e commendatore Pino Zoppini – titolare con il figlio Alessandro dell'omonimo Studio Zoppini Associati di San Felice – ignorando che anche la sua prestigiosa attività era nell'agenda di “Segrate Oggi”, che da oltre un anno setaccia il territorio per illustrare le attività commerciali, artigianali, industriali e professionali che abbiano alle spalle una tradizione o un'innovazione degne di essere conosciuti.

Comprensibile il sussulto d'orgoglio ferito dell'architetto che poi, durante l'incontro nella sede dello studio in 7ª Strada, precisa il bersaglio del suo lamento, vale a dire le istituzioni di Segrate.

«Che nonostante la disponibilità – dice – in tutti questi anni non ci hanno mai interpellato o coinvolto in nessun progetto. Purtroppo anche qui come del resto in Italia la meritocrazia è un optional. È proprio vero, nessuno è profeta in patria».

L'architetto (Ambrogino d'oro 2002 del Comune di Milano) si riferisce alla progettazione sportiva, ma non solo, per la quale il suo studio è conosciuto, apprezzato ed è stato premiato in campo internazionale. Il boom dopo la progettazione e il successo dell'Oval di Torino per le Olimpiadi invernali del 2006 e, in questi giorni, a Sochi dell'Oval per il pattinaggio di velocità (teatro delle prodezze della valtellinese Arianna Fontana, tre medaglie nello short track) e del Palazzo della danza, 12.000 posti, dove Carolina Kostner ha finalmente vinto, con angeliche esibizioni, una medaglia (bronzo) alle Olimpiadi, l'unica che mancava alla sua prestigiosa carriera. «Progetti – precisa l'architetto Zoppini con legittimo orgoglio – ai quali avevano partecipato grandi firme mondiali». Ma prima c'erano stati anche le costruzioni del-

e comparazioni, che grazie al suo talento gli ha consentito di sviluppare progetti all'avanguardia per venire incontro alle esigenze dello sport e degli sportivi (50 impianti realizzati in tutta Italia, ma non a Segrate...). Il primo studio professionale aperto a Milano alla fine degli anni Settanta in via Andrea Costa, il matrimonio con la signora Jole dalla quale ha avuto due figli (Marco di 44 anni e Alessandro di 46, padre di Beatrice, 12 anni e Federico, 10, “nipotini adorabili”). Uno dei due figli, Marco, intraprende la propria strada mentre l'altro, Alessandro, segue l'attività di papà come architetto. E in tale veste fa importanti esperienze parallele all'estero: insegna alla Michigan University di Detroit, poi si trasferisce in Inghilterra e torna in Sopra, lʼarchitetto Pino Zoppini, 77 anni, nel suo studio con alle spalle alcuni dei suoi progetti. In basso, lʼOval di Torino 2006 e lʼinterno dellʼAdler Arena Sochi 2014

lo stadio di Ryad in Arabia, la piscina di Rijeka in Croazia, il Centro sportivo della Sciorba a Genova, prima piscina italiana con tetto e fondo mobile.

«Progetti apprezzati, visitati e consultati di cui andiamo fieri – dice l'architetto, 77 anni, uomo riflessivo e meticoloso, fisico che ricorda un po' quello di Bud Spencer, bella capigliatura sale-pepe, un accenno di barba bianca – frutto di grande lavoro in equipe, di progettazioni meticolose di cui è responsabile mio figlio Alessandro».

Uno studio con sette dipendenti (che diventano 15 e più nei momenti del... boom) che ha già messo la firma sulla progettazione del Palasport olimpico per i Giochi invernali del 2018 a Pyeongchang in Sud Corea e che è coinvolto nella realizzazione di alcune opere alle Olimpiadi del 2022 se nel 2015 verranno assegnate a Cracovia, in Polonia. Lo studio Zoppini è frutto della storia personale del

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Federico Viganò Beppe Maseri, Raffaella Turati REALIZZAZIONE GRAFICA: Federico Viganò HANNO COLLABORATO: Anna Olcese, Enrico Sciarini, Giulia Di Dio, Federica Nin, Elena Azzolini --E-MAIL: redazione@segrateoggi.it SITO INTERNET: www.segrateoggi.it FACEBOOK: Segrate Oggi TWITTER: @segrateoggi STAMPA: Seregni Cernusco S.r.l. - via Brescia 22 Cernusco sul Naviglio (MI) --Milano Communication srl via Cellini 5 - 20090 Segrate (MI) TEL/FAX: 02.2139372 P.IVA 05365660967 E-MAIL: amministrazione@segrateoggi.it PUBBLICITÀ: 02.2139372 - 349.1750560 REDAZIONE:

Registrazione Tribunale di Milano n.369 - 19/11/1974

signor Pino, nato a Milano in piazzale Loreto, figlio di un costruttore edile e di una casalinga, laureatosi architetto nel 1961 al Politecnico di Milano e appassionato di sport. Una vita e carriera parallele tra la professione di architetto e di sportivo.

Negli anni Cinquanta, infatti, Zoppini è stato buon nuotatore a livello agonistico («Non certo una star», sorride) per la Rari Nantes Milano, poi allenatore della stessa società (una trentina di titoli italiani vinti), quindi uno dei tecnici responsabili della preparazione dei nuotatori alle Olimpiadi del 1960 a Roma; dirigente responsabile del settore squadre nazionali di nuoto alle Olimpiadi di Monaco 1972 (quella della strage degli atleti israeliani a opera del gruppo terroristico “Settembre nero”, ma per noi italiani anche quella dell'exploit di Novella Calligaris argento nei 400 sl e bronzo nei 400 misti e 800 sl). Per otto anni Pino Zoppini è consigliere fe-

derale del nuoto; alla fine degli anni Settanta membro della giunta del Coni come responsabile del settore impianti sportivi e, infine, dal 1994 al 2010 presidente del Coni Lombardia di cui ora è presidente onorario.

Tanta esperienza, maturata nel settore con confronti, riflessioni

Italia ad arricchire il proprio bagaglio presso studi importanti tra cui quello di Renzo Piano.

Nel 1990 lo studio si trasferisce a San Felice dove il fondatore abita. La progettazione degli impianti sportivi sono stati la vocazione e ora sono il fiore all'occhiello dello studio. Il perché

del successo viene dalla loro concezione: una progettazione non fine a se stessa. «Per tanti anni troppi impianti – si rammarica Zoppini – sono andati in malora dopo la prima utilizzazione, perché in Italia c'è una scarsissima cultura sportiva a 360 gradi: dirigenti e progettisti spesso sono andati per conto loro seguendo senza discutere le decisioni dell'assessore di turno, spesso digiuno della materia».

Invece la progettazione deve essere affidata al concetto della costruzione di una macchina che per avere successo deve, scandisce l'architetto, «avere un buon motore, una buona estetica e consumare poca benzina». L'idea ispiratrice «è la loro utilizzazione futura per rispetto degli investimenti pubblici e privati: bisogna chiedersi in che modo potranno essere ancora usati questi impianti dopo l'evento ed è così che abbiamo vinto tanti concorsi. Quindici giorni dopo le Olimpiadi, ad esempio, l'Ovale di Torino è stato utilizzato per una mostra di auto: ogni opera va concepita con il concorso del committente, del progettista e del gestore. È in questa fase che si decide la cilindrata della macchina, quella che il gestore può permettersi. Purtroppo in Italia ci sono impianti sovra o sotto dimensionati. Un drammatico sperpero di capitali». Nella sua intensa attività l'architetto Zoppini ha pure trovato tempo e modo di fondare e dirigere per 38 anni una bella rivista, “Impianti”, che parlava di sport, verde, piscine e fitness dedicata quindi all'ambiente e alle tematiche che lui ama. «Era il mio fiore all'occhiello anche quando andavo in giro per il mondo.

Purtroppo a causa della lunga crisi, del prosciugamento progressivo della pubblicità che la teneva in vita, è stata... impallinata l'anno scorso», intristisce l'architetto Zoppini. E noi con lui.

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26 marzo 2014

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Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali con alle spalle una tradizione degna di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i mestieri in... via di estinzione. Segnalateci queste realtà al numero 02.2139372 o scrivendoci a redazione@segrateoggi.it.

Nei precedenti numeri: 2014: Studio Zoppini (12/3); Runner Abbigliamento (26/2); Bar Cellini (16/2); Azienda agricola Sirtori (29/1); 2013: Officina Gementi (4/12); Impresa funebre Preatoni (20/11); Boutique Pirola (6/11); Bar Tabaccheria Parati (9/10); Riparazioni audiovideo Casletti (25/9); Laboratorio Orologi Ser-

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gio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Aldo Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2); 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

PRESTIGIO Da quasi 40 anni, la famiglia di Simone Siniscalchi è titolare del salone da parrucchiere Jean Louis David alla residenza Botteghe di Mi2

Che soddisfazione valorizzare le donne Una fortunata tradizione iniziata da mamma e papà – «Un lavoro che mi appassiona: mi porto i ferri del mestiere anche in vacanza» «Mi piace la donna e mi piace aiutarla a rendersi bella. La mia più grande soddisfazione è vederla uscire dal mio locale soddisfatta e sorridente», è il proclama che Simone Siniscalchi – 46 anni, parrucchiere, titolare dal 2000 del salone “Jean Louis David” alla residenza Botteghe di Milano 2, aperto dal padre 38 anni fa – scandisce davanti alla moglie, la signora Antonella, con capelli biondo platino, receptionist e amministratrice del locale, che l'ascolta compiaciuta.

Al momento dell'incontro pomeridiano, il lavoro ferve nel luminoso locale nel quale lavorano otto dipendenti.

«Solo donne, alcune qui da 20 anni, perchè con me gli uomini resistono poco in quanto voglio essere io l'unico gallo...», sorride Simone, moro, uomo mite e pacato con il viso incorniciato da un filo di barba ben curata che gli conferisce l'autorevolezza del... maestro, qual'è riconosciuto per preparazione e la lunga esperienza, nonostante la giovane età.

«L'età – ci spiega Siniscalchi – scandisce questa professione come quella dei calciatori: si inizia da ragazzi, si è al top fino a sessant'anni poi è opportuno farsi da parte. Perchè non ci sei più con la testa, perchè in questa professione ti senti superato e non stai più al passo coi tempi, con gli aggiornamenti che sono continui come nella moda. Il nostro marchio Jean Louis David, al quale abbiamo aderito in franchising nel 1987, organizza corsi e sfilate due volte l'anno...».

Parrucchiere è un modo di essere, è nel Dna della famiglia Siniscalchi. «Parrucchieri – dice Simone – sono

pressi dell'ospedale San Raffaele».

I Siniscalchi autentici re Mida... interrompiamo il suo racconto. «Tanta, tantissima passione, dedizione e sacrifici e anche un po' di fortuna che non guasta nella vita – conviene Simone – e poi l'opportunità di entrare nel marchio Jean Louis David, una catena con 1.000 punti vendita nel mondo, di cui 300 in Italia, che è uno stimolo a non stare mai fermi, a restare sulla cresta dell'onda. Come già detto, per i suoi aderenti la casa organizza corsi di aggiornamento e di formazione due volte all'anno per illustrare i nuovi tagli, le nuove mode e tendenze, i nuovi colori ora privi di ammoniaca che, Simone Siniscalchi con le sue collaboratrici allʼingresso del Salone presso la residenza Botteghe di Milano 2.

Sotto, Siniscalchi insieme con lo staff tutto femminile

stati mio padre Michele, di origine salernitana, morto quattro anni fa e mia madre Ida, friulana. Si erano conosciuti giovanissimi a Milano dove si erano trasferiti entrambi bambini facendo lo stesso mestiere, si sono sposati, hanno aperto un locale insieme in via California. Parrucchieri siamo diventati io e mia sorella Bianca; nel 1973 siamo arrivati a Segrate a lavorare in un appartamento e nel 1976 ci siamo trasferiti qui, in questo locale che poi abbiamo acquistato con grandi sacrifici. Grazie a mio padre Michele, grande professionista e uomo carismatico che ha lasciato un' impronta indelebile, tanto che ancora oggi molte clienti di lungo corso chiamano ancora me Michele, l'attività è andata subito bene. E l'abbiamo aperta anche agli uomini che conferiscono più dina-

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micità al locale: la battuta, il complimento, tutto serve a creare una simpatica atmosfera. La clientela – continua Simone – non mancava ed era di livello, anche perché qui a Milano 2 abitano uomini e donne famosi della cultura e dello spettacolo. Mio padre intratteneva rapporti confidenziali anche con Silvio Berlusconi».

Insomma tutto è andato per il meglio. «Grazie al cielo, meglio del previsto – sorride Siniscalchi – tanto che io e papà abbiamo aperto un salone anche a Brugherio e a Lecco dove poco dopo si è trasferita mia sorella Bianca che lì, di locali, ne ha aperti altri otto. Nel frattempo, nel 1996, mi sono sposato con Antonella che mi ha dato due figlie, Viola e Chiara di 9 e 11 anni. Nel 2000 papà si è ritirato lasciandomi al 100% questa attività che, con mia moglie

e la grande dedizione delle nostre collaboratrici, abbiamo incrementato permettendoci di aprire un altro salone alla Galleria delle Botteghe in via Olgettina, nei

a parte l'odore sgradevole, rovina i capelli. La casa fornisce anche i prodotti che sono di prima qualità».

Che cosa sono per lei i capelli? «La materia prima

donata dalla natura alla donna che mi consente di valorizzarla, di renderla più bella. Una bella acconciatura spesso la trasforma. Mentre un uomo spettinato o con i capelli in burrasca può essere interessante, una donna spettinata o con i capelli sporchi invece non è un bel vedere». Rapporti con le clienti che forniscono il 70% del lavoro? Le donne, si sa, sono particolarmente esigenti... «Certo – interviene la signora Antonella – servono educazione, rispetto e sensibilità: ciascuna cliente ha proprie personalità ed esigenze. Per soddisfarla occorre instaurare empatia. E non bisogna mai dimenticare che il cliente viene qui per regalarsi un momento di relax che non va turbato». Scusi signor Simone, perchè si diventa parrucchiere? «Di solito perchè si è lazzaroni a scuola – sorride – Succede agli uomini, ma soprattutto alle donne (una giovane dipendente annuisce con un sorriso nel sentire, n.d.r.). Di solito va così, ma se non c'è la passione per questo mestiere non si fa strada. È tale la mia passione che mi sento in servizio anche in vacanza dove porto pettini, spazzole e quant'altro. E lì do libero sfogo al mio estro. L'acconciatura la decido io, non la cliente, amica, parente o conoscente che sia che voglia mettermi alla prova».

Simone esalta la sua passione e la sua professione con una battuta. «Pensi che grazie al mio mestiere io ho la fortuna di toccare i capelli, accarezzare e coccolare le donne e di essere pure pagato...». La signora Antonella abbozza uno stiracchiato sorriso...

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9 aprile 2014 Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali con alle spalle una tradizione degna di essere conosciuta. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i mestieri in... via di estinzione. Segnalateci queste realtà al numero 02.2139372 o scrivendoci a redazione@segrateoggi.it.

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PRESTIGIO Ha sede all’Idroscalo la più grande società sportiva di Milano e Provincia con 16mila iscritti e un bacino di 200mila universitari

Cus Milano, la grande balena dello sport Organizza e gestisce lo sport per gli studenti (i campionati milanesi e dal 16 al 25 maggio quelli italiani) ma la società è aperta a tutti È il Cus Milano (Centro universitario sportivo, fondato nel 1947 per “promuovere l'attività fisica”) con sede sul segratese suolo dell'Idroscalo, nei pressi della Punta dell'Est, la società sportiva più grande di Milano e provincia. Con 16mila iscritti, pesca in una base di 200mila studenti, quelli delle sette università milanesi: tre statali (Statale, Bicocca e Politecnico) e quattro private (Cattolica, Bocconi, Iulm e Vita-Salute del San Raffaele). Il Cus, che si rivolge ai giovani studenti, interpreta al meglio il famoso, tangibilissimo detto popolare latino “mens sana in corpore sano”.

Di Cus in Italia ne esistono una cinquantina che costituiscono il Cusi (Centro universitario sportivo italiano) affiliato al Coni, organizzatore dei mondiali universitari e delle Universiadi estive e invernali, manifestazioni che hanno rivelato e confermato campioni di alto livello. Presidente del Cus Milano, che ha come motto “Lo sport aiuta a crescere, aiutalo a crescere”, è l'ingegner Alessandro Castelli, 64 anni, al suo secondo mandato: direttore centrale della Sol, industria chimica da 5mila dipendenti con sede a Monza e stabilimenti in tutta Europa, un passato di buon livello nell'atletica leggera (800 mt con otto maglie azzurre e un titolo italiano, nel 1971, nella specialità), ex consigliere nazionale della Fidal (Federazione italiana di atletica leggera) e responsabile dell'organizzazione di numerose manifestazioni internazionali svoltesi a Milano. Un impegno non indifferente, che in aggiunta al suo lavoro pensiamo lo faccia sentire come in una centrifuga. «Non c'è un attimo di sosta – conviene Castelli – per fortuna posso contare su uno staff di collabora-

tori davvero eccezionali, altrimenti... Il Cus oltre a promuovere per statuto l'attività ludica, si occupa anche della parte agonistica e per questo organizza ogni anno i campionati milanesi che comprendono diversi sport e tengono impegnati gli studenti da ottobre a giugno. Quest'anno poi è toccato a noi l'onore e l'onere di organizzare i campionati nazionali universitari che si disputeranno dal 16 al 25 maggio. Il Cus Milano è particolarmente motivato perché è star della manifestazione gra-

In alto, il presidente Alessandro Castelli. Sotto, il responsabile organizzativo Fabrizio Iacuzzo e Matteo Fontanesi, direttore marketing. Sopra il Palacus Idroscalo

zie a un filotto, a partire dal 2006, di otto edizioni consecutive vinte. Come può ben immaginare, il lavoro ferve e non c'è tempo da perdere. Il mio compito come presidente dell'associazione è quello di coordinare tutte le attività che comprendono anche la gestione degli impianti e reperire le risorse finanziarie per far quadrare il bilancio che l'hanno scorso è stato di 1,6 milioni di euro». Non uno scherzo.

In una sua improvvisa apparizione l'inafferrabile e schivo Fabrizio Iacuzzo, 59 anni, laureato Isef, da tre anni responsabile della struttura organizzativa del Cus Milano, ci fornisce telegraficamente le dimensioni dei campionati italiani universitari che lo vedono impegnato al fronte. «Le di-

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scipline saranno 27 e si disputeranno su 18 impianti. Richiameranno a Milano e Provincia circa 4mila atleti, più gli accompagnatori, che dovranno essere sistemati in alberghi o centri sportivi. Costo dell'organizzazione? Circa 300mila euro. Scusi, devo correre, ho un appuntamento...».

In bocca al lupo.

Matteo Fontanesi, 36 anni di origine valtellinese, segratese d'adozione, un passato sportivo come giocatore fino alla serie B e allenatore (l'attività continua) nel volley, anche cittadino, è da due anni il responsabile comunicazione e marketing del Cus Milano. Fontanesi, fisico massiccio (più da rugbista che da pallavolista) ci riceve cordiale al Palacus Milano a bordo Idroscalo, at-

tuale sede della società che vent'anni fa era in via Vivaio a Milano: una moderna costruzione in vetro-cemento rispettosa dell'ambiente, adagiata su un'oasi verde, sogno di chi ama praticare sport tra la natura e la tranquillità. Nel centro, che occupa un'area di 20mila mq, ci sono la sede con gli uffici amministrativi, organizzativi, la segreteria, un'ampia sala riunioni affittabile alle aziende per i meeting, due palestre polifunzionali (basket e volley), due campi da tennis coperti, due per il beach volley, un campo da calcetto, un centro fitness e un deposito barche del canottaggio che ha qui il suo regno.

Fontanesi ci illustra lo spirito dell'associazione e ci porta nei meandri organizzativi della

grande balena. «Il Cus Milano offre e organizza l'attività sportiva a livello ludico e agonistico a un grande numero di utenti che non sono solo gli universitari. Per quest'ultimi ci sono ogni anno i campionati universitari milanesi ai quali partecipano circa 1.200 studenti impegnati in diversi discipline: calcio a 11 maschile, calcio a cinque femminile, basket e volley maschile e femminile, rugby a sette, tennis, beach volley e golf. Ogni università ha squadre ufficiali che li rappresenta nelle varie discipline. Alla fine vince l'istituto che ha globalmente ottenuto il maggior punteggio. Si tratta di un'attività agonistica di livello abbastanza alto nella quale sono impegnati atleti anche noti e affermati, come ad

esempio Alessandro Preti del Volley Segrate. Una realtà, questa dei campionati, possibile solo a Milano grazie alle sue sette università, con un vasto bacino a cui attingere, e non in altre città come Torino o Bologna dove ne esiste una sola ma dove, per contro, l'osmosi tra università e città è più forte».

Ma l'attività del Cus Milano non si ferma agli universitari, offre la possibilità di fare sport a tutti per ogni esigenza e disciplina, dai bambini alla terza età, organizzando corsi e assistenza con istruttori diplomati. «Il Cus Milano è aperto a tutti, chiunque si può iscrivere», ripete Fontanesi. La tessera di iscrizione base costa 16 euro, con altre variazioni di quota, e oltre alla possibilità di fare sport a buon mercato e sicuro nei vari impianti esterni (quali il Giuriati e la palestra della Bicocca) gestiti dalla società, garantisce anche un'assicurazione. Introiti che ovviamente non basterebbero da soli alla sopravvivenza, se non arrivassero anche i contributi delle varie università e degli sponsor. Gli studenti, chiediamo, sono contenti delle iniziative del Cus Milano? «Il trend dei tesseramenti e della partecipazione ci indica che stiamo lavorando bene – sottolinea Fontanesi – L'aderenza alle esigenze della categoria c'è, compresa la politica dei costi calmierati in quanto non possiamo mai dimenticare che l'universitario è un soggetto economicamente debole».

