"Con le mani nel latte" - Scuola casearia di Pandino

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Guido Antonioli

Con le mani nel latte 50 anni di Scuola Casearia

Provincia di Cremona

Comune di Pandino 3


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a scuola Casearia di Pandino, da anni, rappresenta elemento di eccellenza nel panorama formativo cremonese. Per questo motivo mi pare significativa la volontà di una ricerca che ripercorra le tappe significative di un istituto prestigioso. L'attenzione speciale che abbiamo voluto riservare a Pandino trova riscontro nel fatto che riteniamo la Scuola Casearia e tutte le esigenze formative connesse a mantenere e trasmettere la tradizione agroalimentare della filiera del latte e della lavorazione del formaggio, un investimento culturale ed economico di primissimo piano e di assoluto rilievo per l'area cremasca e per il territorio provinciale. Siamo orgogliosi per i risultati finora raggiunti ed esprimiamo la massima gratitudine al Dirigente scolastico, al corpo docente e a quanti hanno saputo, nel corso degli anni, proporre un percorso didattico capace di aggiornarsi aprendosi alle nuove conoscenze in campo scientifico e produttivo, pur nel rispetto della tradizione. Ci anima la convinzione che questa nostra volontà sia condivisa e compresa dagli imprenditori del settore, che abbisognano di tecnici ed operatori qualificati in materia casearia e che desiderano il mantenimento e lo sviluppo di un polo formativo adeguato alle loro esigenze. Qualificare ulteriormente la Scuola di Pandino, spingendo sull'innovazione e promuovendo la qualità e il prestigio di questo istituto superiore, significa allora valorizzare tutto il sistema economico e produttivo, che trae linfa ed energia da questa realtà. La nostra ambizione ultima è che la Casearia, scuola già prestigiosa e conosciuta in Italia e all'estero, per l'alto livello di specializzazione e per il profilo tecnico altamente qualificato che propone, possa sempre più integrarsi con le altre eccellenze, nel campo della formazione e della ricerca, presenti nella nostra Provincia. Non manca certo la spinta ideale. Ho constatato personalmente quanto, anche presso di voi, sia radicata e diffusa la volontà di costruire, di realizzare uno sforzo di partecipazione in progetti innovativi, di progresso e di impegno assicurando ogni apporto dell'industria agroalimentare e della stessa cooperazione agricola e questa pubblicazione ne è ulteriore testimonianza. Giuseppe Torchio Presidente della Provincia

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a Scuola Casearia di Pandino è il consolidamento di tradizioni, un'attualità importante e un ponte concreto verso il futuro. Per mezzo di essa la lavorazione del latte, prodotto principe della nostra terra, trova forma di moderna professione. È una realtà significativa che attira studenti da tutte le regioni italiane e da tanti paesi stranieri dei diversi continenti. Con la sua reputazione ha sempre garantito l'occupazione ai suoi diplomati e vanta un'attiva associazione di ex allievi come le scuole più blasonate. Centro di eccellenza per il patrimonio di conoscenze e la dotazione di laboratori, costituisce un'importante risorsa per valorizzare il comparto alimentare del latte nel nostro territorio. Noi abbiamo nei suoi confronti un legame sentimentale fatto di allievi venuti da lontano che si sono fermati fra noi, di iniziative sviluppate insieme, di tanti momenti di quotidianità e di sentire parlare di Pandino in posti lontani proprio grazie alla Scuola. Più razionalmente la Scuola Casearia è uno strumento di grande efficacia e potenzialità per interpretare positivamente una qualificata economia in un ampio contesto territoriale e di relazione con altri settori produttivi. La comunità di Pandino, che ha contribuito alla sua affermazione in modo sostanziale collaborando con espressioni del mondo accademico e dell'economia, si sente tutore di questa istituzione e con tale spirito partecipa con attenzione ai processi di evoluzione che la accompagnano. In questi anni, con il ruolo che ora può esercitare, la Provincia di Cremona ha assicurato con un accordo di programma il suo concreto impegno alla realizzazione di quelle nuove strutture che porteranno la Scuola a procedere con rinnovata energia verso quegli obiettivi di sviluppo e qualità che da sempre la distingue. L'occasione del cinquantesimo anniversario che celebriamo quest'anno è così da vedere come un momento di soddisfazione per quanto fatto e di conforto per lo sviluppo della Scuola Casearia di Pandino verso mete realisticamente ambiziose. Antonio Picinelli Sindaco di Pandino

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inquant’anni sono tanti, sia per un uomo che per una scuola; analogamente, essi si vedono, ma per la scuola Casearia l'età non significa vecchiaia. Significa invece, trasformazione, maturazione. All'inizio gli studenti erano alloggiati nelle case private oppure - si riferisce - in palestra; svolgevano lunghe e continue esercitazioni, se non vero e proprio lavoro; imparavano in fretta (3 anni) un mestiere difficile. Poi con il nuovo ordinamento didattico il percorso formativo si può allungare a 5 anni, ma nel contempo viene ridotta la presenza in caseificio; l'obiettivo infatti è anche quello di fornire cultura, sapere, non solo fare, saper fare. Questa trasformazione è la maturazione della scuola, che dimostra gli anni che oggi compie, non perché vecchia, ma perché nel tempo si è modificata; non perché è obsoleta, ma perché si è trasformata; non perché è sorpassata come mission, ma perché si è evoluta. È ancora attuale, nonostante il tempo trascorso. E di tempo ne è passato molto; basta pensare ai primi docenti oppure agli studenti; alcuni dolorosamente scomparsi. Ma non solo, basta vedere le fotografie che fissano i laboratori, i locali del caseificio, le persone in gruppi-ricordo oppure nella quotidiana attività (notare l'abbigliamento, sempre con giacca). Il vecchio edificio, secondo gli standard attuali, insalubre, non a norma, sia igienica che infortunistica, non c'è più. Solo il Convitto regge la sfida del tempo; ci mancherebbe altro: è nel castello medioevale. Ma anch'esso si è evoluto; quelli che una volta venivano definiti censori, a significare l'opera repressiva (e punitiva), ora sono educatori; per sottolineare l'importanza dell'attività di assistenza ai convittori, che in un momento così fondamentale e delicato della

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loro formazione personale affrontano le problematiche adolescenziali da soli (lontani dalla famiglia); ecco allora la figura del Tutor, del padre putativo, svolta dall'educatore, non certo dal censore. Di questi cinquant’anni, con la Scuola ne ho trascorsi quindici: tutti quelli relativi al nuovo caseificio, che viene inaugurato nella primavera del 1990. Forse è questa struttura didattica e formativa che presenta i segni del tempo, pur mantenendosi e cercando di apparire giovane, è vecchia o matura, non prossima al pensionamento ma comunque bisognosa di ammodernamento; struttura che partì innovativa, tecnologicamente avanti, didatticamente allineata con le realtà industriali; alludo per esempio al quadro sinottico che in cabina di comando informava sullo stato della lavorazione. Ma è logico che ora il sistema sia obsoleto, basta pensare ai progressi registrati in questi ultimi decenni dall'elettronica, dall'automazione, dall'informatica. Mi sembra importante, ora, ringraziare tutti coloro, e sono molti, che hanno contribuito a rendere nota, invidiata la Scuola, il Convitto, il Caseificio, accomunandoli tutti, indistintamente: sono docenti ed educatori, studenti (diventati importanti, ma con il ricordo dei tempi spensierati trascorsi in convitto; lo dimostrano i raduni annuali degli ex allievi, che hanno formato una storica e mitica associazione), operatori scolastici, imprenditori, amministratori. A loro va un ringraziamento enorme, poiché senza l'apporto del loro lavoro, talvolta oscuro, semplice, non evidente, la Scuola che oggi festeggiamo non sarebbe sicuramente giunta a 50 anni. Grazie dunque a tutti e auguri di lunga vita a loro e di lunghissima vita, oltre ogni limite umano, alla Scuola. Ed un ricordo particolare, altrettanto sincero e sentito, a quelli che oggi non sono presenti, che purtroppo ci hanno lasciato. Pieremilio Priori Preside

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ono arrivato alla Scuola Casearia di Pandino il 15 ottobre 1996. Ero alla mia prima esperienza nella scuola statale e, non nego, affrontai l'impegno con ansia e un briciolo di timore. Mi avevano parlato della Casearia come di una scuola di prestigio, dove si insegnava il difficile lavoro della trasformazione del latte. Provenendo dal mondo agricolo-zootecnico mi sentivo preparato nelle discipline agrarie, ma assolutamente inesperto nel settore caseario. Mi accolsero il prof. Aliprandi ed il prof. Picco. Si respirava a scuola un'aria famigliare, di quelle che avverti quando stai tra amici. Arrivò il momento della prima lezione in caseificio: produzione del fontal, con pulizia e rivoltamento dei formaggi nelle celle di stagionatura. Mi rivolsi al tecnico Folini - presenza ormai storica nel caseificio della scuola - e gli dissi: "Sono in difficoltà!". "Non si preoccupi", rispose Giovanni e cominciò da lì una collaborazione che continua tuttora: oggi io sono il direttore della scuola e lui è il responsabile del caseificio. La nostra scuola: chiamarla genericamente "Casearia" è divenuto ormai improprio. Il nostro è un Istituto professionale di Stato per l'agricoltura e l'ambiente ad indirizzo agro-industriale, da alcuni anni accorpato all'Istituto tecnico agrario statale "Stanga" di Cremona. Il percorso degli studi si articola in tre anni di qualifica e due di post-qualifica. Al termine dei primi tre anni, e dopo aver sostenuto un esame, si ottiene la qualifica di "operatore agro-industriale"; i due anni post-qualifica portano invece all'esame di Stato ed al conseguimento del titolo di "agrotecnico", che permette di accedere a tutte le facoltà universitarie. E la formazione professionale? Al termine del quinto anno, dopo aver frequentato con profitto il percorso parallelo di specializzazione (la cosiddetta "area professionalizzante"),

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gli allievi ottengono l'attestato, rilasciato dal nostro istituto e con valore legale, di "tecnico delle produzioni lattiero-casearie". Le esercitazioni iniziano in prima nel laboratorio di chimica e in seconda nel caseificio didattico; il terzo anno si può considerare di "specializzazione", in quanto l'attività pratica è supportata ed integrata dallo studio di discipline quali microbiologia lattiero-casearia, biotecnologie, biochimica, tecnologie lattierocasearie e laboratorio tecnologico. L'operatore agro-industriale ad indirizzo caseario è in grado di capire e di operare nei processi di caseificazione dei principali formaggi italiani che la scuola produce regolarmente: taleggio, salva, italico, crescenza, provolone, mozzarella, primosale, fontal, formaggi erborinati e pressati. Settimanalmente anche il burro e la ricotta. Alla nostra scuola si forniscono, in giusto equilibrio, istruzione e formazione, offrendo ai diplomati l'opportunità di scegliere se continuare gli studi universitari, praticare la libera professione, lavorare presso caseifici o aziende del settore, oppure intraprendere un’attività autonoma di trasformazione del latte. Per questi motivi è una scuola di grandi potenzialità, soprattutto per la facilità con la quale i nostri allievi, terminato il ciclo di studi, trovano ancora collocamento nel mondo del lavoro. Le aziende del settore lattiero-caseario partecipano alla formazione degli studenti sia inviandoci tecnici che svolgono l'attività di docenti dell'area professionalizzante, sia ospitando i ragazzi in stage. Anche l'associazione dei diplomati ci è vicina, offrendo la sua preziosa testimonianza di professionalità e di esperienza lavorativa. Insomma, la nostra è una scuola che funziona bene, soprattutto grazie alla fattiva collaborazione di docenti preparati e volenterosi e di tecnici bravi e disponibili. A tutti loro va il mio personale ringraziamento. I tempi sono cambiati, ma per noi la Casearia resterà per sempre una scuola unica e preziosa. Andrea Alquati Direttore della scuola

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o accettato con piacere e gratitudine il compito di scrivere un libro che raccontasse 50 anni di storia della Scuola Casearia per due motivi: innanzitutto perché mi sento ormai un pandinese, visto che abito e vivo qui da 20 anni (dopo aver sposato una splendida ragazza di Pandino), e quindi mi sembrava utile contribuire a valorizzare una risorsa locale; in secondo luogo perché, seppure indirettamente, io alla Casearia ho lavorato: sono stato infatti istitutore presso il Convitto per quattro anni, verso la metà degli anni Ottanta, sotto la direzione del maestro Marinoni. Una esperienza che ricordo con grande affetto e che mi è certamente servita per svolgere meglio il mio successivo lavoro di insegnante. Nel libro troverete, dopo le presentazioni, una lunga ricostruzione storica delle origini della Scuola, redatta grazie alla consultazione e allo studio dei documenti, ormai ingialliti, rimasti per mezzo secolo negli archivi, che spiegano come nacque e come poi fu realizzata l'idea di far sorgere a Pandino un Istituto professionale assolutamente atipico e innovativo. È "il romanzo" di Alfredo Manstretta e di Leone Soldani, i veri "padri" della Casearia. Segue poi la narrazione dei principali avvenimenti che hanno caratterizzato i 50 anni di vita della scuola. Qualcuno potrebbe stupirsi del fatto che i tre anni antecedenti la fondazione della Casearia - dal '52 al '54 - abbiano richiesto una maggior mole di parole, per essere raccontati, rispetto ai successivi cinque decenni. Il fatto è che, dopo aver ricostruito in modo approfondito le origini, ho preferito lasciar parlare le persone che hanno lavorato in questo mezzo secolo presso la scuola (ecco il perché delle tante "testimonianze"), piuttosto che scrivere una storia un po' fredda (e probabilmente noiosa) dei fatti accaduti in tutto questo tempo. Le persone, infatti, sono le vere protagoniste della Storia, anche della storia della scuola Casearia. Uomini e donne che, con la loro personalità, con le loro idee (anche contrastanti, come vedrete) e soprattutto con il loro lavoro, hanno realizzato un Istituto scolastico davvero unico nel panorama italiano. E non lo dico per piaggeria.

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Forse oggi la "nuova" Casearia è meno atipica rispetto alla "vecchia" Casearia, però si distingue ancora certamente - nella qualità dell'offerta formativa (basti pensare alla presenza del caseificio didattico e del convitto educativo) - da tutti gli altri istituti professionali "normali". Grazie al Preside, prof. Pieremilio Priori, che mi ha accordato la sua fiducia e, dopo la lettura del libro, la sua gratificante stima. Grazie a tutti coloro che hanno accettato di raccontarmi i loro ricordi e la loro esperienza alla Casearia, contribuendo in maniera decisiva a scrivere questa storia, che ovviamente è solo una delle possibili storie realizzabili. Chissà quante altre voci, quante altre testimonianze, si sarebbero potute raccogliere. Lo faranno, probabilmente, coloro che scriveranno la storia della scuola quando questa compirà 100 anni. In fondo manca solo mezzo secolo. Grazie alla signora Marmilia Gatti Galasi, che ha accettato di impreziosire questo testo con una sua testimonianza diretta, scritta - come sempre - con grande abilità e con grande cuore. Grazie alla professoressa Silvia Panigada che, con grande competenza e passione, ha progettato la veste grafica di questo libro. Grazie infine, e soprattutto, alla professoressa Carla Bertazzoli, che ha curato la parte editoriale e che mi ha assistito (e sopportato) per tre lunghi mesi. Se ci sono dei meriti in questo lavoro, sono soprattutto suoi. Guido Antonioli l’Autore

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L’edificio che ospitava la scuola all’epoca della sua fondazione Al balcone è riconoscibile il prof. Alfredo Manstretta

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er poter avere notizie e indicazioni concrete circa la "preistoria" della Casearia - cioè di quel periodo di tempo in cui nacque e poi si sviluppò l'idea di far sorgere a Pandino un Istituto professionale che insegnasse agli allievi usciti dalla scuola media (o dall'Avviamento) la difficile arte del casaro - si può attingere ad alcuni documenti trovati nell'archivio della Scuola e che risalgono ad oltre 50 anni fa. Sono in massima parte lettere, quasi tutte copie-carbone delle missive originali, scritte su fogli sottilissimi, ingialliti, a volte trattenuti fra loro da spilli o da graffette ormai completamente arrugginiti. Sono documenti fragili ma preziosi, ricchi di notizie esplicite, ma anche di informazioni nascoste tra le righe, che rispecchiano il carattere e le idee di coloro le scrissero. La più vecchia delle lettere che sono state rintracciate risale al 1952. È da qui che bisogna iniziare per fare la storia della Scuola Casearia.

La nascita dei professionali Si tratta di una comunicazione ufficiale che il prof. Leone Soldani, allora direttore della Scuola secondaria statale di Avviamento professionale a tipo agrario e industriale femminile "G. Diotti" di Casalmaggiore, trasmise il 18 febbraio di quell'anno a tutti i direttori delle scuole secondarie di Avviamento professionale della provincia cremonese. Tra i destinatari vi era senz'altro anche il direttore della scuola di Avviamento di Pandino. Che allora non era Alfredo Manstretta, bensì l'abruzzese Alarico De Angelis, di cui a Pandino si è quasi perduta la memo-

Il preside Leone Soldani (a sinistra nella foto) ad una conferenza della F.A.O.

ria. E si scopre così che le radici più profonde della Casearia non sono legate direttamente all'uomo che per primo la volle con tutte le sue forze e che in seguito la fondò grazie al suo eccezionale coraggio, bensì ad una riforma scolastica calata certamente dall'alto, ma poi proficuamente colta, nelle sue migliori opportunità, a livello locale. 15


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"Con alquanto ritardo sul previsto - inizia la lettera di Leone Soldani - prendo contatto con le SS. LL. per sollecitare notizie e chiedere attiva collaborazione, volta alla ricerca dei modi più opportuni e delle procedure più adatte per la realizzazione di Scuole o Sezioni sperimentali dell'Istituto Professionale, previsto dal progetto di legge: "Norme generali sull'Istruzione". La realizzazione di queste Scuole o Corsi, funzionanti per ora in via sperimentale, non pregiudica la esecuzione di uno studio, in corso di espletamento, indispensabile al Ministero P. I. per ottenere un quadro, possibilmente completo, delle necessità provinciali in ordine alla istituzione di questo speciale tipo di Scuola Professionale". Il ritardo accennato da Soldani è reale. Infatti il Provveditore agli studi di Cremona, già all'inizio del novembre 1951, gli aveva richiesto di compiere, per conto del Ministero della Pubblica Istruzione, un’indagine conoscitiva per "sollecitare notizie e chiedere attiva collaborazione" a tutti i Capi di Istituto delle Scuole di Avviamento del cremonese. Si trattava di realizzare concretamente anche nella nostra provincia quanto previsto dal progetto di Riforma scolastica in atto in quegli anni, che intendeva dare vita a Istituti Professionali, come rivoluzionario ma concreto prolungamento didattico delle attività già svolte dalle Scuole di Avviamento. Solo dopo tre mesi dalla richiesta del Provveditore, Soldani diede dunque il via, con grande enfasi, all'importante operazione. Scrisse: "Prego le SS. LL. voler ponderatamente riesaminare il commento al progetto di legge sopraindicato (...) per avere chiara idea del compito che ci attende sia in ordine alla ricerca della migliore didattica delle materie tecniche da impartire agli operai di varia età (15-21 anni) e di varia cultura (dal semianalfabetismo alla licenza tecnica), sia in ordine alla formazione morale e sociale del nuovo Homo Faber. Questo secondo aspetto del problema è tutt'altro che secondario, come risulta dalla copiosa letteratura relativa all'argomento". 16

Di quella "copiosa letteratura" la scuola italiana ha ormai da molto tempo perso le tracce, e giudichino i lettori se ciò sia un bene oppure un male. Nel testo colpisce peraltro il riferimento agli operai di 15 anni, all'importanza della loro formazione morale, e sono significativi sia la citazione della eterogenea situazione culturale di partenza degli allievi, sia il richiamo al cosiddetto "Homo Faber". La lettera di Soldani continua precisando con chiarezza quali potranno essere gli sviluppi organizzativi degli Istituti professionali della provincia. "L'Istituto professionale si configura come un organismo scolastico, che, per ogni branca professionale, potrebbe assumere carattere provinciale costituente un centro tecnico e amministrativo e dal quale si diparte un numero non stabilito di scuole, sezioni, corsi ecc. di durata varia (da due o tre mesi fino a cinque anni a seconda della opportunità o necessità), collocati, permanentemente o non, in ogni luogo della provincia. È la necessità, l'istanza tecnico-economica locale, ben individuata e delineata nella sua chiara fisionomia, che determina, volta a volta, il sorgere di una scuola (...), la scelta delle materie teoriche (di recupero o di normale sviluppo) e pratiche, la scelta degli strumenti, delle macchine, delle aree sperimentali, la durata e l'epoca di svolgimento e l'orario. (...) Il nuovo organismo scolastico (...) si concede ampie libertà di scelta entro i confini di severe scelte; cerca insomma di aderire perfettamente ai bisogni locali, e pertanto postula il più alto senso di responsabilità in tutti coloro che sono investiti di funzioni direttive. Per raggiungere lo scopo è indispensabile l'intesa con le categorie produttive ed in via subordinata con le Autorità Comunali; perché se è vero che l'Istituto Professionale ha uno spiccato carattere scolastico (...), è anche vero che, dovendo servire ai lavoratori occupati e disoccupati, deve ottenere tutto il possibile benevolo appoggio degli autorevoli esponenti degli imprenditori e dei lavoratori locali, in quanto proprio ad essi dovrebbe stare a


LA cuore la qualificazione, più o meno polivalente, dei lavoratori, e la loro formazione sociale". La lettera poi si conclude con l'invito a fare in fretta, poiché Soldani dovrà riferire al Ministro le intenzioni dei diversi direttori delle scuole secondarie cremonesi entro il mese di maggio.

Un liceo a Pandino? L'allora direttore della Scuola di Avviamento di Pandino non perse certo tempo. De Angelis intese cogliere al volo - e alla grande, come vedremo - l'occasione che gli era stata presentata. Il 3 marzo di quell'anno, neppure due settimane dopo aver ricevuto l'invito di Soldani, gli inviò infatti una missiva di entusiastica adesione all'iniziativa. Nella lettera, dopo aver esaltato il ruolo di Pandino come "guida" economica e sociale per tutto l'Alto Cremasco, e quindi come importante punto di riferimento anche scolastico per un vasto territorio limitrofo, il direttore dell'Avviamento si propone come partner ideale per la fondazione, addirittura, di "una scuola secondaria tecnica ed, eventualmente, classica, unite sotto unica direzione". Altro che semplice istituto professionale! Pandino, a giudizio di Alarico De Angelis, era un importante centro abitato ormai pronto ad accogliere gli istituti secondari superiori più prestigiosi. E la scuola Casearia? Il direttore dell'Avviamento, che pure era già ad indirizzo agricolo, la mette solo come una delle tante, marginali, possibilità. Come si evince dal proseguo della sua lettera. "Parallelamente, la Direzione della scuola istituenda dovrebbe provvedere al funzionamento di un Istituto Professionale attraverso corsi vari di indirizzo agrario, commerciale ed artigianale (...). In particolare, per quanto riguarda la popolazione rurale, i corsi dovrebbero mirare alla formazione di ottimi braccianti per l'agricoltura; di con-

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duttori delle aziende famigliari; di mungitori dei bovini e di allevatori provetti di bestiame; di conduttori di trattori agricoli e di macchine in generale; di casari e di addetti ai caseifici ed alle industrie agrarie ed attività derivanti". Soldani aveva chiesto informazioni e collaborazione per la costituzione di un Istituto professionale; De Angelis alzò dunque il tiro, proponendo sì un Professionale, ma come scuola "parallela" di un Istituto tecnico e, persino, di un liceo! Se il Ministero avesse esaudito le sue richieste, Pandino sarebbe diventato, già a partire dagli anni Cinquanta, un importante polo provinciale per l'istruzione secondaria superiore. Ma così poi non fu ed il sogno di De Angelis non si realizzò. Occorre peraltro notare come l'allora direttore della Scuola di Avviamento non avesse un'idea chiara sulla tipologia dell'istituto professionale da far sorgere, visto che nella sua lettera accenna sì ad un corso per casari, ma solo dopo aver suggerito la costituzione di un professionale per l'agricoltura e di uno per il commercio. "Chiedo tanto per ottenere almeno qualcosa", deve essere stata la logica sottostante alla richiesta di Alarico De Angelis, il quale comunque, al termine della sua missiva, informa di una posizione a lui "concorde" da parte della "Onorevole Amministrazione Comunale". Ci pensò Leone Soldani a riportare l'agguerrito direttore pandinese a più miti consigli. Il 3 aprile gli rispose in questo modo: "Mentre confido nello spirito di iniziativa e nell'entusiasmo della S.V. e di conseguenza nella possibilità di concretare alcun che di utile a vantaggio dell'agricoltura e delle maestranze agricole, faccio presente che la realizzazione di questa nuova scuola (che ripristina le funzioni delle antiche scuole pratiche di agricoltura) verrebbe adeguatamente compensata anche dal lato economico, perché sono previsti assegni speciali, oltre al normale stipendio, per coloro che, riconosciuti competenti specialmente dal lato pratico, prestano la loro opera nell'Istituto Professionale". Come dire: caro De Angelis, scordati l'istituto tecnico e il liceo 17


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classico a Pandino, dimentica anche il professionale commerciale, e buttati solo su di una scuola professionale per l'agricoltura. In questo modo potrai recare un grande vantaggio alle "maestranze agricole" ed otterrai soprattutto cospicui finanziamenti per te e per i tuoi insegnanti. Non era esattamente quello che aveva auspicato il direttore. Si erano comunque gettate le basi per la costituzione di un Istituto professionale a Pandino.

Arriva Manstretta Non sappiamo a questo punto esattamente cosa accadde. Non solo mancano i documenti relativi a tutta la parte rimanente di quel 1952, ma bisogna arrivare sino all'ottobre dell'anno successivo per trovare nuovamente riferimenti scritti, utili a ricostruire con certezza la storia della Casearia. Si tratta di due lettere importanti, non solo per il loro contenuto testuale, ma anche per altri indizi rivelatori: nella prima, datata 6 ottobre, è significativa già l'intestazione del foglio usato da Soldani per scrivere alla Direzione della scuola di Avviamento di Pandino, mentre, nella seconda (del 9 ottobre), è opportuno soffermarsi sulla firma apposta da chi ricopriva in quel momento tale carica. Veniamo così a scoprire che Leone Soldani, nell'ottobre del 1953, non era più il direttore della Scuola di Avviamento Professionale di Casalmaggiore, bensì dirigeva (certamente da qualche tempo almeno) l'Istituto Professionale Agrario di Stato di Viadana, in provincia di Mantova. È infatti sulla carta intestata di quella scuola che venne scritta questa lettera. Seconda sorpresa: a capo della scuola di Avviamento di Pandino non c'era più Alarico De Angelis, bensì era arrivato Alfredo Manstretta. Il nostro Manstretta. Sotto la dizione "il direttore della scuola di Avviamento" c'è infatti la sua firma. 18

Alcuni testimoni - ovvero ex allievi della scuola di Avviamento, da loro frequentata proprio agli inizi degli anni Cinquanta - ci hanno raccontato dell'arrivo a Pandino di Alfredo Manstretta e del suo quasi fulmineo insediarsi alla guida della scuola, al posto di De Angelis. "Noi alunni - ricorda per esempio Giovanni Bertazzoli assistemmo un po' attoniti alla lotta che improvvisamente si accese tra il nostro direttore ed il nuovo arrivato. Ci dividemmo istintivamente in due schieramenti: chi tifava per De Angelis e chi per Manstretta. Personalmente parteggiavo per il primo, perché aveva un carattere molto dolce e mi aveva sempre protetto. Ma fu proprio De Angelis a doversene andare: non aveva i titoli, dissero, per guidare il nuovo istituto professionale. Andò successivamente ad insegnare a Rivolta. Manstretta, che a noi ragazzi dell'Avviamento pareva assai burbero e un po' chiuso, divenne il nuovo direttore".

Il prof. Alfredo Manstretta Il punto cruciale di quell'improvviso cambio della guardia alla direzione dell'Avviamento pare dunque essere stato il titolo di studio in possesso dei due contendenti. Pare, ma non fu così. Infatti sia De Angelis che Manstretta


LA erano periti agrari, quindi dei diplomati. Nessuno dei due era laureato; avevano dunque il medesimo titolo per guidare l'istituto. Il fatto è che Alarico De Angelis era solamente il "direttore incaricato" dell'Avviamento, ed il suo non era un posto a ruolo. Manstretta era invece arrivato a Pandino su incarico preciso e ufficiale, proprio per dirigere l'Avviamento. Probabilmente privato, alla fine degli anni '40, di un precedente incarico di Preside di scuola superiore nel Pavese, era stato successivamente reintegrato nei ranghi della Pubblica Istruzione. A quel punto gli era stato chiesto, pare, di scegliersi la direzione di una scuola in una provincia che non fosse più la sua, ed egli aveva optato per la provincia cremonese. A Pandino, come detto, la direzione dell'Avviamento non era a ruolo, e così Alarico De Angelis si ritrovò improvvisamente a doversi fare da parte. In realtà non andò subito a Rivolta, ma rimase un anno ancora presso la scuola di Avviamento come insegnante di tecnica agraria. Fu in quel periodo che avvenne la "lotta" - ovvero i frequenti scontri verbali con Alfredo Manstretta - di cui ci ha parlato Giovanni Bertazzoli. De Angelis fece pressioni in Provveditorato, e contestò più volte la regolarità dell'incarico dato al nuovo direttore. Ma alla fine fu costretto ad arrendersi e, di fatto, anche ad andarsene. Dopo aver insegnato qualche tempo a Rivolta, se ne tornò in Abruzzo, nella sua Torre de’ Passeri, in provincia di Pescara. A quei tempi la scuola di Avviamento di Pandino era a carattere prevalentemente agrario: gli allievi maschi coltivavano direttamente una grande ortaglia in un campo adiacente l'Istituto ed imparavano nozioni elementari di conduzione agricola. Sembrava quasi scontato che l'ipotizzato nuovo Istituto post-Avviamento dovesse avere lo stesso ambito professionale. Ed invece non fu così. Perché? Perché Alfredo Manstretta aveva in mente pro-

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prio una scuola per esperti casari. Lo si deduce chiaramente, non solo da tutti gli avvenimenti successivi, ma già a partire dalla lettera di Soldani che abbiamo sopra citato. Quella del 6 ottobre 1953. Ecco cosa scrive il dirigente dell'istituto professionale di Viadana al suo interlocutore: "Mi accennò il prof. Rinoldi al tuo desiderio di organizzare nella Scuola che dirigi una Sezione di questo Istituto specializzato in caseificio. Prima di inviarti notizie in merito ho voluto sentire il parere del Provveditore agli studi di Cremona e, per motivi di complessa natura, il parere del Sindaco di Cremona. Ho trovato ambedue favorevoli. Mandami con tutta urgenza uno schema di organizzazione della Scuola (materie, programmi ed orari, che preferirei diurni), il numero degli iscritti e probabili iscritti, la durata del corso (se annuale o biennale) ecc. Gli alunni devono possedere la licenza di avviamento oppure devono frequentare con profitto o un corso preparatorio, che precede il corso di qualificazione, o un corso integrativo, che può essere svolto contemporaneamente al corso professionale. Questi corsi professionali sono a preparazione integrale, mentre per gli adulti si possono organizzare corsi complementari ad orario prevalentemente serale. Non insisto con questo notizie perché anche tu sarai al corrente. Il 13 ottobre sarò a Cremona, e precisamente alla adunanza indetta dal Consorzio provinciale per l'istruzione tecnica. Credo che anche tu interverrai; stabiliremo con maggiori dettagli il lavoro da svolgere". Da questa lettera possiamo dedurre parecchi elementi interessanti. Innanzitutto doveva esistere un rapporto di buona familiarità tra Soldani e Manstretta: persino nelle lettere ufficiali si danno del "tu". Il tono è cordiale, l'obiettivo di far nascere la nuova scuola sembra essere condiviso da entrambi: Soldani, un dirigente molto ligio alle istituzioni e molto più rispettoso delle regole burocratiche di quanto non fosse Manstretta, dichiara di aver già previdentemente sondato l'opinione delle "autorità" (Provveditore e Sindaco di Cremona), proprio per agevolare il lavo19


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ro del collega pandinese. Sappiamo peraltro che i due, già l'anno successivo, cominceranno a litigare, anche duramente, per divergenze tutt'altro che lievi (e dopo ogni litigata, il tono delle lettere si farà più freddo e distaccato, ed il "tu" verrà omesso). Ma certamente all'inizio Leone Soldani ed Alfredo Manstretta si allearono nel tentare di edificare la nuova scuola; e quella alleanza fu vincente. Dalla lettera si deduce chiaramente che il primo ad avere avuto l'idea di istituire a Pandino proprio una scuola per casari fu senz'altro Manstretta. Costui, da neo-direttore della locale scuola di Avviamento, si era certamente interessato all'entrata nel mondo del lavoro dei suoi allievi. E con tutta probabilità, parlando sia con imprenditori che con comuni lavoratori della zona, aveva avuto rapidamente modo di accertare come il territorio pandinese fosse particolarmente ricco di allevamenti di bestiame nonché di caseifici per la lavorazione del latte. E, soprattutto, di come quest'ultimi fossero particolarmente bisognosi di manodopera specializzata. Nacque forse da qui la decisione di Manstretta di far aprire a Pandino una scuola professionale per esperti casari anziché un più generico Istituto per l'agricoltura, o per il commercio o l'industria? È più che probabile. Ma certamente ebbero grande influenza nella decisione sia la propria preparazione professionale (era un perito agrario) che, e soprattutto, le sue conoscenze personali. Aveva amici che appartenevano alla cultura universitaria milanese, precisamente all'ambito scientifico agro-tecnico, e non pochi di loro erano in qualche modo legati al mondo del latte e alla sua lavorazione. Il prof. Cesare Ghitti, uno dei fondatori della Scuola Casearia - nella sua testimonianza - approfondirà meglio questo aspetto. Per ora ci basti sapere che, una volta divenuto direttore della scuola di Avviamento di Pandino e deciso a cogliere concretamente l'occasione della riforma scolastica in atto, che permetteva di dare vita ad Istituti 20

professionali, Alfredo Manstretta, già a partire da quel lontano 1953, si diede rapidamente, ed intensamente, da fare per istituire la nuova scuola Casearia. E fu proprio con questo precipuo obiettivo che Manstretta cercò ed ottenne la collaborazione della scuola professionale di Viadana, ovvero del preside Soldani. Si trattava infatti di avere un punto di riferimento istituzionale, una scuola a cui essere aggregati per poter costituire a Pandino una sezione di istituto professionale ufficialmente riconosciuta.

Un possibile rivale Ma torniamo all'analisi della lettera sopra riportata. Resta da capire perché Leone Soldani, come scrive il 6 ottobre 1953, avesse sentito la necessità di ascoltare anche il parere del Sindaco di Cremona. Avere quello del Provveditore agli studi era più che ovvio, ma il primo cittadino cremonese che titolo possedeva per entrare nella questione? Al riguardo Soldani rimane volutamente sul vago ("per motivi di complessa natura", scrive un po' misteriosamente) e non chiarisce nulla al suo interlocutore. Una traccia per ipotizzare una risposta noi però forse l'abbiamo. Un testimone ci ha riferito che, in provincia di Cremona, proprio in quel periodo, vi era un altro direttore di scuola media intenzionato a far nascere un istituto professionale per esperti casari. Esattamente a Casalbuttano. Cosa ne pensava il sindaco di Cremona di un altro istituto simile in procinto di nascere a Pandino? Era opportuna l'istituzione di due scuole simili in un territorio poi non così vasto? In qualche modo si sarebbero fatta la guerra? Oppure avrebbero potuto convivere? Probabilmente il sindaco di Cremona diede il suo benestare all'operazione "Pandino" perché, a suo parere, i due istituti non avrebbero conflitto fra di loro. Noi sappiamo invece che, per il Provveditore agli studi, due casearie in provincia sarebbero state troppe e che,


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Anno scolastico 1954-’55: i primi iscritti alla Casearia Al centro il direttore Manstretta, alla sua destra il prof. Cesare Ghitti e a lato la segretaria Carla Marenghi

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non riuscendo - nonostante alcuni suoi tentativi (che vedremo) - ad affossare la scuola pandinese prima ancora che nascesse, non diede poi la propria autorizzazione ad aprirne un'altra uguale a Casalbuttano. Alfredo Manstretta ricevette la lettera di Soldani l'8 ottobre '53 (allora le Poste funzionavano...), ed il giorno dopo scrisse la sua breve, ma significativa, risposta (ne è rimasta la copia carbone). "Accolgo con vivo piacere la notizia della tua intenzione di istituire una sezione staccata dell'Istituto da te diretto presso questa scuola di Avviamento (che si sta orientando verso la specializzazione casearia). Poiché intendo costituire una sezione molto seria e bene organizzata, sto studiando a fondo la questione in modo di poterti fare concrete proposte. Naturalmente queste non posso fartele subito, però stai certo che te le invierò al più presto, dopo cioè il nostro colloquio di martedì 13 a Cremona. Le autorità locali sono molto favorevoli al progetto e mi daranno tutto il loro appoggio. Ti ringrazio e ti saluto cordialmente". Partiamo dalla fine. A Manstretta preme rassicurare Soldani circa i sicuri appoggi da lui ottenuti da parte dell'Amministrazione comunale pandinese in merito all'idea di far nascere la nuova scuola Casearia. Se Soldani aveva chiesto il parere formale a due autorità, Manstretta, invece, aveva perorato la causa della Casearia richiedendo al Sindaco di Pandino un intervento finanziario e logistico preciso, assolutamente necessario per dare vita al nuovo istituto professionale. Soldani aveva avuto bisogno di parole, Manstretta, più concretamente, di soldi. E c'era bisogno di concretezza per far nascere dal nulla la Casearia. Nella parte centrale della lettera il direttore pandinese, con una punta di orgoglio, dichiara di voler "costituire una sezione molto seria e bene organizzata". Una vera e propria dichiarazione di intenti, la sua. Lascia perplessi, invece, l'incipit della missiva, che sembra ammettere una 22

prima paternità della scuola a Leone Soldani ("la notizia della tua intenzione di istituire ecc. ecc."). Ma come - ci si chiede - non era stato Manstretta a pensare per primo alla possibilità di far nascere la Scuola per casari a Pandino? Sì, certamente. Lo sappiamo dalle testimonianze di coloro che poi lo conobbero; lo abbiamo dedotto dalla lettera precedente dello stesso Soldani ("mi accennò al tuo desiderio di organizzare ecc. ecc."); lo intuiamo dalla seconda e dalla terza parte della missiva. Ed allora? Ed allora si tratta con tutta probabilità di un'abile mossa del nostro Manstretta, che, come si suol dire, intese prendere due piccioni con una fava: da una parte solleticò l'orgoglioso carattere di Soldani, attribuendogli una paternità che non era certamente sua e, dall'altra, lo coinvolse maggiormente nella operazione, dando per scontata la sua volontà di far nascere la scuola a Pandino. I due poi presumibilmente si incontrarono il 13 ottobre a Cremona, e parlarono del progetto. Dopo di che Manstretta continuò ad attivarsi per preparare la nascita della scuola. Che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto aprire i battenti nell'ottobre del 1954, esattamente un anno dopo. Il tempo non era tanto, e molte erano le cose da fare. I problemi e le opposizioni - come vedremo - non sarebbero mancate. Ma Alfredo Manstretta aveva senz'altro dalla sua un'arma che i suoi nemici non possedevano: la forza di chi stava realizzando un grande sogno.

Un anno straordinario Una fitta serie di lettere scambiate nel periodo che va dall'ottobre del '53 all'ottobre del '54 tra i due "padri fondatori" della Casearia, Alfredo Manstretta e Leone Soldani, ci permette oggi di scrivere con buona approssimazione degli avvenimenti accaduti, nonché dei sentimenti vissuti dai due uomini, nell'anno che precedette l'apertura della scuola.


