Essere di sinistra oggi

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Alex Foti

Essere di sinistra oggi Guida politica al tempo presente


Sito & eStore – www.ilsaggiatore.com Twitter – twitter.com/ilSaggiatoreED Facebook – www.facebook.com/ilSaggiatore © il Saggiatore S.p.A., Milano 2013


Essere di sinistra oggi A Selma, nella speranza che la sinistra ci sia ancora quando sarĂ grande



Sommario

Sinistra: essere o non essere

11

Che cosa vuol dire essere di sinistra oggi

27

La sinistra e il mondo nuovo del xxi secolo

39

La crisi dell’Europa e la fine dell’Occidente

47

La Grande Recessione, la Grande Biforcazione

57

La questione della precarietà e la sinistra italiana

81

La sinistra e la rivoluzione democratica nelle piazze e nella rete

91

La questione ecologica: per una sinistra non fossile

101

Per una sinistra pink e queer

113

La sinistra è morta, ma noi siamo ancora vivi: la sinistra siamo noi!

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Bibliografia

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Ringraziamenti

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«La tradizione di tutte le generazioni passate pesa come un incubo sul cervello dei vivi.» Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte

«The boom, not the slump, is the right time for austerity.» John Maynard Keynes

(1937)



Sinistra: essere o non essere

Essere della sinistra che fu Oggi, se una o uno dice «sono di sinistra», chi ascolta strabuzza gli occhi o fa finta di non aver inteso quella frase «sconveniente». Chi si dice di sinistra appare immediatamente agli occhi dei più una sognatrice impenitente o un nostalgico accanito. Per non parlare degli appellativi, davvero démodé, di «compagni e compagne» rivolti ad amici e sodali («compagno Stalin, come stai?» «Non c’è male, compagno Mao»). Appena qualcuno pronuncia la parola «sinistra», è come se una coltre grigia calasse sulla platea degli agnostici: «Oh no, si parla ancora di politica, di sinistra, che noia! Eccone un altro che vuole fare l’intellettuale». Non si scappa, chi è di sinistra deve subito scrollarsi di dosso la percezione che gli altri hanno di lei o di lui come individuo irrecuperabilmente «vetero». Perché la sinistra vive con la testa rivolta al passato della sua storia travagliata, invece che al futuro dell’innovazione scientifica e sociale. E siamo solo noi di sinistra a non rendercene conto. Certo, siamo stati sconfitti nella lotta di classe globale dal neoliberismo, ma la storia ci ha vendicato, perché quell’egemonia si è infranta contro la Grande Recessione. Oggi si recupera Marx in quanto esegeta delle crisi capitaliste, ma il comunismo è stato pesantemente screditato in quanto ideologia politica e sistema di pianificazione economica, anche se a sinistra si è cercato in tutti i modi di negare l’evidenza dopo il 1991. C’è chi ancora oggi non vede l’o-


12  Essere di sinistra oggi ra di riproporre l’attualità del comunismo (e non mi riferisco solo a quelli che vendono Lotta Comunista di fronte alle università, ma a intellettuali del calibro di Alain Badiou, David Harvey, Toni Negri, Slavoj Žižek et al.). La sinistra mostra la tendenza a una coazione a ripetere gli errori del passato in un presente in vertiginoso cambiamento, nel quale rischia perciò l’irrilevanza, perché la sua gente vive con la testa immersa nella memoria di ciò che fu: del Sessantotto, dell’Autunno caldo, del movimento del ’77. Anche dopo Genova 2001, la fissazione per la memorializzazione ha prevalso sulla necessità di tenere in vita un’azione politica di sinistra contro la tortura (non ancora riconosciuta dal nostro Codice penale!) perpetrata a Bolzaneto e la feroce violenza contro gli attivisti inermi nella scuola Diaz, la più grande violazione dei diritti umani nell’Italia repubblicana. Sembra sempre che si preferisca commemorare figure di martiri come Che Guevara o Enrico Berlinguer che interrogarsi su come fare ad agire nel presente e sciogliere le incognite di un futuro minaccioso. La sinistra è ossessionata da anniversari e ricorrenze. Anch’io, nel mio piccolo, non sono esente da questa fissazione: ho cercato di resuscitare a Milano una festività rivoluzionaria, il Primo maggio socialista e anarcosindacalista (e precomunista), tanto che mi sono inventato la MayDay Parade, tenuta a battesimo nel 2001 e rapidamente diventata la più importante manifestazione di precari e precarie in Italia. L’ho voluta in salsa wobbly americana, queer europea e precaria nostrana. Analogamente, ho insistito perché il «non compleanno» di San Precario cadesse il 29 febbraio, la festività perfetta per il patrono del lavoro intermittente, nato in un supermercato milanese una domenica del 2004. È come se la sinistra cercasse affannosamente nel passato, nella Resistenza o in un qualunque altro momento tragico e glorioso, le ragioni della propria identità. Inevitabilmente, chi è estraneo alle sue tradizioni storiche si sente tagliato fuori da una comunità nella quale, se non sai chi erano Pinelli, Zibecchi o Carlo Giuliani, sei automaticamente ostracizzato. Essere di sinistra oggi non vuol dire dimenticare la sua storia, ma guardare avanti, sapendo che il suo pensiero non è più condiviso dalla maggioranza delle persone. Bi-