L'unico neo, se così lo si vuol chiamare, è che il bello e funzionale centro Palacus all'Idroscalo è poco accessibile agli studenti da Milano. Ma chi vuole fare sport trova sempre tempo e modo per risolvere questo piccolo problema.

L'importante è avere gli impianti.

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7 maggio 2014

MADEIN SEGRATE a cura di Pep

Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali con alle spalle una tradizione degna di essere conosciute. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i mestieri in... via di estinzione. Segnalateci queste realtà al numero 02.2139372 o scrivendoci a redazione@segrateoggi.it.

Nei precedenti numeri: 2014: Cus Milano Idro-

scalo (9/4); Salone parrucchiere Siniscalchi (26/3); Studio Zoppini (12/3); Runner Abbigliamento (26/2); Bar Cellini (16/2); Azienda agricola Sirtori (29/1) 2013: Officina Gementi (4/12); Impresa funebre Preatoni (20/11); Boutique Pirola (6/11); Bar Tabaccheria Parati (9/10); Riparazioni audio-video Casletti (25/9); Laboratorio Orologi

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Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Aldo Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2) 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

TRADIZIONE Aperto 46 anni fa dal rimpianto Gianmario Peviani, il locale è diventato negli anni punto d’incontro e testimone della vita sociopolitica

Da sempre il... Bar Centrale di Segrate La gestione è ora affidata, “nel nome del padre e dei suoi insegnamenti”, ai figli Fabio e Fabrizio e alla discreta supervisione di mamma Lucia Qual è, quale è sempre stato “il bar” di Segrate? Risposta unanime: il “Bar Centrale”, o più semplicemente “da Gianmario”, sotto i portici al 27 di via XXV Aprile. Qui dal 1 luglio del 1968, quindi da 46 anni, come ricorda la scritta su una vetrina. Più che un bar, un incrocio della vita sociopolitica della città e un simpatico ritrovo per amici e clienti.

Il fondatore è stato il conosciutissimo Gianmario Peviani, morto nel febbraio del 2010 a 72 anni, compianto da tutta la città. «Un uomo carismatico, grande aggregatore che aveva la battuta giusta al momento giusto, per ogni cliente e in qualsiasi situazione», lo ricordano ammirati i figli Fabio e Fabrizio, rispettivamente di 47 e 40 anni, che ora amministrano il locale con la discreta sorveglianza di mamma Lucia, fisico di una freschezza invidiabile, «che non riesce a fare a meno di trascorrere qui qualche ora ogni giorno».

Prima di aprire il locale il signor Gianmario, lodigiano di origine, era in gioventù collaudatore delle macchine da caffè (Faema e Gaggia le “firme” di allora, vale a dire fine anni Cinquanta- inizio anni Sessanta, che cominciavano a invadere il mercato).

Da qui è nata la sua vocazione di aprirsi un bar, di stare nell’ambiente che conosceva. «Quando papà ha aperto il locale qui intorno c'era ancora la campagna – ricordano Fabrizio e Fabio, più asciutto il primo, più loquace il secondo – La strada era in terra battuta e finiva dove passava un fos-

«All'inizio – ricordano i fratelli Peviani – eravamo in pochi a Segrate, anche i mezzi di trasporto erano scarsi. Così papà aveva avuto l'intuizione di mettere un biliardo per intrattenere i clienti che così non avevano motivo di andare a Milano, visto che allora il locale chiudeva alle due di notte. A mettere a loro agio gli avventori contribuivano papà e mamma con la loro disponibilità e cortesia. A loro è sempre piaciuto stare in mezzo alla gente. Oltretutto papà faceva parte del gruppo di amici “Quei del funtanun” che raccoglievano foto vecchie e ricordi di Segrate per farne dei calendari. Una I fratelli Fabio (a sinistra) e Fabrizio Peviani, con al centro mamma Lucia, gestori dello storico “Bar Centrale” sotto i portici di via 25 Aprile, fondato da papà Gianmario nel 1968 e teatro del cambiamento dei costumi dei segratesi nel corso degli anni. A lato, unʼimmagine della sala interna dove i clienti si fermano a gustare il caffè

sato. È stato negli anni Settanta, con la costruzione proprio qui di fronte del vecchio municipio, ora centro Verdi, che il locale ha avuto un autentico boom, favorito dall'andirivieni di cittadini che venivano a sbrigare le pratiche, e da quello continuo di politici abituati a incontrarsi qui, prima o dopo i Consigli comunali. Da Milano 2, dove non c’era un ufficio anagrafe, approdavano nel nostro locale anche personaggi illustri residenti in quel quartiere, come Gullit, Van Basten, il povero Raimondo Vianello, e molta altra gente della cultura e dello spettacolo. Oltre che per

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queste circostanze, alla fortuna del locale ha senza dubbio giovato negli anni la continuità di gestione, che altri cambiavano spesso e che non contribuisce a creare e a mantenere l'ambiente. Per non parlare di questi tempi, dell'avvento dei cinesi che parlano poco e non conoscono l'arte del fare il caffè... Intrattenere i clienti è facile e difficile nello stesso tempo. Sono indispensabili cortesia e avere l'occhio sempre avanti, ricordare le loro abitudini per anticipare le loro ordinazioni. Così si sentono considerati, coccolati e in famiglia».

Niente sembra più indovi-

nato del nome “Bar Centrale”, dato da Gianmario al suo locale posto proprio al centro della vita del paese, man mano diventato città.

iniziativa simpatica, aggregante».

I figli stanno conducendo il locale nel... nome del padre, secondo i suoi insegna-

menti. Entrambi hanno iniziato a stare al bar e a imparare il mestiere da ragazzini, intorno ai 15-17 anni.

Questo lavoro è nelle corde di entrambi («altrimenti avremmo fatto qualcosa d'altro...») perchè oltre al piacere di stare con la gente, il bar – che ora è “di passaggio” e ha una clientela eterogenea di giovani, anziani, mamme e bambini – è anche un osservatorio speciale, un termometro della città. «Qui si intuiscono sempre gli umori della gente su vari argomenti, si capisce dove tira il vento.

E spesso capita di cogliere i malumori dei politici prima e dopo i Consigli comunali, che si rimproverano: “Ma come, da... Gianmario avevamo deciso una cosa , ma all'atto pratico ne abbiamo decisa un'altra...”».

In questo bar di lunga tradizione, si coglie anche la storia delle abitudini e dei gusti mutati dei clienti.

«Anni fa, oltre ai soliti caffè, cappuccini e brioche, andavano di moda gli alcolici e i superalcolici, un poco alla volta sostituiti dagli aperitivi con stuzzichini di contorno, per i quali ora è un autentico boom. Noi per l'orario degli aperitivi prepariamo al banco un piccolo buffet». Ubriachi? Cose strane o... chiassose? «Raramente, anche perchè qui non ci si sofferma a lungo».

La crisi? «La sentiamo anche noi e se la sente anche il bar, vuol dire che c'è davvero. Dopo il 20 del mese i soldi cominciano già a scarseggiare nelle tasche di molti... Ma si tira avanti, non molliamo...». Nel nome di papà Gianmario.

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TRADIZIONE Genovesi di origine, i coniugi Grazia e Luigi (giornalista di lungo corso) sono da oltre 40 anni i punti di riferimento del quartiere

Famiglia Parodi, l’anima di San Felice Hanno fondato Sanfelicinema (un’istituzione), la biblioteca “La Scighera”, il giornalino locale e sono, in ogni modo, al servizio volontario di tutti Il Made in Segrate “produce” anche una famiglia, quella dei coniugi Luigi e Grazia Parodi che da sempre a San Felice, vale a dire da più di quarant'anni – da quando cioè è venuta ad abitarci quasi da “pioniera” nel 1972 – si prodiga facendo volontariato per il quartiere e il prossimo. Soprattutto nella cultura. Con ruoli e in campi diversi i coniugi Parodi, originari di Genova, hanno partecipato alla fondazione di “Sanfelicinema”, diventato negli anni sala di cinema d'essai ormai nota anche nell'hinterland milanese, a quella di “7 giorni a San Felice”, giornalino periodico del quartiere che esce da 41 anni, alla fondazione della biblioteca “La Scighera” (la milanese... nebbia), alla creazione di una piccola compagnia di teatro (nella quale Luigi recita ancora) e poi, sempre in collaborazione stretta con la parrocchia, all'organizzazione di corsi di informatica per anziani, feste di quartiere, tornei sportivi e beneficenza. E chi più ne ha, più ne metta. A San Felice i Parodi sono conosciutissimi, sono un'istituzione. «Ci è sempre piaciuto dare una mano, renderci utile agli altri... – dicono i coniugi Parodi – Si rivolgono a noi, ci rendiamo disponibili per quello che possiamo fare.

Pare che si fidino di noi dal momento che alcuni ci affidano anche le chiavi di casa per intervenire in caso d'urgenza».

Per capire che cosa hanno fatto e fanno per il quartiere («Mica da soli, non siamo gli unici e non vogliamo apparire degli eroi», continuano a precisare) bisogna spiegarli, conoscerli un po' i Parodi che hanno due figlie (Raffaella e Beatrice) e cinque nipoti. Lui, Luigi, 80 anni ottimamente portati (un perticone asciutto “sfruttato” in gioventù e a buon livello dall'amato basket), appassionato di sport, specie il tennis,

Da quasi quarantʼanni è il “grande schermo” dei segratesi: i coniugi Grazia e Luigi Parodi allʼinterno della sala del “Sanfelicinema”. Qui a fianco, un “cimelio” che tra poco non ci sarà più: il vecchio proiettore di pellicole

giornalista in pensione (ha lavorato per “Il Mercantile” di Genova, per “La Notte” di Milano quando anch'io collaboravo, e soprattutto come inviato per “Famiglia Cristiana”) premiato poco tempo fa per i 50 anni di iscrizione all'Albo. Lei, la signora Grazia, pacata, amante dell'arte, attitudine all'insegnamento che ha esercitato per tre anni anche all'Actel di Segrate, l'Università della Terza Età. Battibeccano di continuo, si correggono a vicenda su mille cose. Apparentemente hanno poco in comune (lui, ad esempio, tifa Genoa, lei Samp, lui è cattolico praticante, lei «molto meno ma mi sto riscattando nel finale...»): «Ma stiamo bene insieme da 50 anni...

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– sospira lei – Ci siamo conosciuti all'epoca del liceo: anch'io giocavo a basket, eravamo grandi amici, come tali ci siamo sposati e siamo rimasti.

Siamo cresciuti e invecchiati insieme, facciamo vita vera...».

A suo tempo non erano d'accordo nemmeno sulla scelta di venire a vivere a San Felice.

«Il quartiere era appena stato costruito – dice Luigi – Io ne avevo sentito parlare e ne avevo scritto per La Notte, ma mi chiedevo come si potesse lasciare Genova o Milano per andare a vivere in un quartiere simile avvolto dalla nebbia. Mi ci ha trascinato mia moglie che si era fatta convincere da una sua amica ai giardini. Una volta qui, in mezzo a tutto questo

verde perfino eccessivo, alla possibilità che il quartiere offriva di fare vita all'aperto, di praticare sport in tranquillità, senza caos, nè pericoli, ho cominciato ad affezionarmici e poi ad amarlo. Ora la penso esattamente all'opposto di anni fa e mi chiedo come si possa vivere a Milano. Qui si sta proprio bene e poi più che un quartiere è un piccolo paese a dimensione umana, con un'anima, un centro. Ci si conosce...». Con passione, costanza e tanta tenacia Luigi e Grazia hanno cercato di rendersi utili, di venire incontro alle esigenze del loro quartiere e dei suoi abitanti, hanno cercato di “addobbarlo”, di renderlo più vivibile.

L'iniziativa che li ha resi più...

benemeriti e che ha dato anche a loro grande soddisfazione è stata senza dubbio “Sanfelicinema”. «Si rivolga a mia moglie», dice Luigi salvo poi intervenire (come di... consueto) nel suo racconto per precisare o puntualizzare. «Era il 1972 – dice Grazia – e volevamo finanziare un po' la biblioteca appena nata e così a me e ad altre quattro mie amiche, Luisella, Ricky, Anna e Cristina è venuta l'idea di proiettare dei film allestendo la sala più grande della scuola elementare, un piccolo anfiteatro nel quale facevamo anche cabaret. Allora il cinema tirava e qualche soldino riuscivamo a raggranellarlo finanziando così un po' anche la biblioteca». Nel 1975 il cinema si è trasferito nell'ampio salone del sotterraneo (dove si trova tuttora) della chiesa appena costruita, e dove ci sono anche le aule del catechismo dell'oratorio. Per portare avanti l'iniziativa, prese piede l'associazione “Sanfelicinema” costituita da volontari che si occupavano della gestione e della programmazione. Una parte del ricavato andava alla parrocchia (a mo' di affitto), l'altra andava sempre alla biblioteca.

La sala fornita di sole sedie conteneva 250 persone. Le proiezioni avvenivano dal giovedì alla domenica (doppia). «Allora – dice la signora Grazia – prestavamo attenzione ai film per ragazzi, ma non trascuravamo gli altri. Le soddisfazioni non mancavano, grazie al volontariato di molti e al fatto che non c'erano molti cinema in zona. Verso il 2000 però con l'apertura dei Multisala di Pioltello e Melzo, che tra l'altro offrivano agli spettatori comodità che noi non potevamo garantire, è iniziata la crisi. A questo punto i distributori ci hanno indicato la via della... salvezza: per sopravvivere era meglio trasformarci in cinema d'essai.

Detto e fatto. Con attente programmazioni, rispolverando spesso pellicole d'autore sfuggite agli appassionati, la trasformazione ha funzionato. Abbiamo sfondato. Nel frattempo abbiamo anche ristrutturato la sala trasformata in una “bomboniera” grazie alle 190 comode poltrone di velluto rosse recuperate a prezzo di saldo dal cinema Splendor di Milano che aveva chiuso i battenti. E ora – continua entusiasta Grazia – con una spesa non indifferente ci stiamo attrezzando per la proiezione in digitale che migliora di molto la qualità della visione rispetto alle vecchie pizze con pellicole 35 mm».

Da marzo il cinema è diventato parrocchiale per la parte burocratica, mentre restano autonome la gestione e la programmazione (proiezioni, senza pubblicità, ore 21,15 dal giovedì al sabato; doppio appuntamento ore 16 e 21,15 alla domenica) affidate a delle ragazze volontarie. «Quando c'è bisogno, sono sempre a disposizione per dare una mano alla cassa», sorride Grazia. L'iniziativa di Sanfelicinema tira, l'Agis pubblicizza la programmazione, la media degli spettatori per ogni proiezione è di 50-60 (circa un migliaio al mese) e qualche volta si registra il pieno anche perchè il biglietto d'ingresso e di 6,50 euro intero, di 5 sotto i 10 anni e sopra i 65. «Il 40% degli spettatori è ovviamente di San Felice, ma molti arrivano anche da Segrate, Milano 2, Pioltello, Peschiera Borromeo e pure da Milano. Di noi si fidano». E se qualcuno vuole avere informazioni più dettagliate, può telefonare al numero indicato sulla locandina. E indovinate chi risponde? La famiglia Parodi. E, ovviamente, nessun disturbo...

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4 giugno 2014

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ECCELLENZA Friulano di origine, segratese d’adozione, si è affermato a livello internazionale anche per le vetrate: ha lavorato ed è richiesto in tutto il mondo

Peresson, maestro sommo del mosaico

“È pittura per l’eternità...” - Orgoglioso per la cappella privata del Papa, le vetrate del santuario di Tindari a Patti e la cupola della cattedrale di Recco “Se vuoi campare datti da fare”: è il motto della sua ruvida e laboriosa terra contadina, che ripete e che ha sempre accompagnato Italo Peresson, friulano di origine e segratese d'adozione (ci vive da 40 anni), diventato mosaicista e realizzatore di vetrate artistiche di fama internazionale.

Il suo nome, la sua firma sono una garanzia. Peresson, appena insignito dell'Ape d'oro, è tra l'altro l'autore, oltre che delle vetrate della chiesa di Dio Padre a Milano 2, anche del mosaico raffigurante l'araldica comunale che campeggia su una facciata del municipio in via 1° Maggio, regalato alla città “per amore e riconoscenza”. Ha lavorato in mezzo mondo: oltre che in Italia e in Vaticano, Peresson ha lasciato sue tracce per pavimenti, pareti e pale, in chiese, case private, residenze di prestigio ed edifici pubblici di Cina, Giappone, Usa, Canada, Afghanistan, Israele, Finlandia, Egitto, Kenia, Cipro, Russia (templi e ritratto di Stalin a Mosca) e in Arabia Saudita dove è particolarmente apprezzato e dove è... conteso dagli sceicchi.

Alto, fisico asciutto, Peresson, 73 anni, colpisce per il sorriso continuo, la pacatezza con cui parla e la serenità che trasmette dietro occhiali che si perdono nel suo sguardo luminoso. La frenetica civiltà in cui siamo immersi non l'ha contagiato. Del resto per comporre mosaici servono calma e tanta pazienza. «Per fortuna – rileva – nel mio lavoro l'industria non c’è e non può entrare, altrimenti si correrebbe il rischio di diventare dei numeri, degli anonimi. Scomparirebbe la creatività che distingue e fa grande l'uomo. Quando vado nelle fabbriche o negli uffici capisco la frustrazione di chi ci lavora. Non c'è partecipazione, non c'è entusiasmo in quello che fanno. La monotonia uccide. Ed è comprensibile». Quello che Peresson fa e come lavora viene bene descritto nel suo bel e vivacissimo depliant ricco di colori. «Realizziamo – dice ai clienti – su vostri e nostri disegni tutti tipi di mo-

Qui sopra la cerimonia di consegna delle Api dʼOro 2014: da sinistra il sindaco Adriano Alessandrini con Italo Peresson (al centro) e lʼassessore alla Cultura Guido Pedroni. In alto a destra le vetrate della chiesa di Milano 2 e, sotto, lo stemma comunale, entrambi realizzati da Peresson

saici e vetrate in ogni materiale, stile, tecnica e destinazione. Siamo al servizio degli artisti, architetti, arredatori e privati. Particolare attenzione e cura sono riservate al restauro e manutenzione delle opere musive e vetrarie».

Per capire e apprezzare una persona è fondamentale conoscere la sua vita. Quella di Peresson sembra un romanzo risorgimentale, degno di De Amicis. Sono andato a trovarlo nel suo storico studio di Milano, in via Tolmezzo, dalle parti di piazza Udine.

Una struttura su due piani, con ampi laboratori, ricavata all'interno di un cortile. Il maestro mi riceve sorridente e in camice bianco. «Complimenti per la collocazione... – gli dico – Ma ha scelto lei, friulano, di venire a lavorare in via Tolmezzo tra un intreccio di strade friulane?». «No,

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no – sorride – un puro caso, un compiacente segno del destino.

Quando sono approdato qui diciottenne, nel 1959, con una valigia e 30mila lire in tasca, era aperta campagna e c'era così tanta nebbia che il taxi rischiava di sbattere contro la chiesetta del Casoretto. Milano finiva qui, il suo confine era la ferrovia. Questo laboratorio è lo stesso nel quale sono arrivato nel 1959. Era del maestro mosaicista Secondo Sgorlon, già molto apprezzato.

Un uomo carismatico e saggio, bravo a insegnare. Ero venuto ad imparare, a specializzarmi dopo avere frequentato la famosa scuola mosaicista di Spilimbergo vicino al mio paese, Vito D'Asio nella Valle dell'Anzino, dove sono nato in provincia di Pordenone. Quella scuola è sorta all'inizio del Novecento mentre si spe-

gneva quella molto importante e di riferimento di Venezia. Era ed è molto conosciuta e frequentata: allora soprattutto da ragazzi in cerca di lavoro, in attesa, purtroppo, di emigrare. Come del resto ho fatto anch'io. Ora gli alunni, molto meno numerosi di allora, sono soprattutto donne. Quella scuola, oltre che occuparsi di insegnare a comporre mosaici, offriva anche l'opportunità di una scolarizzazione un po' più avanzata in una zona povera e ancora molto analfabeta».

Peresson, che abita in una casa di ringhiera, non si limita a imparare l'arte del mosaico. Di giorno lavora e la sera frequenta per tre anni la scuola di pittura d'arte “Augusto Colombo” di piazzale Borromeo, «fondamentale per il mio lavoro». E quanto a studio Peresson non si ferma qui. A 35

anni, infatti, dopo essersi sposato con Paolina Caterina, una bellissima ragazza del posto conosciuta un giorno mentre in taxi-cumulativo andava dalla stazione ferroviaria di Forgaria del Friuli al suo paese («Tornavo a casa tre volte l'anno, abbiamo sempre amoreggiato per posta: mi aveva folgorato e le avevo subito promesso che l'avrei sposata: sono stato di parola»), consegue col voto di 60/60 il diploma di ragioniere e approda all'Università Cattolica («Solo per cultura, non per cambiare mestiere...»), alla facoltà di Economia e Commercio dove dà solo 15 esami e dove ci sono anche i due figli Vera (avvocato) e Tiziano (dirigente d'azienda in Irlanda) che chiedono uno sconto in segreteria, «visto che siamo in tre... della stessa famiglia».

Nel 1963 Sgorlon affida il laboratorio a Peresson che dimostra di saperci fare e nel 1967, quando l'allievo è attirato anche dalla realizzazione di vetrate artistiche, lo rileva iniziando l'avventura con una decina di collaboratori. Il lavoro non manca: la qualità delle opere è un'emittente la cui antenna propaga in Italia e nel mondo il nome di Peresson che poi insegnerà per dieci anni all'Accademia Carrara di Bergamo. «All'inizio le opere si eseguivano sul posto – dice il Maestro – e quindi si era costretti a portarsi appresso il materiale, un lavoraccio. Da un po' di tempo, e per fortuna, la scoperta e l'utilizzo di collanti adeguati ci permette di eseguire i lavori in laboratorio che durano settimane per poi trasportarli in

loco per il montaggio. In Vaticano, per la ristrutturazione della cappella del Papa ho iniziato a lavorare sotto Paolo VI e ho concluso con Wojtyla che ogni tanto veniva a trovarci e poi ha molto apprezzato l'opera». Una curiosità, maestro: preferisce comporre mosaici o vetrate? «È come chiedere a una mamma – sorride – a quale figlio vuole più bene...

