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se un giorno per caso mi rispondi
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Fabio Ognibene
Sara Garagnani
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Fabio Ognibene
Sara Garagnani
se un giorno per caso mi rispondi
1
La camera da letto era lunga – era così lunga – e noi eravamo seduti alla scrivania; tu davanti a un vecchio computer che facevi qualcosa ma io non sapevo che cosa, io non sono capace, cercavo di stare attento, di seguire ma ero così stanco, ma così stanco, ed ero talmente ubriaco – mamma mia com’ero stanco e ubriaco, non arrabbiarti per questo, ero solo stanco e ubriaco, non arrabbiarti, non mi picchiare, ero solo stanco e ubriaco e però stavo concentrato e dritto, cercavo di salvare le apparenze, stavo attento e composto e tenevo la schiena dignitosamente eretta.
Ma ero cosĂŹ stanco e ubriaco, sapessi!,
a er ma o e gn lla nt n so spa me o u co , t a a io a m a tu olut cina bri esta arl i o t u i o, sull ass avv o e la azz cert no n a a o g a o o c so test n er solo tan pen vev un i s o sc a n m s o p o h o o u la n a d e e vo are so, son t’er iare non e ch ori ano e v i o mi an gg e nt fu pi u a a gg , l h e o m ppo teva lora ai q ppo o c alm ent iano a v l v t s p a o a e di si p o e on solo sap ava ’ di arla e es po gi n ss u n si no rme ta, t tes è ch ta p un pog alla. o s pe bas “P to”; a te ’era ll’ap a sp o i ’ e av en m e c ne tu po ens om a la o ch ”, e alla e p n m o m ntit ro? nte u l e e e lo far o s avv tam o d t s ia h m nto ccio erfe r da pu o fa va p “L eri to ad t de che rto e p Tu non ti sei mossa.
Era così bello stare lì appoggiato alla tua spalla e però ti sentivo fumare, aspirare il fumo, e poi lo soffiavi in basso verso di me. Allora ho cominciato a chiederti, con la voce di un bambino viziato: - Cosa fumi? Cosa fumi?
Tu non mi rispondevi e continuavi a fare qualcosa al computer e io continuavo: - Cosa fumi? Cosa fumi?
Volevo fumare anch’io,
ti pr ego
voglio fumare anch’io, perché non mi rispondi,
eppure sei lì, perché non mi rispondi?
Allora sono piombato giù, mi sono quasi sdraiato e ho posato la testa sulle tue gambe. Oh, era così bello stare laggiù e ho cercato di chiederti – vedevo le cose sfuocate, avevo gli occhi chiusi e vedevo il buio sfuocato – se per favore mi accarezzavi i capelli e tu, tu che stai a un vecchio computer che io non conosco, tu che non hai nessuna reazione
tu che non mi rispondi neanche quando ti chiedo “Cosa fumi?” come se l’escludermi fosse la tua fonte segreta e inesauribile di eccitazione, tu invece sento la tua mano arrivare e arrivi a toccarmi davvero. Io allora ci rimango un po’ male perché pensavo fossi più brava ad accarezzare la testa, non così, pensavo fosse più dolce, e tu mi accarezzi così.
2 Mezzanotte e trentotto. Se mi giro dall’altra parte cigolano le molle del letto, forse si è scordata di me. Difatti non la sento più a lato, nella mezza piazza di fianco a me, le ho concesso non meno di mezza piazza mica balle e lei si scorda addirittura, ah forse è perché deve ancora arrivare ma non sento i passi che si avvicinano,
tite?
so li sen
er ca che voi p
Mi ha detto prima dell’una, è mezzanotte e trentotto, ho paura che davvero da un momento all’altro si possano cominciare a percepire dei passi lontani, è tutta colpa del ciliegio giù, che fruscia e non si sente un cazzo, si sente solo frusciare, tutto il tempo frusciare, continuamente frusciare, continuamente frusciare, è uno schifo,
# #
# # #
e poi tutto il tempo mia madre sopra al ramo a suonare la viola, vorrei vedere voi nella mia situazione, giorno e notte la viola, non capisco te come fai a dormire così nella tua mezza piazza con tutto ‘sto frusciare e ‘sta viola sempre nelle orecchie, e intanto è già mezzanotte e trentotto, mi piacerebbe alzarmi e andare a chiedere cosa
ne pensa la mia coscienza, di questo fatto voglio dire che se uno non sente ancora la porta di casa che si apre a quest’ora bisognerà pur fare qualcosa, studiare un piano razionale, è solo che se mi alzo e apro il terzo cassetto del comò e comincio a cercare, perché se mi ricordo bene l’avevo messa lì, la coscienza, nel terzo cassetto nascosta tra le mutande e i calzini;
e metti che sia scappata: adesso vado là, la cerco e non c’è più, e per di più sul comodino non ho una sveglia, come tutti, nossignore, ho un tachimetro che misura le pulsioni proibite del mio inconscio, me l’ha venduto al mercatino dell’usato la maga Circe ma mi ha fregato, mi sa che me l’ha rifilato guasto, me l’ha messo nel culo, sul display non appare mica un numero ma la scritta N.H., tutta colpa mia che ho voluto concludere in fretta l’affare, non ho controllato bene, io non so te come fai a dormire così, c’è una antica ricetta indiana per preparare una pozione che fa diventare invisibili, forse tu allora ci sei;
che sciocchezza preoccuparsi solo perchÊ non ti vedo, del resto basta cuocere insieme, senza lasciare uscire il fumo, il cuore di una mangusta, il frutto di una zucca lunga e gli occhi di un serpente, triturare il tutto, aggiungere acqua e applicare la mistura sugli occhi: un gioco da bambini insomma in fondo, un giorno poi mi è venuto in mente che secondo me la N puntata sta per NEVERMORE,
ma la H? Chi mi spiega la H?
