Prospettive incrociate. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture

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Prefazione   ix

L’identità personale passa quindi anche attraverso la scelta della lingua scritta che è certamente un mezzo di comunicazione e allo stesso tempo – o piuttosto – una trasformazione, un’azione, la ricerca del sé nel mondo, del luogo dove convogliano sia la polifonia dell’atto di scrittura che le lingue in uso; sia la storia individuale quindi che quella del luogo/nazione che ci ospita. Non è allora il solo luogo che connota una forma bensì una forma che vive per voce e in virtù di una sorta di reciprocità tra due culture diverse (luogo e persona) e che, conservando ognuna la propria identità specifica, trovano un punto d’incontro che altro non è che il risultato di questa convergenza: la scrittura. A luogo e persona, sono però teso ad aggiungere un terzo elemento: cultura. O meglio, influenze. Sembrerebbe un ulteriore fattore già incluso nei precedenti eppure gode di una statura indipendente. Chi scrive necessariamente porta nell’esperienza della scrittura l’osservazione e l’ascolto dell’universo ove è ospitato ma ancor più sentitamente di quello che decide di ospitare per volontà (che sia questo una semplice lingua o la sequenza di letture che hanno giocato la formazione o che si accoglie per piacere personale). Elementi questi che tendono a riplasmare l’uso della lingua e di conseguenza a rifondarne l’indefettibile precisione. Non è insensato dire che la lingua che chi scrive ha in uso, è frutto di decisioni e mutazioni, ancor più quando si parla di poesia che nella sua apparente invisibilità conserva invece tracce di molte delle sue origini e dei molteplici cambiamenti. È questo territorio composto da substrati che questa serie di interviste porta a scoprire, non soltanto la «bottega» del poeta, la genesi di uno specifico testo o di una raccolta, i processi di politura o i ripensamenti, bensì quel territorio riformato che viene consciamente – o meno – abitato e che vede il suo appoggio terreno in quell’atto finale di sintesi che è appunto lo scrivere. Già Giorgio Orelli annotava: « […] non posso immaginarmi i poeti, giusto nei momenti più felici del loro lavoro, del loro alto artigianato, nei momenti di massima concentrazione e senso della misura, come gente che sguinzaglia i significanti fuori dalla loro proprietà6». Altrettanto vero è che laddove ognuno abiti un proprio giardino e ne tracci i confini, certamente talune piante vagabonde trovano buon terreno (sfuggendo all’intervento dell’uo G. Orelli, Accertamenti verbali, Milano, Bompiani, 1978, p. 9.

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