Valutazioni comparative sull'involucro edilizio mediante Life Cycle Assessment

POLITECNICO DI BARI Dipartimento di Scienze dell'Ingegneria Civile e dell'Architettura DICAR CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA EDILEARCHITETTURA ____________________________________________________________ TESI DI LAUREA IN ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE + LAB.

VALUTAZIONI COMPARATIVE SULL'INVOLUCRO EDILIZIO MEDIANTE LIFE CYCLE ASSESSMENT

Relatore: Chiar. mo Prof. Ing. Guido Raffaele Dell'Osso Correlatore: Dott. Ing. Carmine Cavalliere Laureando: Ruggiero Ciniero ______________________________________________________________________ Anno accademico 2016-2017

I

Indice

INDICE ........................................................................................................................... II INTRODUZIONE ........................................................................................................... 1 CAPITOLO I LO SVILUPPO SOSTENIBILE.......................................................... 2 1.1 VERSO LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE .................................................. 2 1.2 L.P.I. E L'IMPRONTA ECOLOGICA DEI CONSUMI ....................................... 6 1.2.1

Living Planet Index ....................................................................................... 6

1.2.2

La resilienza e l'impronta ecologica dei consumi ........................................ 6

1.3 I TRE PILASTRI DELLA SOSTENIBILITÀ ...................................................... 8 1.4 SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE VS ECONOMIA NEL SETTORE DELLE COSTRUZIONI .......................................................................................................... 10 1.4.1

Impatto delle costruzioni sull’ambiente ...................................................... 10

1.4.2

L'uso del suolo ............................................................................................ 11

1.4.3

Il mercato delle costruzioni ........................................................................ 14

1.4.4

L'Italia e il Nuovo Codice degli Appalti ..................................................... 16

1.5 PROSPETTIVE FUTURE .................................................................................. 16 CAPITOLO II METODI DI VALUTAZIONE AMBIENTALE ............................. 18 2.1 METODI DI VALUTAZIONE A PUNTEGGIO ............................................... 18 2.1.1

I metodi di valutazione a punteggio in ambito internazionale ................... 19

2.1.2

Il caso italiano: Il protocollo ITACA .......................................................... 26

2.2 METODI DI VALUTAZIONE QUANTITATIVI: GLI ECO-BILANCI .......... 29 CAPITOLO III LIFE CYCLE ASSESSMENT......................................................... 31 3.1 INTRODUZIONE ALLA METODOLOGIA ..................................................... 31 3.1.1

Storia e sviluppo della metodologia ........................................................... 31

3.1.2

Potenzialità di un approccio LCA .............................................................. 32

3.2 QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO ................................................. 34 3.2.1

Il nuovo codice degli Appalti e LCA ........................................................... 36

3.3 LE ETICHETTATURE ECOLOGICHE ............................................................ 37 3.4 LE FASI DELLA METODOLOGIA LCA ......................................................... 42 II

3.4.1

Definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione .............................. 42

3.4.2

Analisi di inventario (LCI) .......................................................................... 50

3.4.3

Valutazione dell’impatto del ciclo di vita (LCIA) ....................................... 53

3.4.4

Interpretazione del ciclo di vita .................................................................. 56

3.5 IL METODO LCA IN EDILIZIA ....................................................................... 57 3.5.1

Il processo edilizio ...................................................................................... 58

3.5.2

Le fasi di vita dell'edificio ........................................................................... 60

CAPITOLO IV IL CASO DI STUDIO....................................................................... 62 4.1 INTRODUZIONE .............................................................................................. 62 4.1.1

Il software Simapro ..................................................................................... 62

4.2 CASO DI STUDIO ............................................................................................. 64 4.2.1

Cappotto esterno con supporto in laterizio ................................................ 65

4.2.2

Cappotto esterno con supporto in calcestruzzo autoclavato ...................... 67

4.2.3

Posa in opera del sistema a cappotto ......................................................... 69

4.3 ASSERZIONE COMPARATIVA DELLE DUE SOLUZIONI TECNOLOGICHE A CAPPOTTO MEDIANTE LCA .............................................. 74 4.3.1

Definizione degli obiettivi e del campo di applicazione ............................. 74

4.3.2

Analisi d'inventario ..................................................................................... 77

4.3.3

Valutazione degli impatti .......................................................................... 102

4.3.4

Interpretazione dei risultati ...................................................................... 139

CONCLUSIONI .......................................................................................................... 142 ALLEGATI ................................................................................................................. 146 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA .......................................................................... 151

III

INTRODUZIONE La transizione dell’edilizia residenziale verso migliori standard di sostenibilità ambientale nasce non solo come risposta alla domanda di edifici più confortevoli e più salubri, ma soprattutto da un processo di sensibilità e maturata coscienza di ciò che sta avvenendo al nostro pianeta in termini di impatto ambientale. Ci sono processi ormai in atto da decenni di surriscaldamento globale e impoverimento delle risorse, che impongono un cambio di rotta, verso obiettivi di mitigazione degli impatti e di risparmio delle risorse energetiche e materiali.

Il settore edilizio è ritenuto tra i principali settori a maggior criticità ambientale caratterizzato dal perseguimento di una ricerca tecnico-industriale esasperata che in nome della sostenibilità propone soluzioni la cui compatibilità con l’ambiente in termini di risorse impiegate, loro uso e dismissione è tutta da verificare.

Una prospettiva orientata alla verifica ed alla valutazione delle criticità che caratterizzano quest’ambito, può essere perseguita attraverso la valutazione del ciclo di vita di un edificio e dei prodotti che lo costituiscono; a questo scopo la metodologia Life Cycle Assessment (LCA) basata sugli standard ISO 14040 può fornire una risposta concreta a questo tipo di problema.

Il presente studio permette di indagare, attraverso l’applicazione della metodologia LCA, le variabili di progetto responsabili del livello di sostenibilità di alcuni sub-sistemi tecnologici, attraverso la comparazione di due soluzioni tecniche differenti, al fine di trarre delle considerazioni importanti per orientare le scelte.

Si partirà dal primo capitolo seguendo un percorso conoscitivo e di acquisizione dei temi ambientali, che sono fondamentali per focalizzare il problema, per poi entrare nel merito della metodologia seguendo i dettami della normativa di riferimento e capirne le potenzialità dell’applicazione al settore delle costruzioni, per poi passare all’esperienza relativa al caso di studio.

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CAPITOLO I

LO SVILUPPO SOSTENIBILE 1.1

VERSO LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

Il concetto di “sviluppo sostenibile” viene utilizzato per la prima volta all’interno del Rapporto Brundtland dal titolo “Il futuro di noi tutti” (Our Common Future), redatto nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (World Commission on Environment and Development), nota come Commissione Brundtland (dal nome della sua presidente norvegese, Gro Harlem Brundtland), che aveva indagato la situazione ambientale su scala planetaria dal 1983 al 1987. Tale interesse era nato a seguito della constatazione dei cambiamenti che si stavano verificando in atmosfera, in acqua, sul suolo, su piante e animali, e in generale nella natura, a causa dell’interferenza ed espansione delle attività umane a seguito della rivoluzione industriale. Nel Rapporto vengono messi in evidenza i problemi e le “sfide collettive”: la crescita demografica, l’approvvigionamento alimentare, la tutela della diversità delle specie, l’esaurimento delle fonti energetiche, gli impatti dello sviluppo industriale, la crescita urbana. La risposta a tutti questi problemi viene indicata nel cosiddetto “sviluppo sostenibile”: con questo termine si intende la volontà di garantire lo sviluppo della società e il benessere delle persone ponendo come ‘limite’ la capacità dell’ambiente di sostenere tale sviluppo. Non si tratta dunque di un approccio che condanna l’attuale condizione industriale: molti bisogni umani primari possono infatti essere soddisfatti solo da beni e servizi forniti dall’industria e il benessere delle persone deve essere comunque obiettivo primario. Semplicemente si sottolinea come l’attuale modello di sviluppo sia completamente avulso da quantificazioni sui consumi generati e inquinamento prodotti, mentre l’ambiente sta dimostrando di non essere in grado di fornire risorse e assorbire i rifiuti al ritmo di produzione e consumo attuale.

Due parole chiave permeano il Rapporto Brundtland: globalità e sostenibilità. Globalità fa riferimento al fatto che il problema ambientale deve essere affrontato in maniera intersettoriale, internazionale e intergenerazionale: ambiente e sviluppo infatti non sono due “settori” differenti, ma costituiscono un fenomeno globale unico. Inoltre i problemi ambientali travalicano i ‘confini’: l’inquinamento, le piogge acide, la distruzione della fascia d’ozono, l’effetto serra vanno oltre i confini dei singoli stati. Molti fattori di inquinamento non rimangono contenuti nell’ambito di chi li provoca: per esempio metà dell’anidride

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solforosa delle città olandesi proviene, a causa dei venti, dalla Ruhr e dal Regno Unito (Diappi, 2000). Sostenibilità fa riferimento alla “capacità di carico” dell’ambiente (carrying capacity), ossia alla capacità da parte dell’ambiente di fornire risorse e di assorbire i rifiuti prodotti dall’attività umana. Il nostro ecosistema non regge più gli attuali ritmi di uso e consumo. Sviluppo sostenibile significa allora modificare i modelli di produzione e consumo, promuovere l’ecoefficienza, rinunciare allo sfruttamento di risorse non-rinnovabili, eliminare gli inquinanti, valorizzare i rifiuti attraverso il riutilizzo, arrestare l’erosione della biodiversità, fermare la desertificazione. Il tema della sostenibilità investe dunque diverse scale: la scala del territorio, la scala urbana, la scala dell’edificio, la scala del componente edilizio. Proprio per la sua multiscalarità e multidisciplinarità, il tema della sostenibilità richiede diversi criteri di giudizio e di raccolta delle informazioni a supporto delle decisioni, rendendo difficile l’identificazione di un metodo univoco che guidi nelle scelte: vengono per questo preferiti approcci di valutazione multicriteri, che permettono una decisione aperta e partecipata, spesso politica. Gli anni Novanta sono stati il periodo in cui si è seriamente cominciato a occuparsi dell’ambiente. Il concetto di “sviluppo sostenibile”, introdotto dal Rapporto Brundtland, viene ripreso in occasione della Conferenza mondiale dell’ambiente e dello sviluppo (United Nations Conference on Environment and Development), denominato “Vertice della terra” (Earth Summit), tenutosi a Rio De Janeiro nel giugno 1992, dove le nazioni partecipanti, oltre alla trattazione dei grandi problemi ambientali, quali la desertificazione, il cambiamento climatico del globo e la biodiversità, sottoscrissero in convenzione un “Piano di azione per la realizzazione dello sviluppo sostenibile proiettato nel XXI secolo”, chiamato Agenda 21, riferimento fondamentale per le politiche e le iniziative volte alla sostenibilità dello sviluppo nel 21° secolo. Mentre gli "Earth Summits" (di cui l’ultimo è quello di Johannesburg del 2002), si occupano dei problemi ambientali a livello complessivo, una attenzione particolare viene destinata al problema dell’effetto serra, che sta alterando il comportamento climatico del nostro pianeta, producendo effetti visibili: Il buco nell’ozono, le piogge acide, la perdita di biodiversità e di specie animali e vegetali, il ritiro dei ghiacciai, la desertificazione sono alcuni degli effetti che ciascuno di noi può verificare. Poiché la causa diretta dei cambiamenti climatici sono le emissioni rilasciate dal consumo di fonti energetiche non rinnovabili, sta crescendo nelle varie nazioni la pressione per ridurre il consumo di carbone e gasolio, mentre crescono gli incentivi per l’adozione di tecnologie alternative.

Per contrastare e ridurre gli effetti negativi della produzione di gas serra è stata adottata a livello internazionale la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC_ 3

United Nations Framework Convention on Climate Change), sottoscritta a New York il 9 maggio 1992 da 154 paesi. La presenza di gas serra nell’atmosfera si è raddoppiata nell’ultimo secolo e rischia di triplicarsi nei prossimi cent’anni. Gli effetti immediati riscontrabili a seguito dell’aumento dell’effetto serra sono l’innalzamento della temperatura della superficie terrestre e l’aumento di fenomeni atmosferici calamitosi e di violenta intensità. Il risultato è quello che viene definito “surriscaldamento globale” (global warming) di 1,5-4,5°C nei prossimi 100 anni. Le conseguenze potrebbero essere cambiamenti nell’andamento dei venti e delle piogge, l’aumento di eventi calamitosi e l’innalzamento dei mari. Per questo la Convenzione è un importante risultato, poiché è stata sottoscritta da 154 nazioni nel 1992 e ratificata da altre 100 nei successivi due anni, entrando in vigore nel 1994. Il primo e finora unico strumento attuativo della Convenzione è il Protocollo di Kyoto, convenuto nel corso della terza Conferenza delle Parti tenutasi a Kyoto nel 14 dicembre 1997. I paesi firmatari della convenzione del 1992 approvarono un protocollo di intesa che comportava una serie di impegni che i paesi industrializzati avrebbero dovuto assumersi. In questa occasione viene attribuita una forte responsabilità all’inquinamento ambientale provocato dall’industria. I paesi industrializzati, responsabili di oltre il 70% delle emissioni, si impegnano a ridurre complessivamente del 5,2% le emissioni dei gas serra entro un periodo compreso tra il 2008 e il 2012. Per i paesi dell’Unione Europea nel loro insieme la riduzione deve essere dell’8%, per gli Stati Uniti del 7%, per il Giappone del 6%. La quota italiana prevista è del 6,5%, che nel frattempo è salita al 12% poiché in questi anni le nostre emissioni sono aumentate del 5,5%. Solo a settembre del 2004 la Russia ha ratificato il Protocollo, rendendolo finalmente operativo e portando la quota delle emissioni dei paesi che lo hanno ratificato dal 43% al 61%. Il Protocollo è entrato in vigore il 15 febbraio del 2005. Nel 2002 si svolse a Johannesburg il World Summit on Sustainable Development, che si concluse con l’approvazione della Johannesburg Declaration on Sustainable Development e del relativo Plan of Action. Si valutò l’operato dei Paesi firmatari e si definirono le linee di sviluppo future. Vennero confermati i principi dell’approccio precauzionale e delle responsabilità comuni, pur se differenziati tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Nel 2012 si è svolta la conferenza delle nazioni unite sullo sviluppo sostenibile Rio+20 con l’obiettivo di garantire un rinnovato impegno politico per lo sviluppo sostenibile, valutando i progressi ottenuti fino ad oggi e le lacune ancora esistenti per l’attuazione dei risultati dei principali vertici sullo sviluppo sostenibile ed affrontare i problemi futuri. La conferenza si è concentrata su due temi: un’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e l’eliminazione della 4

povertà. I sette problemi affrontati sono stati: la necessità di garantire posti di lavoro alla popolazione mondiale, la necessità di utilizzare energia rinnovabile ed a basso costo, lo sviluppo sostenibile delle città, il bisogno di produrre cibo a sufficienza per sfamare la popolazione, garantire il più possibile la reperibilità dell’acqua, la salvaguardia degli oceani e cercare di prevenire ed arginare i disastri ambientali oramai sempre più frequenti.

Si stima che al 31 ottobre 2011 il numero degli abitanti della Terra abbia raggiunto la soglia di sette miliardi. La popolazione mondiale è stata interessata da una crescita continua sin dalla fine della piaga della peste nera del XIV secolo; il tasso di crescita della popolazione mondiale raggiunse un picco del 2,19% nel 1963, nel 2008 si è quasi dimezzato. Superata la soglia dei 7 miliardi alla fine del 2011, l'ONU stima che nell'anno 2040 sul nostro pianeta ci saranno circa 9 miliardi di abitanti. A fronte dell’aumento demografico, degli impatti dello sviluppo industriale e dell’esauribilità delle fonti energetiche l’unica strada possibile da percorrere è lo sviluppo sostenibile che riconosce nel sistema ambiente i limiti entro cui contenere tale crescita. Posto dunque l’obiettivo di perseguire comunque la ricerca del benessere della società, la possibilità di “giocarsi” tale sviluppo deve avvenire necessariamente entro appunto, i confini posti dal sistema ambiente. Alla fine del 2015 è stato adottato da 195 Paesi l’Accordo di Parigi, il primo accordo climatico globale e vincolante che si pone l’ambizioso obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, impegnandosi a realizzare sforzi per limitarlo entro 1,5 °C. I Paesi adotteranno impegni graduali, attraverso la revisione ogni cinque anni degli impegni di riduzione nazionali, i cosiddetti Intended Nationally Determined Contributions (INDCs). L’accordo costituisce un chiaro segnale sia per gli operatori di mercato, rispetto al consolidamento di un processo di transizione già in atto, sia per i decisori politici, relativamente all’elaborazione delle strategie nazionali di decarbonizzazione da fornire entro il 2020. Già nel breve termine i Paesi dovranno incentivare l’innovazione infrastrutturale e tecnologica, supportando gli investimenti necessari al fine di potersi collocare su un percorso di decarbonizzazione di lungo periodo.

Fig. 1.1 Accordo di Parigi - Fonte: IEA, World Energy Outlook 2016

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1.2

L.P.I. E L'IMPRONTA ECOLOGICA DEI CONSUMI

1.2.1 Living Planet Index L’Indice del pianeta vivente (LPI - Living Planet Index) misura lo stato della biodiversità attraverso i dati sulle popolazioni di varie specie di vertebrati e calcolando una variazione media dell’abbondanza delle specie nel corso del tempo. L’LPI può essere paragonato all’indice del mercato azionario, solo che, invece di monitorare l’economia globale, costituisce un importante indicatore delle condizioni ecologiche del pianeta. L’LPI globale si basa su dati scientifici ottenuti da 14.152 popolazioni monitorate di 3.706 specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, pesci, anfibi, rettili) provenienti da tutto il mondo.

Fig. 1.2 Living Planet Index (LPI) - WWF Living Planet Report 2016

Dal 1970 al 2012, l’LPI globale mostra un calo complessivo del 58% dell’abbondanza delle popolazioni dei vertebrati. Le dimensioni delle popolazioni delle specie di vertebrati sono, in media, scese di oltre la metà in poco più di 40 anni. I dati mostrano un calo medio annuo del 2 per cento e non vi è ancora alcun segno che questo tasso possa diminuire. Le informazioni sulle minacce sono disponibili per circa un terzo delle popolazioni considerate dall’LPI (3.776 popolazioni). Oltre la metà di queste popolazioni (1.981) sono in calo. La minaccia più comune per le popolazioni in declino è la perdita ed il degrado dell’habitat (tra le cui cause c'è il trasporto, lo sviluppo residenziale o commerciale, la produzione di energia e lo sfruttamento minerario).

