La rivoluzione libica

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1. La caduta del velo della paura   29

fondamentalisti Fratelli musulmani, ma sono portatori di idee illuminate e laiche. La spontaneità del movimento non ha impedito, dopo i primi giorni di smarrimento dinanzi all’inaspettata grande risposta di popolo, la formazione di un coordinamento allo scopo di definire obiettivi che andassero oltre la richiesta di democrazia politica e diritti civili, nonché i mezzi per realizzarli. Un’organizzazione inizialmente rudimentale che ha permesso al potere, nella prima fase, di escludere questi giovani dal dialogo trattando invece con i partiti legali (il liberale Wafd e Tagammu, di sinistra) e con i Fratelli musulmani, non riconosciuti ufficialmente. Le parole d’ordine della prima manifestazione, quella del 25 gennaio 2011 – democrazia, libertà e giustizia sociale – si sono così trasformate in richieste chiare, concrete e immediate: l’abdicazione di Mubarak e la fine del regime, processi per i crimini e la restituzione al popolo del maltolto dalla corruzione. È questa posizione che ha portato dapprima al fallimento del tentativo di mediazione tra il regime e i partiti tradizionali, e poi alla cacciata di Mubarak. La dura repressione, che ha portato alla morte di circa trecento persone inermi e a oltre mille arresti nel solo primo giorno di mobilitazione, ha scosso le basi del potere e portato al collasso le famigerate forze di sicurezza, un apparato di trecentocinquantamila agenti aventi la massima libertà di azione repressiva, anche quella di uccidere sotto tortura in commissariato (come era avvenuto ad Alessandria d’Egitto al giovane Khaled Said, il 7 giugno 2010). Il tentativo di un giro di vite contro l’informazione (con gli arresti di giornalisti stranieri, l’oscuramento delle tv satellitari, la chiusura di Internet e delle reti di telefonia cellulare) e l’uso dei baltajieh (sicari privati) contro i manifestanti hanno dimostrato la debolezza del regime e lo hanno ampiamente screditato di fronte alla gente semplice come alle diplomazie internazionali. Le immagini atroci delle esecuzioni in piazza da parte della polizia hanno tolto ogni fiducia nelle promesse di «cambiamento nella continuità». Il tappo è saltato e l’onda della protesta è diventata incontenibile. È stato così subito scardinato il sistema ereditario che la famiglia Mubarak aveva sapientemente congegnato e che doveva portare a «eleggere» il figlio Jamal a successore del vecchio e malato «monarca». Il ruolo dell’esercito è stato determinante nell’evitare che il Venerdì della collera (28 gennaio 2011) finisse in un bagno di sangue. Ma non è


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