Una volta mi hai salutato, ti ricordi quando mi hai salutato così, con un sorriso di lampade di cristalli e specchi verdi, che se tutto fosse rimasto così...l’avevo impacchettato per bene e nascosto anch’esso tra mutande e calzini, poi però le cose tornano, anche tu torni mi hai detto entro l’una,
è già mezzanotte e trentotto e potrei anche sentire i tuoi passi che arrivano se non fosse il ciliegio da basso, per la viola che non ha ancora smesso e non si capisce il perché, pensate però che silenzio ci sarebbe tutt’intorno, chissà la memoria che banchetti, ve lo immaginate?
La memoria non è moderata, quando parte in tromba, oh lei! la carogna! si agita... si agita...come il mio letto... Aspetta, aspetta, che mi è sembrato di cogliere un’eco, sì, sì, un passo e poi dopo un po’ un altro, e tra i passi si sente tutto uno sniffare, saranno le Anime che annusano verso l’Ade, sembrerebbe... cani randagi, sentili, tutto questo aspettare, poi ho sentito solo due passi, nient’altro che due passi, e tutto questo aspettare, e non posso neanche girare la testa, controllare il tachimetro, N.H., tutto il tempo sdraiato nella stessa posizione, e tutto quello che posso fare è muovere un poco le dita dei piedi, è tutto quello che posso fare, che divaricandole un po’, allargandole appena in modo da creare un piccolo spazio tra dito e dito, ci può passare in mezzo, fuggendo,
l
’
h
o
r
a.
(Fuggendo, l’hora).
3
C’è da dire innanzitutto che bisognerebbe proprio raccontarla dall’inizio, questa storia, non sempre cominciare dalla metà o dalla fine. Dall’inizio inizio, cioè da quando quella notte là che era già tardi sono rientrato nella mia camera, la numero 32, e tu amore dormivi già, si capisce. Che poi sinceramente ti avrei voluto svegliare ma invece mi sono tolto le scarpe e sono rimasto lì a grattarmi un piede seduto dalla mia parte del letto.
E non hai neanche tentato di aspettarmi che quando ci provi ti trovo addormentata con la luce accesa e un libro aperto caduto dalle mani.
Ma tanto è colpa mia che vado fuori a bere con Basel e mica tua, allora mi infilo a letto vestito per dormire anch’io, non prendo sonno e penso anche di leggere e sento anche bussare alla porta e anche entrare qualcuno e vedo anche che è Basel e penso che così ubriaco com’era chissà cosa vuole adesso forse sta male e mi alzo, tutto vestito com’ero ma scalzo, e gli vado incontro nella luce bassa della stanza.
4
li uando g q e h c da, ema è mi guar Il probl n o n i t e. avan a oltr s s a arrivo d p ita e letto, mi ev dere sul mio lÏ se e e sta Si va a p r a c s e le . Io ale d e i si togli p cire, rsi un a gratta affretto a us e i com lora m azzato r a b m i sÏ tutto co esso. ad mi trovo
5 Allora, dopo che me la vagolo un po’ per i corridoi dell’albergo,
entro nella stanza di Basel, la 33, con la mia chiave e penso che una chiave le apre tutte e c’è la moglie di Basel tutta lì che dorme con la luce accesa e un libro aperto caduto dalle mani. Mi verrebbe anche voglia di svegliarla, di spiegarle tutta la cosa adesso e perché sono lì
m a faccio semplicemente il gesto di togliermi le scarpe che non ho e rimango lì a grattarmi un piede, seduto dalla mia parte del letto che poi è la parte di Basel. Ecco, vedi, la moglie sua almeno cerca di aspettarlo e mi vedo che sono così amareggiato che mi infilo vestito a letto e prendo sonno quasi subito.
6
Ma è la mattina dopo che ci sveglia il cameriere che ci porta la colazione che lei mi dice: “Dormito bene amore?”, e io che mi viene il dubbio che quella non sia mica la moglie di Basel, ma sia la donna mia e che ieri sera sono stato io che mi sono sbagliato e sono entrato nella camera di Basel. E parliamo tutto il tempo mentre mangiamo come se fossimo una coppia che sta insieme da vent’anni, io e la moglie di Basel, allora mi convinco proprio che sì, mi sono confuso io e mi metto il cuore in pace.
Ma c’è già un altro dubbio che arriva di nuovo
e cioè che allora io sarei sposato e mi guardo un po’ la fede al dito di mia moglie, che poi se questo fosse vero allora io avrei perso la mia e che cattivo marito che sono,
così quando lei va in bagno a farsi la doccia e la lascia sul comodino io me la prendo un po’ tra le mani e ci gioco, e ci guardo benino dentro e vedo che c’è inciso il nome Basel. Vedi che non sono mica io il matto e capisco benissimo che è tutto un complotto e balzo su a correre alla 32 e apro con la mia chiave che le apre tutte e c’è la mia donna lì seduta sul letto tutta così sola e malinconica perché adesso Basel è di là nella stanza da bagno a farsi la doccia anche lui.
7
Allora io mi metto tutto lì a piagnucolare che non riesco a fare altro e quando Basel torna dalla doccia e mi vede lì in piedi in mezzo alla stanza tutto piagnucolante decide di non essere proprio più il mio amico, di uno che ancora se ne sta a piagnucolare tutto così in mezzo a una stanza d’albergo alla sua età.
di togliermi mi dice a prim
la parola e il saluto per s e m p r e,
“pensa che non so neanche il mio nome, eppure non piagnucolo mica, vedi, non sto piagnucolando, io. Tu almeno lo sai, che ti chiami Basel, e pensi sia poco!”. Poi mette giù il telefono e non risponde più neanche agli sms.
Io mi guardo mia moglie che esce dalla doccia e penso che ho fatto bene, in fondo, a sposarla, che è tutta colpa mia che mi dimentico le cose, che non ho memoria, che ďŹ n da quando andavo a scuola non ne avevo e non mi ricordavo mai le date e allora decido di scendere al negozio sotto casa e di com-
prarne una, di memoria, e ne trovo proprio una della Sony da un giga a cinque euro e novanta e mi dico che per me può anche bastare, tanto ci devo mettere dentro solo il mio nome, mia moglie e che giorno è oggi, tanto per sapere quanti ancora ne manchino.
