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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE calate dall’alto e annerite dal fuoco, unite da un’ampia fascia che anticipa le larghe campiture nere che connotano i lavori successivi. Si giunge quindi agli esiti più recenti, che sul piano stilistico testimoniano una evoluzione rispetto al passato, azzerando il ricorso allo sfumato e alla linea curva, definendo con maggiore nitidezza i contorni delle sagome che così si mostrano sul foglio in tutta la loro potenza. I corpi geometrici denunciano un processo di sintesi formale imperniato sulla dilatazione e sull’addensarsi delle campiture. L’immagine messa a nudo, sintetizzata in segmenti più compatti, assume ora una pregnante valenza architettonica destinata ad alterare la percezione dello spazio. Superfici oblique, fughe prospettiche che sembrano sfondare le pareti, ci introducono in una dimensione imperniata su sequenze di piani orientate verso un luogo indefinito. Alcune opere sono concepite come forme tridimensionali pronte a svilupparsi nello spazio, a ribadire l’intento di azzerare qualsiasi distanza fra scultura e superficie bidimensionale. Imprimere un segno sulla carta, definire una campitura o realizzare un oggetto possono quindi coincidere in un’azione comune in cui si annulla ogni rapporto di alterità. In questo gioco di contrapposizioni l’intervento grafico si trasforma in volume in grado di sfondare pareti o di protendersi oltre il piano della parete. Vera protagonista della mostra è dunque la carta, pregiata e di spessore consistente, prediletta da Nunzio per le particolari valenze tonali e per l’intrinseca piacevolezza alla vista e al tatto. Nel suo disporsi sulle pareti dello spazio espositivo, dà corpo a una sequenza di spartiti monocromi, talvolta interrotti da volumi estroflessi, da cui prende vita una sinfonia accordata su accenti imperiosi. Grandi fogli bianchi accolgono il carbone e lo assorbono quasi a inglobarlo nella loro stessa fibra, partecipi entrambi di una comune origine naturale: dal legno bruciato deriva il carbone, così come dal legno trae origine la carta. Larghe campiture di un nero profondo si aprono come finestre su un oscuro inconoscibile, come costante metafora delle forti contrapposizioni (luce-ombra, bianco-nero, giorno-notte) su cui si fonda la ricerca dell’artista. (a cura di Lucia Spadano) s Nunzio, Senza Titolo, 2011 carbone su carta giapponese (cm. 187,5 x 96,5) Courtesy Galleria dello Scudo, Verona Photo Claudio Abate

Luigi Ontani , Allegoria delle Arti, 2007 trofeo in ceramica (cm. 36 x 20 x 45) per la premiazione del “Segno d’oro” ad un artista contemporaneo.

Nunzio Segno d’oro 2012

Nunzio 2011 (foto Claudio Abate)

partire dal traguardo dei 30 anni dalla pubblicazione della Rivista Segno, raggiunti nel 2006, A la omonima Associazione culturale Segno ha deliberato l’istituzione di un Premio denominato “Segno d’oro”, consistente in un prestigioso trofeo da assegnare ogni cinque anni ad un artista contem-

poraneo che si sia distinto per l’impegno continuo e costante nel suo lavoro internazionalmente riconosciuto. La Commissione dell’Associazione, costituita dal Presidente Umberto Sala e da diversi soci storici dell’Arte e collezionisti, ha deciso il conferimento del “Segno d’Oro 2012” all’artista italiano Nunzio, che ha rinnovato il linguaggio della scultura creando opere sempre legate ad una “relazione fisica” con la materia generatrice di seduzioni, oscillante tra memoria arcaica e metamorfica e idee che non sono quasi mai oggettualità definite. Il suo lavoro ci restituisce raffinate visioni nella padronanza e nell’utilizzo di legni bruciati, piombi, gessi, bronzi e ruggine, in eleganti contrappunti chiaroscurali e affascinanti relazioni tra architettura e natura. Il trofeo, come quello assegnato nella passata edizione all’artista greco Costas Varotsos, è stato elaborato da Luigi Ontani, che, nella sua sempre generosa disponibilità, lo ha interpretato come una “allegoria delle arti”, così descrivendolo: “C’è la tavolozza da pittore, d’oro (con otto colori all’infinito, come se fossero altrettanti occhi colorati), che sostiene una macchina fotografica digitale nel cui schermo visivo c’è il mio autoritratto come San Luca, il pittore della Vergine, d’apres Quercino, che a sua volta ha in mano una tavolozza, e che io feci a Madras negli anni ‘70 con un fotografo che si chiamava Krisnam e che aveva un giovane assistente cieco.... La macchina fotografica è sormontata da una mano, la mano del pittore, in cui il dito indice diventa un pennello ed il pollice una foglia di ontano, l’Alnus, come fosse un’allusione al mito di Dafne, mentre sull’apice del pennello sta un arcobaleno in cui c’è un piccolo volto come se fosse un mio autoritratto, la mia maschera miniaturizzata con un anello che lo sostiene” g FEBBRAIO/MARZO 2012 | 239

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