1.2.2 La resilienza e l'impronta ecologica dei consumi Nel corso della storia dell'uomo vi è stato un limite alla capacità della natura di assorbire l’impatto dello sviluppo umano. Nel passato, l’inquinamento ed altri tipi di pressione hanno portato principalmente al deterioramento degli ambienti naturali locali. Ma noi ora abbiamo messo a dura prova i limiti della resilienza naturale anche a livello planetario.

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La popolazione mondiale è cresciuta da circa 1,6 miliardi di persone nel 1900 all’odierna cifra di 7,3 miliardi. Durante questo periodo, le innovazioni tecnologiche e l’utilizzo delle energie fossili hanno contribuito a soddisfare la crescente domanda di risorse. In particolare, nei primi anni del 1900 fu sviluppato un metodo industriale per fissare l’azoto in ammoniaca. Adesso il fertilizzante sintetico che ne è derivato contribuisce al sostentamento di circa la metà della popolazione mondiale, ma provoca anche l’inquinamento di aria, acqua e suolo. I combustibili fossili immediatamente disponibili forniscono energia per uso domestico e per la produzione industriale, consentendo il commercio globale. Ma solo al costo di una crescente concentrazione di CO2 nell’atmosfera ed il conseguente riscaldamento globale.

Fig. 1.3 Impatto umano sul pianeta- WWF Living Planet report 2016

Nel corso del 2012, per fornire le risorse naturali ed i servizi che l’umanità ha consumato in quell’anno, è stata necessaria una biocapacità equivalente a 1,6 Terre. È possibile oltrepassare la biocapacità della Terra a tal punto solo per brevi periodi. Infatti solo per un breve periodo si possono tagliare gli alberi più velocemente del tempo necessario alla loro rigenerazione, pescare più pesce di quanto gli oceani possano ripristinare, o emettere più carbonio nell’atmosfera di quanto le foreste e gli oceani possano assorbire. Le conseguenze di questo “overshoot” (“sorpasso”) sono già evidenti: gli habitat e le popolazioni delle specie sono in declino, ed il carbonio nell’atmosfera si sta accumulando.

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Fig. 1.4 Componenti dell’Impronta Ecologica- WWF Living Planet Report 2016

Secondo i dati dell’Impronta Ecologica rilevati nel corso degli ultimi quattro decenni, i pochi casi di riduzione dell’impronta ecologica globale totale non corrispondono a politiche intenzionali volte a limitare l’impatto dell’umanità sulla natura. Piuttosto, sono stati l’effetto di una reazione a grandi crisi economiche, come la crisi petrolifera del 1973, la profonda recessione economica negli Stati Uniti ed in molti dei paesi dell’OCSE nel 1980-1982, e la recessione economica globale del 2008-2009. Inoltre, le riduzioni dell’Impronta Ecologica totale sono state solo temporanee e seguite da una rapida risalita.

1.3

I TRE PILASTRI DELLA SOSTENIBILITÀ

La sostenibilità è, dunque, da intendersi non come uno stato o una visione immutabile, ma piuttosto come un processo continuo, che richiama la necessità di coniugare le tre dimensioni fondamentali e inscindibili dello sviluppo: Ambientale, Economica e Sociale.

Fig. 1.5 Le dimensioni della sostenibilità dello sviluppo - Fonte: http://www.sogesid.it/sviluppo_sostenibile.html

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Sostenibilità ambientale: per sostenibilità ambientale si intende la capacità di preservare nel tempo le tre funzioni dell’ambiente: la funzione di fornitore di risorse, funzione di ricettore di rifiuti e la funzione di fonte diretta di utilità. All’interno

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di un sistema territoriale per sostenibilità ambientale si intende la capacità di valorizzare l’ambiente in quanto “elemento distintivo” del territorio, garantendo al contempo la tutela e il rinnovamento delle risorse naturali e del patrimonio; -

Sostenibilità economica: la sostenibilità economica può essere definita come la capacità di un sistema economico di generare una crescita duratura degli indicatori economici. In particolare, la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento delle popolazioni. All’interno di un sistema territoriale per sostenibilità economica si intende la capacità di produrre e mantenere all’interno del territorio il massimo del valore aggiunto combinando efficacemente le risorse, al fine di valorizzare la specificità dei prodotti e dei servizi territoriali;

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Sostenibilità sociale: la sostenibilità sociale può essere definita come la capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi e per genere. All’interno di un sistema territoriale per sostenibilità sociale si intende la capacità dei soggetti di intervenire insieme, efficacemente, in base ad una stessa concezione del progetto, incoraggiata da una concertazione fra i vari livelli istituzionali

Il settore delle costruzioni si sta muovendo in questa direzione e sta quindi affrontando nuove sfide. I costi devono essere ridotti, mentre il livello di qualità deve essere aumentato. Inoltre devono essere raggiunte ulteriori richieste come la riduzione dell'energia e del consumo delle risorse. In generale la sostenibilità è descritta come un tema basato sugli aspetti ambientali, sociali ed economici. Idealmente ci dovrebbe essere un equilibrio tra questi tre pilastri: una costruzione sostenibile dovrebbe avere il più basso impatto ambientale unendo un alto livello di sviluppo economico e sociale.

Fig. 1.6 Le interconnessioni tra le dimensioni della sostenibilità dello sviluppo - Fonte: http://www.sogesid.it/sviluppo_sostenibile.html

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1.4

SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE VS ECONOMIA NEL SETTORE DELLE COSTRUZIONI

1.4.1 Impatto delle costruzioni sull’ambiente Il tema della sostenibilità ambientale, con l’ormai tradizionale ritardo tipico del settore, è entrato in maniera forte e integrale nell'ambito edilizio, veicolato da due motivi fondamentali: da un lato il fatto che il settore delle costruzioni risulta essere il principale artefice di impatti sull’ambiente e dall’altro il fatto che l’uomo ripone negli edifici un bene primario e in questi ricerca un luogo confortevole e salubre. La sostenibilità ambientale nel settore edilizio investe infatti due scale: la scala dei rapporti tra l’edificio e l’ambiente e la scala dei rapporti tra l’edificio e i suoi abitanti. Da un lato edificare genera impatti sull’ambiente non solo all’atto della costruzione, ma anche lungo tutto il processo, dall’approvvigionamento delle materie prime, produzione e trasporto fino alla dismissione dell’edificio e smaltimento delle macerie da demolizione. Dall’altro l’uso dell’edificio genera impatti per poter garantire condizioni di comfort e benessere interno, interagendo dunque con le esigenze degli abitanti e garantendo loro un ambiente vivibile e adeguato alle attività che negli edifici si svolgono.

Purtroppo però, la prima causa di inquinamento a livello mondiale è registrata nel settore dell’edilizia residenziale; riscaldare, raffrescare, illuminare e far funzionare ogni tipo di elettrodomestico in luoghi nei quali passiamo il 90% della nostra vita determina un inquinamento maggiore di quello prodotto dal settore industriale e dei trasporti (IEA,2013).

Nel grafico sottostante è possibile vedere la ripartizione e il tipo di energia utilizzato nel settore edilizio.

Fig. 1.7 Uso di energia divisa per settori - IEA, 2013

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Attualmente non è semplice monitorare lo stock di edifici green presenti; possiamo affermare che sono in continuo aumento a livello mondiale. L'investire in edifici green comincia ad essere visto come un investimento a lungo termine. Il sito GBIG tramite una survey basata sulle certificazioni energetiche ha stilato una classifica degli stati con la maggior presenza di certificati attivi, tuttavia l'indice non determina i Paesi maggiormente green poiché le certificazioni riportate dalla ricerca sono espresse in valore assoluto e non in percentuale rispetto al patrimonio costruito.

Fig. 1.8 Classifica dei migliori stati con profilo green - Fonte: http://www.gbig.org/, 2015

Secondo lo studio condotto da McGraw Hill nel 2013 il 51% dei professionisti nel settore dell'edilizia dedica più del 60% del proprio lavoro a progetti green, dato in aumento del 20% rispetto al 2010. Questi dati confermano il trend di continuo aumento degli edifici green che sono restituiti dal grafico sottostante.

Fig. 1.9 Stima aumento di progetti green tra il 2012 e il 2015 - Fonte: McGraw Hill, WGBC Trend Reports, 2013

1.4.2 L'uso del suolo Il settore delle costruzioni è uno dei principali protagonisti della questione ambientale, a causa dello sfruttamento di risorse materiali non rinnovabili, dell’uso del territorio, del consumo energetico relativo a tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto edilizio e della

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produzione di rifiuti da demolizione. Dunque costruire incide notevolmente sulla creazione di impatti ambientali, che si manifestano sia come consumo di risorse sia come inquinamento dell’ambiente.

Secondo l’UNEP, la green economy è un’economia “che produce miglioramenti del benessere umano e dell’equità sociale, riducendo nel contempo i rischi ambientali ed ecologici"(UNEP, 2002). Unep identifica le tematiche che toccano la comunità avvicinando la socialità ad un interesse per la Green Economy, ad esempio, si deve considerare che nel 2007 l’Europa ha consumato più di 8 miliardi di tonnellate di materiali che corrispondono a circa 16 tonnellate consumate per persona delle quali 6 diventano rifiuti, che per circa il 50 % vengono conferiti a discarica. Il tema associato al consumo di materiali è quello della produzione di rifiuti per la quale i numeri a livello comunitario sono particolarmente importanti: si stima che dei 2,7 miliardi di tonnellate di rifiuti prodotti circa cento milioni di tonnellate sono rifiuti pericolosi; in media il 40% di tali rifiuti viene destinato a riuso o riciclo (Unione europea, 2011). L’Italia, insieme ad altri quattro Stati membri della CE (Germania, Inghilterra, Francia e Spagna), è tra le principali responsabili dei milioni di tonnellate di macerie edilizie che annualmente vengono prodotte in Europa. In particolare, nel 2010 la produzione dei rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi è stata stimata essere pari a 57.4 milioni di tonnellate (cioè il 46.2% del totale dei rifiuti speciali non pericolosi), mentre la produzione dei rifiuti da costruzione e demolizione pericolosi è stata stimata pari ad oltre 463 mila tonnellate (cioè il 4.8% del totale dei rifiuti speciali pericolosi). I dati di gestione pubblicati nel Rapporto Rifiuti ISPRA 2012 mostrano inoltre che nel 2010 circa 81.4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sono stati avviati a recupero di materia, e in via prioritaria, a recupero di sostanze inorganiche (quasi 47 milioni di tonnellate, pari al 45.7% del totale dei rifiuti recuperati).

La restante parte del totale degli scarti da costruzione e demolizione sono destinati sistematicamente alla discarica e necessitando di spazi sempre più difficili da reperire comportando, come diretta conseguenza, un costo ambientale significativo.

L’Italia, che comprende l’1% degli abitanti del pianeta, consuma il 2% dell’energia mondiale ed è un paese caratterizzato da una bassa intensità energetica, la minore fra i grandi paesi industrializzati. Il fabbisogno totale annuale di energia è oggi di circa 190 Mtep ed aumenta di circa l’1 % all’anno. Questa considerazione non deve indurre un atteggiamento di trascuratezza nei confronti dei problemi energetici, in quanto l’Italia importa l’84% dell’energia che consuma ed è contemporaneamente un paese ambientalmente fragile, data la sua conformazione naturale. Ha un consumo di suolo tra i più alti in Europa, 12

nonostante le peculiari caratteristiche morfologiche del nostro territorio dovrebbero impedire l'espansione urbana in zone ambientalmente sensibili. La limitazione dell'uso del territorio diventa quindi, nel nostro paese ma anche in Europa, una priorità.

La situazione di inquinamento attuale è data da un aumento esponenziale del consumo di suolo dagli anni ’50 ad oggi, le città sono in continua espansione: oltre il 50% della popolazione mondiale vive in insediamenti urbani e si calcola che nel 2030 la popolazione urbana arriverà 5 miliardi (UNFPA.org). I dati della rete di monitoraggio mostrano come, a livello nazionale, il suolo consumato sia passato dal 2,7% degli anni ’5015 al 7,0% stimato per il 2015, con un incremento di 4,3 punti percentuali e una crescita percentuale del 159% (1,2% ulteriore tra il 2013 e il 2015). In termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai circa 21.100 chilometri quadrati del nostro territorio.

Fig. 1.10 Stima del suolo consumato a livello nazionale, in percentuale sulla superficie nazionale e in km2- Fonte: ISPRA

I governi quindi incentivano la rigenerazione urbana e favoriscono la riqualificazione di edifici esistenti dismessi, ponendo particolare attenzione per l'edilizia di qualità e per l'efficienza nei consumi e nell'uso delle risorse ambientali. Il settore dell'edilizia si stima crescerà annualmente dell'1 - 2 % del patrimonio esistente, pur non essendo essa una crescita elevata, se proiettata nel tempo lo diventa, si pensi all'obbiettivo di ridurre le emissioni dell'80 % nel 2050. Per raggiungere questo incredibile taglio alle emissioni bisogna necessariamente ridurre i consumi degli edifici esistenti ed incentivare una green grow per gli edifici di nuova costruzione.

Secondo i dati forniti dall' ENEA è stato stimato che nel 2000 il 45% dell’energia prodotta viene utilizzata nel settore edilizio; il 50% dell’inquinamento atmosferico è prodotto dal settore edilizio; il 50% delle risorse sottratte alla natura sono destinate all’industria edilizia; il 50% dei rifiuti prodotti annualmente proviene dal settore edilizio. L’ Italia è il primo paese a livello di emissioni in europea per quanto riguarda il settore edilizio con 96 milioni di tonnellate di CO2 rispetto a 550 milioni. dell’intera Comunità Europea. Questo è dovuto all'obsolescenza del parco edilizio italiano, quasi il 70% degli edifici è stato realizzato prima che fosse stata introdotta qualsiasi norma sull’efficienza energetica. A

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fronte di questi dati, si evince che il settore edilizio è la principale causa di impatti sull'ambiente e necessita quindi di maggiore attenzione in tutte le fasi del processo edilizio: dall'estrazione delle materie prime che costituiranno l'edificio alla sua dismissione.

1.4.3 Il mercato delle costruzioni L’andamento dei bandi di gara per lavori pubblici evidenzia nel 2016 un ridimensionamento della domanda, dopo la dinamica positiva del biennio precedente. Su tale cambio di segno ha in parte inciso anche lo “shock da innovazione” e la conseguente incertezza derivante dall’applicazione delle nuove regole legate all’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, avvenuta il 19 aprile 2016.

Per il 2016, la stima Ance per gli investimenti nella nuova edilizia residenziale è negativa e pari al -3,4% in termini reali rispetto al 2015. I dati Istat sui permessi di costruire, in riduzione ormai da quasi un decennio, continuano, infatti, ad essere in calo. L’Ance stima che nel 2015 le abitazioni concesse1 scendano a 47.500, con una flessione complessiva, rispetto al picco del 2005 (305.706 unità), pari all’84,5%. Il livello delle abitazioni concesse nel 2015 risulta il più basso dal 1935, escludendo gli anni del secondo conflitto mondiale.

Fig. 1.11 (*) Investimenti in costruzioni al netto dei costi per trasferimento di proprietà - Fonte: ANCE, gennaio 2017

Gli investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo confermano la dinamica positiva degli anni precedenti, giungendo a rappresentare il 37% del valore degli investimenti in costruzioni. Rispetto al 2015 per gli investimenti in tale comparto si stima una

1

La stima tiene conto dei dati Istat disponibili sui permessi ritirati per la costruzione di nuove abitazioni che rappresentano circa il 90% del numero totale dei permessi (nuove abitazioni e ampliamenti).

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crescita dell’1,7% in termini reali (+1,6% in termini nominali), sostanzialmente in linea con quella rilasciata nell’Osservatorio di luglio scorso, che tiene conto del potenziamento fino a dicembre 2016 degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie e per l’efficientamento energetico previsti dalla Legge di Stabilità per il 2016 e confermati, nella recente Legge di Bilancio 2017, per tutto l’anno corrente.

Fig. 1.12 Investimenti in abitazioni - Fonte: ANCE, gennaio 2017

Il 2017, potrebbe rappresentare l’anno di ripresa per il settore. La previsione dell’Ance è di un aumento dello 0,8% degli investimenti in costruzioni. L’analisi tiene conto dell’impatto sui livelli produttivi delle misure contenute nella Legge di Bilancio 2017 finalizzate al rilancio degli investimenti infrastrutturali ed al rafforzamento degli incentivi fiscali esistenti, con particolare attenzione agli interventi di messa in sicurezza sismica e di efficientamento energetico.

Fig. 1.13 (*) Investimenti in costruzioni al netto dei costi per trasferimento di proprietà - Fonte: ANCE su dati Istat

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1.4.4 L'Italia e il Nuovo Codice degli Appalti Gli “Acquisti verdi” o "Appalti verdi" o GPP (Green Public Procurement) sono quelle procedure d’acquisto, da parte delle Amministrazioni pubbliche, che incoraggiano e favoriscono lo sviluppo di prodotti e tecnologie a minor impatto ambientale. Attraverso gli acquisti verdi, le pubbliche amministrazioni possono coniugare l’obiettivo di razionalizzazione degli acquisti e riduzione dei consumi con l’incremento di qualità ambientale delle proprie forniture ed affidamenti, ad esempio prevedendo nei bandi di gara dettagliati requisiti di garanzia in materia di risparmio energetico da parte dei concorrenti. L’Italia ha avviato un “Piano d’Azione per la sostenibilità dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione (PAN GPP)” con il decreto del Ministro dell’Ambiente dell’11 aprile 2008, successivamente aggiornato con il D.M. 10 aprile 2013. Il Piano d’Azione definisce i principi ed i Criteri Ambientali Minimi (CAM) che le stazioni appaltanti devono prevedere nei bandi di gara per poter realizzare appalti verdi, attraverso la corretta definizione dell’oggetto d’appalto, delle specifiche tecniche, dei requisiti di partecipazione, dei criteri di valutazione delle offerte e delle condizioni di esecuzione del contratto.