8
E poi va cosĂŹ, uno ha la sua memoria USB sicura e pensa di poter stare tranquillo.
Ogni tanto telefono a Basel;
non che io voglia, sia chiaro, ma mi sbaglio a formare un qualsiasi numero e compongo inavvertitamente il suo, e l’apparecchio suona a vuoto oppure qualcuno tira su, dall’altro capo,
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di un altro posto che forse c’è,
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9
Un certo giorno allora decido di andare a casa sua, dato che non mi risponde mai, solo che il problema è che non so dove abita,
però so dove abita la mia ex donna e vado da lei, che se ora sta con Basel lo troverò sicuramente là, da lei, sicuramente. Entro con le mie chiavi che le aprono tutte e però c’è lei mica con Basel, assolutamente no, è lì con un altro uomo,
uno cosĂŹ sconosciuto che mi mette una certa malinconia addosso, e mi guardo tutto intorno con una sorpresa che scopre davvero il disastro della mia inďŹ ngardaggine ma a un certo punto respiro profondamente e le chiedo piano:
�.
oco?
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“M
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E lei mi fa strada e mi porta di là , e mi apre il cassettino di un mobiletto e mi fa vedere Basel che è proprio lÏ dentro al cassettino, tutto in miniatura e rannicchiato lÏ dentro che fa proprio tenerezza, penso io.
10
Una statua di marmo mi conduce per mano.
Entriamo nella capanna della maga Circe e io non me ne accorgo neanche perché sono troppo concentrato e occupato a ripetermi mentalmente che devo ricordare l’episodio di Basel dentro al cassettino in modo che una volta a casa possa salvarmelo sulla mia brava memoria esterna.A un certo punto,quando proprio mi sento i sui occhi addosso così, cerco di giustificarmi, dico: “Io pensavo che potessero succedere tante cose, sai,
e si può fare un po’ di tutto”, e mi viene anche un poco da piangere, così, adesso, di quei pianti che però puoi controllare benissimo se vuoi, e dico ancora: “Io proprio non ci pensavo” e poi mi invade tutta una stanchezza che non so, non capisco, e lei mi chiede nome e cognome e li inserisce nel vecchio computer che ha davanti, e io sono invaso ci pensate da tutta quella stanchezza che forse addirittura ero ubriaco, è che forse mi ero fermato al bar a un isolato dalla capanna e mi ero sciacquato la bocca con una vodka, o forse erano due, chissà quanto sono rimasto là, il tempo di qualche vodka, suppongo;
comunque sia mi appoggio a lei, poi mi stendo la testa tutta sulle sue gambe, e anche mi accarezza la testa mentre continua e continua a inserire dati su dati su dati, che forse sia compreso nel prezzo?,
e inďŹ ne stampa il mio fogliettino, me lo porge, allora adesso posso veramente andare, tornare a casa, il fogliettino comincia con il mio nome, cognome, luogo e data di nascita (dovevo fare qualcosa, mi sembra, una volta arrivato a casa, ma giĂ non me lo ricordo piĂš, mi è passato di mente del tutto, ormai),
poi, dopo i miei dati, c’è un titolo grande tutto imponente
e scritto in maiuscolo, proprio al centro della pagina, ed è
scritto proprio così,
(è inutile, me
le devo scrivere le cose se no me le dimentico subito, mi do-
vevo ricordare una cosa ma ormai pensarci è tutto inutile), e
sotto ordalia, in piccolo, due lettere e due punti, così: N.H., e
poi un po’ di pagina bianca a finire il foglio. Allora cosa devo
fare...mi alzo, pago il ticket, 40,30 euro, e andiamo fuori,
io e la statua di marmo.
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Siamo fuori, io e la statua di marmo che mi tiene per mano, siamo in mezzo al mercatino dell’usato di un paese di montagna. Mi fermo a una bancarella perché vedo esposto uno di quei tachimetri che misurano le pulsioni inconsce, quelle proibite che uno ha in una giornata, e penso È proprio quello di cui ho bisogno, finalmente,
allora la compro senza pensarci su due volte, senza dubbi, senza esitazioni, apro il portafoglio ma rimango, ecco, un po’ interdetto: pensavo di avere 50 euro e invece ne ho solo 9 e 70; mi chiedo come mai, dov’è che ho speso 40,30 euro che non mi ricordo più, è che me le devo segnare le cose che poi mi passano subito di mente,
e allora niente paura, lo compro lo stesso, faccio un assegno, anzi pago col bancomat, tanto è uguale, però aspetta che me lo scrivo, non vorrei mai dimenticarmi di aver comprato questo bel tachimetro, di avere pagato col bancomat, di essere stato al mercatino dell’usato di un paesino di montagna,
di aver preso tutto questo sole che c’è qui, adesso, in faccia, così.
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Torno a casa con il mio tachimetro sotto il braccio e lo voglio far vedere subito a mia moglie ma lei a quanto pare non c’è proprio e penso che è strano perché a quest’ora dovrebbe essere già rincasata. Mi preoccupo sul serio allora, le telefono e dopo un po’ mi risponde e mi chiede come sto e poi mi dice che va di fretta e che deve riappendere, però le ha fatto piacere sentirmi dopo tanto tempo e magari ci risentiamo con più calma nei prossimi giorni.
Riappendo, decido di collocare il tachimetro sul comodino,
mi corico e mi copro come si deve.
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La signora del terzo piano passa l’aspirapolvere la domenica mattina alle sette, che poi era quella che si era lamentata perché io e mia moglie si produceva dei rumori a letto di sera, che è una signora rinsecchita che si credeva persona di virtù solo perché non aveva mai amato alcuno – né anche il proprio marito. E mentre passa così l’aspirapolvere che tanto ormai mi ha svegliato penso che sarebbe proprio il momento di fare l’amore con mia moglie così coperti dal frastuono dell’elettrodomestico di sopra.