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La scuola Casearia come appariva in alcune cartoline d’epoca

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Un’apertura tutt'altro che scontata, visto che in quei dodici mesi si succedettero numerosi colpi di scena, che causarono repentini mutamenti nell'umore dei nostri due protagonisti, e che ne misero a dura prova non solo la pazienza ma persino le intenzioni. Basti pensare che, dopo un avvio talmente promettente, all'apparenza, da far giudicare addirittura tardiva a Soldani l'apertura della Casearia in ottobre, questa in seguito apparve invece quasi impossibile da realizzare. Poi venne data ancora per certa; quindi all'improvviso sembrò essere stata definitivamente bloccata; ed infine, dopo altri momenti di grande tensione, l'istituzione della scuola venne ufficialmente deliberata; ma solamente dopo che Manstretta, con un vero e proprio colpo di mano, ne aveva già concretamente fatto iniziare i corsi. Cosa si deve fare per far nascere una scuola? Si devono trovare i locali dove alloggiare le aule ed i laboratori, quindi bisogna comprare tutte le attrezzature occorrenti, ed infine è necessario reperire il personale amministrativo, i bidelli e, soprattutto, gli insegnanti. Ovviamente, prima ancora, si sarà definita la tipologia dell'istituto, l'offerta formativa, il quadro orario delle materie e degli insegnamenti, e si sarà steso un attendibile e particolareggiato inventario dei costi, dei beni e degli strumenti necessari al funzionamento delle attività didattiche. Inevitabilmente l'elemento fondamentale, la condizione sine qua non perché una nuova scuola possa nascere, è dunque quella del reperimento dei fondi necessari per avere tutto quanto serve. Manstretta e Soldani, nel mettere in piedi la scuola Casearia, si divisero sostanzialmente i compiti: al primo sarebbe toccato l'impegno di stendere il progetto particolareggiato relativo all'offerta formativa dell'istituto (orari, curricoli ecc.) e alle sue necessità strutturali (locali, attrezzature, docenti ecc.); Soldani invece si sarebbe occupato 24

delle autorizzazioni necessarie per aprire la scuola, di quei nulla osta ufficiali - del Ministero della Pubblica Istruzione e del Provveditorato - che avrebbero consentito il pagamento da parte dello Stato delle somme necessarie alla nascita e, soprattutto, alla sopravvivenza del nuovo corso professionale. Con il senno di poi - e alla luce dei documenti a nostra disposizione - possiamo dire che i due si mossero entrambi molto bene. Si rivolsero alle persone giuste, utilizzarono gli appoggi necessari, riuscirono a convincere i loro interlocutori, ed infine ottennero quanto richiedevano. Ma non fu certo per loro una passeggiata, anzi. Ecco la cronistoria di quell'anno straordinario. "Ho portato le carte al Ministero - scrive a mano da Roma Soldani a Manstretta il 23 ottobre 1953 - ma non avevo con me il relativo preventivo di spesa. Occorre calcolarlo subito. Invia quanto prima a Viadana il preventivo di spesa degli impianti e attrezzatura per i formaggi cotti e stagionati. Inoltre rinvia a Viadana lo specchietto delle materie, delle ore del primo e del secondo anno nonché il numero degli insegnanti laureati e diplomati, cioè, in conclusione, del personale che svolge attività nella sezione o Scuola per "esperti casari". Così quando arrivo a casa (il 29 c.m.) avrò la possibilità di fare subito i calcoli; anzi ho dato istruzioni all'economo in modo che possa presentarmi subito gli schemi contabili. Ti ho chiesto il preventivo, come hai notato, anche di quelle spese che dovremmo fare un altro anno. Il funzionario del Ministero prima di dirmi se accoglie o meno la proposta, vuole esaminare le tue carte, il preventivo e, constatata la possibilità di realizzazione, darà il parere, che, in linea di massima, si può dire che sia favorevole. Tuttavia occorre attendere la lettera ufficiale prima di rendere esecutivo il progetto. Ho chiesto che sia fatto tutto con molta premura e mi han risposto: faremo con premura, ci faccia avere i preventivi. Ti saluto cordialmente".


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Studenti impegnati nella produzione del fontal sotto la supervisione del direttore Manstretta e del prof. Spinelli

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Questa lettera conferma che il preside della scuola di Viadana, una volta accordatosi con il direttore dell'Avviamento di Pandino, non perse affatto tempo nel richiedere le necessarie autorizzazioni. Andò subito a Roma per avviare la procedura, che sembrò partire bene. Ma mancava ancora quel benedetto preventivo di spesa, che i dirigenti della Pubblica istruzione volevano assolutamente prima di dare il loro consenso. Manstretta inviò dopo una settimana il documento richiesto. Si scusò del proprio ritardo, motivandolo con la necessità di aver prima voluto "interpellare delle ditte specializzate in installazioni casearie onde evitare spiacevoli sorprese". A suo giudizio il preventivo da lui redatto non era alto, "se si considera il razionale impianto che ne dovrebbe uscire". Sappiamo che la spesa si aggirava sul milione e mezzo di lire circa. Non poco, per quei tempi. Peraltro, come aggiunse Manstretta per indorare un po' la pillola, il Comune di Pandino avrebbe contribuito a pagare buona parte delle attrezzature necessarie. Era vero. Così come era vero che, nel caso il Ministero avesse nicchiato sulla copertura economica della spesa per i laboratori ed il caseificio didattico, lui stesso si sarebbe dato da fare per rintracciare fondi in sede locale. Così preannunciò a Soldani, e così fece infatti qualche tempo dopo, sino ad arrivare a farsi prestare soldi da alcuni maggiorenti di Pandino, con tanto di testimoni a ratificare la transizione finanziaria e l'esattezza delle somme ricevute. Cos'era il vile denaro, quando si trattava di realizzare un sogno? Nella sua lettera Manstretta richiama infine l'attenzione di Soldani sulla necessità di richiedere allo Stato l'istituzione anche di un convitto, dove ospitare gli allievi della scuola: "E per il convitto gratuito non è stato possibile ottenere nulla? Da quanto mi risulta, a Castelfranco Emilia esso funziona regolarmente". 26

Soldani non rispose subito a Manstretta. E quest'ultimo dovette lamentarsi non poco del ritardo da parte del suo interlocutore. Era così tanta la passione che sentiva dentro di sé, che anche un giorno di silenzio gli sembrava una eternità. Il preside di Viadana si difese in modo deciso - ed un po' risentito - dall'accusa di negligenza evidentemente avanzata nei suoi confronti dal direttore pandinese. Il 14 novembre gli scrisse infatti questa dura lettera: "Il silenzio non significa affatto trascuratezza. Ho presente la tua urgenza e sto lavorando attivamente per ottenere quanto desideri; ma occorrerebbe la bacchetta magica che dileguasse la solita nebbia burocratica, sommamente vischiosa. Grossi problemi ho in via di soluzione e tutti fan ressa e tutti son coordinati. Tra questi è la istituzione della Scuola coordinata di Pandino. Attendo di giorno in giorno il consenso ministeriale, dopodiché telegraficamente comunicherò l'esito e verrò. È tuttavia difficile ottenere un altro convitto fuori dalla sede centrale, almeno per ora; è più facile rimborsare le spese di viaggio o di abbonamento. Ti prego di non aver fretta; anche il Comune non ritenga perduto quello che ancora è oggetto di esame. Avendo consolidato recentemente l'intesa col Provveditorato agli Studi e col Sindaco di Cremona, spero che si potranno superare le eventuali difficoltà. (...) Al Ministero consegnai una copia delle tue relazioni facendo presente l'urgenza della decisione. Poiché non allegai il preventivo finanziario della nuova scuola, restarono in attesa di questo preventivo che ho spedito il 7 c.m. Come vedi anche il Ministero non ha torto. Comunicami cosa intendi fare". Sarà proprio questo l'elemento scatenante i non pochi scontri che avvennero in quegli anni tra Soldani e Manstretta: il primo intendeva sempre e comunque seguire le regole formali, rispettando correttamente i tempi, gli accordi, le gerarchie ed i diversi gradi di responsabilità; Manstretta, invece, era per carattere impetuoso e deciso,


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I primi diplomati del 1956

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e non sopportava le pastoie burocratiche. Spinto dal suo modo di fare, che era venato - stando ad alcune testimonianze - anche da un certo autoritarismo di stampo quasi ottocentesco, il direttore dell'Avviamento di Pandino, nonché futuro responsabile della Scuola Casearia, finiva spesso con lo scontrarsi con i suoi interlocutori, anche nel caso - e Soldani di certo lo era - costoro fossero i primi sostenitori delle sue iniziative. Proprio in riferimento a Soldani, occorre fare una importante precisazione circa la sua volontà di dare vita alla nuova scuola professionale di Pandino. Dai riferimenti più o meno espliciti contenuti in alcune lettere di quel periodo, si evince che il preside dell'Istituto professionale di Viadana non escludeva di far partire i corsi per casari già nel gennaio del 1954. Ma a Manstretta questa idea non piaceva troppo. Può sembrare strano, data la fretta che come abbiamo appena ricordato - sempre lo contraddistingueva. Il fatto è che l'ideatore della Casearia temeva che la nuova scuola venisse strutturata sotto forma di semplice corso di addestramento semestrale, a suo parere decisamente riduttivo rispetto al progetto che aveva in mente. Manstretta pensava infatti ad un curricolo scolastico quantomeno biennale, se non addirittura già organizzato sui tre anni. Una scuola seria, insomma, e non un corso che fosse la semplice appendice della scuola di Avviamento, dove già si svolgeva un minimo apprendistato nel settore lattiero-caseario. In questa logica occorre leggere le parole che Manstretta scrisse l'11 dicembre di quell'anno, in risposta alla precedente missiva di Soldani, sopra riportata. Dopo aver ricordato che il contratto dell'acquisto del latte (per la scuola di Avviamento) sarebbe scaduto a maggio, Manstretta aggiunge: "Aprire la scuola per casari a gennaio-febbraio, per chiuderla poi a maggio, significherebbe avere a disposizione solo pochi mesi per le lezioni, il che, 28

mi pare, pregiudicherebbe il buon esito degli studi". Ma allora perché Alfredo Manstretta continuava a fare fretta a Soldani? Per avere la possibilità, una volta avuta finalmente la certezza della autorizzazione all'apertura della scuola per l'anno scolastico 1954-1955, di ricercare in un lasso di tempo adeguato sia gli insegnanti che, soprattutto, gli allievi. Relativamente ai docenti Manstretta aveva già delle idee precise; ma per quanto riguardava l'adesione o meno di nuovi studenti alla inedita scuola professionale - di fatto, con quella tipologia, la prima in assoluto in Italia la scommessa era del tutto aperta. L'istituto avrebbe avuto un numero sufficiente di iscrizioni? La Casearia sarebbe stata in grado di coinvolgere gli allievi che uscivano dall'Avviamento? Manstretta sapeva bene che il nuovo istituto professionale di Pandino, dato il taglio curricolare decisamente specialistico, avrebbe avuto bisogno di riferirsi ad un bacino di utenza molto più ampio di quanto normalmente sarebbe servito ad un professionale qualsiasi. Occorreva dunque un grande impegno e, soprattutto, parecchio tempo per organizzare bene la ricerca dei possibili allievi: ecco perché Manstretta pressava Soldani circa l'autorizzazione ufficiale del Ministero per l'istituzione della Casearia. "Ho già richiesto gli elenchi dei licenziati dell'avviamento di numerose scuole circonvicine, cui inviare un invito personale per l'iscrizione alla nostra Scuola per casari. Ho anche preventivato un vasto piano di propaganda, murale, sui giornali ed alla radio, ma un ulteriore ritardo mi impedirebbe di poter aprire la Scuola", precisa, un po' preoccupato, come si vede, ancora nella lettera dell'11 dicembre. Il fatto è che il preside Soldani non aveva in mente solo la Casearia di Pandino. Di fatto intendeva strutturare nuovi corsi professionali sia a Viadana che in altre sedi distaccate. Il suo era un progetto ambizioso, in cui certamente rientrava anche la scuola ideata da Manstretta,


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Anno scolastico 1958-’59: gruppo di studenti delle classi 1ª e 2ª 29


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Triturazione del ghiaccio per la produzione del burro 30


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Porzionatura del burro con macchina panettatrice 31


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Pulitura delle forme di grana

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Il magazzino per la stagionatura del grana 33


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senza però che questa potesse esaurire tutte le sue intenzioni. Lo capiamo bene leggendo la lettera da lui scritta proprio nello stesso giorno, di quel mese di dicembre del 1953, in cui il direttore pandinese aveva vergato le parole sopra riportate: "Non sono meno preoccupato di te per quanto riguarda non solo l'approvazione della Scuola di Pandino, ma addirittura il governo generale dell'istituto: con l'Ufficio centrale che non risponde alle lettere, e poi chiede entro 10 giorni l'invio del preventivo, munito di dettagliata relazione, senza far cenno alle richieste dell'Istituto ed indicando una somma massima che non è sufficiente. Passo momenti di tensione e di incertezza; ecco perché non ho potuto dare il via alla tua bella iniziativa che certo, dal punto di vista tecnico, ha più importanza di una scuola ad insegnamento globale. Anziché venire costà, penso di andare al Ministero prima di Natale. Da te verrò, speriamo, con buone nuove, dopo. Tengo la tua lettera nella cartella delle urgenze, nella fiduciosa attesa di dare a me ed a te meritate soddisfazioni".

Buone notizie Soldani si recò poi davvero a Roma, per la seconda volta quindi, ed il buon esito della sua missione venne comunicato a Manstretta in questa lettera del 9 gennaio 1954: "Andai al Ministero della P.I. nei giorni che precedevano il Natale per superare difficoltà finanziarie ed avere assicurazioni circa l'esito di varie pratiche importanti. Se alle assicurazioni verbali seguiranno i fatti, la visita è stata fruttuosa. Ho parlato della Scuola di caseificio di Pandino come se già funzionasse e nel preventivo che tra breve avrà la sua conclusione e che subito sarà sottoposto all'approvazione ministeriale, è stato incluso il finanziamento della suddetta scuola. Ho notato che l'atmosfera è cambiata e una ventata di simpatia avvolge l'Istituto; ma per avere i danari occorre superare difficoltà notevoli. (...) Se non è possibile iniziare que34

st'anno il corso, lo prepareremo bene per l'anno venturo. Se il Ministero non potrà arrivare a tutto, vedremo che cosa può fare il Comune di Pandino. In Emilia, tutti i comuni che ospitano una scuola dell'istituto, contribuiscono al funzionamento con un adeguato finanziamento". Manstretta sapeva benissimo che, per poter aprire la Casearia, l'aiuto del Comune di Pandino sarebbe stato assolutamente necessario. Certo, avrebbe potuto utilizzare - come infatti poi fece - alcuni spazi della sua scuola di Avviamento per far posto al nuovo professionale, ma rimanevano sempre sul tappeto alcuni problemi fondamentali. Si trattava non solo di trovare i soldi per le costose attrezzature, ma anche di reperire i non pochi locali necessari per allestire il caseificio didattico. E poi occorreva risolvere il nodo cruciale del convitto. Gli allievi sarebbero venuti anche da lontano e sarebbero stati impegnati a scuola dalla mattina presto alla sera tardi, per quasi tutti i giorni dell'anno: era necessario dunque che avessero un luogo dove poter dormire, mangiare e studiare. E occorreva pagare almeno una persona che li sorvegliasse. Insomma, la nuova scuola professionale, per poter partire e poi funzionare bene, aveva bisogno di parecchi interventi, non solo finanziari. Ed il Ministero - Manstretta lo sapeva ancor prima che glielo avesse ricordato Soldani non sarebbe potuto arrivare a risolvere tutto. Occorreva dunque cercare la fattiva collaborazione dell'amministrazione comunale Pandinese. Il direttore dell'Avviamento non si perse certo d'animo, ed iniziò a corteggiare insistentemente il sindaco del paese, Costantino Nevicati e, soprattutto, il segretario Ruggero Gallo, vera eminenza grigia dell'amministrazione locale. Dal Comune ottenne innanzitutto l'autorizzazione ad utilizzare in parte alcuni locali sia dell'Avviamento che della scuola elementare per il nuovo Istituto professionale e per il convitto, nonché la promessa di un sostanzioso contributo finanziario per l'acquisto delle attrezzature.


LA Sappiamo da alcuni testimoni del tempo che la maggioranza dei consiglieri comunali di Pandino non era molto d'accordo circa l'apertura di una nuova scuola. Gli amministratori temevano eccessive spese per le non troppo floride casse del Comune. Se il segretario Gallo parteggiava per la Casearia, lo stesso Nevicati era inizialmente invece parecchio perplesso. Ma il temperamento deciso e l'entusiasmo di Alfredo Manstretta riuscirono infine a contagiarlo. Nel frattempo però le settimane scorrevano velocissime, si era ormai già a marzo, e nessuna nuova buona veniva da parte di Soldani. L'accordo raggiunto con il sindaco di Pandino rischiava di rivelarsi inutile. Il direttore pandinese, nuovamente assai preoccupato, scrisse ancora al preside di Viadana per sollecitare notizie, inviandogli peraltro una lettera caratterizzata da un tono insolitamente un po' dimesso, addirittura quasi rinunciatario nella parte finale. "Diversi alunni licenziandi di questa scuola (di Avviamento, ndr) desiderano sapere se, per il prossimo anno scolastico, si aprirà, in questa sede, la sezione specializzata in Caseificio, dipendente da codesto Istituto. È evidente che, per poter dare una precisa risposta agli interessati, mi occorre un impegno tassativo da parte di codesto istituto, anche per poter procedere a far eseguire, nei prossimi mesi, le opere murarie per l'allestimento del caseificio per i formaggi a pasta dura e per il frigo. (...) È evidente che senza conoscere preventivamente su quale somma io possa contare, non mi potrò impegnare a far iniziare i lavori sopraccennati (che si dovrebbero iniziare nel mese di giugno). Vedi tu cosa si può fare e, qualora non esista una chiara possibilità di iniziare la sezione per casari, oppure esistano impedimenti tali da protrarne l'inizio a dopo il 1° ottobre p.v., ti prego di comunicarmelo senza reticenze. Anch'io devo regolarmi, anche per desiderio delle Autorità comunali. Ti ringrazio e ti prego di scusarmi per il disturbo che ti arreco".

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"Ti prego di scusarmi per il disturbo che ti arreco". Nessuno di quelli che conobbero Manstretta - e neppure noi, che ci siamo fatti un'idea abbastanza precisa del suo carattere attraverso l'ascolto delle testimonianze orali e l'analisi dei suoi documenti scritti - potrebbe facilmente attribuire queste parole al direttore pandinese. Manstretta che chiede di essere perdonato? Manstretta che definisce "disturbo" la sua richiesta di istituire una nuova scuola? Non parrebbe possibile. Lui che sempre fu inflessibile, a volte persino quasi arrogante, nei suoi atteggiamenti! Ed invece è così. C'è proprio la sua firma apposta in calce a quel foglio ormai ingiallito - protocollo n. 517 del 16 marzo 1954 - che contiene questa lettera. L'episodio ci aiuta a riflettere, e a meglio capire, quanto sia stato davvero impegnativo, e oltremodo difficile, anche per un uomo davvero deciso come lui, dare vita alla Casearia. Le preoccupazioni, le insidie, e - ora lo sappiamo - anche i momenti di grande scoraggiamento, devono essere stati davvero tanti. Soprattutto in quella lontana primavera del '54. Arrivò infatti la fine di marzo e trascorse anche il mese di aprile senza che Manstretta ricevesse le notizie che così ansiosamente aspettava. Solo a metà maggio, esattamente il giorno 18, Leone Soldani tornò a farsi vivo, con una breve ma significativa comunicazione personale: un semplice biglietto contenente però una splendida notizia. "Finalmente è giunto il preventivo approvato. Se non fossi stato uomo di poca fede, avrei indovinato ad iniziare il corso in novembre; infatti mi hanno finanziato la Scuola come se funzionasse già. Ma chi si sarebbe azzardato? Ora invece so che la scuola di Pandino è stata approvata e quindi per un altro anno siamo sicuri che possiamo tranquillamente cominciare. Appena mi è possibile vengo a trovarti". Erano le parole che Alfredo Manstretta aspettava da tanto tempo. Lo Stato avrebbe ufficialmente finanziato il nuovo 35


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Lezione in classe

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Lo studio in convitto

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Istituto professionale per esperti casari! Addirittura le somme assegnate risultavano maggiori di quelle richieste, e dunque - come sottolinea quasi incredulo Soldani, accennando peraltro, almeno per una volta, al suo modo di fare sempre eccessivamente prudente - i corsi della Casearia avrebbero potuto iniziare già alla fine dell'autunno del '53. Incredibile, ma vero. Il 10 giugno il preside dell'istituto professionale per l'agricoltura di Viadana sentì l'esigenza di mandare a Pandino una comunicazione più estesa circa l'avvenuta approvazione ministeriale della Casearia. Il tono della lettera, come si noterà, è oltremodo ufficiale. "Facendo seguito alla precedente comunicazione, pregiomi significare che la Direzione generale tecnica del Superiore Ministero della P.I., con lettera n.783 del 6 maggio 1954, approvando il bilancio dell'istituto professionale, ha approvato sia l'istituzione ed il finanziamento della Scuola di qualificazione per Esperti Casari, da effettuarsi presso codesta scuola di Avviamento, sia il preventivo degli impianti del caseificio per lire 1.660.000. Questi impianti saranno eseguiti nei locali della predetta scuola di Avviamento, all'uopo predisposti dal Comune di Pandino. Con questo provvedimento, i licenziati di codesta Scuola che desiderano specializzarsi nel ramo caseario, frequentando nella stessa sede la Scuola per esperti casari di questo Istituto, costì funzionante, vengono ad essere agevolati in modo singolare. Anche i licenziati di altre scuole di Avviamento avranno modo di approfittare di questa utilissima istituzione, alla quale, previo corso preparatorio o corso integrativo, frequentato con profitto, potranno altresì accedere coloro che non sono in possesso di licenza di Scuola secondaria. Ciò è nello spirito delle direttive Ministeriali e del funzionamento dell'istituto professionale, creato per la elevazione professionale e sociale di coloro che si dedicano alle attività pratiche". 38

Ecco il Leone Soldani compiaciuto, e un po' retorico, dei tempi migliori. Il Preside che incarna mirabilmente le direttive ministeriali e riesce a raggiungere positivamente, attraverso un lavoro burocraticamente ineccepibile ma anche di certosina pazienza, gli obiettivi che si era dati. Tra i quali l'istituzione della sede coordinata di Pandino, ad indirizzo caseario, del suo Istituto professionale di Viadana. È peraltro interessante osservare che - come poi di fatto accadrà in seguito - gli alunni della futura scuola potranno avere età molto diverse: accanto ai neo-diplomati di scuola secondaria si troveranno anche ragazzi più vecchi, dell'età di vent'anni o più, sia apprendisti e lavoratori senza licenza media che - e sarà questo il caso più frequente, almeno sino agli anni '70 - giovani operai generici desiderosi di ottenere una importante specializzazione che potesse migliorare la propria condizione salariale e, di conseguenza, anche sociale. Non appena ricevuta la comunicazione ufficiale da parte di Soldani, Manstretta decise di mettere in qualche modo alle strette l'allora Provveditore agli studi di Cremona, di cui - con giusta intuizione, come ebbe modo più tardi di constatare con amarezza - non si fidava completamente. Lo fece scrivendogli lui stesso una lettera e facendogliene recapitare per conoscenza un'altra, a firma del sindaco Nevicati, e da questi inviata al Commissario governativo, prof. Alberto Orefice. Una duplice mossa per far giungere al Provveditore un chiaro messaggio: la Casearia è stata autorizzata, dunque la Casearia si dovrà fare. E che nessuno tenti di ostacolarla. Nella sua missiva il direttore pandinese, dopo aver citato i principali punti della comunicazione ufficiale ricevuta da Soldani (l'istituzione ministeriale della nuova scuola, il pagamento da parte dello Stato di tutte le spese


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per il funzionamento, il contributo straordinario, sempre da parte dello Stato, per l'acquisto dei macchinari destinati al caseificio didattico), e dopo aver ricordato che il Comune di Pandino avrebbe provveduto alle relative spese murarie costruendo gli appositi locali ed utilizzando all'uopo il porticato della scuola di Avviamento, sottolinea che "indubbiamente la nuova istituzione, che si prefigge lo scopo di preparare idonee maestranze qualificate e specializzate nel settore caseario, risponde ad una esigenza sentitissima nella zona, sia dai lavoratori quanto dagli stessi industriali del latte". A proposito di quest'ultimi, Manstretta aggiunge con un po' di voluta enfasi che da costoro "che detengono nel pandinasco o nelle immediate vicinanze fortissimi complessi aziendali, ho avuto già sin d'ora entusiastiche assicurazioni di aiuto, anche per l'assunzione dei licenziati della istituenda scuola Professionale". Alfredo Manstretta allora poteva senz'altro auspicarlo, ma non certo saperlo con sicurezza: di fatto, però, la possibilità per i giovani diplomati della Casearia di venire subito assunti da industrie del settore - con buoni salari iniziali e con la possibilità di fare ottime carriere sarà davvero, per 50 anni, la caratteristica principale di questa scuola, per molti versi unica nel panorama scolastico italiano. La lettera del sindaco di Pandino, Costantino Nevicati, al commissario governativo Alberto Orefice (che aveva dato il suo nulla osta alla apertura della scuola), datata 12 giugno e inviata (come detto) nello stesso giorno da Manstretta in copia al Provveditore, altro non è che un breve scritto di riconoscenza per l'istituzione della nuova scuola professionale. Comunque il "vivo ringraziamento personale e quello degli Amministratori di questo Comune", espresso da Nevicati, avrebbe potuto ulteriormente rafforzare nel Provveditore la convinzione che il nuovo istituto pandinese sarebbe senz'altro 40

dovuto partire. Almeno così sperava Alfredo Manstretta. Il quale, con felice intuizione mediatica, non perse tempo nell'avvisare giornali e radio dell'avvenuta autorizzazione all'apertura della nuova scuola Casearia. Fioccarono così articoli e comunicati entusiastici sia a livello provinciale che regionale.

Sembra fatta, ma ... Nella nostra ricostruzione dell'anno che precedette l'apertura della scuola Casearia di Pandino, siamo dunque arrivati a soli tre mesi da quel fatidico 1° ottobre 1954. Proviamo a fare il punto della situazione, tenendo presente quegli elementi, necessari a far nascere e poi a far funzionare una nuova scuola, di cui abbiamo scritto qualche pagina fa. Un nuovo Istituto può nascere se l'ambito scolastico di competenza è previsto e riconosciuto ufficialmente dal Ministero. La Casearia, benché di nuovissima ideazione, poteva rientrare a pieno titolo in quegli istituti professionali che erano stati previsti dalla Riforma e che lo Stato stava aprendo sul territorio nazionale proprio in quegli anni. Alfredo Manstretta aveva ideato, insieme agli insegnanti che era riuscito a reclutare tra la primavera e l'estate di quel '54, il curricolo specifico della scuola, ovvero le materie di studio e la loro scansione oraria. L'offerta formativa, come si dice oggi, insomma c'era. Così come c'erano i locali necessari: in parte presi a prestito dalla scuola di Avviamento, in parte ricavati dal Comune, attraverso appositi lavori di ristrutturazione, in edifici adiacenti già esistenti, come le scuole elementari nonché una vecchia colonia elioterapica abbandonata da anni. La Casearia disponeva dei macchinari e delle attrezzature necessarie sia per il caseificio didattico che per il laboratorio di analisi. Aveva un suo punto di riferimento amministrativo e scolastico ufficiale nell'Istituto professionale


LA di Stato per l'agricoltura di Viadana e nel suo preside Leone Soldani (Manstretta sarebbe divenuto il direttore della sede associata pandinese). Dal mese di maggio possedeva inoltre l'autorizzazione, altrettanto ufficiale, all'apertura della Scuola da parte del direttore generale all'Istruzione tecnica di Roma. Il personale amministrativo era già stato nominato; gli studenti erano già stati reperiti in numero più che sufficiente (Manstretta, al riguardo, scrisse poi - non sappiamo con quale fondamento di verità - che, per problemi logistici, aveva dovuto rifiutare parecchie altre preiscrizioni). Insomma, a tre mesi dall'inizio delle lezioni, sembrava che nulla potesse ostacolare l'apertura della Scuola e tutto pareva pronto per l'inaugurazione ufficiale. Sembrava, ma non era così. Alla riuscita dell'operazione mancava infatti ancora un elemento apparentemente piccolo ma in realtà maledettamente importante: l'impegnativa di spesa del Ministero per l'acquisto del latte necessario alle lavorazioni del caseificio. Senza il latte gli allievi non avrebbero certo potuto produrre i formaggi nel caseificio didattico. Visto che nessuna latteria avrebbe mai regalato il prezioso liquido alimentare alla scuola casearia, occorrevano dunque i soldi per prenotarlo per un congruo limite di tempo. Tanti soldi: 7 milioni di lire. Alfredo Manstretta se ne accorse all'inizio di luglio. E mosse subito le sue pedine per rimediare a quello che temeva (giustamente) potesse diventare un problema insormontabile. La richiesta di finanziamento era stata avanzata in tempo utile al Ministero della Pubblica istruzione, ma la pratica sembrava essersi pericolosamente arenata nella "nebbia burocratica" di Roma. In mancanza di rapidi riscontri, si rischiava seriamente di dover procrastinare l'apertura della scuola addirittura all'anno successivo. Manstretta non poteva permetterlo.

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Innanzitutto convinse il sindaco di Pandino a scrivere una accorata lettera a Soldani. Eccola: "Lei ben sa, signor Preside, a quali gravosi impegni ha dovuto sottostare questa Amministrazione comunale per provvedere degnamente alle necessità della nuova scuola (i lavori per la costruzione del caseificio sono in corso di svolgimento) ed è altrettanto al corrente di quanto sia sentita e necessaria una scuola ad indirizzo caseario, con finalità professionali, nella zone di Pandino. La prego pertanto, signor Preside, di volersi rendere interprete di questa mia viva preoccupazione, che rispecchia esattamente quella della popolazione che rappresento, presso il Ministero della Pubblica Istruzione, affinché i fondi necessari per la gestione del caseificio siano tempestivamente messi a disposizione della Scuola".

L’onorevole Lodovico Benvenuti si congratula col neodiplomato Pierangelo Renzi 41


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Poi Manstretta stese di suo pugno una comunicazione per l'onorevole Ludovico Benvenuti, sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, il quale, nella sua qualità di deputato cremasco, si era già precedentemente interessato a Roma proprio al fine di far stanziare i fondi per pagare il latte per l'istituto pandinese. Manstretta sollecitò nuovamente, con grande decisione e fermezza, un suo secondo e risolutivo intervento presso il Direttore generale all'istruzione tecnica, Mario Pantaleo, che era peraltro l'ideatore ed il patrocinatore degli istituti professionali. "Non aprire la Scuola - ricorda Manstretta a Benvenuti sarebbe una vera calamità per Pandino. A parte il fatto che questo Comune, con uno sforzo finanziario notevole, ha provveduto alla costruzione del caseificio didattico e che lo stesso Ministero vi ha installato tutti i macchinari necessari, si porrebbe la Direzione della scuola in gravi difficoltà verso le famiglie perché si sono iniziate le iscrizioni degli allievi. Anzi le iscrizioni stesse si sono già dovute chiudere in questi giorni perché erano troppi gli allievi che volevano frequentare la scuola". Non contento di aver "tirato la giacca" all'onorevole cremasco, il direttore dell'Avviamento di Pandino spedì il 9 di luglio un'articolata comunicazione anche al preside di Viadana. Nella missiva, dopo aver puntigliosamente ricordato tutte le iniziative già intraprese per mettere in piedi la Casearia (le stesse iniziative da noi sopra citate), Manstretta solletica l'orgoglio di Soldani rammentandogli che "sarebbe un gravissimo scacco per la sede centrale dell'istituto non poter aprire la scuola". Gli ricorda anche che l'anticipo di 7 milioni di lire per l'acquisto del latte sarebbe stato rimborsato gradualmente dalla scuola, attraverso il probabile utile di gestione della Casearia, visto che la vendita dei formaggi, prodotti gratuitamente dagli allievi, avrebbe più che compensato le spese di produzione e di gestione. Non sappiamo come si mossero l'on. Benvenuti e il 42

preside Soldani: certo qualcosa tentarono a livello ministeriale. Ma si era in estate, ed i principali dirigenti romani erano in ferie. E c'è da credere che le forze contrarie alla istituzione della Casearia di Pandino abbiano fatto sentire in qualche modo la loro influenza. Nei rimanenti giorni di luglio e per tutto il mese di agosto nessuna comunicazione pervenne alla scuola da parte del Ministero.

Il colpo di mano Trascorsero invano anche le prime tre settimane di settembre. Ormai mancavano solo otto giorni alla ipotizzata apertura ufficiale della scuola. Non è difficile immaginare quale carico di tensione e di amarezza incombesse in quel periodo su Soldani e, soprattutto, su Alfredo Manstretta. Il 25 settembre arrivò a Pandino questa lettera: "Poiché finora da parte del Superiore Ministero non mi è stata resa nota la necessaria autorizzazione per il funzionamento della Sezione di scuola professionale casearia, che sembrava potesse sorgere a Pandino sin dall'imminente anno scolastico, comunico che pertanto la sezione stessa non potrà funzionare per l'anno scolastico 1954/55. La S.V. soprassieda per ora dalle iscrizioni, facendo presente al sindaco che in attesa che la questione, come si spera, possa essere in futuro favorevolmente definita, intanto gli eventuali locali già disponibili potranno proficuamente essere utilizzati da codesta scuola di Avviamento oppure dalla scuola elementare. Firmato: il provveditore agli studi, Mario Santoro". Un vero e proprio colpo di grazia per la Casearia. A questo punto chiunque si sarebbe arreso. Ma Manstretta non era certamente un uomo qualunque. Decise di agire in tre direzioni diverse. Innanzitutto mandò due lettere. La prima al Provveditore: una missiva tanto rispettosa nella forma ("Assicuro che mi atterrò scrupolosamente


LA all'ordine impartitomi"), quanto aggressiva nella sostanza ("Desidero però osservare, onde evitare spiacevoli malintesi, che mi sono occupato dell'organizzazione della nuova Scuola per espresso desiderio delle autorità comunali locali, ma non prima di aver ottenuto il consenso verbale della Signoria Vostra"). Inviò la seconda lettera a Soldani, ed in essa arrivò a dirsi pronto a mettersi da parte ("Potresti anche risolvere la questione affidando ad altra persona l'incarico della Direzione"), pur di favorire la scuola. Poi andò dal sindaco Nevicati e lo convinse a recarsi il più presto possibile a Roma, per tentare di convincere il Ministro alla Pubblica Istruzione ad intervenire contro la decisione del Provveditore. Infine fece quello che nessun altro dirigente scolastico, al suo posto, avrebbe mai fatto. Non fece più nulla. Nel senso che non cambiò di una virgola il suo programma. Sei giorni dopo, il 1° ottobre 1954, con un vero e proprio colpo di mano, diede infatti inizio alle lezioni della Casearia, come se l'ordine del Provveditore non fosse mai giunto.

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Gli allievi entrarono in classe, seguirono le lezioni impartite dagli insegnanti, lavorarono nel caseificio didattico, mangiarono nella mensa, studiarono e poi dormirono nelle stanze adibite a convitto. Tutto il personale (impiegata, docenti, bidelli, istitutore e direttore) svolse le proprie funzioni. Manstretta non informò del fatto né il provveditore né tantomeno Soldani: il primo lo avrebbe fatto cacciare dai ranghi degli impiegati statali, al secondo sarebbe venuto certamente un colpo. Il 14 ottobre (sostengono alcuni testimoni, ma a noi risulta l’8 dello stesso mese, comunque sempre dopo il reale inizio delle lezioni), a due settimane dall'apertura clandestina della scuola, arrivò finalmente un telegramma da Roma: in esso si autorizzava ufficialmente e definitivamente l'apertura del nuovo Istituto Professionale per Esperti Casari di Pandino, poiché i fondi per l'acquisto del latte erano stati sbloccati. Nevicati aveva portato a buon termine la sua missione. Alfredo Manstretta aveva vinto. Era nata la Casearia.

Produzione di pasta filata 43


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Dalla nascita ad oggi Sul filo del rasoio "Nel pomeriggio del giorno 23 ottobre u.s. il nostro Paese ha saputo vivere ore di grande festa e di imponente solennità. Alla presenza delle più alte Autorità della Provincia infatti - è stata ufficialmente inaugurata la Scuola Professionale Statale Casearia. Presenziarono alla manifestazione Sua Ecc. Mons. Danio Bolognini, Sua Ecc. il Sen. Avv. Ennio Zelioli Lanzini quale rappresentante ufficiale del Governo, l'on. Lodovico Benvenuti, il dottor Fornari in rappresentanza del Ministero della Pubblica Istruzione, il dottor Cappelli in rappresentanza del Prefetto della Provincia, l'avvocato Guido Crivelli vicepresidente della Deputazione Provinciale, il Vice Questore comm. Berberisi, il prof. Ugo Palmieri che rappresentava il Provveditore agli Studi della Provincia ed altre numerose autorità provinciali e cremasche e parecchi Sindaci ed industriali della zona". Con queste parole enfatiche, dalle molte maiuscole, il maestro Alberto Biraghi presentò sul numero di novembre 1995 de "La nostra voce" ("Periodico educativo e di informazione di Pandino - redatto a cura della Scuola di Avviamento e Casearia") l'avvenuta consacrazione ufficiale del nuovo Istituto professionale di Pandino. Poco più di un anno dopo l'effettivo inizio delle attività didattiche! Il che la dice lunga sul grado di precarietà con il quale dovette convivere la Casearia nei suoi primi dodici mesi di vita. Precarietà della quale Alfredo Manstretta si dovette rendere ben conto, visto che più volte - per esempio nel salutare, a fine ottobre '54, gli allievi che si apprestavano a tornare a casa per le festività dei Santi e dei Morti - parlò pubblicamente della possibile improvvisa chiusura della scuola. 44

A quanto ci risulta, nessuna autorità fu informata del colpo di mano con il quale il direttore della scuola aveva dato il via alle lezioni prima ancora di ricevere l'autorizzazione ufficiale da Roma, però è certo che il nuovo, atipico, Istituto professionale per esperti casari dovette vivere sul filo del rasoio. E non solo quel primo anno. Perché se è vero che il gruppo degli insegnanti era decisamente di alta qualità, e che gli iscritti non mancavano, e che le strutture logistiche e tecniche erano comunque state messe, bene o male, a disposizione, è altrettanto vero che la Casearia soffriva di parecchi problemi. Ma andiamo con ordine.