Sinistra: essere o non essere  13 sogna essere sempre consci che l’identità di sinistra non può che essere un progetto in costante divenire, piuttosto che la cristallizzazione di certezze storico-ideologiche. Essere di sinistra è sempre in fieri, al contrario dell’essere di destra, che è identità di conservazione delle disuguaglianze economiche e della difesa della tradizione religiosa e nazionale.

La sinistra è vecchia, ipocrita e litigiosa La sinistra è in ritardo sulle innovazioni tecnologiche, artistiche e culturali. Ha un istinto conservatore di fronte alle novità sociali e intellettuali. Non capisce la comunicazione in rete, ma vuole regolamentare la libertà della rete. Va a vedere Picasso, non Maurizio Cattelan, tantomeno promuove i giovani artisti. Ai suoi festival di musica compaiono sempre le solite star impegnate, ogni anno con i capelli più ingrigiti. La sinistra non ha più il gusto dell’ironia, dell’irriverenza, della provocazione creativa. In mancanza di idee, ostenta serietà e solennità, con il rischio di cadere nel ridicolo per la tristezza e la rassegnazione che i suoi leader attuali spesso emanano. Una volta le schiere della sinistra erano piene di scienziati e intellettuali; oggi, salvo meritevoli eccezioni, la grande maggioranza si tiene a distanza da un ceto politico sempre più chiuso in sé stesso, incapace di dialogare con la società sulle novità emergenti – per esempio, in campo medico e genetico – che cambiano il nostro modo di vivere e, di conseguenza, il valore della vita stessa e della sua fine. Oggi, un fisico a suo agio con bosoni e neutrini difficilmente parlerà a un raduno o parteciperà a una manifestazione della sinistra. Qual è la linea della sinistra sulla bioetica e sulla riproduzione assistita, sull’eutanasia e sulla diagnosi genetica? Abbraccia oppure no le ultime scoperte dell’evoluzionismo, del cognitivismo, della cosmologia, in quanto avanzamenti della conoscenza, che una sinistra degna di questo nome dovrebbe saper promuovere, e i cui benefici dovrebbe diffondere in modo egualitario, affinché la dignità della persona venga sempre rispettata? Difficile dirlo. A sinistra, molti so-


14  Essere di sinistra oggi no sedotti dal pensiero New Age e dalle suggestioni mistiche orientali e, di conseguenza, hanno una visione antiscientifica della natura. Non abbiamo sentito il Partito democratico commentare il gesto, a mio modo di vedere, estremamente dignitoso di Lucio Magri di recarsi in Svizzera e abbandonare una vita per lui diventata intollerabile. Sul caso di Eluana Englaro l’opinione pubblica, più che la sinistra, ha fatto fronte all’offensiva oscurantista che la destra aveva messo in campo, benedetta dalla Chiesa e basata su una visione fondamentalista che ritiene l’embrione umano un’entità sacra su cui solo la teologia si può pronunciare. La sinistra è inefficiente e inefficace. Non sa gestire in maniera snella le proprie organizzazioni e non riesce a capire la necessità di far quadrare i conti. Questa è una critica perlopiù liberale, ma che purtroppo coglie nel segno. Recatevi a un evento gestito dalla sinistra e troverete immancabilmente file e disguidi (tranne forse alle Feste dell’Unità in Emilia Romagna). Cercare di far entrare nelle casse più soldi di quanti ne escano sembra andare contro l’etica radicata di molti. Quasi che fare le cose in perdita le rendesse più «di sinistra». Per i propri simpatizzanti, elettrici ed elettori la sinistra dovrebbe mostrare la stessa attenzione che un’azienda di successo ha per i propri consumatori, presenti e futuri. Deve uscire dall’idea che esistono militanti pronti a seguirla ovunque, per andare a cercare i consensi tra la classe media stipendiata e la classe creativa precaria. La sinistra deve cessare di essere statalista in economia, non per andare verso un libero mercato che non esiste, ma per favorire una società attiva di creatori e produttori in vista del bene comune (per riprendere il bello slogan delle primarie del centrosinistra). L’intervento pubblico deve essere facilitatore, offrire incentivi a comportamenti virtuosi e creativi. Non può più essere l’intervento di una ragione superiore, decisa da funzionari o pianificatori benevolenti. Gli obiettivi sociali e ambientali vanno scelti democraticamente, attraverso la ricerca continua del consenso delle persone e delle comunità interessate, e perseguiti con capacità professionale. La sinistra deve diventare (ri)creatrice di società. Il declino dei partiti e delle loro sezioni e l’ascesa dell’Arci, che oggi a Milano