C'è però da dire che il mosaico, che si personalizza di più e si compone con materiali che durano nel tempo, è una pittura per l'eternità. Quanto si impiega per portarlo a termine, dipende dal disegno e dalla metratura: grosso modo occorrono dieci giorni per metro quadro (costo: 2-3mila euro al mq, ndr). Per quanto riguarda le vetrate, invece, introduci sul vetro nel senso che lavori sulle tonalità del colore».

Delle centinaia, migliaia di opere che ha realizzato, quali sono le tre di cui è più orgoglioso? «Senz'altro la cappella privata del Papa in Vaticano, le vetrate del santuario di Tindari, nella frazione di Patti in provincia di Messina e la cupola del mosaico della cattedrale di Recco». L'avventura continua? «Sì, ma dopo quasi 60 anni di lavoro, orario 7-20 quando andava bene, sto tirando un po' i remi in barca. Non le nascondo che arrivando in laboratorio, spero che nella segreteria telefonica non ci siano ordinativi...». La speranza è che Peresson abbia, nel frattempo, formato altri Peresson...

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Sanfelicinema (21/5); Bar Centrale (7/5); Cus Milano Idroscalo (9/4); Siniscalchi Parrucchieri (26/3); Studio Zoppini (12/3); Runner Abbigliamento (26/2); Bar Cellini (16/2); Azienda agricola Sirtori (29/1) 2013: Officina Gementi (4/12); Impresa funebre Preatoni (20/11); Boutique Pirola (6/11); Bar Tabaccheria Parati (9/10); Riparazioni audio-video

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Casletti (25/9); Laboratorio Orologi Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Aldo Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2) 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

TRADIZIONE Fondato 30 anni fa (il primo di Segrate) ha sede in via delle Regioni: si autofinanzia con le quote dei soci (215) e i proventi del bar

Arci Pirola, circolo di amicizia e solidarietà Numerose le iniziative culturali e ricreative. Il presidente Stopelli orgoglioso del “pareggio di bilancio e di contribuire a rendere la vita più serena” Nell'assolata mattina, un allegro vociare di uomini e donne arriva dalla bassa struttura color amaranto, circondata e nascosta da piante ai confini con un noto ristorante e la scuola. È la sede del Circolo Arci “Pirola” in via delle Regioni 24, a Redecesio, il più vecchio della città essendo stato fondato negli anni Ottanta (prima sede, “grazie a don Luigi”, nella sacrestia della chiesa di Lavanderie) e qui trasferitosi nel 1996. Salutano tutti. Il presidente del Circolo, l'arzillo Bassiano Stopelli, 62 anni, e il suo pacioso e massiccio vice Ermelindo Giulianini, 71, occhiali e folta capigliatura sale-pepe che sorride nell'annunciare il suo nome («Raro e strano – spiega – ma l'ho ereditato.... da uno zio morto») mi ricevono nell'accogliente sala-bar offrendomi un ottimo caffè mentre attorno a massicci tavolini alcuni soci, soprattutto donne «andate magari a portare i nipotini a scuola», organizzano la loro giornata. Cordialità e disponibilità ti fanno capire subito che qui l'ospitalità è sacra.

All'Arci (Associazione ricreativa cultura italiana) si viene per stare insieme, per passare qualche ora in compagnia, per partecipare a tornei di carte o a lezioni di computer e di maglia, per dedicarsi alla solidarietà, per raccontarsi le proprie pene, condividere i problemi e ritrovare con i consigli degli amici nuova forza per andare avanti, per un aiuto tramite lo SPI a risolvere le pratiche fiscali, per aggregarsi a gite turistiche enogastronomiche e culturali un po' dovunque.

«Si tratta di un'associazione a promozione sociale senza fine di lucro», precisa puntuale il presidente Stopelli, baffetti neri, solo qualche filo bianco tra i capelli corvini e una simpatica, originale, doppia “virgola” all'insù nel sopracciglio sinistro. Premuroso mi porge fotocopia delle attività sociali svolte nel 2013 e il verbale del-

In alto, Bastiano Stopelli insieme con i collaboratori che lavorano al bar del Circolo. In alto a destra, la sede di via delle Regioni, a Redecesio.

Qui a fianco, il presidente con il ritratto di Giuseppe Pirola, primo sindaco di Segrate (1951-60), cui è intitolato il Circolo. A destra, foto di gruppo con alcuni degli ospiti. l'ultimo consiglio direttivo che l'ha confermato presidente (mandato triennale) e nominato i componenti delle tre commissioni (cultura, ricreativa e attività donne). La sensazione è che in questo circolo tutto funzioni rigorosamente, con grande responsabilità dei dirigenti e la collaborazione di tutti. E alla luce del sole: a cominciare dal bilancio. Fondato da Luigi Riboldi, «persona molto carismatica», il circolo fu intitolato a Giuseppe Pirola primo sindaco di Segrate (1951-60) che lasciò profonde tracce sociali e umane, allo scopo, come detto, di aiutare gli anziani e mettere loro a disposizione un ritrovo ricreativo e culturale. La sede di 159 mq (un ampio salone-bar e due stanze) è in comproprietà con la Coopera-

DIRETTORE RESPONSABILE:

Federico Viganò

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tiva edificatrice Segratese. «All'inizio pagavamo l'affitto, poi siamo riusciti ad acquistarne una parte e ci sentiamo più tranquilli». Il circolo conta attualmente 215 soci (il record è stato di 247) di cui 50 donne, la maggioranza appartenente alla seconda-terza età, e si autofinanzia con le quote annuali (17 euro l'iscrizione, portata recentemente a 18 «per aiutare gli alluvionati della Sardegna») e i proventi del bar che può servire solo caffè, vino, bibite, gelati e merendine, nel quale lavorano part-time dalle 8.30 alle 20 tre persone, due donne e un uomo. «Niente cucina: non ci sono le concessioni a causa del vicino ristorante, né le condizioni, per il posto angusto». «Il Circolo è aperto tutto l'anno, anche durante le fe-

stività e a Ferragosto, solo ai soci – dice Giulianini – diventa un po' la loro casa diurna. La maggioranza composta di pensionati, ma anche di lavoratori, di single e di coppie è di Segrate, ma alcuni sono anche di Milano, Concorezzo e zone limitrofe, uno addirittura del Lago D'Orta. Il fatto di aver installato l'aria condizionata rende il Circolo appetibile per un po' di ristoro soprattutto d'estate, specie in questo periodo di crisi nel quale le vacanze al mare o ai monti sono diventate per molti un miraggio. Vengono qui a respirare un po'...».

Il pareggio di bilancio è l'orgoglio, quasi l'ossessione del presidente. «Ci autofinanziamo con le quote sociali e i proventi del bar: le voci ricavi e spese, compresa la gestione della se-

de, sono specificate al centesimo. Noi, per statuto non abbiamo profitti. Qualsiasi decisione è presa dal consiglio direttivo composto di sette membri e ogni trimestre c'è un controllo del gruppo dei revisori dei conti – specifica Stopelli mostrando le carte con un calore commovente, quasi a implorare di essere creduto, che stride con la vergognosa piaga della corruzione che ferisce a ogni livello la nostra società di questi tempi – Il bilancio del 2013 è stato di 159.264,13 euro e l'abbiamo inviato come sempre a Comune, Provincia, Regione e all'Arci provinciale.

Vogliamo che tutto sia documentato, chiaro e conosciuto».

All'interno di questo bilancio rientra la beneficenza, che il Circolo, collegato con le varie

associazioni onlus, esercita di continuo quando la solidarietà chiama. «Ci siamo mobilitati per l'alluvione della Sardegna, per i terremoti dell'Aquila, qualcuno è anche andato nel comune di Castelnuovo, e dell'Emilia. Abbiamo anche attivato tramite l'AMI (Amici missioni indiane) quattro adozioni di minori a distanza provvedendo al loro mantenimento agli studi. Con i ricavati dei lavori manuali eseguiti a maglia, uncinetto e cucito abbiamo aiutato in questi anni il Servizio cani guida per ciechi di Milano, gli Amici di Gabriele, la cascina solidale Le Vele, il C.E.R.e.S onlus di Segrate, l'Istituto dei tumori, la Fondazione Manuli per l'Alzheimer e altri ancora. Sono iniziative che gratificano, che fanno star bene, che danno un senso alla nostra vita e alla nostra attività».

Ma anche la ricreazione e la cultura trovano ampi spazi al Circolo con visite museali a Milano, con serate e dibattiti a tema, con gite turistiche e culturali anche nella vicina Svizzera (sul trenino del Bernina) e con ricorrenti gare di carte a scala 40, scopa, briscola e “Marianna”. «Si cerca di stare insieme in allegria e di aprire la mente e lo spirito: così i problemi diventano meno assillanti – interviene Giulianini – Il Circolo che non fa alcuna professione politica o religiosa è una piccola oasi della città, ma soprattutto di Redecesio, ai cui abitanti offriamo spesso ospitalità quando devono discutere i problemi del quartiere. Un po' ci sostituiamo alle istituzioni... Cerchiamo tutti un po' di tranquillità, di serenità e di renderci utili. Qui si vive in eterno...», sorride compiaciuto, ma anche convinto. Una piccola realtà che suscita quasi invidia dentro lo stress di questa cosiddetta civiltà moderna.

Lunga vita e un sincero “in bocca al lupo” al Circolo Arci Pirola.

T!!!!!!!!!!!!!!!!

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PREVENTIVI A DOMICILIO SENZA IMPEGNO Via Borioli, 34 - 20090 Lavanderie di Segrate (MI) Tel/Fax 02 26950424 - Cell. 338 9975098 Orari: da martedì a sabato 9.00-12.30 15.30-19.30 mail: agtende.segrate@tiscali.it LUNEDÌ CHIUSO AG Tende di Grassa Alessandro

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Attualità

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2 luglio 2014

MADEIN SEGRATE a cura di Pep

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UN MITO Per cinquant’anni, “agli albori della città”, ha esercitato con grande dedizione la professione diventando un’istituzione di Segrate

Dottor Zavaglia, l’Oscar del medico condotto Cordiale e spiritoso nonostante i 91 anni – «Ho sempre amato i pazienti e loro hanno amato me» – «Felice di aver convinto tre donne a non abortire» Il dottor Zavaglia? Chiedo davanti alla chiesa di Lavanderie.

Ah, Oscar! «Avanti cento metri sulla destra...», mi risponde soddisfatto il passante. E pochi istanti dopo lo squillo del campanello, il dottor Oscar appare in compagnia della moglie Stella nell'androne della villa bassa, immersa nel verde nel borgo dei lavandai. Andatura appena incerta, capelli bianchi un po' vaporosi, mi accoglie con un sorriso schietto, accattivante, che i suoi limpidi occhi azzurri rendono ancora più bello. «Fatti vedere – mi scruta simpaticamente – Ah, ma io ti ho già visto, ti conosco...», «Anch'io la conosco, eccome...!», gli rispondo. «Per favore diamoci del tu... Così mi sento più a mio agio». «Grazie, ma come faccio dottore?», «Prova, è facile... vedrai che ti riesce». Ironia, allegria, gusto della battuta accompagneranno sempre la chiacchierata attorno al tavolo di un'elegante saletta con l'assistenza della premurosa moglie Stella, donna elegante e discreta, dall'età indecifrabile, con una voce squillante da ragazzina. Il dottor Zavaglia, 91 anni il prossimo agosto, prima “Ape d'Oro” nel 2004, è un'istituzione di Segrate dopo esserne stato medico condotto per quasi mezzo secolo. «Dall'inizio degli anni Cinquanta, dagli albori della città...», sorride con un altro lampo che rivela un'incredibile somiglianza con Giovanni Trapattoni, il popolare e inossidabile “Trap”, tecnico tra i più bravi e intramontabili dello scenario calcistico mondiale.

Glielo faccio notare. «Oddio, non ci ho mai fatto caso, nessuno me l'ha mai detto, ma se è così sono contento perché il Trap ha fatto grandi cose anche nella mia, nostra? – mi scruta – amata Inter».

Sono stati migliaia di migliaia («All'inizio – spiega – ne avevo tremila a regime, ora i medici di base non possono superare i 1.500 iscritti») i pazienti

In alto, il dottor Oscar Zavaglia, 91 anni il prossimo agosto, nel salotto della sua villa a Lavanderie. Qui a fianco con la moglie Stella, con cui ha festeggiato lʼanno scorso il giorno della ricorrenza del suo novantesimo compleanno, come ricorda la maglia nerazzurra preparata per lʼoccasione che il dottor Oscar ha curato durante la sua lunga attività. I 50-60enni segratesi di adesso sono stati suoi pazienti. «Penso di sì, mi conoscono tutti, ancora adesso qualche donna mi abbraccia quando mi incontra per strada, peccato che sia un po' vecchiotta...». Originario di Milano, il dottor Zavaglia, figlio di Achille («Pensa che il papà di mia moglie si chiamava Ettore eppure questo non ci ha impedito di sposarci...!») direttore di banca, e di una ragioniera, s'è laureato nel 1949 alla Statale di Milano e s'è trasferito due anni dopo a Segrate

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Federico Viganò

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come aiuto dell'anziano dottor Corti che poi ha subito sostituito alla sua morte. «Abitavo a Milano ma sono stato obbligato, con l'aiuto di mio padre che mi amava e che mi ha anticipato 75mila lire, a trasferirmi qui in un appartamento di via Borioli perché la legge obbligava il medico condotto a abitare dove esercitava la professione. Mia moglie è stata una delle mie prime pazienti...

Era carina, mi piaceva, io ero giovane e... pimpante e quindi ci siamo sposati nel 1953. Poveretta, l’ho quasi obbligata a rinunciare al suo promettente

mestiere di interprete per starmi vicina. Sono 61 anni che siamo insieme e ci vogliamo bene», è la commovente dichiarazione d'amore di Oscar alla sua Stella che coccola il marito con uno sguardo dolce e l'assiste amorevole («Sì Oscar, no ti confondi... forse non hai capito... forse volevi dire...») durante la chiacchierata, quando la memoria un po' frena e lui un po' si incupisce, pronto però dopo una piccola spinta a riprendere il filo del discorso.

«Perché ho fatto il medico?

Dopo aver letto un libro che mi ha convinto della necessità di aiutare il prossimo e dopo, soprattutto, aver visto le brutture della guerra della quale ho avuto tanta paura. Ho avuto fretta di laurearmi: ho studiato giorno e notte con un amico e sono arrivato al traguardo in quattro anni anziché in sei». E Oscar ha interpretato la sua professione con tanta passione e dedizione, senza risparmiarsi mai. «Io ho sempre amato i miei pazienti e loro hanno amato me – dice orgoglioso – Per loro non ero solo un medico, ma un amico di famiglia:

raccoglievo le loro confidenze, davo loro dei consigli. Sono felice e soddisfatto di essermi sempre comportato così. Ho anche due figli medici Cristina, ginecologa, e Massimo, internista (il cui ambulatorio è accanto alla casa paterna, ndr) ai quali però, sapendoli dei bastian contrari, non ho mai detto di intraprendere questa professione. Anzi... Ma sotto sotto ci contavo e dissuadendoli li ho incastrati...», sorride ancora.

Per i suoi pazienti il dottor Zavaglia era reperibile sempre, notte, giorno e durante le festività. Era in servizio permanente effettivo. «Sparivo nel senso vero della parola solo durante le brevi ferie: ero irraggiungibile anche perché allora, per fortuna, non c'erano i cellulari. Ma a fare le mie veci c'era ovviamente un mio sostituto anche se poi quando tornavo erano lamentele... Ma lasciamo perdere».

Negli anni ‘50-’60 e oltre casa Zavaglia (dove la moglie faceva da segretaria e... infermiera) era frequentatissima, non solo per l'ambulatorio, ma anche perché, in assenza allora di ospedali e pronto soccorso,

nella zona fungeva da pronto intervento per le urgenze e gli incidentati che approdavano lì per le prime cure. «Non c'era pace, ma c'era tanta gioia per quello che facevamo... E l'attività durava tutta la giornata con le visite, e poi quelle ambulatoriali. Nei primi anni mi muovevo in bicicletta, poi in moto, con la Lambretta, e viavia con la famosa Giardinetta, fatta mezza di legno, e infine con qualche buona macchina robusta e veloce. Ogni tanto capitava che qualche paziente o passante mi telefonasse perché, essendo un po' sbadato, dimenticavo da qualche parte la mia borsa professionale. Mi è capitato pure di appoggiarla sul tettuccio della macchina, di salutare qualcuno, ripartire e abbandonarla per strada. Ma mi è sempre stata recapitata...Mi conoscevano».

«Io – ripete Oscar – ho amato i miei pazienti e loro hanno amato me. L'episodio che ricordo più volentieri della mia professione? L'aver convinto tre donne a non abortire... E quando sono nati i loro bambini me li hanno portati subito da vedere anche se non ero pediatra: un gesto bellissimo, una gioia immensa. Come è cambiata la mia professione dagli inizi? Bé ora i medici hanno più mezzi e conoscenze per intervenire. Io ho celebrato con un “Te Deum” l'avvento della penicillina all'inizio della mia carriera, un farmaco che ha permesso di salvare tante vite.

Da allora la medicina ha fatto progressi enormi». Essere medici però non deve essere solo un'arida professione, ma, come insegna la psicologia, anche una missione per capire e guarire l'uomo assieme o prima del malato. Perché è accertato che non c'è niente di psichico che non sia anche fisico e viceversa. Come ha capito e fatto Oscar Zavaglia, vanto della categoria e di Segrate. Un modo d'essere medico purtroppo in via di estinzione.

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16 luglio 2014

MADEIN SEGRATE a cura di Pep

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Nei precedenti numeri 2014: dottor Oscar Zavaglia (2/7); Circolo Arci Pirola (18/6); Italo Peresson mosaici (4/6); Sanfelicinema (21/5); Bar Centrale (7/5); Cus Milano Idroscalo (9/4); Siniscalchi Parrucchieri (26/3); Studio Zoppini (12/3); Runner Abbigliamento (26/2); Bar Cellini (16/2); Azienda agricola Sirtori (29/1) 2013: Officina Gementi (4/12); Impresa funebre Preatoni (20/11); Boutique Pirola (6/11); Bar Ta-

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baccheria Parati (9/10); Riparazioni audio-video Casletti (25/9); Laboratorio Orologi Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Aldo Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2) 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

TRADIZIONE Da oltre 50 anni la struttura del Villaggio retta dalle suore clarettiane si prende cura dei bambini segratesi dai 3 mesi ai 5 anni

Asilo S. Rita, qui i bimbi si avviano alla vita Pulizia, ordine e buon gusto nell’arredo da fare tenerezza - «La nostra gioia - dice la madre superiora - è veder crescere i bambini in serenità» All'ingresso del Villaggio Ambrosiano, a destra della nuova caserma dei carabinieri e subito dopo, quasi sotto la vigilanza dell'Arma, l'Asilo Nido Santa Rita, dedicato (e protetto) alla “Santa dell'impossibile”. Sicurezza e speranza nel futuro sembra il messaggio che il bucolico quartiere sussurra subito a chi vi si addentra. Bassa e ben distribuita, timidamente adagiata su circa 600mq, circondata da spazi verdi, la struttura che ospita l'asilo nido e la scuola dell'infanzia è stata costruita nel 1960 (quindi oltre 50 anni fa) all'avvento del quartiere, con criteri d'avanguardia non ancora superati in fatto di spazi, luce, funzionalità e sicurezza.

E da allora, come del resto la parrocchia, (due strutture previste dal costruttore, la Domus Ambrosiana, come servizio al territorio) è retta dalle missionarie clarettiane. Un ordine, quello dei clarettiani, fondato nel 1848 dal catalano S. Antonio Maria Claret, imitato dopo pochi anni, per parte femminile, dalla venerabile Maria Antonia Paris pure catalana, che ha la linea guida “nell'annuncio della Parola e la sua predicazione”. Cinquant’anni dedicati alla cura e alla crescita dei bambini non sono uno scherzo, quindi bene ha fatto il Comune ad assegnare quest'anno alle missionarie clarettiane dell'asilo Santa Rita la benemerenza cittadina dell'Ape d'Oro “per l'incessante e meritoria opera rivolta dal 1960 alla cura dei più piccoli”.

Chissà quanti segratesi sono passati da qui, dico alla madre superiora (da quattro anni) suor Maria Rita Lovecchio, (laurea in teologia), donna giovanile, intellettualmente vivace e chiara nell'esposizione, con un bel crocefisso pendente sul petto della divisa (maglietta e gonna grigi) e l'anello di “sposa di Dio” all'anulare.

segnamenti, giochi, canti, la palestrina, il pranzo (preparato all'interno e che non prevede il pane per non... distrarre i commensali dal cibo) le pratiche igieniche, il pisolino e la merendina prima dell'uscita.

Divisi a gruppi con la rispettiva maestra, ma tutti insieme.