Il prof. Paolo Renko con alcuni studenti


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Sotto la direzione e la costante (nonché un po' arcigna) sorveglianza di Manstretta, in quei primi anni il corpo docente era così formato: don Raffaele Cordani (religione), Vittorio Generali (cultura civica), Isidoro Politi (chimica generale e casearia), Paolo Renko (microbiologia), Tino Oirav (matematica, igiene, contabilità macchine, legislazione), Roberto Franchini (chimica analitica), Giuseppe Imberti (educazione fisica), Cesare Ghitti (tecnologia casearia). A costoro bisogna aggiungere i tecnici di caseificio, per le fondamentali esercitazioni pratiche, Giovanni Spinelli e Aristide Melegari, nonché il casaro Nerino Fregni. In segreteria vi era Carla Marenghi; il pensionato era diretto da don Cordani; il personale di servizio consisteva nel bidello Luciano Marzagalli. Come abbiamo già avuto modo di dire, e come si evidenzierà ulteriormente dalle testimonianze riportate in altra parte di questo libro, il corpo docente messo insieme da Alfredo Manstretta era, benché di provenienza eterogenea, di tutto rispetto. Grazie a nomi quali Renko, Politi, Ghitti, la giovane scuola pandinese riuscì da subito a presentarsi sulla scena scolastica lombarda con un profilo davvero alto. Per mantenere il quale Manstretta richiese (ed ottenne) dai suoi insegnanti il massimo rigore nel momento della valutazione degli allievi. Tre dei quali, infatti, vennero bocciati alla fine del primo anno scolastico, e ancora due al termine del biennio di studi. Gli altri tre studenti che si ritirarono dalla scuola già dopo poche settimane di lezione, nell'autunno del 1954, sono invece indicativi dell'enorme carico di lavoro che la Casearia richiedeva allora (e che richiese in pratica poi per altri 40 anni circa) ai suoi allievi. Imparare il mestiere di casaro non è stato mai davvero uno scherzo, a Pandino. Gli studenti erano divisi in squadre, che ruotavano a turni sia nel caseificio che nel laboratorio didattico. Dalla mattina alla sera tardi, per 330 giorni l'anno, sabato e domenica compresi. Nei primi due anni di vita della scuo46

la, inoltre, gli allievi si recarono in aziende esterne per ricevere il latte ed iniziare a lavorarlo. Per poter far questo si alzavano alle quattro di mattina. Poi vennero abbandonati i caseifici esterni e si lavorò sempre in quello didattico della scuola. Non che gli orari prescolastici del mattino fossero poi tanto cambiati in meglio (alle 5 ricevimento del latte, poi i rivoltamenti e la pulizia dei formaggi prima della colazione), ma almeno gli studenti poterono risparmiarsi i disagi del viaggio a piedi o in bicicletta verso caseifici anche lontani. La mattina, poi, si seguivano le lezioni teoriche a scuola; il pomeriggio - sempre a turni - si andava ancora in caseificio o in laboratorio. Dopo cena vi erano nuovamente i rivoltamenti. Una vita davvero molto dura, quindi, per gli allievi della Casearia. I quali furono oltretutto sottoposti, almeno sino a tutti gli anni '80, ad una disciplina particolarmente rigida e severa: turni di pulizia del caseificio e delle attrezzature, rigoroso ordine nel vestiario, comportamento inappuntabile sia a scuola che in convitto. In caso di infrazione fioccavano le punizioni; e bastava la sospensione per qualche giorno e il povero studente, privato della possibilità di rimanere in convitto, si trovava quasi costretto ad abbandonare gli studi. "Troppo rigore", direbbero oggi in molti. Ma a sentire sia gli insegnanti che gli studenti di allora, quel rigore ha forgiato, per tanti anni, uomini dal forte carattere e dalla grande volontà. Due caratteristiche che hanno permesso a quasi tutti loro di raggiungere poi posti di prestigio e tanta considerazione nei luoghi di lavoro. Ma occorre peraltro ricordare che gli abbandoni degli studenti e le bocciature sono state sempre elevate. Il convitto: ecco uno dei punti dolenti della prima Casearia. In realtà, sino al 1° di ottobre del 1965, si trattò di un pensionato messo in piedi con mezzi di fortuna. Solo dopo il riconoscimento ufficiale da parte dello Stato e, soprattutto, con il trasferimento degli studenti nei loca-


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Vincenzo Bozzetti, Giancarlo Piccardo, Franco Giani in pellegrinaggio a piedi al Santuario di Caravaggio per aver ottenuto la promozione nonostante il “6� in condotta 47


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li ristrutturati in Castello - trasferimento avvenuto nell'ottobre del 1966 - si poté parlare di un convitto vero e proprio. Per dodici anni, invece, gli studenti della Casearia, obbligati dai turni nel caseificio a rimanere a dormire e a mangiare a Pandino, furono costretti a subire soluzioni di fortuna, spesso al limite (se non sotto) il livello di decenza. Dopo il primo anno trascorso, la notte, a dormire negli spogliatoi della palestra elementare - con i letti a castello collocati in spazi decisamente angusti - i convittori erano stati trasferiti in un'ala del Castello. Ed è qui che avvenne l'episodio raccontato dalla signora Marmilia Gatti Galasi nella sua testimonianza: quello di un topo che morse un ragazzo mentre dormiva. Il Castello, allora, non era ancora stato ristrutturato, e lo stanzone riservato ai convittori era, oltre che umido, sporco e cadente, infestato da topi e pipistrelli. A causa di quella situazione la Casearia rischiò seriamente di essere chiusa. Perché il provveditore, che già aveva mal digerito la nascita della scuola pandinese (avete notato la sua assenza nell'elenco delle autorità presenti alla inaugurazione ufficiale dell'istituto?), voleva cogliere l'occasione per dimostrare che quel convitto era invivibile e che quindi andava soppresso. Sapendo benissimo che la chiusura del convitto avrebbe comportato, inevitabilmente, anche la fine della scuola. Venne in aiuto dell'Istituto professionale proprio la signora Gatti Galasi, la quale, nella sua qualità di Direttrice delle scuole elementari, offrì la palestra della sua scuola (non più gli spogliatoi, ovviamente) come luogo dove collocare il nuovo, e più confortevole, dormitorio per gli studenti della Casearia. Che così fu salva.

L’addio di Manstretta Ma in quella occasione la scuola perse, proditoriamente, il suo direttore. Fu infatti in quell'anno che Manstretta - già certamente fiaccato dai mille problemi che compor48

tava la gestione di una scuola così difficile e complessa arrivò ai ferri corti con il Provveditore e, dopo l'ennesimo violento scontro verbale, decise di abbandonare improvvisamente e per sempre sia la direzione della Casearia che quella dell'Avviamento. Fuggì via da Pandino, colmo di amarezza e poi, successivamente, di rimpianto. Ma non vi volle più tornare. Era la primavera del 1961. Per strana coincidenza, il suo abbandono accadde proprio pochi mesi prima che la scuola passasse ufficialmente sotto il coordinamento del neonato Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura di Cremona. Il che comportò il distacco forzato dalla scuola di Viadana e, soprattutto, dal preside Leone Soldani. E così, proprio come insieme l'avevano costruita, allo stesso modo i due "padri fondatori", Manstretta e Soldani, lasciarono insieme la Casearia. Gli Dei, avrebbero detto gli antichi, avevano voluto così. E pensare che Alfredo Manstretta, proprio pochi mesi prima di abbandonare Pandino, aveva ottenuto di trasformare il corso di studi della Casearia da biennale in triennale (il terzo anno, dopo la qualifica, era di pertinenza regionale, e non ancora statale). La sua comunicazione ufficiale agli allievi e alle loro famiglie è datata 7 maggio 1960: l'ordinamento triennale sarebbe iniziato il successivo 1° di ottobre. Si era così realizzata quella che potremmo definire la "seconda parte" del suo sogno. Sin dalla fondazione della scuola (la prima parte del sogno), l'intraprendente direttore - sia nei colloqui con i suoi collaboratori che nelle lettere da lui redatte - aveva infatti più volte esplicitamente auspicato la nascita del corso triennale, a suo giudizio decisamente più completo e qualificato rispetto a quello biennale. Il caso volle poi che, quando nel 1963 uscirono i primi qualificati del corso triennale, il fondatore nonché il primo direttore della Casearia non fosse più a Pandino per festeggiarli.


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Lo studio in convitto.

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La "terza parte" del sogno di Manstretta riguardava la trasformazione ulteriore della scuola in una struttura curricolare quinquennale, formata da un triennio di qualifica, dopo il quale ci sarebbe dovuto essere un biennio di specializzazione, sempre in ambito strettamente caseario. Una clamorosa anticipazione, per alcuni aspetti, della riforma attuata poi alla metà degli anni '90, oltre trent'anni dopo Manstretta! Il quale coltivava nel proprio animo un’ulteriore evoluzione del suo sogno: portare a Pandino un corso di studi dell'Università di Milano. Contando sul prestigio e sull'influenza dei suoi insegnanti più conosciuti anche in ambito universitario (Renko, Politi e Ghitti), il direttore dell'istituto professionale voleva convincere il rettore della facoltà di Agraria a realizzare presso la Casearia un corso di specializzazione post diploma. "La scuola - aveva già profeticamente scritto nel 1965 - secondo come noi la vediamo proiettarsi nel futuro, dovrebbe diventare perfetta dal lato professionale e dovrebbe essere plasmata come un centro nazionale di studi sul latte e sui latticini. (...) Può anche darsi il caso che la nostra passione per la Scuola ci ottenebri la vista e ci nasconda il senso pratico delle cose, però noi abbiamo fiducia di essere sulla strada giusta e ci batteremo sino all'ultimo perché la meta sia raggiunta, ed al più presto anche". Che Manstretta sia stato davvero un profeta, lo dimostra il fatto che, per esempio, dal 1994 la Casearia abbia poi stretto una convenzione con la facoltà di Agraria di Piacenza (Università Cattolica), per ospitare le esercitazioni degli studenti universitari del Centro di ricerche biotecnologiche. Ma il suo sogno di allora, nelle sue quattro parti, poté realizzarsi solo a metà.

La lavorazione del latte Con il passaggio al corso triennale, accanto alla precedenti discipline, fu introdotto a Pandino lo studio della lingua straniera (inglese), della legislazione, dell'economia e 50

della contabilità casearia, e fu inoltre potenziata l'attività didattica di alcune materie quali tecnologia, microbiologia e meccanica agraria. L'ampliamento del curricolo permise soprattutto di adeguare meglio la didattica professionalizzante (soprattutto quella legata alle esercitazioni pratiche), alla produzione casearia della scuola, produzione che, dopo l'avvio incerto del primo biennio, era andata costantemente aumentando. Se il 1° ottobre 1954, primo giorno di scuola alla Casearia, erano stati lavorati due ettolitri di latte a formaggio Taleggio, in una semplice caldaietta in rame - che era stata regalata da un industriale pandinese e che è ancora oggi custodita nell'atrio della scuola - e se nei primi due anni gli studenti avevano potuto contare soprattutto sul latte lavorato nei caseifici esterni, con il passare del tempo i quintali di latte trasformati all'interno della scuola, nel cosiddetto vecchio caseificio, aumentarono in modo quasi esponenziale. Sino al 1960 la gestione dell'acquisto e della lavorazione del latte, nonché della vendita dei formaggi prodotti, rimase autonoma. In quel periodo - anche successivamente in realtà, però con il marchio "Voltana" - la Casearia di Pandino poté vantare di fornire latte alimentare a tutti i paesi del circondario, compresi Rivolta e Spino. La produzione del latte in bottiglie di vetro era iniziata dal terzo anno di vita della scuola, ovvero nel 1957. I fratelli Devizzi si occupavano di raccogliere dagli allevatori locali il latte; dopo di che questo veniva analizzato nel laboratorio di microbiologia della scuola e quindi pastorizzato, prima di essere venduto. All'inizio la produzione giornaliera era sui 4 quintali, ma ben presto si triplicò. Dal 1960 la Casearia produsse anche il latte sterile, ovvero quello a lunga conservazione (dai 3 ai 5 quintali al giorno). Nel frattempo, ovviamente, gli allievi della scuola producevano anche i formaggi, lavorando circa 100 quintali di latte la settimana.


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1967: foto di gruppo con, al centro, don Raffaele Cordani

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Tutta la contabilità - ovvero il pagamento del latte acquistato e di quello poi venduto, nonché la certificazione delle entrate derivanti dalla vendita dei formaggi - ricadeva sulle spalle della segreteria della scuola, ovvero della signora Marenghi. Ad un certo punto la faccenda divenne troppo grande per l'esile struttura contabile della scuola pandinese - una sola persona, benché bravissima, a doversi occupare di tutto - e si decise di affidarsi alle risorse amministrative di una ditta esterna: la Voltana di Crema, la quale acquisì, come detto, il marchio del latte venduto in bottiglia (sia fresco che a lunga conservazione), ed anche quello dei formaggi. Venne stipulata una apposita convenzione: la Casearia avrebbe continuato a trasformare il latte, la Voltana avrebbe provveduto all'acquisto dello stesso e alla vendita dei prodotti. L'istituto professionale pandinese, in questo modo, poteva risparmiare preziose energie e concentrarsi meglio su ciò che sapeva fare così bene, ovvero la produzione dei formaggi. Simili convenzioni si sono succedute poi nei decenni successivi. La Voltana curò la parte amministrativa sino al novembre del 1967. Poi per due anni la gestione tornò autonoma. Nel '69 essa venne nuovamente affidata ad una ditta esterna, la Bovis di Pandino, che la tenne fino al novembre 1973. In quel periodo la lavorazione del latte raggiunse i duecento quintali la settimana. Una simile produzione, se da una parte sottolineava le grandi potenzialità della Casearia che si stava avviando a diventare una scuola-azienda, dall'altra metteva in luce sempre più l'inadeguatezza delle attrezzature messe frettolosamente a disposizione della scuola sin dai suoi esordi. Certo, il laboratorio si era arricchito di nuove e più funzionali strumentazioni, le vecchie caldaiette erano state sostituite con delle nuove, ma i locali del caseificio didattico erano ormai troppo angusti, e fatiscenti, per accogliere degnamente gli allievi della scuola e per permettere loro un ritmo di produzione ormai decisamente elevato. 52

Si cominciò allora a parlare della costruzione di un nuovo caseificio. Furono avviate le pratiche necessarie; l'allora sindaco Domenico Invernizzi (che aveva già precedentemente aiutato la scuola in qualità di consigliere provinciale) offrì tutta la sua collaborazione. Fu steso e poi approvato il progetto di costruzione. Nel 1973 iniziarono i lavori, ma ben presto mancarono i soldi necessari per continuarli e per poi finirli. Si trattava non solo di edificare una grande opera muraria, ma anche di installarvi moderni e costosi impianti industriali. Solo nel gennaio 1989 - quasi vent'anni dopo! - superate non poche traversie, sarebbe stata finalmente pronta la nuova struttura e sarebbero cominciate le lavorazioni nel nuovo caseificio didattico. Sino a quella data gli allievi della Casearia dovettero quindi continuare a lavorare nel vecchio caseificio, in condizioni sempre più difficili. Ecco la descrizione della deplorevole situazione di quei decenni, attraverso le parole del direttore di allora, il prof. Giulio Cesare Ghitti, che pure guidò la scuola con piglio decisamente aziendale: "Gli spazi erano insufficienti, obbligando gli allievi in ristrettezze operative deleterie ai fini tecnologici e della previdenza infortunistica. Le condizioni termiche e igrometriche dei reparti, per lo più comunicanti direttamente fra loro, subivano sbalzi notevoli, sottoponendo gli allievi a stress e disagi ambientali, con conseguenti assenze dalle lezioni per malattia. Gli spogliatoi erano inagibili durante la stagione fredda per mancanza di riscaldamento ed i servizi igienici insufficienti". Parole che dovrebbero essere ricordate sottolineano gli insegnanti che lavorano oggi nella scuola - da chi compie l'errore di esaltare i tempi eroici della "vecchia Casearia", riducendo nel contempo il valore di quella attuale. Giulio Cesare Ghitti, si è detto. Dopo essere stato come abbiamo già avuto modo di scrivere - uno dei primi insegnanti della Casearia, nel 1974 ne assunse anche la


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Anno scolastico 1972-’73: classe 3ª. Si riconoscono il preside Ruggero Lazzarotto, gli insegnanti Matilde Altieri e Giuseppe Imberti, il direttore del convitto Umberto Marinoni e i maestri Marco Pezzini e Daniele Scotti

Anno scolastico 1973-’74: i diplomati. Tra gli insegnanti i proff. Cesare Ghitti, Angelo Villa e Francesco Bazzani 53


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direzione. Prima di lui, e subito dopo Alfredo Manstretta, avevano ricoperto quel ruolo Agostino Oirav (dal 1961 al 1962), Carlo Brancale (dal 1962 al 1970), don Raffaele Cordani (dal 1970 al 1972), e Matilde Altieri (dal 1972 al 1974, appunto). Ghitti, lo abbiamo già anticipato, diede all'istituto professionale pandinese un’ulteriore svolta a carattere imprenditoriale. Lui stesso alto dirigente di una delle più grandi industrie del settore lattiero-caseario italiano, la Invernizzi, tenne nelle sue mani la scuola per quasi vent'anni - esattamente sino al 1993 - e ne accentuò con decisione i caratteri aziendali. La Casearia divenne sempre più un istituto professionale fondato, più che sull'apprendimento teorico, sull'addestramento incessante ed approfondito al lavoro. Ciò permise alla scuola, nonostante i già citati limiti derivanti dall’inadeguatezza del vecchio caseificio, di aumentare ulteriormente la quantità del latte giornalmente lavorato e di incrementare notevolmente il giro d'affari relativo alla vendita dei prodotti. Basti pensare che la Casearia arrivò anche ad un fatturato annuo superiore ai mille milioni di lire. Dal 1973 al 1989 l'azienda di riferimento per le pratiche amministrative e la contabilità fu la Polenghi Lombardo di Lodi, che era subentrata alla gestione della Bovis. Peraltro gli allievi, a fronte di un duro impegno richiesto dalla scuola nelle attività di laboratorio e di caseificio - gli orari di ricevimento e di rivoltamento erano sempre gli stessi, e così i turni in laboratorio e in caseificio - ricevettero non solo una più che ottima preparazione professionale, ma ebbero sempre la garanzia di ottenere al termine degli studi un posto qualificato di lavoro. Era lo stesso Ghitti a tenere i contatti con le aziende del settore, che facevano letteralmente la fila per avere i diplomati della Casearia (peraltro la facilità dell'inserimento nel mondo del lavoro - fatti salvi ovviamente i mutamenti intervenuti nel frattempo sia nel mercato lattiero-caseario che nella 54

offerta formativa della scuola - vale tuttora per i diplomati dell'Istituto pandinese). Nei primi anni Ottanta le aule didattiche, i laboratori e la segreteria della Casearia vennero trasferiti nella nuova palazzina sorta accanto al Caseificio didattico, dove ancora oggi ha la sua sede la scuola. Venne così abbandonata la vecchia struttura adiacente la scuola media, quella che era stata già la sede dell'Avviamento al tempo di Manstretta. Solo nel gennaio 1989 però, sotto la direzione del prof. Giovanni Marchesi - stretto collaboratore di Ghitti - fu agibile il nuovo caseificio didattico, decisamente più funzionale del precedente e dotato dei più moderni macchinari. La nuova struttura permise alla Casearia di aumentare ulteriormente la quantità del latte lavorato dagli allievi. Nella primavera di quell’anno vennero trasformati 80 quintali al giorno. Forse addirittura troppi, visto che poi il caseificio dovette essere fermato cinque mesi per evitare la sovrapproduzione (ed infatti i formaggi rimasero invenduti). Nell'autunno dello stesso anno venne stipulata una convenzione con la Centrale del latte di Peschiera per la fornitura del latte da lavorare, mentre la commercializzazione dei prodotti fu affidata ad alcuni mediatori. L'attività produttiva riprese a pieno ritmo. Sempre nel 1989 divenne Preside dell'Istituto professionale di Stato per l'agricoltura di Cremona, scuola alla quale - come detto - la Casearia era coordinata ormai dal 1961, il prof. Pieremilio Priori, che è poi ancora l'attuale dirigente. Il 7 aprile 1990, ad oltre un anno dalla sua effettiva apertura (ed a quasi due decenni dall’elaborazione del progetto esecutivo) venne ufficialmente inaugurato il nuovo caseificio didattico della scuola, ovvero una struttura degna di una medio-grande industria del settore lattiero-caseario.


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Inaugurazione del nuovo Caseificio didattico

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Esercitazioni nel Caseificio didattico

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La razionale collocazione dei macchinari, la semplicità di gestione dell’apparato elettronico computerizzato che sovrintende alle lavorazioni, i criteri di modularità dei cicli tecnologici produttivi, la facilità di conduzione dei mezzi meccanizzati, la loro sicurezza esecutiva e l’elevata idoneità igienico-sanitaria degli ampi spazi a disposizione: sono tutti elementi qualificanti che resero da subito (e rendono ancora oggi) il Caseificio didattico il fiore all’occhiello dell’Istituto professionale pandinese. In occasione della inaugurazione, avvenuta alla presenza delle massime cariche comunali e provincial, si tenne un importante convegno su “La professionalità per l’industria casearia nell’Europa del futuro”, che vide come principali relatori Sandra Carini, direttrice dell’Istituto lattiero-caseario di Lodi e il direttore della stessa Casearia, ovvero Cesare Ghitti. Chiuse i lavori l’allora Provveditore agli Studi di Cremona, Francesco Ariano, il quale aveva sempre avuto un occhio di riguardo per la Casearia. A differenza, come abbiamo visto, del suo predecessore della metà degli anni Cinquanta, che aveva tentato di liquidare l’allora giovane scuola di Pandino prendendo come pretesto le difficili condizioni in cui erano alloggiati i convittori. Oltre trent’anni dopo da quell’episodio, proprio quando Ariano lasciò il suo posto, l’istituto pandinese patì nuovi guai con il Provveditorato. La nuova dirigente Anna Grimaldi, infatti, intenzionata ad applicare alla lettera le disposizioni contenute nel Piano provinciale di dimensionamento delle scuole, propose nel 1997 di accorpare l’Istituto pandinese al Professionale per l’industria e l’artigianato di Crema, il “Marazzi”, e di liquidare il convitto, data l’esiguità del numero dei convittori. La decisa reazione del preside e degli insegnanti, appoggiati dalle forze sindacali, riuscì ad evitare che finisse in quel modo. 58

La nuova Casearia Rimane da raccontare il fondamentale mutamento curricolare e didattico che ha coinvolto alla metà degli anni Novanta (esattamente a partire dal 1994) la scuola Casearia; una svolta avvenuta a seguito dell'introduzione nel mondo scolastico italiano del cosiddetto "Progetto '92", ovvero l'intervento ministeriale che ha ridisegnato tutti gli Istituti professionali. Il tradizionale corso triennale per diventare "esperto casaro", esauritosi nel 1996, ha lasciato il posto ad un nuovo corso di studi, strutturato su di un triennio di qualifica al termine del quale un allievo diventa "operatore agroindustriale caseario", seguito da un biennio post qualifica, per il raggiungimento del diploma di maturità di "agrotecnico industriale ad indirizzo lattiero-caseario". La stessa scuola professionale, cui la Casearia da sempre è stata coordinata, si è ufficialmente trasformata in Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura e l'Ambiente (ed è stata assorbita nel 1996, insieme all’I.T.A.S. di Cremona, nell’Istituto di Istruzione Superiore “Stanga”). I mutamenti di denominazione non sono di facciata, bensì evidenziano reali e profondi cambiamenti didatticocurricolari. Il corso attivo alla Casearia di Pandino da 40 anni, centrato sulle materie scientifiche e professionali e soprattutto sulle esercitazioni pratiche, ha lasciato il posto ad un corso triennale più ricco di materie di base culturalizzanti e più adeguato, nelle stesse discipline professionalizzanti, alle mutate richieste della società e, più specificatamente, del mondo del lavoro. Per esempio, le 4 ore settimanali di Cultura generale ed Educazione civica del primo anno (che diventavano solo 3 nei due anni successivi), del corso per esperti casari, sono state sostituite da 5 ore di Italiano e da 2 di Storia; ora esistono codocenze tra Italiano e Lingua inglese; è stata introdotta, come materia singola, la Matematica (4


LA ore), prima inserita confusamente in una pluridisciplina che andava da Scienze agrarie a Igiene e alimentazione, passando da Economia casearia e Disegno. Sempre nella cosiddetta area comune è stata introdotta come materia Scienze della Terra e Biologia. Anche l'area di indirizzo è stata completamente ridisegnata dalla riforma. Nei primi due anni vengono insegnate discipline che appartengono al settore specificatamente agrario - quali Principi di agricoltura e tecniche delle produzioni, Principi di chimica e Pedologia, Contabilità agraria, Elementi di disegno professionale, Ecologia agraria e tutela dell'ambiente - mentre il terzo anno del corso è maggiormente attinente la specializzazione agroindustriale: Biochimica e microbiologia della trasformazione dei prodotti agricoli, Elementi di biotecnologie generali ed agrarie, Ecologia agraria, Tecnologie chimico-agrarie, Laboratorio di tecnologia agroalimentare. "E le ore in caseificio?", chiederete a questo punto. Sono quattro la settimana in seconda; "solo" quattro rispetto alle dodici previste nel vecchio corso per casari. Una riduzione drastica, dunque. Oltretutto gli allievi della classe prima, quando si tratta di affrontare la cosiddetta "area di approfondimento", neppure vanno sempre in Caseificio. Aumentano invece le esercitazioni pratiche per gli allievi di terza: sino a 10 ore la settimana. Il corso biennale post-qualifica, come detto, prepara gli allievi desiderosi di proseguire gli studi a diventare “agrotecnici” e apre loro la strada verso l’eventuale iscrizione alle facoltà universitarie. Risultati positivi nella terza area professionalizzante, permettono agli allievi di ottenere inoltre la specializzazione lattiero-casearia. A proposito di Università (in precedenza lo abbiamo solo accennato), occorre sottolineare un importante elemento che caratterizza, dall’aprile 1994, la Casearia. Si tratta della convenzione che il preside Pieremilio Priori, a nome della scuola, ha sottoscritto in quella data con

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l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Grazie a quell’accordo, che ha finalità didattico-sperimentali, gli studenti dell’istituto di Microbiologia - presente a Cremona come emanazione della facoltà di Agraria di Piacenza che è, a sua volta, sede staccata della Cattolica - possono usufruire delle moderne attrezzature della scuola pandinese per compiere, insieme ai tecnici della Casearia, sperimentazioni in Caseificio. Nello stesso tempo, sempre grazie alla convenzione, viene data la possibilità ai ricercatori del Centro di ricerche biotecnologiche e dell’Istituto di Microbiologia di svolgere, in stretta collaborazione con il tecnico del laboratorio di analisi di Pandino, sperimentazioni finalizzate alla messa a punto di biotecnologie innovative. Si tratta di veri e propri stage, dalla durata variabile, che gli studenti della facoltà di Agraria ogni anno, a partire dal 1994, svolgono alla Casearia, usufruendo anche delle strutture del Convitto per il vitto e l’alloggio. In questo modo l’Istituto pandinese rimane in stretto e proficuo contatto con quel mondo universitario da una cui ala, come si ricorderà, era sostanzialmente nato nel 1954. La riduzione delle ore di esercitazione tecnico-pratica degli studenti nel caseificio didattico, voluta dagli ideatori della Riforma scolastica degli Istituti professionali italiani, ha inevitabilmente comportato, peraltro, una netta diminuzione della quantità di latte lavorato giornalmente nella scuola pandinese. Dagli 80 quintali al giorno trasformati ancora sino all'inizio degli anni Novanta, si è passati, lentamente ma inesorabilmente, agli attuali 50 quintali lavorati settimanalmente. È stata abbandonata la gestione esterna ed ora la scuola vende direttamente i propri formaggi attraverso uno spaccio aperto al pubblico. Il che ha portato qualcuno ad ipotizzare addirittura l'affidamento del caseificio - evidentemente sottoutilizzato rispetto a quanto avveniva solo dieci anni fa - ad una azienda pri59


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vata esterna alla scuola. Gli allievi della Casearia, in questo caso, assisterebbero solamente alle lavorazioni compiute da altri. Il caso non sarebbe nuovo nel panorama scolastico italiano (la scuola di Pandino è tra le poche, se non persino la sola, a possedere un proprio caseificio didattico), ma una simile soluzione snaturerebbe del tutto le caratteristiche originarie, e caratterizzanti, dell'Istituto professionale pandinese. Un’ipotesi decisamente avversata sia dalla Dirigenza che da tutto il corpo docente della Casearia Una vera e propria eresia agli occhi della cosiddetta vecchia guardia della Casearia. Gli ex docenti nonché i diplomati della scuola, infatti, hanno sempre guardato con grande sospetto alla riforma scolastica, che ha ridotto, come già ricordato, le ore di esercitazione pratica per aumentare invece le materie culturalizzanti di base. Ne avrete chiara conferma leggendo più avanti nel libro alcune testimonianze dirette. Gli studenti di oggi, sostengono costoro, non sarebbero ben preparati dal punto di vista professionale, come invece lo sono stati, per anni, i giovani usciti dalla "vecchia Casearia". E ricordano come, per quasi mezzo secolo, i diplomati di Pandino abbiano sempre trovato un ottima collocazione lavorativa, come peraltro succede ancora oggi. Leggerete - sempre nelle "Testimonianze" - la ben diversa opinione degli insegnanti che lavorano attualmente nella scuola. Gli studenti lavorano meno ma meglio, è, in sintesi, la loro tesi. Anziché semplici esecutori materiali di lavorazioni poco professionalizzanti (che oggi sono oltretutto compiute da macchinari, nelle grandi ditte che hanno assorbito i piccoli caseifici) ormai scomparsi, gli allievi apprendono di più attraverso un maggior numero di sperimentazioni ed una più vasta gamma di lavorazioni lattiero-casearie. Inoltre, sostengono ancora gli insegnanti d'oggi, i diplomati dei nuovi corsi posseg60

gono una più approfondita e poliedrica cultura di base, che permette loro di capire meglio (e quindi di controllare in modo più efficace) sia i processi produttivi che le modalità lavorative, oggi in forte e continua mutazione. Perché la filosofia che presiede al nuovo ordinamento è quella secondo la quale l'acquisizione della pratica operativa si può perfezionare all'interno del sistema produttivo, mentre la scuola deve fornire soprattutto le basi culturali per sapersi adattare a qualsiasi processo di trasformazione e di sviluppo. Per i fautori del "Progetto '92", tra la preparazione degli allievi di una volta e quella degli studenti d'oggi vi sarebbe una differenza simile a quella che esiste, nell'ambito del convitto annesso alla scuola, tra l'antico, e quasi ossessivo, tradizionale riferimento alla "disciplina" di una volta e l'aspetto educativo e formativo che oggi viene perseguito sia nell'ambito convittuale che tra le mura della scuola. A questa osservazione quelli che, senza alcuna ironia, potremmo chiamare i "nostalgici" del corso per "esperti casari", ribattono che l'impadronirsi a livello approfondito delle abilità lavorative attraverso il duro impegno e la continua esercitazione, ha sempre avuto come conseguenza intrinseca la formazione di un carattere serio e maturo. Evitando di parteggiare per questi o per quelli - cosa che non ci compete affatto - possiamo solo annotare che il dibattito è attualmente ancora in corso e ciò indica, se non altro, che attorno alla Casearia, e al suo futuro - oltre che al suo passato - esiste ancora una forte corrente affettiva - per non dire passionale - che ben difficilmente si registra relativamente ad altre scuole. E anche questo sommato ai tanti altri che abbiamo voluto qui raccontare - è segno del carattere comunque straordinario di questa piccola-grande scuola di Pandino.


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Anno scolastico 1973-’74: classe 1ª

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Anno scolastico 1981-’82: classe 2ª A sinistra il maestro del convitto Gianpiero Monti e al centro, in giacca e cravatta, il preside Luigi Bisicchia

Anno scolastico 1981-’82: classe 3ª 62


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Anno scolastico1984-’85: gruppo sportivo della scuola

Anno scolastico 1986-’87 63


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Anno scolastico1989-’90: classe 2ª

Anno scolastico 1991-’92: classe 3ª 64


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Anno scolastico 1992-’93: classe 1ª

Anno scolastico 1992-’93: classe 2ª 65


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Anno scolastico 1992-’93: i diplomati

Anno scolastico 1996-’97: classe 1ª 66


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Anno scolastico 1994-’95: gruppo di studenti in caseificio

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Alfredo Manstretta Un’intervista "impossibile"

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ra tutti i testimoni da noi intervistati per ricostruire la storia della scuola Casearia di Pandino, mancava all'appello il protagonista principale: il prof. Alfredo Manstretta, ovvero - come abbiamo visto - l'ideatore e poi il fondatore del prestigioso istituto scolastico pandinese. Purtroppo è morto qualche anno fa, ed ora riposa nella tomba di famiglia a Broni, accanto alla amata moglie. Non ha avuto figli, e quindi né lui né alcun erede diretto ha potuto raccontarci i suoi pensieri e le sue emozioni più recondite, vissute al tempo in cui inventò dal nulla, e poi diresse per sette anni con grande autorità e capacità, la Casearia. Certo, sono ancora in tanti a rammentare Manstretta, e la sua figura esce comunque nitida dai ricordi di chi lo conobbe - insegnanti, impiegati, allievi della scuola attraverso le testimonianze che siamo riusciti a raccogliere. Eppure, per chi deve scrivere una storia, non c'è niente di meglio che poter ascoltare direttamente le parole dai protagonisti. Ed il perito agrario Alfredo Manstretta, già direttore della scuola di Avviamento di Pandino e successivamente fondatore dell'Istituto per esperti casari, un protagonista lo è certamente stato. E la sua testimonianza sarebbe stata decisamente fondamentale. "Da dove le è nata l'idea di fondare una nuova scuola? Chi l'ha sostenuta e chi invece ha tentato di ostacolarla? Quali principali problemi ha dovuto affrontare? Come li ha risolti? Per quali motivi, esattamente, ad un certo punto ha abbandonato la Casearia? Cosa le è rimasto di quella straordinaria esperienza?": ecco alcune delle domande che avremmo voluto porgli. Certo, nello scrivere la storia della Casearia abbiamo comunque raccontato le principali azioni di Alfredo 70

Manstretta, ricostruite attraverso l'analisi dei documenti che ci sono rimasti, molti dei quali da lui redatti e autografati. Si tratta di foglietti ingialliti, quasi tutte copie veline di carteggi, di bilanci economici, di relazioni della Presidenza. Si intravede, nelle parole usate, il carattere dell'uomo. Quella sicura fermezza, quel sereno coraggio che i tanti testimoni a lui sopravvissuti hanno evidenziato. Ma che egli, purtroppo, non ha più potuto raccontarci direttamente. Peraltro la storia, come fa dire Alessandro Manzoni all'ignoto secentista nell'introduzione dei "Promessi Sposi", è davvero sempre in lotta contro il tempo e le sue nefaste conseguenze. E può anche riportare in vita chi non c'è più. Nel nostro caso, possiamo far parlare direttamente Alfredo Manstretta citando fedelmente e testualmente le parole contenute nella "Relazione finale del Capo d'istituto sull'andamento didattico e disciplinare della Scuola professionale Statale Casearia di Pandino", relazione da lui stesso redatta. Il documento porta la data dell'anno scolastico 1954-1955, ovvero il primo anno di vita della scuola. Si tratta dunque non di un atto amministrativo qualsiasi, bensì di una relazione veramente importante e significativa per comprendere sia il carattere dell'uomo che le caratteristiche della Scuola Casearia ai suoi esordi. Nella edizione a matita che abbiamo rinvenuto - prima bozza della relazione ufficiale che, rivista e corretta (e battuta a macchina con ogni probabilità dalla signora Carla Marenghi), venne poi mandata alla sede centrale di Viadana - Manstretta ha tracciato un approfondito e schietto bilancio della scuola appena nata. La relazione è divisa per argomenti già prestampati sul fascicolo, capitoletti di sezioni predefinite che il Direttore ha poi compilato di proprio pugno. Manstretta ha poi riletto ed in parte riscritto la relazione, prima attraverso correzioni ancora a matita, e poi a penna. È questa


TESTIMONIANZE l'edizione che abbiamo utilizzato. Da parte nostra ci siamo limitati a trasformare i titoli dei capitoletti in domande, mantenendo testualmente le parole usate da Manstretta, così che ne potesse uscire questa "intervista impossibile" (ma certamente attendibile), che qui proponiamo. Prof. Manstretta, ad un anno dalla apertura della Scuola professionale statale Casearia di Pandino, è possibile tracciare un primo bilancio di questa esperienza. Cominciamo dagli aspetti più concreti: le strutture dei locali in cui la scuola è alloggiata. Come è la situazione? "La scuola è ospitata nell'edificio della locale Scuola di avviamento professionale. Dispone di aule ben arredate, di gabinetti scientifici e di un caseificio didattico. Sono stati sottratti alcuni locali alla Scuola ospite che ha dovuto quindi farseli dare in prestito dalla contigua Scuola Elementare. La situazione dovrà essere sarà sanata al più presto, comunque". E come? "La promiscuità dell'edificio scolastico con la Scuola di avviamento deve cessare. Per ovviare a tale inconveniente ho avanzato proposte di costruzione di una nuova ala all'amministrazione comunale di Pandino, che, in linea di massima, si è pronunciata favorevolmente. Entro la fine del corrente anno 1955 sarà preparato un regolare progetto di costruzione, che sarà inviato ai superiori Ministeri della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici per l'approvazione e per ottenere il contributo statale. Con tale progetto tutto l'attuale edificio servirà alla scuola Casearia, mentre la nuova ala sarà riservata all'Avviamento. I due edifici saranno comunicanti e la direzione sarà unica in modo di permettere una facile sorveglianza dei due istituti".

Quale è il bilancio delle attività didattiche relative ai laboratori? "Il laboratorio di analisi ha funzionato egregiamente pur con la scarsezza degli strumenti e delle attrezzature in dotazione. Ora però è stato istituito il nuovo laboratorio di chimica casearia, convenientemente e razionalmente attrezzato, che darà certamente ottimi frutti per l'addestramento pratico degli allievi nel venturo anno scolastico. Le esercitazioni pratiche di chimica e microbiologia casearia rivestono un’importanza eccezionale per il nostro tipo di Scuola, che vuole preparare e addestrare degli ottimi analisti caseari di cui l'industria sente la carenza (come pure sente la carenza di ottimi casari). In questo primo anno di vita della scuola gli allievi hanno eseguito praticamente, acquistando una destrezza ammirevole, le analisi più comuni ed importanti riguardanti il latte, e cioè la determinazione del grasso, l'acidità, la densimetria, la crioscopia, la ricerca della sostanza secca e del residuo magro". E per l'alloggio degli allievi come vi siete comportati? La Scuola, non essendo dotata di convitto, ha organizzato un libero pensionato per risolvere il problema dell'alloggio e del vitto dei giovani allievi. La benemerita Amministrazione comunale ha fornito i locali, che, pur essendo di fortuna, hanno servito ugualmente allo scopo. La retta pagata dagli allievi è stata di 160 lire giornaliere, ed è stata sufficiente a far funzionare il pensionato". Avete effettuato qualche ricerca o qualche sperimentazione nella lavorazione del latte? "La Scuola ha sperimentato con successo, dietro mia formula personale, un nuovo tipo di formaggio molle a cui è stato dato il nome di IPA. Si tratta di un formaggio dolce, di piccole dimensioni, di lavorazione molto vicina al formaggio Bel Paese, con aggiunta di crema di centrifuga". 71


TESTIMONIANZE Quale è stato il taglio didattico dato alle diverse discipline impartite dalla scuola? "Per quanto riguarda educazione e cultura civica occorre sottolineare come questa materia non riguardi solo la cultura civica ma anche la cultura generale dell'allievo (attraverso gli insegnamenti di italiano, storia e geografia). Si è quindi constatato che le 3 ore settimanali previste dal programma sono assolutamente insufficienti. Il nostro non è certamente un tipo di scuola in cui debba predominare la cultura, però non è neanche ammissibile che sia senza cultura. L'esperto caseario deve sapersi esprimere correttamente e senza imbarazzo, deve saper ragionare su argomenti tecnici anche difficili senza timore di sbagliare, deve avere anche buone cognizioni sull'intera Italia perché la sua attività potrà svolgersi nell'intero paese (se non anche all'estero), deve saper redigere verbali di prelievo di campioni di latte e di latticini, deve essere quindi in grado di lavorare con il braccio ma anche con la parola e con la penna. Ecco perché è stato necessario portare da tre a quattro le ore settimanali di cultura civica e cultura generale. Gli allievi provenienti dalla Scuola Media si sono dimostrati meglio preparati, su questa materia, di quelli provenienti dall'Avviamento. Nel complesso però di tutte le materie, questi ultimi hanno dato migliori risultati. Per quanto riguarda matematica e fisica l'insegnante ha addestrato gli allievi anche all'uso delle tavole di logaritmi, non previste dal programma, che si rivelano molto utili per l'immediata risoluzione di problemi pratici nelle esercitazioni di chimica in laboratorio". E per le materie più strettamente collegate all'indirizzo della scuola? "In tecnologia casearia è stata svolta la parte generale tecnologica relativa al latte e, nella seconda metà dell'anno scolastico, la parte tecnologica speciale riguardante i 72

formaggi molli. Frequenti sono stati i contatti dell'insegnante con i tecnici del caseificio. Il docente ha peraltro rilevato che le quattro ore settimanali destinate a tale materia potevano essere ridotte a tre, il che è stato fatto per l'anno in corso. I risultati ottenuti sono stati eccellenti. In zootecnia l'insegnante si è particolarmente soffermato sulla alimentazione del bestiame che ha effetti sensibilissimi sulla produzione qualitativa e quantitativa del latte. Ha svolto tutta la parte generale della zootecnia, visitando poi stalle ottime, buone e cattive della zona, allo scopo di far rilevare agli allievi la disparità degli allevamenti e facendo loro constatare le inevitabili conseguenze che ne derivano ai caseifici. L'insegnante di chimica e microbiologia casearia ha svolto in pieno il suo programma, ottenendo ottimi risultati. Tantissime le esercitazioni pratiche. Il dottor Oirav, giovane insegnante di macchine, si è lodevolmente prestato nell'insegnamento, cercando di colmare le lacune di pratica meccanica con uno studio appassionato e con continui contatti con le industrie meccaniche casearie". Come si sono comportati gli studenti in questo loro primo anno di scuola? "Gli allievi hanno sempre tenuto un contegno perfetto in ogni occasione e sono stati veramente ammirevoli per la passione dimostrata negli studi sia pratici che teorici, quanto nella disciplina. Su ventidue allievi, accettati nella Scuola, tre si sono ritirati dopo alcune settimane per la durezza e la serietà degli studi teorici e pratici. Probabilmente pensavano di trovare nella nostra giovane Scuola un clima molto diverso e forse facevano affidamento su una probabile condiscendenza e larghezza da parte della direzione e degli insegnanti. I diciannove allievi rimasti non si sono mai assentati dalle lezioni se non per motivi di malattia".


