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Introduzione

Intra Tupino e l’acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo, ertile costa d’alto monte pende, onde Perugia sente freddo e caldo da Porta Sole; e di rietro le piange per grave giogo Nocera con Gualdo. Di questa costa, là dov’ ella frange più sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo talvolta di Gange. Però chi d’esso loco fa parole, non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Orïente, se proprio dir vuole. (Dante, Paradiso, XI, 43-54)

La figura di Giuseppe Turrini (1826-1899), medico, letterato, patriota e indologo è rimasta a lungo dimenticata nel panorama —ancora troppo trascurato— della storia degli studi indologici in Italia. Figura severa nel portamento, cattolico moderato e con una spiccata propensione verso la società civile e la formazione delle giovani generazioni della neonata nazione, il Turrini nasce ad Avio in un territorio di ‘confine’ —il Trentino— dimostrando fin da subito l’adesione ai valori e all’attivismo che portò i giovani delle élites borghesi e della piccola aristocrazia ad unirsi e insorgere contro l’oppressore straniero durante i moti risorgimentali del 1848. Dopo il travagliato periodo in esilio durante la Restaurazione e il conseguimento della laurea in medicina a Pisa, sarà prima nel Granducato di Toscana da autodidatta e poi a Torino, sotto la guida del suo primo vero maestro, Gaspare Gorresio, che il Turrini affinerà la sua formazione nella filologia indoeuropea e negli studi indologici.

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Complice il fervore dei rinnovati studi attorno alle discipline orientalistiche proveniente dalle università di Germania, Francia e Inghilterra anche l’Italia, a cavallo tra la metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, sembra destarsi dal torpore e dalla marginalità politico-culturale in cui era rimasta relegata. La ricerca di una collocazione intellettuale da parte dell’Italia postunitaria all’interno del panorama europeo, infatti, generò nel paese un crescente fervore accademico rivolto proprio verso gli studi che già si erano affermati stabilmente nelle università europee. In Italia, nonostante i profondi legami con la scholarship europea, detti studi non mancarono di tratti peculiari frutto del contesto politico-culturale entro cui si inseriscono, quello del Risorgimento italiano. L’ideologia risorgimentale, il revival del passato medievale in chiave nazionalistica, l’attenzione attorno alla questione della lingua e l’acuirsi dei rapporti tra una parte degli intellettuali e delle classi dirigenti con il mondo cattolico, incisero sulle vicende biografiche e sull’opera portata avanti dagli orientalisti italiani, ciascuno coinvolto all’interno delle vicende politiche del tempo. Gli esiti di questo processo confluiscono nell’opera per larga parte inedita di Giuseppe Turrini che sino ad oggi è rimasta quasi totalmente trascurata.

Il primo capitolo ripercorre dunque il trascorso biografico di Giuseppe Turrini, professore di filologia indoeuropea presso l’Università di Bologna dal 1860 fino alla morte, e della sua formazione nel campo degli studi indologici e filologici a partire dalle uniche fonti a disposizione: la corrispondenza inedita fra Silvestro Centofanti (1794-1880) —accademico, politico e tutore del Nostro— e la sorella, Margherita Turrini, nel periodo trascorso dal giovane trentino tra Pisa e Firenze. Il percorso di formazione e l’attività di insegnamento accademico del Turrini si inseriscono in un clima denso di aspettative, di conflitti politico-militari frutto di rivendicazioni e di rivalsa, prima, e di ricerca di un’identità nazionale che si protrae ben oltre l’avvenuta unificazione politica del Paese, poi. Animo inquieto e intellettuale perfettamente calato nella sua epoca, il Turrini viene ricordato dai colleghi e dai pochi amici intimi come un filantropo, in prima linea nel fronteggiare le difficoltà della sua terra natìa e in particolar modo delle nuove generazioni del Paese. L’esiguità della produzione bibliografica del Turrini —personalità modesta e per alcuni aspetti secondaria nel panorama accademico italiano degli studi orientalistici ed indologici— è in parte dovuta al fatto che molti dei suoi lavori rimasero inediti, complici soprattutto i continui rimaneggiamenti, le incessanti incertezze, i problemi e le traversie familiari.

L’opera dello studioso aviense è ora conservata nel Fondo omonimo presso la Biblioteca Comunale di Trento, a cui per sua volontà testamentaria fu donata, insieme alla ricca biblioteca personale. Nel secondo capitolo si è provveduto quindi ad offrire una panoramica

dei contenuti del Fondo Turrini a partire da alcune considerazioni sul ruolo dell’istituto deputato alla conservazione delle memorie intellettuali dell’indologo, la Biblioteca Comunale di Trento, luogo in cui la comunità locale rivendicò la propria italianità attraverso il recupero e la conservazione delle memorie del passato o attraverso la testimonianza dei suoi più illustri cittadini che avevano lottato per l’unificazione del Paese e che continuavano a lottare per la propria terra d’origine. I manoscritti sottoforma di appunti, fogli sciolti e annotazioni oggi lì raccolti testimoniano l’ampio ventaglio di interessi del Nostro, restituendo l’immagine di un intellettuale tout court. L’organizzazione della corrispondenza e dei contatti epistolari permette invece di delineare il contesto nazionale e transnazionale con cui lo studioso trentino dialoga, accogliendo l’influenza e i risultati a cui era pervenuta la più avanzata scholarship europea. È proprio la disamina e la contestualizzazione di questo eterogeneo insieme di documenti a nostra disposizione, in particolare della corrispondenza e degli appunti manoscritti, che fornisce una chiave di lettura compiuta dell’opera dell’indologo trentino.