Il recente Codice Appalti (Dlgs. 50/2016) rende obbligatorio il GPP, cioè impone alle Pubbliche amministrazioni di acquistare prodotti e servizi ecosostenibili. Gli Appalti verdi devono avvenire secondo le prescrizioni contenute nei CAM (D.M. 24 dicembre 2015; aggiornamento con D.M. 11/01/2017 allegato 2), decreto dicembre 2015 aggiornamento gennaio 2017 che definiscono procedure, modalità, caratteristiche ambientali di ogni categoria di acquisto della Pubblica amministrazione. In questo contesto, il Codice Appalti attribuisce un ruolo centrale alle certificazioni ambientali che, a determinate condizioni, possono facilitare l’accesso dei prodotti ecosostenibili agli “Appalti verdi”: un prodotto in possesso di una certificazione con un alto livello di credibilità (accreditata) si presume conforme alle richieste di un appalto verde, con un rilevante sgravio di impegni per l’Azienda partecipante e conseguente facilitazione per un eventuale risultato favorevole. L’art. 34 del nuovo Codice Appalti (d.lgs. 50/2016) ha espressamente previsto che le stazioni appaltanti contribuiscano al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’Azione attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei CAM.

1.5

PROSPETTIVE FUTURE

In base a quanto sopra riportatosi possono individuare delle azioni finalizzate alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile. In relazione alla gestione dei flussi di input impiegati 16

nei molteplici processi che coinvolgono lo sviluppo economico, sociale e ambientale, si possono individuare i seguenti obiettivi: -

assicurare che alle risorse del pianeta sia data la possibilità di “rigenerarsi”: è il caso dell’utilizzo di alcuni materiali con determinate caratteristiche sostenibili;

-

minimizzare in generale i consumi di energia;

-

produrre energia ricorrendo a fonti rinnovabili.

In riferimento ai limiti posti "a valle" di un processo, e dunque ai flussi di output sono individuabili le seguenti azioni: -

minimizzare le emissioni nell’ambiente di rifiuti: ciò si persegue individuando nel concetto di rifiuto, cioè di bene, materiale o sostanza non più atta a soddisfare una certa funzione, la capacità di divenire “risorsa” per dare vita ad un nuovo processo.

Questo obiettivo si esplica attraverso concrete politiche di incentivo al “riuso” e al “riciclo”;

-

individuare attraverso specifiche logiche di produzione processi industriali meno impattanti da un punto di vista delle emissioni rilasciate in aria, acqua e suolo;

-

adottare politiche di compensazione ambientale, partendo dalla constatazione che la maggior parte dei processi di produzione di un bene non possono essere ad impatto zero: tuttavia, il bilancio può risultare zero se a fronte di un impatto generato siano promosse azioni che lo rendono “nullo”. È il caso dei progetti che riportano il logo ad “Impatto zero”, i quali prevedono la contabilizzazione del GWP, il Global Warming Potential e la compensazione dei gas serra immessi nell’ambiente attraverso azioni di riforestazione e di salvaguardia.

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2

CAPITOLO II

METODI DI VALUTAZIONE AMBIENTALE L'elaborazione di metodi e strategie ambientali hanno assunto nel corso degli ultimi anni una crescente importanza. Questa necessità è stata sempre più riconosciuta perché si è capito quanto sia fondamentale saper aiutare i progettisti ad indirizzare le proprie scelte su opzioni che danno garanzie di maggior sostenibilità. Tutti gli approcci a questi metodi utilizzati tentano una modellazione della realtà, sia che si tratti di un edificio sia che si tratti di un prodotto: l'obiettivo fondamentale rimane quello di ragionare in un'ottica sostenibile. Negli anni si sono diffusi una serie di metodi di valutazione degli impatti che una costruzione o anche la produzione di un singolo oggetto ha sull'ambiente e l'obiettivo rimane sempre quello di determinare in maniera chiara e scientifica il grado di sostenibilità tra una scelta ed un'altra e, quindi, aiutare il progettista a fare scelte ragionate sin dalla fase di progettazione. È importante sottolineare che tali criteri di valutazione della qualità dell'ambiente sono applicabili a molti ambiti che vanno dal territorio alla città, dal quartiere all'edificio, dal prodotto edilizio al materiale e processo produttivo. Questi procedimenti di valutazione sono divisi in due grandi categorie: gli strumenti che danno una valutazione di tipo qualitativo (come per esempio Protocollo Itaca, GBtool, HQE, ecc.) e altri che forniscono una valutazione di tipo quantitativo (come per esempio gli eco-bilanci, il metodo Life Cycle Assessment, ecc.). Di seguito verranno presentate entrambe le metodologie, le valutazioni a punteggio e metodo LCA, sottolineandone le caratteristiche peculiari.

2.1

METODI DI VALUTAZIONE A PUNTEGGIO

I sistemi di valutazione a punteggio sono articolati secondo una serie di requisiti ambientali ai quali viene assegnato un punteggio in base alla prestazione attesa dell'edificio.

Dalla somma pesata di tali punteggi, si ottiene la valutazione complessiva della struttura che determina così il grado di sostenibilità della stessa. Tali sistemi vengono quindi definiti sistemi a punteggio in quanto ad ogni voce viene associato un punteggio.

Questo metodo ha il vantaggio di essere ben compreso da tutti poiché è un numero a rappresentare il grado di sostenibilità. Dall'altra parte, la semplificazione di questo metodo potrebbe celare il vero comportamento dell'edificio in uno o più ambiti e quindi risultare poco attendibile, se non addirittura fuorviante nella valutazione complessiva.

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Tutti questi sistemi di valutazione sono sviluppati e utilizzati con l'obiettivo di emettere un documento sul grado di qualità energetico-ambientale degli edifici e tendono quindi a far alzare il valore di vendita dell'edificio.

Molti paesi si sono dotati di un proprio sistema di valutazione, con propri criteri e sistemi di valutazione condivisi su tutto il territorio nazionale. Purtroppo la situazione è ben differente in Italia, come si vedrà successivamente.

2.1.1 I metodi di valutazione a punteggio in ambito internazionale Si elencano, in modo non esaustivo, alcune delle certificazioni ambientali nazionali e internazionali.

Nazione

Nome certificazione e tipologia

Regno Unito

Breeam ed Ecohomes (certificato a punteggio)

Giappone

Casbee (certificato a punteggio)

Australia

Green Star (certificato a punteggio)

Francia

Haute Qualité Environmentale (certificato a soglia)

Stati Uniti

Leed (certificato a punteggio)

Svizzera

Minergie ed Eco-Bau (certificato a soglia)

Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia e Nordic Ecolabelling (certificato a soglia) Islanda Spagna

Verde (certificato a punteggio)

Austria

Total Quality e Klima Aktiv (certificato a punteggio)

Italia

CasaClima-KlimaHaus (certificato a punteggio) SB100 (certificato a punteggio) Protocollo Itaca (certificato a punteggio) Tab. 2.1 Metodi di valutazione a punteggio in ambito internazionale

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BREEAM ed ECOHOMES Il Breeam (Building Research Estabilishment Environmental Assessment Method), creato nel 1990, in Gran Bretagna è considerato il capostipite dei sistemi di certificazione. Proprio per questo è stato preso come punto di riferimento per tutti i metodi nati in seguito. Si tratta di un sistema su base volontaria che prevede una scala di punteggi che va da “Pass” per il livello base a “Excellent” per il punteggio massimo. Per ottenere il punteggio finale vengono attribuiti punti a diverse sottocategorie: energia, accessibilità al sito con mezzi pubblici, inquinamento, materiali impiegati, risparmio idrico, utilizzo del territorio e qualità della vita all’interno dell’edificio. Il Breeam consente, con criteri diversi, di certificare edifici di varie tipologie: pubblici (scuole, ospedali), commerciali, residenziali (con il sistema EcoHomes) ed anche ogni singola fase del ciclo di vita dell’edificio. Tale certificazione Breeam richiede l’intervento di certificatori esterni autorizzati dal BRE (Building Research Estabilishment).

CASBEE Il sistema giapponese Casbee, Comprehensive Assessment System for Building Environmental Efficency, è stato sviluppato dal Japan Sustainable Building Consortium in maniera tale che sia in grado di portare a certificazione edifici con performance ambientali superiori, in modo tale da incentivare il mercato e i progettisti, che sia il più semplice possibile, che sia applicabile a un’ampia tipologia di edifici e caratteristico per il Giappone e l’Asia.

Il sistema Casbee è interessante in quanto cambia completamente approccio rispetto alla maggior parte dei sistemi di certificazione esistenti: i criteri sono definiti per le diverse fasi di vita e sono applicabili a un’ampia varietà degli edifici. Il sistema di valutazione Casbee è basato sul rapporto tra due parametri di valutazione Q e L, dove Q (Quality) rappresenta la qualità ambientale e le performance dell’edificio e L (Loadings) rappresenta i carichi ambientali prodotti attraverso la valutazione di aspetti quali l’efficienza energetica, l’efficienza nell’uso delle risorse, l’ambiente locale e l’ambiente indoor. Il rapporto tra Q e L, denomitato Bee (Building Environmental Efficiency) viene rappresentato su un piano di riferimento che individua diverse aree corrispondenti a vari livelli di certificazione: classe C, scarsa, classe B-, classe B+, classe A, classe S e eccellente.

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GREEN STAR Il sistema di valutazione australiano è il Green Star ideato dall’Australian Green Building Council. È un sistema che si basa su sistemi di valutazione di impronta americana come il Leed e di impronta inglese come il Breeam. Il sistema prevede un punteggio massimo di 132 punti e il punteggio totale è definito dal numero di stelle ottenuto dove sei è il numero massimo. Ad oggi il sistema non è differenziato per le varie destinazioni d’uso degli edifici.

HQE In Francia la certificazione ambientale prende il nome di HQE, Haute Qualitè Environmentale, e viene intesa come “certificazione di processo”. Non si valuta la compatibilità ambientale dell’edificio, ma la qualità ambientale di tutto il processo edilizio, secondo una griglia che comprende 14 obiettivi raggruppati in 4 temi: -

Bioedilizia: relazione armonica dell’edificio con l’ambiente che lo circonda; scelta integrata delle tecnologie e dei materiali da costruzione e cantieri a nasso impatto;

-

Ecogestione: gestione dell’energia, gestione dell’acqua, gestione dei rifiuti dell’attività di cantiere, manutenzione e riparazione e realizzazione di un ambiente interno soddisfacente;

-

Comfort: comfort rispetto all’umidità, comfort acustico, comfort visivo e comfort olfattivo;

-

Salute: condizioni sanitarie, qualità dell’aria e qualità dell’acqua.

Questa griglia, elaborata dall’associazione HQE, sintetizza gli obiettivi da raggiungere ai fini dello sviluppo sostenibile, ed è uno strumento destinato ai committenti, ai gestori di stock immobiliari e agli studi di progettazione. L’applicazione di questa griglia alla progettazione e alla realizzazione di edifici presuppone il coinvolgimento di varie figure professionali, oltre ai progettisti, ai produttori di materie prime e ai costruttori, viene espressamente favorito l’approccio interdisciplinare che coinvolga anche esperti di acustica, energia o economia, al fine di ottimizzare la progettazione e quindi l’intero processo edilizio.

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LEED Il Leed (Leadership in Energy and Environmental Design) è un sistema di certificazione della sostenibilità delle costruzioni che è nato negli Stati Uniti e si sta ampiamente diffondendo. È infatti attualmente utilizzato in oltre 100 paesi nel mondo, tra cui l’Italia, con la recente nascita di Leed Italia. Il LEED è un sistema volontario e si basa su punteggi che vengono attribuiti per ciascuno dei vari aspetti della sostenibilità di un edificio: -

la fase del cantiere; gestione ecocompatibile dei materiali impiegati e della riduzione dei rifiuti;

-

la gestione efficiente delle risorse;

-

la sostenibilità dei materiali;

-

la qualità degli ambienti interni;

-

la progettazione l’innovazione: utilizzo di tecnologie migliorative delle buone pratiche costruttive esistenti.

Sommando i punteggi ottenuti nelle categorie indicate si ottiene uno specifico livello di certificazione Leed: Certified (che è il livello base), Silver, Gold e Platinum. Il Leed è un sistema flessibile che prevede differenti formule per vari tipi di edifici: nuove costruzioni, edifici esistenti, scuole e piccole abitazioni.

MINERGIE ed ECO-BAU Minergie-Eco è un completamento dello standard Minergie. Per gli edifici certificati Minergie le caratteristiche da considerare sono comfort ed efficienza energetica, mentre per le costruzioni certificate Minergie-Eco vanno soddisfatti anche i requisiti di un sistema di costruzione sano ed ecologico. Alla base di una pianificazione e costruzione secondo Minergie-Eco vi sono vaste conoscenze, comprovati strumenti di pianificazione e non ultime esperienze in costruzioni eco (ecobau). Inoltre viene valutato anche il progetto sotto il profilo ambientale e della salute.

Il processo di verifica Minergie-Eco può essere impiegato per costruzioni amministrative, scuole e case plurifamiliari. La novità è che la verifica può avvenire, con procedura semplificata, anche per case unifamiliari o piccole case residenziali fino a una superficie di 500 mq. Per il risanamento è prevista un’offerta specifica.

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NORDIC ECOLABELLING Il Nordic Ecolabelling certifica le prestazioni ambientali delle case di piccole dimensioni, small houses, nei paesi del Nord Europa: Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda. I criteri del Nordic Ecolabelling per le small houses comprendono una combinazione di requisiti obbligatori (O), di requisiti ambientali e di gestione della qualità anch’essi obbligatori (M) e una serie di requisiti a punteggio (P). Per ottenere la certificazione tutti i requisiti di tipo O e M devono essere soddisfatti; almeno il 40% del punteggio ottenibile dai requisiti di tipo P deve essere soddisfatto, il che significa che bisogna raggiungere un minimo di 16 punti su 40 disponibili.

VERDE VERDE è un metodo spagnolo sviluppato da Arquitectos, Urbanistas e Ingenieros Asociados, GBC Spagna e Consiglio Superiore del Collegio degli architetti spagnoli. Si applica a nuove costruzionni nel settore residenziale, terziario, sanitario e scolastico, alle diverse fasi del ciclo di vita di un edificio.

TOTAL QUALITY In Austria è stato sviluppato il Total Quality Assessment come sistema di certificazione ambientale degli edifici. Definisce gli obiettivi che devono essere raggiunti durante la fase progettuale e che devono essere verificati una volta realizzato l’edificio per ottenere la certificazione ambientale, il Building Quality Certificate. I risultati ottenuti durante la valutazione sono utilizzati per attribuire il punteggio raggiunto dall’edificio. È un sistema applicabile a edifici residenziali e a edifici commerciali.

KLIMA AKTIV Il marchio Klima Aktiv è un marchio promosso dal Ministero Austriaco federale dell’agricoltura e dell’ambiente per proteggere il clima. Il marchio è disponibile per edifici residenziali di nuova costruzione, mentre sono in elaborazione i criteri per la certificazione di edifici ristrutturati e per edifici non residenziali. I criteri sono suddivisi in obbligatori e opzionali

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e complessivamente l’edificio può totalizzare un punteggio che consente di raggiungere i seguenti livelli di certificazione: -

Klima aktiv Haus: maggiore o uguale a 700 punti;

-

Klima aktiv Passivhaus: maggiore o uguale a 900 punti;

-

Klima aktiv Standard: massimo 1000 punti.

I criteri riguardano gli aspetti legati alla progettazione e realizzazione per un massimo di 120 punti; consumo di energia e di risorse per un massimo di 600 punti; materiali e costruzione per un massimo di 160 punti e comfort e qualità dell’aria indoor per un massimo di 120 punti.

CASA CLIMA-KLIMAHAUS KlimaHaus è un’agenzia privata che in Italia ha fatto da apripista alla promozione dell’efficienza energetica in edilizia.

L’agenzia CasaClima si è data l’obiettivo di coniugare comportamento ecologico e calcolo economico, proponendo come modello edifici ad elevata qualità abitativa che abbiano costi di costruzione non eccessivamente elevati rispetto alle costruzioni tradizionali. La metodologia CasaClima è obbligatoria nella Provincia Autonoma di Bolzano. Il sistema promuove un modello di abitazione sostenibile che risponda a determinate caratteristiche: struttura compatta, alto grado di isolamento termico della superficie esterna, finestre altamente isolanti, ermeticità, assenza di ponti termici, utilizzo di energia solare, impiantistica ottimale. Il modello CasaClima non riguarda solo le nuove costruzioni, ma anche la ristrutturazione sostenibile di vecchi immobili.

Ciò che permette di definire CasaClima è il fabbisogno energetico che si può calcolare con un pratico sistema di calcolo. Il certificato energetico e la targhetta CasaClima sono le colonne portanti del sistema di classificazione. Le categorie CasaClima permettono di identificare il grado di consumo energetico di un edificio. Esistono infatti: -

CasaClima Oro, con un fabbisogno energetico inferiore a 10 kWh/m2a/Casa da 1 litro;

-

CasaClima A, con un fabbisogno energetico inferiore a 30 kWh/m2a/Casa da 3 litri;

-

CasaClima B, con un fabbisogno energetico inferiore a 50 kWh/m2a/Casa da 5 litri.

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GBTOOL Tra le molteplici esperienze vanno segnalati i lavori svolti dal Green Building Challenge (GBC), un network internazionale di soggetti scientifici e di operatori nel settore delle costruzioni edilizie che mira a far progredire il livello delle conoscenze tecnico-scientifiche e delle metodologie che si occupano della valutazione delle prestazioni energetico-ambientali degli edifici; a realizzare uno strumento che serva da riferimento per la valutazione della sostenibilità degli edifici; e a incentivare la ricerca nel settore dell’edilizia sostenibile , coinvolgendo i progettisti, le imprese edili, le industrie che operano nel settore, ecc.

Gli studi condotti dal GBC hanno portato alla definizione del Green Building Tool (GBTool), uno dei software più accreditati per la valutazione della sostenibilità degli edifici.

Con la redazione del GBTool, gli autori si sono prefissati l’obiettivo di elaborare una metodologia generale riconosciuta a livello internazionale e facilitare un confronto internazionale delle prestazioni ambientali di tipologie di edifici anche fortemente dissimili.

Il GBTool consente di valutare l’impatto ambientale di una generica costruzione lungo l’intero ciclo di vita della stessa, ed impiega un indice sintetico che riassume le prestazioni dell’edificio e viene utilizzato per classificare qualitativamente la costruzione esaminata.