TESTIMONIANZE In che modo ha tenuto i contatti con le famiglie degli allievi, vista la particolare condizione della scuola, che è a tempo pieno? "Ho curato in modo particolarissimo i rapporti con le famiglie, sia perché si tratta di uno dei principali doveri di un capo istituto, quanto perché si tratta di una giovanissima scuola che deve imporsi all'attenzione ed alla considerazione dei genitori, ed infine perché buona parte degli allievi doveva alloggiare nel pensionato e quindi doveva risiedere lontana dalle proprie case. Ho informato mensilmente i genitori dell'andamento degli studi dei propri figlioli e sul loro comportamento, non lesinando certamente nei rimproveri. Ho stretto contatti molto cordiali e proficui con le famiglie e posso affermare di avere ottenuto ottimi risultati perché i familiari mi scrivono e mi rendono visita con assiduità, nonostante risiedano in località anche molto distanti ed anche disagevoli. Se è il caso di fare un raffronto, posso affermare che, come nella Scuola di avviamento è difficile ottenere buoni risultati nei rapporti fra scuola e famiglia, nella Scuola Casearia tali risultati sono stati invece altamente soddisfacenti". Tre allievi ritirati dopo poche settimane e altri tre bocciati. Non le pare che la sua scuola si sia dimostrata un po' troppo selettiva? "Il Consiglio dei professori è stato dell'avviso di non usare criterio alcuno di larghezza. La Scuola è giovane e deve imporsi con la serietà degli studi".

turni, anche durante il periodo delle vacanze estive. Il risultato è stato che gli allievi sono giunti al termine dell'anno scolastico in grado di fabbricare i più importanti formaggi molli italiani, e cioè il taleggio e il quartirolo, la crescenza, il tipo Bel Paese, il gorgonzola, il mascarpone, la ricotta e l'IPA (il formaggio, come ho già detto, di nostra creazione). Gli allievi sono stati pure addestrati alla fabbricazione del burro, oltreché nelle operazioni di scrematura meccanica, nella salatura e stufatura del latte ed infine nella pulizia del caseificio". Una preparazione davvero approfondita e completa, dunque. Ma se dovesse infine fare una sintesi generale sull'andamento dell'Istituto, cosa direbbe? "La Scuola, al suo primo anno di vita, ha dato risultati più che lusinghieri e confortanti. Il corpo degli insegnanti è veramente provetto perché annovera nel suo seno i migliori tecnici italiani del ramo caseario. In merito segnalerò al Ministero la necessità, per poter mantenere legati alla Scuola gli attuali docenti che hanno dato lustro e prestigio alla nostra giovane scuola, di disporre un congruo assegno speciale ad ognuno di essi. Gli allievi, come ho già avuto modo di dire, si sono comportati in modo ammirevole e direi quasi commovente per la passione dimostrata nell'apprendimento della difficile professione casearia. La Scuola è però ancora incompleta perché necessita di altri laboratori ed in particolare delle attrezzature relative alla pastorizzazione del latte".

E veniamo alla parte più caratteristica e importante della Casearia: le esercitazioni di lavoro. Come è andata in questo settore? "Le esercitazioni di caseificio si sono svolte il pomeriggio di ogni giorno, dando quindi ad esse, come è giusto, un fortissimo impulso. Le esercitazioni sono continuate, a 73


TESTIMONIANZE

Pieremilio Priori Ricordi di un Preside

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opo alcuni anni di incarichi da preside (iniziai nel 1982-83) in varie scuole (Professionale per l'industria e l'artigianato a Cremona, Liceo-ginnasio a Casalmaggiore, Istituto magistrale a Crema), il Provveditore Ariano mi convocò - ai primi di settembre del 1989, come ogni anno - prospettandomi una presidenza libera: l'Istituto Professionale per l'agricoltura di Cremona, che comprendeva, oltre alla scuola centrale di Cremona (appena trasferita nella nuova sede di Via Milano 24, accanto all'Istituto tecnico agrario Stanga), anche le scuole coordinate di Crema, Casalmaggiore e Pandino con il suo Convitto. La complessità dell'Istituto mi portò a chiedere, ingenuamente, se ci fossero problemi; furbescamente, ma anche dimostrandomi fiducia, il signor Provveditore mi rispose negativamente; aggiunse però che l'incarico sarebbe durato a lungo (poi capii che significava: se ci fossero stati problemi, il tempo per risolverli non sarebbe mancato). Accettai, anche per curiosità e per sfida. Il passato di studente di liceo scientifico, la laurea in fisica, il decennale insegnamento in un istituto tecnico industriale, la specializzazione in fisica delle radiazioni, poco avevano a che fare con l'agricoltura e la trasformazione del latte; più sfida impari non si poteva immaginare. Da quell'istituto non mi separai più, se non per due anni, ma non per mia decisione. Nel 1992-93 vinsi il primo concorso utile (di solito ce n'è uno ogni dieci anni) e scelsi come presidenza il professionale di Cremona. Nell'anno scolastico 1996-97 l'Istituto professionale per l'agricoltura, che nel frattempo era diventato anche "per l'ambiente" ed aveva "perso" la scuola di Casalmag74

giore, venne aggregato all'Istituto tecnico agrario Stanga. Per una norma, burocraticamente idiota, pur essendo la presidenza del tecnico libera, non mi fu consentito assumere la presidenza del nuovo Istituto così costituito, perché non era permesso ad un laureato in fisica fare il preside di un Istituto tecnico agrario; grottescamente, se l'aggregazione fosse avvenuta in senso contrario (il professionale che aggrega il tecnico), avrei potuto fare il preside di entrambi; ma così non avvenne. La normativa mutò e chiesi, ottenendolo, il trasferimento all'Istituto d’istruzione superiore Stanga. Si era nell'anno scolastico 1998-99. Ma torniamo al 1989, il mio primo anno al Professionale per l'agricoltura: dovetti imparare molto, e in fretta, perché da abitante di città da generazioni, mai avevo avuto rapporto con le attività agrarie se non per i prodotti che da consumatore mangiavo. Ma questo handicap non fu di ostacolo perché venni aiutato da collaboratori - da me scelti presso ogni scuola e nel Convitto pandinese - assai validi, preparati ed appassionati. È d'obbligo, ma anche un piacere, ricordarli a ringraziamento: il prof. Bodini (a Cremona), il prof. Albertini (a Crema), il prof. Bernardi (a Casalmaggiore), il prof. Ghitti (a Pandino), il maestro Marinoni (nel Convitto); ed altri ancora che, con minore responsabilità, ma non professionalità, hanno consentito di superare parecchi problemi, talvolta non indifferenti. Il primo problema della Casearia da affrontare con urgenza fu l'avvio del caseificio, oltretutto di capacità produttiva notevole rispetto a quella vecchia dei "pentoloni" (una Ferrari, anziché una Cinquecento, come spesso, con orgoglio, andava illustrando Ghitti ai vari visitatori): ne fui subito investito (in tutti i sensi). Tra costruzione dell'edificio e acquisizione della operatività era già passato almeno un decennio; il costo, di


TESTIMONIANZE circa 1 miliardo di lire era stato coperto per i 3⁄4 da finanziamenti erogati dal Ministero della pubblica istruzione (per tutto ciò che in caso di cessazione dell'attività potesse essere asportato e trasferito altrove, quindi essenzialmente impianti e macchinari, che sono di proprietà dell'istituto scolastico), mentre la restante spesa (per edificio e servizi tecnologici e logistici) era stata sopportata dal comune di Pandino. Dopo un avvio breve e sfortunato, qualche mese prima che io arrivassi, l'attività era stata sospesa dal mio predecessore per motivi economici: la produzione non consentiva il rientro delle spese. Una scuola Casearia senza caseificio funzionante (prossimo peraltro all’inaugurazione ufficiale, che avvenne infatti il 7 Aprile 1990), è come far allenare un calciatore davanti allo specchio. Vennero intrapresi alcuni contatti con ditte importanti del settore - date le conoscenze del prof. Ghitti e del prof. Marchesi - che garantirono l'acquisto dei nostri prodotti; poi ci si affidò ad un mediatore professionista che ci proiettò a quasi un miliardo e mezzo di lire annui a bilancio. Successivamente camminammo da soli, grazie anche alla dedizione ed all'apporto lavorativo dei docenti Marchesi e Grossi e degli assistenti tecnici (casari) Folini e Nosotti (a quei tempi risale la produzione di un nuovo formaggio fresco, light, secondo la moda, chiamato "primo sale" che battezzammo Pandella); poi la unificazione della scuola, la sospensione dell'attività produttiva (il primo anno del mio ritorno) per la messa a norma della centrale termica, e la lenta ripresa di questi ultimi anni. Ma se le ditte garantivano l'acquisto di alcuni prodotti, chi poteva garantire dai pagamenti non puntuali, oppure chi poteva garantire la sempre buona riuscita della produzione, tale da realizzare la vendita a prezzi convenienti? Occorreva un paracadute, un ombrello!

Un momento del convegno organizzato in occasione dell’inaugurazione del nuovo Caseificio didattico

Mi venne una idea, che in passato non era mai stata praticata: l'ombrello me lo avrebbe dato il fisco. Può sembrare assurdo, ma è andata proprio così. Avevo sbloccato poco prima un pagamento di macchinari per quasi mezzo miliardo di lire; il Caseificio possedeva partita IVA alla stregua di una qualsiasi azienda produttiva e versava regolarmente l'IVA sulle vendite, dopo aver pagato l'IVA sul latte acquistato. L'associazione delle due constatazioni mi portò a chiedere, alla stessa stregua di ogni soggetto commerciale, il rimborso dell'IVA versata per i macchinari a fronte dell'IVA da versare per gli incassi della vendita dei formaggi. L'ottenemmo e ci fruttò un "paracadute" di cento milioni di lire; più che sufficiente per cadere da molto in alto. Partimmo così alla grande e senza troppi problemi alle spalle, se non quelli di dover affrontare un mercato che alla genuinità del prodotto (come scuola non potevamo introdurre "artifici" per accrescere la nostra resa produttiva) privilegiava il prezzo. L'unico accorgimento, se si può dire, fu la spinta, esagerata, verso la produzione di ricotta, ricavata dal 75


TESTIMONIANZE siero (quindi dal residuo della coagulazione) dopo averlo fatto riscaldare; produzione ovviamente molto remunerativa. Ho sempre presente l'immagine di una giovane assistente tecnica di caseificio incaricata di recuperare con un mestolo la ricotta affiorante da un enorme secchio, alto quasi come lei, tutta avvolta dal vapore, che uscì dalla nube per salutarmi: aveva le guance solcate da righe nere come se avesse sbucciato cipolle. Vedendola così "sfatta" mi venne un rimorso e chiesi al direttore del caseificio, il prof. Marchesi, di adibirla a mansioni più confacenti (alla faccia delle pari opportunità). I primi tempi della nuova fase produttiva, che passava da una sola tipologia di formaggio (o poco più) degli anni del vecchio caseificio, ad una varietà di almeno una dozzina di prodotti, furono impegnativi e condussero anche a contrasti, talvolta duri - soprattutto, data la distanza con Cremona, telefonici - tra me, Ghitti e il prof. Zucchelli (l'economo, l'addetto al bilancio); io che cercavo di imporre i prezzi, loro che spingevano sull’atipicità dell'attività, che non doveva essere vista come produttiva vera e propria. Ma alla fine, anche dopo alzate di voce, si rimaneva tutti amici e rispettosi dei propri ruoli, dato che i contrasti erano solo per la sopravvivenza del caseificio e dettati dal timore di dover di nuovo sospendere la sua attività per mancanza di economicità produttiva, come loro avevano già dovuto subire. Tutti sapevamo che un nuovo arresto avrebbe significato la chiusura del caseificio, con effetto domino sulla scuola e sul convitto. È perché spinto da tutto questo che dovetti pensare al paracadute, piuttosto che un’assicurazione personale per coprire i danni allo Stato, che qualunque revisore dei conti avrebbe prontamente evidenziato e richiesto. 76

Tanto era l'impegno che una volta alla settimana ero a Pandino, anche per incontrare eventuali clienti. Non potevo neppure esimermi dal rifiutare il pranzo in convitto; fu così che in un paio di anni aumentai il mio peso standard di quasi 10 kg, dato che ogni volta il rito si ripeteva identico: antipasto, primo piatto, secondo, formaggio (che però pretendevo della scuola), dessert (le famose "pesche sciroppate di Marinoni" che si racconta presentasse sempre da decenni - e speriamo non fosse la stessa fornitura). Dovetti approfittare dell'"esilio" di due anni dalla scuola per rientrare nel mio peso forma, che non ho più perso, non perché ogni volta che vado a Pandino sia cambiato il rituale (i manicaretti ghiotti ci sono sempre, anche se sono cambiati i cuochi; sono invece scomparse le pesche sciroppate, per mia complicità oppure perché nel frattempo sono finite), ma perché ci vado poco, a dimostrazione che di problemi non ce ne sono più stati così pressanti e seri. Prima che partisse il nuovo ordinamento (avvenuto il 1° settembre 1994), con il direttore Ghitti cercammo di addolcire l'impatto della drastica riduzione delle ore di caseificio, progettando un ordinamento sperimentale, una sorta di compromesso tra il vecchio ed il nuovo. Ci recammo a Roma dal Direttore generale dell’Istruzione professionale, assieme al provveditore agli studi ed al compianto assessore Invernizzi (già sindaco di Pandino), per illustrare il progetto, e facendoci introdurre da nostri parlamentari. Noi, meschini, non sapevamo che il nuovo ordinamento didattico della scuola professionale era figlio proprio di quel direttore generale; tornammo con una sonora bocciatura e la relativa sua motivazione: non si può sperimentare qualche cosa che non è ancora partito ordinariamente!


TESTIMONIANZE L'attività formativa presso la Casearia - anche dopo l'introduzione del nuovo ordinamento didattico che ha consentito agli studenti di accedere, successivamente alla qualifica professionale, anche alla maturità agrotecnica, allungando a cinque anni gli studi, ma diminuendo la forte presenza in caseificio - non mutò la propria efficacia e fama, tanto che il 6 Aprile 1997 mi fu consegnato il premio Agrumello nell'ambito delle celebrazioni della “Fiera regionale di primavera” di Grumello, a riconoscimento del servizio svolto dalla scuola Casearia a vantaggio della formazione di validi operatori in ambito agroindustriale.

Il preside Priori ritira il premio Agrumello

Anche oggi, nonostante la differente impostazione didattica, i posti offerti dalle aziende sono sempre superiori a quelli dei qualificati della scuola; tuttavia alcuni non vengono coperti - e sta qui la differenza col passato perchè ora i giovani rifiutano l'occupazione se ritengono che il luogo di lavoro sia troppo lontano da casa. Termino con una considerazione sul Convitto, o meglio, sull'edificio del Convitto. Da anni, anche prima dell'inizio della mia presidenza, si parla di una nuova sede; ora l’ipotesi pare concreta e prossima alla realizzazione. Occorre fare però molta attenzione alla sua gestione, perché la possibile multifunzionalità della nuova struttura - ad esempio per uso foresteria di altri che non siano studenti, oppure l'accesso alla mensa allargato a molti esterni (ora gli ospiti sono accolti in numero molto ridotto) - potrebbe far venire meno la caratteristica di struttura convittuale, e quindi causare l'abbandono dello Stato nella fornitura (e pagamento) del personale. Analoga sorte potrebbe seguire il Convitto a causa della "regionalizzazione" dell'istruzione e formazione professionale, prevista dalla nuova ed attesa riforma della scuola, dato che la regione difficilmente potrà accollarsi i costosi oneri del personale, che ora è composto da 8 educatori, 1 infermiere, 3 cuochi, 2 guardarobieri e 11 collaboratori scolastici: 500.000 € annui per circa 80 studenti!

Riconoscimento che si va ad aggiungere ad altri, meno espliciti, ma più concreti, da sempre attuati da ditte del settore lattiero-caseario, a dimostrazione del buon gradimento nei confronti della preparazione professionale dei qualificati della Casearia da loro assunti: le borse di studio; classica e storica è quella della Yomo. 77


TESTIMONIANZE

Cesare Ghitti Un lungo viaggio nel mare bianco

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ell'estate del 1943, in possesso del diploma di perito agrario, mi iscrissi alla Capitaneria del porto di Genova: era mia intenzione entrare nell'Accademia navale di Livorno e seguire le orme di mio padre, che era stato lungo tempo in mare, al servizio dell'ammiraglio Camperio. Ma in settembre gli angloamericani bombardarono Livorno, e quando io mi recai là per entrare in Accademia, vidi solo le macerie di quella che sarebbe dovuta diventare la mia scuola. Piansi per tre giorni sul mio destino sfortunato e sulla mia carriera infranta. Finii con l'iscrivermi, un po' controvoglia, alla facoltà di Agraria di Milano, visto che già possedevo un diploma relativo a quell'indirizzo scolastico. Allora non lo potevo ancora sapere, ma avevo fatto una scelta che avrebbe legato per sempre la mia vita al latte". È Giulio Cesare Ghitti che parla, ovvero uno degli insegnanti presenti alla Casearia già nell'anno della sua fondazione, nonché stretto e fidato collaboratore di Alfredo Manstretta. Ghitti è stato successivamente uno dei più importanti direttori che la Casearia abbia avuto nei suoi (sin qui) 50 anni di storia. Ha dunque molte cose da raccontare. "Nel 1947, dopo essermi laureato, andai a lavorare al Consorzio agrario e poi all'Istituto sperimentale del latte della Yomo di Milano. Fu lì che Manstretta mi trovò, nel 1953, al tempo in cui stava tentando di mettere in piedi a Pandino l'Istituto professionale per esperti casari. Era alla ricerca di giovani insegnanti esperti del settore. A me la cosa indubbiamente interessava, però avevo il mio lavoro da portare avanti. Ero già molto impegnato, e spesso dovevo recarmi anche all'estero per consulenze ai clienti. 78

Manstretta andò a parlare con Vesely, il mio direttore, in compagnia del prof. Arnaudi, già mio insegnante all'università. Lo convinse a lasciarmi libero due mattine la settimana, così che potessi insegnare tecnologia casearia agli alunni di Pandino. "Vai pure a fare il professore - mi disse Vesely - ti affianco un vice, così avrai tempo da dedicare al nuovo Istituto". Manstretta gli aveva spiegato che la Casearia di Pandino sarebbe potuta diventare un luogo di sperimentazione per la lavorazione del latte, una sorta di braccio operativo dell'istituto della Yomo. Inoltre gli allievi, che in futuro avrebbero lavorato come tecnici specializzati nei tanti caseifici lombardi, si sarebbero più facilmente rivolti al Centro sperimentale milanese - data la collaborazione esistente tra i due enti - per l'approvvigionamento dei fermenti lattici. Dopo aver convinto me (e il mio direttore), Manstretta riuscì nella non facile impresa di avere a Pandino, come insegnante, anche Paolo Renko, docente di microbiologia presso l'Università di Milano. Renko era una vera autorità in materia, conosciuto e stimato a livello internazionale. Gli affidò la cattedra di microbiologia e chimica, ovviamente, vincendo con abilità le sue resistenze: oltre che docente universitario, Renko era infatti anche un libero professionista, con un proprio e ben avviato ufficio di consulenza. Il fatto è che la scuola che stava per nascere sarebbe stata la prima del genere in Italia: noi docenti avremmo così avuto la grande possibilità di costruire il curricolo scolastico dell'istituto professionale secondo le nostre conoscenze e le nostre libere convinzioni: un'occasione più unica che rara per poter vedere messe in pratica le inclinazioni e la preparazione teorica di ciascuno di noi. Si trattava insomma di aprire e di percorrere una strada mai battuta da altri. Fu questo che diede a tutti noi quella passione e quella energia che ci sostennero in quei momenti, peraltro difficili e faticosi.


TESTIMONIANZE I problemi non mancavano di certo. Alle nostre individuali perplessità si aggiungevano allora quelle del Comune di Pandino, poco propenso ad investire grosse somme in una nuova scuola, e quelle dello stesso provveditore agli studi di Cremona. Ma Alfredo Manstretta era talmente entusiasta della sua idea che riuscì a contagiarci tutti e a trascinarci nella sua avventura. Ci mettemmo intorno ad un tavolo a discutere della preparazione che avrebbero dovuto avere i nostri studenti, e quindi programmammo le lezioni e tutti i contenuti disciplinari. In molti casi mancavano i libri di testo adatti: decidemmo di scriverli noi. Nello stesso periodo - si era nell'autunno del '53 Manstretta si stava dando da fare presso l'amministrazione comunale per trovare i locali adatti al nuovo Istituto. Vicino alla scuola di Avviamento c'era una vecchia colonia elioterapica da tempo in disuso, e un grande magazzino comunale un po' malconcio. Manstretta convinse il sindaco a ricavare lì il caseificio didattico e gli spazi necessari all'istituto professionale. Che non erano di poco conto: una banchina per il ricevimento del latte, un locale per le lavorazioni, con caldaia e caldaiette, uno spazio per la salatura dei formaggi, con le apposite vasche, una cella frigorifera, un magazzino per la stagionatura, una grande stanza per i formaggi molli; e poi i locali per il laboratorio di microbiologia. Oltre, ovviamente, alle aule per le lezioni, la segreteria, la direzione. Alcune stanze sarebbero state certamente messe a disposizione dalla scuola di Avviamento, ma per tutto il resto occorreva un nuovo progetto di costruzione. Dopo qualche perplessità il Comune seguì i suggerimenti di Manstretta, mise sotto pressione i propri tecnici e poi diede via ai lavori, che terminarono nell'estate dell'anno successivo. La spesa fu di 3 milioni e settecentomila lire. Davvero tanto, per quei tempi. Nel frattempo bisognò risolvere anche il problema dei locali dove far mangiare e dormire gli studenti che sareb-

bero arrivati da paesi anche lontani, e che quindi avrebbero dovuto fermarsi a Pandino durante tutta la settimana. Si decise di alloggiarli provvisoriamente presso gli spogliatoi della palestra delle scuole elementari. Parrebbe dunque che tutto sia filato abbastanza liscio. Ed invece non fu così. Per un problema che veniva risolto, ne nascevano altri dieci. Manstretta riuscì nella non facile impresa di tenerci uniti e fortemente motivati nonostante le continue avversità: il fatto è che quando lui era sicuro di qualcosa, non si aspettava alcuna perplessità dagli altri, e procedeva con grande decisione. Noi gli fummo vicini e gli demmo tutta la nostra collaborazione, ma fu lui che - come si dice - tirò davvero il carro. Nell'ottobre del 1954 la scuola Casearia aprì finalmente i battenti. In quei primi anni gli allievi erano molto volenterosi e accettavano di compiere grandi sacrifici per poter imparare il loro mestiere. Dopo le lezioni del mattino andavano in caseificio ad esercitarsi. Inizialmente ci appoggiammo anche a caseifici esterni, nei quali i nostri studenti si recavano la mattina prestissimo ad accogliere il latte ed a compiere le prime lavorazioni. Poi la faccenda divenne troppo pesante per loro e dopo tre anni decidemmo di far esercitare gli studenti solamente all'interno della Casearia. Non per questo la qualità della scuola venne meno, anzi. Manstretta vigilava assiduamente perché tutto funzionasse con grande precisione e serietà. Controllava il lavoro di tutti gli insegnanti, teneva d'occhio il comportamento degli studenti. Se era il caso, riprendeva duramente sia questi (anche con sberloni), che quelli (con sfuriate). Poteva sembrare autoritario. Anzi, a volte probabilmente lo era. Ma il suo obiettivo era quello di dare un grande nome alla scuola, di convincere studenti e famiglie (e gli enti pubblici come il Comune ed il Provveditorato) che la Casearia era un Istituto professionale molto serio e qualificato. Ci riuscì. Nella sostanza, e non nell'apparenza, con 79


TESTIMONIANZE i fatti, più che con le parole. Per questo tutti gli ubbidivano volentieri: sentivano che nel suo animo c'era una grande passione costruttiva. Personalmente mi sono sempre trovato molto bene con lui. Al punto tale che a volte mi chiedevano se fossi suo fratello. Ci accomunava la fermezza e la precisione nelle azioni. A volte si lamentava un po': "Non mi dici mai niente". "Va tutto bene, Alfredo, non ti preoccupare, li regolo io i ragazzi. Li spavento un po' a parole, e loro mi seguono". Quando un allievo non si comportava bene Manstretta mandava a casa una lettera e convocava i genitori. Questi venivano, ma non troppo volentieri, perché dovevano perdere una giornata di lavoro. Dopo un po' cominciarono a lamentarsi con il Provveditore. Io dicevo a Manstretta di calmarsi un po', ma lui non mi ascoltava. Correva dappertutto, parlava con tutti, era sempre di fretta. Una furia. Senza accorgersene dava fastidio a parecchi. Esigeva che la sua scuola migliorasse costantemente. Voleva risolvere tutti i problemi che erano rimasti sul tappeto. A cominciare da quello del convitto. "I ragazzi dormono in locali squallidi, sporchi. Ci girano persino i topi. Bisogna fare qualcosa, bisogna convincere il Comune a costruire un nuovo edificio per la mensa e per il dormitorio", diceva. Fu su quel punto che litigò sia con il sindaco che con il provveditore. Non riuscì a trattenersi di fronte alle resistenze che i due gli opposero. La sfuriata con il provveditore gli fu fatale. Fu costretto ad andarsene dalla Casearia. Avrebbe potuto continuare a dirigere l'Avviamento, ma lui scelse di allontanarsi definitivamente da Pandino. Andò a presiedere una scuola di Vigevano. Era il 1961. Dopo Manstretta, venne nominato direttore per qualche mese il professor Agostino Oirav, un altro bravissimo docente presente alla Casearia sin dall'inizio; poi la scuola fu diretta per otto anni da Carlo Brancale. Nel frattem80

po io ero passato dalle iniziali due mattine settimanali di lezioni a quattro. Dopo Brancale, per due anni ciascuno, la scuola fu guidata prima da don Raffaele Cordani e poi dalla professoressa Matilde Altieri. Nel 1974 l'incarico passò a me. Ho diretto la scuola per quasi vent'anni, e devo dire che è stata per me una esperienza molto impegnativa, ma anche parecchio gratificante. Mi ha sempre consolato il fatto che i nostri diplomati siano stati tutti subito assunti dalle ditte del settore, nelle quali hanno poi ricoperto posti anche di grande responsabilità. In Italia e all'estero. Per esempio in Argentina, dove ex allievi hanno aperto con il tempo dei propri caseifici. Quando mi è capitato di andare da quelle parti per qualche convegno internazionale, loro mi hanno sempre accolto con grande affetto. Una volta alcuni mi nascosero persino il passaporto per impedirmi di ripartire subito. Ci tenevano a mostrarmi quanto erano riusciti ad emergere nella vita grazie alla preparazione, sia scolastica che, soprattutto, umana, ottenuta a Pandino. Gli allievi mi hanno sempre amato, anche se sono sempre stato molto esigente con loro. Davo anche dei 2, dei 3 in pagella! Mandavo le lettere a casa. Ma loro sapevano che era per il loro bene. Con gli anni la scuola si è ingrandita sempre di più, è cambiata, è diventata quasi come una vera e propria azienda. Abbiamo fatto importanti accordi commerciali. Per esempio con la Polenghi. Il provveditore di allora, Ariano, ci ha sempre appoggiati. "La vostra è una scuola atipica - diceva - che va tutelata ed appoggiata con ogni sforzo". Anche il sindaco Invernizzi ci ha dato una grossa mano. È stato ristrutturato il Castello per mettervi un Convitto più decente, poi è stata costruita la nuova scuola ed infine anche il nuovo Caseificio didattico. Negli anni Novanta il corso di studi è stato in parte cambiato dal Ministero. Meno lezioni pratiche, più mate-


TESTIMONIANZE rie teoriche. Poi è stato introdotto anche il biennio postqualifica. La Casearia si è adeguata al mutare dei tempi. C'è chi parla oggi di una crisi nel settore lattierocaseario. Io dico che ci sarà sempre qualcuno che vorrà mangiare i formaggi. Si tratta di continuare a farli bene. Il guaio è che i figli di coloro che tanti anni fa avevano messo in piedi prestigiose aziende italiane, spesso non se la sentono di continuare nel duro lavoro dei loro padri. Preferiscono vendere agli stranieri. E non sempre questi hanno voglia di investire grandi capitali in Italia. Poi è vero che oggi molti giovani non hanno in loro quelle motivazioni che hanno sempre caratterizzato gli allievi della Casearia. Perché sono cresciuti in un mondo troppo facile, troppo consumistico. Parlare di lavoro, oggi quasi li spaventa. Per quanto riguarda la scuola di Pandino, essa

deve tenacemente perseverare nella ricerca della qualità, diplomando ancora - come è sempre avvenuto - capaci e volenterosi tecnici specializzati. Coloro che si iscrivono ancor oggi alla Casearia devono sapere che il loro impegno verrà ripagato da un diploma che li porterà ad un lavoro qualificato. Se penso alla mia vita, devo dire che ho sempre lavorato tantissimo. Dieci anni al Centro sperimentale della Yomo, vent'anni alla Invernizzi, e poi per dieci anni consulente per la Kraft. E per tanto tempo ho insegnato, e poi ne sono divenuto il Direttore, alla Casearia di Pandino. Come ho detto al principio: la mia vita è stata interamente dedicata al latte. Anziché su di un mare salato, ho dunque trascorso la mia vita accanto ad un mare di latte, tutto bianco".

I diplomati dell’anno scolastico 1992-’93 con gli insegnanti Ghitti, Zucchelli, Panigada e gli educatori Marinoni e Pezzini 81


TESTIMONIANZE

Giuseppe Imberti Un alpino ad insegnare

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o e Alfredo Manstretta nel 1954 eravamo già buoni amici. Lui stava mettendo in piedi la Casearia e aveva raccolto intorno a sé parecchi ottimi insegnanti. Ad un certo punto si accorse che mancava però il docente di ginnastica. Sapeva che io avevo frequentato la scuola per ufficiali negli alpini, che prevedeva, tra le altre cose, un duro addestramento fisico (ricordo che durante le esercitazioni nella palestra della caserma c'erano sempre dei barellieri pronti a portare via gli allievi che si facevano male). Sapeva insomma che, dal punto di vista atletico, io ero molto preparato. Un giorno mi disse: "Vuoi farlo tu l'insegnante di educazione fisica?". Fui preso alla sprovvista. Avevo già il mio lavoro di geometra ed ero impegnatissimo a seguire i tanti cantieri aperti nella nostra zona. Prestavo anche la mia opera di consulenza ad una società del gas. Insomma, ero sempre indaffarato. Ma Manstretta era un vero amico, e ad un amico in difficoltà non si può certo dire di no". È lo stesso Giuseppe Imberti a raccontare oggi come sia riuscito, 50 anni fa, lui che insegnante certo non era, a divenire il primo docente di ginnastica della neonata Scuola Casearia di Pandino. "Gli inizi furono davvero molto duri. Facevo lezione nella palestra delle elementari. Ma spesso i locali erano già occupati dai bambini della scuola, e quindi mi toccava tenere i miei ragazzi in classe. In quei casi mi inventavo lezioni alternative, peraltro assai utili. Come educazione stradale, per esempio, oppure educazione alimentare. Senza volerlo - e per necessità - ho anticipato di 40 anni quello che si fa a scuola oggi. Ricordo che i nostri allievi dormivano negli spogliatoi della palestra. Sembravano dei baraccati, poverini. Una sera io, Manstretta, Cesaris ed il segretario comunale Gallo 82

siamo andati a trovare il vice presidente della provincia, Crivelli, per convincerlo a far mettere in ordine alcuni locali nel Castello, così da ricavarne un convitto più decente. Lui acconsentì, ed i nostri ragazzi poterono successivamente trasferirsi in stanze meno anguste. Erano dei giovani davvero bravi. Avevano una forza di volontà straordinaria. Dovevano sopportare condizioni molto pesanti, eppure non si lamentavano. Ed alla fine riuscivano poi a trovare dei buoni posti di lavoro. I proprietari dei caseifici venivano ad assistere agli esami, e "prenotavano" i nostri studenti migliori. Alcuni di questi hanno fatto carriere davvero prestigiose. Molti altri, peraltro, sono diventati tecnici specializzati assai richiesti e stimati nel settore. Il merito di tutto ciò va dato soprattutto a Manstretta. È lui che da subito ha voluto edificare una scuola professionale di alto livello. Alfredo era un uomo precisissimo, rigoroso, un grande lavoratore. Ricordo che quando la sera si usciva insieme con gli amici, alle 22 lui sempre ci salutava, dicendo che doveva andare a riposare per recuperare le forze, perché l'attendevano, il giorno dopo, parecchi impegni. Tra i quali, per esempio, la rilettura dei compiti già corretti dagli altri insegnanti. Perché lui vigilava su tutto, voleva che tutto fosse in ordine. Nella mia vita ho poi conosciuto tanti presidi, ma come Manstretta non ne ho incontrato nessuno. Non solo teneva alla forma, ma anche alla sostanza. Sapeva inoltre aiutare umanamente le persone in difficoltà. Per esempio, quando sapeva che avevo un impegno improcastinabile di lavoro, lui mi sostituiva personalmente nelle lezioni. Tra le altre cose, teneva particolarmente al rispetto degli orari della scuola. Le lezioni iniziavano ufficialmente alle 8,30 e terminavano alle 12,30. Guai a quell'insegnante che osava terminare la spiegazione anche solo qualche minuto prima! Un giorno, appena prima le vacanze pasquali, un docente meridionale dell'Avviamento (Manstretta dirige-


TESTIMONIANZE va anche quella scuola) gli chiese di poter uscire un'ora prima, perché altrimenti avrebbe perso il treno per andare dai suoi parenti in Sicilia. Il direttore gli negò il permesso. Poi mise mano al portafogli e gli diede dei quattrini. "Con questi prenda l'aereo, così non dovrà uscire prima da scuola e non perderà quell'ora di lezione", gli disse. Manstretta era fatto così. Avrebbero dovuto farlo Ministro della Pubblica Istruzione, a mio parere. Era troppo bravo. Come detto, la Casearia è nata grazie a lui. Gli altri due "pilastri" della scuola sono stati la signora Carla Marenghi e don Raffaele Cordani. La prima ha gestito con grande perizia e serietà la segreteria, svolgendo abilmente tutti i non facili compiti che le venivano continuamente affidati. Don Raffaele ha sempre creduto in questa scuola e l'ha appoggiata con tutta la sua forza. Ha poi gestito il Convitto con grande bravura ed equilibrio. Intere generazioni di ragazzi sono diventati uomini grazie ai suoi rigorosi insegnamenti.

Alfredo Manstretta lasciò la scuola nel '61. Non ho mai saputo l'esatto motivo. So che non l'avevano accontentato in qualche sua richiesta. Non era la prima volta: aveva sempre dovuto combattere per ottenere qualcosa. E non sempre riusciva nel suo intento. Per esempio, ad un certo punto si era messo in testa di affiancare alla casearia un corso professionale per mungitori e allevatori. Ma ostacoli burocratici glielo impedirono. Lui odiava la burocrazia. Quella volta, nel 1961, decise di sbattere la porta. Lasciò Pandino e se ne andò a dirigere un istituto superiore a Vigevano. Non per questo smisi di vederlo. Ricordo che ad un certo punto diventarono di moda le minigonne. E Alfredo si metteva davanti alla porta della sua scuola con un metro in mano, a misurare la lunghezza delle gonne delle sue allieve. Chi l'aveva troppo corta doveva tornarsene a casa. Altri tempi, altri uomini. Ho smesso di lavorare alla Casearia nel 1970, e sei anni dopo ho lasciato definitivamente l'insegnamento".