Sinistra: essere o non essere  15 ha più iscritti del Pd, deve far riflettere. La sinistra funziona meglio quando è culturale. È più facile usare Blob (non a caso nato nel 1989) come elemento di riferimento per l’identità sinistrorsa che l’attuale bestiario politico italiano. Come si fa a credere al Pd o a Sel quando dicono «questo è giusto», «questo è sbagliato», «bisogna fare questo», «bisogna fare quello», se non è più chiara la fonte ideologica delle loro affermazioni e, soprattutto, se alla retorica di principio non seguono provvedimenti effettivi, come troppo spesso è accaduto? Il Pd è keynesiano? Sel è ecologista? Nessuno può dirlo con certezza. La Cgil difende i salari e i diritti dei lavoratori precari? I fatti dicono che difende soprattutto i pensionati e gli assunti con anzianità lavorativa. Negli ultimi decenni la sinistra ha promosso più l’uguaglianza corporativa dei suoi ceti sociali di riferimento che una vera uguaglianza delle opportunità, che da John Stuart Mill a John Rawls e Amartya Sen rappresenta il miglior distillato del pensiero politico liberale. Agitare il vessillo della meritocrazia come fanno i neoliberisti oggi, in assenza della rimozione degli ostacoli economici e sociali che impediscono alle persone che provengono da ambienti svantaggiati di competere ad armi pari con coloro che sono protetti da nepotismi, patrimoni, capitali culturali e finanziari, significa spacciare l’attuale elitismo come il prodotto di una selezione naturale di talenti. Si fa finta di ignorare che anche in una società tradizionalmente caratterizzata dalla mobilità ascendente come quella statunitense oggi si parli sempre più della riproduzione delle élite tramite il sistema universitario (chi non è Ivy League è escluso dalla corsa al vertice; proprio come è sempre avvenuto nella società inglese, dove se non sei andato a Eton e Oxbridge non farai mai parte della classe dirigente). La meritocrazia oggi semplicemente non esiste. Esiste una minoranza di ricchi che affronta la crisi senza problemi; il resto di noi, laureato e stipendiato, annaspa per non esser buttato fuori dalla classe media: un grande esercito di salariati sempre più in balìa della congiuntura internazionale e la moltitudine sofferente del precariato, fatto di giovani, donne, immigrati che arrancano tra un lavoro e l’altro, tra una disoccupazione e l’altra.


16  Essere di sinistra oggi La burocrazia sindacale confederale si è costituita negli anni settanta e resta ipertrofica da allora. Ma se nel decennio del conflitto operaio riusciva a conquistare aumenti salariali e riduzioni di orario per tutti, oggi giustifica la propria esistenza con una continua mediazione al ribasso delle condizioni retributive e di lavoro nelle trattative con il potere statale e aziendale. Solo la Fiom mantiene un profilo conflittuale, e per questo è sconfessata dai sindacati moderati (Cisl, Uil) e perseguitata dall’ala oltranzista degli imprenditori italiani capeggiata da Sergio Marchionne. Di conseguenza, è cresciuto fortemente il sindacalismo di base, soprattutto nell’impiego pubblico, e oggi la sua organizzazione più grande, l’Unione sindacale di base (Usb), è competitiva in molti settori (vedi, per esempio, la sanità lombarda) con il sindacalismo confederale, che di concertazione in concertazione ha portato i salari ai livelli più bassi dell’eurozona. Ci vuole una nuova legge sulla rappresentanza sindacale che consenta ai lavoratori di scegliere liberamente i propri delegati, in base a chi ritengono faccia meglio i loro interessi, senza quote garantite per la triplice sindacale. La sinistra è ipocrita. C’è un episodio del Giornalino di Gian Burrasca in cui, per festeggiare il Primo maggio non ancora riconosciuto, il figlio del pasticciere socialista cede al suggerimento dei compagni più poveri di aprire la bottega e ridistribuire le paste alla classe intera che ha marinato la scuola (su questo i figli di liberali e socialisti sono in totale accordo, al contrario dei genitori aspramente divisi sulla questione). Il pasticciere, per giunta consigliere comunale, furibondo, torna dal comizio in piazza, vede la pasticceria svaligiata e punisce il figlio. Purtroppo, l’ipocrisia della sinistra italiana ha fatto passi da gigante nel primo xxi secolo rispetto al tardo xix secolo. Chi ha lavorato per una persona di sinistra lo sa bene. Quelli di sinistra possono essere i peggiori datori di lavoro. E spesso si offendono se gli ricordi che devono onorare gli impegni presi. Lo vedono come un tradimento personale, invece che una normale vertenza di lavoro. Come se essere di sinistra li rendesse capi o principali migliori degli altri. Eppure, i contenziosi di lavoro contro organizzazioni e giornali