C’è poi da dire, a onor del vero, che lei fa proprio apposta a fare del casino appunto per esasperare la vecchia repressa. Il problema più grosso comunque è che la statua di marmo ai piedi del letto mi guarda e che mia moglie non c’è già più,
si deve essere svegliata davvero presto stamattina per uscire, ma poi neanche così tanto perché in bagno tasto le setole del suo spazzolino da denti e sono ancora umide e faccio i calcoli che dicono che ragionevolmente non può esserseli lavati di più di un’ora fa.
le ho detto come una schioppettata
dopo un mese che c’eravamo conosciuti all’interno di un gruppo di amici comuni,
ma volevo dirtelo di persona. Magari, un giorno, ti accorgerai
che ti fa piacere�.
14
Cosa c’è di male, visto che tanto è domenica sono andato a fare un prillo in chiesa
che invece di essere affollata era assolutamente
deserta,
sprofondata in un silenzio
di mille candele accese.
C’era solo il prete che era diventato fatto di marmo che mi guardava e la vecchia dell’aspirapolvere inginocchiata su una panca della prima ďŹ la
che biascicava sottovoce, senza smettere un minuto con il suo rosario in mano, pregava in continuazione, pregava come una porca.
Devo nascondermi subito, anche se tanto il prete mi ha già visto; la vecchia repressa sicuramente gli ha già raccontato tutto, se no poi non mi guarderebbe così; hanno già deciso cosa fare, probabilmente, come comportarsi nei riguardi del sottoscritto; secondo me è anche lì tutta inginocchiata che prega già per la mia anima, ci scommetterei, lo so.
Allora non so come fare perché non posso uscire: davanti al portone c’è la polizia in tenuta anti sommossa che sbarra la strada e decido di scappare nella navata destra e mi inginocchio davanti al confessionale e mi confesso. C’è un bambino che avrà avuto sei o sette anni a confessarmi, lì dentro quel confessatoio che sembrava tanto un letamaio, che invece dello sgabello per il confessore, il confessore sta seduto che c’è una tazza del cesso con il coperchio abbassato.
Lui mi guarda così, forse un po’ amareggiato, con un’aria di compassione o di riprovazione gentile, empatica, come dire, e mi dice subito: “Cos’ hai fatto?! Cos’ hai combinato?! Perché?!”. E io comincio a balbettare, che in bocca avevo un’ostia sconsacrata e forse sputacchiavo anche: “Ma io...non lo sapevo... credevo...”, e lui che scuote la testa e dice, che poi non era nient’altro che una constatazione desolata:
Io abbasso il capo e cerco di riflettere, ma è una bella stronzata riflettere, lo si può ben capire, allora me la prendo, quella creatura che desolatamente constata, e me la metto nel taschino della giacca, che almeno quando arrivo a casa la ripongo anch’io in un cassettino da qualche parte, e me la conservo come fa l’amore mio con Basel.
Quando mi rialzo e vado davanti all’altare maggiore per farmi il segno della croce il prete non c’è più e la vecchia penitente ha smesso di pregare; è lì seduta che suona la viola; suona un brano di un certo romanticismo tedesco, così almeno sembra, sbagliando molte note senza accorgersene, senza interpretazione e senza stile ma con un’ostinazione che lo rende quasi accettabile ferme restando le dissonanze e la tragica mancanza di gusto. Esco che anche la polizia mi fa passare; un ufficiale fa largo e mi dice: “Tanto, ormai...” e con un timbro, come quelli che usano alle uscite delle discoteche,
mi stampa sul dorso della mano le due lettere, N.H.
15
Visto che “Tanto ormai”, allora dovrei proprio parlare anche con Basel, e torno là, mi faccio aprire il cassettino, me lo guardo un po’ tutto rattrappito e diminuito com’era. Ma non mi vengono le parole, lui si gira dall’altra parte per dormire e allora cosa vuoi farci, con delicatezza spingo il mobile e chiudo.
Quello che però mi dà più da pensare è che pur essendo la casa dell’amore mio non mi è venuta ad aprire l’amore mio, ma il prete che era prima in chiesa, che era sempre lo stesso che avevo da bambino e con cui ho ottenuto i sacramenti del battesimo, della comunione e della cresima. Aveva l’identica espressione dell’ultima volta che lo avevo osservato con una certa attenzione, a quattordici anni, credo: infilava gravemente il Corpo del Signore nelle bocche dei fedeli tutti in fila facendo segretamente tra sé e sé studi comparati sulle varie alitosi delle pie donne. Io ero seduto nella fila dei secondi banchi non potendo andare a ricevere l’ostia perché la sera prima mi ero fatto una sega.
16
Quando torno a casa mia moglie proprio non c’è, e penso che è strano perché a quest’ora dovrebbe già essere rincasata.
Mi preoccupo anche un po’ e allora le telefono e dopo qualche secondo, sei o sette squilli, che poi in realtà con le varie suonerie non esistono più, gli squilli, mi risponde e mi chiede come sto e poi dice che va di fretta e che deve riappendere, però le ha fatto piacere sentirmi dopo tanto tempo e magari ci risentiamo con più calma nei prossimi giorni.
17
Allora vado a letto un po’ confuso, e sarà senz’altro per questo che faccio un sogno tutto ingarbugliato che non si capisce niente, con io che inseguo questa ombra in un labirinto che poi, diciamoci la verità, era una donna, e il senso del sogno stava tutto nel fatto che io la inseguo e la inseguo e non riesco mai a raggiungerla, e invece no, colpo di scena, la raggiungo, la prendo per una spalla e lei si volta, questa donna venuta dal passato per scappare, e io le dico che adesso che ti ho preso sono felice, finalmente, e lei, che poi è la maga Circe, me ne accorgo solo adesso, mi dice come stanno le cose, che lei insomma non prova niente per me, assolutamente niente, che le sono sostanzialmente indifferente, da questo punto di vista,
e che al massimo mi può disegnare con uno stecco sulla sabbia umida
una tartaruga
che va via lenta lenta.