Il preside Ruggero Lazzarotto, in primo piano a destra, e il prof. Imberti premiano gli studenti per meriti sportivi. Sono inoltre riconoscibili il maestro Daniele Scotti, a sinistra nella foto, e il direttore del convitto Umberto Marinoni 83


TESTIMONIANZE

Agostino Oirav Quando gli insegnanti dovevano scriversi i libri di testo

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ell'elenco dei professori della prima e unica classe del 1954 della neonata Scuola Casearia di Pandino si trova scritto anche il suo nome: "Oirav Tino, insegnante di matematica, igiene, contabilità macchine, legislazione". Un insieme un po' eterogeneo, non le pare? "Certo, perché le materie furono individuate ed affidate secondo le necessità della scuola e, soprattutto, in relazione alla disponibilità e alla preparazione di ciascun insegnante. Bisognò arrangiarsi: non c'erano punti di riferimento ministeriali (stava nascendo un istituto assolutamente innovativo), e le risorse erano limitate. Si trattava di impostare un programma decente in base agli esperti che Manstretta era riuscito a riunire accanto a sé nel suo progetto. Persone di grande valore individuale, peraltro. Credo che alla fine riuscimmo nel nostro intento". Incontriamo Agostino Oirav nella sua casa di Crema. Ora è in pensione, dopo una vita interamente dedicata alla scuola. Lasciata la Casearia nel 1962, ha poi diretto alcuni Istituti scolastici della nostra provincia. Quando gli chiediamo di parlare della Casearia deve fare uno sforzo di memoria. "È passato già mezzo secolo!", esclama. Poi si concentra ed inizia a raccontare. "Nel luglio del 1954 mi ero appena laureato in scienze agrarie a Milano. Avevo già 29 anni, perché la guerra mi aveva fatto perdere del tempo prezioso. Lavoravo come direttore in un allevamento avicolo. Un giorno un 84

amico di mio padre, un certo Merico, gli riferì che c'era un tizio a Pandino che stava cercando giovani neolaureati da inserire come docenti nella sua scuola per esperti casari. La scuola non c'era ancora, ma lui intendeva fondarla a tutti i costi. La faccenda mi incuriosì e gli andai a parlare. "Per adesso posso offrirle 5 ore di insegnamento la settimana. Potranno aumentare se le cose dovessero mettersi al meglio. Non so ancora se la scuola potrà davvero nascere e, soprattutto, se poi continuerà ad esistere. Ma lei non ha nulla da perderci. Se tutto andrà bene potrà insegnare qui, altrimenti si sarà fatto comunque una esperienza utile", mi disse. Accettai. Allora non potevo ancora saperlo, ma da quel momento in poi il mondo della scuola entrò a far parte della mia vita, rimanendovi per sempre". Che tipo era Alfredo Manstretta? "Era un uomo molto socievole. Dava l'impressione di stimare molto gli altri. Per quanto mi riguarda, mi incoraggiò sempre molto. A differenza di altri insegnanti, io non fui mai strapazzato da lui. Era un bravissimo organizzatore. Non aveva interessi economici personali, ma agiva in maniera totalmente disinteressata. Nel suo cuore c'era sempre la scuola, e la scuola soltanto". Lei come organizzò il proprio lavoro? "Come ho già detto, io e gli altri insegnanti abbiamo dovuto inventarci i programmi di sana pianta. Per quanto riguarda la disciplina di "macchine e costruzione casearie", addirittura, non esistevano in commercio neppure i libri di testo. Dovetti scrivere personalmente delle dispense per gli allievi. Andai all'Alfa Laval di Crema e mi feci dare tutti i depliant che avevano sui loro macchinari. Me li studiai attentamente. Mi informai


TESTIMONIANZE anche circa alcune tecnologie allora avveniristiche; per esempio il tetrapak. Fui io, tra i primi in Italia, ad insegnarlo ai miei allievi". E costoro come erano, come si comportavano? "Erano ragazzi bravissimi. Si impegnavano al limite delle loro possibilità. Non ho mai registrato alcun problema disciplinare, anzi. Si lavorava e si studiava insieme. Eppure alcuni di loro avevano non pochi problemi esistenziali e sociali, che rischiavano di influire negativamente sulla formazione del carattere. Ed invece sono riusciti a diventare poi delle ottime persone. Anche grazie alla Casearia. Non solo studiavano le materie teoriche e lavoravano nel caseificio e nel laboratorio, ma dovevano abituarsi a tenere in ordine e pulito il proprio abbigliamento, così come i locali dove andavano ad imparare il mestiere di casaro. Finite le lavorazioni prendevano scope e strofinacci e pulivano in terra. In questo modo acquisivano una encomiabile autodisciplina. Non sempre comunque tutto filava liscio. Ricordo che una volta un allievo per distrazione si tagliò un dito durante una lavorazione. Lo portai subito in ospedale. Ma allora la chirurgia non era specializzata come ora, e non riuscirono ad attaccargli il pezzo reciso".

assunti dalle principali e più prestigiose aziende del settore. Il fatto è che a quei tempi il direttore poteva scegliere gli insegnanti e persino il personale di segreteria. E questo faceva sì che nascesse uno spirito di gruppo davvero positivo. Oggi, con i vincoli burocratici introdotti nel sistema scolastico italiano, la cosa non sarebbe più possibile". Ricorda qualche momento particolarmente felice? "Alla fine del primo anno di scuola andammo cinque giorni in gita in Svizzera. C'erano tutti i ragazzi, e c'era anche Manstretta. Si trattò veramente di un viaggio di istruzione perché visitammo i caseifici locali, per cercare di imparare a fare l'Emmenthal. Ci divertimmo molto". Come terminò la sua esperienza alla Casearia? "Nella primavera del 1961 Manstretta decise di lasciare la scuola; tutti ne rimanemmo molto amareggiati. Da qualche anno ero passato ad insegnare diciotto ore la settimana. Decisero di affidare a me, ad interim, la direzione. La tenni dal primo di maggio sino al 30 settembre di quell'anno. Poi venne designato come nuovo direttore il prof. Carlo Brancale. L'anno seguente, dopo aver vinto un concorso ordinario come preside, me ne andai dalla scuola di Pandino".

Ed i colleghi? "Avevano tutti un altro lavoro, ed erano molto impegnati. Era difficilissimo riuscire a fare un orario che accontentasse le esigenze di ciascuno. Ma erano liberi professionisti molto preparati nei loro campi disciplinari e ciò, nonostante i problemi e le incertezze di un campo educativo ancora inesplorato in Italia, rese possibile un lavoro scolastico di notevole livello. Furono loro a rendere da subito alta la qualità della Casearia. Non a caso i nostri diplomati venivano immediatamente richiesti ed 85


TESTIMONIANZE

Pierangelo Renzi Quel convittore che non aveva mai visto la neve

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el 1954 abitavo con i miei genitori a Corte de’ Cortesi. Da tre anni avevo finito la scuola media e facevo diversi lavoretti. Un po' aiutavo mio padre - che aveva una impresa edile - un po' andavo in campagna; e poi svolgevo la funzione di operaio generico presso un caseificio della zona. Un mio ex professore delle medie, Ceccarini, voleva che io facessi proprio il casaro e, dopo aver tenuto lui stesso un breve corso sulla lavorazione del latte a me e ad alcuni miei amici, si ripromise di aprire ufficialmente una scuola professionale casearia a Casalbuttano. Impostò le pratiche necessarie, chiese le dovute autorizzazioni, ma in ambito provinciale fu "bruciato" sui tempi da Manstretta, che durante quell'estate aveva già cominciato a raccogliere gli iscritti per la sua nuova scuola casearia che avrebbe aperto i battenti in autunno. Fu così che io ed i mie amici lasciammo il nostro deluso Ceccarini e ci ritrovammo, un giorno di ottobre di quel '54, a prendere dapprima il treno da Casalbuttano a Crema, e poi la corriera da Crema a Pandino. Fu un viaggio assai avventuroso. Arrivammo in paese con le nostre valigie, sulle spalle portavamo faticosamente i materassi. Ci avevano detto che la scuola poteva mettere a disposizione solo le reti. Una signora del paese, vedendoci scendere in gruppo dal pullman, esclamò: "Ma che bei bagai!". Intendeva dire che eravamo dei bei ragazzi. Ma per noi "bagai", nel nostro dialetto, significa bagagli. E non capimmo cosa ci fosse di tanto bello nelle nostre valigie di cartone e, soprattutto, nei nostri materassi portati goffamente a spalla. Avevo diciassette anni. Fu quello il mio primo impatto con Pandino". 86

A parlare è Pierangelo Renzi, uno dei 22 ragazzi che per primi si iscrissero mezzo secolo fa alla scuola Casearia. Oggi abita a Caravaggio, ed è da qualche tempo in pensione, dopo aver lavorato per trent'anni - sino ad assumere posti di grande responsabilità - alla Invernizzi. Ha sposato una ragazza di Pandino, Enrica Ferrani, e suo figlio Maurizio, dopo aver frequentato a sua volta l'Istituto caseario, lavora attualmente nel settore lattiero-caseario. Renzi è stato uno dei promotori dell'Associazione ex allievi, e porta ancora nel cuore un grande affetto per la scuola che lo ha preparato, tanti anni fa, ad affrontare una vita di lavoro e di riconoscimenti. Quando gli si chiede di parlare della Casearia non si tira indietro. Anzi, diventa uno straripante fiume in piena. Ricorda tutto e tutti, e ne parla con sincero entusiasmo. Ascoltarlo è come viaggiare nel tempo e ritrovarsi alle origini dell'Istituto pandinese. Ecco, torniamo appunto all'inizio della sua storia: Pierangelo Renzi è sceso con gli altri ragazzi dalla corriera, ha ascoltato stupito il commento di quella signora, e si avvia un po' timoroso verso la palazzina che ospita la scuola. Quella scuola che, in due anni, lo trasformerà in "esperto casaro". In classe, la prima cosa che ci disse il prof. Ghitti fu: "Qui a Pandino dovrete versare lacrime e sangue per poter imparare bene il vostro futuro mestiere. Dunque impegnatevi al massimo". Noi ci guardammo un po' spaventati. Alcuni ragazzi, poco tempo dopo, si sarebbero ritirati dalla scuola - non ce la facevano proprio più - ma noialtri continuammo intrepidi. Eppure la scuola era veramente dura. Eravamo divisi in squadre da tre. Ogni squadra ruotava su più turni: due turni nei laboratori didattici, due nel caseificio interno, sei turni presso i caseifici esterni. Dalle 5 alle 8 del mattino si lavorava nei caseifici esterni, dalle 8 alle 8,30 c'era la colazione, poi sino alle 12,30 si andava a scuola per le lezioni teoriche e nei laboratori.


TESTIMONIANZE Il pomeriggio, quando era il proprio turno, si andava nel caseificio interno. Per poter essere la mattina alle cinque nei caseifici esterni, dovevamo alzarci alle quattro. Ci si lavava, ci si vestiva e poi via, in bicicletta, nel buio e nel freddo della notte, mentre tutti ancora a Pandino dormivano. Con la pioggia o con il vento. Ricordo che una volta era scesa di notte così tanta neve che per raggiungere il caseificio "Grioni" di Nosadello impiegammo quasi due ore. Non riuscivamo a stare in piedi, era un continuo cadere. Due altri caseifici esterni alla scuola si trovavano a Pandino (erano di Garbelli e di Bocchi), uno a Spino (la Lanc, mi pare), uno ad Agnadello (di Uberti), ed infine un altro a Dovera. Quel primo anno dormimmo negli spogliatoi della palestra delle scuole elementari: due piccole stanzette riempite dai letti a castello da tre posti. Venti ragazzi in due stanze! Il secondo anno ci siamo trasferiti in alcuni locali del Castello, là dove oggi hanno sede la sala giochi e la sala studio del Convitto. Ci sembrava di essere in una reggia. Mangiavamo nello scantinato delle scuole elementari, nella mensa di quella scuola. Attilio e Maria Marzagalli, i bidelli, erano i nostri cuochi. Il menù? Pane e latte il mattino, la minestra a pranzo, pane e latte per cena. Eravamo sempre affamati. Si andava poco a casa: una o due volte al mese. Primo, perché viaggiare costava, e noi non avevamo certo molti soldi in tasca, e poi perché c'erano spesso i turni anche la domenica. Lavoravamo in caseificio anche durante le vacanze invernali e per 20 giorni durante quelle estive. Il corso durava due anni, e poi si usciva "esperti casari". In Convitto, nel 1954, eravamo assistiti da Alfredo Dornetti, un giovane perito agrario che in breve tempo divenne nostro amico. Stava insieme a noi durante l'ora di studio e poi ci sorvegliava nel momento in cui dovevamo andare a dormire. Spesso gli facevamo degli scherzi,

Pierangelo Renzi, a destra, nel ruolo di assistente tecnico

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TESTIMONIANZE soprattutto gavettoni. A volte, alla sera, volevamo andare al Bar Sport ad assistere a qualche spettacolo. Ricordo che a quei tempi eravamo molto attratti dagli incontri di pugilato: c'erano Mazzinghi e Benvenuti. Chiedevamo il permesso a Dornetti, ma lui non voleva quasi mai. Allora andavamo a chiedere l'autorizzazione al direttore Manstretta, e lui ci lasciava andare. Anche lui era un grande appassionato della boxe. L'anno successivo venne invece a guidare il convitto don Raffaele, che stava anche a dormire con noi in una saletta a lui riservata nel Castello Visconteo. Ben presto fu soprannominato da noi ragazzi "don Canéla", per il rigore e la fermezza (e anche qualche scapaccione) con il quale faceva rispettare le regole convittuali, e in modo particolare gli orari. Ricordo che più di una volta qualche convittore dovette andare andare a dormire da qualche amico pandinese, dopo essere stato chiuso fuori da don Raffaele perché era arrivato tardi in convitto. In quei casi non c'erano grida o pianti che potessero smuovere a pietà il sacerdote. Eppure sapeva anche essere tollerante. Per esempio sapeva che alcuni ragazzi non erano religiosi, che non andavano in chiesa. Non disse loro mai nulla. Non li rimproverò per la loro ideologia. Ma se non ti alzavi in tempo la mattina - e non era facile tirarsi su alle quattro - lui cominciava a scuoterti nel letto sino a quando non eri costretto ad uscire in tutta fretta dalle coperte. Sin dal primo anno si evidenziò quell'elemento che è poi rimasto una caratteristica peculiare della Casearia: la diversa ed eterogenea provenienza degli allievi. La scuola di Pandino è stata davvero sempre un punto di riferimento importante per tutta l'Italia. I ragazzi, oltre che dalla provincia di Cremona, arrivavano dalle più disparate regioni del Paese. Ricordo un mio compagno della Campania: non aveva mai visto in vita sua la neve. Una mattina, al risveglio, vide che fuori era tutto coperto da 88

qualcosa di bianco. Aveva nevicato. Ma lui non sapeva cosa fosse tutta quella coltre immacolata. Si mise ad urlare spaventatissimo: "Ma cosa è successo? Cosa è successo?". Oltre ai diversi insegnanti, tutti bravissimi e preparati, il nostro punto di riferimento a scuola era certamente il direttore Alfredo Manstretta. Era lui l'anima della scuola Casearia di Pandino. Dopo essermi diplomato nel 1956, lavorai per due anni in un caseificio a Brescia, ma poi fui improvvisamente chiamato da Manstretta: voleva che collaborassi con lui. Accettai con grande entusiasmo. Divenni così - insieme a Giovanni Spinelli e ad Aristide Melegari (con noi c'era anche un casaro di nome Nerino), uno dei tecnici di caseificio nella stessa scuola dove avevo studiato. Potei così conoscere a fondo il direttore. Alfredo Manstretta era una persona decisamente particolare. Non aveva paura di niente. Quando voleva una cosa, faceva di tutto per ottenerla, senza troppo badare alla forma. Possedeva un grande coraggio. Con forza era riuscito a mettere in piedi la Casearia, e con ancor più forza dovette lottare per tenerla in vita. Non fu una impresa facile. Ricordo che alla fine di quel primo mese di ottobre del '54, nel momento di salutarci prima delle vacanze d'inizio novembre, entrò in classe e ci disse: "Ragazzi, non so se al vostro ritorno la scuola ci sarà ancora". Per fortuna la Casearia non chiuse. Era un pioniere, odiava la burocrazia ed il rispetto formale delle regole. Per lui contavano esclusivamente i risultati. Aveva in mente solo il bene della scuola. Ricordo le sue furiose litigate con Leone Soldani, il preside dell'Istituto professionale di Viadana, da cui Pandino dipendeva. Soldani era caratterialmente il contrario di Manstretta: ligio al dovere e al più scrupoloso rispetto degli adempimenti burocratici, timoroso di pestare i piedi ai superiori gerarchici, pativa sensibilmente il modo di fare del direttore della Casearia. Ogni volta che veniva a


TESTIMONIANZE Pandino trovava delle novità, per lui immancabilmente spiacevoli. Manstretta aveva cambiato l'orario delle lezioni senza avvisarlo, oppure aveva acquistato dei macchinari con fondi non ufficiali. Soldani, che era oltretutto molto orgoglioso, andava su tutte le furie. Non sopportava che in qualche modo Manstretta avesse deciso di testa sua, che non lo avesse avvertito prima di intraprendere un’azione, che si fosse permesso di scavalcare la sua autorità. Dopotutto era lui il preside! I due cominciavano allora a litigare; si potevano sentire le loro voci da tutta la scuola. Più volte tememmo che venissero alle mani. Eravamo pronti a dividerli con la forza. Ma non fu mai necessario. Ogni volta accadeva il miracolo: i due uscivano dall'ufficio, dopo essersele dette di tutti i colori, sorridenti e tranquilli, spesso addirittura abbracciati. Il fatto è che Soldani, messo da parte l'orgoglio, capiva che Manstretta aveva agito per fin di bene. Che in sostanza si era dato da fare solo ed esclusivamente per favorire la scuola. Certo, spesso senza rispettare gli adempimenti burocratici. Ma risolvendo concretamente, e velocemente, i problemi. E allora Soldani lo perdonava. Una volta, durante le ferie estive, fui chiamato in Francia per una consulenza. Fui pagato molto bene. Al ritorno dissi dei soldi a Manstretta. "E pensare - gli confidai - che io non avevo chiesto nulla in pagamento". "Allora faccia così", mi rispose. "Dia la metà di quello che ha guadagnato alla scuola, così possiamo comprare i banchi del laboratorio di analisi". Io accettai, ed i banchi arrivarono. Quando Soldani poi li vide, andò su tutte le furie. "Ma come si è permesso di acquistare del materiale senza avvisarmi?", urlò a Manstretta. E da lì partì la solita furiosa litigata con la solita pace finale. Erano come cane e gatto, ma tutto sommato entrambi amavano la Casearia, e per questo, in fondo all'animo, si rispettavano.

Come detto, comunque, la vita di Manstretta non fu facile. Certo, aveva dalla sua l'appoggio del sindaco di allora, Costantino Nevicati, e del segretario comunale Gallo. Ma, per esempio, tutto il resto del consiglio comunale gli era contro. Una volta mi prestò la sua automobile e mi mandò in missione a Cremona. Aveva saputo per caso che mio padre era molto amico del senatore Zelioli Lanzini. Mi spedì da lui per perorare la causa della Casearia. Aveva sentito dire che in provveditorato la volevano chiudere. Andai a riferire la cosa al senatore, il quale, davanti a me, sbottò dicendo: "Ma sono matti quelli! Voler chiudere una scuola così bella ed importante! Interverrò senz'altro io". E la scuola fu salva. Ho sempre avuto l'impressione che Manstretta avesse qualche santo in paradiso. E se anche non fosse stato vero, lui comunque si comportava come se lo fosse. Per esempio, nei primi anni, veniva spesso il rappresentante di Crema dell'Alfa Laval per avere i soldi pattuiti al momento della vendita (o dell'affitto, non ricordo) dei macchinari alla Casearia. Manstretta lo rimandava sempre indietro, senza dargli una lira. Non ne aveva! Allora quello gridava che sarebbe venuto a ritirare tutto. Che avrebbe avvisato il provveditore, che avrebbe fatto chiudere la scuola. Ma poi il nostro direttore faceva una telefonata a Milano, e dopo qualche giorno arrivava a Pandino un alto dirigente milanese dell'Alfa Laval e le cose si aggiustavano: nessun sequestro, altra dilazione di tempo per pagare i macchinari. I laboratori erano salvi. Una speciale qualità di Alfredo Manstretta era quella di saper motivare i suoi collaboratori. Aveva riunito intorno a sè il fior fiore degli esperti caseari italiani. Erano insegnanti universitari di fama internazionale, liberi professionisti già assunti da grandi ditte; costoro avevano aderito con entusiasmo al suo invito di dedicare parte del loro prezioso tempo alla nostra scuola. Non so cosa li spingesse a venire a Pandino a tenere le loro lezioni. Anzi, 89


TESTIMONIANZE penso di saperlo: la passione contagiosa di Manstretta, il suo grande entusiasmo, l'aria di famiglia che si respirava alla Casearia, la libertà di sperimentare e di lavorare secondo le proprie libere convinzioni. Inoltre questi scienziati - perché tali erano per davvero - vedevano il grande impegno profuso dagli allievi, la loro commovente volontà di imparare, la dedizione, e ne rimanevano affascinati. Si affezionavano a loro, anche quando magari come faceva per esempio il prof. Ghitti - mostravano la faccia dura e minacciosa per esigere di più. La scuola funzionava bene. Fummo i primi, tra i paesi dell'Alto cremasco, a produrre e a vendere il latte alimentare. Pandino, Spino, Rivolta, Agnadello e Monte Cremasco compravano il latte prodotto da noi. Più tardi la Voltana acquisì la produzione. Avevamo uno spaccio interno in cui si vendevano i formaggi fatti dal nostro caseificio, dai nostri ragazzi. Per tutti questi anni la scuola di Pandino ha fornito i tecnici più preparati all'industria lattiero-casearia italiana. Gente che si è fatta valere e che ha raggiunto in molti casi posti di grande prestigio e responsabilità. Ad un certo punto le regole burocratiche l'hanno un po' penalizzata. Per esempio, il dover rispettare le graduatorie provinciali per la scelta dei docenti. Cosa può insegnare un tecnico pugliese, esperto magari solo di olio, ai nostri allievi? Ma per fortuna queste sono state solo delle eccezioni, ed una delle caratteristiche che hanno sempre reso particolare la Casearia è stata la compattezza e la professionalità del proprio corpo docente. Devo dire che mi lasciano un po' perplesso i cambiamenti introdotti negli anni '90 dalla riforma dei professionali. A mio giudizio sarebbe stata preferibile una scuola di cinque anni tutta dedicata alla sola produzione casearia. Magari una scuola regionale, con la chiamata diretta degli insegnanti. Ricordo che Manstretta, 90

nella sua grande capacità di pensare in grande, aveva già ipotizzato questa possibilità: non solo un corso di due o di tre anni, bensì un curriculum quinquennale per tecnici caseari. Addirittura aveva già avviato dei contatti per far venire l'Università a Pandino. Ci pensa? L'Università degli Studi di Milano stava per aprire una sua succursale per preparare super esperti del settore lattiero-caseario! Fu l'ultima scommessa per Alfredo Manstretta. Qualcosa andò storto. L'Università non arrivò. Le forze da sempre contrarie alla Casearia ripresero vigore. In qualche modo riuscirono a far mandare via il nostro direttore. Era il 1961. Manstretta lasciò la Casearia. Se ne andò anche da Pandino e non volle mai più tornare. Andò a dirigere una scuola di Vigevano. Anni dopo lo invitammo a ritirare una medaglia d'oro, non ricordo più per quale occasione. Ci ringraziò, ma non venne alla cerimonia. Il dover lasciare la sua scuola lo aveva troppo amareggiato. Anch'io, sempre nel 1961, lasciai la Casearia. Ero molto legato a Manstretta, perché per molti versi ero il suo collaboratore preferito. Lavoravo anche 35 ore la settimana, svolgevo per lui i più svariati incarichi, anche di responsabilità. Non fu più così con il nuovo direttore. Allora preferii andarmene. Venni assunto dalla Invernizzi, dove ho trascorso 30 anni della mia vita. Ma non per questo ho dimenticato la Casearia, anzi. Ho sempre partecipato alle riunioni degli ex allievi, ed ho mantenuto contatti stretti con i miei compagni di allora. E porto sempre Pandino nel cuore".


TESTIMONIANZE

Daniele Bassi Un’Associazione di amici

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ra le tante caratteristiche che rendono la Casearia ancora oggi un Istituto professionale più unico che raro nel panorama scolastico italiano, vi è certamente il forte legame che da sempre unisce gli ex allievi sia alla scuola, che li ha educati come uomini e formati come lavoratori, sia fra di loro. Un legame che è stato sancito ufficialmente da una apposita associazione. Per meglio capirne le origini e gli scopi, abbiamo rivolto alcune domande a Daniele Bassi, ovvero l'attuale presidente del sodalizio. Signor Bassi, come e perché è nata la vostra associazione? "L'Associazione Diplomati Scuola Casearia di Pandino è nata nel 1960 grazie alla volontà dell'allora direttore della scuola prof. Manstretta, nonché del prof. Ghitti e di alcuni diplomati dei primi corsi, tra i quali Pierangelo Renzi, Ermanno Schiavini e Remo Stabile. Quest'ultimi, dopo il diploma e l'ingresso nel mondo del lavoro, sentirono la necessità di rivedersi, per ricordare le giornate trascorse insieme a scuola, nel caseificio didattico, nel convitto o semplicemente in giro per il paese di Pandino; oppure per scambiare opinioni sui rispettivi lavori e confrontare le proprie esperienze sulle tecniche di lavorazione nei caseifici industriali. Tutti quanti erano legati e stregati dalla affascinante arte di trasformare il latte. Venne redatto uno statuto sociale, si elessero i membri del consiglio direttivo, si iniziò a stampare un giornalino, "La nostra voce", si cominciarono ad organizzare i rapporti fra le aziende di produzione ed i diplomati, e così col passare degli anni ci si ritrovò sempre più numerosi, sempre

più entusiasti delle proprie esperienze lavorative e con grande voglia di stare insieme. Successivamente, a seguito della necessità di aggiornamento degli associati, iniziò un programma culturale piuttosto intenso: furono organizzati corsi tecnico-pratici, tenuti da alcuni soci che ricoprivano incarichi di rilievo nell'industria lattiero-casearia; seguirono incontri a carattere tecnico-scientifico con l'apporto di ricercatori e docenti universitari. Ancora oggi è preoccupazione del comitato esecutivo dell'associazione organizzare incontri, visite nelle aziende del comparto e partecipare a fiere internazionali per contribuire alla crescita culturale dei soci". Quali sono gli scopi del vostro sodalizio? "Le risponderò citando l'articolo 2 del nostro Statuto sociale. Le finalità dell'associazione diplomati della scuola Casearia sono: assistere moralmente e socialmente i soci; mantenere stretti vincoli di colleganza fra i soci e fra i soci e la scuola; organizzare corsi di aggiornamento per accrescere la cultura tecnico-scientifica; promuovere gite e visite turistiche istruttive in Italia ed all'estero; redigere un notiziario dell'Associazione recante notizie di carattere tecnico e notizie sulla carriera dei soci; stimolare ogni iniziativa atta ad accrescere il prestigio della scuola ed i mezzi strumentali di cui essa deve disporre". Che attività si svolgono nell'associazione e quali sono le caratteristiche lavorative degli ex allievi? "I diplomati della Casearia prestano la propria attività nelle più importanti aziende del settore lattiero-caseario (produzione di formaggi e latticini, derivati del latte), nonché in quello alimentare (dolciari, dietetici, succhi e bevande), rivestendo incarichi anche ad alto livello. Grazie alla loro capacità tecnica e operativa sono molto 91


TESTIMONIANZE apprezzati e richiesti in tutte le fasi essenziali della filiera di produzione. A tal proposito, la nostra associazione offre un servizio continuo e disinteressato a quei soci che per motivi più diversi si trovino nella necessità di ricercare un nuovo posto di lavoro. Analogo servizio viene fornito alle aziende, che numerose ci fanno pervenire richieste di tecnici qualificati. La gestione oculata di questi contatti ha consentito spesso di soddisfare pienamente le aspettative delle parti. Specificatamente i nostri tecnici si occupano di analisi chimiche, microbiologiche e sensoriali degli alimenti, della valutazione qualitativa per il pagamento differenziato del latte, della diffusione e dell'assistenza per l'impiego di fermenti lattici e colture specifiche. Conoscono l'organizzazione del lavoro e l'organizzazione delle linee di produzione. Sono in grado di fornire consulenze tecnologiche per la produzione di latte alimentare, latte fermentato, derivati del latte, formaggi a pasta filata, formaggi a pasta molle, formaggi a pasta semi-dura, dura, a media e lunga stagionatura, formaggi pressati, formaggi con latte di pecora e capra, formaggi fusi". Quali sono stati i vostri principali interventi nell'ambito della Casearia? "Negli anni 1980-1981, in occasione della ristrutturazione del mondo della scuola apportata dal Ministero, si cominciò già a discutere dell'ipotizzato prolungamento degli studi professionali da 3 a 5 anni. In quel periodo più volte abbiamo sottolineato l'esigenza di un profondo rinnovamento delle strutture messe a disposizione dell'Istituto: le aule ed il caseificio erano diventati inadeguate e fatiscenti. La nostra Associazione è intervenuta in diverse occasioni con convegni, raccolta di relazioni dal mondo dell'istruzione e dalle aziende di produzione, nonché con incontri presso il Provveditorato, per spronare la 92

realizzazione della nuova scuola e successivamente del caseificio didattico. I nostri sforzi sono andati a buon fine. Più recentemente, nel 1998, in un clima di disorientamento generale della scuola, alle prese con l'ipotesi di un nuovo ordinamento scolastico e di una maggiore autonomia locale, in occasione della nostra assemblea annuale, abbiamo voluto organizzare una tavola rotonda con i dirigenti della Casearia e dell'Istituto agrario di Cremona dal quale Pandino dipende, e con la partecipazione di docenti di altri Istituti e di giornalisti. Abbiamo voluto sottolineare l'atipicità della nostra scuola, per indirizzare gli attuali docenti ed i tecnici ad un metodo formativo davvero efficace, sperimentato in passato ma ancora di grande interesse, costituito dalla presenza nel corpo insegnante di tecnici specializzati del settore e, soprattutto, da una lavorazione del latte nel caseificio didattico svolta in modo continuativo e con grandi quantità, necessarie per poter produrre le molteplici tecnologie dei formaggi. Ancora oggi vogliamo continuare la nostra opera di sensibilizzazione su questo fondamentale argomento, in collaborazione con il direttore Alquati e con gli altri docenti (tra i quali figura Carla Bertazzoli, ex allieva e nostra associata). Inoltre alcuni nostri soci prestano alla Casearia la loro consulenza nell'ambito della cosiddetta "Area professionalizzante", attraverso lezioni teoriche in classe e tecnico-pratiche in caseificio. Tutti i nostri interventi nell'ambito scolastico sono indirizzati da una chiara filosofia formativa di fondo: a nostro parere gli studenti della Casearia devono necessariamente ed il più possibile "mettere le mani nel latte", perché solo così potranno ottenere un’esperienza personale valida ed adeguata alle richieste delle aziende del settore, favorendo il loro ingresso nel mondo del lavoro".


TESTIMONIANZE Quali sono gli ex allievi che più partecipano alle vostre attività? "Le attività societarie, proprio perché hanno la caratteristica di aggiornamento dei Soci, vedono una maggiore partecipazione dei diplomati dei primi anni della Scuola, particolarmente interessati alle novità del settore e alla scoperta di realtà produttive diverse da quelle quotidiane". Che altro potete offrire ai vostri associati? "Quando sono entrato nel comitato esecutivo ho fortemente voluto che gli atti dei convegni tecnico-scientifici da noi organizzati fossero tutti registrati su cassette VHS. Innanzitutto per creare un archivio nostro e poi per permettere a tutti i soci, anche a chi non ha potuto partecipare agli incontri, di potersi aggiornare rivedendo i filmati. Attualmente sono disponibili presso la nostra segreteria gli atti dei convegni: "Il formaggio grana, fra tradizione e nuove tecnologie" (1996); "Il formaggio provolone: aspetti della moderna tecnologia" (1997); "I batteri lattici tra tecnologia e salute, i fermenti probiotici" (2000); "Tecnologie emergenti nel settore lattiero-caseario" (2002). Vengono inoltre organizzate uscite ricreative utili per l'aggiornamento dei nostri iscritti. Per esempio, abbiamo già effettuato visite tecniche alla azienda Giglio di Reggio Emilia ed in un caseificio di parmigiano reggiano nel modenese; in Val D'Aosta alla scoperta della fontina, del fromadzo e del lardo d'Arnaud; sull'Altopiano di Asiago in un caseificio tradizionale di asiago d'allevo e ad una cooperativa di asiago pressato; in Piemonte per studiare i numerosi formaggi D.O.P. delle langhe cuneesi; a Soragna (PR) nel museo del parmigiano reggiano, con assaggio del culatello di Zibello". Quali sono i compiti organizzativi del gruppo dirigente? "Il Presidente convoca il Consiglio direttivo ogni due

mesi circa, per deliberare sui programmi di lavoro da sviluppare nell'anno: la preparazione dell'Assemblea annuale, che si tiene tradizionalmente il 1° maggio, nel Castello Visconteo a Pandino; l'organizzazione di visite tecniche a caseifici e di convegni tecnico-scientifici tenuti dagli associati e da docenti universitari; la programmazione delle attività di insegnamento a scuola e nel caseificio didattico da parte di nostri associati; ed infine occorre predisporre l'allestimento del nostro stand durante le fiere del settore. Il lavoro organizzativo, come si capirà, non è davvero poco. Siamo sempre presenti alla biennale Fiera di Parma delle attrezzature casearie, con uno stand che da anni rappresenta un punto di incontro e di ritrovo dei nostri associati. Inoltre, durante l'assemblea annuale, ogni volta presentiamo tutta la filiera di produzione di un formaggio, partendo dalla sua storia e dall'area di produzione, descrivendone la tecnologia in caldaia, la maturazione, e terminando con un analisi sensoriale guidata". Prospettive per il futuro? "Il proseguo delle attività future è sicuramente garantito dalla unanime volontà dei membri del comitato direttivo di realizzare momenti di aggiornamento sempre più importanti. Tra gli altri, per esempio, è in progetto un tour di tre giorni all'estero, presumibilmente in Francia e in Svizzera. Auspico che si possa costituire una biblioteca di testi caseari, magari proprio presso la sede della scuola di Pandino. Per chiudere, ritengo doveroso ricordare i nomi dei presidenti che, prima di me, si sono succeduti alla guida della nostra associazione, e che con grande tenacia hanno tenuto viva l'organizzazione di oltre ottocento persone, che dal 1954 ad oggi si sono diplomate alla scuola Casearia di Pandino: Olivano Lazzari, Antonio Cava, Colombo Carpani". 93


TESTIMONIANZE

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TESTIMONIANZE

Giovanni Marchesi Un’idea per il futuro della Casearia

“Ho frequentato la Casearia, come studente, dal set-

tembre del 1967 al giugno del 1970. Dopo di che ho iniziato a lavorare presso il Centro sperimentale del latte di Milano, chiamato direttamente dal dottor Vesely, che mi aveva notato durante gli esami di qualifica (lui era uno dei commissari). Nell'ottobre del 1971 fui convocato a Pandino dal dottor Ghitti, il direttore della scuola, che mi affidò l'incarico di tecnico di caseificio. Venni a rafforzare la "squadra" formata da Francesco Bazzani, dal prof. Spinelli, da Aristide e da Davide Melegari, prendendo il posto che già era stato del signor Branchini. È iniziata così la mia avventura lavorativa presso la Casearia, avventura che è poi durata sino all'agosto del 1995, dopo che ero diventato ormai da parecchio tempo il responsabile del caseificio". Incontriamo Giovanni Marchesi presso il laboratorio di analisi chimiche dell'Istituto professionale pandinese, dove spesso ritorna per far fare delle analisi. Dopo aver lavorato dal '95 al 2004 come responsabile dell'assistenza tecnica per una multinazionale del settore lattierocaseario, attualmente Marchesi è dirigente della Food.Com, una società che si occupa della distribuzione nel nostro Paese di prodotti, sempre derivati dal latte, di marchi internazionali. "Giro per tutta Italia, e mi capita spesso di incontrare ex allievi, che hanno fatto carriera nel settore caseario e che ricordano la loro scuola con grande affetto e nostalgia. "C'è ancora quel maestro? E che fine ha fatto quell'insegnante? E quella bella ragazza che mi piaceva?", mi chiedono. Io rispondo, e poi il discorso scivola sempre su come era fatta una volta la scuola e di come è cambiata adesso, dopo la riforma dei professionali".

Riguardo a questo mutamento, come saprà, è in corso un dibattito, che vede interpretazioni anche molto diverse, per non dire opposte. Quale è il suo parere? "Ho vissuto sia gli anni della "vecchia" che quelli della "nuova" Casearia. Sono rimasto nel mondo del lavoro lattiero-caseario e conosco molto bene le attuali richieste del mercato, quindi posso rispondere con cognizione di causa. Ricordo bene che, nel vedere i nuovi orari delle discipline ed i nuovi curricoli previsti dalla riforma, rimanemmo abbastanza perplessi. Temevamo soprattutto la "gabbia" ministeriale che avrebbe potuto cancellare, dopo tanti anni di sforzi, la tipicità e l'unicità della nostra scuola. In parte, devo dire, ciò è avvenuto. D'altra parte la tradizionale figura dell'esperto casaro non era più in sintonia con gli avvenuti cambiamenti del mondo del lavoro. Troppa poca cultura, poca flessibilità e limitata cognizione dei processi produttivi. Negli anni '70 l'industria aveva fame di tecnici, ed i nostri diplomati di allora andavano benissimo: prendevano il posto dei semplici casari di una volta e diventavano facilmente responsabili di reparto, perché esperti anche di macchine industriali. Ma poi l'industria lattiero-casearia ha fatto un ulteriore passo in avanti, meccanizzando parecchi processi produttivi. A quel punto occorreva - ed occorre tutt'ora un operaio specializzato che sapesse anche di informatica, tecnologia, scienze, controllo di gestione ecc. Da questo punto di vista il cambiamento introdotto dal Progetto '92 è stato una positiva occasione di adeguamento alla mutata realtà industriale". Però ... "Però la Casearia non doveva, e non deve, essere confusa con un altro professionale per l'agricoltura qualsiasi. Ha una sua tipicità che deve essere tutelata. L'ideale sarebbe che venisse riconosciuta come Istituto autonomo, con proprie regole nell'assunzione del personale, per 95


TESTIMONIANZE esempio. In questo modo si potrebbero scegliere gli insegnanti tra i più bravi tecnici delle aziende nonché nel mondo universitario - proprio come fece Manstretta quando fondò la scuola. Sarebbe inoltre necessario rafforzare le ore di caseificio e di laboratorio, discipline professionalizzanti che, con il nuovo ordinamento, sono davvero un po' troppo penalizzate. Chissà, tutto ciò forse sarà possibile con l'annunciata nuova riforma dei professionali. Probabilmente anche la prospettata inclusione dei professionali nelle strutture scolastiche regionali potrebbe portare benefici frutti". Se le prospettassero l'idea di tornare all'ordinamento della "vecchia" Casearia, lei dunque cosa risponderebbe? "Che non si può fare. Che non è giusto fare. A volte, per esempio, mi chiedo come abbiamo fatto per tanti anni a lavorare nella struttura così angusta e cadente del vecchio caseificio. E poi, l'ho detto, le nuove figure professionali devono essere diverse da quelle del passato. Oggi l'industria, di fronte alla stagnazione dei consumi, non sforna più solo prodotti tradizionali (crescenza, mozzarelle, provoloni ecc.), ma si è rivolta a nicchie di formaggi innovativi, a nuovi sapori, come i formaggi con le erbe, i dessert a base di latte, le ricotte particolari. Ecco, gli allievi della Casearia dovrebbero imparare a lavorare anche questi nuovi prodotti". E come? "La scuola possiede un grande e moderno caseificio, oggi solo in parte utilizzato per la produzione autonoma di formaggi. È un peccato. Perché, ad esempio, le Università ed altri enti di ricerca (pubblici e privati) hanno "fame" di spazi e di luoghi dove poter far lavorare i loro studenti, dove far sperimentare i loro tecnici. La Casearia, attraverso apposite convenzioni, stage e codocenze (che già 96

Il prof. Giovanni Marchesi in caseificio

esistevano negli anni '80, peraltro, e che in parte esistono anche oggi), potrebbe mettere a disposizione le proprie strutture (Convitto compreso), ed in cambio i nostri allievi imparerebbero - magari utilizzando mini-polivalenti dai 10 ai 50 litri l'una, sotto la guida degli insegnanti - lavorazioni particolari ed innovative. In questo modo per gli studenti della Casearia aumenterebbero le occasioni, anche se in modo parecchio diverso e molto più produttivo, per mettere "le mani nel latte" come facevano gli allievi di una volta". A proposito, che ricordo hanno di lei gli studenti? "Sono sempre stato molto esigente, con loro, a volte persino duro. D'altra parte ho dovuto comportarmi così: solo grazie ad una assoluta vigilanza e all'imposizione di una grande disciplina ho potuto evitare che, in tanti anni


TESTIMONIANZE di lavorazioni in caseificio (compreso quello vecchio) accadessero degli incidenti gravi agli allievi. Non è mai capitato nulla. La serietà nell'insegnamento e l'alto livello delle richieste, inoltre, hanno fruttato in loro una grande conoscenza del mestiere. E di questo, quando mi capita di reincontrarli, mi sono davvero grati". E lei come li ricorda? "Con grande affetto e simpatia. Ho tanti ricordi, legati a ciascuno di loro. Mi piace rammentare qui una specie di "siparietto" che spesso si ripeteva tra me e qualche studente particolarmente vivace. Quando un allievo combinava qualche guaio, io minacciavo di dargli l'insufficienza in "esercitazioni di caseificio"; al che lui mi chiedeva di evitargli il voto negativo - che avrebbe significato uno sberlone da parte del padre - cancellando l'insufficienza

con un turno in più in caseificio. La scuola aveva sempre bisogno di ragazzi al lavoro, e quindi l'accordo veniva fatto. Si aggiustava tutto in ufficio, tra gentiluomini". Il futuro della Casearia? "Positivo, se riuscirà ad evadere dalla "gabbia" ministeriale e a tornare, come è sempre stata nella sostanza, una scuola professionale veramente autonoma e atipica. Negativo, se gli studenti, soprattutto cremaschi, saranno sempre più portati ad iscriversi a Pandino solo per adempiere all'obbligo scolastico o per avere un diploma, e la preparazione si avvicinerà troppo a qualunque altro istituto professionale. Questa scuola deve tornare a richiamare i giovani da tutta Italia, desiderosi di apprendere, oltre che una buona cultura di base e tecnica, davvero l'arte del casaro moderno".