Il metodo può essere adattato alle condizioni locali in cui viene applicato (clima, condizioni economiche e culturali, priorità ambientali, ecc.) pur mantenendo la medesima terminologia e la stessa struttura di base. Ogni gruppo nazionale che interviene nei lavori del network ha il compito di adattare il modello alle peculiarità nazionali e di testare la trasferibilità del metodo al contesto locale. Sulla base del GBtool in Italia è stato inoltre sviluppato il Protocollo Itaca che attualmente è stato oggetto di alcune applicazioni e che ha riscontrato l’interesse di numerosi Enti locali.

La scala di attribuzione del punteggio del GBTool va da -2 a 5.

SB100 Sustainable Building 100 è il sistema studiato da ANAB, Associazione Nazionale Architettura Bioecologica, per l’indirizzo, la valutazione e il controllo della sostenibilità degli interventi edilizi. L’ambito di analisi è, quindi, più ampio rispetto ai sistemi che valutano la sostenibilità dell’edificio unicamente in funzione della certificazione energetica.

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Il sistema SB100 propone una valutazione che considera, oltre ai consumi energetici dell’edificio, il suo impatto sull’ambiente secondo i tre assi dello sviluppo sostenibile, in termini ecologici, sociali ed economici.

Il percorso di certificazione è composto da tre settori. Il primo è composto da dieci obiettivi, che indicano le linee di sostenibilità ambientale che il progetto deve assolvere. Il secondo settore prevede quali azioni devono essere attivate per raggiungere gli obiettivi fissati nelle linee guida, la metodologia per attuare le azioni, i riferimenti normativi e i riferimenti bibliografici. Il terzo settore costituisce la lista di controllo che consente di valutare l’efficienza dell’esecuzione. La lista di controllo permette di sommare i punteggi raggiunti e di assegnare all’intervento edilizio una classe di merito di sostenibilità in base al risultato raggiunto.

La classe di merito di sostenibilità dell’edificio e la sua certificazione energetica abbinata vengono comunicate con una targa posta all’esterno dell’edificio a fianco del numero civico.

2.1.2 Il caso italiano: Il protocollo ITACA Il Protocollo Itaca è il risultato di un’iniziativa curata da ITACA, Istituto per la Trasparenza l’Aggiornamento e la Certificazione degli Appalti, realizzata a partire dall’autunno del 2002 da un gruppo di lavoro interregionale al quale hanno partecipato anche l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, e l’APAT, Agenzia per la Protezione e i Servizi Tecnici. Il Protocollo è stato approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome nel gennaio del 2004.

Il protocollo è uno dei più conosciuti sistemi di valutazione della qualità energetica e ambientale di un edificio. Tale strumento è stato sviluppato a partire dalla metodologia del GBC, Green Building Challenge.

Il protocollo tende ad assumere alcuni aspetti caratteristici del Decreto Legislativo n.

192/2005 e del successivo Decreto n. 311/2006 prevedendo che siano sottoposti a verifica gli edifici di nuova costruzione, gli edifici soggetti a ristrutturazione totale o parziale e gli ampliamenti di volumetria di edifici esistenti. Per quanto concerne i cambi di destinazione d’uso degli immobili, il Protocollo, benchè concepito per il settore residenziale, è applicato anche a uffici, alberghi, centri sportivi, ecc.

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È compito delle Regioni e delle Province definire quali siano gli eventuali nuovi ambiti di intervento.

All’edificio o al progetto di un edificio viene assegnato un punteggio rappresentativo del livello di sostenibilità ambientale che è stato raggiunto. Il sistema di verifica è organizzato attraverso 70 schede per il Protocollo Completo e 28 schede per il Protocollo Semplificato. A ciascuna scheda corrisponde un indicatore e a ciascun indicatore è attribuito un punteggio compreso tra -1 e 5, dove 0 è la prestazione minima attesa e definita dalla legge.

Il punteggio viene determinato sulla base degli strumenti di verifica e i metodi riportati nelle schede stesse, quindi a un punteggio maggiore corrisponde una migliore prestazione energetico-ambientale dell’edificio.

Lo strumento di valutazione aggiorna il Protocollo Itaca contestualizzandolo alle caratteristiche ambientali e costruttive del territorio in funzione del tipo di progetto da valutare e della sua ubicazione. Originariamente sviluppato in ambiente Excel, è stato successivamente implementato in un software di calcolo per facilitarne l’applicazione e la diffusione.

Aree di valutazione

Le aree di valutazione di tale metodo sono cinque: 1. Qualità del sito 2. Consumo delle risorse 3. Carichi ambientali 4. Qualità ambientale indoor 5. Qualità del servizio

Criteri di valutazione

I criteri di valutazione hanno una valenza economica, sociale, ambientale di un certo rilievo; sono quantificabili o definibili qualitativamente, ovvero oggettivamente rispondenti a scenari prestazionali predefiniti; perseguono un obiettivo di largo respiro e hanno una comprovata valenza scientifica oltre ad essere dotati di prerogative di pubblico interesse.

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Sistemi di pesatura

I pesi delle aree di valutazione e delle categorie rappresentano il grado di rilevanza che esse assumono all’interno del sistema di valutazione. Sono stati assegnati mediante votazione e successiva normalizzazione dei voti assegnati. I pesi assegnati ad ogni voce sono stabiliti dalla Regione di competenza e possono essere quindi modificati dell’Ente stesso, questi pesi variano da Regione a Regione dato che il protocollo Itaca tiene conto del contesto e dell’ambiente in cui avviene la valutazione.

Per quanto riguarda il sistema di pesatura dei criteri, questi si dividono in relativi e assoluti. I primi sono riferiti all’importanza del criterio all’interno della categoria di appartenenza, mentre i secondi sono relativi all’importanza del criterio all’interno del sistema di valutazione. Tali pesi sono assegnati in base a tre caratteristiche: l’estensione, l’intensità e la durata del potenziale effetto. La normalizzazione dei voti consente poi il calcolo del peso relativo di ciascun criterio, il peso assoluto è invece il risultato del prodotto del peso relativo del criterio per il peso della categoria e dell’area di valutazione di appartenenza.

Le differenze a livello nazionale: il Protocollo Itaca e le Regioni Italiane

A differenza di tutti i Paesi Europei che si sono dotati di un sistema di valutazione a punteggio per nazione e quindi condiviso su tutto il territorio, in Italia il protocollo Itaca ha diverse accezioni. Ogni regione si è dotata infatti di un proprio sistema di valutazione e addirittura in alcuni casi assume un nome diverso come per la Regione Friuli o Veneto.

Questo aspetto potrebbe sembrare a prima vista positivo proprio perché ogni Regione evidenzia caratteristiche che ritiene preminenti rispetto ad altre, ma in realtà complica il lavoro dei progettisti o di coloro che si servono di tale valutazione perché, non essendoci un metodo condiviso da tutti sul territorio nazionale, ogni volta che un progettista lavora in una regione diversa deve farsi proprie le normative e il metodo adottato da questa.

Le Regioni che hanno applicato il Protocollo così come presentato inizialmente sono le Regioni Basilicata, Marche, Puglia e Piemonte. Ognuna ha variato il peso dei criteri presi in esame per adattarli al proprio contesto ambientale e climatico. Le altre regioni che si sono dotate di tale valutazione hanno apportato delle modifiche sia nell’espressione del punteggio che nelle aree di valutazione. In modo particolare: -

la regione Veneto si è dotata del sistema Biover;

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-

la regione Friuli si è dotata del sistema VEA, Valutazione Qualità Energetica e Ambientale, che si compone di 22 schede ripartite in 6 aree di valutazione il cui punteggio varia da -1 a 3 per la valutazione dell’edificio e da G ad A+ per esprimere la classe energetica di esso. In questo modo si ha un risultato alfanumerico, dato quindi dalla valutazione dell’edificio e dalla sua classe energetica;

-

la Regione Umbria si è dotata del sistema VSA che si compone di 5 schede con una valutazione che varia a livello di edificio e di classe energetica, come il sistema VEA della regione Friuli. Per la Regione Umbria però il punteggio per la valutazione dell’edificio varia da -1 a 5, mentre per la valutazione della classe ambientale il punteggio varia da D ad A+;

-

la Regione Toscana invece si è dotata di linee guida per l’edilizia sostenibile che presenta 7 aree di valutazione con 21 requisiti e un punteggio che, a differenza dei sistemi di valutazione visti precedentemente, varia da -2 a 5.

Si fa purtroppo poca attenzione, o comunque non sono requisiti presi molto in considerazione dalle Regioni i valori di energia inglobata dei materiali, i valori di emissioni di CO2 dei materiali, le certificazioni dei materiali usati nel progetto, il riutilizzo di materiali edili e di strutture esistenti a differenza invece del sistema di valutazione LCA.

2.2

METODI DI VALUTAZIONE QUANTITATIVI: GLI ECO-BILANCI

Gli eco-bilanci sono metodi basati su procedure di valutazione di impatto ambientale, derivanti direttamente dal LCA (Life Cycle Assessment, analisi del ciclo di vita) di prodotti. L’approccio metodologico alla progettazione ecocompatibile può prevedere l’utilizzo di tre nuovi strumenti di valutazione degli impatti e delle performance ambientali, ognuno dei quali ha utilizzi e scopi specifici: • LCA (Life Cycle Assessment) • LCC (Life Cycle Costs) • EPD (Environmental Product Declarations).

Sia l'approccio LCA sia l'etichettatura EPD verranno approfonditi nei paragrafi successivi.

Essi esaminano tutti i danni ambientali importanti, concernenti tutte le fasi del ciclo di vita di prodotti e processi, dall'estrazione della materia prima alla produzione, il consumo e lo smaltimento di un prodotto materia prima, alla produzione, il consumo e lo smaltimento di un prodotto.

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L'analisi relativa ad un eco-bilancio, dallo sviluppo fino allo smaltimento di un prodotto aiuta ad effettuare ottimizzazioni ecologiche mirate, cioè dove i vantaggi per l'ambiente sono maggiori o dove il rapporto tra costi economici e vantaggi ecologici è più favorevole. Gli “effetti ambientali”, riconducibili alle varie fasi del ciclo di vita di un prodotto, vengono “misurati” con indicatori scientifici in modo da rendere immediatamente intellegibili le “potenzialità” di un determinato impatto che alimenta uno o più effetti sull'ambiente (es. effetto serra, assottigliamento della fascia di ozono, acidificazione, eutrofizzazione etc.). L’obiettivo finale è quello di individuare e quindi di privilegiare la produzione e l’utilizzo di prodotti e materiali che presentano un carico energetico il più limitato possibile nei processi produttivi, di trasporto, di messa in opera etc.

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CAPITOLO III

LIFE CYCLE ASSESSMENT “Trattasi di un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici ed ambientali, relativi ad un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”. (SETAC – Vermont, USA - 1990).

3.1

INTRODUZIONE ALLA METODOLOGIA

3.1.1 Storia e sviluppo della metodologia L’origine della metodologia LCA risale alla fine degli anni '60 del secolo scorso, quando alcuni ricercatori pubblicarono degli studi in ambito industriale, volti ad affrontare sotto il profilo ambientale, il problema relativo al consumo di risorse ed alla produzione dei reflui nei processi industriali.

Da allora cominciarono a diffondersi nuove metodologie di indagine: “eco balance”, “energy and environmental analysis”, “resource and environmental profile analysis” etc. tutte mirate a condurre le analisi sui singoli step produttivi. Molto presto però, ci si rese conto che questo modo di procedere andava a limitare l’analisi stessa rendendola incompleta, pertanto fu necessario apportare un’estensione dell’ambito d’interesse, fino a considerare il sistema nella sua interezza e nella sua complessità; ciò infatti comportò l’introduzione dei concetti “cradle to grave analysis” e “Life cycle analysis”.

A partire dagli anni '70, si ebbero i primi esempi applicativi della metodologia, come lo studio che l’EPA (Environmental Protection Agency), nonché agenzia di protezione ambientale statunitense, commissionò al Midwest Research Institute. Tale studio fu condotto, in ambito industriale, attraverso la comparazione di diversi contenitori per bevande, con l’obiettivo di individuare una soluzione che producesse minori impatti, sia in termini di consumi di materie prime, che di energia e allo stesso tempo che contenesse le emissioni nell’ambiente. Questo studio fu molto importante nello sviluppo della metodologia, infatti si andò a consolidare, specie negli Stati Uniti, l’utilizzo dell’approccio “from cradle to grave” (che considera il ciclo dall’estrazione delle risorse fino al loro smaltimento),

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applicato sempre più nell’ambito produttivo, con lo scopo di quantificare le risorse consumate e il rilascio di inquinanti nell’ambiente. Ciò permise inoltre di puntare i riflettori su problematiche quali: la limitatezza del pianeta, lo sfruttamento delle risorse e i sempre più evidenti impatti ambientali.

Negli anni '80, in Europa, fu pubblicato il manuale di Analisi Energetica che, a partire dall’esperienza dei produttori inglesi di bottiglie, offriva una descrizione dettagliata del procedimento analitico che oggi costituisce una parte fondamentale della LCA, il tutto accompagnato da un interesse sempre più crescente nella metodologia e da studi sempre più trasparenti ed accessibili al pubblico.

Nel 1990 avviene finalmente il lancio della metodologia a livello internazionale, con una serie di conferenze in Europa e negli Stati Uniti; nella fattispecie a Smuggler Notch (Vermont, USA) al congresso tenuto dalla SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry), fu coniato per la prima volta il termine “Life Cycle Assessment”.

Ciò comportò fin da subito la necessità di una standardizzazione del metodo, per motivi che in primo luogo riguardavano la situazione di confusione dettata dalle molteplici e diverse metodologie, ma anche la scarsa uniformità delle valutazioni, che portavano spesso a risultati disomogenei e non confrontabili sugli stessi prodotti.

Nel giugno 1993, l’ISO, l’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione, istituì il Comitato Tecnico 207, con lo scopo di sviluppare norme e regole internazionali per la gestione ambientale, ma fondamentalmente di standardizzare la metodologia garantendo l’attendibilità dei dati.

Le prime norme ISO, pubblicate nel 1997, sono state oggetto di successivi aggiornamenti, l’ultimo nel 2006. L’ISO 14040 “Environmental management – Life Cycle Aassessment – Principles and framework” e la 14044 “Environmental management – Life cycle assessment Requirements and guidelines” rappresentano il frutto di questo complesso lavoro.

3.1.2 Potenzialità di un approccio LCA Come si è visto nei capitoli precedenti il settore delle costruzioni è uno dei principali responsabili dell’impatto ambientale a causa dell’elevato sfruttamento di risorse materiali non rinnovabili, l’uso del territorio, l’elevato consumo energetico relativo a tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti e dalla produzione di rifiuti derivante dalla demolizione e dismissione degli organismi edilizi.

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L'approccio Life Cycle consente di acquisire consapevolezza del danno o delle potenzialità ambientali, legate a ciò che avviene nelle diverse fasi del processo LCA, il quale non può guardare solo alla fase di realizzazione dell’organismo edilizio, ma deve partire dalla fase di estrazione delle risorse naturali, legate ai prodotti stessi che lo compongono. Infatti, solo attraverso la definizione dei rischi e delle criticità durante l’intero ciclo produttivo, si potrà operare in modo tale da bilanciare e rendere positivi gli impatti ambientali.

Tale approccio consente di effettuare scelte a lungo termine, evitando di prendere decisioni che possano tener conto degli effetti solo nel breve periodo; ciò aiuta a comprendere come le scelte effettuate in fase di progettazione e produzione, abbiano ricadute nella fase di uso e dismissione. In questo modo, il metodo permette di migliorare interi sistemi e non singole parti, evitando che decisioni prese per poter evitare un determinato impatto ambientale, possano spostare il problema, da una fase all’altra del ciclo di vita o ad una categoria d’impatto differente (aria, acqua, suolo, ecc.). Ciò in definitiva consente al progettista di fare “scelte più consapevoli”, grazie ad una visione d’insieme degli impatti delle attività e di poter agire per prevenirli.

L’idea di base del metodo LCA è la registrazione di tutti i flussi di materiale ed energia connessi con un prodotto, un processo o un servizio. L’intera vita di un composto o di un sistema viene considerata “dalla culla alla tomba”. Gli effetti ambientali, riconducibili alle varie fasi del ciclo di vita di un prodotto, vengono “misurati” con indicatori scientifici, in modo tale da rendere immediatamente intellegibili le “potenzialità” di un determinato impatto, che alimenta uno o più effetti sull’ambiente (es. effetto serra, assottigliamento della fascia di ozono, acidificazione, eutrofizzazione etc.).

I potenziali vantaggi ottenibili dall’utilizzo della metodologia nel settore edilizio, sia che si tratti di interventi di nuova costruzione, che di ristrutturazione, si traducono per i progettisti, nella possibilità di ottenere un’affidabile quantificazione del livello di eco-compatibilità del singolo componente e dell’intervento edilizio nel suo complesso e ciò consente loro di orientare le proprie scelte, traducendo e semplificando le molteplici variabili in gioco nel processo, in termini di consumi energetici, economici ed ambientali. In una progettazione eco-sostenibile, abbiamo un’estensione del criterio di valutazione dell’impatto, che va oltre la scala dell’insediamento in cui è ubicato l’edificio, andando a considerare i luoghi di produzione dei materiali, nonché i trasporti degli stessi sui luoghi di applicazione. Questo aspetto geografico è solo uno dei tanti fattori che vengono presi in considerazione; difatti il criterio valutativo, consente anche l’estensione dell’eco-compatibilità nel tempo, poiché gli effetti impattanti si estrinsecano dal momento di estrazione 33

delle materie e dalla produzione degli elementi tecnologici, fino ad arrivare alla demolizione, smaltimento ed eventuale riciclo dei componenti stessi.

In questo modo è possibile individuare quali sono le maggiori categorie di danno in fase di costruzione, uso e fine vita, inquadrando quei materiali che generano un peso d’impatto maggiore all’interno delle stesse. Questo dà la possibilità di valutare quali componenti edilizi sono più impattanti e orientarsi, anche attraverso un’analisi comparativa tra diverse soluzioni, verso quelle scelte che mi consentono di apportare dei miglioramenti, al fine di ridurre l’impatto stesso.

Oltre ai progettisti, come possibili destinatari di una valutazione LCA, ci sono i produttori, i committenti, le Pubbliche Amministrazioni; ciò ovviamente va a modificare il livello di dettaglio e gli obiettivi della valutazione stessa.