Io sto lÏ un po’ inebetito a chiedermi come mai tutta questa indifferenza, a che pro,
e che la tartaruga va lenta lenta perchĂŠ vive trecento anni, lei, se no vedrai che fuoco sotto al culo le verrebbe.
18
Tartaruga, tartaruga di merda, tartaruga del cazzo, tartaruga di questi due maroni che rotolano via veloci come due palle da biliardo, disegnando traiettorie dalle geometrie cristalline, d’una purezza prenatale, d’una limpidezza mozartiana,
fino a posarsi davanti a un cartellone pubblicitario, un cartellone pubblicitario che reca al centro una scritta in grande, e la scritta è:”DUM SPIRO, SPERMA”,
e io che li raggiungo ai piedi del cartellone, faccio per raccoglierli ma poi mi mancano le forze, leggo la scritta e siccome ho perso da un po’ e per sempre la possibilitĂ di coire, mi metto a piangere come un coglione, inconsolabile, e, poco alla volta, sento che mi viene a mancare anche il ďŹ ato.
19
Mi sveglio un po’ con il fiato corto; mia moglie è già uscita e c’è la sua camicia da notte buttata lì, dalla sua parte del letto in disordine. Mi vesto e vado dalla maga Circe subito; entro nella sua capanna con le chiavi che le aprono tutte.
Lei è là seduta che mi aspetta, vestita solo di quel suo velo trasparente, tutta così spettinata com’è. Mi avvicino, faccio per raggiungerla per fare l’amore con lei
ma sbatto contro la parete di vetro che ci separa; non l’avevo vista e ci separa proprio irrimediabilmente. Ci appoggio le mani e la faccia contro come uno che si attacca al vetro di una ďŹ nestra e guarda fuori e lei non dice niente o forse dice qualcosa ma la parete divisoria non lascia passare nemmeno i suoni e io non posso sentire. Cerco anche di sfondarla, quella parete,
e mi copro di ridicolo:
mi accanisco con i calci e poi con le ma-
nate e poi si vede che mi taglio, con il
vetro non so come, che comincia un ďŹ otto
di sangue a zampillare e mi accascio per
terra ma non per questo smetto di tirare
testate alla parete e di piangere, tirare del-
le testate alla parete e piangere.
20
Poi in strada, tutto sporco così di sangue, non so bene dove andare e cosa fare. Entro in un loggiato e mi siedo tra i vescovi in assemblea, c’è un cartello sopra al palco con il titolo della rassegna, c’è su scritto in neretto su sfondo rosso Concilio di Magonza.
Ed era in quel momento il momento di votare sul tema seguente: se la donna avesse o no un’anima. Si vota ad alzata di mano e io mi astengo, non comprendendo a pieno i termini del dibattimento, non sapendo precisamente cosa si intendesse col termine anima e neanche, a dire la verità , col termine donna.
Mi vergogno come un ladro e scappo, cosÏ tutto sporco di sangue com’ero che sembrava avessi appena ammazzato Cesare.
21
Provo a chiamare Basel, mentre torno a casa; lui tutte queste cose sull’anima e le donne le sapeva bene, se ne intendeva, me lo ricordo come fosse ieri, ma non mi risponde come al solito. Siccome continuo a sanguinare, ho la pensata di entrare al pronto soccorso e mi siedo in sala d’attesa.
Ăˆ pieno di gente, davvero, lĂŹ, che aspetta, ma pieno pieno e io mi siedo,
cerco di fare come fanno gli altri, aspettare come fanno gli altri, che prima o dopo arriva il turno di tutti, o almeno l’infer-
miera che è uscita dall’ambulatorio ha detto cosÏ, che prima o dopo arriva, bisogna avere pazienza,
che poi forse non era neanche un’infermiera, quella lì, a rifletterci meglio, perché le infermiere sono vestite di bianco e lei, o lui, era vestita di nero. Adesso che ci penso bene capisco che sicuramente era un lui perché aveva la barba, e bella folta anche; forse all’inizio sono stato tratto in inganno dalla tunica, sì, quasi sicuramente è andata così, ma adesso è chiaro che quella infermiera lì era in realtà il prete, sempre quello che mi guardava storto in chiesa.
n tutta la che aspetto co lĂŹ o n so e ch E mentre el caso, mia pazienza d
vedo che a quello di ďŹ anco a me che aspetta anche lui,
e che era un po’ il mio punto di riferimento per quanto concerne la fruizione dell’attesa, diciamocelo chiaramente, a poco a poco gli si sfumano i lineamenti del viso, gli cadono gli occhiali,
le dita delle mani si uniscono tra loro fino a formare una massa di carne indistinta. Quell’altro, dall’altro lato, sempre di fianco a me, si mette a starnutire a ripetizione e mi accorgo che non c’ ha più la bocca, addirittura, e che non se ne accorge mica, lui, di questo fatto, non essendoci specchi nei paraggi. Intanto la donna di fronte a me, che stava pregando, si accascia e muore, e lì morta per terra vedo che sorride, così tutta morta com’è, sorride anche se già i piedi stanno cominciando a putrefarsi. E mentre continuano così ad aspettare, ogni tanto esce quell’infermiera là di prima e ci dice di attendere ancora un poco. Il signore calvo che sedeva vicino all’attaccapanni scompare, così, si dissolve lentamente e subito ci dimentichiamo subito di lui. Una ragazza, dalle tette grandi ma già un po’ cadenti e come dire un po’ storte, così, verso all’infuori, mi rivolge la parola e mi dice che per lei quello non è tempo perso perché lei è felice, così, lì, ad aspettare, però, adesso che ci penso bene, felice non è proprio la parola che ha usato, forse; forse aveva detto serena, o forse tranquilla, o forse qualcos’altro, non so, che stava bene, o qualcosa sull’essere in pace con se stessi, ma ormai non mi ricordo più, figurati, non avendolo salvato sulla chiavetta, figurati.