Un impegno non indifferente di dedizione e pazienza. «Che affrontiamo con entusiasmo dice la madre superiora - aggrappate alla preparazione e all'esperienza: la nostra gioia è vedere i bambini crescere in serenità secondi i principi cristiani». La scuola è ovviamenQui sopra, la madre superiora suor Maria Rita Lovecchio (terza da sinistra) con una consorella e alcune collaboratrici; a destra lʼingresso dellʼasilo Santa Rita al Villaggio Ambrosiano che comprende il nido (bimbi dai 3 mesi ai 3 anni) e la scuola dellʼinfanzia. Qui a fianco alcune aule della struttura di via Papa Giovanni XXIII «Tanti – sorride – ce lo ricordano spesso, i nonni e i genitori dei nostri bambini, e a noi fa molto piacere. Segno che abbiamo seminato bene». La struttura ospita l'asilo nido (solo 16 bimbi dai 3 ai mesi ai 3 anni “per assisterli e curarli meglio”) e la scuola dell'infanzia (dai 3 ai 5 anni) con numero fisso di 58 “per rispettare gli spazi destinati per legge a ogni bambino”. «Le richieste sono maggiori rispetto allo spazio consentito - spiega la superiora di origine pugliesi e allora mettiamo le eccedenze in lista d'attesa». Il personale è composto da altre tre suore (l'amministratrice Savino Ossola, Adelma Santana e Giuseppina Cases tutte con diplo-

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ma magistrale) da una educatrice per il nido, da tre insegnanti per la scuola dell'infanzia e da una collaboratrice laica addetta alle pulizie. «Viviamo e tiriamo avanti con le rette dei bambini – dice suor Lovecchio - con un piccolo contributo statale, con la pensione che percepiscono le suore anziane e con l'aiuto di qualche benefattore. Alle gestione provvediamo noi: spese ordinarie e straordinarie che siano, quindi anche all'arredamento e via discorrendo. La scuola è paritaria, seguiamo quindi le direttive statali, ma abbiamo una certa autonomia». Eccole, le rette: 155 euro mensili per la scuola d'infanzia; quelle del nido invece variano secondo

fasce orarie: 8-13, euro 530 “tutto compreso”; 560 dalle 8 alle 16; 590 dalle 8 alle 18.

Impegni sopportabili per le famiglie medie per quanto riguarda la scuola materna, ma un po' onerosi per il nido.

«Teoricamente sì, però alcune famiglie preferiscono portare i figli all'asilo piuttosto che perdere il lavoro», interviene l'amministratrice suor Savino.

Visitare la struttura, che comprende gli appartamenti delle suore, una cucina e una cappelletta dove ordine e pulizia regnano sovrane, mette allegria e tenerezza con l'esplosione di colori, disegni e scritte alle pareti, con gli accattivanti adesivi ai vetri, con le salette rese festose da libri e da giochi

di ogni tipo, per le sedioline e i tavolinetti della sala da pranzo che ricordano i cartoni animati della nostra infanzia, per i bagnetti in miniatura, per l'incanto e l'affetto che emana già nell'arredamento del nido (un'oasi di pace e serenità) dal colorato pavimento in moquette, con quei morbidi nidi avvolgenti per i sonnellini dei cuccioli d'uomo e i teneri peluche che sembrano viventi e stimolano le più strampalate reazioni dei bambini. Le giornate sono piene, intense, scandite da orari e programmi per tenere i piccoli ospiti sempre impegnati: quella tipo inizia dalle 8,20 alle 9 con l'accoglienza e poi si dipana fino alle 15,30 tra intrattenimenti, in-

te confessionale, cattolica.

«Ma – precisa suor Lovecchio - accettiamo bambini di qualsiasi religione. L'anno scorso, ad esempio, ne abbiamo avuto uno di religione musulmana.

Quando i genitori vengono sanno che siamo suore, quindi ci frequentiamo con grande chiarezza e reciproco rispetto: sanno che insegniamo la religione cattolica e sanno che staccare il loro bambino dalla comunità non sta bene. Non abbiamo mai avuto alcun problema». Magari fosse così anche nel mondo “nel reciproco rispetto”, appunto. Ma sono i miracoli che solo il mondo dei bambini (e in qualche modo lo sport) sanno fare.

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Nei precedenti numeri 2014: asilo Santa Rita (16/7); dottor Oscar Zavaglia (2/7); Circolo Arci Pirola (18/6); Italo Peresson mosaici (4/6); Sanfelicinema (21/5); Bar Centrale (7/5); Cus Milano Idroscalo (9/4); Siniscalchi Parrucchieri (26/3); Studio Zoppini (12/3); Runner Abbigliamento (26/2); Bar Cellini (16/2); Azienda agricola Sirtori (29/1) 2013: Officina Gementi (4/12); Impresa funebre Preatoni (20/11); Boutique Pirola (6/11); Bar Ta-

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baccheria Parati (9/10); Riparazioni audio-video Casletti (25/9); Laboratorio Orologi Sergio Pezzi (11/9); Vini Tarsi (17/7) Ferramenta Besia (3/7); Pasticceria Ilàri (19/6); Green Cat (22/5); Panetteria Bramati (8/5); Macelleria Aldo Modica (10/4); QB Style (27/3); Sabrina Cake Desing (13/3); Trattoria La Pergola (13/2) 2012: Cartoleria Mombelli (19/12); Sice-Previt (16/1)

TRADIZIONE Fondata 38 anni fa a Pioltello dal professor Antonio Gullotto la scuola, conosciuta ed apprezzata in tutta Italia, opera da 27 a Segrate

“Green Music School” un’eccellenza italiana Ha 100 allievi (record di 354 nel 2005) insegna canto, composizione e strumenti. Molti allievi famosi -“Insegnare musica è il mestiere più bello del mondo” “Tutto qui?”, viene quasi spontaneo chiedersi mettendo piede nell'appartamento di tre locali suddivisi su120 metri quadrati che ospita la “Green Music School”, nella palazzina color limone di un piano situata all'inizio in via Miglioli, nella desolata zona industriale dove incontrare qualcuno o trovare un numero civico è un'impresa. Invece questa scuola fondata e diretta dal professor Antonio Gullotto («Imparare la musica per crescere meglio» è il motto che ti dà il benvenuto arrivando alla palazzina), poco pubblicizzata a Segrate ma conosciuta da migliaia di appassionati in tutta Italia, ha una bella, lunga storia tutta da raccontare. In questa sede la “Green Music School” opera dal 2002, dopo aver dal 1987 peregrinato per anni in Segrate ospite prima della parrocchia del Villaggio Ambrosiano, poi di quella di Santo Stefano e quindi in una struttura di via Tiepolo. In tutto 27 anni di attività sul suolo segratese. Ma le origini della scuola risalgono al 1976, a Pioltello, dove nacque con trenta iscritti per opera dell'appassionato professor Gullotto come “Associazione musicale” senza fine di lucro. A Pioltello infatti risiedeva la famiglia Gullotto, lì trasferitasi nel 1960 da Randazzo, «panorama mozzafiato alle pendici dell'Etna» in provincia di Catania. «Ci sono arrivato a nove anni - dice il professore, 67 anni, persona mite e gentile, occhi azzurri, bella capigliatura sale-pepe con “virgole” da... musicista che cascano sulla fronte – con tutta la famiglia composta da papà Carmelo, mamma Carmela e due fratelli, Salvatore e Luisa.

Mio padre faceva l'agricoltore, era specializzato in innesti del limone ed era molto richiesto in zona per serre, vivai e ville».

Antonio ha la musica nel sangue, si diploma in pianoforte e composizione al conservatorio

Il maestro Antonio Gullotto, in alto in due delle aule della scuola di musica che ha sede in via Miglioli (sotto a destra l’ingresso dell’edificio) di Como, fa il servizio militare e al ritorno ha «una delusione nell'approccio con alcune case discografiche» che non apprezzano le sue composizioni, alcune colonne sonore. Si era all'inizio degli anni Settanta, all'esplosione della musica leggera. «Operatori incompetenti non le presero nemmeno in considerazione – ricorda - Una grande delusione... Ormai le case discografiche erano orientate al business nella musica leggera, ai cantautori... Trovavano, inventavano talenti, alcuni impresentabili, ogni settimana. Pilotavano i gusti della gente, creavano, come sa fare il commercio, la necessità di quel prodotto. E i musicisti quelli veri, diplomati, che componevano musica che arrivava al cuore, cominciavano a fare la fame...», sospira il professore. Che non demorde e capisce la propria vocazione quando accetta la supplenza in un istituto musicale di Milano. «Lì – dice - ho scoperto che l'insegnamento è la cosa più bella del mondo perché invia dei messaggi a chi è sensibile a questa disciplina e poi ci si realizza. È come seminare...». È

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così che Gullotto si mette alla prova in proprio («Per vedere se poteva funzionare») per insegnare gratis la musica chiedendo ospitalità nell'appartamento della mamma a Pioltello. «In breve ho avuto una miriade di iscritti, una trentina, e allora ho ritenuto opportuno fondare allo scopo un'associazione senza fine di lucro e trovare una nuova sede per dare la possibilità di frequentare a tanti appassionati lì indirizzati dal passaparola». La Green («Verde, verso l'Europa unita...», scelta per votazione dagli allievi) Music School si trasferisce allora nei locali della parrocchia di San Teresa del Bambin Gesù in via Asiago, a Milano, dove resta per una decina d'anni. In breve passando da 100 a ben 354 allievi (il record nella stagione 2005-'06 distribuiti per necessità in quattro sedi: Milano, Segrate, Vimodrone e Cernusco sul Naviglio) la scuola che insegna canto, composizione e strumenti assume livelli di eccellenza. È privata, ma preparatoria a tutti livelli, collabora col Conservatorio ed è sede d'esame legalmente riconosciuta a Milano

appoggiata dall'Accademia Lanaro di Roma e Vicenza. La frenetica attività non impedisce nel frattempo al professor Gullotto di sposarsi con Teresa e di avere tre figli, Carmelo Giuliano, Davide ed Eleonora. Per inciso i due figli maschi hanno seguito la vocazione del padre: Carmelo Giuliano, dopo aver lavorato alla Scala col maestro Muti e al San Carlo di Napoli, fa parte dell'orchestra della Rai, ed è diventato un percussionista sinfonico di livello mondiale; l'altro figlio Davide, diplomato in pianoforte e composizione, è un libero professionista e ha

preferito la musica leggera. A Segrate frequentano la scuola un centinaio di allievi che provengono anche da Bergamo, Novara, Milano. Una, Antonella, addirittura da Foggia, da cinque anni, arriva due volte al mese, congloba le lezioni e ogni anno dà gli esami: studia pianoforte e canto e per mantenersi va a cantare nelle chiese e a breve, alla presenza del professor Gullotto, inaugurerà a Foggia la “Green Music School del Sud”. «Questa ragazza è incredibile: ha una passione e una grinta commoventi». La scuola (da ottobre a giugno) costa 50 euro di iscrizione annuale e 90 di retta mensili per due lezioni settimanali che sono individuali (massimo due allievi) e tenute da docenti specializzati. Obbligatori per tutti sono la teoria e il solfeggio. Per quanto riguarda le preferenze: al canto si dedica il 70% delle donne; l'80% dei maschi sceglie la chitarra; il pianoforte è equamente diviso; solo maschi, invece, per la batteria e la fisarmonica. «Ma

sono pochi, ed è un peccato perché – si lamenta il professore - la fisarmonica è uno strumento fantastico». La scuola, che ha in programma di aprire prossimamente una sezione anche a Milano 2, dà pure dimostrazioni gratuite a tutti coloro che ne sono interessati. Non mancano gli allievi della “Green Music School” diventati famosi. Tra questi Cristina Vaira (di cui si è occupata spesso anche “Segrate Oggi”) che ha frequentato la scuola per dieci anni: diplomata in pianoforte e canto ora insegna a Boston; poi Simone Giannino, 4° al Festival di Castrocaro su 18.000 partecipanti. Da non dimenticare la siciliana Giulia Foti («Ci ha frequentato per anni con grandi sacrifici») diplomata in pianoforte e canto; una citazione merita anche Stefano Barresi, cantante lirico di 36 anni.

Incrociando una scritta affissa su una parete della scuola, “Il suono della musica va prodotto col silenzio”, mi viene spontaneo chiedere all'amabile professore che cosa sia per lui la musica dopo avergli dato la mia spiegazione (“Armoniosa combinazione di suoni che conquista”). «No – mi corregge premuroso – la musica non è un suono che si ascolta, ma un linguaggio. È la traduzione grafica del suono. Chi conosce questo linguaggio può leggerne il contenuto e la magia dei suoni avviene attraverso la lettura della musica. Il capolavoro avviene con la combinazione dei suoni attraverso il genio e la fantasia del compositore. È quello che si verifica quando leggiamo un capolavoro della letteratura o del giornalismo: l'autore più incisivo e gradevole, quello che leggiamo più volentieri, è colui che meglio combina le parole toccandoci dentro, trasmettendoci delle emozioni e dandole un ritmo».

Meglio tardi che mai.

Pep

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8 ottobre 2014

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Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali con alle spalle una tradizione degna di

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FALEGNAME Da 47 anni Luigi Checchinato lavora nell’attrezzatissimo laboratorio di via Tiepolo, proseguendo una prestigiosa tradizione familiare

Rimasto solo, ma “Geppetto” non demorde

Specializzato in serramenti, per la crisi si è ridimensionato con lavori artigianali. «Vado avanti per orgoglio e per passione, indispensabili nella vita» Nell'ampio, attrezzatissimo laboratorio di falegnameria in via Tiepolo, un garbato signore dai leggeri capelli bianchi e occhiali calati sul naso è alle prese su un bancone con un mobiletto che sembra destinato alla cucina o al bagno di un'abitazione. Ogni tanto brontola o forse parla a quella sua creatura che probabilmente fatica a piegare alle sue volontà. Sembra il famoso Geppetto, che plasmò nel legno la sagoma birichina di Pinocchio che affascinò milioni di bambini. “Geppetto”, abbiamo poi scoperto, è il soprannome affibbiatogli da amici e clienti, che Luigi Checchinato, 73 anni il prossimo 11 ottobre (auguri!) si porta appresso da 47 anni, da quando cioè nel 1967 è approdato da Milano a Segrate a fare il falegname nella

giorni ha trovato lavoro a Torino presso una nota ditta di biancheria intima femminile.

«Un avvenimento, quasi un miracolo in questo periodo», sorride Checchinato, occhi azzurri, viso “pulito” e uno sguardo limpido che ispirano fiducia e simpatia.

La famiglia Checchinato è originaria di Piove di Sacco, in provincia di Padova, ma il signor Luigi è nato a Desio (Monza e Brianza) dove i genitori si erano trasferiti dopo la guerra in cerca di fortuna.

«Fare il falegname è una tradizione di famiglia iniziata al paese natio, proseguita a Desio e incrementata a Milano in corso XXII Marzo, dove papà aveva aperto un bel laboratorio. L'espandersi della città durante il boom economico ci ha costretti nel 1967 a emigrare

ARTIGIANO In alto, Luigi Checchinato, 73 anni, al suo banco da lavoro nel suo laboratorio di via Tiepolo. A sinistra, l’artigiano mentre utlilizza la sega circolare. A destra, Checchinato mosta un serramento in legno douglas e, a fianco, il complesso impianto di aspirazione dei trucioli, scarto della lavorazione del legno scia di papà Vincenzo, morto da tanto tempo. «Ecome qua...», dice in inconfondibile dialetto veneto, accogliendoci con un sorriso nella sua falegnameria. «Se faccio questo mestiere da una vita è per merito di mio padre, che mi ha avviato a questa attività una volta interessante e ricca di soddisfazioni. Adesso, da alcuni anni, è tempo di magra.

Il telefono squilla sempre meno...», ci racconta Luigi, sposato con la signora Adelina Liotta che gli dato una figlia, Maria Giulia, laureata in Economia e che proprio in questi

a Segrate e papà ha acquistato un terreno agricolo dove ha costruito questa palazzina, con due appartamenti in uno dei quali ho abitato io fino a qualche anno fa, prima di spostarmi a Lavanderie, mentre nell'altro vive mia sorella. Qui sotto abbiamo ricavato questo laboratorio». Che però così grande, senza i rumori delle macchine in funzione e la presenza di operai, mette un po' tristezza, facciamo notare al signor Luigi. «Sono triste anch'io – conviene – ma come le ho detto è il segno, lo specchio dei tempi. Lavoro ce n'è poco,

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le ditte chiudono, la disoccupazione sale, le famiglie tribolano ad andare avanti. E così chi va a spendere soldi dal falegname? Soltanto per piccoli lavori. E se l'edilizia è in crisi non costruisce appartamenti che andrebbero arredati... Vede quella pressa, quella calibratrice, quella circolare Toupie? – si guarda intorno e ce le indica quasi col magone – Sono macchine di prim'ordine, nelle quali ho investito nel tempo fior di soldi. Anche a me mancano i rumori di questi macchinari, diventati invece ora muti o quasi. Qui ora

lavoro da solo. Se il capannone non fosse mio e dovessi pagare l'affitto avrei chiuso da un pezzo, non ne varrebbe la pena». Quindi ha lavorato a lungo con il papà? «Certo, poi morto lui ho avuto per otto anni un giovane apprendista che però, sul più bello, quando aveva imparato il mestiere, se n'è andato a Cernusco a guidare i pullman salvo poi aprirsi anche lui un laboratorio di falegname. Probabilmente ora lavorerà con più passione di quando era qui con me perché quello, cascasse il mondo, alle sei di sera smetteva perché do-

veva andare al bar con gli amici. Capisce? Oddio, rispettava il contratto. Ma il sottoscritto al bar non lo conoscono di sicuro, perché se va bene smetto alle 21 o giù di lì». Indubbiamente ci vuole forza di volontà e, lavorando in proprio, ce se ne mette ancora di più.

«Certo, e non soltanto per l'interesse o il guadagno, ma proprio per la passione senza la quale nella vita si combina poco».

Lavoro nel settore ce n'è stato fino alla fine degli anni Novanta. Il signor Checchinato era, è specializzato nei serra-

menti. «Serramenti soprattutto di legno douglas – precisa – il migliore per questi lavori». E a questo punto il signor Luigi pazientemente ci illustra le proprietà di questo abete, diffuso nelle coste del Nord America, dal Canada alla California, con alberi maestosi che possono raggiungere i 6070 metri di altezza per due di diametro. «Questo tipo di legno – ci spiega il signor Luigi – è molto richiesto perché non ha nodi, quindi si può lavorare bene, in maniera uniforme e per la sua robustezza, elasticità e resistenza agli agenti atmosferici è utilizzato per la costruzione di barche, case, ponti, in carpenteria, per le assi ferroviarie e naturalmente per gli infissi di porte e finestre.

Un gran bel legno resinoso e affidabile. Costa molto di più dell'abete nostrano, 1.200 euro contro i 300 al quintale, ma ne vale la pena per la durata». Nel tempo, di legno douglas per impiantare serramenti il signor Checchinato ne avrà consumato qualche tonnellata. «Quando l'edilizia tirava e c'erano appartamenti da rifinire si lavorava molto e con soddisfazione. L'ultimo grande lavoro di questo genere che ho portato a termine è stato negli anni Ottanta a Milano, in via Ripamonti. Avrò fatto 25-30 appartamenti. Un lavoraccio. Il costo attuale? Circa 1.500 euro per una porta-finestra, 6-7mila per un intero appartamento.

Ma ormai...».

E ora? Che lavori esegue?

«Ancora qualche serramento oppure armadietti, tavoli o mensole per appartamenti. In zona sono abbastanza conosciuto grazie al passaparola negli anni di amici e clienti.

Se c'è bisogno di qualcosa mi chiamano, sono qua. Si tratta di lavori minori che mi consentono di sopravvivere, di esercitare ancora la mia passione. Ma va bene così, ormai ho 73 anni», ricorda il signor Luigi che torna a dare un'occhiata sul bancone all'armadietto da finire. Lavori artigianali. Da... Geppetto.

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TRADIZIONE È da 54 anni sul territorio la ditta fondata da Luigi, prima fabbro, poi montatore e infine produttore di porte blindate sempre più sofisticate

Davanti a una Mascheroni il ladro tentenna

Il figlio Marco, titolare dell’azienda: «Orgoglioso di mio padre» - «La porta blindata deve far perdere tempo al malintenzionato che, invece, ha fretta» Fabbro? L'artigiano che lavorava il ferro con la forgia e l'incudine, tra concerti di martellate?

Mestiere e nome in disuso, superato ai giorni nostri, perché mestiere che si è evoluto, aggiornato con tecniche di lavorazione e prodotti nuovi in linea con le esigenze dei tempi. È un po' la storia della Mascheroni di Segrate, fondata nel 1960, pertanto sul territorio da ben cinquantaquattro anni. Sembra la notte dei tempi... I tempi, gli anni Cinquanta, in cui Luigi Mascheroni, morto nel 2011 a 73 anni, andava da ragazzino con il fratello Adriano a lavorare tutti i santi giorni in bicicletta, senza alcun impedimento atmosferico (freddo, pioggia o neve che fosse, e anche la domenica se necessario) fino alla Barona, periferia di Milano (circa 40 km tra andata e ritorno da Segrate) dal famoso fabbro Perazzoli, “il Perazza”. «Partivano da Segrate alle 5 del mattino – dice Marco Mascheroni, figlio di Luigi, attuale titolare dell'azienda – L'orario del ritorno la sera era condizionato dal lavoro e dalle bizze del Perazza. In quell'officina costruivano strutture in ferro per vetrine, ringhiere, inferriate. Papà e lo zio si erano nel frattempo specializzati nella posa in opera. Ma che vitaccia...».

Una vitaccia che è in parte finita quando nel 1960 qui a Segrate ha aperto la ditta fabbro-serramenti Aveal nella quale sono andati a lavorare i fratelli Luigi e Adriano. «Ci sono rimasti – ricorda il dinamico e affabile Marco Mascheroni, 47 anni, fisico massiccio, pelle color olivastro, pizzetto sale-pepe e voce tonante, un figlio di 9 anni, Emanuele, avuto con la compagna Ginevra – fino agli anni Settanta, fino a quando cioè mio padre e mio zio non si sono messi definitivamente in proprio con l'attuale ditta fondata negli anni Sessanta come “Mascheroni montaggi e infissi metallici”. Prima di staccarsi dall'Aveal, infatti, lavoravano già da anni autonomamente, dal 1960, nel laboratorio-magazzino che tutt'ora abbiamo in via Tiepolo, anche se poi abbiamo aperto gli

uffici e lo showroom qui in via Roma».

Segrate in quegli anni era in forte espansione e il lavoro non mancava. I Mascheroni, ad esempio, hanno eseguito la messa in opera di finestre e porte di tanti appartamenti («Soprattutto nella 7a e 8a strada») del quartiere San Felice, delle nuove scuole, e dei nascenti supermercati. Hanno lavorato molto per la catena Esselunga, che ha portato la Mascheroni in mezza Italia, fino in Toscana. Papà Luigi, che nel frattempo si era sposato con Tina che gli aveva dato tre figli (Marco, appunto, Jole e Marilena), era spesso seguito in trasferta da tutta la famiglia.

