Archimede Santi

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vecento, un po’ come era accaduto al pesarese Fernando Mariotti che da una pittura veloce e a macchia, suggestionato dal clima culturale prevalente: ritorno al classico come senso del volume, ritmo, misura, aveva realizzato opere come Natura morta con disegno del 1926 “dalla compitezza volumetrica e accademica…perfette”72, per poi tornare a colori vibranti e ad una pennellata molto più immediata, cezanniana. Natura morta con candeliere e mele (tav. 6) suggerisce un’idea complessiva di maggiore instabilità rispetto alla tela di cui si è detto in precedenza. Su un tavolo compaiono otto mele campagnole giallo-rosse, insieme a un boccale di ceramica bianca a decori blu e ad un candeliere slanciato di ottone, piccole cose che si sono conservate e possiamo ancora vedere. Il piano di appoggio appare ondulato e su esso si collocano oggetti che sembrano racchiudere un dinamismo potenziale ed incipiente, quasi che stiano per rotolare lungo il tavolo. Essi risultano delineati con una stesura del colore sommaria, sintetica, che li fa apparire un poco sfocati; la scena non risulta in sé conclusa, suggerendo, piuttosto, la realtà al di fuori di essa, nella candela tagliata a metà che cerca la vita. Anche qui, giustapposizione dei toni freddi dei decori della brocca e dello sfondo azzurrino, cui fanno da contraltare i toni caldi delle mele e del candeliere. E, ancora, in Natura morta con gobbo e triglia (n. 29, p. 120), su un tavolo senza tovaglia è posato un gobbo rigonfio, con accanto, in un piatto, una triglia lucente e una bottiglia di vetro verde su cui gioca la luce. A mano a mano il modo di dipingere ritorna più veloce, i colori, resi a rapidi tocchi, si fanno più densi. E’ così nel Vaso con zinnie giallo arancio (tav. 5): i grandi fiori con le loro foglie di un intenso verde, fanno bella mostra dentro un vaso di terracotta ad un’ansa, dipinto a tocchi di grigio, azzurro e marrone senza base d’appoggio, su uno sfondo che ripete, attenuati, gli stessi colori. Archimede Santi non fu, a quanto si sa, artista di grandi viaggi, non si ha notizia di un suo soggiorno a Roma o a Firenze; non fece, crediamo, il viaggio canonico a Parigi; non siamo a conoscenza di suoi scritti, né di un epistolario con cui avremmo potuto con maggiore chiarezza conoscere il suo pensiero, il suo orientamento artistico, le sue frequentazioni. Non era però un isolato e si teneva al corrente di ciò che accadeva nel campo dell’arte, con la visione diretta delle opere e con le riproduzioni o con quanto poteva conoscere dalla lettura di libri e di riviste d’arte che possedeva e che sicuramente poteva trovare anche nella biblioteca della sua scuola, a cominciare dalla rivista “Emporium”73, diretta da Vittorio Pica che nella sua rubrica “Attraverso gli Albi e le Cartelle” faceva conoscere a tanti artisti gli sviluppi della pittura europea, dall’impressionismo al simbolismo74. Attento e recettivo, non mancò sicuramente di informarsi sugli eventi artistici che accadevano nella regione che lo accolse per più di un trentennio. Ebbe modo certamente di visitare le mostre indette dalla Società Promotrice di Belle Arti di Torino, la Galleria Civica di Arte Moderna i cui acquisti privilegiavano per statuto gli artisti della regione75, le raccolte d’arte. Benché operoso nella prima metà del Novecento egli si sentì legato a correnti ottocentesche, non fu un innovatore, anche per questo non è facile tracciare un iter sicuro delle opere, da lui raramente datate. A suo tempo si è notata la sua arte “semplice serena, luminosa che alle fantasie modernissime preferisce la composta visione tradizionale” e si è avvertito che il suo linguaggio pur rasentando “alcuni costrutti consacrati dall’impressionismo è tuttavia aderente e sincero come arte personale”76. E su questo aspetto pensiamo occorra soffermarsi un poco. Quando Archimede nasce, nel 1876, l’Impressionismo ha, ufficialmente, appena due anni di vita. Era infatti il 15 aprile del 1874 quando a Parigi si era aperta una mostra organizzata da giovani pittori, in opposizione al Salon. Grande era stato l’insuccesso, disastroso l’esito. “La coscienza pubblica era indignata; […] erano cose orribili, sciocche, sporche; […] era pittura priva di senso”. Lo stesso nome “impressione” era un insulto, le impressioni sono prive di meditazione, superficiali, non definite, i quadri apparivano come tele dove fossero stati distribuiti a caso macchie di colore, come semplici abbozzi in attesa di essere rifiniti. Non migliori erano state le reazioni della critica alla seconda esposizione, nel 1876. Il linguaggio degli Impressionisti era troppo dirompente, troppo nuovo, troppo diverso dall’accademismo per essere compreso; l’indifferenza al tema da dipingere, la banalità di certi temi, l’assenza del disegno, i colori giustapposti, non potevano essere compresi dal pubblico. Quando Archimede inizia a dipingere l’Impressionismo si è affermato ed è tramontato, si sono succedute correnti: Puntinismo, Simbolismo; si impongono poi Espressionismo, Cubismo, Futurismo…ma Archimede che pure 21


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