A un certo punto mi alzo e decido di andare via, che tanto si sa che una ferita dopo un po’ smette da sola di sanguinare, e mentre vado via vedo la ragazza di prima che è diventata vecchia, i capelli bianchi e un po’ radi, che sputava un dente che le era probabilmente appena caduto.
22
E mentre sono già in strada che mi allontano a grandi passi mi vedo ‘sta ragazza, che ormai è una vecchia a tutti gli effetti, che mi segue, che mi viene dietro blaterando, blaterando continuamente qualcosa, come una specie di ronzio nelle orecchie, e mentre mi viene dietro perde le scarpe, prima una e poi l’altra, e continua a blaterare senza posa, mi dice “Però l’anima è immortale”, tutta galvanizzata si vede dai risultati della votazione del Congresso di Magonza,
e continua a perdere capelli sì che ormai è quasi calva, però tiene il mio passo, è tenace, e poi perde per strada il naso, le orecchie le aveva già perse da tempo immemorabile, si capisce, e poi la mammella destra, quella sinistra e poi è il turno della testa che rotola via, poi del resto del corpo finchè non rimangono solo le sue due gambe che mi inseguono. Anche le sue gambe, comunque, continuano a blaterare e dicono che però l’anima è immortale finchè non perde anche quelle, e allora non so più bene cos’è che rimane ancora lì a inseguirmi, non vedo più niente, in apparenza; forse è rimasta la sua anima a inseguirmi, e da ciò almeno traggo un vantaggio: la sua anima, se c’è, almeno non parla, non blatera, non rompe i coglioni.
23
Infatti tempo che sono a casa e ho già smesso da molto di sanguinare; sto un poco sotto la doccia per scrollarmi per bene il sangue rappreso e mi siedo nudo sul letto e sto lì a grattarmi un piede. Poi mi rendo conto che mia moglie non è ancora rincasata ed è molto strano, visto l’orario.
Sono un po’ preoccupato e le telefono: risponde dopo sette squilli e mi chiede come sto, ha la voce un po’ stanca, mi sembra, ma forse è perché è già tardi, forse l’ ho anche svegliata,
e poi improvvisamente dice che va di fretta e che deve riappendere, però le ha fatto piacere sentirmi dopo tanto tempo e magari ci risentiamo con piÚ calma nei prossimi giorni.
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Riappendo e poi mi metto lì con un righellino, quello che usavo quando andavo a scuola in educazione tecnica, a misurarmi il pene e con grande amarezza sono costretto a constatare che negli ultimi mesi mi si è accorciato di tre centimetri. Sono invaso da una sorta di dispiacere lugubre e mi infilo sotto le coperte così come sono e cerco di dormire, così come posso.
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Quando mi sveglio mia moglie è già uscita ma mi ha lasciato del caffè caldo in cucina.
E quando suonano alla porta penso subito che sia lei che si è dimenticata qualcosa ed è tornata a prenderla, e invece è sempre il solito prete-infermiera che a vederlo adesso non è più tanto un prete, sembrava piuttosto un esattore delle tasse e mi porta il calendario del nuovo anno. Io lo appendo subito al chiodo al posto di quello vecchio e quello vecchio è quello di 12 anni fa.
Poi bevo un sorso di caffè che però non è più caldo, ormai, essendo passati appunto dodici anni.
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Penso che forse la maga Circe ha del caffè caldo, almeno; è l’unica che può averlo e vado da lei.
E’ nel modo più assoluto l’unica che può averlo e io sono l’unico a cui può offrirlo.
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Entro con le mie chiavi che le aprono tutte ma lei non c’è già più, e c’è sempre il solito prete con la barba seduto al suo posto. Nella parete di vetro c’è una piccola breccia, adesso, proprio lì al centro, adesso che non serve, e mi viene da pensare che Sempre cercare, sempre cercare, sarà sempre così, non finirà mai? Il prete mi dice qualcosa, da di là e tutto seduto com’è, e lo sento, anche perché le onde sonore ci passano, dalla piccola apertura, mi dice che si finisce anche di perdere, una volta, che alla fine non si perde neanche più, vedrai, vedrai. Mi dice:
“Un giorno dirai a te stesso Sono stanco, vado a sedermi, e andrai a sederti. Poi dirai a te stesso, Ho fame, ora mi alzo e mi preparo da mangiare. Ma non ti alzerai. Dirai a te stesso, Ho fatto male a sedermi, ma visto che mi sono seduto resterò seduto ancora un poco, poi mi alzerò e mi preparerò da mangiare. Ma non ti alzerai e non ti preparerai da mangiare. Guarderai il muro per un poco, poi dirai a te stesso, Ora chiuderò gli occhi, forse dormirò un poco, dopo andrà meglio, e li chiuderai. E quando li riaprirai il mondo non ci sarà più. Intorno a te ci sarà il vuoto infinito, tutti i morti di tutti i tempi non basterebbero, risuscitando, a colmarlo, e sarai come un sassolino in mezzo alla steppa. Sì, un giorno saprai cosa vuol dire, sarai come me, solo che tu non avrai nessuno, perché tu non avrai avuto pietà di nessuno e non ci sarà più nessuno di cui avere pietà.
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Ad ogni modo so dove trovarla, quella troia, la trovo al mercatino dell’usato, dietro alla sua solita bancarella.
Infatti è là , come la volta che mi ha venduto il tachimetro, e io mi guardo con grande attenzione tutti gli articoli in vendita
ed ecco, lo sapevo, c’è anche del caffè caldo, a 12 euro, ma adesso il problema è che tiro fuori il portafoglio e mi accorgo proprio che ho finito tutti i soldi, mi rimangono solo 3 euro e con tre euro non c’è più niente da fare, per il caffè caldo, proprio no. Basta, mi rassegno, vado a prendere la metro per tornare a casa, che forse mi è anche scappato l’orario, per colpa di un caffè.
