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Prefazione

Nel presentare quest’opera di Alberico Crafa dedicata alla figura di un mio illustre concittadino, mi è inevitabile ricordare i vari momenti che, come i tasselli di un puzzle, hanno determinato i presupposti del suo venire in essere, vedendomi coinvolto in prima persona sin dal principio. Se, dunque, quanto vengo ora scrivendo ha più a che vedere con la genesi dell’opera che non con i suoi contenuti, il lettore non me ne voglia, ché —penso— il dire di come un’idea sia nata e abbia preso poi forma e sostanza potrà forse far meglio apprezzare il fatto che, in fondo, il presente lavoro di riscoperta e valorizzazione del contributo di un illustre aviense sul piano culturale e sociale è il frutto dell’interessamento e della collaborazione di più persone a diversi livelli. Mi si consenta allora di tracciare brevemente il quadro entro cui l’operazione è venuta in essere e di illustrare il motivo che ora mi induce a soffermarmi sulle circostanze del tutto particolari —e in buona misura pressoché fortuite— che hanno aperto la strada al paziente, indispensabile e meritorio lavoro dell’Autore del presente libro.

Qualche anno fa —forse sette o anche più— , in occasione di una mia visita alla biblioteca comunale di Avio, ebbi modo di scambiare alcune impressioni con il bibliotecario di allora, Mario Peghini, il quale, motivato soprattutto da interessi legati alla storia locale che lo portarono in seguito alla pubblicazione di una preziosa opera in materia 1 , era particolarmente incuriosito dalla figura di Giuseppe Turrini, studioso di Avio attivo durante l’intera seconda metà dell’Ottocento. Le notizie in suo possesso si limitavano ai dati biografici

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1 Mario Peghini, Avio 1914-1918. Un paese tra due frontiere. Da periferia dell’Impero austro-ungarico a “terra redenta”, Biblioteca comunale Arnaldo Segarizzi, Avio 2009.

essenziali dello studioso aviense, alla sua professione di indologo presso l’ateneo di Bologna, a notizie relative al lascito che questi approntò per l’ultimazione del locale asilo infantile da lui fondato e alla conoscenza dell’esistenza presso l’archivio della biblioteca di Trento di un fondo contenente le sue carte e i suoi libri. Mario Peghini sapeva, inoltre, che ad Avio il Turrini aveva abitato la casa in cui sono cresciuto, l’attuale civico 10 di Piazza Roma da cui si dirama il vicolo che ne porta il nome. Tale coincidenza risultava però ancor più interessante per via della mia professione di docente di storia orientale che, se pur volta principalmente all’area del Medio Oriente e al mondo iranico, mi poneva in contatto diretto con i colleghi indologi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Di lì l’idea di coinvolgere uno specialista di studi indologici per studiare il fondo turriniano di Trento.

Le cose andarono tuttavia per le lunghe, anche se fin da subito Antonio Rigopoulos, docente di sanscrito in quel di Venezia, si rese generosamente disponibile a collaborare nella ricerca della persona che potesse fare al caso nostro. A ogni modo, qualche anno dopo, la cosa infine riuscì e, con mio grande piacere, fui così in grado di presentare Alberico Crafa a Mario Peghini, il quale con somma cortesia lo accreditò presso i colleghi dell’Archivio di Trento. I risultati non tardarono ad arrivare e, su suggerimento dello stesso Peghini, presi allora l’iniziativa di contattare l’assessore alla cultura e alle politiche sociali del Comune di Avio, Lorenza Cavazzani, e il sindaco, Federico Secchi, al fine di sondare l’eventualità di un patrocinio del Comune di Avio per una pubblicazione dedicata alla figura di Giuseppe Turrini. Ora, dopo gli incontri del caso e in seguito alla formulazione di un progetto editoriale ad hoc che a suo tempo fu sottoposto all’approvazione della giunta comunale di Avio, il volume in questione vede così la luce, restituendo finalmente alla comunità aviense una più ampia e circostanziata memoria della vita e dell’opera di un suo membro illustre e grande benefattore, del quale in verità ben poco però si sapeva. Questi gli antecedenti che hanno condotto alla successiva stesura della presente opera da parte di Alberico Crafa.

Come chiarisce la seconda parte del titolo, in questo libro non solo viene delineata l’interessante fisionomia di giovane ed entusiasta partecipante al movimento di unificazione nazionale del Turrini, ma vi si dà anche conto di un plausibile quadro del suo pensiero politico, profondamente connesso alle vicende storiche rientranti nelle coordinate biografiche della sua esistenza. È così —e la cosa risulta particolarmente interessante nel quadro di una storia dei rapporti intercorrenti tra cultura, politica ed educazione nel corso dell’Ottocento— che il suo percorso di formazione, che dagli iniziali studi in medicina lo portò agli interessi indologici, viene qui

puntualmente agganciato a momenti salienti della storia nazionale, come i moti del 1848 a cui il Turrini prese parte. L’Autore legge l’intera opera di studio del professore aviense attraverso la lente dell’impegno politico e sociale, chiarendo bene quale sia la natura del nesso, apparentemente evanescente, tra l’amore che il Turrini nutriva per la lirica sanscrita e la sua militanza attiva entro l’ambito educativo e formativo in cui si trovò ad operare. Infatti, secondo un motto che conobbe a quei tempi una certa notorietà, si trattava allora di costruire non tanto l’Italia —dopo il 1860 ormai unitaria, anche se ancora mancante proprio delle terre natie del Turrini—, quanto piuttosto gli italiani. Tale impellente necessità condivisa tra gli intellettuali del periodo unitario rientra a pieno titolo tra le motivazioni che indussero il Turrini ad attribuire grandissimo rilievo all’apprendimento e alla cura della lingua italiana e a esaltare quanto di eccelso essa poteva offrire sul piano letterario. Ciò spiega anche la scelta dell’indologo aviense di puntare su di un’attività traduttoria dal sanscrito di altissimo livello qualitativo, concretizzatasi nei volgarizzamenti —ovvero la resa in volgare letterario italiano— di parte della lirica classica indiana, di cui si pubblicano qui per la prima volta alcuni magnifici esempi tratti dagli appunti autografi conservati a Trento.