«Almeno fino a quando noi figli eravamo piccoli e non dovevamo andare a scuola. Vivevamo nelle pensioni con lui, finché non aveva ultimato i lavori. Papà e mamma sono sempre stati molto legati. Era lei a non vo-

lerlo lasciare solo, pensava che fosse suo dovere stargli accanto, accudirlo. Bisogna condividere tutto, era il motto. E noi fratelli eravamo contenti di andare in giro a scoprire l'Italia», sorride Marco, cooptato dopo gli studi in ditta dal papà. Lui e lo zio sono stati due grandi maestri per lui. «Sul lavoro papà era implacabile – ricorda – era molto esigente e non guardava in faccia nessuno, nemmeno i figli. Guai a farlo arrabbiare, era tosto. Programmava il lavoro di ogni gior-

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Dal 1960 Marilena Mascheroni, che gestisce al fianco del fratello Marco l’azienda di famiglia, con la nipote Silvia. Sotto, l’officina-magazzino in via Tiepolo e il capostipite Luigi Mascheroni

no, dava ordini, ti insegnava e dovevi fare come diceva lui. Bisognava modellare i profili in ferro per montarli. “Devi avere il martello con gli occhi, sapere dove picchi”, ripeteva, “perché se sbagli, a parte la possibilità di farti del male, devi anche rifare o modificare il lavoro e perdi tempo”. E sui tempi di consegna non transigeva, anche perché bisognava rispettare i contratti che eseguiva con l'aiuto di una decina di operai. Papà era un lavoratore all'antica, infati-

cabile, un po' scorbutico a volte, ma con lui e lo zio che venivano dalla gavetta si imparava bene.

Se un operaio arriva dalla Mascheroni, diceva allora la gente del mestiere, stai tranquillo perché è fatto e finito. Ti puoi fidare». E papà Luigi (figlio di Luigi, bisnonno di Marco, «che a inizio Novecento apriva le chiuse della Martesana da qui a San Bovio») non era tenero nemmeno con il figlio, che voleva preparare per mandare avanti un giorno l'azienda che

coinvolgeva anche alcuni parenti. «Per poter comandare ripeteva – il padrone di una ditta deve saper fare tutto: in officina, nella messa in opera, nella muratura. E ancora quando si andava a lavorare fuori: rispetto e cura delle cose altrui, quindi niente disordine, sporcizia o pericoli, così lavorerai più tranquillo». E lo zio Adriano, altro “osso duro”: «Dai del lei alle macchine, non dar loro confidenza altrimenti ti farai male. E poi: il lavoro devi prima vederlo in testa finito, altrimenti ti verrà male».

A metà degli anni Sessanta, nel 1967 per l'esattezza, Mascheroni comincia a produrre, uno dei primi in Italia, le prime porte blindate. «Un'input – dice Marco – venuto da Oliva, allora grande produttore di serrature a Milano, capace di coinvolgere mio padre dicendogli: tu fai le porte blindate e io ti fornisco le chiavi. Affare fatto. Con papà ho lavorato dal 1981 al 2011, quando è morto pochi mesi dopo essersi ritirato. È stata per me una grande scuola...». Nel frattempo, dal 2008, la Mascheroni smette di produrre porte

blindate in proprio, le compra dai grandi costruttori e le mette in opera offrendo ai clienti l'assistenza necessaria. I macchinari dell'officina che non rispondono più a certi requisiti imposti per la sicurezza dalle Asl vengono venduti ad aziende dell'Europa dell'Est e in via Tiepolo resta il deposito. «Il periodo d'oro della messa in opera delle porte blindate è finito – dice Marco, assistito nell'ufficio di via Roma dall'amabile e gentile sorella Marilena – la crisi si sente anche in questo settore. In questi anni, dopo aver avuto come clienti anche personalità del mondo della finanza, della politica, della cultura, dello spettacolo e dello sport, ma non mi chieda i nomi... – sorride – siamo scesi da 300 a 100-150 circa porte l'anno. I dieci dipendenti dell'epoca d'oro sono stati ridotti a cinque».

Ma la sicurezza è più che mai d'attualità. «Certo, specie in questi tempi – dice Mascheroni – sentirsi sicuri in casa o in ufficio fa vivere più tranquilli e sereni.

Certe persone che non hanno grosse disponibilità economiche fanno qualche sacrificio in questo senso...». Una curiosità: quanta sicurezza in più garantisce una porta blindata rispetto a una normale? «Il 60-70% in più. Sia chiaro – precisa Marco – che nessuna porta blindata offre il 100% della sicurezza perché vale il detto che tutto quello che si chiude, si apre. Per aprirla è sempre una questione di pazienza e di tempo. Tempo che la porta blindata cerca di far perdere al ladro, che invece ha fretta. La porta blindata con le sue chiavi e serrature speciali rinforzate e rese sempre più complicate con i defender, rinnovate e aggiornate di continuo, cerca di rendere la vita difficile al malintenzionato. Il quale, ovviamente, è pronto ad aggiornarsi sulle tecniche di scasso subito dopo l'uscita di porte o chiavi nuove. Tutto qui». È l'eterna lotta tra guardie e ladri. Ma in questo caso l'inseguitore è il ladro...

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TRADIZIONE Per circa cinquant’anni il signor Giuseppe ha esercitato la sua professione in casa dopo aver frequentato le “università” milanesi del settore

Ferrante, un grande sarto rimasto nell’ombra Da ragazzo sognava di realizzarsi a Parigi, ma è stato stoppato dalla famiglia. Di giorno lavorava in un supermercato, nelle ore libere esprimeva la sua arte Il suo sogno sarebbe stato quello di aprire una sartoria a Parigi.

Invece, condizionato a suo tempo dai “pareri” della famiglia, si è dovuto accontentare di lavorare a Segrate, dopo aver appreso l'arte frequentando alcune illustri “università” milanesi. A guardare bene un uomo pacato, tranquillo e cortese come Giuseppe Ferrante, 63 anni, non poteva che fare il sarto, se del sarto abbiamo appunto l'immagine dell'uomo paziente seduto su una sedia o appoggiato a un bancone intasato di stoffe, intento per ore nel silenzio a misurare, tagliare, cucire a mano o con la macchina e poi provare il “capo”, la sua... opera d'arte, al cliente. «Come mi è nata questa passione? No, nessuna tradizione di famiglia... Colpa di mia madre – sorride Ferrante – Purtroppo non ho mai avuto voglia di studiare e allora un giorno quando avevo 12 anni la mamma, non sopportando più di vedermi in giro tutto il giorno a far niente, mi ha preso per mano e mi ha portato alla sartoria Pirola in via Grandi chiedendo al titolare di tenermi come garzone. Accanto c'era anche un negozio di parrucchiere che poteva andar ugualmente bene al mio caso di sfaccendato, ma il destino ha deciso così...», spalanca le braccia Giuseppe, siciliano di Regalbuto (Enna) vedovo di Silvana e padre di tre figli, Linda, Chiara e Gaetano, che incontriamo nella sua abitazione nel complesso Marisol di via Cellini. La famiglia Ferrante era arrivata a Segrate nel 1961: papà Gaetano, morto nel 1978, faceva l'agricoltore e aveva deciso («Perché laggiù si faceva la fame») di trasferirsi qui, per assecondare il lavoro degli altri figli maggiori, Rosario, muratore, Vito e Raffaele, manutentori meccanici. Alla sartoria Pirola il nostro Ferrante è rimasto per circa quattro anni.

«Guardavo, imparavo e intanto cominciavo a mettere “i punti lenti”, insomma iniziavo l'abc del mestiere. Dopo questa gavetta ho cominciato ad allargare i miei orizzonti e sono andato a lavorare, sempre come garzone,

nelle grandi sartorie di Milano: prima dai Fratelli Gabba in via Monte di Pietà, poi ho frequentato l'alta sartoria prima da “Consilvio”, che aveva come cliente il famoso conte Nuvoletti, e a 18 anni sono approdato da Augusto Caraceni, in via Fatebenefratelli, di fama internazionale che vantava clienti della nobiltà milanese, italiana ed europea, della politica, della cultura, dello sport e dell'imprenditoria tra i quali la famiglia Agnelli. Un gran bel ambiente, quasi eccitante, che dava lavoro a ben trenta dipendenti. Da Caraceni sono diventato lavorante, nel senso che sono stato impiegato a fare abiti». La gerarchia sartoriale di quei tempi (anni Settanta-Ottanta) prevedeva che fosse il “principale” a prendere le misure del cliente, si occupasse del taglio e delle prove del capo in confezione; i lavoranti uomini erano addetti a giacche e cappotti mentre le

donne ai pantaloni e agli occhielli. Ma a lei questo mestiere piaceva o lo ha accettato visto che ormai s'era trovato su quella barca? «No, no... per fortuna mi è subito piaciuto. Questo è un lavoro che un po' alla volta ti appassiona, ti prende: vuoi costruire e creare del tuo perché capisci che diventa arte». Il giro delle università sartoriali milanesi di Ferrante si conclude in via Borgogna, da Carrara, «il primo a dichiarare un miliardo di lire di fatturato», che poi gli

Al banco da lavoro Giuseppe Ferrante con una delle sue creazioni tra le mani, e dietro a lui il banco con tutto l’occorrente per tagliare e misurare. Sotto con la sua vecchia macchina da cucire

fa venire una voglia matta di «andare a Parigi per mettermi in proprio...». Bella, affascinante idea, però poco gradita alla famiglia. «Papà e mamma in testa», che amabilmente l'hanno dissuaso. «Mi hanno... sconsigliato – si rammarica Ferrante – facendomi però pesare la cosa perché ormai ero grande e avevo dei doveri nei confronti della famiglia». Comunque, Parigi o meno, l'idea era quella di mettersi in proprio anche perché la sartoria Carrara, con la morte

del titolare, era andata in crisi e annunciava la chiusura. Oltre alla passione si trattava di trovare un lavoro. Intanto un altro lavoro, “per vivere”, propostogli da un amico, è apparso all'orizzonte nel 1978 alla Esselunga di Seggiano nel reparto smistamento di frutta e verdura, con passaggi brevi a Milano in via Regina Giovanna, in piazza Ovidio, a Varese e ritorno definitivo alla base da dove era partito. «Un lavoro in un'azienda sana, alle dipendenze di un imprenditore che sa fare bene il proprio lavoro e che mi ha coinvolto molto. Ci sono rimasto fino al 2003, quindi 25 anni, lasciandoci il cuore. Mi richiamassero ci tornei subito di corsa», si illumina Ferrante che nel frattempo era sceso in politica come consigliere in area socialista, «sulla scia di Riccardo Lombardi, mio compaesano».

E il mestiere del sarto che aveva lo “aveva preso...” negli anni precedenti? «L'ho continuato nel tempo libero qui a casa mia rubando qualche ora al sonno, durante le festività, sacrificando qualche giorno di ferie – risponde serafico Ferrante seduto nel

salottino-laboratorio di casa dove si fa notare una vecchia, spartana macchina da cucire tedesca a pedale, la Gritzner, sottomarca della Pfaff, regalatagli anni fa da un amico – Mica potevo tradire il mio primo grande amore... Io sono e mi sono sempre sentito un sarto. Ho smesso per un periodo appena sposato per dedicare più tempo ai figli piccoli visto che mia moglie lavorava».

«Comunque alla Esselunga, dove sapevano della mia attività – ci tiene a precisare Giuseppe – non ho mai... rubato nemmeno cinque minuti per permessi, finte malattie o impedimenti strani.

Di questo sono orgoglioso».

Che cos'è un sarto per lei? «Un artista, colui che da un pezzo di stoffa tira fuori, crea un abito che valorizza una persona. È un po' quello che fanno gli artisti, scultori o falegnami, con legno, marmo o metallo...». Ricorda l'emozione, la responsabilità del primo taglio? «Certo, avevo vent'anni: era l'abito di mio fratello. Una cosa grandiosa... che mi ha inorgoglito. Ricordo che prima di cominciare ho ripassato per un po' il manuale. Il taglio

è la cosa più importante e delicata, specie per la giacca, e varia da tessuto a tessuto: ci vogliono manualità, sensibilità, colpo d'occhio per capire prima di tutto la morfologia del cliente e come lo indosserà. L'abito deve adattarsi, adagiarsi sulla persona, essere un tutt'uno con essa.

Un abito sartoriale, che richiede mediamente sessanta ore di lavoro, tu lo riconosci dalle spalle, dal collo, dalle maniche, dalle rifiniture. Anche un occhio inesperto ne intuisce la diversità da quello di serie. Se uno ne ha le possibilità non può fare a meno di farsi un abito su misura che, tra stoffa e manodopera, ora costa circa 3mila euro. Una persona con un abito sartoriale ha un'altra figura. E non mi riferisco soltanto agli uomini. Pure le donne con le loro gonne, tailleur e cappotti che anch'io ho fatto, possono distinguersi con capi di sartoria. Sartorie che continuano a lavorare e anche bene, se lavorano bene, grazie soprattutto agli uomini. Le donne, infatti, vanno nei negozi dove possono soddisfare meglio le loro esigenze, la loro vanità con tante accattivanti soluzioni».

Il mestiere non muore anche se ora ci sono più laboratori di sartoria (per riparazioni o piccoli interventi) che sartorie vere e proprie che pur danno lavoro a tanta gente, anche giovani. E ora che è in pensione, continua?

«Calma, faccio qualche lavoretto quando ne ho voglia: sistemo qualche abito per fare un favore agli amici tanto per non annoiarmi, niente di più», dice Giuseppe. E rivolge un appello ai giovani. «A Milano esistono validi corsi di taglio e cucito sempre più frequentati da ragazzi, alcuni dei quali poi fanno strada.

Ebbene ai giovani io dico: mettetevi alla prova e vi aprirete a un futuro diverso». Di questi tempi, nei quali scarseggiano lavoro e soldi e si cerca di recuperare e riciclare il vecchio, questa potrebbe essere un'idea. E diventare una soluzione...

IL NUOVO LIBRO DI FEDERICA NIN Racconti emozionanti, dedicati a chi ama gli animali e senza la loro presenza sentirebbe un vuoto incolmabile. E anche a chi non presta loro particolare attenzione, ma si lascia incuriosire da un libro capace di rendere il mondo animale più visibile ai nostri occhi di umani distratti, incapaci di cogliere la presenza di un universo che vive interconnesso al nostro ma di cui ignoriamo le regole.

Federica Nin attraverso il suo nuovo libro, “Anche questo è amore”, esprime tutto il proprio amore e rispetto verso gli animali e con vena critica e attenta ci fa capire quanto spesso l’egoismo dell’uomo arrechi VR΍HUHQ]D DJOL DOWUL HVVHUL YLYHQWL FKH SRSRODQR OD 7HUUD Il libro è ordinabile presso tutte le librerie Feltrinelli, acquistabile online su Amazon, inMondadori, Libreriauniversitaria, Webster, Unilibro oppure scrivendo una mail a: sileleedizioni@gmail.com

Federica Nin, psicologa e studiosa di questioni animali, ha pubblicato il libro “Perundì” (MEF Ed.), racconti in varie antologie, contributi nella collana “Medicina e psicologia” (Franco Angeli Ed.). Da alcuni anni collabora con “Segrate Oggi”, curando la pagina dedicata ad ambiente e animali.

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TRADIZIONE L’officina fondata dai fratelli Soffientini è sul territorio da 45 anni, dal 1989 grande rilancio quando ne è diventato titolare D’Ercole

Carrozzeria Ambrosiana, se ci vai ci... torni

«No, niente officina, noi ci occupiamo solo della silhouette delle auto – dice Franco – La mia grande soddisfazione? Clienti contenti e che tornano da anni» Fondata dai fratelli Mario e Pietro Soffientini, la carrozzeria Ambrosiana di via Miglioli, ai margini della Cassanese, opera a Segrate dal marzo del 1969.

Nel 1989 metà della quota dell'azienda è stata rilevata da Franco D'Ercole (52 anni), “Franchino” per amici e clienti, diventatone poi titolare.

«Quando l'azienda fu fondata – dice D'Ercole, aspetto da ragioniere più che da carrozziere, uno che sa scherzare e volare lieve sulla vita – era con la Piacentini di Lambrate una delle due carrozzerie della zona. Il lavoro non è mai mancato. Il boom c'è stato quando sono entrato come socio nel 1989. Allora eravamo quasi soli, avevamo come clienti delle belle aziende e gruppi di assicurazioni. Ora invece siamo in otto-nove qui a Segrate. Comunque non ci lamentiamo, lavoriamo ancora bene. Nel 2013 le riparazioni sono state 400, circa 45 al mese...».

L'officina, 300 mq, con 220 di piazzale, è moderna ed efficiente. L’azienda è portata avanti, oltre che da Franco, dalla moglie Cristina (che si occupa della parte amministrativa), dall'altro Franco, lattoniere, Francesco e Paolo, verniciatori e da Giancarlo, finitore e montatore. Senza dubbio una bella azienda, bene organizzata. «Qui – precisa D'Ercole – ci si occupa di carrozzeria, vale a dire dell'aspetto esteriore della macchina, della sua silhouette. Ci diamo da fare per restituirle l'aspetto originale. Niente parte meccanica... Io sono contrario alle officine che fanno tutto. Si rischia di non fare bene niente.

No, meglio specializzarsi... ».

Come D'Ercole, che oltre alla moglie Cristina amministratrice ha anche un figlio, Angelo, di 17 anni che gioca in prima squadra nella Polisportiva Segrate – “difensore mancino” che segue con orgoglio – sia diventato carrozziere, è subito detto anche se la trafila è stata lunga.

Il signor Franco è stato il sesto e ultimo figlio di papà Angelo e mamma Maria (entrambi deceduti), l'unico nato a Segrate.

Gli altri fratelli Tina, Antonella, Giovanna, Antonio e Fiorello sono venuti alla luce in Libia, esattamente a Dafnia nei pressi di Tripoli dove la famiglia, convinta a suo tempo dalla propaganda di regime, era andata in cerca di fortuna.

«La famiglia tornò in Italia nel 1962 a causa dell'espulsione decisa da Gheddafi. Di quel periodo io, essendo nato a Segrate, non ricordo niente. Ho sentito dire che papà faceva l'agricoltore. Aveva un bell’appezzamento di terreno che, a causa del caldo, coltivava soprattutto la notte. Mi ha sempre incuriosito la ricorrente lotta alle cavallette capaci di distruggere interi raccolti. Mi dicevano che aprivano dei varchi, formavano nel terreno dei

canaletti larghi a sufficienza per non far concludere il salto a questi insetti che così cadevano nella trappola su stracci imbevuti di nafta incendiati e bruciavano. Per il resto i miei genitori e fratelli dicevano che si trovavano abbastanza bene.

Comunque, che mi risulti, tutti sono rimasti contenti di essere

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Moderna Franco D’Ercole con la moglie Cristina nell’attrezzatissima carrozzeria Ambrosiana.

Qui sotto, fasi del lavoro con sullo sfondo, a sinistra, l’innovativa camera di verniciatura ad acqua

tornati in Italia».

Dove tutti hanno trovato sistemazione. Il papà prima si è adattato a lavorare alla Tecniterra, azienda nella zona che componeva veleni per l'agricoltura (verderame, bisolfiti...) lavoro davvero insalubre, ma poco dopo, per sua fortuna, si è sistemato alla Manifattura

Tabacchi in viale Zara a Milano. «Io – dice D'Ercole – sin da bambino ho sempre avuto la mania di montare e smontare biciclette e motorini dei miei amici. Li verniciavo pure facendo qualche distastro. Un lavoro che mi è rimasto addosso... E all'età di 13 anni andavo da Segrate a Milano in via Ca-

millo Golgi, dalle parti di viale Rimembranze, a lavorare da un meccanico: ci sono rimasto qualche mese finchè non mi è stata offerta un'opportunità qui vicino presso la carrozzeria Romano dove sono rimasto per alcuni anni, arrivando all'età di 15 anni a prendere con il mio bel libretto verde di lavoratore-apprendista lo stipendio di 178.000 lire mensili. Lo ricordo perfettamente. Una bella soddisfazione. Eravamo in 810 dipendenti. Il padrone era molto bravo, mi ha insegnato tutto con molta pazienza, prima di tutto a raddrizzare le lamiere, punto di partenza di ogni carrozziere. È stato davvero un bravo maestro anche per me. Lo ricordo con riconoscenza. Da lì sono poi andato alla carrozzeria Italia di Cernusco dove sono stato tre anni, poi alla carrozzeria Tiani di Vimodrone, quindi ho fatto il grande salto alla Bmw da Mari in via Scesa a Milano.

Un’officina qualificata di alto livello con tanti dipendenti nel pieno boom dell’auto. Si lavorava bene e si guadagnava pure bene. Lì sono rimasto altri tre

anni, fino al 1989 quando mi sono deciso a rilevare la metà delle quote della carrozzeria Ambrosiana».

A quel punto D'Ercole, che come tutti nel suo peregrinare aveva iniziato con le “aste”, vale a dire a conoscere prima di tutto gli attrezzi del mestiere, si sentiva carrozziere fatto e finito. «I ruoli in una carrozzeria sono precisi – dice Franco – c'è il lattoniere, il verniciatore e il finitore-montatore che si occupano nelle varie fasi della macchina da sistemare. Io mi ritengo un lattoniere, quello che si occupa delle lamiere.

Qui ho provveduto un po' alla volta a modernizzare la carrozzeria acquistando la famosa Dima (il banco dove dopo un incidente si ancora la vettura con punti fissi per vedere se è in asse. ndr.), poi ho investito in nuove attrezzature tecnologiche compresa la verniciatura, non più a raggi infrarossi, ma ad acqua, di ultima generazione. È un forno tecnico all'avanguardia dove tutto viene aspirato e riciclato. Se si vuole stare al passo con i tempi bisogna investire» conviene D’Ercole.