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Alla fermata mi monta l’ansia sempre per via dell’ora e la chiedo allora al signore col giornale seduto sotto la pensilina e lui non si muove, non stacca gli occhi dall’articolo che sta leggendo neanche per sogno, forse fa finta di non sentire. Allora la chiedo alla signora con la borsa della spesa che controlla gli orari appesi in una bacheca, lì, ma anche lei non si muove, anche lei non ci pensa neanche a staccare gli occhi un momento dai suoi orari; forse è troppo concentrata, forse è un po’ sorda e non mi ha neanche sentito.
Decido di provarci con una ragazza con il naso alla francese che, mentre aspetta, sta scrivendo un sms a qualcuno, oppure manda un mms, non so. Ma è tutto inutile, nessuno mi dice l’ora, nessuno si muove di un millimetro, sono tutti immobili, come tutte statue, e forse sarà perché sono tutti di vetro, uomini e donne cristallizzati, forse una volta erano normali, chi lo sa, ma adesso sono di vetro e immortali nella loro posa. Tocco con un dito la ragazza con il naso alla francese che sta mandando un sms, la tocco lì sul braccio, con l’indice soltanto, e ci rimane la ditata, lì sul vetro del suo braccio, come quando faccio apposta le ditate nelle finestre a casa e mia moglie si arrabbia.
30
Arrivato a casa mia moglie non è ancora tornata pertanto mi spoglio, mi siedo sul letto e mi metto a grattarmi un piede.
Sento un TUN, che è il TUN che fa la mia suoneria quando arriva un messaggio e penso subito che sia mia moglie e mi precipito ma non è lei, è la ragazza con il naso alla francese che aveva poi mandato il suo sms, e finalmente era arrivato, alla buon ora, e mi scriveva due parole, così: “Troppo tardi”. E mi viene da pensare che è vero, non so se è solo un attimo di debolezza, comunque penso per un attimo che è vero, mi pare di essere stato assente, nei momenti importanti, anzi sempre, sempre assente. Tutto è successo senza di me.
31
Tanto la cosa che più mi preoccupa non è certo questo, è piuttosto che mia moglie non sia ancora tornata, questo è il fatto, il punto su cui mi devo eventualmente concentrare; prendo il telefono e provo a chiamarla. Risponde dopo dodici squilli e mi chiede come sto, tutta arzilla con una voce stranamente acuta, priva di ogni possibile sensualità, e poi dice che va di fretta e che deve riappendere, però le ha fatto piacere sentirmi dopo tanto tempo e magari ci risentiamo con più calma nei prossimi giorni.
32
Prima di inďŹ larmi sotto le coperte prendo il righellino e mi misuro il pene che si è accorciato di ben altri 2 cm.
Ora è rimasto lungo solo 11 cm, in erezione; è ovvio che i dati di questo tipo facciano riferimento al pene in stato di massima erezione.
Forse succede perchÊ mi gratto il piede, spesso, ma non si può dire, è impossibile stabilirlo con certezza.
33 Mi sveglia il campanello,
ed è il postino che mi recapita una busta senza mittente con dentro due cose. Una è una foto e l’altra è un disegno, così stilizzato com’è, fatto con uno stecco sulla sabbia umida e tutta liscia. Mi metto sul tavolo e me le guardo bene, queste due cose, e chiamo mia moglie due volte a vedere ma non mi risponde, si vede che è già uscita, è uscita presto stamattina. Il postino è lì immobile e non va via, e io gli dico di andarsene, ormai, una buona volta, che è tutto finito ma non si muove, niente, forse perché è diventato di vetro anche lui,
allora prendo un posacenere di marmo e glielo scaravento contro, proprio con tutta la mia forza, cosĂŹ che va in mille pezzi, quel postino lĂŹ di vetro, si frantuma con uno “splakâ€? e mi riempie il soggiorno di mille e mille e mille cocci appuntiti.
34
La fotografia non è poi così chiara come speravo. L’immagine è imprecisa, insufficiente. C’è un cancello, credo, aperto, che conduce a una specie di corridoio, che fiancheggia l’edificio.
Il pavimento è sassoso. Si cammina male, così. I colori sono spaventosamente slavati. In fondo, ci sta una siepe con un muro. Il prato, poi, si stende dietro all’edificio. Ma chi, chi è che si nasconde lì di dietro? Eccola che sbuca, la ragazza con il naso alla francese, a cavalcioni della maga Circe e più a destra ci sono tutti, la mia ex...e Basel, guardalo, che sorride, perché sorrideva sempre, quando aveva ancora il cazzo lungo 16 cm, sembra quasi che mi guardi un poco, da là in fondo, che voglia qualcosa da me, qualcosa di particolare, o forse è solo un suo modo di salutarmi, un modo tutto suo, si capisce, un modo che si capisce solo a conoscerlo bene, Basel.
35
Prendo quella manciata di sabbia umida e me la metto di lĂ , sul comodino, di ďŹ anco al tachimetro. Direi a questo punto di avere messo tutte le cose al loro posto. Posso stare tranquillo.
Mi metto a spazzare per terra che ci sono i resti del postino sparsi.
Canticchio.
36
Prendo la vecchia foto e vado al mercatino dell’usato per cercare di venderla. Trovo la maga Circe che è sempre là, come al solito, cascasse il mondo, dietro alla propria bancarella, e all’inizio mi fa anche la nostalgica, va a cercare un po’ di sincerità, la mette in un tin con un po’ di succo di pompelmo, shakera per bene, un po’ di ghiaccio, anche, via, una bella coppa e tutta giù, in una sola sorsata, tutto in una volta.
E mi fa la nostalgica per davvero, che mi verrebbe da tornare a credere addirittura alla vita futura, e poi mi dice: “Cosa vuoi che valga”, e si riferisce proprio alla foto, non ci sono dubbi, mi dice: “Cosa vuoi che valga, mi dispiace, non vale neanche un euro”,
poi la esamina per bene con la lente d’ingrandimento, anche, ma continua a scuotere la testa e continua a dirmi che non vale neanche cinque centesimi di euro.