L’attività traduttoria del Turrini —che non si limitò certo alle rese dal sanscrito, contemplando anche la traduzione dal greco e dal latino di opere importanti della letteratura cristiana— è frutto di una scelta di grande raffinatezza, che dà conto della piena maturità dello studioso di Avio quale intellettuale consapevolmente risorgimentale e, dunque, ben conscio del ruolo basilare e costruttivo dell’idioma nazionale sul piano identitario. Il mezzo linguistico, opportunamente forgiato sulla scorta di un patrimonio letterario che guarda al Medioevo dell’età dei Comuni quale momento epocale per la formazione del carattere nazionale, si presterà così a operare sul piano culturale un recupero di quanto del passato fosse potuto risultare funzionale in termini di discorso identitario. Ciò spiega gli aspetti formali delle scelte del Turrini. Per quanto riguarda gli aspetti contenutistici si dovrà porre un accento particolare sulla sua personale inclinazione alla pratica di un cattolicesimo vissuto in ogni suo aspetto, dal suo più intimo coltivare una formazione cristiana per lui irrinunciabile al suo ben noto impegno pubblico nell’adoperarsi per accrescere il benessere sociale della propria comunità d’origine attraverso il finanziamento di opere di carità, tra cui spicca la costruzione dell’asilo infantile di Avio. Ecco allora che, dietro alla scelta di brani particolari e/o delle opere tradotti dal Turrini, si potranno leggere in controluce —come fa qui attentamente l’Autore— le ragioni che indussero lo studioso aviense a prediligere opere dallo spiccato carattere formativo come il De Imitatione Christi, che egli darà alle stampe in una sua

versione italiana nel 1874 2 . Sono opere che gli consentiranno attraverso la maggiore diffusione che la traduzione garantiva loro di mettere in pratica il suo spirito profondamente cattolico di abnegazione al servizio della comunità tutta, nell’intento di rinvigorire il sentire morale e religioso della società italiana del suo tempo. La sua è una divulgazione di alto —quando non altissimo— livello e, in ciò, non è certo votata ai grandi numeri. Ma ciò non ai fini di un elitarismo fine a se stesso, quanto piuttosto per rendere degni in massimo grado e secondo lo spirito dell’epoca sia i contenuti sia il linguaggio stesso dei materiali tradotti, che si andavano così a collocare de facto tra le opere di una ‘nuova’ letteratura in lingua italiana a maggior gloria della nuova nazione.

Per quanto concerne l’opera di ‘scavo’ del fondo turriniano di Trento, non è certo necessario sottolineare la cura e la dedizione dell’Autore nel faticoso lavoro di archivio. Della sua abilità nello svolgere un tale compito, non certo facile e talora ingrato, rende infatti ragione nel modo più evidente il presente volume nel suo complesso. Piuttosto, va invece sottolineata in proposito la particolare rilevanza che riveste il carteggio del Turrini quale testimonianza inedita sia della temperie culturale entro cui operavano gli intellettuali ottocenteschi —e nello specifico un intellettuale ‘di confine’, come ha modo di rilevare e di contestualizzare l’Autore— sia dello sviluppo del settore degli studi indologici e storico-religiosi in Italia. Il carteggio turriniano conserva le sole lettere in entrata di varie personalità attive nel mondo della cultura di allora. Se, come ci si può aspettare, nel numero primeggiano le lettere di Angelo Valdarnini, collega e carissimo amico dello studioso di Avio, vi è in ogni caso ben rappresentata anche la presenza di grandi nomi del mondo culturale non solo italiano, ma anche europeo, come testimoniano le otto lettere a firma di Friedrich Max Müller (1823-1900), uno tra i più insigni e influenti studiosi oxfordiani nel campo dell’indologia, della filologia e della mitologia comparata della seconda metà dell’Ottocento. Nel suo insieme, il valore del carteggio turriniano conservato a Trento non risiede tanto nel pur preziosissimo, quando non indispensabile, ausilio nel ricostruire alcuni aspetti della biografia e del carattere del Turrini, quanto piuttosto nel testimoniare la volontà dell’indologo aviense di fare di un luogo quale l’archivio cittadino del capoluogo natio lo strumento attraverso cui gettare un ponte tra la propria terra d’origine e la più ampia comunità nazionale.

È con un sentito ringraziamento a quanti hanno generosamente contribuito alla realizzazione di questo progetto e, in particolare, all’Autore per averci saputo restituire con questo suo libro un tassello

2 Giuseppe Turrini, Della Imitazione di Cristo di Giovanni Gersenio. Volgarizzamento in lingua del Trecento, Regia Tipografia, Bologna 1874.

significativo della storia delle glorie locali rimasto finora ignoto ai più, che desidero chiudere queste mie brevi note, e con l’auspicio che altre operazioni di questo tenore possano presto essere messe in campo al fine di restituire alla comunità tutta quelle memorie locali su cui si possa fondare un saldo senso di appartenenza che travalichi il mero dato anagrafico.

Avio, 8 marzo 2020.

Simone Cristoforetti (Università Ca’ Foscari)