Qual è, gli chiedo, la sua più grande soddisfazione? «Avere clienti che ti vogliono bene, che ti apprezzano, che guardano alla qualità del lavoro, che si fidano di te, che escono contenti dalla carrozzeria e che tornano da decenni. Clienti che non guardano solo al rimborso delle assicurazioni». Non ha mai “aggiustato” qualche incidente tanto per compiacere il cliente?, gli chiedo a bruciapelo ben sapendo di essere indiscreto e insolente. Mi guarda perplesso per tanta audacia.

«No, no – sbotta Franco – questi giochetti, questi brogli non li conosco, non li ho mai praticati. Non mi piacciono proprio. Tutti devono pagare ed essere contenti e sereni... Tutti dobbiamo essere sempre sereni», scandisce sorridendo il signor Franco. Già, nessun incubo notturno. La vita è già complicata e angosciante di suo...

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TRADIZIONE L’azienda dal 1984 a Segrate, ma fondata a Milano nel 1947 dal defunto Edoardo, si occupa di lavorazioni industriali, non di occhialistica

Ottica Bianchi, punto di riferimento in Italia

«Siamo molto conosciuti e in grado di far fronte alle esigenze dei nostri clienti», dice la vedova Anna che senza il marito si sente «una vela senza vento» “Bianchi Ottica, lavorazioni lenti di ingrandimento per forindustriali”? A Segrate si sa niture ai negozi di ottica. Proche esiste, che è un'azienda di dotti che in seguito hanno trolivello. Altrove, vale a dire in vato applicazioni in campo intutta Italia, è considerato nel dustriale e biomedico come la settore un marchio di presti- radiologia, ad esempio, con gio. La sede (che sembra un nuovi prodotti quali il quarzo, bunker) è in via Novegro 2, il vetro per raggi infrarossi, ricavata tra due belle cascine ultravioletti, laser e lenti specomunicanti color ocra ristrut- ciali per applicazioni tecniturate tanti anni fa, dove ci so- che». Un'autentica giungla per no anche delle abitazioni di chi non è del mestiere. Come, privati. Al primo piano, in un ad esempio, le lenti di ingranufficio di pochi metri quadrati, dimento che, leggiamo sul sito c'è il cuore dell'azienda ora internet, sono da tavolo, da gestita dalla signora Anna banco con luce, base e braccio Fiocchi, vedova del fondatore flessibile,visiere diottriche biEdoardo Bianchi deceduto tre noculari, lentini per uso tessile anni fa. Una donna sveglia, e tipografici, agroalimentare... ben tenuta, che non dimostra E chi più ne ha più ne metta. certo l'età sussurratami con «In effetti – conviene orgopudore e vanità femminile a gliosa la signora Anna – abun orecchio alla fine dell'in- biamo lavorato badando semcontro. Complimenti davvero, pre alle nuove implicazioni signora Anna. Mi riceve con tecniche per grandi industrie calore, tra mensole piene di quali Salmoiraghi e Viganò, schede, e mi chiede la cortesia per ospedali, cliniche, Ferrovie dello Stato, di pazientare L’azienda? Tutto centri di belun minutino perché deve inmerito di mio marito, lezza e discoviare d'urgenza un grande imprenditore, teche». E in un fax a rigoroso sul lavoro e una pochi anni, grazie alla u n ' a z i e n d a persona generosa che competenza e contenente il alle conoscenchiarimento di aiutava chi aveva un progetto. bisogno. Siamo arrivati a ze del signor Bianchi, «Quest'azien- Novegro nel 1984, da? Tutto meri- quando ancora era tutta l'azienda si è to di mio mari- campagna... Come ci ha espansa in tutto Edoardo, accolti Segrate? Lasciamo ta Italia. «È stato un passap u r t r o p p o perdere, ce la siamo parola che si è mancato tre cavata sempre da soli... dilatato – spieanni fa – mi ga la signora – spiega dando un'amorevole occhiata alla fo- e che ha trovato riscontri nella to del consorte sulla scrivania serietà dell'azienda che all'ini– Tutto è iniziato nel 1947 a zio produceva certi prodotti, Milano. Mio marito, che si era ma che con gli anni, grazie allaureato in Ingegneria edile, l'esperienza acquisita, è divenpensi lei, aveva sempre avuto tata punto di riferimento, anzi una gran passione per l'ottica, collettore delle richieste dei trasmessagli dai suoi genitori, nostri clienti che noi esaudie aprì con l'aiuto di un amico vamo sapendo dove e come una fabbrichetta di produzione orientarci. Se qualcuno del ottica in zona Monforte che settore aveva qualche probleperò non comprendeva l'oc- ma sapeva che poteva rivolchialeria, settore nel quale si gersi all'Ottica Bianchi. Profanno tanti soldi. Si trattava dotti richiesti, fabbricati da di ottica per applicazioni in- noi o reperiti. Poi noi li condustriali tra cui lenti conden- trollavamo, collaudavamo e satrici, obbiettivi, specchi e spedivamo. Un lavoro increfiltri ai quali mano a mano ha dibile, svolto una volta con affiancato le costruzioni di cinque-sei dipendenti e ora,

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In una cascina La cascina di via Novegro dove dal 1984 ha sede l’azienda, che ha interamente ristrutturato l’edificio. Sotto, il fondatore Edoardo Bianchi, in un ritratto e assieme alla moglie Anna

grazie all'archivio e ai computer, con tre collaboratori.

Qui in cascina abbiamo soprattutto il deposito delle merci». Fondata nel 1947 in zona Monforte, la ditta Bianchi si trasferisce nel 1950 («Quando mio marito e io ci siamo conosciuti, per poi sposarci nel 1952: purtroppo non abbiamo fatto in tempo a festeggiare i sessant’anni di matrimo-

nio...») sempre a Milano, a Porta Vittoria. Ci resta fino al 1957, perché la ditta Bianchi che ha sempre più lavoro ha bisogno di maggiori spazi.

Prima si... rifugia in una struttura di via Carducci qui a Novegro, da dove l'ingegner Bianchi («Un uomo alto, snello, una grande mente imprenditoriale, rigoroso sul lavoro, una bella persona molto uma-

na. Aiutava sempre chi aveva bisogno... Mi manca molto...», si commuove la signora Anna) allarga lo sguardo verso due cascine contigue che sceglie per farne, dal 1984, l'ultima sede della ditta. «Qui era aperta campagna – ricorda la signora Fiocchi – c'erano i contadini, le stalle, le mucche, le pecore... Con un po' di pazienza, intervenendo prima sul-

l'una e poi sull'altra, abbiamo ristrutturato le due cascine, che ora chiamano tutti “Bianchi”, dotate per la prima volta a Segrate di un riscaldamento a pompe. Una novità del tempo che permette, grazie a un pozzo privato, di pescare acqua già a 16 gradi e quindi di risparmiare sulle spese di riscaldamento». Come vi ha accolto Segrate? «Lasciamo perdere... – taglia corto la signora Anna – ci siamo sempre arrangiati da soli». Nel frattempo crescono l'azienda, il marchio («Con rappresentanti in tutta Italia, da Trento a Canicattì») ma non la famiglia Bianchi. «Non abbiamo avuto figli, non sono arrivati e non ci siamo disperati anche perché eravamo troppo presi dal lavoro – dice la signora Anna – Ma io e mio marito siamo stati sempre molto bene insieme. Io non c'entravo niente con l'ottica, non ne sapevo niente, ma lui mi ha coinvolto alla grande. A un certo punto mi ha trasmesso pure la passione per la barca a vela. Avevo il mal di... tutto, ma poi mi è passato. Durante le vacanze e a volte nei fine settimana abbiamo per anni navigato sul mare, sui laghi, un po' ovunque, anche all'estero. Lui era il timoniere, io il prodiere. Abbiamo anche vinto qualche gara e ci siamo pure rovesciati due-tre volte per colpa dell'onda morta... Ma al suo fianco non avevo paura, mi sentivo sicura e protetta. Era tanta la passione di mio marito per la vela che andava gratuitamente a fare l'istruttore all'Idroscalo per la Lega Navale e anche in alcune scuole di Milano. Edoardo ha davvero messo in mare tanta gente...».

E ora? «Senza di lui mi sento una vela senza vento...», sintetizza splendidamente la signora Anna col magone. Ma all'Ottica Bianchi, una meravigliosa realtà nata e sviluppatasi in silenzio, il signor Edoardo ha garantito il pilota automatico...

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ECCELLENZA Fondata nel 1999 da Bruno e Boselli l’azienda è diventata leader in Italia nel settore dei casellari, delle scaffalature compatibili e arredi metallici

Technarredi, artisti di biblioteche e archivi

Lavora per Enti pubblici e privati (grandi aziende, banche, ministeri, università) – Ha realizzato l’archivio segreto e del Governatorato del Vaticano Technarredi... Se basta la parola uno, almeno noi, si ferma lì e non ha bisogno di voli di fantasia. Si vede davanti grigie montagne di scaffali in ferro appoggiate alle pareti, pronti a ospitare materiale di ogni tipo.

Invece no, troppo superficiali.

Basta andare su internet e balza subito all'occhio che esiste una (la) Technarredi a Segrate “leader italiana nel settore” che applica moderne tecnologie per produrre scaffali, casellari postali, arredi metallici con prestigiose realizzazioni per biblioteche nazionali, archivi di Stato, ministeri, Enti pubblici e privati compresi quelli ecclesiastici (Vaticano e diocesi etc.). Scaffalature mobili su binario compatibili per archivio, scaffali fissi per depositi librari e arredamenti per biblioteche, uffici e comunità.

Questa “azienda leader italiana” nel settore, ha sede in via Torricelli nella silenziosa ma fervida zona industriale della città.

Una lunga palazzina color grigio a un piano con annesso capannone-officina di 1.800 mq e 300 di uffici. Qui ci riceve uno dei due soci (l'altro è Gianmarco Boselli) della Technarredi srl, il geometra Giuseppe Bruno, 57 anni (in lutto per la morte del papà Sebastiano, deceduto qualche settimana fa all'età di 81 anni), originario di Giarre (Catania), sposato con Tatiana e padre di Caterina (16 anni) approdato a Segrate all'età di cinque anni. «Mio papà faceva il fabbro – dice il garbato signor Bruno, uomo schivo, semplice, di poche e concentrate parole assistito dalla sorridente e gentile Valeria Caretti, sua storica segretaria che da 15 anni si occupa della parte amministrativa dell'azienda – Ha avuto per molto tempo l'officina qui a Rovagnasco. Io, terminati gli studi, a un certo punto ho trovato lavoro presso la Lips Vago di Cernusco sul Naviglio che produce casseforti e si occupa appunto di scaffalature per biblioteche, archivi. Una gran bella azienda che mi ha coinvolto e nella quale ho imparato molto. Per loro facevo il colla-

boratore esterno con l'amico Umberto Boselli». E da qui ha allargato gli orizzonti... «Esatto, dalla Lips Vago ci siamo via via staccati per lavorare in proprio.

Nel 1998 abbiamo cominciato ad acquistare la merce e nel 1999 abbiamo aperto la prima officina di Technarredi qui in via Kennedy con uffici in via Buozzi». Il lavoro ha dato subito grandi soddisfazioni ai due coraggiosi imprenditori che conoscevano bene il mercato e così quattro anni dopo, nel 2003, hanno acquistato lo stabile di via Torricelli dove hanno trasferito in blocco l'azienda, compreso il nuovo reparto di verniciatura.

Socio alla pari con Bruno della nuova azienda e amministratore unico è diventato Gianmarco Boselli, laureato in Economia all'Università Cattolica del Sacro Cuore. E da allora la Te-

bolle papali in oro zecchino.

Lavori che eseguiamo con 18 dipendenti tra geometri, architetti e operai, cinque dei quali sono stranieri: tre del Burkina Faso e due rumeni davvero molto bravi e affidabili. In questo periodo ci stiamo occupando del rifacimento dell'archivio della direzione regionale dell'Inps di Genova danneggiato dalla recente alluvione, che ha uno sviluppo di ripiani di 15 km. Come 33 km di sviluppo ha l'archivio della Telecom di Torino. Stiamo pure lavorando all'allestimento nell'ex teatro Mazzarella dell'archivio della diocesi di Milano che occupa sette piani e, in via Tortona, sempre a Milano, ci stiamo occupando dell'archivio museale di tappeti del Comune».

«Siamo un'azienda molto dinaAvanguardia Qui sopra il modello Living Space, contenitore su basi mobili di libri e faldoni. Sotto i mica...», ripete orgoglioso il signor Bruno. Capace anche di due soci titolari della Technarredi: in primo piano Giuseppe Bruno, dietro Gianmarco Boselli. guardare oltre e altrove, in altri le Agenzie delle entrate di pa- settori come ha fatto qualche recchie Regioni; diverse Pro- anno fa aprendo in via Cassacure, quali Milano, Napoli e nese 170 la Technel srl, concesReggio Calabria per il Ministe- sionaria Enel SI, che studia la ro della Giustizia e infine inter- realizzazione e l’installazione venti commissionati dal Mini- di impianti foltovoltaici e apstero dell'Univerplicazioni varie sità e della Ricernell’ambito delle Il lavoro è “chiavi ca scientifica al energie rinnovain mano” vale a Politecnico di dire progettazione, bili quale il solaMilano e Torino, produzione re termico, il miall'Università Stani eolico e la tale di Milano, e installazione delle geotermia. «Un della Bicocca, di opere che richiedono settore – dice – Catania, Genova, pazienza, precisione che ci sta dando Padova, Pavia, per l’adattabilità degli buone soddisfaRoma Tre. In- spazi da ricavare zioni». La Tesomma dove c'è spesso in immobili chnel, sorella la necessità di antichi, molta della Technarresfruttare al me- discrezione, di, è nata con lo produttivo e un miglioramento elenco delle referenze è lì a di- glio gli spazi per stesso spirito di continuo dello stesso e delle mostrarlo. Comprendono azien- biblioteche e or- riservatezza fare imprenditostrutture aziendali circostanti”. de private di nome quali Agip, ganizzare archivi e spesso il segreto ria. «Chi si ferma Con questo biglietto da visita Alcatel, Autogrill, Fiera Milano di ogni genere professionale è perduto – sorcertificato dai clienti soddisfatti International, il Gigante, Ina As- Technarredi è ride il geometra (il passa-parola è sempre il mi- sitalia, Siemens,Telecom Italia, sempre presente. «È un lavoro Bruno – per questo non ci stanglior veicolo pubblicitario per Gucci, Sky Italia; istituti ban- – dice il signor Bruno – che ri- chiamo mai di aggiornarci, di un'azienda), la Technarredi ha cari; enti ecclesiastici (lavori di chiede pazienza, precisione per ascoltare e se possibile anticiinvaso il mercato. «Sono tanti grande responsabilità per l'Ar- l'adattabilità degli spazi da ri- pare le esigenze del mercato per e in ogni settore – sottolinea il chivio segreto Vaticano, il Go- cavare spesso in immobili an- essere sempre pronti». geometra Bruno – i lavori di vernatorato dello Stato Vatica- tichi, molta discrezione e riser- Un'azienda, la Technarredi (tra prestigio “chiavi in mano”, vale no, seminari e diocesi di Mila- vatezza e spesso anche il segre- poco un gruppo?) frutto di coa dire dalla progettazione, alla no, Trieste, Como, Livorno, Lo- to professionale come ad esem- raggio, di intuizioni e dedizione, produzione e all'installazione, di); biblioteche statali per il Mi- pio nella ricostruzione dell'ar- entrata nelle delicate e segrete che abbiamo eseguito e di cui nistero dei Beni culturali; gli chivio segreto vaticano, nel stanze della nazione. Un'azienandiamo orgogliosi». Il lungo archivi di stato di decine di città, quale sono custoditi sigilli e da che onora Segrate e l'Italia.

“

chnarredi è diventata in breve azienda italiana leader del settore, “con l'obiettivo primario – come si legge nello statuto – di essere riconosciuta come fornitore eccellente e affidabile nel tempo di scaffalature per uffici, archivi, biblioteche tradizionali e compact per una soddisfazione globale e duratura dei clienti sia in termini di caratteristiche e prestazioni dei prodotti acquistati sia in termini di servizio ricevuto. Obiettivo che può essere raggiunto mediante un costante controllo del processo

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Federico Viganò

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Beppe Maseri, Raffaella Turati REALIZZAZIONE GRAFICA: Federico Viganò HANNO COLLABORATO: Anna Olcese, Enrico Sciarini, Robert Rossi, Federica Nin, Matteo Occhipinti --PUBBLICITÀ: 340.3417820 - pubblicita@segrateoggi.it E-MAIL: redazione@segrateoggi.it SITO INTERNET: www.segrateoggi.it FACEBOOK: Segrate Oggi TWITTER: @segrateoggi STAMPA: Martano Editrice - Paderno Dugnano --Milano Communication srl via Cellini 5 - 20090 Segrate (MI) TEL/FAX: 02.2139372 P.IVA 05365660967 E-MAIL: amministrazione@segrateoggi.it Registrazione Tribunale di Milano n.369 - 19/11/1974

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MADEINSEGRATE a cura di Pep

15 gennaio 2015 Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali con alle spalle una tradizione de-

gna di essere conosciuta. Siamo anche alla ricerca di chi pratica ancora i mestieri in... via di estinzione. Segnalateci queste

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realtà al numero 02.2139372, scrivendoci alla mail redazione@segrateoggi.it oppure sulla nostra pagina Facebook.

TRADIZIONE Il negozio aperto nel 1974 col marito Pierino in via Roma è stato il primo a Segrate: da due anni è gestito dalla vedova, un vulcano di idee

Colnaghi, l’estro per personalizzare i fiori

«Impossibile fare concorrenza al supermercato – dice la signora Pinuccia – e allora con la creatività cerco di rendere più interessante il... messaggio» Timida e schiva, quindi refrattaria ad aprirsi a nuovi incontri.

Con le imprevedibili, a volte ruvide, manifestazioni dei timidi.

«Cosaaa? No, guardi, la ringrazio ma non voglio, non me la sento, non fa per me...», la sua prima replica alla richiesta di una chiacchierata. Quasi un parto per convincerla grazie al lavoro persuasivo di amici. Poi, invece, una rivelazione. Disponibile, simpatica, schietta e in vena di battute, anche se ogni tanto ancora un po' diffidente.

«No, no questo non lo scriva...».

Pinuccia Zagato vedova Colnaghi, fiorista con negozio sotto i portici di via 25 Aprile, è in gran forma grazie anche alla presenza, alla psicologica “protezione” in negozio di Tarcisia, la sua fidata amica-commessa che durante l'incontro le regola il... semaforo (verde, giallo, rosso...) con un'occhiata. Fiona, invece, una splendida cagna Amstaff affettuosa, vigila accucciata e sorniona dietro la porta d'ingresso del bel negozio. Una presenza ammonitrice... Colnaghi a Segrate è nome noto, significa fiori. Lo è, primo fiorista a Segrate, dal 1974, quindi da quarant'anni, da quando cioè Pierino Colnaghi, morto due anni fa a 61 anni, aprì qui il negozio con la moglie Pinuccia. «All'anagrafe sarei Giuseppina – precisa la signora ben tenuta, con un elegante caschetto di capelli sale-pepe (più pepe che sale). Forse – sorride - i miei non mi hanno voluto molto bene... e così un po' più grandicella ho scelto di chiamarmi Pinuccia. Mi piace di più, mi rappresenta meglio...».

Il cognome Zagato sa di veneto.

«Esattamente, infatti mio papà era originario di Polesella, in provincia di Rovigo (Polesella, per inciso, è famosa per un'epica battaglia che lì si svolse nel 1509, che vide le armi estensi trionfare su quelle della Serenissima: uno scontro che si concluse con la distruzione della flotta veneziana ancorata nel Po e che ebbe una vasta eco in Europa, ndr). Da lì ci siamo trasferiti a Busto Arsizio. Qui ho studiato e ho cominciato a seguire mia mamma Bianca al mercato

dove vendeva fiori sulla scia del nonno che aveva iniziato a girare la zona con un carrettino.

Ecco spiegato come è nata la passione che ha segnato la mia vita. Tanto è vero che poi quando ho conosciuto mio marito Pierino, che di mestiere faceva l'infermiere ma che arrotondava come ragazzo di un fiorista, perché allora non si giocava con la Playstation..., l'ho convinto ad aprire un negozio suo, nostro.

E così nel 1974 siamo arrivati qui mettendo definitivamente le tende sotto i portici di questo condominio, allora appena costruito. Segrate era ancora un paesotto, qui intorno era tutta campagna. Ricordo che davanti a noi c'era l'insegna stradale che indicava Segrate Centro per aiutare gli automobilisti a non finire, complice la nebbia, nella vicina roggia. Nel 1977 ci siamo sposati e abbiamo avuto due fi-

e per questo noi fioristi, che per quanto riguarda i prezzi non possiamo certo fare concorrenza ai supermercati, siamo costretti per sopravvivere a ripiegare sulla creatività, sulla personalizzazione dell'omaggio floreale. Ora viviamo, almeno io, soprattutto con questo. E con buone soddisfazioni, anche se la crisi morde anche in questo settore. Soldi da spendere ce ne sono sempre meno e quindi si va sul necessario, non sul superfluo come può essere il fiore. Magari si compongono poesie... Pensare che un fiore non fa ingrassare e non causa il colesterolo...».

Niente addobbi nuziali nelle chiese o corone per i funerali?

«Una volta, finché c'era mio marito, ma ora io che sono sola non sono in grado, non ce la faccio. Ah, sa che cosa va di moda di questi tempi? Il fiore, due-tre Coloratissimo In alto, Pinuccia Zagato tra i fiori all’interno del negozio di via 25 Aprile. In basso, fiori al massimo, che i ragazzi altri fiori e piante nei locali che ospitano dal 1974 l’attività fondata con il marito Pierino Colnaghi fanno alle loro giovani fiamme. attorno – qui sto bene, ci vivo del mio lavoro che mi piace di È bello vederli entrare timidi in volentieri. Per me non è un la- più. Sono felice quando il clien- negozio, vederli così teneri e inte lo apprezza e soddisfatta, namorati E intanto insegno loro voro, è un hobby».