Sinistra: essere o non essere  17 di sinistra non si contano. Se la sinistra vuole essere credibile, deve razzolare come predica. E chi si dice di sinistra deve comportarsi meglio degli altri in quelle aree che le sono proprie: lavoro, dignità, diritti, solidarietà. I radical chic che pagano le loro colf 8 euro l’ora senza regolarizzazione non sono di sinistra. Essere di sinistra non è né una tradizione né un vezzo: è un dovere, verso sé stessi e gli altri. La sinistra è vecchia, non solo da un punto di vista culturale, ma soprattutto anagrafico. Malgrado l’antipatia che molti hanno provato per Matteo Renzi, senza dubbio il tema dell’antigerontocrazia che il sindaco di Firenze ha posto è urgentissimo. La sua candidatura ha già pensionato Walter Veltroni e Massimo D’Alema, le cui ripetute sconfitte non erano mai state punite. L’Italia è la società più bloccata e invecchiata al mondo, e in politica, come in economia, dominano maschi bianchi, anziani persino in base alla nuova e più tarda età pensionabile. Nella sinistra retrovedente domina ancora la generazione sessantottarda formatasi nel decennio successivo. Neppure dopo la Waterloo elettorale del 2008 si è riusciti ad avviare un ricambio generazionale. Il Pd resta un partito over 50 e a sinistra ci sono più vecchi che a destra. La sinistra non può appartenere ai pensionati: deve dimostrarsi più forte tra i giovani degli avversari politici a destra e al centro o non ha speranza di esistere nel futuro prossimo. La sinistra è in preda a perenni lotte intestine, e questa è una costante della sua storia. Sin dalle feroci liti tra socialisti e anarchici durante la Prima e la Seconda Internazionale – passando per la rivalità tra socialdemocratici e comunisti durante la Guerra fredda, per il conflitto tra studenti radicali e sinistra istituzionale sui due lati della Cortina di ferro nel 1968, per la guerra tra autonomi e Pci-Cgil nel 1977, alla lotta tra Craxi e Berlinguer nei primi ottanta, fino ai due governi Prodi, caduti entrambi a causa del fuoco amico della sinistra cosiddetta radicale (invero, assai moderata sui banchi del governo) – la storia della gauche/left/Linke/izquierda è intessuta di tradimenti, scissioni, scomuniche, epurazioni, violenti conflitti, a volte sfociati in vere e proprie guerre civili, come in Germania nel 1918-1919 fra gli spartachisti di Rosa Luxemburg e i socialdemocratici di Ebert, o nel-