Anno scolastico 1987-’88: i diplomati. Al centro, tra il prof. Ghitti ed il maestro Marinoni, il preside Antonio Storti; a destra il prof. Marchesi 97


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Carla Marenghi Che spavento per quel telegramma!

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na domenica pomeriggio stavo andando a fare una passeggiata a piedi con le mie amiche. Eravamo sulla strada per Rivolta, quando improvvisamente è sbucato in bicicletta il direttore Manstretta. "Deve subito andare al Caseificio a controllare gli allievi: stanno per fare il burro!", mi disse con il suo solito tono imperioso. Abbandonai a malincuore le mie compagne e corsi a scuola. Così era Alfredo Manstretta. Per lui non c'erano giorni di ferie. Dovevamo essere sempre a disposizione della Casearia. Era una cosa troppo importante, per lui". È la signora Carla Marenghi a raccontare l'episodio. È stata per 32 anni la segretaria della scuola, il principale punto di riferimento amministrativo sia per il fondatore della scuola che per tutti i direttori che in seguito hanno ricoperto il medesimo incarico. Ma come ha fatto la signora - allora era poco più che una ragazza - ad entrare il contatto con Manstretta? "Eravamo venuti ad abitare a Pandino nel 1951; mio padre gestiva il cinema, e quando Manstretta arrivò da Broni divennero subito amici. Il direttore sapeva che me la cavavo bene nello scrivere a macchina e mi volle già con sé nel 1953, come insegnante di dattilografia presso la scuola di Avviamento che dirigeva qui in paese. Quando riuscì a mettere in piedi la Casearia, mi propose di occuparmi di questa nuova sua creatura. Ed io accettai con entusiasmo. Si trattava di una avventura impegnativa, una scommessa difficile da vincere. Ma allora avevo 20 anni e la forza, nonché un po' d'incoscienza, della giovinezza, e mi buttai nel nuovo lavoro a capofitto. Furono anni di duri sacrifici, ma anche di belle soddisfazioni". 98

Carla Marenghi, di fatto, si occupava di tutti i molteplici, e tutt'altro che semplici, aspetti organizzativi e amministrativi della nuova scuola: gestiva gli orari delle lezioni, i turni di lavoro dei ragazzi, la corrispondenza con la sede centrale di Viadana e con il Provveditorato. Teneva anche la complessa contabilità del caseificio e del laboratorio di analisi. "Oltretutto Manstretta e gli altri insegnanti scrivevano loro stessi le dispense per gli allievi; erano dei veri e propri libri di testo, che poi toccava a me trascrivere a macchina. Tutti quanti. Una vera faticaccia". "Un giorno mi presi un grande spavento - ricorda ancora la signora Marenghi. "Era la mattina del 14 ottobre del '54, e la scuola stava funzionando regolarmente da un paio di settimane. I ragazzi lavorano il latte, gli insegnanti svolgevano le lezioni, i convittori dormivano presso le scuole elementari. Arrivò il postino con un telegramma. Lo aprii e lessi: "Si autorizza l'apertura della Scuola professionale casearia di Pandino. Firmato: il Ministero della Pubblica Istruzione". Mammamia! Manstretta aveva dunque fatto partire la scuola prima di aver ricevuto l'autorizzazione ufficiale! Ma lui era fatto così: pronto anche a rischiare pur di veder realizzato quello in cui credeva fortemente. Con lo stesso spirito aveva sopportato i tanti scontri con il preside dell'istituto professionale di Stato per l'Agricoltura di Viadana, il dottor Leone Soldani, da cui la Casearia ufficialmente dipendeva, sino a vincere il suo scetticismo circa la possibilità di aprire una sede distaccata a Pandino con indirizzo lattiero-caseario. Manstretta era un uomo deciso, di poche parole, apparentemente burbero. Trattava con grande rispetto tutte le persone e dagli altri si aspettava lo stesso comportamento. Esigeva molto proprio perché era lui il primo a dare il massimo di sè. Seguiva con grande attenzione il lavoro dei ragazzi, che avevano verso di lui una vera e


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La sig.ra Marenghi al suo tavolo di lavoro

propria devozione. Chi ha avuto la ventura di frequentare in quegli anni la scuola di Pandino e di conoscere Alfredo Manstretta ha avuto poi sempre la Casearia nel cuore". Carla Marenghi dice di aver imparato molto dal suo direttore e di essere di fatto diventata adulta anche grazie alla sua positiva influenza, fatta di forti valori morali ed umani. "Ho tanti ricordi belli. Per esempio la soddisfazione di ricevere i complimenti dei commissari esterni al momento degli esami di qualifica. Non erano insegnanti qualunque, bensì pezzi grossi dell'industria casearia italiana. Rimanevano sempre piacevolmente stupefatti della serietà e della preparazione dei nostri allievi". Poi Manstretta se ne è andato, e la scuola è cambiata. "Sì, è stato davvero triste vedere il direttore lasciare per sempre Pandino. Manstretta era un punto di riferimento fondamentale per tutti noi e la sua partenza lasciò

un grande senso di vuoto. Anche il preside Soldani si staccò dalla Casearia: la nostra scuola venne infatti collegata all'Istituto professionale per l'agricoltura di Cremona. In trent'anni ho visto parecchi cambiamenti, ho conosciuto tante persone nuove. I ragazzi sono cambiati, perché è cambiata l'Italia. Dalla miseria si è passati al benessere. Da un'idea di scuola legata solo al mondo del lavoro, si è arrivati a ripensare i professionali anche dal punto di vista culturale. La Casearia ha sempre cercato di restare ancorata ai mutamenti in atto: si sono migliorate le strumentazioni, i laboratori, è stato costruito il nuovo caseificio, la nuova sede per la scuola. Però in fondo la scuola è rimasta sempre la stessa, per fortuna, con le sue caratteristiche uniche. Una atmosfera famigliare tra i lavoratori (impiegati, insegnanti, tecnici), una grande tenacia e serietà nel voler preparare bene degli allievi, l'aiuto educativo da parte degli istitutori del Convitto. Anche se non ho ancora smesso di lavorare - aiuto mio figlio nella sua attività - non posso non sentire che la mia vita è stata - e nel ricordo ancora lo è - fortemente legata a quella della Casearia".

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Claudio Zucchelli La mia Casearia non c’è più!

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al 1970 al 1993, Claudio Zucchelli, oltre ad essere il docente di contabilità ed economia, e di macchine casearie, è stato il vice direttore della scuola Casearia, sostanzialmente durante tutta la cosiddetta "era Ghitti". "Ho insegnato nella scuola professionale più bella d'Italia", esordisce. "Una scuola che ha sempre unito la teoria alla pratica. Una pratica che poi veniva costantemente messa alla prova dal mercato, con risultati più che ottimi. Dopo l'accordo con la Polenghi (che ci forniva il latte e che poi ritirava i prodotti), verso la metà degli anni Ottanta abbiamo iniziato a vendere direttamente i nostri formaggi, prima attraverso i mediatori e poi con accordi con grossisti. Ebbene, siamo sempre riusciti a piazzare i nostri prodotti, segno che venivano realizzati bene. In secondo luogo, gli studenti che uscivano dalla scuola venivano sempre assunti dalle ditte del settore, e molti di loro hanno poi fatto notevoli carriere. Ricordo che c'era la fila delle aziende che richiedevano i nostri diplomati, segno che della Casearia c'era una grande considerazione. Si lavoravano 70-80 quintali di latte al giorno, la nostra era una scuola-azienda che funzionava a meraviglia. Certo, non mancavano i problemi, ma siamo sempre riusciti ad affrontarli e a risolverli nel migliore dei modi". Il segreto della Casearia, spiega il prof. Zucchelli, oltre che nel metodo didattico, tutto volto alla professionalizzazione degli studenti, stava nella disciplina che veniva loro impartita. "A scuola ed in Convitto c'erano delle regole ben precise, che venivano fatte rispettare. Si respirava un po' l'atmosfera dei Salesiani, portata alla scuola ancora da don Raffaele. Ed i nostri ragazzi diventavano dei provetti lavoratori maturando anche come uomini. 100

Più di una volta me lo ha detto qualche dirigente d'azienda: "I vostri allievi sono più preparati ma anche più seri e disciplinati degli altri operai. Ecco perché li preferiamo a tutti". "Vi era poi un terzo elemento", aggiunge. "La coesione tra gli insegnanti e tra i tecnici. Ghitti è rimasto alla Casearia 40 anni, Renko 30, io 23 anni. Venivamo da lontano, tutti i giorni, ma amavamo questa scuola, al punto da dedicarle le nostre forze migliori. Anche altri docenti ed i tecnici sono rimasti parecchi anni in questa scuola. C'era un gruppo molto affiatato. Ora alcuni docenti vengono a Pandino e si sentono quasi in castigo, non vedono l'ora di avere il trasferimento a Crema o a Cremona". Claudio Zucchelli ha lasciato l'istituto pandinese nel medesimo anno, nel 1993, in cui il direttore Ghitti è andato in pensione, e non ha potuto vedere i cambiamenti avvenuti nella scuola dopo la riforma dei professionali. Ma un'idea chiara (e decisa) sulla casearia di oggi ce l'ha. "Innanzitutto non dovrebbe più essere chiamata "Casearia", perché non prepara più gli allievi al mestiere di casaro. Ormai è diventata un'altra scuola. I diplomati non sono più degli specialisti del latte, come erano invece ai miei tempi. Sicuramente la scelta di cambiare è stata obbligata; io stesso, se fossi rimasto al mio posto, avrei certamente dovuto cedere agli ordini superiori. Ma con il Progetto '92 il Ministero ha fatto svanire tutto quello che noi avevamo costruito. Si pensi al nuovo caseificio, per cui abbiamo tanto lottato. Ora è quasi inutilizzato. Mi si dice che ora c'è un nuovo mercato del lavoro, e che i diplomati sono comunque assunti dalla ditte. È vero. Ma i nostri casari riuscivano a fare carriera proprio in virtù della loro specifica preparazione. Proprio quella preparazione al lavoro, quelle solide basi che gli allievi di oggi non hanno più. E pensare che vengono ancora oggi da regioni lontane per imparare a fare i formaggi, ma poi rimangono probabilmente delusi!


TESTIMONIANZE La vecchia Casearia è morta, e la nuova mi lascia un po' perplesso. Ricordo che un giorno, tanti anni fa, venne a Pandino un ispettore ministeriale. Vide tutto quello che noi facevamo, non gli nascondemmo nulla. Alla fine ci

disse: "Qui non c'è niente in regola, però funziona tutto bene. Continuate così". Ecco, temo che oggi la scuola sia tutta in regola, però che non funzioni bene come quella dei nostri tempi".

Anno scolastico 1979-’80: i diplomati con gli insegnanti Zucchelli, Ghitti e Villa 101


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Teresa Guerini Il mascarpone con le lenzuola della Teresina

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a signora Teresa Guerini, "Teresina" per tutti i pandinesi, ha preso il posto della signora Carla Marenghi quando quest'ultima è andata in pensione. E dal 1988 sino al 1998 - dieci anni dunque - ha svolto i compiti di colei che l'ha preceduta nella segreteria della Casearia. Protocollare la corrispondenza, registrare la contabilità del caseificio (la fatturazione dell'acquisto del latte e quella della vendita dei formaggi), sbrigare le diverse pratiche amministrative, tenere i rapporti con la sede centrale di Cremona. Ha ereditato, insomma, un impiego quanto mai gravoso ed impegnativo. Ma anche di soddisfazione. "La Casearia è entrata nella mia vita ancor prima che potessi immaginare di finirvi poi come segretaria", dice la signora Guerini. "I ragazzi che frequentavano la scuola nella seconda metà degli anni '50 venivano a stendere i loro vestiti nel cortile di casa mia. Poveretti: facevano tutto da soli. Avevano pochi panni addosso, e sempre quelli. C'era molta miseria, allora, e gli allievi dell'Istituto professionale per esperti casari non erano certo dei figli di papà. Dunque, quando il camice da lavoro, oppure i pantaloni erano sporchi, loro li lavavano, e poi li mettevano ad asciugare nel grande cortile dove abitavo anch'io. C'erano dei fili, là. Io ero una ragazzina e, come le altre mie amiche di allora, ero affascinata da quei ragazzi, alcuni più vecchi di me, che venivano anche da paesi lontani da Pandino per studiare alla Casearia. Ricordo che in primavera noi ragazze uscivamo da casa alle 8,30 di sera per andare alla benedizione in chiesa. Subito dopo la cerimonia eravamo libere di stare fuori 102

di casa per un po'. A quell'ora anche i ragazzi del Convitto erano in giro per il paese, e dunque ci si poteva trovare per chiacchierare insieme, almeno sino alle 21, quando loro poi se ne andavano a dormire (e correvano via in tutta fretta, altrimenti don Raffaele li avrebbe chiusi fuori dal Castello). Un brutto giorno il parroco decise di far suonare la benedizione alle 19. Il che avrebbe significato rinunciare all'incontro con i ragazzi della Casearia: non avremmo potuto certo rimanere fuori di casa per ben due ore! Allora io ed altre due mie amiche ci facemmo coraggio e andammo in delegazione da don Giuseppe per chiedergli di tornare all'orario precedente. Con nostra grande gioia ci disse di sì, ed allora i nostri ritrovi con in convittori ripresero più di prima. In inverno andavamo a raccogliere insieme i cachi, e loro ne mangiavano parecchi perché erano sempre affamati. A volte riuscivamo a fare anche delle piccole feste insieme. Un giorno don Raffaele era in giro a cercare i suoi ragazzi. Venne a casa mia e chiese a mia madre se ci fossero lì dei convittori. "Mia figlia mi ha detto di dirle di no", lei rispose. Il don capì, sorrise e poi se ne andò senza neppure arrabbiarsi. Erano così poche le occasioni di svago, a quei tempi! Sono stati anni bellissimi; forse perché eravamo così giovani. Gli altri ragazzi di Pandino ci sembravano meno interessanti rispetto a quelli della Casearia. Quest’ultimi erano giovani volenterosi, umili, grandi lavoratori. Facevano una vita durissima, ma non si lamentavano mai. Si alzavano presto la mattina, per andare nei caseifici ad imparare il mestiere. A volte venivano a fare colazione con noi. Mia madre dava loro un po' di latte con il pane. Ricordo che in quegli anni la scuola era molto ben organizzata. I gruppi degli allievi erano divisi mescolando le tre classi, così i più giovani imparavano da quelli già capaci. Poi hanno fatto i gruppi dividendoli per classe, ma così apprendevano un po' di meno.


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Anni ’60: una festa tra ragazzi della casearia e ragazze di Pandino. Al centro, in abito scuro e camicia bianca, la sig.ra Guerini

Quando ho iniziato a lavorare io, alla fine degli anni '80, la scuola funzionava a pieno ritmo. Era come una piccola industria del latte. Gli allievi lavoravano molto, ed i formaggi che producevano erano apprezzati. Grazie ad un bravo mediatore di Gorgonzola, la scuola riusciva a vendere i propri prodotti a parecchie industrie. Si faceva un notevole fatturato. Anche un miliardo all'anno. Poi sorsero alcuni problemi. Il casei-

ficio fu chiuso temporaneamente per degli inconvenienti tecnici, ed i successivi cambiamenti introdotti dal Progetto '92 (meno materie tecnico-pratiche, più discipline culturalizzanti) portarono ad una riduzione della produzione e del fatturato. È stata sempre comunque una scuola che si è autofinanziata, e grazie agli avanzi di gestione è riuscita a comprare le attrezzature necessarie. 103


TESTIMONIANZE Ho un ricordo particolare, riguardo le attrezzature. Per fare certe produzioni occorrevano teli dal tessuto adatto. E allora io portavo le mie lenzuola un po' lise per fare far il mascarpone ai ragazzi. E loro dicevano che quello fatto con le mie lenzuola era il più buono di tutti. Non era vero, naturalmente, ma a me faceva piacere sentirlo dire. La Casearia ha sempre avuto la fortuna di trovare del personale appassionato. Quando mi capitava - e accadeva spesso - di dover chiedere da parte della Direzione agli insegnanti o ai tecnici di svolgere qualche lavoro straordinario, nessuno di loro mi ha mai detto di no. La scuola è stata sempre come una grande famiglia. Il direttore Ghitti, per esempio, sembrava un mangiapersone, con il suo carattere burbero e deciso. Ed invece era molto comprensivo. Certo, a volte si arrabbiava, e anche molto. Ricordo che una volta stava aspettando una importante telefonata da una persona di Cuneo (ma io non lo sapevo). Dovette uscire per una faccenda e disse a me di prendere nota di quanto mi avrebbero detto al telefono. La telefonata arrivò, ma io non capii bene da dove il tizio telefonasse. Capii Cantù. "È arrivata la conferma che aspettavo?", mi chiese Ghitti al ritorno. "Sì, una persona al telefono mi ha detto che potete andare a Cantù". Quando il direttore scoprì il mio errore mi fece una sfuriata! Anche con i ragazzi si comportava così. Li trattava duramente, a volte, ma in fondo voleva loro molto bene. Sapesse quanti ne ha messi a posto in aziende prestigiose! Una volta, poco prima delle feste di carnevale, alcuni allievi del Convitto fecero del baccano. Ghitti mi ordinò di mandare una lettera ai loro genitori, avvisandoli del cattivo comportamento tenuto dai loro figli. La mattina dopo, prima che io spedissi le lettere, quei ragazzi andarono a parlare con il direttore. "Ci dia pure due o tre sber104

le ciascuno - dissero - ma non faccia spedire quelle ammonizioni, altrimenti le nostre famiglie non ci permetteranno di andare a festeggiare il carnevale". "Per stavolta niente sberle, oggi non sono in forma", rispose Ghitti. "Fate come se ve le avessi davvero date, ed io non dirò nulla ai vostri genitori". I ragazzi capirono, e se ne andarono riconoscenti. A volte è capitato che qualche nostro allievo fosse orfano di padre. Allora venivano le madri e chiedevano a Ghitti di educare i loro figli come se egli fosse la nuova figura paterna. Lui si comportava di conseguenza. Quelle donne, alla fine, erano molto contente. Il direttore riusciva a spronare ed a motivare i ragazzi con grande decisione e passione. Di fatto Cesare Ghitti ha gestito la scuola come se fosse una azienda. Ma questo è stato un bene sia per gli allievi, che hanno imparato a fondo il mestiere di casaro, che per la Casearia stessa che, come ho già detto, ha potuto avere una base finanziaria più che sufficiente per i propri bisogni. Mi è dispiaciuto lasciare la scuola, ma ad un certo punto è arrivato anche per me il momento di andare in pensione. Eppure sono rimasta molto vicina alla Casearia, e penso ancora con grande affetto e nostalgia ai dieci anni in cui ho lavorato lì".


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Umberto Marinoni La storia del Convitto

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no degli elementi che hanno fortemente contribuito a rendere unica, nel panorama scolastico italiano, la Scuola Casearia di Pandino è stato senz'altro la presenza, accanto alla struttura scolastica ed al caseificio didattico, di un Convitto. Cioè un luogo dove gli allievi dell'istituto hanno potuto dormire, mangiare e studiare, opportunamente assistiti da personale qualificato, per tutta la durata dei loro studi superiori. Un luogo per molti verso privilegiato - se si escludono i forti disagi ambientali e logistici patiti dai convittori nei primissimi anni - nel quale l'aspetto convittuale ha potuto fortemente integrarsi con quello educativo. Oltre al letto e al cibo, insomma, i ragazzi che hanno vissuto nel Convitto - prima per due, poi per tre ed ora per cinque anni - hanno ricevuto anche una forte lezione formativa, una sorta di imprinting disciplinare che ha significativamente contraddistinto la loro adolescenza. Ne parliamo con colui che, insieme a don Raffaele Cordani, da tempo scomparso, è stato "l'anima" del Convitto per quasi tutta la durata della sua storia: il maestro Umberto Marinoni. Come è iniziato il suo lavoro presso il Convitto? "Insieme a don Raffaele Cordani, che già dirigeva da circa dieci anni quello che prima era solo un pensionato, ho vinto nel 1966 un concorso pubblico per poter lavorare come educatore nell’istituzione che, nello stesso anno, era finalmente ed ufficialmente diventata, grazie all'intervento statale, il Convitto annesso alla Scuola Casearia. Precedentemente il pensionato era stato gestito un po' dalla scuola ed un po' dal Comune. I ragazzi avevano vagabondato in diverse sedi: il primo anno avevano dor-

mito negli spogliatoi della palestra (mangiando negli scantinati della scuola elementare), poi erano stati ospitati in un'ala diroccata del Castello; successivamente, dopo l'episodio dello studente morso da un topo durante il sonno, erano stati spostati nella palestra delle elementari (ma andavano a mangiare in Castello). Finalmente, nell'ottobre del 1966 - proprio quando presi servizio per la prima volta - i convittori poterono essere alloggiati nei locali appositamente ristrutturati del Castello, esattamente dove si trova ancora oggi il Convitto. In realtà i lavori di sistemazione della struttura non erano ancora del tutto finiti: mancavano le luci, per esempio. Inoltre, nei successivi due anni, la sala giochi venne utilizzata anche dai bambini delle elementari, tutti i giorni dalle 13 alle 14, e c'era sempre un grande caos. Inoltre quella che sarebbe diventata poi la sala televisione per i convittori, era ancora in uso alla biblioteca comunale, con un pernicioso andirivieni di persone estranee al Convitto. Ricordo che nel 1967 il personale era comunque pochissimo: don Raffaele era il vicerettore, io il censore-economo, poi c'erano due cuochi per la cucina e tre addetti alle pulizie. Solo nel 1968 arrivarono due nuovi istitutori, Marco Pezzini e Giorgio Rancati, seguiti nell'anno successivo da Caporali". Come era la vita dei convittori? "Le lavorazioni iniziavano alle 4 del mattino, compresa la domenica. Il Convitto rimaneva chiuso due giorni per Natale e due giorni a Pasqua, per il resto era sempre aperto. Questo significava che gli allievi lavoravano molto duramente e si sacrificavano tantissimo. D'estate i ragazzi si dividevano in squadre per esercitarsi nel caseificio. Ed era il momento in cui imparavano di più, tanto è vero che il voto sulla pagella nella materia professionale veniva data solo in settembre. Avevamo 65 ragazzi, tutti convittori. Non esisteva ancora la figura del semi-convittore, cioè di quell'allievo che usufruisce del Convitto solo per pran105


TESTIMONIANZE zare e per studiare il pomeriggio: verrà dopo i decreti delegati del '74. Prima, invece, tutti gli allievi della Casearia, tranne quelli che potevano andare a casa la sera perché abitavano a Pandino o nei paesi limitrofi, erano anche convittori. Nei primi anni noi istitutori abbiamo garantito l'assistenza dalle 16 alle 9 del mattino dopo, poi gli orari della nostra presenza si sono ulteriormente ampliati". Come si comportava don Raffaele con i primi convittori? È vero che era molto rigido? "Lui è sempre stato l'uomo della disciplina ferrea. Proveniva dai Salesiani e quella sua esperienza precedente gli è stata molto utile per dare l'impronta educativa al Convitto. Ricordiamoci che quando c'era ancora il pensionato lui era da solo a gestire una ventina di ragazzi, la cui età andava dai 18 ai 30 anni. Se avesse anche solo minimamente tollerato alcune infrazioni alle regole, la situazione sarebbe ben presto degenerata. Lo chiamavano "don Canela" perché alle volte usava le maniere forti per mettere in riga qualche scalmanato. Poi quando iniziò il Convitto vero e proprio, nel 1966 - come detto - non alzò più le mani su alcuno. Insieme io e lui stendemmo il regolamento ufficiale e cercammo di farlo rispettare il più possibile. C'erano ancora le punizioni: la privazione della libera uscita appariva intollerabile ai ragazzi, e così essi stavano molto attenti a non infrangere le regole. Se qualcuno veniva sospeso doveva faticare parecchio per trovare un alloggio sostitutivo in paese, e spesso non vi riusciva neppure. Insomma: il Convitto era assolutamente necessario agli allievi della Casearia, e per questo i ragazzi imparavano presto a rispettare il regolamento e le indicazioni degli istitutori. E mentre cresceva in loro l'autodisciplina, si formavano come uomini". Cosa poteva offrire il Convitto? "Da subito introducemmo sistemi razionali e innovativi 106

- per quei tempi - nell'assistenza ai ragazzi. Per ciascuno di loro veniva realizzata una cartella personale sulla quale gli istitutori registravano tutte le indicazioni utili: malattie, carattere, atti di indisciplina, rendimento scolastico, interessi. Gli educatori agivano costantemente all'interno del gruppo dei convittori, cercando di suscitare in loro il rispetto delle regole della comunità e il desiderio di migliorarsi sia come studenti (attraverso lo studio), che nel carattere. Anche dal punto di vista del vitto siamo sempre stati all'avanguardia: non vi era un menù fisso, bensì gli studenti potevano scegliere tra due primi e tre secondi. Poi c'era la verdura, il pane e la frutta. In questo modo vi era meno spreco, perché quello che si era scelto veniva mangiato con più gusto. Alcuni ispettori romani presero spunto da noi per introdurre simili menù anche nei Convitti nazionali". Come sono cambiati gli allievi con il passare del tempo? "Nei primi anni i convittori erano più ubbidienti e motivati. Venivano soprattutto da famiglie bisognose, e si trovavano bene in Convitto. Molti mangiavano meglio qui che a casa loro! Verso l'inizio degli anni '70, sulla scia della contestazione sessantottina, gli studenti assunsero una posizione meno remissiva, cominciarono a fare alcune richieste alla scuola, qualcuno protestò per migliorare la propria condizione. Ma mai nessuno di loro ha contestato gli educatori o la direzione del Convitto. Mai un volta. E questo indica che siamo sempre riusciti ad insegnare ai ragazzi una valida disciplina. Che poi tornava loro utile nel momento di cercare un lavoro. Ricordo che vi erano aziende che ci richiedevano anche 20 diplomati alla volta. Un giorno chiesi ad un dirigente di una di queste ditte il motivo della loro preferenza nei confronti della Casearia di Pandino. "I vostri allievi sono molto ben preparati e, soprattutto, sono abbastanza umili e disciplinati per accettare le richieste della produzione. I giovani che provengono da


TESTIMONIANZE altre scuole, per esempio, si rifiutano di fare i turni, mentre i vostri non hanno problemi nell'adattarsi". Imparando le regole del Convitto, gli studenti della Casearia hanno imparato a rispettare le regole della convivenza civile, ad essere educati e rispettosi. Il che, nella vita, è assai utile". Quando iniziò a dirigere il Convitto? "Nel 1974, l'anno in cui don Raffaele Cordani andò in pensione. Divenni io il vice rettore. Poi, dopo i decreti delegati, la mia figura divenne quella di coordinatore degli istitutori. Già allora si parlava di riformare il regolamento dei Convitti, ma poi non se ne fece più nulla. Le buone intenzioni riformistiche rimasero lettera morta, vi fu solo una maggiore confusione nei ruoli. Per esempio, anziché "solo" dirigere il Convitto, dovetti anch'io fare i turni come gli altri istitutori. Il che rischiava di ridurre la figura della Direzione agli occhi dei ragazzi. Ma per fortuna ho sempre avuto collaboratori capaci e responsabili, che mi hanno aiutato a tenere alta la qualità del mio lavoro. Negli anni '80 siamo arrivati ad avere anche 85 convittori da noi: ricordo che tutte le camerate erano piene ed i tavoli del refettorio erano molto affollati. Eppure tutto è sempre filato liscio. Non è mai successo alcun incidente, neppure durante la libera uscita. Perché fuori dalle mura del Castello c'era Pandino, un borgo tranquillo ed a misura di ragazzo". In che modo la riforma dei professionali, nel '92, ha condizionato il Convitto? "Con quella riforma, che ha ridotto le ore nel caseificio e aumentato le discipline culturali, l'atipicità della Casearia è venuta un po' meno. I ragazzi hanno cominciato a lavorare un minor quantitativo di latte. Anziché alzarsi alle 4, hanno cominciato ad alzarsi alle 6, e poi ancora più tardi. Gli stessi turni estivi sono stati ridotti. L'offerta formativa si è spostata più sulla scuola, rispetto a prima, quando il nucleo essenziale era il caseificio didattico. Meno ragazzi

hanno avuto la necessità di fermarsi a dormire a Pandino e questo ha comportato una riduzione, anche notevole, del numero dei convittori. Addirittura, ad un certo punto, lo Stato ha ventilato l'ipotesi di chiudere il Convitto, che nel frattempo aveva visto crescere di molto il personale e quindi, di conseguenza, anche i costi di gestione. Paradossalmente allo Stato converrebbe far mangiare e dormire i convittori in un albergo a cinque stelle. Risparmierebbe del denaro. Ma, fatto significativo, si perderebbe tutto l'aspetto educativo e disciplinare. Poi, negli ultimi anni della mia gestione, per fortuna, vi è stato un cambiamento di rotta e a livello ministeriale si è tornati a considerare l'importanza dei Convitti". In che modo il Convitto si è rivelato utile? "Innanzitutto ha permesso alla Casearia di nascere e di prosperare. Senza il Convitto la scuola avrebbe avuto una ridotta utenza e, alla lunga, non sarebbe riuscita a sopravvivere. In secondo luogo è stato soprattutto il Convitto a forgiare il carattere degli allievi. I quali, proprio perché hanno vissuto a lungo insieme nella stessa comunità educativa, hanno poi sviluppato un forte legame che è durato negli anni, come certo non è mai avvenuto e non avviene agli allievi di altre scuole". Trentatré anni di lavoro nel Convitto: come giudica questa sua esperienza? "È stata una vita molto impegnativa ed anche, a volte, parecchio faticosa. Ho dovuto risolvere non pochi problemi. Ma lavorare nel Convitto mi ha plasmato. Per me è stata una grande formazione positiva. È stato bello veder crescere tanti ragazzi, educarli attraverso la disciplina ed il rigore, l'affetto e la concordia. Quanti ne ho visti tornare a Pandino, ormai adulti e con figli, a visitare il Convitto e a far vedere ai loro piccoli la stanza dove avevano dormito, oppure il tavolo dove avevano mangiato da studenti". 107


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Roberto Baragetti Da istitutori a educatori

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el 1998 Umberto Marinoni, andando in pensione, ha lasciato la direzione del Convitto nelle mani dell'esperto istitutore Marco Pezzini. Quest'ultimo, è andato a sua volta in quiescenza nel 2002. Il Preside Priori ha affidato la Direzione a Roberto Baragetti. Ed è a lui, ovvero l'attuale Coordinatore del Convitto, che chiediamo di parlarci del presente e, soprattutto, del futuro, di questa importante istituzione pandinese. Signor Baragetti, come è entrato in contatto con il Convitto? "Un po' casualmente. Era la fine degli anni Settanta, stavo studiando e per mantenermi agli studi ho cominciato a fare supplenze temporanee qui a Pandino. Poi ho avuto incarichi annuali ed infine sono passato di ruolo come istitutore. Non ho più abbandonato questa attività". Venticinque anni di esperienza, dunque. Può raccontare come è cambiata l'attività convittuale in questo quarto di secolo? "Da sempre il Convitto è stato al servizio delle esigenze della Casearia. Gli studenti della scuola pandinese diventavano per forza convittori perché avevano l'esigenza di avere a disposizione un luogo dove mangiare, dormire e studiare. Dovendosi alzare prestissimo per andare a ricevere il latte o far tardi la sera per fare i rivoltamenti dei formaggi, ed essendo costretti a lavorare anche la domenica e durante le feste, era per loro quasi obbligatorio rivolgersi al Convitto. In questo luogo i giovani ricevevano una formazione basata soprattutto sul108

l'apprendimento della disciplina ed il rispetto delle regole di convivenza in una comunità. Gli educatori vigilavano che tutto filasse liscio, interagendo con i ragazzi quasi da fratelli maggiori, giocando con loro, ricevendo le loro confidenze esistenziali, controllando che non ci fossero episodi di "nonnismo". Sostanzialmente un lavoro ben fatto, forse un po' empirico, ma che comunque ha dato buoni frutti. Il Convitto ha sfornato per tanti anni adolescenti rispettosi, abbastanza maturi e pronti ad entrare nel mondo del lavoro". E poi? "E poi la scuola Casearia è cambiata. E questo ha fatto mutare anche il Convitto. Con la riforma degli istituti professionali, gli studenti hanno iniziato a lavorare un po' meno nel caseificio didattico (e quindi ad avere minori impegni legati agli orari mattutini o festivi), e ad impegnarsi un po' di più nelle materie culturali. È quindi cambiata la domanda da parte dei nostri utenti. Ad un certo punto ci è stato richiesto non più solo un buon servizio di vitto e alloggio, ma anche una assistenza qualificata nel campo dell'apprendimento. Basti pensare che una volta vi era un solo corso di sostegno allo studio, oggi ne sono attivati sette. Abbiamo rapporti continuativi ed approfonditi con i consigli di classe, teniamo sotto controllo la situazione scolastica di ogni allievo. Cerchiamo di motivarlo allo studio, seguiamo passo dopo passo i suoi miglioramenti. Tutto ciò anni fa non era neppure richiesto da parte delle famiglie, perché gli studenti di allora venivano a Pandino solo per imparare un lavoro. Oggi ogni istitutore ha il suo gruppo di convittori da seguire. L'approccio educativo, insomma, è notevolmente cambiato rispetto al passato. Anche per quanto riguarda le iniziative ricreative. Un tempo in Convitto si organizzavano tornei di briscola o di pallone,


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Momenti di studio e di svago in convitto con i maestri Bombelli e Baragetti

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TESTIMONIANZE e ci si limitava a far vedere la televisione. Attualmente vi sono progetti culturali specifici, di buon livello, organizzati e seguiti con grande cura dagli istitutori: cineforum, teatro, multimedialità". E la formazione disciplinare? "Anche questa si è evoluta. Un tempo ci si accontentava di avere convittori disciplinati e rispettosi delle regole. Oggi si tratta di aiutare degli adolescenti che non hanno più un supporto educativo forte da parte della famiglia e che vivono in un mondo molto più complesso. I ragazzi sono sempre gli stessi: con le loro paure, i loro sogni, la loro voglia/paura di diventare grandi. Sono i punti di riferimento che sono cambiati. E noi educatori siamo chiamati oggi a fare molto di più, rispetto al passato. La disciplina è sempre richiesta, ma adesso si parla di una formazione più completa, di una educazione (da "educere", aiutare a uscire fuori) che sia veramente tale". Quanti convittori avete? "Quest'anno abbiamo una quarantina di ragazzi convittori. Ed un numero eguale di semi-convittori. Quest'ultimi rappresentano la vera novità del Convitto, e sono l'indicatore dell'avvenuto mutamento del ruolo della nostra istituzione. Anni fa i semi-convittori, ovvero quei ragazzi che si limitavano a pranzare e a studiare il pomeriggio da noi e che poi andavano a casa, erano assai pochi. Attualmente sono molti di più. Proprio perché l'aspetto della assistenza scolastica ed educativa è diventato quasi più importante di quello della semplice offerta di vitto e alloggio. Un tempo i giovani sceglievano la scuola pandinese e poi si ritrovavano a dover utilizzare anche le strutture del Convitto. Oggi cominciamo a registrare casi di studenti che scelgono la Casearia soprattutto perché c'è il Convitto. Questo grazie al modificato ordinamento didattico che equipara l’attività formativa di base della 110

Casearia a quella di qualsiasi altra scuola professionale statale. Il Convitto diventa quindi una importante occasione di offerta educativa". Siamo di fronte ad una sorta di college, dunque? "Esattamente. Possiamo dire che la Casearia è veramente una delle poche scuole-college presenti nel territorio lombardo. Prima essa era una scuola atipica perché formava casari attraverso un addestramento che non aveva eguali in Italia; oggi lo è ancora perché ha questa doppia offerta formativa: si ottiene un diploma qualificato e contemporaneamente si viene assistiti nell'apprendimento e nella crescita affettiva". Che ne pensa del progetto del nuovo Convitto? "Mi fa piacere che l'amministrazione provinciale abbia riconfermato la propria volontà al riguardo, anche se ora si parla di un progetto ridimensionato rispetto alle prime indicazioni. Certamente la nuova struttura migliorerà gli standard qualitativi dell'offerta convittuale, già migliorata comunque in questi ultimi anni. È previsto uno spazio per la foresteria, così che sarà per noi più agevole accogliere gli studenti universitari (e/o stranieri) impegnati in stage con la Casearia. L'offerta formativa del convitto è destinata a migliorare ancora. C'è per esempio in cantiere il progetto di una assistenza scolastica individualizzata: l'istitutore seguirà il convittore secondo i suoi ritmi di apprendimento: lo studio collettivo standardizzato sarà sostituito da uno studio strutturato caso per caso".