Signora che cos'è per lei un fio- quando lo vedo tornare. Di so- che ad esempio i colori delle rore? «Esprime un sentimento, di- lito è così. Però non si può vi- se si accostano, ma non le dice qualcosa di te, di tuo... Non vere sugli allori. Bisogna curio- verse forme...». Il fiore ha una c'è regalo più bello di un fiore. sare, inventare, moda, ne è orientato? «Certo: ci Il fiore è la nota di una musica aggiornarsi di A causa delle sono stati i perioche si vuole esprimere». Tanti continuo». Come coltivazioni e incredibili colori, ma pochi è cambiato il mer- intensive i fiori ormai di delle rose, delle orchidee, delprofumi, vero signora? «Sì, pur- cato in questi an- sono più belli che l'iris... adesso ad troppo... Da un po' di tempo i ni? «Fino ad alcuprofumati , ti esempio torna di fiori sono apprezzabili solo per ni anni fa c'era la moda il garofano i colori. Le coltivazioni inten- moda, al di fuori conquistano con il sive, nelle serre e fuori stagione delle ricorrenze, colore e identificano che sembrava tramontato. E sa hanno rovinato tutto in questo del mazzo di fiori un sentimento. Che perché? Perchè senso. Stiamo rovinando, imba- per il piacere di bello vedere i stardendo la natura. Pochi fiori portare o far reca- ragazzini innamorati... Armani l'ha riesumato durante esprimono la loro pienezza an- pitare un fiore. che con il profumo, tra questi la Valeva come sorpresa per espri- una sfilata». «Ora sta prendendo gardenia, una pianta verdissima mere un sentimento, un affetto, piede», la imbocca Silvia, la col fiore bianco dal profumo in- un ringraziamento, per conqui- nuora, donna dolcissima, «la rotenso, inconfondibile, che a lun- stare una donna. Ora invece si sa stabilizzata, vale a dire disigo ad alcuni può provocare an- lavora soprattutto per le ricor- dratata, che dura anche 15 anche l'emicrania». Per me una renze comandate... compleanni, ni...». piacevole emicrania... Pochi onomastici, festa della mamma, Pochi accenni alle piante... «Le profumi, ma tanti colori, come festa della donna, comunioni, tengo per ovvi motivi, ma non le, i gladioli, qui i gerani, i tuli- accontenta i clienti? «Con i co- nascite, lutti, ma soprattutto San sono la mia passione. Specie le pani e altri fiori curiosi, affasci- lori... sorride – Il mio compito Valentino, la vera festa dei fiori grasse che reputo asociali e che nanti fiori esotici. Colori che è personalizzare il mazzo di fiori per noi fioristi. È bello quel gior- tengo lontano da me. Le piante cambiano con il mutare dei fiori secondo le esigenze e la... per- no vederli tutti innamorati... Un poi sono impegnative... Il fiore stagionali anche se le importa- sonalità di chi me lo chiede. uomo che non si ricorda di San invece, portato il messaggio, trazioni da altri paesi, da altri climi Punto sul particolare per rap- Valentino è davvero arido. Ma- smesso il sentimento, termina il possono rendere attuale l'impos- presentare al meglio il suo pen- trimoni? Poco o niente, ormai suo compito ed è giusto che apsibile. «È il mio regno – dice siero a chi è indirizzato. Sono non si sposa più nessuno...». Ok, passisca». Intanto ha fatto censchietta Pinuccia guardandosi una creativa... è questo l'aspetto ma l'anno è lungo... «Appunto tro. Ditelo con i fior...

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gli, Silvia e Claudio che mi ha dato una splendida nipotina, Emma di un anno e mezzo». Il negozio Colnaghi è un festival di colori immersi nel verde delle piante che appaga l'occhio, rilassa e invita a soffermarsi, a guardare: qui le rose variopinte, là le orchidee, i garofani, le cal-

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TRADIZIONE Gianmarco e Isabella Acquaviva sono i titolari della pasticceria messa in piedi dal padre Giovanni, per 27 anni dipendente della nota azienda

Il Melograno fiorito dal seme della Debora «La nostra sfida è sulla qualità e sui prezzi che sono del 30% inferiori alla concorrenza, basta verificare per credere: le soddisfazioni non mancano» Seduto di sbieco a un tavolino del locale con il grembiule bianco d'ordinanza il signor Giovanni Acquaviva, 63 anni originario di Trani, occhiali, barba e pizzetto sale-pepe ben curati che lo fanno assomigliare al noto giornalista Vittorio Zucconi, ci mette un po' a sciogliersi, a capire il motivo della visita e a venirci incontro: desideriamo solo e semplicemente illustrare la sua attività ai lettori del nostro giornale e alla città. All'inizio un po' diffidente, il signor Giovanni, “deus ex machina” della pasticceria “Il Melograno” in via Martiri della Libertà, sembra quasi seccato e parla a... monosillabi. «Non sono il titolare – precisa – i titolari sono i miei due figli...». Che hanno anche un nome e sono, concede, «Gianmarco di 25 e Isabella di 30 anni... Io grazie alla mia grande esperienza qui fungo da supervisore». La chiacchierata diventa finalmente più fluida e collaborativa e subito affiora che c'è il seme... “Debora” (la nota pasticceria di Segrate sulla via Cassanese diventata un marchio nel settore, purtroppo fallita nel 2008 dopo trent'anni di attività) nella nascita de “Il Melograno”.

Il signor Acquaviva, arrivato dalla Puglia prima a Milano e poi a Segrate, era entrato a lavorare in Debora nel 1977 e se n'era andato nel 2004 dopo esserne diventato socio e uno degli amministratori. Giovanni ha il magone a parlarne.

«Sembra incredibile – sussurra – che sia fallita. Aveva tre stabilimenti, 70 dipendenti, era diventata un marchio soprattutto in Lombardia: il suo successo era dovuto alla croissanteria fresca che ogni mattina arrivava nei locali. Ora invece sono tutti surgelati. Si lavorava, si era orgogliosi di quello che si faceva...». Lo sguardo sembra perso nel vuoto, in quel passato. «D'altra parte – riprende – se l'azienda arriva nelle mani di uno che non è del mestiere (un disinvolto politico locale di allora di cui pa-

re si siano perse le tracce, dopo essere stato latitante abitudinario anche in consiglio comunale, ndr) è quasi normale che si salti per aria. È stato un fallimento che ha fatto molto male a tanta gente e a Segrate in tutti i sensi. Ma lasciamo perdere... Per fortuna buona parte dei dipendenti, grazie alla loro esperienza, sono riusciti a riciclarsi in altre aziende dolciarie». La tradizioneDebora nel senso della qualità prosegue ne “Il Melograno”, un bel locale moderno, accogliente e ben arredato con ampio laboratorio, banco vendita, bar-caffetteria dove consumare ai tavolini deliziose colazioni. Subito spiegato l'iter della nascita, o meglio della resurrezione, dell'azienda artigianale “Il Melograno” che oltre sulla supervisione del signor Giovanni, la collaborazione della moglie Pasqua Barracchia e dei figli Gianmarco e Isabella conta su due

ringhe con panna e gateaux al cioccolato, con crema pasticcera o panna e frutta fresca senza glutine) ai croissant, ai dolci e alle torte di ogni tipo e per ogni occasione: nuziali, di compleanno o altre feste.

Al “Melograno”, che rivende anche il pane (però non di propria produzione) si può trovare «quello che uno cerca per organizzare piccoli e grandi eventi o semplicemente per non perdere la tradizione del dolce domenicale e delle feste». La filosofia dell'azienda risalta chiara e accattivante in una considerazione che si legge sul sito: “La nostra idea è che il peccato di gola, il buon peccato di gola, non debba essere un lusso altrimenti sarebbe una ragione in più per rinunciarci”. Meraviglioso. Per questo, qualità a prezzi ragionevoli, anzi concorrenziali.

Prodotti che fanno bella mostra di sé, accattivanti... sui Tutto in famiglia In alto, Giovanni Acquaviva insieme con la moglie Pasqua e i figli Gianmarco banchi, sulle mensole, nei frie Isabella, titolari dell’azienda che impiega anche due dipendenti. In basso, il nuovo bar-caffetteria go e sui tavolini del bel lumisomma tiriamo avanti senza venienza dei prezzi diventa il noso e funzionale locale, rininfamia né lode...». A questo mantra del signor Giovanni, novato in estate nell'arredapunto il signor Giovanni ha un complimentato da un distinto mento, e al quale è stato agsussulto, si gira e quasi si in- cliente venuto ad acquistare giunto il servizio bar-pasticfiamma per spiegarci il segreto ad un prezzo ceria che l'ha “riOrgogliosi di delle soddisfazioni che ottiene van-taggio-sissvegliato” un con “Il Melograno”. «Perché si-mo cinque essere un’azienda po'. Locale apersiamo un'azienda familiare, ar- panettoni alla artigianale in grado to al pubblico tigianale ben attrezzata nella frutta esotica. di far fronte a dalle 8 alle 19.30 quale lavora gente esperta e «Buoni?», chie- qualsiasi esigenza ma nel cui laboappassionata che fa della qua- do io incuriosito si lavora per ogni evenienza: ratorio lità la propria bandiera – scan- al signore che dalle 5. «Si lavodisce – qualità che non am- dal sorriso sem- la nostra filosofia ra bene tutti i giorni – dice il mette discussioni grazie alla bra già pregu- è che il buon signor Giovanni scelta delle migliori materie stare la delizia. peccato di gola – con i prodotti prime del territorio e con prez- «Da perdere la non debba essere di giornata, la zi che a prodotti finiti, sul ban- testa...», garan- un lusso... domenica e le feco sono del 30% in meno ri- tisce lui, innespetto alla concorrenza. Sul scando a questo punto il man- ste tradizionali. Crescono anper tenerci allenati... Poi è ar- mercato la qualità stava da tra di Giovanni. «Visto? – ci che le ordinazioni di torte perrivata l'occasione di questo lo- tempo scemando a favore del- si rivolge orgoglioso – Non sonalizzate, una tendenza che cale, una delle ex sedi, anzi la la quantità e invece noi voglia- dico sciocchezze… La qualità sta prendendo piede. Le forsede storica della Debora, pri- mo invertire la tendenza. È è la nostra forza con la quale niture esterne non sono molte: ma rilevato da altre persone e quasi una scommessa. Qualità facciamo concorrenza alla qualche bar, qualche scuola o dal 2010 da noi, o meglio dai che tiene conto anche delle quantità. Qualità che deriva asilo per delle festicciole con miei figli, che così si sono nuove esigenze, delle intolle- dalle scelte delle migliori ma- prezzi adeguati. Da un po' di comprati, assicurati, spero, un ranze alimentari crescenti di terie prime». I prodotti de “il tempo stiamo fornendo anche lavoro per il futuro. Si è sgob- tanti clienti, alcuni dei quali Melograno”, come si legge i treni alta velocità per le cobato di brutto dall'inizio, ma i ad esempio allergici al glutine. sulla home page del sito e si lazioni a bordo...». Ma senza risultati non hanno tardato ad Ebbene in molti dei nostri pro- può ovviamente verificare in correre troppo, perché la quaarrivare. Non ci sono grandi dotti non usiamo il lievito ap- negozio, vanno dalla pastic- lità, slogan e vanto de “Il Mevolumi di lavoro, ma le sod- punto per soddisfare anche ceria mignon (cannoncini, bi- lograno”, ha bisogno di tempo disfazioni non mancano. In- questi clienti». Qualità e con- gnè, fantasiosi cestini di me- e tranquillità per imporsi.

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dipendenti tra i quali uno chefpasticcere per «prodotti e articoli artistici», in gergo “cake design”, perché senza una spruzzatina di inglese non si può vivere... «Nel 2004 uscito in tempo dalla Debora prima del disastro – dice Giovanni – ci eravamo promessi in famiglia di iniziare da zero da altre parti e così ho aperto una piccola azienda artigianale sempre del settore ad Assago, dove siamo stati sei anni. Tanto

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TRADIZIONEIl negozio gestito da Consiglia Giustizieri e dalla figlia Monica Bernasconi c’è dal 1972: fu reso celebre dal film “Qua la mano” con Adriano Celentano

Da “Monika” si diventa tutti... casalinghi Centinaia di articoli per far funzionare la casa che risentono delle mode “Esigono continui aggiornameni per soddisfare al meglio i nostri clienti” Se a Segrate dite o chiedete del negozio di casalinghi “Monika” ve lo sapranno indicare tutti: quello con ampie vetrine sotto i portici di quel palazzo-baleniera di via 25 Aprile all'angolo con via Roma. Una istituzione, visto che c'è dal 1972, vale a dire da 43 anni. Qualcuno, lungo-residente di Segrate, esclamerà ancora “ah Gisel...!” come il negozio si chiamava fino a qualche anno fa e come ancora chiamano l'ex proprietaria Giustizieri Consiglia, vedova di Giovanni Bernasconi, madre di Monica, alla quale nel 2000 ha passato i comandi senza mai abbandonare la nave. Negozio, “Monika”, conosciuto per la sua lunga attività e la cortesia delle titolari e reso famoso per le riprese esterne di una scena del film “Qua la mano” del 1980 diretto da Festa Campanile.

Film in due episodi, “Sto così col Papa” con protagonista Enrico Montesano e “Il prete ballerino”, mattatore Adriano Celentano, il don Fulgenzio parroco di provincia che non sa resistere al richiamo del ballo e che tutti i sabati frequenta il dancing “Kiwi” dove incontra una donna (Lilli Carati) che si innamora di lui. L'identità del ballerino viene smascherata alla donna da una intervista televisiva al parroco che scatena una burrasca tra i due, che comunque non impedirà poi alla “coppia” di partecipare insieme e vincere una gara di ballo. La scena dello schiaffone dell'indignata Carati a Celentano dopo la... scoperta fu girata a Segrate proprio all'angolo del negozio “Monika”. Negozio nel quale fa ancora bella mostra di sè la storica foto-ricordo della famiglia Bernasconi con Celentano.

«Bei tempi...», dice indicandomela e soffermandovici un po’ commossa la signora Consiglia, donna dolce, pacata, pratica e di grande buon senso come le ha insegnato e ha imparato dalla vita frequentata in tutti i suoi sentieri. «Un bel ricordo – aggiunge Consiglia – che allora ci fece anche una bella pubblicità». Accanto a lei, nel luminoso negozio arredato con mol-

to gusto e ben ritmato dai colori degli articoli esposti c'è la silenziosa, cortese e attivissima figlia Monica, occhiali con montatura nera a conferirle un interessante tocco femminile in più, fotocopia della mamma nel modo di parlare e trattare. Grazie al negozio le due donne vivono in simbiosi da sempre, ancora di più dopo la morte del marito e padre Giovanni avvenuta nel 1999. «Siamo qui dal 1972 – si compiace la signora Consiglia – Prima questo era un negozio di mio fratello Rolando che faceva il fotografo e vendeva anche elettrodomestici.

Aveva scelto questo posto per essere più vicino al Comune e così servire con maggior comodità chi aveva bisogno di fare delle fototessere per i documenti. Andatosene lui sono subentrata io con mia figlia e ci siamo concentrate sui casalinghi. Mio marito, che lavorava all'Alemagna e poi ha aperto un corriere di spedizioni veloci, all'inizio ci dava una mano per consegnare gli elettrodomestici che poi abbiamo abbandonato. In

fare in modo di averlo già in casa...». Anche in questo settore la moda indirizza il cliente. «Un giorno o per un certo periodo – interviene la signora Consiglia – è d'attualità e diventa moda un certo tipo di tostapane, poi arriva quello della macchina del caffè, quindi quello del servizio di piatti o di posate con un nuovo disegne o colore. È un continuo divenire... E i clienti, per un passaparola o perché spinti dalla pubblicità arrivano a decine in pochi giorni. E se per caso l'articolo è momentaneamente finito si sentono quasi frustrati. In quel caso bisogna rassicurarli, saranno al più presto serviti e soddisfatti».

In questo mondo è ovviamente la clientela femminile a farla da padrona. Non per niente si dice che la donna è “la regina della casa o l'angelo del focolare”.

«Certo sono le donne le nostre cliente più numerose – conviene Consiglia – è la donna che meglio dell'uomo conosce le esigenze pratiche della casa, quello di quello che c'è bisogno Inseparabili Monica Bernasconi con la mamma Consiglia Giustizieri nel negozio di via 25 Aprile. per farla funzionare. Ma da un In basso, la foto-ricordo con Adriano Celentano che proprio qui girò alcune scene di “Qua la mano” po' di tempo si affacciano semnell'insegna del negozio. «Un pre più numerosi anche i matocco esotico, di internazionalità schi giovani o meno che per va– sorride – anche perché sotto ri motivi mettono su casa per è specificato... idee per ogni andare a vivere da soli. Molti momento». Per chiunque e in hanno le idee chiare, altri, speogni circostanza. «Effettuiamo, cie i ragazzi, si lasciano consigliare e noi siaanzi facciamo faIn questi negozi mo ben liete di re - aggiunge aiutarli». Come si viene di solito anche riparazioni vanno adesso gli di ferro da stiro, per necessità, ma affari? «Si cerca pentole a pressio- anche per curiostà di sopravvivere – ne e macchine e sfizio e non sospira Consiglia del caffè elettribisogna farsi trovare – la crisi c'è per che». Così si catutti e quindi tocpisce come “Mo- impreparati. Il 70% ca anche noi. Ma nika” sia un sicu- dei clienti è donna, si potrebbe andaro e solido punto ma crescono come bistecchiere, centrifughe, nosciuta con due bambini e le di riferimento per i maschi, giovani re un po' meglio spremiagrumi, tostapane, ma- cortesie si sprecano. Madre e la città. «Basta e non, che vanno – si infervora - se teriale elettrico rappresentato figlia confermano il piacere di essere aggiornati a vivere da soli il sindaco, che io stimo e con il da lampade e lampadine, tova- stare in mezzo alla gente. «Ci e non essere suglie di plastica per cucina e ar- piace – dice Monica – Nel no- perati da articoli che improvvi- quale parlo spesso, non ci avesticoli per regalo in genere. Una stro mestiere educazione, di- samente arrivano sul mercato – se rovinati con la chiusura della volta tenevamo anche le liste sponibilità e il sorriso sono fon- spiega Monica – Per questo fre- strada. Una bella cavolata ha nozze, ma alla lunga aabbiamo damentali. Il cliente deve an- quentiamo le fiere, consultiamo fatto e gliel'ho anche detto, ma desistito un po' per il grande im- darsene soddisfatto anche se i catologhi e le pubblicità. Guai lui fa sempre quello che vuole... pegno che comportava, ma so- non acquista, perché poi sicu- a farsi trovare impreparati dai Bastava chiuderla la notte e la prattutto perché – sorride – or- ramente torna». Monica spiega clienti. Quello che chiedono domenica mettendo dei paletti. mai non si sposa più nessuno». anche quella “k” al posto della non solo per necessità, ma spes- Ma era troppo semplice...». Vox Entra una giovane cliente co- “c” inserita nel suo nome che è so per curiosità o sfizio bisogna populi, vox Dei...

“

quel periodo, verso gli anni Ottanta, c’è stato un boom tant'è vero che ci siamo permesse anche una commessa rimasta con noi undici anni. Avevamo e abbiamo di tutto, anche se negli anni tendenze e articoli si sono aggiornati e sono un po’ cambiati. Ci sono pentole, posate, utensili, bicchieri, cristallerie, porcellane, piatti, teglie, servizi per té e caffè, macchine per il caffè, piccoli elettrodomestici

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26 febbraio 2015 Da alcuni mesi ci stiamo occupando di attività commerciali, artigianali e industriali con alle spalle una tradizione de-

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TRADIZIONE Franca Leone è la titolare del negozio aperto 45 anni fa sulla Cassanese, una donna innamorata del proprio lavoro e attenta ai problemi della categoria

Colorificio Segratese, il domani è già oggi ”L’associazionismo ci ha salvato dalla crisi: acquistiamo in cooperativa così abbassiamo i prezzi per i clienti a livello di quelli dei grandi centri commerciali” Difficile trovare una commerciante innamorata del proprio lavoro e attenta alle esigenze della categoria come Franca Leone, titolare del “Colorificio Segratese” situato sulla vecchia Cassanese là sulla destra dopo il monumento al ciclista all'angolo con via Conte Suardi e poco dopo la farmacia Cuccia, dove la strada diventa un imbuto creando difficoltà al traffico e al... commercio. La signora Franca, presenza da... insegnante con quegli appropriati occhiali da vista a evidenziare occhi intelligenti che ti scrutano in un viso aperto, parla fluido e con proprietà grazie a studi universitari nella facoltà di giurisprudenza. “Materia per la quale ero portata – dice - ma che purtroppo ho dovuto presto abbandonare per sopravvenuta malattia della mamma e la necessità di portare avanti questa attività». Attività di cui la signora Franca è titolare dal 1980, iniziata nel 1970 dai genitori di origini pugliesi, papà Saverio morto nel 2008 a 77 anni e mamma Carmela Lorè.

«C'era questo colorificio fallito chiuso da alcuni anni – racconta ricevendomi nel suo negozio ben tenuto, dove la merce è razionalmente messa in mostra – che i miei genitori hanno rilevato convinti da parenti che avevano la stessa attività a Vimodrone, dove abitava anche la nostra famiglia. Mamma non era del mestiere, ma si è appassionata e ha imparato coinvolgendo nel tempo anche me. A quei tempi la merceologia era abbastanza semplice da seguire, si è complicata negli anni.

Allora non c'era la grande distribuzione, si viaggiava bene.

Con l'avvento del grande centro commerciale di Carugate la situazione è cambiata in fretta nella zona. Il primo settore a risentirne, o meglio a sparire, è stato il food. Allora i commercianti rappresentavano una grande categoria, ma in breve sono stati ridimensionati. Che fare allora? Piangersi addosso?