18  Essere di sinistra oggi la Spagna del biennio 1936-1937, quando, a Barcellona, gli stalinisti consumarono l’eccidio dei quadri anarchici e trotskisti che avevano difeso con successo la Catalogna e Madrid dalle armate fasciste del golpista Franco, nella prima fase della guerra civile spagnola. Storicamente, e la storia continua anche oggi, la sinistra oscilla fra massimalismo utopista e minimalismo subalterno, tra slanci rivoluzionari e timidezze moderate: insomma, è schizofrenica. O vuole tutto o vuole meno di quello che si potrebbe ottenere. Le conquiste di sinistra, come i diritti dei lavoratori, l’emancipazione femminile, la legislazione ambientale, sono state ottenute solo grazie a grandi movimenti di massa che l’azione parlamentare (e giudiziaria) della sinistra ha saputo trasformare in istituzioni permanenti, modificabili dalla parte avversa solo in circostanze eccezionali. Da una parte la sinistra italiana è assalto al cielo continuo, dalle barricate indignate dei movimenti studenteschi ai no global e no Tav; dall’altra, è continuo compromesso al ribasso pur di spartirsi cariche e poltrone. È con la complicità dei governi di centrosinistra che si è legalizzato il precariato, che si è intervenuti in guerre dall’esito incerto, che si è lasciata andare in malora la scuola pubblica. La sinistra riformista italiana è caduta vittima dell’incantesimo neoliberista del mercato a ogni costo e ancora oggi fatica a risvegliarsene. Essere di sinistra significa pensare il futuro per cambiare il mondo, e non custodire la memoria di un passato glorioso perché rivoluzionario. Vuole dire partecipare alla rivoluzione democratica in atto che sta delegittimando partiti e parlamenti. Non basta sognare un mondo migliore, bisogna saper trasformare gli ideali in azione di cambiamento per una società più eco, più equa, più solidale, più democratica. Significa essere orientati a cogliere le opportunità che le innovazioni culturali, scientifiche e politiche dischiudono a chi si batte per libertà, uguaglianza, solidarietà, ecologia. Le tradizioni della sinistra (statalismo, sindacalismo, socialismo, comunismo, terzomondismo) bloccano oggi il suo rinnovamento; sono l’ostacolo della conservazione intellettuale e politica, da rimuovere per poter pensare l’uscita dalla crisi economica e abbattere lo strapotere dei mercati finanziari, così da facilitare la crescita di una società vi-


Sinistra: essere o non essere  19 vibile e progettare un’economia sostenibile per il pianeta e le comunità urbane che lo affollano.

La sinistra che viene C’era una volta la sinistra italiana, quella di Malatesta, di Nenni e di Togliatti. Anarchica, socialista, comunista. E, al suo interno, tante sinistre diverse: ingraiana, amendoliana, extraparlamentare, autonoma, femminista, ecologista, radicale ecc. Oggi la sinistra non c’è più. C’è nei movimenti. C’è nella società. Ma non c’è nella politica. Resta la sinistra diffusa, quella che si mobilita nelle manifestazioni e sui social network; restano i suoi attivisti e i suoi intellettuali, le sue discussioni e i suoi media (il manifesto, l’Unità, MicroMega, Radio Popolare, Lettera 43, per fare qualche nome). Se dal 2008 la sinistra italiana è scomparsa dal Parlamento (non avveniva da quando Andrea Costa fu eletto primo deputato socialista del Regno d’Italia), è proprio perché i suoi gruppi parlamentari (verdi e rossi), e soprattutto i suoi ministri nel governo Prodi ii erano riusciti a mortificare le aspirazioni del proprio popolo, in primis le aspettative del movimento no global per la pace al quale esplicitamente si richiamavano: molti, delusi, tornarono all’astensione oppure votarono Pd, nell’esile speranza di non veder tornare Silvio Berlusconi, che avrebbe realizzato il governo più di destra della storia repubblicana – i terribili anni fra il 2008 e il 2011 in cui clericalismo, leghismo, fascismo e soprattutto cosche di ogni tipo spadroneggiarono in Italia. Gli artefici della fallimentare Sinistra arcobaleno del 2008 compirono un’operazione di pura conservazione di un ceto politico ormai screditato. Non possono incolpare la «vocazione maggioritaria» del Pd di Veltroni per l’autoevaporazione della sinistra da Montecitorio. È l’intera generazione di quadri formatisi nella sinistra extraparlamentare degli anni settanta – che ha fallito due volte, nel 1998 e nel 2008 – ad averci portato alla scomparsa della sinistra dal Parlamento, e perciò deve essere rottamata senza pietà, al pari dei vecchi esponenti del Pci e della Dc che ancora sopravvivono nel Pd.


