Costruire comunità, di Franco Lorenzoni

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Costruire comunità di Franco Lorenzoni * Credo che il compito più difficile che abbiamo noi insegnanti sia quello di contribuire a trasformare ogni classe in una piccola comunità solidale, accogliente, capace di ascolto reciproco. Personalmente sento che c’è comunità quando ci sorprendiamo e ci stupiamo gli uni degli altri, quando i nostri ruoli e le nostre posizioni non si irrigidiscono, cristallizzandosi una volta per sempre. Se ci riflettiamo, ogni relazione soffre e si avvilisce quando diamo per scontato ciò che ci aspettiamo dall’altro. E dunque, poiché nella scuola tutto è relazione, è intorno alla qualità dei molteplici rapporti che si stabiliscono tra noi - e tra ciascuno di noi e gli oggetti culturali che siamo chiamati ad esplorare - che dobbiamo tessere la fragile tela della reciprocità. La parola reciproco evoca il recus e il procus, cioè l’andare indietro e avanti e ancora indietro e avanti: un movimento, un respiro, che nasce dall’arretrare. Se non faccio un passo indietro, infatti, se non faccio un po’ di silenzio, anche interiore, è impossibile che io mi metta in ascolto. Ma non si tratta tanto del silenzio disciplinato della buona educazione né di quello, pur necessario, dell’imparare ad attendere il proprio turno per parlare. Ciò che stiamo cercando è molto di più. È sperimentare la possibilità di arricchirci nell’incontro con un’esperienza, un pensiero, un’emozione o un ragionamento diverso dal mio, “sfregando e limando il nostro cervello contro quello degli altri”, come suggeriva Montagne. Ma per raggiungere questo risultato, che è poi il fondamento della democrazia, il nostro ruolo è decisivo. Siamo noi insegnanti, con il nostro corpo e atteggiamento, che dobbiamo mostrare e testimoniare quanta ricchezza può nascere dalla curiosità e interesse reale verso le parole e le argomentazioni di tutti. Siamo noi che dobbiamo convincerci e credere che abbiamo davvero qualcosa da imparare dai bambini e ragazzi. All’inizio di quest’anno, in quarta elementare, Nisrin ha detto che, quando siamo in cerchio, “il canto solleva e porta in giro l’anima per la stanza”. È dalla prima elementare che sono colpito dalla ricchezza delle metafore che ci propone, superando la sua timidezza. La sua famiglia viene dal Marocco e sempre più mi vado convincendo che il modo in cui racconta come le cose viaggino tra l’interno e l’esterno della mente e del corpo sia nutrito da immagini che provengono dalla sua cultura, che purtroppo ignoro. Scuole dell’infanzia e scuole primarie sono luoghi pubblici particolarmente preziosi oggi, perché è lì che i più piccoli compiono i loro primi passi verso una possibile convivenza pacifica tra culture, da inventare e reinventare ogni giorno.


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