Oltre che nei volgarizzamenti di passi tratti dalle scritture sacre, l’opera intellettuale del Turrini si fa carico infatti di finalità etico-morali di cui si conserva testimonianza anche tra i sui lavori di ambito indologico mai dati alle stampe. Nel terzo capitolo abbiamo scelto quindi di soffermarci sulle traduzioni in parte inedite di estratti antologici tratti da tre opere della letteratura d’arte indiana (kāvya) del celebre poeta e drammaturgo dell’India classica Kālidāsa (IV-V d.C.): Raghuvaṃśa, Meghadūta e Ṛtusaṃhāra. Proprio in quest’ambito si evidenzia l’influenza esercitata dal rapporto epistolare tra l’indologo trentino e una delle figure più importanti nel panorama europeo del XIX secolo: il filologo e studioso di mitologia comparata Friedrich Max Müller (1823-1900). Nel procedimento traduttologico risiede l’originalità e la peculiarità del contributo indologico del Turrini: la spiccata attenzione per la ricerca di confluenze tra suggestioni e immagini evocate dal kāvya indiano e dalla lingua sanscrita con il patrimonio letterario italiano, in particolare con l’idioma volgare del Trecento che, oltre ai classici greci e latini, costituiva l’ambito di studi prediletto dall’indologo trentino. L’analisi lessicale ed estetico-letteraria delle trasposizioni dal sanscrito compiuta a partire dalle annotazioni traduttologiche riportate in appunti e fogli sciolti ha messo in luce un incessante dialogo con la tradizione poetico-letteraria italiana, il cui lessico è impiegato costantemente nel processo traduttologico attraverso continui rimandi a immagini ed espressioni canoniche tratte soprattutto dalla letteratura medievale: Dante, Petrarca, Ariosto, la lirica religiosa di Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, la laude di Jacopone da Todi, i cicli di prediche di Giordano da Pisa. Tale procedimento, inoltre, va contestualizzato all’interno del ruolo

che, nelle intenzioni del Turrini —originario di una terra ancora sottoposta al governo imperiale austro-ungarico— avrebbe dovuto ricoprire la lingua italiana all’interno della nuova nazione; quella lingua che aveva dato voce al più profondo messaggio cristiano nel ‘buon secolo’ (il Trecento) sarebbe ora servita a cementare un Paese unito sì politicamente, ma ancora troppo disomogeneo dal punto di vista linguistico-culturale.

Il quarto capitolo, infine, prende le mosse dal carteggio in entrata tra il Turrini e il gesuita Cesare Antonio De Cara, redattore de La Civiltà Cattolica e che in Italia si rese protagonista dello sforzo apologetico portato avanti dalla Chiesa nei confronti delle nuove risultanze a cui era pervenuta l’intellighenzia liberale del Paese. Gli effetti del secolarismo e del processo di laicizzazione mirati ad espungere progressivamente il retaggio cattolico dalla nuova identità culturale della Nazione posero all’erta i cattolici, anche quelli che pur si discostarono dalle posizioni più conservatrici come il Turrini. Anche l’ambito dell’orientalistica, infatti, diventerà terreno di scontro tra fronti opposti tanto sul piano politico quanto su quello degli studi. Il nuovo corso positivista della filologia comparata, l’apertura al metodo storico-critico per l’esegesi del testo biblico, l’applicazione delle teorie mitologico-comparative al cristianesimo, il progredire degli studi aconfessionali e sganciati da una prospettiva dogmatica attorno al fenomeno religioso coinvolsero nello scontro —non di rado contraddistinto da toni aspri— anche studiosi di formazione cattolica ma che, come il Turrini, sul piano politico non contestarono mai l’unificazione dell’Italia.

Per concludere, alcune doverose avvertenze su un lavoro che, per varie ragioni che qui non elenchiamo, non ha alcuna pretesa di essere esaustivo attorno ad una figura e alla sua opera, la cui disamina attraversa ambiti disciplinari che il più delle volte si intersecano tra loro. Per cominciare, lo spoglio, l’acquisizione e lo studio dei materiali all’interno del Fondo Turrini di Trento si è limitato a quella corrispondenza che si è ritenuto potesse meglio offrirsi per tracciare il profilo biografico e intellettuale del Turrini, escludendo di fatto la corrispondenza con svariate figure minori con i quali a vario titolo lo studioso entrò in contatto. Va tenuto debitamente conto, inoltre, che la possibilità di leggere esclusivamente la corrispondenza in entrata del Turrini ci avrebbe obbligato a formulare continue ipotesi circa la posizione tenuta dall’indologo aviense in merito alle varie questioni affrontate all’interno dei carteggi con tutte quelle personalità che invece abbiamo deciso di escludere dal nostro lavoro. Abbiamo cercato poi di restituire una trattazione il più possibile coerente, talvolta incorrendo nel rischio di eccessive generalizzazioni, ma sempre con l’intento di offrire una prospettiva d’insieme e una cornice di contesto all’opera dello studioso aviense. Nel fare ciò, dunque, si è gio-

co forza dovuto rinunciare ad esaurire ogni singola questione a cui abbiamo fatto riferimento all’interno del presente lavoro. Ciascuno degli argomenti trattati nei capitoli di questo libro si presta infatti a future riconsiderazioni e trattazioni più approfondite, specie nel caso in cui ai materiali e alle fonti documentarie a nostra disposizione durante la stesura del presente lavoro dovessero aggiungersene di nuovi, frutto di ricerche attualmente in fase di svolgimento presso l’Archivio storico della Biblioteca Comunale di Trento o presso altri istituti dove già si sono individuate ulteriori fonti documentarie.

Per quanto riguarda gli aspetti tecnici relativi al modo in cui si è operato sui materiali d’archivio, si rimanda al testo e alle note dei singoli capitoli.