TESTIMONIANZE

Massimo Rozza Quando gli allevatori annacquavano il latte

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ra il 1976. Mi trovavo nella mia Cremona in un bar, a giocare al bigliardo con gli amici, quando mi sentii chiamare: "Ehi! Massimo, guarda che ti vogliono a Pandino, per un lavoro. Devi andarci". "A Pandino? E dove si trova?", risposi. Dopo un po' imparai la strada per arrivarci, una strada che ho percorso sempre negli ultimi 28 anni. Ormai posso dire di conoscerla a memoria!". Massimo Rozza sorride. È seduto su uno sgabello del laboratorio di analisi della Casearia, tra provette e alambicchi, e campioni di latte e di formaggi. È il "suo" laboratorio, ormai. "Lavoro in questa sede dal 1982; prima il laboratorio di analisi si trovava nel vecchio edificio della scuola. Avevo 21 anni quando venni per la prima volta a Pandino: ero perito chimico e dovevo affrontare, di fatto, il mio primo lavoro vero: assistente tecnico pratico di laboratorio. Dopo avermi accolto, Ghitti mi portò a vedere i locali dove avrei svolto il mio impiego. Quando aprii la porta, mi caddero le braccia: nella stanza vi erano vecchi tavoloni di legno ricoperti da una consunta carta adesiva, e una strumentazione chimica obsoleta e ridotta all'osso! Quasi mi venne un colpo. Per fortuna, nel locale attiguo, trovai l'attrezzatura in dotazione ad un corso serale regionale, che in quel periodo era ospitato dalla Casearia. Cominciai ad usare quella. Quando la Regione, tempo dopo, chiuse il corso, volle indietro la strumentazione di sua proprietà. Presi tempo, ovviamente, ed aspettai il rinnovo delle attrezzature della scuola prima di restituire il materiale all'amministrazione regionale. Nel frattempo avevo imparato il mestiere grazie, soprattutto, alla professoressa Matilde Altieri. Era una donna un po' bizzar-

ra, sempre circondata da un velo di fumo - consumava due pacchetti al giorno di sigarette - ma nell'insegnamento ci sapeva fare, eccome. Aveva una specie di tocco "magico", grazie al quale riusciva a far apprendere quasi istantaneamente le nozioni ai suoi allievi. Io rimanevo incantato ad osservarla, ed imparavo tantissimo. Purtroppo, dopo soli sei mesi da quando ero arrivato io, dovette andarsene, perché, a causa delle troppo rigide graduatorie provinciali, lei a Pandino sarebbe divenuta una perdente posto. Ghitti mi diede ben presto l'ordine (lui non invitava, ordinava) di occuparmi della certificazione del latte e dei formaggi. Mi spedì a Milano a frequentare (a mie spese, ovviamente), un corso di approfondimento in microbiologia presso il Centro sperimentale del latte; dopo di che ricevetti da lui l'incarico ufficiale di eseguire e poi firmare tutte le analisi di laboratorio. Se penso che ne avrò poi effettuate un migliaio all'anno, e per parecchi anni, mi chiedo come ciò sia stato possibile. Il fatto è che ero più giovane e, soprattutto, c'era davvero tanto lavoro a quei tempi. Non solo per le attività didattiche della scuola, quando gli insegnanti portavano gli alunni ad esercitarsi nel laboratorio (e gli alunni imparavano, eccome, a furia di usare la strumentazione), bensì, e soprattutto, nelle certificazioni per conto terzi. Allora le grandi aziende erano sempre qui da noi, per risolvere i contenziosi. Accadeva che spesso gli agricoltori annacquassero il latte. Le analisi dei laboratori interni alle grandi aziende rilevavano la presenza dell'acqua, ma gli allevatori contestavano i loro dati e nascevano di conseguenza i contenziosi per il pagamento. Ecco allora che subentrava il laboratorio della Casearia, che era super partes e le cui certificazioni di analisi erano riconosciute ufficialmente come valide. 111


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Il tecnico Massimo Rozza (al centro della foto) nel laboratorio di analisi, insieme ad alcuni studenti

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TESTIMONIANZE C'era tanto lavoro perché, come ho detto, gli allevatori spesso baravano. Ricordo alcuni episodi. In un caso le analisi del latte fatte nella stalla erano buone, ma poi il latte che arrivava in azienda risultava allungato con l'acqua. Scoprirono che il camionista addetto al trasporto del latte si fermava da un amico e svuotava in parte l'autobotte, ripristinando poi il peso originario con l'acqua. Un'altra volta - questa me l'ha raccontata Ghitti - non si riusciva a venire a capo del perché ci fosse dell'acqua nel latte fornito da una azienda agricola. I controlli all'arrivo in ditta rivelano la presenza dell'acqua, ma anche le successive analisi sul latte appena munto diedero i medesimi risultati. Si pensò ad un latte molto povero, ma il mistero della presenza dell'acqua rimase. Fino a quel giorno in cui si scoprì che l'allevatore, mentre mungeva le sue mucche, teneva sotto il braccio, ben nascosto, un sacca di acqua calda che, attraverso una cannuccia, versava piano piano nel secchio del latte posto sotto le mammelle dell'animale. In quegli anni vi era una sorta di "caccia agli annacquatori". Addirittura un tecnico di laboratorio di una ditta, che da tempo aveva sospetti nei confronti di una azienda agricola, andò a fare i controlli in stalla proprio l'ultima notte dell'anno. Poco prima del brindisi salutò i suoi ospiti, si mise il camice bianco e andò da quello che sospettava essere un ingannatore. E lo colse sul fatto! Poi, verso la metà degli anni Ottanta, venne promulgata la legge del pagamento sulla qualità del latte, ed i contadini capirono che non valeva più la pena di allungare il latte con l'acqua, perché nei centri ufficiali di analisi zooprofilattiche - se ne aprì uno a Brescia - veniva certificato (e pagato) il latte in base alla sua qualità. Finirono i contenziosi e di conseguenza le analisi contoterzi presso il laboratorio della Casearia diminuirono notevolmente. Comunque ancora oggi si continua a lavorare. Anzi, ho notato una certa ripresa nelle committenze esterne.

Oltretutto, presso la nostra scuola, abbiamo messo in pratica il protocollo HACCP per le procedure da attuare relativamente al controllo di tutti i cosiddetti "punti critici di lavorazione". In questo modo i prodotti realizzati nella Casearia sono assolutamente sicuri, perché analizzati in ogni ciascuna fase di lavorazione, a partire da quella iniziale. Le esercitazioni di laboratorio sono state sempre fondamentali per completare nei ragazzi la loro preparazione professionale come casari. Fare i formaggi è un'arte, e come tutte le arti occorre tantissima pratica per realizzarla bene. Ecco perché un tempo gli allievi della Casearia, divisi a gruppi, turnavano ogni pomeriggio o in caseificio oppure nel mio laboratorio. Ogni gruppo vedeva la responsabilizzazione dei ragazzi di terza, che "insegnavano" agli studenti di prima e di seconda quanto già sapevano. Oggi, invece, dopo i cambiamenti introdotti dalla riforma del '92, vedo meno gli allievi nel laboratorio. Le esercitazioni pratiche sono state drasticamente ridotte. Succede che gli allievi del biennio post-qualifica, che magari diligentemente - attraverso la terza area - si avvicinano alle analisi di laboratorio, faticano tantissimo perché non hanno le basi per capire quello che stanno facendo. Non è colpa né degli insegnanti né della scuola, la responsabilità sta nella riforma. Non bisogna tornare alla Casearia di una volta, no, di certo. Perché è vero che occorre più cultura e maggiore consapevolezza, nei ragazzi, ma probabilmente sarebbe utile fare un piccolo passo indietro, ed integrare meglio le discipline culturalizzanti con quelle professionalizzanti".

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TESTIMONIANZE

Giovanni Folini Un Caseificio per imparare

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iovanni Folini è da quasi trent'anni assistente tecnico nel caseificio didattico della Casearia. Per l'esattezza è dal 1977 che ha assunto questo delicato ed impegnativo ruolo. Controlla gli impianti industriali e vigila sulla produzione dei formaggi, sovrintende lo spaccio interno di vendita, guida gli allievi nell'apprendimento del mestiere di casaro. Ha imparato le basi della difficile arte di lavorare il latte proprio presso l'istituto professionale pandinese. "Ho frequentato la Casearia dal 1973 al 1976, l'anno in cui mi sono diplomato (i corsi erano ancora solo triennali). Ho lavorato alcuni mesi presso la Centrale del latte di Peschiera Borromeo, e poi sono stato chiamato a Pandino da Cesare Ghitti, il direttore della scuola. Da allora non ho più lasciato questo posto", dice. E oggi ricopre il ruolo di responsabile del caseificio stesso. Se si vuole ricostruire la storia della Casearia dei cosiddetti tempi moderni - ricordando che per "tempi eroici" si intendono gli anni che vanno dal 1954 al 1974 bisogna per forza passare dalla sua preziosa testimonianza. Giovanni Folini, lo si nota subito, è un uomo pragmatico e di poche parole. È lui a fornire i dati utili per ricostruire i passaggi della lavorazione del latte alla scuola di Pandino. "Poco prima che arrivassi io, esattamente sino al '73, il caseificio didattico aveva lavorato il latte fornito dalla ditta Bovis di Pandino. Dal 1973 al 1988 la gestione è invece passata alla Polenghi-Lombardo di Lodi. In quegli anni gli allievi della scuola lavoravano circa 200 quintali di latte la settimana. Nel 1988 ha smesso di funzionare il 114

vecchio caseificio, ormai angusto e poco funzionale, ed ha lasciato il posto - dal gennaio 1989 - al nuovo caseificio didattico, che ha avuto una lunghissima gestazione. Basti pensare che il progetto era già stato predisposto nel '72, ma grossi problemi nel reperimento dei finanziamenti - da parte del Comune e dello Stato per quanto riguarda la costruzione dell'edificio e l'acquisto dei macchinari, e da parte della scuola stessa per comprare le rimanenti attrezzature - ne avevano poi a lungo ritardato la costruzione. Il nuovo caseificio, molto più funzionale del precedente, ci ha permesso di lavorare 70/80 quintali al giorno di latte, per cinque giorni la settimana. Inizialmente i formaggi sono stati ritirati dalla Trebilatte di Brignano, ma poi, per un problema di prodotto invenduto, abbiamo dovuto fermare la lavorazione per cinque mesi. Nell'ottobre dello stesso anno ci siamo rivolti per il latte alla centrale di Peschiera, ovvero la CPLL (Centrali Produttori Latte Lombardia), mentre della commercializzazione si è occupato per alcuni anni il mediatore Vittorio Fontana, di Gorgonzola, assai bravo nel trovare i compratori per i nostri formaggi. Verso la seconda metà degli anni Novanta la produzione ha cominciato lentamente ma costantemente a decrescere, a causa della concomitante crisi del comparto caseario in Lombardia. Troppi formaggi in circolazione (anche di dubbia provenienza e di altrettanto dubbia qualità) a fronte di una domanda di mercato sostanzialmente stabile. Ad un certo punto abbiamo rinunciato alla vendita gestita da esterni. Nel 2001 il caseificio didattico è rimasto fermo per circa un anno a causa della messa a norma della centrale termica. Ma poi ha ripreso a funzionare perfettamente. Attualmente i formaggi che produciamo (con il latte comprato direttamente da noi) vengono venduti attraverso lo


TESTIMONIANZE spaccio interno. Gli allievi lavorano circa 50 quintali di latte la settimana. La produzione è calata anche a causa della carenza di personale. Sino al 1995 qui in caseificio eravamo in 5, con tre o cinque classi, attualmente siamo solo in due in ruolo, con sette classi. E il terzo assistente tecnico cambia ogni anno, secondo la graduatoria ufficiale del provveditorato. In passato i direttori potevano scegliere direttamente le persone, e badavano bene che fossero preparate e, soprattutto, appassionate a questo lavoro. Poi non è stata più possibile la chiamata diretta, con il risultato che ci siamo ritrovati anche con tecnici specializzati in settori diversi da quello lattiero-caseario. E pensare che la vera forza di questa scuola è stata - ed è ancora - la grande unità di intenti e la passione che hanno sempre contraddistinto il personale sia docente che tecnico. I nostri allievi, sino al 1988, hanno lavorato nel caseificio 5 ore al giorno. Con la riforma dei professionali si è passati a 4 ore la settimana per gli studenti di seconda, a 10 per quelli di terza, e nessuna per la classe prima. Gli allievi del biennio post-qualifica vengono in caseificio solo un paio di volte al mese, in aggiunta a periodi di stage in aziende esterne. A mio giudizio è stata eccessiva la riduzione, voluta dal Ministero, delle ore di pratica, anche se comunque i ragazzi possono approfondire le loro conoscenze attraverso la cosiddetta terza area (con esperti esterni). La Casearia rimane comunque una delle poche scuole italiane, se non l'unica, che possiede un proprio caseificio didattico. Nelle altre scuole gli allievi vedono lavorare il latte dai tecnici di aziende esterne, da noi gli studenti imparano facendo direttamente i formaggi. C'è da aggiungere che gli studenti della Casearia, come del resto tutti i loro coetanei delle altre scuole,

sono molto diversi da quelli di qualche lustro fa. Una volta i ragazzi erano mediamente più seri e rispettosi, più motivati nel voler imparare un mestiere duro ma gratificante. Già a 17 anni si ritrovavano a lavorare nelle aziende, anche con ruoli di responsabilità. Ma è il mondo che nel frattempo è cambiato. Per alcuni versi in meglio, per altri in peggio. Attualmente il nostro caseificio didattico è sovradimensionato rispetto alle esigenze della scuola. O, se si vuole vedere la situazione da un altro punto di vista, sono le lavorazioni del latte che sono sottodimensionate rispetto alla struttura che abbiamo a disposizione. Ma, come ho già detto, nessuna altra scuola professionale italiana possiede un caseificio pari al nostro. Sarebbe necessario investire maggiormente in questa scuola. Sia in denaro che in volontà politica. Per esempio prestando maggiore attenzione alle ditte di trasformazione, stipulando con loro contratti di formazione per i nostri allievi. Si dovrebbero inoltre incrementare i contatti per la commercializzazione esterna dei nostri formaggi. L'aumento della produzione che ne deriverebbe, potrebbe alzare positivamente la qualità della preparazione degli allievi. Il mio auspicio è che, a tutti i livelli, si voglia sostenere, con volontà e fiducia, la nostra scuola, garantendole una sufficiente tranquillità di gestione. La Casearia ha superato momenti anche difficili, e può contare oggi sulla sua grande tradizione".

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TESTIMONIANZE

Studenti al banco di vendita dei prodotti della scuola

Allievi al quadro sinottico del caseificio 116


TESTIMONIANZE

L’assistente tecnico Folini durante un’esercitazione in caseificio

L’assistente tecnico Ferdinando Nosotti, in fondo a sinistra, e il prof. Giovanni Picco, al centro, assistono un gruppo di studenti impegnati in lavorazioni 117


TESTIMONIANZE

Carla Bertazzoli Dai banchi alla cattedra

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a mia avventura alla Scuola Casearia è iniziata, da studentessa, nel 1981, forse senza un preciso motivo: ero interessata ai prodotti alimentari, ero attratta dall'idea dei laboratori di analisi, ma anche dal fatto che il percorso durava solo 3 anni invece dei canonici 5, e che sarei stata a Pandino invece di dover andare a Crema o a Lodi. Fu quello un anno innovativo per la scuola, perchè, per la prima volta, dopo trent'anni di incontrastato dominio maschile, tra gli allievi del primo corso c'era anche una rilevante presenza femminile. Eravamo in cinque: io, Laura Bolzoni, Pinuccia Donati, Graziana Mauri, Antonia Villa; tutte di Pandino, perchè ancora non era permesso il soggiorno in convitto per le ragazze. E il primo giorno di scuola, sotto gli occhi critici di una settantina di ragazzi che forse si chiedevano cosa ci facessimo lì, aprimmo una strada che nel corso degli anni fortunatamente è stata percorsa anche da altre ragazze, ma certamente ancora in numero troppo limitato. L'inserimento nell'ambiente scolastico fu buono, non ci furono grossi problemi coi compagni di classe, anche se loro sostenevano che noi, in caseificio, eravamo preservate dai lavori più gravosi. Forse avevano effettivamente un po' di ragione, perché, almeno per i primi tempi, gli allievi di terza, che facevano da capisquadra nelle esercitazioni, ci trattavano "coi guanti": cercavano di farci fare i lavori più leggeri, risparmiandoci i più pesanti; ma capirono presto che così avrebbero avuto addosso tutta la controparte maschile e si adeguarono. Così toccò presto anche a noi spostare bidoni pieni di latte, spazzolare per terra, caricare le cassette coi for118

maggi, pulire e girare forme di grana. Ma avevamo voluto essere lì e non potevamo certo lamentarci. Il vecchio caseifico creava parecchi disagi, era ormai fatiscente, lavorarci era per certi versi anche pericoloso, ma dell'apertura del nuovo ancora non si parlava. C'era già la struttura, ma era vuota. E proprio per questo motivo, un'altra "innovazione" fu introdotta alla Casearia in quegli anni: lo sciopero degli studenti! Eravamo ormai in terza, continuavamo a chiedere notizie riguardo il nuovo caseificio, ma non ci sentivamo considerati né dal preside di Cremona né dal consiglio di Istituto, e il direttore della scuola (il prof. Ghitti) diceva di non avere informazioni precise da darci. E allora decidemmo di scioperare: tutti davanti alla scuola, con la chitarra, le carte da gioco, senza entrare per alcuni giorni; volevamo chiarimenti dal preside e dalle istituzioni. Però non ottenemmo nulla, anzi pagammo duramente questa nostra presa di posizione: ci fecero infatti saltare il viaggio all'estero di fine corso (l'unica gita che si faceva nei tre anni e che tutti aspettavamo da tempo) e dovemmo accontentarci della Toscana! Ma forse avevamo contribuito a smuovere le acque e a far sì che anche gli altri ragazzi e i genitori capissero l'urgenza di una nuova struttura. E arrivò finalmente il diploma: eravamo riuscite a frequentare con profitto e ad ottenere buoni risultati anche noi ragazze, come molti nostri compagni; ma se per loro c'erano le richieste delle aziende, per noi non ci fu nulla! Le aziende del settore lattiero-caseario chiedevano nello specifico solo maschi. E così tutti ebbero, come sempre, un posto di lavoro, tranne le prime ragazze diplomate della Scuola Casearia. Fu una delusione, uno smacco, per noi, e penso anche per i nostri insegnanti. Trovammo tutte qualcosa di alternativo da fare. Ma io non mi sentivo soddisfatta e l'anno successivo mi iscrissi all'Istituto professionale per l'Agricoltura di


TESTIMONIANZE

Anno scolastico 1983-’84: i diplomati e le prime diplomate La prof.ssa Bertazzoli è la quinta da sinistra del gruppo delle ragazze

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TESTIMONIANZE

Una lezione di chimica nel laboratorio di analisi con le prof.sse Bertazzoli e Panigada

Il laboratorio di informatica: alcuni studenti con la prof.ssa Civardi 120


TESTIMONIANZE Cremona, per frequentare il quarto e il quinto anno, ed ottenere il diploma di maturità, con la speranza di poter accedere ad altri ambiti lavorativi. Solo durante questi miei nuovi studi, una delle mie compagne trovò lavoro in un laboratorio di un'azienda del settore; ma per le altre l'ambiente caseario restò, purtroppo, chiuso. Con il diploma di agrotecnico e poi con la laurea in Scienze Biologiche, intrapresi un percorso ben lontano da latte e formaggi, e pensai davvero di aver chiuso con la Casearia (anche se nel frattempo ero stata chiamata dal prof. Ghitti per una supplenza annuale come docente tecnico-pratico in caseificio). Per alcuni anni ho fatto parte anche del consiglio direttivo dell'associazione diplomati, ma ormai non mi sentivo più legata né alla scuola né tanto meno all'ambiente lattiero-caseario. Mi piaceva insegnare, spesso davo lezioni di tecnologia casearia o di microbiologia ad allievi della scuola in difficoltà, ma lavoravo in un ambiente totalmente diverso da quello alimentare. Alla nascita di mio figlio Paolo, nel 1997, lasciai il laboratorio in cui lavoravo, e nello stesso periodo venni convocata per una supplenza annuale proprio alla scuola Casearia, incarico che accettai ovviamente con grande piacere. E dopo qualche anno di supplenze tra Pandino e Crema, eccomi di ruolo ad insegnare nella "mia" scuola. Ed ora mi sento doppiamente legata a questo luogo. Non solo per quello che ho vissuto da studente, ma anche per quello che sto vivendo come docente. È per questo che ho accettato, nel corso di questi anni, di svolgere anche dei ruoli complementari a quello dell'insegnante tecnico-pratico: come referente per l'orientamento, per i rapporti con gli enti territoriali; come rappresentante dei docenti in consiglio di istituto; come collegamento tra la scuola e l'Associazione diplomati. Perchè credo che nella scuola, e in particolare in una piccola scuola come la nostra, ai docenti, ai tecnici e a

tutto il personale, sia richiesto spesso di vedere anche oltre la propria specifica mansione: ritengo indispensabile che si consideri la scuola come una piccola società che per crescere e migliorarsi ha bisogno dell'impegno di tutti; e fortunatamente a Pandino la pensano così in parecchi. A volte però, più dell'entusiasmo e della voglia di fare, prevale lo sconforto: per esempio quando la burocrazia prende troppo tempo; quando qualche ragazzo particolarmente vivace o che non riesci a motivare ti fa mettere in discussione; quando si teme di non riuscire a costituire una classe, magari per la mancanza soltanto di uno o due iscritti. Ma fortunatamente sono ancora numerose le occasioni gratificanti, quelle in cui ti senti orgoglioso di essere parte della Scuola Casearia: quando i responsabili delle aziende chiamano per voler assumere i ragazzi diplomati, e soprattutto quando, soddisfatti, richiamano per più anni; quando gli ex-allievi passano a scuola a salutare e magari a ringraziare per gli sviluppi della propria esperienza lavorativa o di studio; quando una TV nazionale trasmette un servizio sulla tua scuola, e chiamano da tutt'Italia per avere informazioni; quando i ragazzi partecipano con interesse alle iniziative proposte e ti accorgi che sono contenti di esserci; quando il lavoro di gruppo con i colleghi porta al raggiungimento di obiettivi ambiziosi (da ultimo la realizzazione di questo libro). La mia speranza è che i momenti sereni e gratificanti prevalgano, che le capacità e le competenze di ciascuno possano esprimersi al meglio, per far sì che la Scuola Casearia continui a ricoprire il ruolo che ha avuto finora, e che lo faccia ancora a lungo.

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TESTIMONIANZE

Anno scolastico 2002-’03: una giornata sulla neve. Al centro, le prof.sse Tomasoni, Civardi, Bertazzoli

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TESTIMONIANZE

Franca Civardi Il rinnovamento nella continuità

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a professoressa Franca Civardi, laureata in scienze agrarie, insegna agli allievi del triennio della Casearia principi di agricoltura, ecologia, tecnologia chimico-agraria, biotecnologie. È lei, inoltre, ad organizzare, per il biennio post-qualifica, le ore di specializzazione in indirizzo lattiero-caseario, in quella che viene chiamata "la terza area". Prende contatti con le ditte del settore per avere a Pandino loro esperti che insegnino agli studenti i processi produttivi e l'organizzazione aziendale, concerta le visite all'interno delle industrie e dei caseifici, predispone gli stage ed i tirocini degli alunni presso le aziende. Insomma, è colei che struttura quel corso parallelo di studi che poi permette agli studenti della Casearia di ottenere, oltre al diploma di agrotecnico, anche l'attestato di "tecnico delle produzioni lattiero-casearie". Ovvero la specializzazione che è stata, da sempre, la principale caratteristica professionalizzante della scuola Casearia. Ma che differenza c'è tra la tradizionale figura dell' "esperto casaro" ed il diplomato d'oggi della scuola pandinese? "Una volta gli allievi compivano tantissime lavorazioni ed esercitazioni. Erano il caseificio e il laboratorio gli elementi centrali di questa scuola. Le esercitazioni sviluppavano nei giovani in modo prevalente le abilità pratiche, la disciplina (perché dovevano lavare i macchinari e i pavimenti, pulire le attrezzature, rispettare gli orari ed i turni di lavoro), e la capacità di adeguarsi alla organizzazione aziendale. Una volta usciti dalla scuola, rispetto agli operai generici che lavoravano nei caseifici, gli studenti della Casearia erano certamente avvantaggiati, perché in qualità di operai specializzati potevano facil-

mente far carriera ed ottenere posti anche di responsabilità. Ma oggi, nel mondo lavorativo attuale, la loro abilità professionale non basterebbe più. Nelle aziende lattierocasearie ora i reparti sono guidati da laureati, la produzione è in buona parte meccanizzata ed il vecchio "esperto casaro" rischierebbe di essere utilizzato solo come operaio semplice. La nuova figura del nostro diplomato - figlia della riforma introdotta con il "Progetto '92" - ha maggiori conoscenze culturali, sa spaziare in molteplici campi disciplinari del settore agro-industriale. Insomma, sa rispondere meglio alle mutate richieste del mondo del lavoro. Ricordo che nella metà degli anni '90, quando anche nella assolutamente unica Scuola Casearia di Pandino venne introdotta la riforma dei professionali, molti allievi, ma anche noi professori, faticammo ad adattarci al cambiamento. Gli studenti del nuovo triennio, nel vedere gli allievi dei corsi in via di esaurimento lavorare molto più di loro nel caseificio, rimanevano perplessi e temevano di non poter raggiungere la preparazione che la scuola tradizionalmente offriva. Non è stato facile convincerli che una maggiore cultura, sia di base che di indirizzo, li avrebbe poi aiutati a far davvero carriera. Ora l'hanno capito. Per esempio il caseificio non è più solo un luogo dove imparare a lavorare stando attenti esclusivamente a rispettare le produzioni canoniche. Oggi si fanno più sperimentazioni, più ricerca. Si lavora meno latte rispetto al passato, certo, ma ora lo si fa soprattutto a fini didattici, e non solo produttivi. Ed i nostri diplomati trovano ancora con facilità il lavoro. Mentre qualcuno si è anche iscritto all'università e ha proseguito proficuamente gli studi". La professoressa Civardi, quando nel 1993 il direttore della scuola, Cesare Ghitti, è andato in pensione, ne ha ricoperto per due anni il posto. "Nel '91 sono entrata in ruolo e per un po' di tempo ho lavorato in un istituto di Crema. Ma poi ho chiesto di essere assegnata a Pandino. 123


TESTIMONIANZE Vi ero già stata nel 1985 come supplente ed avevo partecipato agli esami di qualifica. Questa scuola mi aveva positivamente colpito per la serietà, l’originalità e per la familiarità che vi ho trovato. Ecco perché ho voluto tornarci. Dirigerla è stato molto gratificante. Sono stati due anni densi di impegni di lavoro e di responsabilità e che hanno contribuito alla mia crescita professionale". Franca Civardi ricorda che, per un po' di tempo, la continua alternanza degli insegnanti - che spesso vedono la scuola di Pandino, posta all'estremità settentrionale della nostra provincia, come un "purgatorio" in attesa di una cattedra più vicina a casa - ha influito sulla organizzazione della Scuola. "Ma vedo che da qualche anno ritornano sempre gli stessi, segno che l'atmosfera costruttiva che da sempre esiste qui da noi li spinge ad entrare nel gruppo di quegli insegnanti e tecnici che rappresentano ormai da anni la spinta propulsiva della scuola.

Di alcuni ho potuto apprezzare le doti professionali ed umane e ne conservo un bel ricordo, con altri tuttora collaboro proficuamente". La Casearia, all'insegna del rinnovamento nella continuità, ha sviluppato in questi ultimi tempi alcuni progetti speciali. "Gli studenti si sono esercitati anche nella lavorazione del latte di capra, e in quello di bufala. Hanno poi imparato a produrre il grana, l'erborinato ed i formaggi pressati. È stato inoltre realizzato un corso per diventare assaggiatori di formaggi, in collaborazione con l'Onaf (ovvero l’organizzazione nazionale che raggruppa ufficialmente gli specialisti del gusto). Abbiamo partecipato al Salone del Gusto di Torino, nonché a parecchie fiere del settore agroalimentare. Con alcuni allievi meritevoli sono appena stata in Tirolo per partecipare ad un progetto speciale di agricoltura e formaggi di montagna".

Anno scolastico 2002-’03: classi 4ª e 5ª in visita al Salone del Gusto di Torino con la prof.ssa Civardi 124


TESTIMONIANZE

Ebe Boara Una bidella per amica

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a signora Ebe Boara è rimasta la bidella "storica" della Casearia, dopo che sono andate in pensione le signore Lina Cisarri e Paola Scolari, che per tanti hanno lavorato insieme a lei. Ed è proprio alla signora Ebe che chiediamo, a mo' di portavoce della categoria, di illustrarci la sua esperienza ed il suo lavoro presso la scuola. "Da quando a Pandino non è più presente la figura della collaboratrice amministrativa, noi bidelle dobbiamo svolgere anche compiti di segreteria. Il che, se da una parte è gratificante, dall'altra rende il nostro mestiere decisamente impegnativo. Dal mio osservatorio privilegiato, quale è da sempre, nelle scuole, la bidelleria, ho avuto modo di constatare importanti cambiamenti soprattutto nel comportamento generale degli alunni, che rispecchia uno scenario generazionale profondamente mutato. Oggi si percepisce una maggiore insofferenza verso le regole e gli impegni. Ma il rapporto con i ragazzi rimane buono e sincero. Perché la bidelleria ricopre ancora oggi un ruolo tutto speciale, che va al di là delle mansioni ufficiali. Per molti ragazzi sono la confidente, mi chiedono consigli, sono la seconda mamma, soprattutto per quei ragazzi che hanno la famiglia lontana. Sanno che in bidelleria c'è qualcuno pronto ad ascoltarli, e magari ad aiutarli a sfuggire, in qualche occasione, alla verifica o all'interrogazione quando non si sentono abbastanza preparati. E allora bisogna confermare un improvviso, quanto imprevedibile mal di pancia, far prendere al "malato immaginario" un bel tè caldo, e assicurare la permanenza nella calda e protettiva bidelleria, almeno per tutta la durata del compito in classe o delle interrogazioni!

La sig.ra Boara con il direttore Alquati

E poi c'è il conforto ed il sostegno dopo un brutto voto, oppure prima dell'esame finale, quando i ragazzi diventano nervosi e agitati, e chiedono a noi bidelle sostegno e tranquillità. E la conferma dell'importanza del nostro ruolo si ha quando, a distanza di anni, i ragazzi passano a salutare e ricordano con gioia i tanti momenti trascorsi in questi ambienti".

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TESTIMONIANZE

Silvia Panigada Una riforma positiva

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ono approdata alla Casearia quando, fresca di laurea in scienze agrarie e con una esperienza di due anni presso l'Istituto Sperimentale Lattiero-caseario di Lodi, avevo una sola certezza: non avrei mai insegnato. Capitai in questa scuola in modo del tutto casuale, non ne conoscevo neppure l'esistenza: pensavo che l'insegnamento sarebbe stato qualcosa di assolutamente temporaneo, in attesa di varcare finalmente la soglia di qualche importante industria della zona. Quando il dottor Ghitti mi accolse e mi propose di insegnare chimica in tutte le classi e, soprattutto, di occuparmi del laboratorio di analisi, mi sembrò così piacevole e naturale il farlo che cominciò a vacillare in me quella certezza, che ben presto si sgretolò del tutto. Non mi sembrava fosse la solita scuola: la Casearia era piuttosto una scuola-azienda, dove l'apprendimento passava rigorosamente attraverso l'esperienza pratica. Insegnare nel laboratorio, peraltro, significava per me non abbandonare completamente la mia originaria passione. Erano i tempi in cui i ragazzi arrivavano in classe alle 8,30 del mattino, dopo aver già lavorato tre ore in caseificio, e non era permesso essere particolarmente indulgenti con loro". Chi parla è la professoressa Silvia Panigada, dalla fine degli anni ‘80 in servizio stabile presso la scuola pandinese. A lei chiediamo di tracciare un bilancio tra la "vecchia" Casearia, quella di cui abbiamo raccontato le origini ed i primi decenni di vita, e quella "nuova", formatisi con l'avvio del Progetto '92. "Personalmente sono molto soddisfatta dei cambiamenti introdotti. Noi insegnanti attuali crediamo molto in 126

questa ventata di aria fresca. Era ormai necessario che i ragazzi avessero una formazione più completa, per affrontare meglio il mutato mondo del lavoro. Sino alla metà degli anni '90 arrivavano a Pandino dei ragazzi fortemente motivati ad apprendere soprattutto le modalità pratiche di un lavoro: erano figli di ex allievi, oppure avevano il padre con un’attività casearia in proprio. Avevano le idee chiare: volevano fare i casari, e quindi si impegnavano molto a scuola. Quando vi fu la riforma dei professionali gli studenti, al principio, apparvero parecchio scettici. Volevano fare più esercitazioni pratiche. "Ma come, io volevo imparare un mestiere in tre anni ed invece voi mi fate fare sette ore di italiano!?", dicevano spesso. E noi a spiegare loro che una maggiore cultura era senz'altro preferibile alla sola capacità manuale. Il formaggio si può fare anche meccanicamente, senza sapere cosa sta avvenendo. Invece bisogna saper motivare quello che si fa, occorre sapersi relazionare con gli altri in maniera completa, saper parlare, saper redigere una relazione. Maggior cultura significa maggiore curiosità intellettuale, e questa rende più liberi e consapevoli gli uomini. E poi oggi un semplice casaro tradizionale sarebbe sottoutilizzato in un’azienda del settore, per far carriera occorrono maggiori conoscenze generali. Oggi gli studenti che vengono alla Casearia sono cambiati rispetto ai loro coetanei di tanti anni fa. Solo una parte è motivata come in passato, un'altra si iscrive da noi perché vuole frequentare un istituto professionale e poi magari indirizzarsi - come capita - verso l'università. Che sia stato positivo il cambiamento curricolare lo dimostra il fatto che la grande maggioranza degli allievi, una volta ottenuta la qualifica, frequenta poi il corso biennale per arrivare al diploma. Pur uniformata agli altri professionali, la Casearia rimane comunque abbastanza atipica, grazie alla presenza del caseificio, del laboratorio di analisi (in cui si com-


TESTIMONIANZE piono ricerche microbiologiche e organolettiche sul latte e sui suoi derivati, sia per la Scuola che per conto terzi), e della terza area professionalizzante". Un altro elemento atipico, ma positivamente significativo - aggiungiamo noi - è che l'insegnante di scienze agrarie, Silvia Panigada, appunto, sia poi la prima ad occuparsi di progetti a sfondo culturale, per elevare la qualità dell'offerta formativa della scuola. "Abbiamo messo in piedi un progetto relativo all'espressione teatra-

le, ed i ragazzi ne sono rimasti entusiasti. Il nostro spettacolo ha vinto al "Franco Agostino Teatro Festival" di Crema nonché alla Rassegna Nazionale Teatro della Scuola di Serra San Quirico. Abbiamo inoltre ottenuto riconoscimenti al Premio "Anna Adelmi". Quest'anno, insieme al professor Alquati, valido batterista, conto di attivare anche un laboratorio di musica. Abbiamo già acquistato gli strumenti necessari e chissà non possa nascere una band alla Casearia".

Anno scolastico 2003-’04: il gruppo teatrale della Casearia a Serra San Quirico 127


TESTIMONIANZE

Anno scolastico 2001-’02: la squadra di calcio del “Torneo Palumbo”, con l’allenatore prof. Alquati

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TESTIMONIANZE

Un momento dello spettacolo teatrale “Volevo solo un abbraccio”

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TESTIMONIANZE

Alessandro Labò Una Scuola che dà lavoro

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lessandro Labò si è diplomato nel 2004 alla Casearia, dopo aver frequentato il corso biennale post qualifica. Ha ricevuto il diploma di "Agrotecnico lattierocaseario" di sabato, e ha iniziato a lavorare il lunedì successivo presso l'Invernizzi di Caravaggio. Dopo alcuni mesi ha scelto di trasferirsi presso il Caseificio Arrigoni. Lo incontriamo nel poco tempo libero che ha tra il nuovo lavoro, la palestra e la fidanzata. "Ho scelto la Casearia perché sapevo che questa scuola offriva poi un buono sbocco lavorativo, anche se gli insegnanti della scuola media non avevano approvato la scelta, e mi avevano consigliato di frequentare un Istituto tecnico. Qui a Pandino mi sono inserito bene, da subito, ed ho potuto instaurare un buon rapporto con il direttore, con gli insegnanti e con i compagni. Ritengo di aver ricevuto una buona preparazione dalla scuola, sia in fatto di conoscenze che di competenze; certo, l'importante è essere motivati e partecipare con assiduità alle diverse proposte formative. In particolare ho trovato molto costruttive le attività previste nella cosiddetta "terza area", per esempio le numerose e bellissime visite nelle aziende, compiute con la guida del prof. Picco e del prof. Fontanella. Anche le esperienze di stage, prima presso un laboratorio di analisi e poi in una grande industria lattiera-casearia, mi hanno dato grande soddisfazione. Forse mi aspettavo più esercitazioni pratiche nel caseificio, è vero, ma non troppe, altrimenti avrei dovuto rinunciare alla palestra, e forse - se il carico orario e di fatica della Casearia fosse rimasto quello di vent'anni fa - avrei dovuto scegliere un altro tipo di 130

scuola, che mi avesse permesso di continuare nel mio sport preferito. Credo infatti che sia necessario, per un adolescente, l'impegno nello studio, ma che questo debba anche lasciare il tempo per altre attività, come la musica o lo sport. Io, per esempio, frequento una palestra di pugilato da quattro anni, partecipo a gare anche a livello nazionale, raggiungendo risultati gratificanti; un mio ex compagno di classe suona nella banda e, da due anni, è anche iscritto al Conservatorio. Senza nulla togliere allo studio - entrambi ci siamo diplomati con ottimi risultati - la scuola ci ha permesso di fare anche altro. Sono molto contento della scelta che ho fatto, perché mi ha permesso di ottenere, da subito, un buon posto di lavoro, dove peraltro sono inseriti anche altri ex allievi della Casearia. Inoltre ho ottenuto un diploma che mi permetterebbe, se ne avessi il tempo, di frequentare l'Università, come stanno già facendo alcuni miei compagni di classe. Penso proprio di poter consigliare questa scuola a ragazzi motivati e seri, che abbiano voglia di applicarsi, consapevoli che la scelta potrà dare loro le competenze necessarie per inserirsi nel mondo lavorativo e le conoscenze per affrontare, eventualmente, gli studi universitari con successo".