20  Essere di sinistra oggi Dalle ceneri del 2008 è sorto Sinistra ecologia libertà, il partito guidato da Nichi Vendola, comunista, cattolico, gay dichiarato, governatore della Puglia dal 2005 (grazie alle prime primarie in assoluto in Italia). Sel è l’offerta di sinistra ancora disponibile nel mercato politico italiano terremotato dall’irruzione prima del Movimento 5 Stelle e poi della lista Ingroia. Sel rimane ostaggio della leadership carismatica di Vendola, che sembra determinato a legare a doppio filo la sua organizzazione ai destini di governo del Pd. Senza Vendola non c’è Sel. Ma è altrettanto vero il sillogismo che senza Sel autonoma dal Pd non esiste più una sinistra politica che vada oltre la testimonianza. Al pari di Pd e comunisti sopravvissuti all’ennesima scissione, Sel è pesantemente legata al passato berlingueriano, e nella sua struttura politica abbondano quadri di Pci e Democrazia proletaria provenienti dalla vecchia nuova sinistra degli anni settanta, desiderosi di riciclarsi, portatori della vecchia mentalità leninista da centralismo democratico e di quel tipico conservatorismo intellettuale che la cultura comunista ha istillato nei suoi militanti. Ma, soprattutto, il termine che più mi sta a cuore, «ecologia», è un’aggiunta concettuale per togliere mercato elettorale agli esangui Verdi più che un’adesione convinta al paradigma ecologista. E Sel sembra preoccuparsi più della Fiom che dei precari… C’è, inoltre, un popolo proveniente dalla sinistra che legge il Fatto Quotidiano e vota Movimento 5 Stelle. Che crede che tutta la politica sia irrimediabilmente corrotta e che, una volta fatta fuori la casta, in Italia torneranno democrazia e buongoverno. Quello dei pentastellari è un movimento dal basso che però ha deciso di sottomettersi a un altro capo carismatico, il Grillo urlante che sembra il sosia del predicatore televisivo di Quinto potere. Anche Sel risente della sindrome del leader carismatico e avrà un futuro solo se i giovani dirigenti lanciati da Nichi Vendola sapranno costruire un’organizzazione politica egualitarista, ecologista, libertaria che sappia andare oltre la sua leadership. Al momento, pare difficile crederlo. La sinistra ha dato un contributo fondamentale per porre fine al «regime», sconfiggendo Berlusconi in casa, a Milano, con il movimen-


Sinistra: essere o non essere  21 to arancione che ha portato Pisapia a Palazzo Marino. Il centrosinistra regionale ora ha il compito di far dimenticare Filippo Penati per candidarsi a rimpiazzare Roberto Formigoni, il quale dal 1995 al 2012 ha governato la regione più ricca d’Italia con quello che si è rivelato un regime clientelare (vista anche la lunga permanenza al potere) aperto alle infiltrazioni della ’ndrangheta. Le somme per cui è indagato, insieme al faccendiere Daccò e al suo ex assessore alla Sanità Antonio Simone (entrambi ciellini come lui e già in carcere), sono ben maggiori di quelle che hanno costretto Renata Polverini a dimettersi nel Lazio. Nelle regioni che ospitano le due uniche metropoli italiane, così come in tutto il paese, c’è la concreta possibilità di disarcionare la destra fallimentare e corrotta alle elezioni imminenti, sempre che i montiani non ci complichino la vita. Ma il problema più grande è che i partiti di sinistra oggi non sono in grado di interpretare il sentimento di sinistra diffuso nella società italiana. Non sapendo interpretare quella domanda, sono incapaci (e a volte indegni) di rappresentarla. Per la sinistra italiana, la priorità numero uno deve essere seppellire le destre sessiste, mafiose e razziste. La priorità numero due dovrebbe essere impedire il ritorno al rigore montiano che ha oppresso la società e depresso l’economia, e quindi cercare di stoppare il disegno cattomoderato del fronte elettorale di Monti. La priorità numero tre è ringiovanire i suoi esponenti contro chi vuole la sopravvivenza degli apparati del passato. La generazione della prima Repubblica ha schiacciato la seconda Repubblica, e rischia di fare lo stesso anche con la terza che uscirà dalle urne 2013. Ci vuole una successione generazionale, ci vogliono giovani di sinistra che non siano portaborse della generazione precedente, ma che siano in grado di guardare al mondo per come è: informazionale, multipolare, agitato dai conflitti di genere tanto quanto da quelli di classe, travagliato dalla questione ecologica come dalla questione sociale. Lo stato della sinistra italiana è insomma disperante. Priva di un orizzonte ideale e di un progetto di società, brancola nel buio dell’austerità che ricade principalmente sui suoi ceti sociali di riferimento: operai, impiegati, pensionati, dipendenti pubblici. I precari, nessuno li rappresenta, salvo invocarli per giustificare sacrifici