L’importanza di un approccio LCA è stata anche ribadita in ambito governativo, infatti negli ultimi anni la Comunità Europea ha emanato delle prescrizioni normative per sollecitare il settore edilizio a rispondere ad esigenze di compatibilità ambientale dei propri prodotti e, in tale ottica , la metodologia LCA è diventata uno strumento importantissimo, ad esempio per lo svolgimento delle dichiarazioni ambientali di prodotto (EPD - Environmental Product Declaration), che rappresentano degli strumenti informativi, trasparenti e fondamentali per determinarne il comportamento ambientale.

L’analisi dei potenziali vantaggi ambientali ottenibili nel settore edilizio, è stata considerata in virtù del fatto che tale settore sia quello più impattante, ciò non toglie la possibilità che la metodologia possa applicarsi a tutti gli altri settori, grazie anche alla natura del metodo stesso; ciò sarà più chiaro entrando nel merito della metodologia, analizzando le disposizioni fornite dalla normativa di riferimento.

3.2

QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

Il riferimento normativo internazionale per l’esecuzione degli studi LCA, è rappresentato dalle norme: -

UNI EN ISO 14040:2006 “Gestione ambientale - Valutazione del ciclo di vita Principi e quadro di riferimento”

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UNI EN ISO 14044:2006 “Gestione ambientale - Valutazione del ciclo di vita Requisiti e linee guida”.

Tali norme descrivono come realizzare uno studio LCA completo per qualsiasi tipologia di prodotto, non si tratta dunque di norme specifiche di prodotto, ma di norme contenenti requisiti generali, applicabili a tutti i prodotti, indipendentemente dalla loro natura.

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La UNI EN ISO 14040:2006 è la norma principale, in quanto specifica la struttura del metodo LCA, i principi e i requisiti per condurre lo studio, per poi infine diffonderlo mediante report; dunque non entra nel merito dei dettagli specifici delle tecniche di valutazione.

"La presente norma descrive i principi e il quadro di riferimento per la valutazione del ciclo di vita (LCA) compresi: a) la definizione dell'obiettivo e del campo di applicazione dell'LCA; b) la fase di analisi dell'inventario del ciclo di vita (LCI); c) la fase di valutazione dell'impatto del ciclo di vita (LCIA); d) la fase di interpretazione del ciclo di vita; e) la redazione di rapporti e il riesame critico dell'LCA; f) i limiti dell'LCA; g) la relazione tra le fasi dell'LCA; e h) le condizioni per l'uso delle scelte di valore e degli elementi opzionali."

La norma inoltre, definisce alcune delle caratteristiche fondamentali della metodologia, che possiamo brevemente riassumere nei seguenti punti tratti dal documento:

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l'LCA esamina in modo sistematico gli aspetti ambientali e gli impatti dei sistemi di prodotto, dall'acquisizione delle materie prime allo smaltimento finale, in conformità con l’obiettivo e campo di applicazione definiti;

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il grado di dettaglio e l'estensione temporale dell'LCA possono variare ampiamente, in funzione della definizione dell'obiettivo e del campo di applicazione;

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l'LCA è diversa da molte altre tecniche (come la valutazione della prestazione ambientale, la valutazione dell'impatto ambientale e la valutazione del rischio) in quanto si tratta di un approccio relativo basato su un'unità funzionale; tuttavia può utilizzare le informazioni raccolte da queste altre tecniche."

La norma UNI EN ISO 14044:2006, invece, "specifica i requisiti e fornisce le linee guida per la valutazione del ciclo di vita (LCA) compresi: a) la definizione dell'obiettivo e del campo di applicazione dell'LCA; b) la fase di analisi dell'inventario del ciclo di vita (LCI); c) la fase di valutazione dell'impatto del ciclo di vita (LCIA); d) la fase di interpretazione del ciclo di vita; 35

e) la redazione di rapporti e il riesame critico dell'LCA; f) i limiti dell'LCA; g) la relazione tra le fasi dell'LCA; e h) le condizioni per l'uso delle scelte di valore e degli elementi opzionali."

3.2.1 Il nuovo codice degli Appalti e LCA Anche a livello nazionale le indicazioni normative nell’ambito della valutazione ambientale stanno diventando sempre più chiare e cogenti. Le recenti modifiche al Codice degli Appalti, che recepiscono le direttive europee 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, stabiliscono all’articolo 95 i criteri di aggiudicazione dell’appalto.

Precisamente, il Codice afferma che "i criteri di aggiudicazione sono considerati connessi all’oggetto dell’appalto ove riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell’ambito di tale appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita". In particolare, l’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto.

Nell’ambito di tali criteri possono rientrare: -

caratteristiche sociali, ambientali, contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell'opera o del prodotto, caratteristiche innovative;

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il possesso di un marchio di qualità ecologica dell'Unione europea (Ecolabel UE) in relazione ai beni o servizi oggetto del contratto;

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il costo di utilizzazione e manutenzione avuto anche riguardo ai consumi di energia e delle risorse naturali, alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all'intero ciclo di vita dell'opera, bene o servizio, con l'obiettivo strategico di un uso più efficiente delle risorse e di un'economia circolare che promuova ambiente e occupazione la compensazione delle emissioni di gas a effetto serra;

-

la compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra.

Il nuovo Codice lascia all’art.96 il compito di descrivere il significato di costo del ciclo di vita affermando che “…i costi del ciclo di vita comprendono, in quanto pertinenti, tutti i seguenti costi, o parti di essi, legati al ciclo di vita di un prodotto, di un servizio o di un lavoro: 36

a) costi sostenuti dall’amministrazione aggiudicatrice o da altri utenti quali: a. costi relativi all’acquisizione; b. costi connessi all’utilizzo, quali consumo di energia e altre risorse; c. costi di manutenzione; d. costi relativi al fine vita, come i costi di raccolta, di smaltimento e di riciclaggio; b) costi imputati a esternalità ambientali legate ai prodotti, servizi o lavori nel corso del ciclo di vita, purché il loro valore monetario possa essere determinato e verificato. Tali costi possono includere i costi delle emissioni di gas a effetto serra e di altre sostanze inquinanti, nonché altri costi legati all’attenuazione dei cambiamenti climatici”.

L’art.96 segna un cambio di scenario di grande significato. Il riferirsi, nei fatti, al Life Cycle Costing (LCC) significa passare da una logica rivolta al minor prezzo di acquisto o di realizzazione (con tutto ciò che ne consegue in termini di spese di gestione e di tempi di obsolescenza) ad un approccio più attento alle scelte tecniche e tecnologiche del progetto (con tutte le conseguenti ricadute positive in relazione ai costi di manutenzione, gestione e dismissione). Di grande significato è, inoltre, il riferimento alle problematiche ambientali correlate all’ambiente costruito che colloca il nuovo Codice in uno scenario teorico ideale che ha come punto di riferimento il Life Cycle Sustainability Assessment (LCSA).

3.3

LE ETICHETTATURE ECOLOGICHE

Nei paesi dell’Unione Europea negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso le etichette e le dichiarazioni di prodotto, di natura obbligatoria o volontaria. Queste etichettature hanno lo scopo primario di veicolare un’informazione dal produttore al consumatore o anche dal produttore all’intermediario professionista.

L’informazione quando è di natura obbligatoria riguarda nella maggioranza dei casi aspetti relativi alla salute e alla sicurezza che vanno in qualche modo a interagire con l’ambiente. Per quanto riguarda invece le informazioni di natura volontaria, queste sono nate slegate dalla logica del comando e del controllo, mirate più all’incentivazione e al coinvolgimento degli attori economici e sociali nelle dinamiche di miglioramento delle prestazioni ambientali dei prodotti. La normativa che si occupa di stabilire le linee guida e i principi per questo tipo di dichiarazioni è proprio la norma ISO 14020. Da questa norma sono stati poi individuati e regolamentati tre diversi tipi di marchi ambientali:

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I tipo (ISO 14024): impongono il rispetto dei limiti prestazionali. Sono etichette ecologiche volontarie sottoposte a certificazione esterna. Sono basate su un sistema multicriterio che considera l’intero ciclo di vita del prodotto. I criteri fissano dei valori soglia, da rispettare per ottenere il rilascio del marchio. L’organismo competente per l’assegnazione del marchio può essere pubblico o privato.

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II tipo (ISO 14021): autodichiarazione del fabbricante. Sono etichette e dichiarazioni ecologiche che riportano informazioni ambientali dichiarate da parte di produttori, importatori o distributori di prodotti, senza che vi sia l’intervento di un organismo indipendente di certificazione (tra le quali: “Riciclabile”, “Compostabile”, ecc.). La norma prevede comunque una serie di vincoli da rispettare sulle modalità di diffusione e i requisiti sui contenuti dell’informazione.

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III tipo (ISO 14025): quantificazione degli impatti associati al ciclo di vita del prodotto. Sono dichiarazioni ecologiche che riportano informazioni basate su parametri stabiliti che contengono una quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto calcolati attraverso un sistema LCA. Sono sottoposte a un controllo indipendente e presentate in forma chiara e confrontabile.

Fig. 3.1 Le tipologie di etichettatura ecologica

L’obiettivo comune di ogni marchio o etichetta ecologica è quello di incoraggiare la domanda di fornitura di prodotti che causano minore impatto ambientale lungo il loro ciclo di vita, attraverso la comunicazione di accurate e verificabili informazioni sugli aspetti

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ambientali diretti e indiretti di beni e servizi. Ci sono diverse tipologie di etichettature ambientali, tra le più importanti ci sono l'Eco-label Europeo e l'EPD.

Eco-Label Europeo L’Ecolabel è il marchio di qualità ambientale attribuito dalla Comunità Europea per identificare quei prodotti e servizi che rispettano determinati criteri ecologici e prestazionali stabiliti a livello europeo. È un sistema di adesione volontaria con l’obiettivo di incentivare le imprese a sviluppare prodotti e servizi più puliti attraverso i benefici economici derivanti dalla segnalazione alla clientela della qualità ambientale del prodotto. L’Ecolabel è stato istituito nel 1992, successivamente revisionato nel 2000. Nel 2003 la Commissione Europea ha esteso il campo di utilizzo dell’Ecolabel ai servizi di ricettività turistica per incoraggiare le strutture e i turisti al rispetto dell’ambiente al risparmio delle risorse naturali. I criteri ecologici sono in tutto 84 e si suddividono in criteri obbligatori (37 criteri) e criteri opzionali (47 criteri), a ciascuno dei quali viene attribuito un punteggio. Per questi ultimi, si dovrà dimostrare di rispettarne un numero necessario tale da raggiungere il punteggio minimo richiesto per l’ottenimento del marchio.

Il rispetto dei criteri di Ecolabel va mantenuto anche dopo l’acquisizione del marchio.

Successivamente all’assegnazione, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente trasmette all’azienda un “Piano di controllo” per il mantenimento del rispetto dei criteri Ecolabel nel tempo. Per ogni criterio è specificata la tipologia di controllo da effettuare, il riscontro dei documenti da produrre e la periodicità del controllo.

Il vantaggio principale dell’Ecolabel è quello di potersi fregiare di un riconoscimento a livello europeo attraverso il quale comunicare ai clienti il proprio impegno a favore della tutela dell’ambiente. Il ridotto impatto ambientale di un servizio può diventare per il consumatore un parametro di scelta. La presenza dell’Ecolabel, infatti, fornisce garanzie riguardo la riduzione degli sprechi energetici e di risorse, l’utilizzo di prodotti ecologici quindi più rispettosi dell’ambiente, per ridurre l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo, la riduzione e la corretta gestione dei rifiuti, l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, la protezione dell’ambiente e un’alimentazione sana e corretta, con prodotti biologici regionali.

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Oltre ad una positiva ricaduta in termini promozionali e di immagine, l’adozione di misure di carattere ambientale, anche se richiede tempi e sforzi a volte anche notevoli, contribuisce ad una considerevole economia di gestione. Il contenimento dei consumi di combustibili fossili, energia e acqua consente, a fronte di un investimento iniziale, una riduzione considerevole dei costi in quanto promuove un uso oculato e consapevole delle risorse naturali.

Dichiarazioni ambientali di prodotto (EPD) EPD è l'acronimo di Environmental Product Declaration, ovvero Dichiarazione ambientale di prodotto ed è un documento contenente informazioni ambientali quantificate riguardanti il ciclo di vita di un prodotto, che nasce per volontà del produttore e/o del fornitore e che, in seguito ad un processo di verifica dei dati contenuti, accompagna la commercializzazione del prodotto descritto. È una tipologia di asserzione ambientale non selettiva, in quanto non fissa livelli minimi per accedervi (come ad esempio l’etichettatura di tipo I), ma intende presentare in forma sintetica le informazioni ambientali significative relative al prodotto. È uno schema di certificazione volontaria di prodotto, nato in Svizzera ma di valenza internazionale. La EPD, prevista dalle politiche ambientali comunitarie e derivante dalle norme ISO 14020, è fondata sull’esplicito utilizzo della metodologia LCA, cardine attorno a cui ruota la Dichiarazione e fondamento metodologico da cui scaturisce l’oggettività delle informazioni fornite. Pur mantenendo l’attenzione sul prodotto, sia esso merce o servizio, le aziende hanno la possibilità di comunicare le proprie strategie e l’impegno ad orientare la produzione nel rispetto dell’ambiente valorizzando il prodotto stesso. La EPD, informazione di tipo III, è un documento con il quale si comunicano informazioni oggettive, confrontabili e credibili relative alla prestazione ambientale di prodotti e servizi:

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Oggettività: tale requisito è assicurato dall’utilizzo della metodologia della valutazione del ciclo di vita nel calcolo delle prestazioni ambientali; tale metodologia è regolata a livello internazionale dalle norme ISO 14040, 14041, 14042, 14043;

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Confrontabilità: il sistema EPD si basa su requisiti specifici comuni per la tipologia di prodotto/servizio in modo che sia possibile effettuare dei confronti tra più prodotti all’interno dello stesso gruppo; 40

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Credibilità: le informazioni contenute nella EPD e soprattutto la metodologia di calcolo adottata vengono verificate e convalidate da un organismo accreditato indipendente. Tali informazioni hanno carattere esclusivamente informativo, non prevedendo modalità di valutazione, criteri di preferibilità o livelli minimi che la prestazione ambientale debba rispettare.

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Lo scopo della dichiarazione ambientale di prodotto, EPD, è di fornire informazioni facilmente accessibili, confrontabili e qualitativamente controllate sulle performance ambientali di prodotti e servizi. La EPD dovrebbe essere utilizzata sia nel pubblico che nel privato come strumento per l’attuazione di politiche di acquisto sostenibile che pongano la variabile ambientale come criterio preferenziale di scelta.

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3.4

LE FASI DELLA METODOLOGIA LCA

La struttura di una analisi LCA, in accordo con la norma UNI EN ISO 14040, si articola nelle seguenti fasi: 1) definizione dell'obiettivo e del campo di applicazione (Goal and Scope Definition); 2) analisi dell'inventario (Life Cycle Inventory); 3) valutazione dell'impatto (Life Cycle Impact Assessment); 4) l'interpretazione dei risultati (Life Cycle Interpretation).

Fig. 3.2 Struttura di una Life Cycle Assessment - Fonte: UNI EN ISO 14040

3.4.1 Definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione L’obiettivo e il campo di applicazione dello studio LCA devono essere chiaramente definiti coerentemente con l’applicazione prevista. Tuttavia data la natura iterativa del processo potrebbe essere necessario revisionare l’obiettivo stesso durante la fase di studio.

Tutte le valutazioni dovrebbero essere condotte attraverso un approccio “from cradle to grave”, includendo tutte le fasi che vanno dall’acquisizione delle materie prime, fino alla dismissione con smaltimento dei rifiuti dei prodotti. Tuttavia, in alcuni casi per carenza

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di informazioni o per motivi di semplificazione atti a mettere in luce determinati aspetti, è possibile utilizzare approcci del tipo:

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“from cradle to gate” (dalla culla al cancello), considerando le fasi dall’estrazione delle materie prime fino alla produzione e assemblaggio del prodotto in azienda;

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“from gate to gate” (dal cancello al cancello), valutando solo la fase di fabbricazione del prodotto, escludendo gli approvvigionamenti e la distribuzione;

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“from gate to grave” (dal cancello alla tomba), analizzandole fasi dalla distribuzione del prodotto finito sino allo smaltimento a fine vita.

Al fine di determinare l’obiettivo, la norma definisce gli elementi che devono essere descritti in maniera chiara, ossia:

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l’applicazione prevista;

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le motivazioni alla base dello studio;

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il tipo di pubblico a cui è destinato;

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se i risultati sono usati per effettuare delle asserzioni comparative destinate alla divulgazione al pubblico.

Per quanto riguarda il campo di applicazione, la norma prevede che i seguenti elementi debbano essere presi in considerazione e descritti in maniera chiara:

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il sistema di prodotto oggetto dello studio;

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le funzioni del sistema di prodotti o dei sistemi nel caso di studi comparativi;

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l’unità funzionale;

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il confine del sistema;

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i metodi di allocazione;

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la metodologia di valutazione LCIA e i tipi di impatti;

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i requisiti di qualità dei dati;

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le limitazioni.

Sistema di prodotto Il sistema di prodotto è definito dalla norma UNI EN ISO 14040 come:

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“Insieme di processi unitari con flussi elementari e di prodotti, che espleta una o piĂš funzioni definite e modella il ciclo di vita di un prodottoâ€?.

I sistemi di prodotto si suddividono in una serie di processi unitari. I processi unitari sono collegati fra loro da flussi di prodotti intermedi e/o da rifiuti da trattare e sono collegati con altri sistemi di prodotto da flussi di prodotto e con l'ambiente da flussi elementari.

Fig. 3.3 Esempio di un sistema di prodotto per l’LCA- Fonte: UNI EN ISO14040

Fig. 3.4 Esempio di serie di processi unitari all'interno di un sistema di prodotto - Fonte: UNI EN ISO 14040

Dividere un sistema di prodotto nei processi unitari che lo compongono, rende piĂš facile l'identificazione degli elementi in ingresso e in uscita del sistema stesso. In molti casi, alcuni degli elementi in ingresso sono utilizzati come componente del prodotto in uscita, mentre altri (elementi ausiliari in ingresso) sono utilizzati in un processo unitario, ma non fanno parte del prodotto in uscita, come si nota dalla Fig. 3.3.