Allora cosa vuoi farci, mi tocca buttarla via, che in realtà io non volevo assolutamente, cestinarla, perché poi non si sa mai, anche se non vale neanche cinque centesimi, cosa vuol dire, cosa c’entra, ma tutta la gente, la folla del mercatino, fa capannello intorno, comincia prima a mormorare, poi fa dei gesti, poi ad inveire, poi a spintonare finchè sono costretto a gettarla nella spazzatura, per forza, non si può proprio fare altrimenti.
37
Comincia una pioggerellina densa fitta fitta e c’è un signore con l’ombrello che si offre di accompagnarmi per qualche metro, fino alla scala della metro. E mentre è lì che mi scorta si guarda inorridito intorno, guarda la gente che affolla il mercatino e che parlano tra di loro a due a due, in tre, in quattro.
Scuote la testa in segno di una sorta di triste consapevolezza blaterando a mezza voce:
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Io cerco di rispondergli per educazione ma non mi esce niente, come se avessi qualche sorta di impedimento in gola che mi blocca. Ma tanto quando mi volto non c’è già più, lì di fianco, quel prete con la barba, perché sono già di sotto, alla mia fermata del metro.
39
C’è una ragazza, che la vedo mentre sono lì che aspetto, che suona la chitarra classica e che ha tutto un suo fascino da zingara anche se si vede che non è una zingara, e che sarà se tutto va bene una studentessa del conservatorio, che non suona mica per fare l’elemosina, se la suona così per gioco, per posa,
e infatti c’è poi un ragazzo, ci faccio caso adesso, che sarà il suo ragazzo, se tutto va bene, che le sta facendo una fotografia, che zumma, che studia il momento giusto per premere il tasto, per fermare l’immagine,
per pietrificare il momento, e io vorrei urlarle di scappare, che non è vero, di non farla finchè è in tempo, che tanto poi in futuro non varrà neanche cinque centesimi di euro, quella foto, vorrei spiegarle, avvisarla, ma non riesco a dire niente,
come se avessi qualcosa in gola, e infatti comincio a tossire e mi viene su un pugnetto di sabbia, che cerco di sputare fuori come posso, e che forse era un po’ di quella sabbia che mi era arrivata per posta che mi era entrata in bocca, non so come.
40
Finalmente a casa ma mia moglie non è ancora tornata. Strano, data l’ora, e penso di chiamarla ma poi ci ripenso, aspettiamo un poco, sono troppo ansioso, poi ha ragione, quando si arrabbia. Mi faccio una bella doccia, mi siedo sul letto ancora tutto bagnato, mi gratto un po’ un piede e poi mi misuro il pene con il righellino. Si è accorciato ancora di 6 cm; ormai ne rimangono solo 5, sono in preda a un attacco di panico, credo, devo telefonare subito a mia moglie per dirglielo, ne devo assolutamente parlare con lei, e poi tanto tenere nascosta la cosa non servirebbe proprio a niente. Vado di là a cercare il telefono e trovo sul tavolo di cucina un bigliettino suo, di mia moglie appunto, anche la calligrafia testimonia senza alcuna possibilità di dubbio che l’ ha scritto lei in persona, che dice: “Sarò di ritorno entro l’una”. Allora aspettiamo pure, mi dico io, aspettiamo, mancano solo 40 minuti e trenta secondi all’una, del resto, tanto vale trovare qualcosa da fare per ammazzare il tempo e aspettare che torni da sola.
41
Cerco per un po’ qualcosa da fare per ammazzare il tempo ma sono proprio stanco, è stata la giornata che è stata lunga, è quello che mi ha fregato, mi vado a sedere e rimango un po’ a riposarmi; del resto devo essere bello pronto ed energico per quando arriva mia moglie.
42
Dopo un po’ che sono lì tutto buono a sedere mi viene fame e penso di alzarmi e di andarmi a preparare da mangiare. Ma non mi alzo. Sento che mi mancano le forze nelle gambe. Ho fatto male a sedermi, ma visto che mi sono seduto resterò seduto ancora un poco, poi mi alzerò e mi preparerò da mangiare.
43
Me ne sto qui, sempre seduto a guardare il muro. La testa pesa così tanto che mi sa proprio che ora chiuderò gli occhi, forse dormirò un poco. Dopo andrà meglio.
44
Riapro gli occhi, ormai, non so neanche se mi sono appisolato un attimo o meno, guardo subito l’orologio a muro, sono le 00,36.
45
Mi trascino
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e poi di nuovo l’orologio: è mezzanotte e trentotto, ancora ventidue minuti.
fine
! Testi di Fabio Ognibene - Bologna, luglio 2008.
Ha pubblicato due romanzi, Impercettibili condensazioni sentimentali (Giraldi Editore, Bologna - 2008), e Dopo il silenzio (Arduino Sacco Editore, Roma - 2009) ed una favola illustrata per bambini La principessa che dice le bugie (Giraldi Editore, Bologna - 2008). Vive a Bologna dove lavora, studia, scrive. Laureando al corso di Lettere Moderne dell’Università degli Studi di Bologna. Laureato al conservatorio musicale G.B. Martini di Bologna. E’ nato il 20 settembre 1976. Fabio Ognibene. Mobile: (+39) 338 139 26 27 Email: f_ognibene@yahoo.it
! Disegni e impaginazione di Sara Garagnani - tra Bologna e la Sicilia, luglio-novembre 2008.
Ha pubblicato una favola illustrata per bambini La principessa che dice le bugie (Giraldi Editore, Bologna - 2008). Vive a Bologna dove lavora, disegna, dipinge. Autodidatta nel campo delle arti visive; si è laureata all’Università degli Studi di Bologna nel 2001 e poi si è specializzata in Art Direction presso il WestHerts College (Watford, London - U.K.). Si occupa principalmente di illustrazione e comunicazione. E’ nata il 24 settembre 1976. Sara Garagnani. Mobile: (+39) 392 13 90 470 e (+39) 339 155 70 77 Email: saragaragnani@hotmail.com Ref. www.behance.net/saragaragnani