22  Essere di sinistra oggi sociali, senza che alcuna garanzia o protezione aggiuntiva venga loro riconosciuta. Il Partito democratico è una creatura bifida, che vorrebbe eternizzare il compromesso storico cattocomunista di Moro e Berlinguer. Lo stallo tra le due componenti principali non riesce a difendere né la società né i diritti. Il partito ha dovuto appoggiare Mario Monti, l’unico che ci ha potuto rappresentare in Europa senza rischiare il ridicolo e l’ira dei mercati finanziari, perché ha destituito il despota che cento manifestazioni di massa non erano riuscite a scalzare. Monti ha però commesso un errore esiziale, giocandosi la credibilità personale, schierandosi con Casini, Fini e Montezemolo (quest’ultimo da dieci anni dichiara di voler scendere in campo, salvo poi ripensarci ogni volta, perché in politica, diversamente che in economia, i ricchi perdono spesso e volentieri). Se deve guardarsi dal centrismo, al contempo la sinistra deve rassicurare la sua base sociale di riferimento massacrata dalla crisi. Tenere insieme i due interessi opposti, quelli della società e quelli della finanza, va oltre la capacità di mediazione di qualunque forza politica, a maggior ragione del Pd. Ben venga, quindi, lo spostamento verso una politica socialdemocratica che si è compiuto dopo la vittoria di Bersani alle primarie per la candidatura a presidente del Consiglio, in tandem con Vendola, soprattutto dopo la scelta poco razionale e poco civica di Monti. La Cgil, il più grande sindacato italiano, è sulla difensiva. La Fiom lo è anche di più, presa di mira dagli attacchi e dalle delocalizzazioni antisindacali di Marchionne, ma la sua vocazione conflittuale la rende più agile e reattiva in un’epoca fluida come quella attuale. Imputata di ideologia anticapitalista superata dai tempi della globalizzazione manifatturiera, ha come segretario Maurizio Landini, che è stato invece l’unico ad averla vista giusta sull’intenzione della Fiat di disinvestire dall’Italia, con la tipica ingratitudine degli Agnelli-Elkann per il paese che li ha resi grandi: lo stato italiano ha sempre garantito limitazioni della concorrenza e versato sussidi pubblici enormi all’azienda di Torino che oggi ha la testa rivolta a Detroit. Landini è difficile da dipingere come un comunista rabbioso: è il classico emiliano pragmatista, pronto a trattare, ma non disposto a cedere di un millimetro sulla dignità


Sinistra: essere o non essere  23 degli operai. Nell’affaire dell’Ilva di Taranto ha avuto il coraggio di schierarsi dalla parte dell’ambiente e della salute, malgrado gli enormi rischi occupazionali che le inadempienze della famiglia Riva e il forse eccessivo protagonismo della magistratura hanno fatto sorgere. Pier Luigi Bersani, anche lui emiliano e legato al mondo dei distretti industriali del Centronord, uomo onesto e diretto, dopo aver flirtato al centro con Casini (come voleva D’Alema), ha capito che il popolo democratico ha istinti di sinistra e guardava con simpatia all’alleanza con Vendola. Ha quindi stretto un patto d’acciaio con Nichi, mentre Di Pietro ha fatto harakiri dopo che la gestione familista del partito da lui fondato è stata esposta in televisione (ora è stato recuperato in secondo piano da Ingroia). A ogni modo, la sinistra deve vincere le elezioni contro Monti e Berlusconi e seppellire la destra per una decina di anni. Siamo ancora qui a temere Mr B., mentre il Pdl è in crollo di consensi e la Lega è a rischio sconfitta in Lombardia, dopo che si è dimostrato un partito più uguale degli altri. Ma nella Grande Recessione che mette a repentaglio l’Europa, se la sinistra vince le elezioni, le vince per fare che cosa? Forse per ripetere le esperienze degli anni 1996-2001 o 20062008, quando il centrosinistra cedette per due volte il passo alla destra, dilaniato dall’ambizione di D’Alema, dal rigorismo di Prodi, dal velleitarismo di Veltroni, dal movimentismo a corrente alternata di Bertinotti, dall’inconsistenza degli ambientalisti, dal veto dei cattolici? Dal novembre 2011 al dicembre 2012 siamo stati governati da un tecnocrate ben visto dalla finanza internazionale, pardon, da quell’astrazione chiamata «mercati finanziari» a cui volontariamente scegliamo di assoggettare le sorti della nostra economia. Gli stessi mercati finanziari che, affondando il debito italiano, con il beneplacito di Germania e Francia hanno fatto dimissionare Berlusconi dal presidente Napolitano. Il ritorno dei liberali (e liberisti) al potere è stato salutato come un grande progresso sia dal Corriere della Sera, sia da la Repubblica (che oggi si trovano su due fronti opposti: il primo fa la cheerleader per Monti, il secondo lo avversa e fa il tifo sfegatato per Bersani), perché poneva fine a quasi vent’anni di regime reazionario fondato sul controllo dei media broadcast che ha preci-


