C’era una volta l’Ataf. I fiorentini e la loro città in un insolito ritratto

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dersi il fresco fra quelle spesse mura antiche. Gli dà pensiero, doversi alzare fra poco per andare al campanile a tirare le corde per le campane delle 12. È solo. Non è venuto nessuno, oggi. Troppo caldo anche per una preghierina. «Mamma mia, che bollore! Con questa tonaca, poi! Ma c’è poco da fare. Fra un po’ devo andare. A proposito, fra quanto?». Un’occhiata alla sveglia della canonica. «Già è vero: è rotta. Tanto il 23 parte a mezzogiorno preciso», riflette, dando un’occhiata fuori della finestra: il 23 è lì e l’autista e il bigliettaio bevono un birrino e, dopo aver guardato il culo dell’Angela, si rimettono a giocare a carte. «Sì, Angela un corno. Con quello che mi racconta in confessione». E si risiede, aspettando il rumore dell’autobus che si riaccende, e la conseguente sgassata, per andare a fare il suo dovere. Tre, quattro partite a briscola. «Ma quando suonano le campane?», chiede Marco, pregustando la calata dell’asso di briscola che ha in mano. «Ma quando parte l’autobus?», si domanda don Carlo, andando con la memoria, e con qualche turbamento, alle confessioni dell’Angela. «Nini, che ore sono, per favore», chiede Antonello alla ragazza che passa con il vassoio pieno di bicchieri in equilibrio, ma senza rinunciare a sculettare. «Mezzogiorno e dieci», risponde Nini. Marco e Antonello buttano le carte sul tavolo e scattano sull’autobus. Don Carlo sente una sgassata più feroce del solito. Capisce tutto e scatta anche lui.

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