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La definizione del sistema consiste nell’individuazione di:

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confini temporali, che identificano l’intervallo temporale in cui i potenziali impatti ambientali del prodotto sono valutati;

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confini geografici, che definiscono il contesto geografico in cui si colloca la valutazione;

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livello tecnologico.

Un sistema può avere un gran numero di funzioni possibili e la funzione o le funzioni scelte per lo studio, dipendono dall'obiettivo e dal campo di applicazione dell'LCA.

Unità funzionale L’unità funzionale è definita dalla norma: “Prestazione quantificata di un sistema di prodotto, da utilizzare come unità di riferimento” Essa dovrà essere coerente con il campo di applicazione e sostanzialmente, fornire un riferimento ai dati in ingresso e in uscita in modo che possano essere normalizzati (in senso matematico).

Nel caso di confronti tra sistemi è importante che ciò avvenga sulla base della medesima funzione (o funzioni) e che vengano quantificate attraverso le medesime unità funzionali.

Confini del sistema I confini del sistema si definiscono: “Insieme di criteri che specificano quali processi unitari fanno parte di un sistema di prodotto”.

La definizione dei confini del sistema, determina i processi unitari che dovranno essere inclusi nell’LCA, nonché il proprio livello di dettaglio; ciò dovrà avvenire in coerenza con l’obiettivo dello studio ed inoltre la scelta dei criteri adottati, dovrà essere esplicitata e identificata.

Quando si definisce il confine del sistema, molte fasi del ciclo di vita, dei processi unitari e dei flussi dovrebbero essere prese in considerazione, come:

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acquisizione di materie prime;

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elementi in ingresso e in uscita nella sequenza principale di fabbricazione/processo; 45

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distribuzione/trasporto;

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uso e manutenzione dei prodotti;

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smaltimento di rifiuti e prodotti (compresi riuso, riciclo, recupero di energia).

Ciascun processo unitario, dovrebbe essere descritto inizialmente, allo scopo di definire: -

dove il processo unitario ha inizio, in termini di materie prime ricevute o prodotti intermedi;

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la natura delle trasformazioni e delle operazioni che si svolgono nel processo unitario;

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dove il processo unitario finisce, ovvero la descrizione dei prodotti intermedi o finali.

L’identificazione degli elementi in ingresso associati con ciascun processo unitario da modellare, può essere fatta a partire da dati raccolti da siti specifici o fonti pubblicate.

Criteri "cut-off" I criteri “cut-off” consentono di omettere dall’analisi dati di inventario, ritenuti irrilevanti ai fini dello studio. La norma UNI EN ISO 14040 definisce tali criteri di esclusione nel modo seguente: "specifica della quantità di materiale o del flusso di energia o del livello di significato ambientale associato al processo unitario o al sistema di prodotto da escludere dallo studio".

La regola generale del “cut-off” prevede l’esclusione di quei dati che risultano possedere un valore eccedente dell’1% il valore iniziale del prodotto, in termini di energia, massa e impatti ambientali.

Metodi di allocazione La norma UNI EN ISO 14040 definisce l’allocazione: "ripartizione dei flussi in ingresso e in uscita di un processo unitario o di un sistema di prodotto tra il sistema di prodotto allo studio e uno o diversi altri sistemi di prodotto".

L’attività di allocazione permette di assegnare i flussi di input e output ai diversi prodotti, attraverso procedure chiare, documentate e dettagliate. Il metodo di allocazione scelto dovrebbe essere valido per l’intero sistema di prodotto, anche se in alcuni casi vengono adottate tecniche differenti per la fase di produzione e la fase di uso e dismissione.

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In presenza di sistemi multifunzionali, ossia che prevedono più di una funzione e generano più di un prodotto, è necessario ripartire correttamente i flussi di input e output in modo tale da assegnare a ciascun prodotto la quota spettante di materia prima, energia consumata ed emissioni nell’ambiente. Questo può essere attuato attraverso una procedura che preveda di adottare i seguenti principi in modo gerarchico:

-

Suddivisione o espansione del sistema; quando è possibile applicarla, tale tecnica consente di evitare l’allocazione. La suddivisione prevede una disaggregazione dell’unità di processo in due o più sotto processi, in modo tale da delegare al ciclo di vita di un co-prodotto i relativi impatti, escludendolo dal sistema oggetto di studio. È questo il caso di un prodotto destinato ad essere riciclato, i cui output diventano input nel successivo ciclo di vita (successivo sistema di prodotto).

L’espansione del sistema prevede l’estensione dei confini per includere le informazioni aggiuntive relative al co-prodotto;

-

Allocazione basata su una relazione fisica; quando la suddivisione o estensione del sistema non può essere applicata è necessario procedere attraverso una tecnica di allocazione che preveda una ripartizione dei flussi tra i vari prodotti in base ad alcune relazioni fisiche (in base alla massa, al volume, etc.);

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Allocazione basata su altre relazioni; qualora non sia possibile applicare un’allocazione di tipo fisica si deve procedere con una ripartizione dei flussi mediante altre relazioni, ad esempio di tipo economico.

Gestione dei rifiuti, trattamento dei prodotti a fine vita I rifiuti, definiti dalla norma UNI EN ISO 14040 come: “sostanze o oggetti di cui il detentore si disfi o abbia intenzione o l’obbligo di disfarsi”, in genere possono essere soggetti a processi di:

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Incenerimento;

-

Compostaggio;

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Riciclo;

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Riuso;

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Discarica.

Le varie opzioni di gestione prevedono come principi base che: 47

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l’impatto ambientale legato al trattamento di rifiuti che non rappresentano una risorsa, sia attribuibile allo stesso produttore dei rifiuti;

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l’impatto ambientale connesso al trattamento di rifiuti che si identificano come potenziali risorse (co-prodotti), sia imputabile al successivo utilizzatore delle risorse.

La delimitazione tra due sistemi di prodotto è considerato il punto in cui il rifiuto ha il suo valore di mercato più basso. Ciò significa che al generatore dei rifiuti deve essere attribuito il pieno impatto ambientale fino al punto del ciclo di vita del suo prodotto in cui i rifiuti vengono trasportati ad un centro di trattamento o centro di raccolta. Al successivo utente viene attribuito l'impatto ambientale della lavorazione e la processazione dei rifiuti, così come connessi al valore economico del prodotto risultante, ma non l'impatto ambientale causato nei "precedenti" cicli di vita.

Fig. 3.5 Schema PP method - Fonte: EPD Supporting annexes, 2008

Tale approccio porta, pertanto, ad attribuire al generatore di rifiuti gli impatti legati al ciclo di vita del prodotto fino al suo trasporto in discarica o verso un impianto di trattamento, e ad associare al successivo utilizzatore del prodotto i carichi ambientali dovuti ai processi di trattamento della risorsa, e non gli impatti dovuti ai cicli di vita precedenti. Tale metodo è noto come “Polluter Pays (PP) allocation method” e si presenta con la seguente definizione: “The PP allocation method designates the responsibility to carry upcoming environmental impact forindividual product systems and separates interlinked product systems at the pointing in the life cycle where they have their lowest market value resulting in a business-related approach regarding the differentiation of environmental impacts”.

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Fig. 3.6 Schema del “Polluter Pays allocation method” - Fonte: EPD Supporting annexes, 2008

In linea con i principi di tale approccio, si prevedono le seguenti procedure di allocazione per ciascun tipo di trattamento del rifiuto.

-

Incenerimento: si traduce in un processo di distruzione dei materiali, che consente un recupero di energia sotto forma di calore o elettricità. Gli impatti ambientali dovuti al trasporto dei rifiuti presso l’impianto d’incenerimento, così come gli impatti causati dal processo stesso d’incenerimento sono attribuiti al produttore di rifiuti, mentre i processi necessari per rendere utilizzabile l’energia sono attribuiti al soggetto beneficiario di tale risorsa;

-

Discarica: l’impatto ambientale del trasporto dei rifiuti verso la discarica è a carico del produttore di rifiuti. In questo caso non è necessaria alcuna allocazione;

-

Riciclaggio: i prodotti soggetti a riciclo vengono esclusi dal sistema oggetto di studio e gli oneri ambientali legati al processo di trattamento sono attribuiti al sistema successivo, che utilizza come inputs i materiali riciclati;

-

Riuso: l’onere ambientale dovuto al trasporto di un elemento destinato al riutilizzo è associato al produttore dell’elemento, vale a dire che i materiali destinati a riuso abbandonano il sistema oggetto di studio e tutti gli impatti ambientali seguenti sono attribuiti all’utilizzatore successivo.

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Requisiti di qualità dei dati I requisiti di qualità dei dati specificano le caratteristiche dei dati necessari per lo studio e permettono di comprendere l’affidabilità dei risultati delle valutazioni. Essi vengono suddivisi in: -

dati primari (o specifici), provenienti dalla specifica realtà produttiva;

-

dati secondari (o generici), estratti da fonti comunemente disponibili (ad esempio banche dati o letteratura).

In genere dovrebbero essere utilizzati dati di tipo primario, ma in mancanza di essi si fa riferimento a dati secondari.

3.4.2 Analisi di inventario (LCI) È definita dalla norma UNI EN ISO 14040: "fase della valutazione del ciclo di vita che comprende la compilazione e la quantificazione degli elementi in entrata e in uscita, per un prodotto nel corso del suo ciclo di vita".

L'analisi d'inventario è un processo iterativo, che comprende la raccolta dei dati e i procedimenti di calcolo che consentono di quantificare gli elementi in ingresso e in uscita; pertanto può essere così suddivisa:

-

Raccolta dei dati;

-

Calcolo dei dati;

-

Allocazione dei flussi e dei rilasci.

Raccolta dati I dati per ogni processo unitario entro il confine dei sistemi sono classificabili in macro categorie, tra cui:

-

elementi in ingresso dell'energia, materie prime in ingresso, materiali ausiliari o altre entità fisiche in ingresso;

-

prodotti, coprodotti e rifiuti;

-

emissioni in aria e scarichi nell'acqua e nel suolo; e

-

altri aspetti ambientali.

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Man mano che i dati vengono raccolti e il sistema è meglio conosciuto, possono essere identificati nuovi requisiti o limitazioni riguardo ai dati stessi, tale da richiedere un cambiamento delle procedure di raccolta affinché siano ancora soddisfatti gli obiettivi dello studio. Talvolta possono anche emergere dei problemi che richiedono una revisione dell'obiettivo o del campo di applicazione dello studio.

Calcolo dei dati Dopo la raccolta dei dati, per produrre i risultati d'inventario del sistema definito, per ciascun processo unitario e per l'unità funzionale definita del sistema di prodotto di cui si costruisce il modello, sono necessari alcuni procedimenti di calcolo, tra cui:

-

la validazione dei dati raccolti;

-

la correlazione dei dati ai processi unitari; e

-

la correlazione dei dati al flusso di riferimento dell'unità funzionale.

Il controllo di validità può richiedere di stabilire ad esempio, bilanci di massa, di energia o analisi comparative dei fattori di rilascio, in modo da poter confermare che i requisiti di qualità dei dati siano soddisfatti per l’applicazione prevista. È necessario che per ogni processo unitario venga assegnato un flusso appropriato, in modo che gli elementi in ingresso e in uscita dal processo unitario, vengano calcolati in relazione a tale flusso. Il risultato dei calcoli, dovrebbe condurre a riferire tutti i dati degli elementi in ingresso e in uscita dal sistema, all’unità funzionale.

Allocazione Nella realtà, pochi processi industriali producono un singolo elemento in uscita o sono fondati su una linearità fra materie prime in ingresso ed in uscita. Infatti la maggioranza dei processi industriali ha più di un prodotto e ricicla i prodotti intermedi o di scarto come fossero materie prime.

Si dovrebbe tenere in considerazione la necessità di procedure di allocazione, come appunto visto nel precedente paragrafo, trattando sistemi che concernono prodotti multipli e sistemi di riciclaggio.

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Fig. 3.7 Schema semplificato per l’analisi d’inventario - Fonte: UNI EN ISO 14044

La modellazione attribuzionale e consequenziale Nella redazione di uno studio LCA si possono seguire due differenti tipi di approccio: attribuzionale e consequenziale. Si riporta testualmente la definizione prelevata dall' ILCD Handbook:

-

The attributional life cycle model depicts its actual or forecasted specific or average supply-chain plus its use and end-of-life value chain. The existing or forecasted system is embedded into a static technosphere.

-

The consequential life cycle model depicts the generic supply-chain as it is theoretically expected in consequence of the analysed decision. The system interacts with the markets and those changes are depicted that an additional demand for 52

the analysed system is expected to have in a dynamic technosphere that is reacting to this additional demand.

La modellazione attribuzionale, per quantificare l'inventario, descrive i potenziali impatti ambientali che possono essere attribuiti ad un sistema (ad esempio ad un prodotto), nel suo intero ciclo di vita. Essa utilizza dati storici, fattuali, misurabili di incertezza nota ed include tutti i processi che sono stati identificati per contribuire in modo significativo al sistema oggetto dello studio. Cioè il sistema è modellato come è, è stato o è previsto che sia. Ciò si applica anche agli altri sistemi di contorno, utilizzando dati specifici dagli effettivi fornitori o dati medi quando derivanti da un misto di produttori o tecnologie. (ad esempio si utilizza il dato medio della produzione dell'energia elettrica italiana, compreso l'import e l'export).

La modellazione consequenziale è finalizzata a identificare le conseguenze che una decisione presa sul sistema in oggetto comportano su altri processi e sistemi dell'economia.

Si modella il sistema in oggetto intorno a queste conseguenze. In pratica il modello di ciclo di vita consequenziale non rappresenta la reale (o prevista) filiera produttiva ma un'ipotetica catena di fornitura come pronosticata attraverso meccanismi di mercato e potenzialmente comprendendo interazioni politiche e cambiamenti di comportamento dei consumatori. Un elemento chiave della modellazione consequenziale è l'individuazione dei processi marginali, cioè quelli che sono affetti dalla decisione oggetto dell'analisi. Per valutare le conseguenze di mercato si utilizzano modelli di equilibrio generale o parziale.

Centrale è perciò una comprensione dei mercati e come cambiamenti diretti ed indiretti causano cambiamenti nella domanda ed offerta di altri beni e servizi. Ad esempio l'introduzione di un'auto elettrica comporta una riduzione di domanda di combustibili fossili ed un incremento di domanda di energia elettrica.

3.4.3 Valutazione dell’impatto del ciclo di vita (LCIA) La norma UNI EN ISO 14040 definisce l’LCIA: "fase della valutazione del ciclo di vita orientata a comprendere e a valutare l'ampiezza e l'importanza dei potenziali impatti ambientali di un sistema di prodotto nel corso del ciclo di vita del prodotto".

Ha lo scopo di convertire i dati precedentemente elaborati nella fase di inventario, in potenziali danni ambientali, attraverso un processo tecnico-quantitativo che li associa a specifiche categorie di impatto ambientale e indicatori di categoria, giungendo così alla comprensione degli stessi. Sostanzialmente vengono valutati e quantificati gli effetti nocivi 53

sulla salute e sull’ambiente, prodotti dall’oggetto dell’analisi durante il suo ciclo di vita.

Il livello di dettaglio, nonché la scelta degli impatti su cui soffermarsi maggiormente e la metodologia di valutazione degli impatti da utilizzare, dipenderanno dall’obiettivo e dal campo di applicazione dello studio.

Tale procedimento di valutazione dell’impatto, si articola nelle seguenti fasi: a) Definizione delle categorie d’impatto, degli indicatori di categoria e dei modelli di caratterizzazione.

La selezione delle categorie d’impatto deve riflettere una serie completa di problemi ambientali, correlati al sistema di prodotto dello studio.

In genere le categorie di impatto maggiormente utilizzate sono:

-

Effetto serra;

-

Acidificazione potenziale;

-

Formazione di smog fotochimico;

-

Riduzione dello strato di ozono stratosferico;

-

Eutrofizzazione potenziale;

-

Consumo di risorse energetiche;

-

Consumo di risorse energetiche non rinnovabili.

Ogni categoria d’impatto è composta da: -

l’identificazione della finalità di categoria;

-

la definizione dell’indicatore di categoria (utile a determinare le finalità di categoria);

-

l’identificazione dei risultati LCI tali da poter essere assegnati alla categoria d’impatto;

-

l’identificazione del modello e dei fattori di caratterizzazione.

54

Fig. 3.8 Schema della categoria d’impatto “acidificazione” - Fonte: ISO 14044

A seconda del meccanismo ambientale e dell’obiettivo e campo di applicazione dello studio, si dovrebbe considerare la differenziazione spaziale e temporale del modello di caratterizzazione che mette in relazione i risultati LCI all’indicatore di categoria.

b) Classificazione È la fase in cui i dati raccolti precedentemente nell’inventario, vengono assegnati ad una o più categorie d’impatto ambientale. c) Caratterizzazione delle emissioni e delle risorse nelle categorie d’impatto I dati presenti nell’inventario, una volta assegnati alle categorie d’impatto classificate precedentemente, vengono convertiti in contributo (ovvero in unità comuni) relativo alla categoria d’impatto di ogni singola sostanza emessa o risorsa utilizzata, moltiplicandoli per dei fattori di caratterizzazione. I fattori di caratterizzazione, misurano l’intensità dell’effetto della sostanza sul problema ambientale considerato ed è stabilito da una autorità, sulla base di considerazioni di carattere scientifico. Come risultato della fase di caratterizzazione, abbiamo il profilo ambientale del prodotto. d) Caratterizzazione delle categorie d’impatto nelle categorie di danno

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A questo punto, i valori del danno, dovuto alle categorie d’impatto, vengono moltiplicati per dei fattori di damage assessment e sommati nelle rispettive categorie di danno.

Elementi opzionali dell’LCIA Data l’esistenza di più di un metodo di valutazione dell’impatto, potrebbero essere presenti degli elementi opzionali, come quelli indicati nel seguito, che non tutte le metodologie contemplano:

e) Normalizzazione

Lo scopo della normalizzazione è quello di comprendere meglio la grandezza dei risultati degli indicatori (dopo la caratterizzazione). In pratica i valori dell’indicatore, vengono divisi per dei valori di riferimento rappresentati da dati medi elaborati su scala mondiale, regionale o europea e riferiti ad un determinato periodo di tempo.