24  Essere di sinistra oggi pitato l’Italia nella decadenza intellettuale, morale, civile. No, il conducator sessuomane in odore di mafia non ritornerà più al potere. Non appartiene agli anni dieci. Sarà l’ultimo a rendersene conto. Purtroppo, nei vent’anni in cui il populismo reazionario di Berlusconi ha condizionato la politica italiana, le tre mafie che dominano il Sud della penisola si sono saldamente insediate anche al Nord, monopolizzando appalti e infiltrandosi nella pubblica amministrazione, soprattutto in Lombardia, grazie all’ambiente opaco favorito dagli amministratori leghisti e ciellini. La questione mafiosa è la questione nazionale per eccellenza. La procura di Palermo è convinta che per diventare finalmente una democrazia «normale» bisogna colpire la complicità e la connivenza tra i settori dello stato e le mafie. Personalmente, voto Sel ma sto dalla parte di Ingroia, l’erede di Falcone e Borsellino. La sinistra, che tante vittime ha lasciato sul campo per mano mafiosa (ricordiamo Pio La Torre, Antonio Di Salvo, Peppino Impastato, solo per fare tre nomi), non può che stare sempre e comunque dalla parte dell’antimafia. Non ci può essere democrazia in un paese dove, in una grande città quale è Milano, una donna collaboratrice di giustizia come Lea Garofalo può essere sequestrata, torturata e assassinata dal marito ’ndranghetoso e dai suoi complici. Purtroppo, la deregulation finanziaria ha enormemente aumentato la capacità di riciclaggio dei proventi del crimine organizzato in Italia e nel mondo (e mafia, camorra, ’ndrangheta fanno affari sempre più grossi con la mafia russa, la mafia cinese, i cartelli latinoamericani del narcotraffico). Il Pil criminale è ormai sempre più vicino a eguagliare il Pil reale. Oggi, liberati per sempre, si spera, dagli obbrobri di un regime populista, misogino, xenofobo, oscurantista, diciamo «Monti-non più Monti», nel senso che uno basta e avanza. Si comprende l’entusiasmo dei moderati per lui, ma il liberalismo è sempre stato e sarà avversario della sinistra. La politica del rigore e dell’austerità ha fatto sì che la paura e l’angoscia si diffondessero a ritmo galoppante: neanche i dipendenti pubblici, quelli che guadagnavano poco ma almeno avevano il posto sicuro, sono al riparo. La disoccupazione e la precarietà sono salite alle stelle. Le tasse universitarie aumentano e


Sinistra: essere o non essere  25 gli sbocchi della laurea diminuiscono, si tagliano i fondi per la ricerca e l’edilizia scolastica è in stato di abbandono. La riforma del lavoro e delle pensioni è stata fatta contro la Cgil in nome dei giovani precari, cui pure non è stato concesso nulla nell’immediato in termini di welfare e sollievo dagli effetti negativi della crisi. A questo punto, porsi a sinistra significa dire che la politica economica del governo tecnocratico finisce con le elezioni, e che è necessaria una politica di segno socialmente opposto. Non so se gli esponenti del Pd e di Sel siano all’altezza della sfida contro la perpetuazione della visione finanziaria del capitalismo, ma servono comunque forti movimenti nella società italiana che li spingano in tale direzione. L’indignazione euroamericana del biennio 2011-2012 per la corruzione e l’incompetenza totali del modello di capitalismo al potere da trent’anni deve estendersi ad ampi strati della popolazione, come in parte già sta avvenendo, perché la delegittimazione della politica ufficiale dinanzi all’iniquità della crisi ha raggiunto il suo massimo. La richiesta di partecipazione egualitaria, di democrazia reale, sta dando vita a una miriade di iniziative di autorganizzazione politica e sociale che sono qui per restare. Per l’uguaglianza, per l’ecologia, per la libertà di pensare e di fare, invece che di speculare e sfruttare. Questo chiedono i movimenti attuali, e le istituzioni dovranno essere riformate dalla sinistra per venire incontro alle loro richieste, invece di mobilitare una ferrea repressione contro i giovani in piazza, come sta avvenendo in tutto l’occidente. Solo la dialettica tra governo e piazza può dare vita a una politica di sinistra. Il governo di centrosinistra che probabilmente si insedierà dopo le elezioni farà la fine dei governi Prodi se non ascolterà le richieste del suo popolo. Un potere di sinistra in un sistema democratico deve saper negoziare con i movimenti, non chiamare i precari «bamboccioni», non mandare la celere contro gli studenti, non fare del bilancio statale un feticcio e del timore dell’opinione moderata il suo timone di governo. Se ignora o, peggio, reprime le istanze dei movimenti, la sinistra è finita.


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