TESTIMONIANZE

Marmilia Gatti Galasi Ricordando la "vecchia" Casearia

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i è stato chiesto di scrivere qualche ricordo personale della vecchia Scuola Casearia e dell'annesso Convitto. Ne avrei parecchi, a dire il vero: sono simili a flash brevissimi, che irrompono nella mia memoria con volti, episodi, fotografie di locali e di personaggi d'altri tempi. Ne vorrei riproporre alcuni, così come vengono, senza impegnarmi con date precise che difficilmente riuscirei a ricostruire, anche se nell'arco di questi ultimi cinquant'anni ho scritto parecchio su di essi, prima sul nostro glorioso "Qui Pandino", tra il '61 e l'80, e successivamente, tra l'85 e il '90, su "La Provincia". Ma non ritengo opportuno andare a spulciare ingialliti ritagli di giornale e così mi affido solo alla mia memoria. I "latticini" Comincio col ricordare i primi "latticini", com'erano chiamati dai pandinesi i primissimi allievi della scuola Casearia: ragazzi già "grandi", a volte diciottenni, poco più o poco meno, che arrivavano da ogni parte della provincia e dalle zone limitrofe e che vestivano i camici bianchi che indossavano in quel piccolo caseificio ricavato dai locali delle precedente colonia elioterapica, con relativa piscina nel prato antistante. La piscina, alla fine degli anni '40 e ai primi dei '50, non aveva, naturalmente, più acqua e i locali della colonia avevano ospitato, in un primo tempo, la scuola di Avviamento professionale, diretta dal carissimo amico professor Alarico de Angelis, pescarese di Torre de’ Passeri. In quel caseificio, al piano terreno, con pochi semplicissimi macchinari, i "latticini" di quei tempi lavoravano,

tra umidità e densi vapori, per varie ore al giorno e imparavano a fare il burro e i formaggi. Quando invece erano in libera uscita, fuori dalla scuola o dal Castello, dove pranzavano, studiavano e dormivano, erano guardati dalle ragazzine del paese con curiosità e simpatia: erano forestieri, studenti ed anche, spesso, ragazzi simpatici e desiderosi di familiarizzare. Basti pensare che alcuni di essi, addirittura, trovarono a Pandino fidanzate e mogli. Mi piace ricordare qualche nome: per esempio Ottavio Salis, sardo, che poi ha fatto una carriera importante nella "Lactis" di Bergamo; e Guido Tronci, cremonese, che ha trovato fortuna in Venezuela, iniziando proprio lavorando in caseifici; e ancora Gian Tosi, che veniva da Straconcolo in quel di Stagno Lombardo, sulle rive del Po. Poi Sergio Marchiotto veronese, che ha sposato una bella ragazza di Pandino, la Candida Ferrani; e anche Pierangelo Renzi, che è diventato un funzionario importante in una centrale del latte a Caravaggio e ha sposato Enrica Ferrani, sorella di Candida; e Pietro Forbiti, bresciano, che dopo essersi sposato è tornato a Pandino con la sua impresa; e ancora Remo Stabile, che dopo alcuni anni come insegnante tecnico nella sua stessa scuola, andò in Messico, sposò una bella messicana e vi fece fortuna col suo lavoro, appreso presso la nostra scuola. C'è stato però anche chi non ha sfruttato l'arte che aveva appreso nel nostro Caseificio, ma ha scelto una strada completamente diversa ed è diventato sacerdote, come Francesco Ruini, che ora è don Francesco Ruini e svolge il suo nobile ministero a Crema. A questo punto vorrei rivolgere un pensiero particolare a due ragazzi, ospiti del Convitto in epoca più recente, vittime di un tragico destino. Sono Giovanni Zagheni di Ombriano, che, mentre frequentava il secondo anno di studi tra noi, morì colpito improvvisamente da una grave forma di leucemia, e Juan Piris, spagnolo. Era uno dei tanti 131


TESTIMONIANZE ragazzi stranieri che nel corso dei decenni hanno dato lustro alla nostra Scuola Casearia. Juan apparteneva ad una influente e altolocata famiglia residente a Palma di Maiorca e, dopo essere stato per tre anni in Convitto, morì, appena conseguito il diploma, nella sua bella isola in un tragico incidente stradale. Era un ragazzo che ho conosciuto personalmente, cordiale, simpatico, generoso. Di lui conserviamo un ricordo particolarmente affettuoso e abbiamo sofferto molto alla notizia della sua scomparsa. Il maestro Marinoni Ora vorrei parlare anche del maestro Umberto Marinoni, il cui nome e la cui testimonianza saranno già stati riportati in questo volume. Ne parlo ugualmente perché lo ricordo con grande simpatia. Dovevano essere gli anni '60 (mi perdoni, maestro, se non rammento la data precisa). Egli era venuto nel mio Circolo come supplente per qualche settimana. Mi era piaciuto subito per la sua dolcezza, serietà e timidezza. Ma il lavoro come supplente nella scuola elementare non era continuativo ed egli, invece, aveva bisogno di lavorare. Cercai, quindi, di aiutarlo a trovarne un altro che gli desse più garanzie. E pensai al Convitto della Scuola Casearia che allora era diretto, con severità e ordine, da don Raffaele Cordani. Se "Umbertino", come allora mi capitava spesso di chiamarlo, fosse riuscito ad entrare nel Convitto come educatore o come segretario, avrebbe certo trovato un lavoro consono al suo carattere e, inoltre, ne avrebbe ricavato una certa sicurezza economica. Ne parlai a don Raffaele, presentandolo come meglio potevo e come meritava, e subito egli lo accettò come suo aiutante. Da lì Umberto Marinoni non si è più spostato, ha "fatto carriera" ed è diventato, si può dire, l'anima del Convitto per più di trent'anni! 132

Un episodio sconosciuto A proposito del primo Convitto, vorrei raccontare un episodio certamente sconosciuto ai più, ma che io ho vissuto, sopportandone anche le conseguenze per vario tempo, nei primi anni '60. Ero Direttrice didattica del Circolo di Pandino da pochissimi anni ed era Provveditore agli studi di Cremona il dottor Giovanni Lepore, appena succeduto a Raffaele de Carlo, morto improvvisamente. Allora il convitto della Casearia usufruiva di alcuni locali al pianterreno del Castello, nell'ala nord. A destra, entrando appunto da nord, c'erano, se non sbaglio, le cucine e, a sinistra, un grande stanzone ricco di affreschi non ancora restaurati, ma molto mal ridotto, umido e scuro, adibito a dormitorio. In esso, in un angolo, era stata tirata una tenda: lì dormiva don Raffaele e tutto intorno c'erano le brande dei ragazzi. Io, però, non c'ero mai stata e non ne conoscevo assolutamente lo stato. Una mattina mi vedo capitare in Direzione il provveditore dottor Lepore, che già conoscevo e che era la massima autorità nel campo della scuola cremonese. Non mi spiegavo quella sua visita improvvisa ed inaspettata. Mi chiese di chiudere la porta dell'ufficio perché doveva parlarmi assolutamente in privato. E a me venne, naturalmente, il batticuore. Ma non si trattava, per fortuna, della mia scuola, mi disse subito. Doveva, invece, chiedermi di aiutarlo, in via riservatissima, in una faccenda che riguardava la Scuola Casearia, o, meglio, il Convitto annesso. Son passati da allora più di quarant'anni e penso di poterne ora parlare con libertà. Mi disse che aveva ricevuto delle lettere, con minaccia di passarle anche alla stampa, sulle condizioni del dormitorio del Convitto. Qualcosa sull'argomento era trapelato anche in paese e anch'io lo sapevo. Si parlava di topi "grossi così" che giravano tra le brande di notte, di pipistrelli che volavano


TESTIMONIANZE sulle teste dei ragazzi, di piccioni che entravano dai vetri rotti; si diceva dell'umidità del locale che faceva venire i dolori nelle ossa, della mancanza di spazio e di igiene e così via. Ma si pensava che fossero, più che altro, esagerazioni dei ragazzi, colorate, magari, di un po' di fantasia. Il Provveditore, però, mi chiedeva di aiutarlo a farsi aprire il locale senza che alcun altro potesse intervenire. la sua doveva essere una ispezione pro-forma, solo per rendersi conto della effettiva realtà, senza che qualcuno potesse preparare prima l'ambiente. Voleva, insomma, conoscere direttamente come fosse realmente la situazione e se essa corrispondesse a ciò che si diceva nelle lettere. Mio marito era allora impiegato in Municipio ed aveva la possibilità di entrare, volendo, nel salone. Il Provveditore venne in tutta segretezza con me in Castello, mio marito ci fece passare oltre la porta di un deposito di attrezzi e da lì entrammo nel famoso dormitorio. Il dottor Lepore ne fu costernato: la penombra, l'aria pesante, le pareti scure di umidità, il pavimento dissestato e quella tenda malmessa nell'angolo a riparare la privacy di un sacerdote! Ne uscì addolorato e preoccupato. Ma cosa si poteva fare? Chiudere il Convitto? Gli studenti arrivavano da paesi lontani, non sarebbero potuti tornare a casa la sera, né trovare altro alloggio in paese. Avrebbero dovuto abbandonare la scuola. Che fare? Ma il dottor Lepore aveva già un progetto in mente: pensava ad un locale più sano da ricavare dalla "mia" scuola elementare. Mi chiese di fargliela visitare e così facemmo: dagli scantinati che ad ogni primavera si allagavano, alle aule tutte al completo, dato che allora gli alunni erano poco meno di trecento, alla palestra appena rimessa in ordine col pavimento in linoleum e piena di sole e di luce. Ed ecco la soluzione per lui: la palestra! Sarebbe stato

solo per pochi mesi, avrebbe pensato lui a sollecitare i lavori e a far apportare rapidamente le migliorie necessarie al salone del Castello. Che mi fidassi di lui, garantiva lui! Per qualche mese la ginnastica i bambini potevano farla nei corridoi, così ampi e belli, oppure sul prato nei giorni buoni ... Insomma, tanto disse e tanto fece che cedetti. E poi lui era il Provveditore, come potevo io, direttrice alle prime armi, impuntarmi a dire di no? A quella scuola Casearia, che senza il Convitto non avrebbe potuto continuare ad esistere, anch'io tenevo moltissimo: dava lustro al paese, aveva grandi prospettive di sviluppo, dava un futuro di lavoro a tanti ragazzi ... Dicendo di sì al Provveditore mi passò per la mente, come un fulmine a ciel sereno, la valanga di proteste che si sarebbero alzate dai miei maestri. Come avrei fatto a difendermi? Cosa avrebbero detto i genitori? Ma la decisione l'avevo ormai presa, a tutto il resto avrei pensato dopo. Da un giorno all'altro (ebbi appena il tempo di avvertire gli insegnanti) venne ordinato il trasferimento di brande ed armadietti nell'ampia palestra, venne tirata un'altra tenda in un angolo per don Raffaele, furono applicati tendaggi e carte blu sulle grandi vetrate e finalmente i "latticini" vi entrarono per dormire, felici di non avere più topi tra i letti e pipistrelli sopra le teste. Ma io, per mesi e mesi, poiché i lavori durarono a lungo, dovetti sorbirmi le accuse dei miei maestri e quelle ore di ginnastica nei corridoi, in cui mi imbattevo ogni volta che uscivo dalla Direzione e che parevano messe lì apposta per farmi ricordare la mia "colpa"! Ma se colpa fu, venne largamente premiata: la Scuola Casearia non corse pericoli, il Convitto poté sopravvivere permettendo alla scuola di funzionare sempre meglio e di ampliarsi con un sempre maggiore afflusso di allievi a beneficio di tutti, anche del nostro paese. E siccome è bene ciò che finisce bene, io ne fui felice.

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TESTIMONIANZE

Un caso particolare

In fuga da Sarajevo

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uesta è una piccola storia di grande umanità. Nel gennaio del 1994 una famiglia di Sarajevo, fuggita in tutta fretta dalla propria città sconvolta dai bombardamenti e dalla guerra, dopo aver trovato rifugio presso una famiglia di amici a Pavone di Mella, nel Bresciano, fu ospitata presso la scuola Casearia di Pandino. L'alloggio fu ricavato da un appartamento che si trova tutt'ora sopra il Caseificio didattico. Al capo famiglia, l'elettricista Kolokovic Sulejman e a sua moglie Alma (medico radiologo), il preside della scuola, Pieremilio Priori, affidò l'incarico di custodi dell'edificio, per vigilare contro gli atti vandalici ed i furti che si erano registrati in quella zona nei mesi precedenti. Un escamotage per permettere all'istituto professionale di ospitare ufficialmente (e soprattutto gratuitamente) una famiglia bisognosa di ricovero e di assistenza nei propri

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locali. La figlia della coppia, Lea, di sei anni, fu accolta nella classe prima B delle locali scuole elementari, con buoni risultati. Il signor Kolokovic fu avviato ad un corso per ottenere la patente di controllore di generatore di vapore, per poter rispondere alle esigenze del caseificio, dove infatti prestò poi alcuni lavori di piccola manutenzione. La signora Alma venne positivamente coinvolta dalla comunità pandinese, presso la quale poté esercitare con abilità alcuni interventi domiciliari di tipo infermieristico. Dopo un paio di anni la famiglia bosniaca poté tornare nella propria città natale, visto che i combattimenti più devastanti erano finalmente terminati. Ma certamente, ancora oggi, portano grati nella loro memoria l'ospitalità di Pandino e, in modo particolare, della Casearia.


TESTIMONIANZE

Il Castello Visconteo che ospita il Convitto

La palazzina sede della Scuola 135


TESTIMONIANZE

I Presidi della Scuola Leone Soldani Domenico Di Gioia Ruggero Lazzarotto Giuseppe Arisi Luigi Bisicchia Antonio Storti Guido Lazzarini Pieremilio Priori Mirelva Mondini Pieremilio Priori

dal 1954 al 1961 dal 1961 al 1964 dal 1964 al 1974 dal 1974 al 1981 dal 1981 al 1984 dal 1984 al 1988 dal 1988 al 1989 dal 1989 al 1996 dal 1996 al 1998 dal 1998 ad oggi

I Direttori della Casearia Alfredo Manstretta Agostino Oirav Carlo Brancale Don Raffaele Cordani Matilde Altieri Cesare Ghitti Franca Civardi Stefano Cattaneo Giovanni Picco Andrea Alquati Marco Attilio Gerli Andrea Alquati

I Coordinatori del Convitto Don Raffaele Cordani Umberto Marinoni Marco Pezzini Roberto Baragetti

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dal 1954 al 1974 dal 1974 al 1998 dal 1998 al 2002 dal 2002 ad oggi

dal 1954 al 1961 dal 1961 al 1962 dal 1962 al 1970 dal 1970 al 1972 dal 1972 al 1974 dal 1974 al 1993 dal 1993 al 1995 dal 1995 al 1996 dal 1996 al 1997 dal 1997 al 2000 dal 2000 al 2001 dal 2001 ad oggi


ELENCO

DIPLOMATI

Elenco diplomati

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ELENCO

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DIPLOMATI


ELENCO

DIPLOMATI

DIPLOMATI CORSO BIENNALE DI "ESPERTO CASARO"

1956 Airoldi Giorgio Bellini Angiolino Corbani Gian Paolo Dester Carlo Ferrari Anselmo Forbiti Pietro Lazzari Olivano

Manera Alessandro Milanesi Virgilio Renzi Pier Angelo Sangiovanni Francesco Tolasi Gian Battista Vezzoli Valerio Zanisi Romano

1957 Andrigo Giorgio Ferrari Giuliano Ghelfi Galliano Gneusz Armando Gregori Renzo Leoni Enrico

1958 Bertolotti Gianfranco Contardi Rino Erba Pasquale Fraschini Luciano Invernizzi Oreste Leoni Adriano Longoni Alberto Ronchi Gian Mario

Schiavini Ermanno Severgnini Andrea Stabile Remo Tomasini Giacomo Ucussich Ivo Vezzoni Marino Zuccotti Pietro

Martinelli Giovanni Savi Bruno Severgnini Angelo Stanga Enrico Zuccotti Cirillo

1959 Bazzani Francesco Berti Angelo Carlo Bianchi Nemesio Calati Franco Casella Giancarlo Fappani Enrico Fappani Giuseppe Fossati Francesco

Gelmini Carlo Giupponi Domenico Grandi Giovanni Rebuzzini Rocco Vasirani Luigi Vendrame Nereo Vicari Franco

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ELENCO

DIPLOMATI

1960 Bombelli Mario Bozzetti Vincenzo Bozzini Gaetano Branchini Silvio Buzzi Gian Sandro Collina Vittorio Copetti Giuseppe Donadoni Pietro Garbagnoli Mario

Meneghello Giovanni Piseddu Gavino Righini Renato Selleri Luciano Torresan Alessandro

Boni Gilberto Cava Mario Feroldi Giuseppe Galli Francesco Guccini Sergio

1962

1962

(biennio di qualifica e un anno di specializzazione regionale)

(biennio di qualifica)

Bignardi Francesco Biscioni Roberto Bonamino Luigi Cappelli Giancarlo Damiani Angelo Malerba Alberto Marin Giorgio Morandi Lauro

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Giani Franco Luzietti Dino Perazzoli Carlo Perdomini Lorenzo Piccardo Giancarlo Priori Angelo Sanfelici Ersilio Sechi Mario Vaiani Graziano

1961

Pavolotti Guerrino Regazzetti Luciano Romeri Corrado Tonin Nino Vanazzi Vincenzo Zucchi Luigi

Arcadu Luciano Bassora Giuseppe Bottini Alberto Bozzoni Renato Brioni Carlo Coati Francesco Cordioli Mario Costa Gian Antonio De Francesco Germano

Del Miglio Giovanni Fantoni Giancarlo Feniardi Riccardo Germinasi Cesare Lunghi Ernesto Marcolini Scipione Sangiovanni Silvano Tosi Giovanni Zerbi Andrea


ELENCO

1963 Baronchelli Pietro Bozzoni Franco Braito Fabio CĂŠ Riccardo De Carli Bruno Fois Ottavio Giacomazzi Gabriele Gualtieri Virginio Lattarini Gianfranco

Lorenzi Giuseppe Lotti Romano Lupi Gianmario Morino Gian Franco Oldani Giuseppe Rustici Angelo Sonzogni Pietro Spernicelli Nicola Vagnotti Angelo

1964 Baronio Domenico Benatti Benito Bertoletti Roberto Bonelli Gianfranco Braghieri Giuseppe Camerini Riccardo Cava Antonio

1965 Bianchetti Ermanno Brioni Vincenzo Cappelli Franco Chiminazzo Mario Lena Franco Peletti Battista

Peschiera Aldo Pigoli Luigi Pisati Benito Raineri Carlo Stringhini Giancarlo Zapperi Fiorenzo

DIPLOMATI

Cremonesi Maurizio Doneda Gianluigi Gritti Luigi Marchiotto Sergio Pattini Oreste Romanino Ivo Tenca Francesco

1966 Artoni Fausto Avanzi Dante Brocca Alfredo Campioni Goliardo Costa Claudio Dati Giancarlo

Filippini Dante La Verde Luigi Lazzarini Mario Leva Gianantonio Sandrini Angelo

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ELENCO

DIPLOMATI

1967 Carpani Colombo Cava Bruno Ceroni Andrea Contini Francesco Crotti Arturo Ferrari Saturno Panziera Loris Polloni Gianluigi

Ravara Alfredo Rossetti Giuseppe Rota Gian Pietro Severgnini Arturo Soldo Gino Sonzogni Carlo Zapperi Carlo Zeni Raimondo

1968 Agarossi Derio Bellini Aleandro Carioni Agostino Cattaneo Agostino Facciolo Salvatore Ferrari Gianfranco Fontana Vaprio Ambrogio Gomberti Gianfranco Meazza Pier Franco

Miglioli Cesare Mulas Michele Pagliarini Dino Cesare Paraluppi Nedo Paulli Alberto Rossini Wilmo Tadini Domenico Tronci Guido Zanetti Rinaldo

1969 Andreocchi Attilio Badalotti Osvaldo Balletto Pietro Bellandi Aldo Biglioli Pasquale Bonizzoni Antonio Bragalanti Guido Campioni Sereno Cerri Angelo Cogliati Claudio Domaneschi Romeo

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Gorlani Aldo Marchesi Giovanni Mariani Lidio Merli Pietro Milanesi Achille Pola Enzo Ruggeri Vittorio Tosi Rosolino Urgesi Camillo Zugni Roberto

Nota: dal 1962 al 1969 tutti i qualificati hanno poi continuato nel terzo anno di specializzazione regionale (che non compare ufficialmente nei registri della scuola); dall’anno scolastico 1968/69 - quindi con il “salto” dei diplomati nel 1970 - il corso triennale è stato invece riconosciuto a livello statale e quindi registrato come tale nei libri della scuola.


ELENCO

1971

1972

Gallina Vincenzo Pea Bosco Peri Amedeo Rini Guglielmo Secchi Giovanni Spinoni Eraldo Stassaldi Pietro Zucchi Adriano

Arisi Maurizio Bonizzi Agostino Brusaferri Vincenzo Cavallini Ettore Cirelli Giacomo Davini Gianmario Facchi Casimiro Fogliazza Carmelo Gaffuri Adriano

1973 Bini Fausto Bozio Bralino Fausto Bragalanti Primo Capelli Marco Coltro Iori Demartis Antonio Giovanni Facchetti Cesare

DIPLOMATI

Lanzi Natale Locatelli Gaetano Mangini Antonio Marchiotto Fabrizio Panzani Antonio Reduzzi Luigi Tironi Dario Viviani Fausto

Amato Carmine Assandri Giovanni Benini Adelio Bianchessi Giuseppe Carente Michele Colombo Rolando Folcini Leonardo Grossi Gianfranco

1974 Ghisolfi Raffaele Marafetti Marco Palin Marco Rancati Francesco Riboli Tullio Rigoldi Tullio Urso Flavio

Arcari Tiziano Arpini Lino Barbieri Aldo Bosio Luciano Colombo Giancarlo Conzadori Marcantonio Dalmaschio Franco Facchetti Massimo Ferrari Ugo Fornasari Albino

Galli Giuseppe Leoni Emilio Locatelli Santo Mangini Gabriele Ogliari Agostino Rancati Mauro Rosani Gian Battista Rossi Maurizio Testori Gian Pietro

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ELENCO

DIPLOMATI

1975 Alloni Alessandro Bernardi Mariano Bianchi Mario Cagni Pierangelo Capelli Davide Cappellini Antonio Coneari Franco Fontana Rino Gennari Mario Lorandi Alberto Manzoni Renato Mattei Luciano

Miragoli Roberto Palladini Paolo Pantaleoni Anania Pedizzi Francesco Reduzzi Roberto Solenghi Carlo Tabaglio Gaspare Taragnoli Pierangelo Tell Maurizio Valli Cominetti Luigi Zaghen Guido

1976 Abbà Luciano Cantoni Pier Luigi Cassani Pier Angelo Contesini Eden Cortinovis Gianpietro Folini Giovanni Ghironi Claudio Giupponi Alessandro Grossi Marino Lazzarini Silvano Mazzucchi Alfio

1977 Anisetti Gianluca Armanni Angelo Boffelli Marco Bosa Dionigi Busi Tullio Chiesa Carlo Colombi Silvio Dalseno Roberto De Mari Stefano Franchini Tarcisio Invernizzi Gian Pietro Lava Donato Marazzi Emilio

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Marchesetti Giovanni Merlo Enrico Orsini Angelo Pagliari Claudio Pirini Giorgio Podetta Luciano Raffagnini Enrico Raimondi Giuseppe Riccetti Massimo Vailati Giovanni Visonà Enrico Visonà Maurizio

Paioni Lucini Elio Raimondi Tarcisio Riva Mauro Ronca Dario Savorelli Daniele Tabaglio Enrico Tonelli Umberto Vailati Emiliano Zanetti Guido Zorloni Francesco

1978 Abbà Giovanni Bassi Daniele Bassi Massimo Cabrini Giovanni Clerici Gianpaolo Fumagalli Fausto Griffini Elia Lanzoni Luciano Marinoni Mario Mazzolari Andrea Merletti Giuseppe Monti Luigi

Nosotti Ferdinando Oriani Egidio Pedrini Giuseppe Pisani Cesare Pizzoli Carlo Polgatti Eliseo Polgatti Francesco Raimondi Gianlorenzo Riccardi Gian Luca Romani Pierangelo Vimercati Santino Zavatti Leonardo


ELENCO

1979 Baggi Enrico Boscarini Andrea Brusa Giovanni Cattaneo Marcello Cremonesi Danilo Cunico Giorgio Farioli Fabio Ferrari Amilcare Griffini Massimo

Gritti Pierluigi Massini Giuseppe Patrini Luigi Pavesi Carlo Pini Pier Luigi Rossi Enrico Sacchini Marcello Stringhini Giulio Valcarenghi Fabrizio

1980 Arpini Carlo Bonvini Fausto Coti Zelati Giulio Fasoli Silvano Festari Giorgio Folio Massimo Magagnini Stefano Mazzini Fausto Mombelli Dario Morandi Enrico Ottolini Maurizio

1981 Anelli Giancarlo Barcillesi Paolo Bernacchi Abramo Biffi Dario Boffelli Alessandro Cappelli Simone Carioni Davide Cornalba Gilberto Fumagalli Giuliano Guarneri Luigi

Kalb Francesco Manghi Marco Moretti Claudio Mozzi Massimo Passerini Sergio Rambaldini Lorenzo Ruini Francesco Salvadori Paolo Sandrini Dalmazio Silva Stefano

DIPLOMATI

Pavesi Maurizio Peringarappillil Xavier Pissavini Paolo Premoli Emilio Puthukulangara Joseph Raimondi Flaviano Regazzetti Alfio Thoompumkal Mathew Vacchelli Benito Vicario Giacomo Zanaboni Riccardo

1982 Bianchessi Romano Bressan Cristian Carniti Marco Clerici Marco Corradi Antonio Croce Antonio D'Avanzo Marco Denti Mauro Ghilardi Paolo Guerini Corrado

Guerrini Ermes Hilario Acosta Radames Hocine Kaled Marchesi Bruno Morini Claudio Pandolfi Emilio Righetti Gabriele Terzoli Sergio Zeggane Hocine Ziglioli Ivan

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ELENCO

DIPLOMATI

1983 Aroldi Orazio Avino Luca Barberio Domenico Bosetti Renato Caio William Callegari Fausto Corradi Emanuele Denti Giuseppe Dester Alberto Ferri Maurizio Gregori Bruno Labò Damiano

1984

Martignene Giuliano Melleri Vittore Miglioli Alessandro Nodari Claudio Ogliari Giovanni Pesenti Giuseppe Samanni Fabrizio Schiavini Roberto Spadari Mauro Vailati Gianmarco Vanni Vittorio Venturelli Diego

Alchieri Pietro Barbieri Massimiliano Bertazzoli Carla Bolzoni Laura Bonizzi Giovanni Boschiroli Emilio Buoli Cesare Colombo Giovanni Croci Cesare Donati Pinuccia Fasoli Nicola Ferretti Roberto Marcarini Gianpaolo

1985 Alchieri Agostino Avino Paolo Barbieri Domenico Battilocchi Stefano Bertolasi Michele Bombelli Fabrizio D'Adda Massimiliano Di Lernia Raul Folcini Daniela

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Fontanini Tiziano Labò Fabio Lorance Mathew Marrocco Corrado Martelli Massimo Mombelli Mirko Mundackal Francis Nannini Roberto Pegorini Simone

Picco Armando Polloni Francesco Sacchi Romano Sangiovanni Alberto Savani Stefano Vighi Marco Vitari Fabio

Marchesi Bruno Mariconti Roberto Masseroni Nicola Mauri Graziana Moretti Natale Nichetti Luca Pegorini Rocco Schiera Giuseppe Sfolciaghi Marino Tinelli Stefano Vagni Sergio Villa Antonia


ELENCO

DIPLOMATI

1986 Abondio Marco Austoni Pier Luigi Berti Stefano Bondioli Federico Bonomi Claudio Bottesini Mauro CambiĂŠ Eros Casiraghi Ivana Cremonesi Andrea Dilda Roberto Doneda Mauro Dossena Riccardo

1987 Bellini Marco Cazzamali Luca Colombi Massimo Ercolani Maurizio Ferrari Marco Ghilardi Fabrizio Lucini Zaverio Meazzi Roberto Monti Paola

Palladini Francesco Pavesi Cristian Pavesi Miguel Massimo Piazzi Emanuele Sentati Paolo Serina Rosangela Signorini Riccardo Visconti Luca Volgaretti Alessandro

Sala Pier Antonio Salina Maurizio Signorini Carlo Simonazzi Rossano Sironi Fabio Spoldi Caterina Thoompumkal Sibi Vailati Antonio Vailati Giacomo Vigo Manuele

Identici Marco Inzoli Maurizio Lombardi Paolo Manera Stefano Manzoni Emiliano Mapelli Davide Mariconti Marco Moretti Giuseppe Pedroni Fabio Pegorini Tito Pinferretti Paolo Premoli Emanuele

1988 Assandri Gianfranco Barbieri Lorenzo Bertoglio Francesco Beschi Luca Brambilla Angelo Costi Leonardo D'Alicarnasso Carmine Donelli Angelo Fiameni Massimo Fiorentini Mauro Groppi Enrico Lualdi Giordano Moiraghi Bianchetti Elvezio

Mondini Mauro Moretti Diego Mori Gianmario Pellegrini Giacomo Pirletti Diego Pracchinetti Alex Premoli Andrea Rivabene Roberto Ronga Marco Rossi Matteo Zacchi Jonathan Zanesi Giorgio

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ELENCO

DIPLOMATI

1989 Affuso Antonio Berettera Luigi Bonizzi Flaviano Bustaffa Dante Degli Agosti Antonio Dendena Gian Luca Galli Simone Grandini Leonardo Grasso Angelo Lissana Giancarlo

Maniero Simone Marchiotto Cristiano Moroni Luca Moschetti Daniele Oliveri Massimo Possali Gianmario Raimondi Alessandro Renzi Maurizio Servida Luca

1990 Abbondio Tommaso Berti Giuseppe Biella Davide Brignoli Simone Castellucchio Daniele Confortini Marco Dagani Massimo Fecit Andrea Fregoni Guido Fumagalli Andrea Ginelli Gabriele Ginelli Giorgio Libardo Luca Maglio Cristiano

1991 Artoni Paolo Bertini Paolo Bonardi Tiziano Bonizzoli Lorenzo Brambati Davide Cagnani Massimiliano Cecchinelli Paolo Craba Damiano Cremaschi Federico Ferrari Gianluca Germinasi Davide Ghidoni Alex Locatelli Michele Lovarelli Maurizio

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Mandricardi Walter Manfredini Massimo Marchioni Enrico Monti Massimo Paladini Walter Pampanin Luigi Perego Massimiliano Rizzi Stefano Rossi Moreno Servidati Marco Severgnini Igor Tassi Gabriele Vanazzi Stefano Visigalli Paolo

Milani Davide Monfredini Luca Nichetti Damiano Ogliari Giovanni Paloschi Roberto Poletti Roberto Pozzi Stefano Radaelli Simone Raimondi Fiorenzo Rioldi Roberto Valota Alessandro Valsecchi Francesco Villa Walter Vismara Alberto

1992 Adamo Daniele Barbieri Roberto Boni Daniele Carelli William Carioni Stefano Cinquanta Filippo Dominoni Alessandro Fadda Giovanni Ferrari Italo Gerini Angelo Locatelli Giuliano Maiandi Nicola Mariani Ivan Minutolo Alessandro Monaco Alessandro

Montini Fabiano Perillo Vincenzo Piacentini Stefano Pizzochero Maurizio Regazzetti Enrico Rusconi Roberto Salini Ermanno Sassi Denis Taglietti Andrea Trabattoni Fabrizio Vairani Marco Valesi Alessandro Zilli Igor Zuffetti Daniele


ELENCO

1993 Guidoni Fabio Lorenzetti Stefano Oldoni Stefano Sali Jean Roger Santonicola Eliodoro Segatto Federico Sommella Mirko Zanaboni Gabriele

Arrighetti Christian Aschedamini Dario Corbani Emanuele Cordisco Pier Paolo Corlazzoli Luca Crotti Gianluca Fontanini Andrea Gervasoni Cristian

1994 Azzoni Alessandro Baldini Marco Barbieri Stefano Bertoletti Roberto Bigini Fabio Carelli Emanuele Conrado Luca Di Lisi Daniele Doria Daniele Lambro Marcello

1995 Bragazzi Massimiliano Cardinale Tiziano Gianni Ceruti Mario Dossena Alessandro Gaffuri Roberto Maffioletti Matteo

Milesi Ivan Polimeni Antonio Pontoglio Mauro Puglia Luca Uberti Foppa Alberto Zanchi Andrea

DIPLOMATI

Legramandi Marco Marchetti Michele Mazzini Mauro Mizzotti Andrea Piris Obrador Juan Spoldi Augusto Zanetti Fabio Zanibelli Giulio Zucchetti Luca

1996 Bertoletti Fabio Bonetti Luca Calzone Leonardo Caporali Alan Carioni Tommaso Confalonieri Andrea Favaro Giorgio Ferrari Giovanni Gialdi Simone Gusmaroli Stefano

Margheritti Emanuele Nicoletta Jari Papetti Fabio Pigliapoco Paolo Sabatino Mario Tacchini Daniele Vigani Fabio Zambelli Paolo Zignani Piercarlo

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ELENCO

DIPLOMATI

QUALIFICA DEL CORSO TRIENNALE DI "OPERATORE AGRO-INDUSTRIALE CASEARIO" 1997 Baroni Davide Bertini Riccardo Capetti Maurizio Carelli Luca Codazzi Cristian Corti Matteo Dagani Christian Facchi Sergio Ferla Giovanni Gasardi Matteo Giordano Angelo Lazzarini Alberto Loi Gianluca

Mannone Giuseppe Manfredini Alessio Mauro Luca Luigi Morgano Marco Parati Matteo Pedrini Fabrizio Piarulli Salvatore Ruggerini Gianmario Salvi Daniela Scolari Andrea Vecchia Mario Villa Marco Vitari Nicola Vincenzo

1998 Bonomini Stefano Brusaferri Andrea Cassani Diego Catenio Alberto Colpani Claudio Fusco Margherita Lauriola Daniele Lupo Pasinetti Cliciangelo Manfredini Stefano Maninetti Samuele Marchese Davide Massari Ruggero

1999 Agnella Andrea Arpone Thomas Baldrighi Tommaso Brescianini Andrea Ferri Flavio Foglio Mario Fugazza Maurizio Guerini Andrea Manzoni Giorgio Marchetti Daniele Mariconti Aldo

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Natali Alessandro Nicastro Antonio Palladini William Poletti Ivan Rober Saimon Salvatori Mattia Totta Luigi Uberti Mauro Vallet Roberto Zanesi Vittorio

Melis Luca Morandi Simone Mulas Angelo Nicco Andrea Raimondi Cominesi Alessandra Tacchini Alberto Tedoldi Daniele Tendini Paolo Vailati Marco Vasile Mauro Zerbi Luca

2000 Ardigò Stefania Bombelli Morgan Bonati Nicola Brevi Oscar Casorati Ruben Compagnoni Antonio Croci Mattia Del Bue Marco Ghirardi Daniele Ghizzoni Alessandro Leoni Marco Loi Paolo

Luppo Alberto Meazza Dario Giuseppe Mombelli Roberto Perniceni Daniele Piazza Tommaso Robustelli Test Fabrizio Torresan Efrem Torri Fabio Vanazzi Michele Venturelli Fabio Vitari Enrico


ELENCO

2001 Ardigò Daniela Brega Marino Calatrò Alessandro Chiesa Marco Ginelli Marco Malgarini Alessandro Mauri Marco Morandi Matteo

Panzera Fabio Rossetti Morgan Sacco Giovanni Santarella Giuseppe Spinelli Elisa Spiranelli Alessandro Spreafico Danilo Tortorici Filippo

2003 Bassi Michael Bogdanovic Tatjana Bonometti Riccardo Di Gregorio Michele Dilber Krunoslav Garrone Ilenia Gerbic Marina Grabkic Emir Hasicic Dragan

Hoch Gianluca Pedretti Giovanni Pulsone Michele Savarese Francesco Paolo Setti Sergio Valtorta Sebastiano Vatinno Alessio

DIPLOMATI

2002 Labò Alessandro Medri Enrico Miglio Fabio Negroni Pietro Scolari Giorgio Vaccari Luca Vagni Roberto

Bevilacqua Andrea Bianchessi Francesco Bruni Vincenzo Busti Marco Calzone Alessandro Frabetti Fabio Garbelli Massimiliano

2004 Awad Ranin Bonadeni Samuele Bressani Christian Catenio Michele Cavallanti Agostino De Notaris Raffaele Dotti Francesco Andrea Durio Andrea

Folchini Matteo Gori Francesco Lusardi Alessandro Manzoni Andrea Mastrorilli Marco Merli Riccardo Soffientini Gioele Tanfani Pepe Mirco

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DIPLOMATI

DIPLOMA DI MATURITĂ€ DI "AGROTECNICO LATTIERO-CASEARIO" 1999 Baroni Davide Bertini Riccardo Capetti Maurizio Carelli Luca Codazzi Cristian Corti Matteo Dagani Christian Facchi Sergio Ferla Giovanni Gasardi Matteo Giordano Angelo Lazzarini Alberto

Locatelli Michele Mannone Giuseppe Mauro Lucaluigi Morgano Marco Parati Matteo Pedrini Fabrizio Piarulli Salvatore Scolari Andrea Vecchia Mario Villa Marco Vitari Nicola

2000 Brusaferri Andrea Cassani Diego Colpani Claudio Lauriola Daniele Lupo Pasinetti Cliciangelo Manfredini Stefano Marchese Davide Massari Ruggero Morandi Simone

2001 Agnella Andrea Arpone Thomas Brescianini Andrea Catenio Alberto Ferri Flavio Foglio Mario Fugazza Maurizio Ghizzoni Alessandro

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Guerini Andrea Manzoni Giorgio Mariconti Aldo Natali Alessandro Palladini William Salvatori Mattia Vallet Roberto Zanesi Vittorio

Mulas Angelo Nicco Andrea Raimondi Cominesi Alessandra Tacchini Alberto Tedoldi Daniele Tendini Paolo Vasile Mauro Zerbi Luca

2002 Ardigò Stefania Bombelli Morgan Bonati Nicola Brevi Oscar Compagnoni Antonio Croci Mattia Del Bue Marco Ghirardi Daniele Loi Paolo

Meazza Dario Giuseppe Mombelli Roberto Perniceni Daniele Piazza Tommaso Torresan Efrem Torri Fabio Vanazzi Michele Vitari Enrico


ELENCO

2003 Ardigò Daniela Brega Marino Calatrò Alessandro Chiesa Marco Ginelli Marco Morandi Matteo

Panzera Fabio Rossetti Morgan Sacco Giovanni Santarella Giuseppe Spiranelli Alessandro

DIPLOMATI

2004 Busti Marco Frabetti Fabio Labò Alessandro Mauri Marco Medri Enrico Miglio Fabio

Negroni Pietro Scolari Giorgio Tortorici Filippo Vaccari Luca Vagni Roberto

Nota: da sempre gli studenti della Casearia, oltre che da Pandino e dalle zone limitrofe, provengono da luoghi anche lontani: da (quasi) tutte le regioni italiane nonché da nazioni quali Grecia, India, Spagna, Bosnia, Israele, Belgio, Santo Domingo, Algeria.

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ELENCO

DIPLOMATI

Grazie di cuore a tutti quanti hanno voluto festeggiare con noi questo anniversario: • coloro che, con la loro testimonianza, sono stati preziosi per la ricostruzione della storia della scuola: Pieremilio Priori, Andrea Alquati, Franca Civardi, Giovanni Folini, Massimo Rozza, Roberto Baragetti, Ebe Boara, Cesare Ghitti, Giovanni Marchesi, Claudio Zucchelli, Giuseppe Imberti, Agostino Oirav, Carla Marenghi, Teresa Guerini, Umberto Marinoni, Daniele Bassi, Pierangelo Renzi, Alessandro Labò; • i docenti, gli educatori del Convitto, il personale ATA, che nel corso degli anni hanno messo a disposizione della Scuola la loro professionalità; • l'Associazione Diplomati Scuola Casearia di Pandino per la fattiva collaborazione che da anni ci lega; • la signora Marmilia Gatti Galasi per la generosa disponibilità dimostrata; • le aziende che con generosità hanno sostenuto questo progetto; • le università, le associazioni e le aziende che hanno contribuito alla crescita della Scuola rendendola unica e competitiva; • Claudio Madoglio, Ferdinando Nosotti, Gianfranco Pandini, Marcello De Maria, Elena Luccini, Vincenzo Bozzetti, Angelo Berti, Angelo Priori, Paolo Sentati, Filippo Cinquanta, Simone Pegorini, Cesare Croci, Colombo Carpani, Antonio Cava, Massimo Monti; • tutti coloro che non abbiamo citato ma che, con la loro disponibilità ed il loro affetto, ci sono sempre vicini.

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ELENCO

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DIPLOMATI


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DIPLOMATI

INDICE PRESENTAZIONE Presidente della Provincia .......................................... pag. Sindaco di Pandino ..................................................... “ Pieremilio Priori - Preside .......................................... “ Andrea Alquati - Direttore .......................................... “ Guido Antonioli - Autore ............................................ “

4 5 6 8 10

LA STORIA DELLA CASEARIA Le origini ................................................................... La nascita dei professionali .................................... Un liceo a Pandino? ................................................... Arriva Manstretta ....................................................... Un possibile rivale ..................................................... Un anno straordinario............................................... Buone notizie .............................................................. Sembra fatta, ma ... .................................................. Il colpo di mano..........................................................

Dalla nascita ad oggi ......................................... Sul filo del rasoio ....................................................... L’addio di Manstretta................................................. La lavorazione del latte ........................................... La nuova Casearia .....................................................

“ “ “ “ “ “ “ “ “

15 15 17 18 20 22 34 40 42

“ “ “ “ “

44 44 48 50 58

TESTIMONIANZE Alfredo Manstretta ..................................................... Pieremilio Priori .........................................................

“ “

70 74

Cesare Ghitti ................................................................ pag. 78 Giuseppe Imberti ........................................................ “ 82 Agostino Oirav ........................................................... “ 84 Pierangelo Renzi ........................................................ “ 86 Daniele Bassi ............................................................... “ 91 Giovanni Marchesi .................................................... “ 95 Carla Marenghi .......................................................... “ 98 Claudio Zucchelli ...................................................... “ 100 Teresa Guerini ............................................................ “ 102 Umberto Marinoni .................................................... “ 105 Roberto Baragetti ...................................................... “ 108 Massimo Rozza ......................................................... “ 111 Giovanni Folini .......................................................... “ 114 Carla Bertazzoli ......................................................... “ 118 Franca Civardi ............................................................ “ 123 Ebe Boara .................................................................... “ 125 Silvia Panigada .......................................................... “ 126 Alessandro Labò ....................................................... “ 130 Marmilia Gatti Galasi ............................................... “ 131

UN CASO PARTICOLARE

.............................

134

Corso biennale di “Esperto Casaro” ...................... Corso triennale di “Operatore Agro-Industriale Caseario” .................................. Maturità di “Agrotecnico Lattiero-Caseario” .......

139

“ “

150 152

ELENCO DIPLOMATI

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Con le mani nel latte 50 anni di Scuola Casearia

Ideazione e coordinamento editoriale: Progetto grafico: Fotolito e stampa:

Carla Bertazzoli Silvia Panigada Grafiche CAM - Pandino

Prima edizione dicembre 2004 Seconda edizione aprile 2015




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