Attraverso la normalizzazione è possibile quindi stabilire l’intensità dell’impatto ambientale del sistema studiato rispetto alla media dell’impatto generato dall’uomo nell’area geografica prescelta. I fattori di normalizzazione fano riferimento alle categorie di danno.

f) Ponderazione

Per ogni categoria di impatto o di danno, avviene una pesatura dei risultati degli indicatori (nonché le quantità di impatto prodotte dall’oggetto rese confrontabili per effetto della normalizzazione). Quindi i valori degli effetti, vengono moltiplicati per dei fattori peso che intendono esprimere l’importanza relativa attribuita alle differenti tipologie d’impatto, a seconda della criticità.

3.4.4 Interpretazione del ciclo di vita L'interpretazione è la fase dell'LCA nella quale i risultati ottenuti nell'analisi d'inventario e nella valutazione d'impatto vengono combinati fra loro.

La fase di interpretazione dovrebbe fornire risultati in coerenza con l'obiettivo e il campo di applicazione definiti, al fine di trarre conclusioni, spiegare le limitazioni e fornire raccomandazioni. Perciò, l'interpretazione dovrebbe riflettere il fatto che i risultati dell'LCIA si basano su un approccio relativo, che indicano potenziali effetti ambientali e che non

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prevedono gli impatti effettivi sulle finalità di categoria, il superamento delle soglie o i margini di sicurezza o i rischi.

Le risultanze dell'interpretazione possono prendere la forma di conclusioni e raccomandazioni indirizzate a coloro che debbono prendere le decisioni, in coerenza con l'obiettivo e il campo di applicazione dello studio.

La fase di interpretazione può generare un procedimento iterativo di riesame e di revisione del campo di applicazione dell’LCA, come pure della natura e della qualità dei dati raccolti per conseguire l'obiettivo definito.

3.5

IL METODO LCA IN EDILIZIA

Fig. 3.9 Rappresentazione grafica del metodo LCA in edilizia

Il settore delle costruzioni gioca un ruolo importante nel fabbisogno umano, come per esempio la fornitura di abitazioni, di ospedali e di infrastrutture per il trasporto. In tutto questo sono incluse le spese per l’intensivo utilizzo delle risorse minerarie ed energetiche come così come la produzione di rifiuti. L’elevata evoluzione continua delle performance energetica dei componenti dell’edilizia rende quello delle costruzioni tra i campi di applicazione della LCA potenzialmente più interessanti. Esso è uno strumento molto utile alla caratterizzazione di un sistema complesso sia dal punto di vista degli impatti ambientali che genera, sia da quello dei suoi flussi di energia e materia. Questo strumento ha iniziato ad essere utilizzato per il conseguimento di certificazioni come l’Ecolabel, per la comparazione di varie alternative tecnologiche nell’isolamento termico degli edifici, per la definizione dei potenziali impatti ambientali derivanti dalle richieste energetiche degli

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edifici, per la definizione delle riduzioni di emissioni di CO2 nel campo edilizio in relazione ai materiali adottati, come strumento di analisi dei consumi energetici di ciascuna parte di una costruzione, etc. (Kofoworola & Gheewala, 2008).

La LCA in edilizia è stata usata a partire dal 1990, diventando uno strumento sempre più importante nell’ambito della progettazione edilizia. Secondo Curran (in "Current Opinion in Chemical Engineering" 2013, 2:1–5) il metodo più appropriato per una valutazione olistica è la LCA, richiesto per promuovere le migliori metodologie, per valutare, analizzare e controllare il ciclo di vita, per impedire gli impatti ambientali e assistere il campo delle tecnologie ingegneristiche di costruzione (Ortiz et al., 2009).

3.5.1 Il processo edilizio Poiché al settore edilizio è imputabile una consistente quota di impatti ambientali, lo strumento del Life Cycle Assessment risulta particolarmente idoneo, permettendone di valutare i carichi energetici ed ambientali dei prodotti, processi ed attività. Il processo edificatorio crea notevoli impatti sull’ambiente in tutte le fasi di vita, dall’approvvigionamento delle materie prime alla produzione e al trasporto, fino alla dismissione dell’edificio e allo smaltimento delle macerie da demolizione: -

Fase di estrazione e trattamento delle risorse primarie impiegate analizzando gli eventuali problemi di impatto ambientale e paesaggistico, nonché di depauperamento delle risorse;

-

Fase di produzione e lavorazione, tenendo conto dei danni all’ambiente esterno dovuti alle emissioni di inquinanti, agli scarti di trasformazione e al consumo di energia;

-

Fase di trasporto e distribuzione, confrontando il consumo di energia in rapporto alla quantità di prodotto dislocato e alla distanza tra zona di produzione e di consumo, contemplando anche i problemi connessi a sversamenti accidentali di materiale e tenendo conto dei consumi energetici e delle emissioni prodotte;

-

Fase di posa in opera, analizzando i problemi di inquinamento negli ambienti confinanti per il rilascio di sostanze tossiche, di radioattività, di umidità o di adsorbimento di inquinanti interni;

-

Fase di manutenzione e sostituzione, in rapporto al tipo di materiale edilizio utilizzato, ai prodotti impiegati per la pulizia e il mantenimento in efficienza, alla durabilità e quindi alla periodicità degli interventi di manutenzione;

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-

Fase di uso, riuso e riciclo, al fine di limitare lo sfruttamento delle risorse disponibili e ridurre la produzione dei rifiuti e i problemi di inquinamento del suolo ad esso connessi;

-

Fase di demolizione e di ristrutturazione, prendendo in considerazione i problemi correlati allo smaltimento finale degli inerti e degli altri rifiuti speciali, e valutando la possibilità di recupero dei singoli componenti attraverso processi di riciclo nella fase di produzione (Nuzzo & Tomasinsig, 2008).

Per influire sulla riduzione degli impatti nel settore edilizio occorre dunque agire sinergicamente sia sul fronte della produzione edilizia (e dunque sugli impatti relativi a tutto l’indotto: approvvigionamento delle materie prime, risorse energetiche, produzione, riciclaggio, dismissione dei rifiuti da demolizione) sia sul fronte della progettazione dell’edificio (risparmio energetico, tecniche costruttive per la manutenzione e il disassemblaggio, flessibilità ed attendibilità per prolungare la vita utile dell’edificio, riqualificazione). Data la connessione esistente tra energia, ambiente e sviluppo, per minimizzare l’impatto ambientale delle costruzioni e allo stesso tempo muoversi verso modelli di società sostenibile, è necessario considerare il bilancio globale relativo al ciclo di vita dell’edificio.

L’edilizia è uno dei settori dell’urbanistica che maggiormente necessita di questa applicazione per poterne controllare gli impatti ambientali; fornisce, a tutti gli effetti, le infrastrutture necessarie a qualsiasi tipo di attività o necessità, che siano di carattere industriale, commerciale, di servizio e utilità, o di semplice residenza; l’edilizia soddisfa perciò uno dei bisogni più basilari e necessari dell’uomo. Dalla revisione della letteratura scientifica si nota che l’analisi del ciclo di vita dell’intero edificio considerato come processo non è statica: varia da edificio a edificio a seconda della propria funzione e delle differenti caratteristiche ingegneristiche (Ortiz et al., 2009). Nell’affrontare l’analisi del ciclo di vita di un edificio sorgono problemi di difficile risoluzione, primo tra tutti la difficoltà di valutare un edificio nel suo complesso poiché questi è un prodotto di lunga vita, di grandi dimensioni, costituito da svariati materiali diversi nelle caratteristiche e nella funzionalità, e dinamico, poiché i servizi o le attività al suo interno hanno in genere vita più breve, causando cambi di utilizzo e, quindi, di comportamento (energetico, ambientale, etc.) anche durante la sua vita utile. La letteratura evidenzia un’ampia varietà in merito alla durata della vita utile degli edifici, da 22 anni fino ad anche più di 100, alla tipologia costruttiva e alle consuetudini locali (De Meester et al., 2009). La maggior parte degli studi assume una durata di 75-80 anni (Kellenberger & Althaus, 2009). Gli edifici 59

inoltre sono normalmente elementi unici, causano impatti locali, sono integrati con le infrastrutture, i confini del sistema non sono chiari, etc. Ciò implica che fare la LCA completa di un edificio non sia un processo diretto come invece è per altri prodotti di consumo (Bribián et al., 2009). Per questo motivo la produzione edile è molto meno standardizzata della maggior parte delle attività di lavorazione e manifatturiere, proprio a causa dell’unicità di ogni specifica costruzione. Oltretutto, ci sono condizioni dinamiche in ogni fase della vita di un edificio che possono influenzare il bilancio dei carichi ambientali: cambiamenti nella futura disponibilità delle risorse, nelle performance degli impianti, nelle regolamentazioni ambientali, nel comportamento degli occupanti, etc.

Quando si discutono gli impatti del ciclo di vita di un edificio, è quindi importante valutare scenari multipli (Scheuer et al., 2003). In letteratura si trovano anche discussioni circa i limiti della LCA sugli edifici: Reijnders afferma che a causa della scala e della durata della vita utile degli edifici, e della risoluzione dei dati richiesti, solo gli impatti materiali e operativi possono esser attualmente valutati, mentre altri argomenti quali ad esempio il confort interno vanno oltre gli scopi di un tipico LCA (Scheuer et al., 2003).

3.5.2 Le fasi di vita dell'edificio La ripartizione tra le tre fasi di vita di un edificio (costruzione, fase operativa, fine vita) è funzione, tra le altre variabili, dello stato di conservazione dell’edificio. Studi dimostrano infatti che, mentre gli edifici di nuova e più efficiente concezione consumano solo una frazione dell’energia consumata dai corrispettivi edifici risalenti agli anni settanta, l’energia spesa per la fase di costruzione è rimasta più o meno invariata, se non addirittura aumentata (Nässén et al., 2007). Per fare una valutazione LCA di un edificio di nuova costruzione occorre anzitutto definire la durata della vita utile dell’edificio stesso (in relazione alla funzione a cui è destinato) e del sistema impiantistico. Da tali durabilità dipendono infatti i cicli manutentivi e la quantità di energia complessiva derivante dall’uso dell’edificio.

Gli oneri di costruzione comprendono l’elettricità utilizzata per alimentare gli strumenti di lavoro e d’illuminazione, così come il carburante usato per le macchine più pesanti impiegate per la costruzione del sito e per il trasporto dei materiali dai luoghi di preparazione e lavorazione al sito. Sono inoltre da tenere in considerazione le attività di preparazione del cantiere, le installazioni strutturali e di sviluppo, l’equipaggiamento di tipo meccanico ed elettronico e le rifiniture interne. Gli impatti ambientali di questa fase sono quindi la conseguenza dei consumi sul sito di costruzione, delle emissioni dovute alla 60

lavorazione ed al trasporto al sito finale dei materiali da costruzione dai vari luoghi di estrazione. La fase operativa risente soprattutto delle attività di riscaldamento e condizionamento dell’edificio, dell’illuminazione artificiale e del consumo dei dispositivi elettrici e della fornitura di acqua sanitaria. Stime relative all’energia primaria associata alla fase operativa dell’edificio (principalmente per riscaldamento e condizionamento degli ambienti interni) varia su di un largo range, può rappresentare solo il 5%, fino anche a divenire più del 50% dell’energia necessaria a tutta la vita dell’edificio. Numerosi studi basati su dati relativi agli Stati Uniti suggeriscono che la porzione di energia e di emissioni di CO2 causata delle costruzioni americane equivale a circa un decimo di quella necessaria al loro successivo sostentamento sotto forma di riscaldamento e condizionamento, considerata una vita media di 75-100 anni (Upton et al., 2008; Nuzzo & Tomasinsig, 2008).

L’ultima fase della vita di un edificio è quella della sua demolizione e dello smaltimento di ciò che ne rimane; questa fase è spesso riassunta nel deposito in discarica della maggior parte dei materiali; le emissioni sono in maggior parte dovute ai macchinari di demolizione e a quelli di trasporto delle macerie dal sito dell’edificio alla discarica (Kofoworola & Gheewala, 2008). La fase di fine vita, specialmente dei materiali minerali, può contribuire significativamente alla LCA e le diverse opzioni di smaltimento, fortemente influenzate dal tipo di costruzione, dalle modalità di utilizzo dei materiali, e dalle consuetudini di smaltimento sito-specifiche, possono avere impatti ambientali molto differenti.

61

4

CAPITOLO IV

IL CASO DI STUDIO 4.1

INTRODUZIONE

Il lavoro di tesi si si propone di testare la metodologia LCA per identificare le criticità ambientali derivanti da differenti soluzioni tecnologiche, al fine di esplicitare le ricadute in termini di danno ambientale delle scelte effettuate in ciascuna fase del ciclo di vita. Per lo studio si è optato di applicare questo approccio al sub-sistema tecnologico delle chiusure verticali esterne opache. In particolare si è scelta la soluzione a "cappotto" poiché si tratta di una tecnologia molto diffusa in edilizia per via della semplice posa in opera e per via dell'ottimo isolamento termico conferito alle murature di tamponamento. Per tali motivi è stato effettuato una valutazione comparativa tra due soluzioni tecnologiche che variano per una sola componente: il supporto murario. Infatti il confronto è tra una muratura eseguita a regola d'arte in laterizio, la più diffusa in assoluto in Italia, ed una con supporto in calcestruzzo autoclavato, materiale abbastanza recente e poco utilizzato in Italia, con delle ottime proprietà termiche.

4.1.1 Il software Simapro Il software utilizzato in questo lavoro di tesi per calcolare gli impatti ambientali di uno studio LCA è Simapro.

Questo programma è stato sviluppato dall’azienda olandese PRé (Product Ecology) Consultants a partire dal 1990 come strumento generale di lavoro in grado di realizzare le valutazioni dei carichi ambientali dei prodotti e dei processi industriali e in seguito anche gli impatti dei servizi, come la gestione integrata dei rifiuti. Simapro è in grado di analizzare i dati ambientali di prodotti e processi complessi, a partire dalla estrazione della materia prima fino alla dismissione. Il programma rispetta le norme della serie ISO14040 e contiene una banca dati di riferimento, modificabile secondo necessità, comprendente i dati più frequentemente richiesti sui materiali, sui processi di produzione, sulla generazione di energia, sulla distribuzione e sullo smaltimento dei prodotti. L’unità fondamentale di cui è costruita l’intera struttura del sistema è il processo. Ogni processo ha alcuni campi che sono compilabili e riguardano: -

Input da altri processi (processi che sono descritti a loro volta nel database);

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-

Output; ogni processo ne ha uno, spesso ne può avere molteplici;

-

Output di rifiuti per ulteriori trattamenti, quali processi di depurazione, incenerimento, etc.;

-

Processi evitati (possibile utilizzo in ambito di problemi di allocazione e di gestione dei confini di sistema);

-

Emissioni in aria, in acqua e al suolo;

-

Rifiuti solidi finali;

-

Emissioni non materiali, quali radiazioni e rumore;

-

Impatti sociali ed economici;

Questi campi sono organizzati in progetti, o in librerie, e i valori d’impatto dei dati vengono forniti dal programma o da altre banche dati incluse nel software. Le banche dati sono un elemento fondamentale in una LCA poiché tutti i processi delle banche dati di cui si dispone possono in qualsiasi momento essere corretti ed integrati, fornendo la possibilità di creare nuovi processi o materiali, o di modificare quelli già esistenti, adattandosi alle necessità del caso studiato (Neri, 2007). Le banche dati forniscono gli elementi base per proseguire lo studio e in Simapro ne sono presenti circa 9: Ecoinvent Processes, DK Input Output Database 99, BUWAL 250, ETH-ESU 96 Processes, Franklin USA 98, IDEMAT 2001, Industry Data, LCA Food DK, USA Input Output Database 99. Il database Ecoinvent è l’archivio di dati scientifici dal quale sono stati attinti tutti i processi utilizzati nel nostro caso di studio. Esso contiene un inventario dettagliato relativo alla produzione e all’uso di energia e di materiali (chimici, metallici, plastici), alle attività agricole, ai servizi di smaltimento, ai trasporti.

I processi sono suddivisi secondo l’ambito dal quale traggono origine e sono suddivisi in 7 categorie: Materiali, Energia, Trasporto, Processo in corso, Uso, Scenario di smaltimento e Processo di Smaltimento, ognuna delle quali ulteriormente suddivisa in sottocategorie. Ogni processo può essere collegato ad un altro processo creando delle relazioni formando così una struttura ad albero di un intero sistema di produzione. Il programma è strutturato in quattro parti fondamentali, in cui vengono analizzati gli scopi e obiettivi (Goal and Scope), seguiti da un’analisi di inventario (Inventory), da un’analisi degli impatti (Impact Assessment) e da una fase di interpretazione e miglioramento (Interpretation), come in letteratura.

Il primo passo perciò è quello di creare un nuovo progetto nel quale viene definita l’unità funzionale l’obiettivo e il flusso di riferimento. I confini del sistema sono invece determinati dal numero di unità di processo che si vuole includere nel’analisi LCA. 63

In secondo luogo vengono inseriti i dati dell’analisi d’inventario, perciò i dati relativi a consumo di materie prime ed energia e emissioni; quindi vengono creati tutte le unità di processo che servono per la produzione del prodotto studiato. Completata l’analisi d’inventario viene scelto il metodo di valutazione degli impatti e il programma, una volta fatto girare, restituisce, attraverso tabelle e grafici (anche ad albero), l’impatto di tutte le unità del processo prese in considerazione. Per quanto riguarda gli impatti Simapro fornisce un’ampia varietà di metodi di valutazione tra i quali ci sono: CML 2001, Eco-Indicator 99, EPS 2000, EDIP 2003, IMPACT 2002+, BEES, IPCC 2007 GWP, etc. Sta all’utente scegliere che tipo di metodo di valutazione utilizzare.

4.2

CASO DI STUDIO

Il caso di studio prevede la realizzazione di 1 m2 di parete multistrato a cappotto con strato isolante posto verso l’esterno. Si provvederà a caratterizzare tale semplice struttura, svincolata dall’organismo edilizio, attraverso le diverse proprietà e composizioni dei singoli materiali analizzati e si procederà ad analizzare i risultati nel software Simapro. Si analizzeranno quindi i risultati di una valutazione LCA considerando la parete prima realizzata in muratura di laterizio e poi la stessa parete realizzata mediante un supporto murario in calcestruzzo autoclavato. Infine si interpreteranno i risultati che emergeranno dal reciproco confronto. È importante sottolineare che, affinché le soluzioni possano essere confrontabili, è stato necessario uguagliare un parametro significativo, in questo caso si è scelto quello della trasmittanza termica.

