non avere un ruolo centrale in una scuola che si vuole in dialogo con il mondo, divenuto ormai, in virtù dei media, ricco di esperienze, sensorialmente ed emotivamente stimolanti, in cui la scrittura convive con i suoni e le immagini. Laddove vi è la convergenza di messaggi che si sviluppano su diversi piani, inevitabilmente la cognitività è pregna di elementi emotivi, la dimensione metaforica dell’esprimersi è potenziata. Il pensiero non può che essere pensiero emozionato e l’apprendimento non può che essere apprendimento per immersione… e la didattica, di necessità didattica multimediale. Suoni e immagini, in ragione del potere di coinvolgimento del corpo che posseggono, mettono in questione i modi tradizionali della formazione. Roberto Maragliano ha parlato di “inquietudine pedagogica” a cui i nuovi linguaggi danno luogo. Le ragioni di questa inquietudine prima facie possono essere individuate nel diverso atteggiamento che scuola e media hanno nei confronti dell’esperienza 13. La scuola assume l’esperienza conoscitiva, affettiva e sociale come qualcosa di fissabile, delimitabile, analizzabile, scomponibile, i media assumono l’esperienza come qualcosa di mobile, aperto, includente e globalizzante, sulla base di un modello che potremmo senz’altro definire acustico. Il suono infatti è mobile, aperto, includente e globalizzante. Quindi qualsiasi esperienza, si dia come immagine, si dia come scrittura (il riferimento è al caso delle e-mail e delle chat), che abbia queste caratteristiche può dirsi incardinata nella matrice del suono. L’esperienza sonora si accompagna sempre a una condotta immersiva, quando si partecipa a un evento sonoro, tutto risuona: noi con-soniamo col contesto, siamo dentro la realtà che stiamo vivendo. Ogni esperienza sonora è un prender parte a qualcosa, per questo l’esperienza sonora è un rituale di interazione. Ciò inquieta la pedagogia. La lettura e la scrittura consentono una prospettiva frontale, l’ascolto immerge in un ambiente che si prospetta in termini che sarebbe giusto definire di realtà virtuale. Ma fare esperienza, si è sempre detto, non è propriamente conoscere. La conoscenza è fatta di “filtri, fatica, complessità, meditazione”, la lettura e la scrittura, opportunamente orientate dall’istituzione scolastica, offrono questi filtri, insegnano a porre nessi, con cui si costruiscono quadri concettuali via via più complessi. Ora, i giovani che fanno esperienza coi suoni, con le immagini, con le parole, che praticano il dilettantismo digitale ci danno un’indicazione su cosa sia per loro propriamente pensare: sono interessati ai loro moti interni, non concedono troppo spazio alle mediazioni interpretative, si occupano in giochi che consentono di praticare l’immaginario, quel terzo spazio “che sta tra mondo esteriore e mondo interiore, dove le matrici della scrittura e del suono operano assieme, dove trionfa l’ibrido”14. Coi suoni, le immagini, le parole i nostri giovani giocano il mondo, costruiscono mondi, ed ogni mondo che essi costruiscono è un vero e proprio ambiente di apprendimento: così imparano non solo a praticare l’addomesticamento dei media, ma anche l’addomesticamento della realtà e delle loro emozioni. Si prospetta una sfida per la pedagogia: mettere in discussione “il verbocentrismo delle pratiche educative correnti”15, aprendo nel contempo la scena educativa 13
R. MARAGLIANO, Parlare le immagini. Punti di vista, Apogeo, Milano 2008. Ibidem, p. 25. 15 Ibidem, p. 35. 14