A che pro? Visto che la grande distribuzione era legittima bisognava solo reagire, inventarsi

qualcosa. La salvezza è arrivata dall'associazionismo, risultato una carta vincente. «Per contrastare la grande distribuzione, per non sparire – spiega la signora Franca - la categoria 35 anni fa si è associata in Concolor, che ha sede a Trezzano sul Naviglio. Cooperativa alla quale hanno in fretta aderito decine di aziende della provincia di Milano. Ora mi pare siano quarantacinque. Semplice il meccanismo: il consorzio acquistava la merce in modo collettivo strappando prezzi scontati per adeguarsi alla grande distribuzione e poi rivendeva in maniera individuale reggendo così il mercato. Un'idea, un'iniziativa che ha salvato il nostro lavoro. Me lo consenta, siamo stati davvero bravi – dice compiaciuta - Mi risulta che Concolor sia stato uno dei primi, se non il primo, consorzio nato tra i commercianti. Se siamo ancora qui è per l'intuizione che abbiamo avuto, siamo stati all'avanguardia e abbiamo indicato la strada della sopravvivenza ad altre categorie». «Ve-

Appassionata Franca Leone, qui sopra, da una vita titolare del Colorificio Segratese sulla Cassanese al banco di vendita e, sotto, l’ingresso del negozio quasi un’istituzione della città

del risparmio...». Parla spesso riali di preparazione come stucdi professionalità la signora chi per muri, legno e metalli, Leone. Professionalità che si- carta vetrata, collanti ad acqua, gnifica anche continui aggior- pennelli di ogni genere, spatole; namenti sui prodotti, l'esigenza smalti e vernici anticorrosione, di conoscerli per poterli illu- ignifughe e da decorazione; prodotti artistici strare ai clienti Abbiamo una per le belle arti proporli e venvasta gamma di derli con cognicome cavalletti, zione di causa. articoli per l’edilizia, tele, colori a tempera, pennelli di «Da quando ab- la casa, il disegno, ogni genere: mabiamo aperto il le belle arti, per il teriale per il disenegozio – dice la decoupage, articoli gno, inchiostri signora Franca – l ' e v o l u z i o n e in continua, rapida per ogni necessità; colori per merceologica è evoluzione. Dopo stoffe,vetro e cestata incredibile, tanti anni di lavoro un'evoluzione potrei anche andare ramica.

Una giungla. «Articoandata di pari in pensione, ma passo con quella non ci penso... li per tutti e per della chimica, ricchi - sorride la della grafica, delle tecniche di signora Leone – a seconda delpittura, con le sperimentazioni le disponibilità. Da un po' di in campo edilizio. Rispetto a tempo, dopo il boom, continua oggi l'allora sembra preisto- la moda del decoupage, vale ria...». Innumerevoli gli articoli dire della trasformazione e coesposti nel negozio: idropitture lorazione di oggetti che riguarper l'edilizia e per la casa per da soprattutto la clientela feminterventi interni ed esterni (la- minile. Bombolette spray tanto vabili, antimuffa ecc...); mate- amate e usate dai ragazzi per i

“

de – prosegue infervorata la signora Leone – lo scambio di idee, il confronto tra i soci è fondamentale per continuare questa attività che esige professionalità, educazione e cortesia con i clienti ma per i quali

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comunque il prezzo è fondamentale, imprescindibile. Altrimenti li perdi. L'importante è attirarli facendo loro trovare sotto o vicino a casa la merce che desiderano al prezzo della grande distribuzione. Quello

loro... murales e qualche atto vandalico? Le ho, ma non le vendo ai minori di 18 anni come stabilisce la legge. Non so se la rispettano anche nei centri commerciali». Anche in questo settore la crisi ha ridotto negli ultimi anni il giro di affari, ma la signora Franca non si lamenta più di tanto. «Dopo aver avuto la bella idea come categoria di organizzarci in consorzio – dice - si sopravvive. Nel nostro settore aspettiamo sempre che si sblocchi finalmente l'edilizia, riconosciuto motore dell'economia nazionale. Se non si costruiscono o vendono case è difficile essere ottimisti. Intanto ci salviamo con le ristrutturazioni che hanno ripreso un po' fiato in questo periodo. Chi non compra il nuovo, risistema e migliora il vecchio. Speriamo bene. Prima o poi anche l'edilizia tornerà a ruggire. È da un paio di anni che i nostri governanti ci garantiscono che la ripresa sta per arrivare, che è dietro l'angolo salvo poi aggiornarla all'anno successivo...».

Prima o poi, fa capire, per la legge dei grandi numeri, politici ed economisti ci azzeccheranno. Intanto l'appassionata signora Franca va avanti tenendo ben salda la barra del suo lavoro. È dal 1980, quindi da 35 anni, che è sulla tolda. „Potrei anche andarmene in pensione, ne avrei diritto e i requisiti, ma per il momento non ci penso. Amo troppo il mio lavoro. Entusiasmo e determinazione non sono mai venuti meno. Vedremo... Alla pensione penserò un po' più avanti, a meno che non prevalgano i problemi di salute con cui sono alle prese da un po' di tempo a farmi anticipare la decisione.

Ma per ora non mollo». Problemi di salute che la signora Leone sta affrontando con coraggio («C'è da combattere e la voglia di vincere...», dice con ammirevole orgoglio) senza mai deflettere dalla sua professionalità. La sua speranza è anche la nostra. E abbiano capito che con lei è in ottime mani.

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TRADIZIONE Ha compiuto vent’anni di attività il negozio (il primo e l’unico per momento in città) di articoli ortopedici e sanitari di cui è titolare Lucia Turturro

Da Ortosan ti curi e diventi pure seducente Con grande professionalità si vendono tutori per la deambulazione, calzature anatomiche-ortopediche, articoli sportivi e trionfa la... corsetteria

Discreta e riservata la signora Lucia Turturro, titolare del negozio Ortosan (articoli ortopedici e sanitari) di via Gramsci 70, nel vecchio centro commerciale della città, fatica a sciogliersi all'incontro. Alta, slanciata, elegante con una bella cascata di capelli biondo scuri a incorniciarle un viso interessante mi confida che i giornalisti “che conosco” le mettono soggezione. Chissà perché... O forse lo sappiamo perché in genere i giornalisti (tranne ovviamente i turibulatori) non risultano molto simpatici: perché per mestiere i giornalisti, come i finanzieri, si occupano degli affari degli altri... Infatti la gentile signora Lucia, ricevendomi nel suo piccolo negozio arredato con gusto e “caldo” che sembra avvolgerti come uno scialle, chiede subito al primo accenno di lasciar perdere domande sulla sua vita privata (se è sposata o meno, se ha figli) e sulle sue origini. «Sa, Segrate è ancora un paese...», aggiunge lasciando intendere che il pettegolezzo qui ha un terreno fertile. Ci mancherebbe... Anche se a un certo punto nella chiacchierata le scappa fuori che “Nella vita non c'è solo il lavoro, ci sono anche la famiglia, i figli...”. La signora Lucia, che abita nel centro di Segrate, ha aperto questa attività nel 1994. «Pochi mesi fa – osserva orgogliosa – abbiamo festeggiato i vent'anni. Non tantissimi, ma nemmeno pochi... É stato il primo di questo genere aperto a Segrate e per ora resta l'unico. A Sesto San Giovanni, ad esempio, ce ne sono sei...». La signora che parla adagio, con proprietà di linguaggio e ci tiene a essere chiara e precisa spiega il perchè di questo suo indirizzo commerciale. «Sono fisioterapista e insegnante di educazione fisica dopo essermi laureata all'Isef all'Università Cattolica di Milano ed essere stata terapista della rieducazione all'ospedale San Matteo di Pa-

via. Sembravo dopo un'esperienza anche all'Ambrosiana Medical di via Frua a Milano con medici di alto spessore come i dottori Benazzi e Guarino (medici un tempo legati all'Inter, ndr.) avviata a questa professione ma, dopo un'operazione subita alla schiena e la conseguente riabilitazione in mano altrui, mi sono indirizzata all'attività commerciale nel settore. A Segrate sono arrivata perché i nonni erano qui e qui gli zii avevano delle attività commerciali. Dopo una piccola indagine-marketing mi sono decisa ad aprire il negozio». All'inizio è stata un po' dura farsi conoscere («Un po' anche per come è dislocata questa città, un puzzle di quartieri senza un centro, almeno allora, ancora ben definito») ma, superati i tre anni canonici di avvio, l'attività ha cominciato a galoppare. «Qualcuno ci scopre ancora oggi... Magari dopo una prescrizione parlando con il farmacista...».

con una mutandina all'altezza.

«Problemi che sicuramente non ha l'uomo...», conviene sorridendo la signora Lucia.

Una questione di moda, appunto... E così la titolare parla con soddisfazione della partecipazione di Ortosan all'annuale manifestazione di “Segrate in Moda” alla quale con proprie modelle partecipa per la sfilata dell'intimo. «Ci permettiamo – spiega - questa frivolezza per la specializzazione affrontata nel tempo. All'estetica abbiniamo la funzionalità. É l'unico modo, in aggiunta al contatto umano con i clienti, per fare concorrenza alla grande distribuzione. Se la vede lei ad esempio una donna, specie se anziana, scegliere o chiedere informazione in un centro commerciale di capi di questo genere? E poi provarlo? Diventa imbarazzante, la cliente si sente comprensibilmente un po' a disagio. Da noi Specializzate Sopra, Lucia Turturro insieme con la sua collaboratrice Mirela . In basso, invece in questo contesto può alcune clienti di Ortosan modelle per la sfilata “Segrate in Moda” del 2014 (FOTO PIOVANI) farlo in tutta tranquillità senne più garbata, raffinata e così negli ultimi anni si è trasfor- tendosi più coccolata e anche sdrammatizziamo l'articolo... mata in articoli modaioli. Da più tutelata nella sua privacy.

Pensi che anni fa siamo arri- vent'anni a questa parte la Gli uomini, invece, anche in vati secondi al concorso citta- corsetteria funzionale classica questo senso hanno meno prodino di Natale per le migliori si è mano a mano differenziata blemi. Preferisco il contatto vetrine». con capi tecnici e vestibilità umano che offre spiegazioni Non mancano ovviamente gli perfetta rispetto a quella che e soluzioni più soddisfacenti, articoli sportivi come tutori offre il mercato. Nel negozio per questo non vendo niente per ginocchia e caviglie, fasce di intimo ogni modello ha sei via internet”. Per la gran parte degli articoli elastiche di prevenzione, cor- taglie, qui, in Ogni anno trattati (meglio setti lombosacrali, plantari questo settore, partecipiamo con dire i più richiepersonalizzati prescritti da un ogni modello ne sti) la clientela tecnico ortopedico specializ- ha venti e questo l’intimo alla sfilate di Ortosan semzato che riceve ogni settimana significa avere di Segrate in Moda bra soprattutto in negozio. Quello che sor- molto più scelta perché ci piace femminile. «La prende all'Ortosan, il cui logo per differenziare valorizzare la donna clientela è eterodi immediata comprensione il capo che così genea – puntuaprevede un piede che si veste in modo con la corsetteria possono noleggiare o affittare; schiaccia sulla s.... serpente- perfetto. Con ri- ortopedica lizza invece la dove ci sono calzature anato- sca, é la grande gamma della sultati certamen- funzionale calibrata, signora Lucia – miche ortopediche, un'ampia corsetteria ben esposta sugli te migliori». Ai che offre vasta perché gli articoscelta di calze elastiche, indu- scaffali con bellissime, quasi reggiseni sono gamma di taglie li trattati servono menti contenitivi post opera- inarrivabili donne che ammic- ovviamente ab- e grande vestibilità a guarire detertori, articoli femminili per il cano dalle foto a reclamizzare binate le mutanminate patologie post mastectomia e apparecchi soft sensation o soft for nudo dine (un capo che forse ha po- e soprattutto sono indirizzati elettromedicali come ad esem- “il lato romantico della sedu- co o nulla di... ortopedico) da alla cura e al benessere del pio i misuratori della pressione zione” delle migliori marche. provare lì nel camerino, pro- corpo». Ortosan si orienta alla venosa». 0Carrozzine e tutori «La corsetteria di tipo ortope- tette nell'intimità da una tenda. “Mens sana in corpore sano” di cui non c'é traccia nell'in- dico funzionale, calibrata – D'altra parte é giusto che una e magari pure un po' più bello, vitante vetrina perché, dice, spiega paziente e con la solita donna scelto il proprio reggi- migliorato e seducente...

«Preferiamo una presentazio- proprietà la signora Lucia - seno gli abbini e si valorizzi

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Così ora le soddisfazioni non mancano. E la signora Lucia vive serena e appagata nel suo nido assistita da molti anni dalla fidatissima collaboratrice Marinela, bella e dolce donna rumena, infermiera diplomata.

La professionalità non manca davvero all'Ortosan dove si soddisfano «tutte le prescrizioni che riguardano tutori, ausili per la deambulazione (carrozzine, stampelle) che si

O Centro

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ÉLITE Azienda di livello internazionale, fondata nel 1937 a Milano dal nonno, operante a Segrate dal 1957, stampa schedine per i pronostici e modulistiche aziendali

Grafiche Rossi, stampa comodità e... sogni «Abbiamo stampato la prima schedina Totocalcio nel 1946 - dice l’ad Michele Rossi - e nel boom del Superenalotto dai 65-70 milioni di schedine a settimana» Sono state le Arti Grafiche Rossi Spa di Segrate (via Montale angolo via Baracca a Novegro), azienda ad alta tecnologia di livello internazionale certificata Uni Eu Iso e FSC, a stampare la prima schedina del concorso Totocalcio (allora Sisal) del 5 maggio 1946 inventata dal compianto collega Massimo Della Pergola. Concorso (tra le partite, Inter-Juve, 1 e Torino-Milan, 1) che prevedeva la vincita col 12 (30 lire a colonna) e che fu azzeccato da un certo Emilio Biasetti, milanese di origine romane, che intascò la ciclopica cifra (per i tempi) di 426.826 lire. E sono state le Arti Grafiche Rossi a stampare circa 65-70 milioni (diconsi milioni) di schedine a settimana nel periodo del boom del Supernalotto a cavallo degli Anni Duemila. La storica schedina del Totocalcio è custodita in un quadretto negli uffici dell'azienda. Allora lo stabilimento aveva sede a Milano in via Negroli ed era stato fondato nel 1937 dal patriarca Franco Adelio Rossi nonno di Michele Rossi, 43 anni, uno dei membri del consiglio di amministrazione dell'azienda “a conduzione familiare” di cui fanno parte gli zii Sergio Rossi, presidente, Arialdo e Valter e i cugini Andrea e Federico. «Il nonno – spiega Michele, volto luminoso di simpatico e garbato ragazzone sportivo (ama le immersioni subacquee, giocare a calcetto con gli amici a Milano Due ed è tifoso milanista) sposato con Manuela e padre di Giulia e Jacopo, che studia da attaccante, “falso nueve”, si sbilancia il genitore, nei Pulcini del Città di Segrate - all'inizio si occupava di piccoli stampati. La vera attività della Arti Grafiche Rossi con le attuali dimensioni è iniziata vent'anni dopo, nel 1957, con il trasferimento qui a Segrate dell'azienda in grande espansione che ha richiesto il coinvolgimento di quasi tutta la famiglia compreso ovviamente mio padre Luciano,

morto purtroppo nel 2002, il che ha comportato il mio immediato ingresso in azienda, forse ancora troppo giovane per certi incarichi, con assunzione di responsabilità che mi hanno maturato in fretta». Intuito che la Arti Grafiche Rossi non stampa giornali, riviste, libri, agendine o calendari, c'è da precisare di che cosa si occupi. Lo sintetizza bene il sito aziendale che con i suoi slogan accattivanti (“Siamo sempre i più veloci”, “Facciamo la differenza”, “Il tempo è nostro alleato”,”Le grandi sfide non ci spaventano”, “Con noi dormi sonni tranquilli” e “La nostra tecnologia cambierà il tuo modo di lavorare”) trasmette a visitatori e clienti attenzione, freschezza, modernità e dinamismo. Dopo aver precisato che dal 1937 l'azienda è al servizio della tecnologia nella stampa offset, modulo continuo, e con servizi di software solutions, optical management

I “papà” delle schedine Sopra, Michele Rossi mostra alcune schedine appena stampate da uno dei macchinari dell’azienda. In basso, Rossi con un’antica macchina da stampa di inizio ‘900

dei tempi e delle esigenze». a fine anni Novanta ci ha coDa perderci la testa se non ve- stretti a stampare per alcuni nissero in soccorso i computer. mesi dai 65 ai 70 milioni di Delle sofisticate apparecchia- schedine, praticamente una per ture di stampa in dotazione al- ogni italiano, che ci ha imposto l'azienda ci si rende conto vi- turni di lavoro continui, massitando i vari capannoni che sacranti tanto da dover richiaoccupano un'area di circa mare gli operai dalla ferie. Per 5.000 mq, dove convivono fortuna abbiamo dipendenti, con i quali intratchiassose macteniamo da semchine stampatriE’ un’azienda a pre rapporti faci a cilindro e siconduzione lenziose macchi- familiare: tra i nostri miliari, molto collaborativi». ne a stampa piat- prodotti anche i Quindici sono ta governate ap“gratta e vinci” e anche gli operai pena da una dell'adiacente e quindicina di schede per i comunicante operai (da 50 parcheggi pubblici.

GM, grafiche che erano una Tre anni fa altro decina d'anni fa) ramo d’azienda che Milano Pharm s.r.l., acquisita tre umani superstiti stampa scatolette delle moderne per medicinali per le anni fa dalla Arti tecnologie. «Oc- case farmaceutiche Grafiche Rossi.

«Un investimencorre attenzione to per diversifiall'evolversi dei prodotti e delle esigenze azien- care il mercato – spiega Midali – sottolinea il signor Rossi chele – pur restando sempre – Dopo il boom della schedina nel nostro ambito. Abbiamo totocalcio della Sisal che fino trasferito qui questa attività di a pochi anni fa aveva la sede stampa di scatole-scatolette per qui in una palazzina dentro la medicinali per conto delle case nostra area, c'è stata quella in- farmaceutiche rilevando credibile del Supernalotto che un'azienda di San Zenone Po.

“

e graphic design, il sito precisa che gestisce stampati logistica di aziende e multinazionali, è leader europea per stampa ad“oro scratch” e stampa nel mondo di concorsi a pronostici, e stampa ogni tipologia di carta usomano e termica. «In parole semplici – sorride il signor Michele – affianchiamo aziende ed enti per la stampa della modulistica di cui hanno bisogno, come ad esempio le bollette da spedire ai clienti, stampiamo schedine cartacee

con la peculiare specializzazione nella stampa termica a più colori per i concorsi a pronostico come Totocalcio, Superenalotto, Totogol, Totip ecc e prepariamo schedine “scratch off” tipico dei concorsi gratta e vinci e delle schede parcheggio pubblico nei vari comuni. Prodotti che impongono una meticolosa preparazione, macchinari sempre più all'avanguardia e continui investimenti ai quali noi dedichiamo circa il 7% annuo del fatturato per essere al passo

O Centro

DIRETTORE RESPONSABILE:

Federico Viganò

HANNO COLLABORATO:

Beppe Maseri, Cristiana Pisani, Enrico Sciarini, Federica Nin, Matteo Occhipinti, Luca Pasquale, Anna Olcese REALIZZAZIONE GRAFICA: Matteo Cerpelloni www.cometothestudio.com - info@cometothestudio.com --PUBBLICITÀ: 349.1750560 - pubblicita@segrateoggi.it E-MAIL: redazione@segrateoggi.it SITO INTERNET: www.segrateoggi.it FACEBOOK: Segrate Oggi TWITTER: @segrateoggi STAMPA: Centro Stampa Quotidiani - Erbusco (BS) --Milano Communication srl via Cellini 5 - 20090 Segrate (MI) TEL/FAX: 02.2139372 P.IVA 05365660967 E-MAIL: amministrazione@segrateoggi.it Registrazione Tribunale di Milano n. 369 - 19/11/1974

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Un lavoro interessante che ha richiesto oltre che nuove conoscenze anche altri investimenti». Una curiosità: come si porta avanti un'azienda di queste dimensioni con una gestione familiare? «Si va avanti bene – garantisce il signor Michele – L'importante è essere uniti e remare tutti nella stessa direzione con compiti ben definiti. Io, ad esempio mi occupo della parte amministrativa». È una notizia..., lo provochiamo, perché quando ci sono di mezzo fratelli, ma soprattutto cognate... di solito l'incanto finisce. «No, no, noi per fortuna andiamo d'accordo. Vedendoci tutti i giorni qui in ufficio non abbiamo tante cose da comunicare e decidere. Il consiglio di amministrazione diventa un pro forma». Michele ci tiene a spendere qualche parola per il padre Luciano andatosene troppo presto. «Era un grande sportivo amante del calcio, che ha praticato a buon livello nel ruolo di attaccante nell'allora serie C in squadre come il Rapallo, il Lissone. Doveva andare al Bologna in serie B, ma un brutto infortunio al ginocchio a 27 anni gli ha stroncato la carriera sul più bello. Da allora si è dedicato all'azienda senza mai trascurare il tifo per il Milan che ha trasmesso anche a me. Ricordo che andò a Barcellona per seguire la leggendaria squadra di Sacchi nella finale di Coppa dei Campioni vinta contro lo Steaua.

Io, però, sono rimasto a casa per punizione perchè facevo flanella a scuola. A mio padre è intitolata la coppa estiva che si gioca ogni anno a Milano Due. Un altro grande sportivo della famiglia è lo zio Sergio, appassionato di ippica, proprietario di una scuderia a San Siro e vincitore di molte gare e più volte campione gentlemen nel galoppo». Come al galoppo continua ad andare la Arti Grafiche Rossi, splendida realtà di Segrate che aiuta le aziende a lavorare meglio e offre agli scommettitori l'opportunità di sognare.

Via XXV Aprile, 23 Segrate Tel/Fax 02 26922322 mail: ottica.pally@gmail.com DAL MARTEDÌ AL SABATO 9.00 - 12.30 16.00 - 19.30

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