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| IL FATTO QUOTIDIANO | Lunedì 9 Maggio 2016
Storia di copertina
Il dominio Casamonica
E
» ANDREA PALLADINO
La storia
UN IMPERO ABUSIVO Il radicamento dei Casamonica attorno alla Tuscolana, asse sudest di Roma, si consolida oltre quarant’anni fa. Le loro ville sorgono su terreni sottratti al demanio: le terre di Casamonica City sono pubbliche, tuttora in comproprietà col Comune di Frascati. Oltre al danno, la beffa: come ha detto il sindaco Spalletta, “Frascati su quelle case paga anche l’Imu al Comune di Roma”. I Casamonica, oltretutto, si rifiutano di mettersi in regola acquistando i terreni
ra l’apoteosi del loro potere, il segno del dominio sulla zona sudest della capitale. I funerali di Vittorio Casamonica dello scorso 20 agosto –intrisi di simboli, dalla carrozza con i cavalli, alle note del Padrino –fecero stracciare le vesti a tanti. “Imbarazzo”, per la Curia romana. Il prefetto Gabrielli pronto a creare tavoli ad hoc. Alfano che giurava “mai più”. Bruno Vespa che amplificava tutto ospitando il nipote del boss. Nove mesi sono passati, le elezioni comunali più difficili della storia di Roma sono alle porte e il potere criminale dei Casamonica è sparito dall’agenda. Non una parola. “Tutta Roma li conosce”, giurava la presidente del Municipio VII Susi Fantino. E tutta la città, alla fine, li teme. Entrare nella loro roccaforte non è facile. Ogni vicolo ha la sua sentinella. Occhio veloce, esperto. Se sei un “gaggio” non gli sfuggi. O sei un cliente, o sei uno sbirro. Gli abitanti di via Barzilai, che come un budello parte dal Grande raccordo anulare per infilarsi nell’ultima campagna romana, li conosce uno ad uno. È una vedetta, scruta e segnala. Quello è territorio loro, qui comandano i Casamonica.
La centrale dello spaccio Cuore del quartiere Romanina, periferia sud della capitale, dove la Tuscolana si arrampica verso la città di Frascati. Per anni la centrale dello spaccio di cocaina, con telecamere a circuito chiuso e i camini sempre accesi per bruciare le partite di droga quando si affacciavano polizia o carabinieri. Qui, nel 2012, la Procura di Roma fece arrestare 39 persone con l’accusa di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Quasi tutti scarcerati, dopo la sentenza assolutoria della Cassazione. E oggi, dopo quattro anni, la grande famiglia allargata dei Casamonica controlla metro dopo metro quel groviglio di strade. Tra i grandi shopping center e l’Università di Tor Vergata. L’immagine che più amano è quella del Re. Poltrone dorate, pistole tatuate, damaschi, leoni di pietra, giardini perfetti. E poi casse di champagne, Porche, Ferrari, Mercedes. Conti correnti a sei cifre, quadri antichi, accanto alle vecchie fotografie degli anni ‘70. In fondo l’ufficio di Enrico Nicoletti – il cassiere della banda della Magliana – sulla via Tuscolana, con le matto-
nelle d’argento sul pavimento, potrebbe sembrare sobrio. Non nascondono il tesoro, anzi. Le facciate delle ville servono a marcare la differenza, a tenere lontana da sé la normalità. Sono i padroni di questa parte di Roma da quarant’anni, da quando entrarono nelle terre demaniali dell’antica Università agraria di Frascati – in teoria destinate agli invalidi di guerra – tra gli anni ‘60 e ‘70. La via Tuscolana era un asse, che portava dai quartieri della media borghesia, fino a Cinecittà. Poi attraversava il confine tra l’agro romano e la periferia dei ragazzi di vita, con le strade di fango e i palazzi che crescevano. Quella terra i Casamonica se la presero senza problemi. Le prime case, poi il condono craxiano del 1985. Nessuno controllava, lo Stato pensava ad altro.
I cowboy di Nicoletti Poi arrivò Enrico Nicoletti, il cassiere della banda della Magliana, l’uomo in grado di moltiplicare e ripulire i soldi delle rapine e del narcotraffico, attraverso la macchina dell’usura. Il Clan “degli zingari” era lì. Duecento metri di strada dividevano le vie di Casamonica City dal salone con le mattonelle d’argento. Quando serviva – e spesso serviva – dalla Romanina partiva un pulmino, con 12 uomini a bordo. Bastava quel nome, Casamonica, e tutti pagavano. Avevano cappelli da cowboy, un dialetto difficile da dimenticare e impossibile da capire. La banda della Magliana è diventata un serial televisivo, gran parte dei duri delle “batterie” sono morti. Massimo Carminati, il nero, è finito di nuovo in carcere, aprendo la stagione di Mafia capitale. De Pedis non c’è più e Nicoletti è ormai a fine corsa, con l’intero patrimonio sequestrato. Di quell’epoca a Roma rimangono in fondo solo loro. I Casamonica si sono evoluti, oggi il cappello lo portano solo gli anziani, co-
Le mani sulla città Carrozze e cavalli, Ferrari e orologi d’oro, lo sfarzo è una delle cifre del clan Casamonica. Da 40 anni dominano a sudest di Roma. L’illustrazione è di Emanuele Fucecchi
Coca & usura chi comanda (s empre) a Rom a
me Nando, detto J.R., quando esce dal suo villone hollywoodiano sulla via Tuscolana, tra le palme e gli infissi di legno pregiato. I ragazzi preferiscono i tatuaggi e le frasi di Pablo Escobar, il boss del cartello colombiano di Medellin morto nel 1993, protagonista della serie Narcos che spopola su Netflix.
Chi mungeva la mucca L’arresto del “Cecato” Carminati, a sinistra, e la storica foto di Buzzi e Alemanno con Luciano Casamonica Ansa
LA DINASTIA SINTI METTE LE MANI SUL QUARTIERE ROMANINA NEGLI ANNI 60. “GLI ZINGARI” LAVORAVANO PER LA BANDA DELLA MAGLIANA, POI SI SONO MESSI IN PROPRIO
“Sono un arcipelago, un insieme di famiglie che spesso non hanno contatti tra di loro”, spiegano alcuni investigatori che da anni cercano il modo per penetrare il mondo criminale dell’etnia Sinti. Una decina di famiglie: i Di Silvio (con un ramo particolarmente forte a Latina), gli Spada (radicati a Ostia), gli Spinelli, i De Rosa. E poi i Casamonica, cognome che a Roma ormai si associa alla parola clan, anche se mai sono stati accusati di associazione mafiosa: “Non hanno una struttura verticistica – raccontano le fonti investigative – sono orizzontali”. In questo sono diversi dalle mafie che a Roma si spartiscono affari e piazze della droga. I Casamonica non si na-
scondono, anzi. Li trovi a decine su Facebook, dove mostrano foto di pistole incastonate di brillanti e citazioni del capo del cartello di Medellin: “Mi parli, ti parlo, mi ignori, ti ignoro, mi tratti male, ti tratto peggio, mi tratti bene, ti tratto meglio”, pubblicava un Di Silvio lo scorso dicembre, citando Escobar. E poi il lusso incontenibile, sfrontato. Non solo il famoso funerale di “z io Vittorio” dello scorso anno: il carro con quattro cavalli bianchi lo ha usato il pugile Domenico Spada per la comunione del figlio. E nella chiesa della Romanina, fino allo scorso anno, quasi tutte le cerimonie funebri sono avvenute con il cocchio trainato da cavalli. “E con i petali di fiori che inondavano il