La volontà è stata quella di scegliere un caso significativo ma allo stesso semplice in cui è possibile ricostruire tutti i flussi che hanno portato alla determinazione dei risultati. Il lavoro perciò si concentra sull'impianto metodologico utile alla determinazione dei flussi presenti all'interno di una valutazione LCA, sulla selezione delle informazioni presenti sul mercato dell'edilizia e trasferirle in un approccio LCA. In secondo luogo c'è la volontà di indagare il comportamento di un materiale così largamente utilizzato nei paesi del nord Europa in un clima mediterraneo, valutandone gli impatti e confrontandoli successivamente con la soluzione a cappotto in laterizio.

Dietro al largo utilizzo del cappotto esterno ci sono diversi vantaggi progettuali: -

Eliminazione semplificata dei ponti termici;

-

Protezione delle strutture da sbalzi termici;

-

Sfruttamento dell’inerzia termica dell’edificio;

-

Riduzione dei tempi di cantiere rispetto alle tipiche soluzioni a doppia fodera; 64

-

Miglior comportamento verso le azioni dinamiche;

-

FacilitĂ di intervento allo strato isolante rispetto alle tipiche soluzioni a doppia fodera;

-

Diminuzione dei consumi di combustibile per via della riduzione dei consumi energetici (nelle valutazioni energetiche, l’apporto relativo ai ponti termici può risultare molto importante se valutato correttamente);

-

Limitazione del rischio di condensazione e di formazione di muffe;

-

Aumento del comfort abitativo interno.

Risulta quindi interessante valutare il comportamento del calcestruzzo autoclavato all'interno di una soluzione tecnica ormai standardizzata con l'utilizzo del laterizio.

4.2.1 Cappotto esterno con supporto in laterizio

1. Blocchi in laterizio 2. Collante 3. Pannelli EPS 4.Tasselli di fissaggio 5. Rasante 6. Rete fibrorinforzata 7. Finitura

Fig. 4.1 Modello 3D della chiusura verticale esterna con muratura in laterizio

Dapprima si intende caratterizzare la parete: si tratta di una parete a cappotto in blocchi di laterizio 24,5 x 35 x 25 cm spessore 35 cm rettificati, ammaltati con malta a base di calce idraulica naturale di densitĂ 1800 Kg/m3 e spessore di 7 mm; i laterizi posseggono 65

dei giunti verticali dotati di incastri e verranno posati a secco. Intonaco di spessore 1,5 cm su entrambi i lati e cappotto esterno in Polistirene Espanso Sintetizzato (s = 5 cm). La trasmittanza è pari a 0,213 W/m2K.

STRATIGRAFIA STRUTTURA

DIAGRAMMA PRESSIONI (mese critico: febbraio)

La struttura non è soggetta a fenomeni di condensa interstiziale.

La verifica superficiale è verificata. Valore massimo ammissibile di U = 0,9367 W/m2K (mese critico: febbraio).

Tab. 4.1 Verifica della parete a fenomeni di condensa interstiziale e verifica superficiale

N

DESCRIZIONE

s

λ

C

M.S.

R

STRATO

[mm]

[W/mK]

[W/m²K]

[kg/m²]

[m²K/W]

(dall'interno all'esterno) 1

Adduttanza interna

0

2

Intonaco interno

15

0,49

32,667

21,75

0,031

3

Blocchi laterizio 24,5 x 35x

350

0,11

0,314

253,75

3,182

50

0,04

0,792

1

1,263

0,38

25,333

14,25

0,039

25 cm 4

Polistirene Espanso Sinterizzato

5

Intonaco Esterno

15

6

Adduttanza Esterna

0

7,7

0,13

25

0,04

RESISTENZA = 4,684 m²K

TRASMITTANZA = 0,213 W/m²K

SPESSORE = 430 mm

MASSA SUPERFICIALE = 255 kg/m²

Tab. 4.2 Parametri termici della struttura con muratura in laterizio

66

Altri parametrici termici da non sottovalutare per apprezzarne l'efficienza, pur non essendo presi in considerazione ai fini della definizione dell’unità funzionale, sono: -

Capacità Termica Areica (int.) = 37,365 kJ/m²K

-

Trasmittanza Termica Periodica = 0,00 W/m²K

-

Fattore Di Attenuazione = 0,02

-

Sfasamento = -2,16 h

4.2.2 Cappotto esterno con supporto in calcestruzzo autoclavato

1. Blocchi in AAC 2. Collante 3. Pannelli EPS 4.Tasselli di fissaggio 5. Rasante 6. Rete fibrorinforzata 7. Finitura

Fig. 4.2 Modello 3D della chiusura verticale esterna con muratura in calcestruzzo autoclavato

Si caratterizzi la parete: Parete a cappotto in blocchi in calcestruzzo autoclavato 62,4 x 19,9 x 24 cm, spessore quindi di 24 cm ammaltati con malta di cemento di densità 1500 Kg/m3 e spessore di 3 mm. Intonaco di spessore 1,5 cm su entrambi i lati e cappotto esterno in Polistirene Espanso Sintetizzato (s = 5 cm). La trasmittanza è pari a 0,213 W/m2K.

67

STRATIGRAFIA STRUTTURA

DIAGRAMMA PRESSIONI (mese critico: febbraio)

La struttura non è soggetta a fenomeni di condensa interstiziale.

La verifica superficiale è verificata. Valore massimo ammissibile di U = 0,9367 W/m2K (mese critico: febbraio).

Tab. 4.3 Verifica della parete a fenomeni di condensa interstiziale e verifica superficiale

N

DESCRIZIONE

s

λ

C

M.S.

R

STRATO

[mm]

[W/mK]

[W/m²K]

[kg/m²]

[m²K/W]

(dall'interno all'esterno) 1

Adduttanza interna

0

2

Intonaco interno

15

0,49

32,667

21,75

0,031

3

Blocchi calcestruzzo auto-

240

0,075

0,313

78

3,2

50

0,04

0,792

1

1,263

0,38

25,333

14,25

0,039

clavato 62,4 x 19,9 x 24 cm 4

Polistirene Espanso Sinterizzato

5

Intonaco Esterno

15

6

Adduttanza Esterna

0

7,7

0,13

25

0,04

RESISTENZA = 4,703 m²K

TRASMITTANZA = 0,213 W/m²K

SPESSORE = 320 mm

MASSA SUPERFICIALE = 78 kg/m²

Tab. 4.4 Parametri termici della struttura con muratura in calcestruzzo autoclavato

Altri parametri utili ma non considerati ai fini della definizione dell’unità funzionale: -

Capacità Termica Areica (int.) = 31,059 kJ/m²K

-

Trasmittanza Termica Periodica = 0,04 W/m²K

-

Fattore Di Attenuazione = 0,19

-

Sfasamento = -11,92 h

68

4.2.3 Posa in opera del sistema a cappotto

La posa in opera di un sistema a cappotto di tipo esterno è abbastanza semplice ma richiede l'applicazione di alcune regole che determinano l'efficacia e la funzionalità del pacchetto murario. Trascurando la posa in opera delle due murature che è differente per via dell'uso di differenti materiali (laterizio in un caso e calcestruzzo autoclavato nell'altro) ma realizzata nelle modalità tradizionali, analizziamo le fasi di posa del cappotto termico che saranno le medesime in entrambi i casi poiché i materiali sono gli stessi.

La posa in opera del cappotto termico dovrà essere effettuata a temperature dell’aria e del supporto comprese tra +5°C e +30°C; le superfici devono essere pulite ed in caso contrario si dovrà procedere alla rimozione di polvere, sporco, tracce di disarmante, parti sfarinanti ed incoerenti, ecc. mediante lavaggio con acqua pulita a bassa pressione

Fase 1 | Partenza Per la partenza è possibile utilizzare due metodi: con utilizzo di profili di partenza o mediante l’utilizzo di pannelli da zoccolatura.

-

Fissaggio dei profili di partenza: prima della posa in opera dei pannelli è necessario determinare l’altezza della zoccolatura; successivamente si può procedere al montaggio dei profili di partenza, allineati in bolla, con gli appositi tasselli ad un interasse di 20-30 cm. Eventuali irregolarità del supporto vanno compensate tramite opportuni distanziatori.

-

Pannelli per zoccolatura: in corrispondenza della zoccolatura dell’edificio, nell’area a contatto con spruzzi d’acqua o al di sotto del livello del terreno, in alternativa al profilo di partenza si possono utilizzare pannelli in polistirene stampato ad alta densità oppure pannelli in polistirene estruso con superfici goffrate.

Fase 2 | Stesura del collante Il collante viene preparato secondo le istruzioni contenute in scheda tecnica o sul sacco.

Esso deve essere applicato unicamente sul pannello, e può essere applicato a mano oppure a macchina. L’applicazione a mano può essere effettuata secondo tre diverse modalità a seconda della natura del supporto:

69

Fig. 4.3 Applicazione del collante sul pannello isolante. A sinistra: applicazione su tutta la superficie; al centro: applicazione a "strisce e punti"; a destra: applicazione con intonacatrice

Nel nostro caso verrà utilizzato il metodo di applicazione su tutta la superficie, consono per l'incollaggio di pannelli EPS.

Fase 3 | Posa dei pannelli isolanti Prestare attenzione allo stoccaggio in cantiere dei pannelli isolanti. Evitare l’esposizione agli agenti atmosferici ed in particolare proteggere le lastre dall’azione diretta della luce.

I pannelli devono essere applicati alla parete, dal basso verso l’alto, a giunti sfalsati, evitando la presenza di fessure tra i pannelli ed esercitando una leggera pressione con le mani.

In corrispondenza degli spigoli i pannelli devono essere alternati in modo da garantire un assorbimento delle tensioni. Porre particolare attenzione a non utilizzare collante in corrispondenza delle teste dei pannelli.

I pannelli vanno incollati tra di loro negli angoli quando lo spessore supera determinati limiti, utilizzando un collante poliuretaFig. 4.4 Posa dei pannelli isolanti negli angoli

nico. Pezzi di pannello di larghezza relativamente piccoli (circa 15 cm) sono ammissibili ma non vanno mai utilizzati in corri-

spondenza degli spigoli bensì solo su superfici piene.

Durante l’installazione dei pannelli, essi vanno battuti con frattazzo di legno o plastica per farli aderire il più possibile al supporto. È importante controllare spesso la planarità di tutta la superficie con una staggia. Piccole differenze di planarità tra i pannelli in EPS possono essere aggiustate tramite carteggiatura della superficie dei pannelli, avendo cura poi di pulire in maniera ottimale la superficie da rasare.

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La posa delle lastre deve essere pianificata in maniera da prevedere che i giunti tra i pannelli siano sfalsati sia rispetto alle aperture di porte e finestre, sia rispetto alla presenza di discontinuità di materiali nel supporto.

Fase 4 | Tassellatura Il fissaggio meccanico supplementare tramite tasselli permette di integrare l’adesione al supporto dei pannelli isolanti ottenuta con la malta collante.

La funzione principale dei tasselli non è di assorbire gli sforzi di adesione o di portanza dei pannelli ma di permettere una stabilità dell’adesione nel tempo che potrebbe essere compromessa da una non corretta preparazione del supporto e da sollecitazioni del vento.

In definitiva il collante è utilizzato per contrastare forze parallele al supporto mentre il tassello lavora nel contrastare forze perpendicolari al supporto.

Il mancato rispetto delle prescrizioni circa quantità e modalità di tassellatura può non contrastare variazioni dimensionali delle lastre e conseguentemente comportare dei difetti estetici e funzionali (effetto “materasso").

L’esecuzione dei fori per la tassellatura è una fase molto importante per garantire la tenuta del tassello. La foratura può essere effettuata o con una modalità a percussione oppure con foratura ad avvitamento: la scelta dipende dal Fig. 4.5 Effetto "materasso"

supporto murario preso in esame; nel nostro caso verrà eseguita una foratura ad avvitamento.

Per i pannelli in EPS lo schema di tassellatura da utilizzare per la tassellatura è a T. I tasselli devono essere disposti in corrispondenza degli incroci dei pannelli più uno centralmente.

Fig. 4.6 Tassellatura a T

71

A distanza di circa 1 giorno, e comunque dopo indurimento dell’adesivo, si procede con il fissaggio meccanico dei pannelli, che avviene utilizzando appositi tasselli “a fungo”: il disco del tassello ha il compito di pressare il pannello isolante contro il supporto, mentre al gambo è demandata la funzione di aderenza al supporto stesso. La penetrazione dei tasselli nel paramento murario deve corrispondere alla Profondità di Ancoraggio del tassello stesso (PA). Al fine di determinare la lunghezza appropriata del tassello, deve essere preso in considerazione sia lo spessore dell’adesivo (ca.10 mm), sia lo spessore di un eventuale intonaco:

L tassello (mm) = S isolante + S adesivo + S intonaco + PA

L Lunghezza / S Spessore / PA Profondità Ancoraggio

Nota questa espressione possiamo personalizzarla per le nostre murature. In entrambi i casi lo spessore dell'isolante è di 50 mm, lo spessore dell'adesivo è di 10 mm e non è presente alcun intonaco.

La scelta del tassello deve essere effettuata sia in funzione del tipo di supporto murario sul quale viene applicato il sistema a cappotto, sia in funzione del tipo di isolante utilizzato. Dopodiché è possibile leggere, nella scheda tecnica del tassello scelto, le rispettive profondità di ancoraggio che varieranno a seconda del supporto murario e del pannello previsto dall'applicazione scelta.

Nella nostra applicazione: per la muratura in laterizio la PA= 25 mm; per la muratura in calcestruzzo autoclavato PA= 65 mm.

Infine, quindi:

L tassello LATERIZIO = 50 + 10 + 25 = 85 mm Tuttavia la dimensione minima in commercio del tassello scelto è di 115 mm.

L tassello CALCESTRUZZO AUTOCLAVATO = 50 + 10 + 65 = 125 mm La dimensione in commercio che più si avvicina a questa dimensione è di 135 mm.

Inoltre l’altezza dell’edificio e la sua collocazione geografica influenzano la quantità di tasselli necessaria all’applicazione. Questo vale soprattutto per le zone ai margini

72

dell’edificio, maggiormente sottoposte alla forza del vento. Nelle superfici vanno applicati almeno 6 tasselli/m²; i tasselli saranno installati uno per ogni angolo e almeno un tassello al centro della lastra. Al di sopra dei 10 m di altezza dell’edificio, è necessario elevare tale quantità fino a 8 tasselli/m² nelle zone ai margini dell’edificio; al di sopra dei 25 m di altezza dell’edificio, è necessario elevare tale quantità fino a 10 tasselli/m². Le zone ai margini interessate da un maggior numero di tasselli da applicare sono di almeno un metro per parte verso l’interno partendo dall’angolo.

Nelle nostre applicazioni si è prevista una tassellatura per edifici con 10 < H < 25 m considerando per semplicità 8 tasselli/m² sia al centro sia a ai bordi della muratura.

Dopo la tassellatura c'è l'esecuzione di spigoli ed angoli e l'installazione degli elementi di montaggio che seguono regole ad hoc a seconda dell'installazione prevista (fissaggio di ringhiere, spallette delle finestre, etc.)

Fase 5 | Rasatura con rete Una volta eseguito il fissaggio meccanico dei pannelli si potrà procedere alla rasatura degli stessi, i rasanti devono essere stesi sui pannelli con la spatola metallica. Si raccomanda di eseguire la rasatura evitando di lasciare pannelli isolanti esposti ad agenti atmosferici. Nel caso siano presenti pannelli in EPS esposti da tempo e che risultino “ingialliti” e leggermente sfarinanti, si deve procedere all’asportazione meccanica di un primo strato superficiale e successivamente alla verifica della tenuta della nuova superficie. Dopo aver steso il rasante si procede, partendo dall’alto verso il basso alla posa della rete d’armatura in fibra di vetro alcali resistente, che deve essere sormontata tra le strisce adiacenti di almeno 10 cm e annegata nel primo strato di rasante. Ad asciugatura avvenuta della prima mano, si applica una seconda mano di rasante in modo da ottenere una superficie liscia e uniforme.

Dopo circa 2-3 settimane dall’applicazione del rasante, e comunque dopo completo indurimento dello strato di rasante stesso, si applicherà il rivestimento protettivo.

73

4.3

ASSERZIONE COMPARATIVA DELLE DUE SOLUZIONI TECNOLOGICHE A CAPPOTTO MEDIANTE LCA

All'interno di questo paragrafo si intende indagare e valutare gli impatti ambientali causati dai due pacchetti murari presentati in precedenza. La metodologia scelta è quella Life Cycle Assessment, perciò verranno proposte tutte le fasi tipiche di uno studio LCA.

4.3.1 Definizione degli obiettivi e del campo di applicazione L’obiettivo di questo studio è quello di valutare gli impatti complessivi delle due soluzioni tecnologiche a cappotto con supporto murario in laterizio in un caso e in calcestruzzo autoclavato nell'altro. L’analisi LCA fornisce una misura scientifica dell’impatto ambientale del sistema di produzione tenendo conto di tutte le fasi del processo, dei trasporti delle materie prime e dei macchinari utilizzati. In seguito a questa prima analisi sarà possibile individuare i processi più impattanti ed elaborare azioni più concrete atte a mitigare gli impatti ambientali dove possibile.

L’unità funzionale, così come previsto nelle UNI 14040 e 14044, è rappresentata da 1 m2 di parete realizzata a cappotto con strato isolante posto verso l’esterno e con un valore della trasmittanza termica per entrambi i sub-sistemi tecnologici pari a 0,21 W/m2K. Per quanto riguarda i confini del sistema, la valutazione include l’intero ciclo di vita, "dalla culla alla tomba”: l’analisi viene effettuata a partire dalla costruzione della parete verticale esterna, tenendo conto pertanto di quelli che sono i materiali utilizzati, i trasporti connessi alla fase di costruzione e l’energia spesa in fase di cantierizzazione. Si procede alla valutazione delle fasi manutentive tenendo conto di un ciclo di vita delle due soluzioni tecnologiche pari a 80 anni. Infine sono stati valutati gli impatti che si avrebbero in caso di completa dismissione dell’edificio. È stata omessa, per semplicità, la fase d'uso di entrambe le soluzioni tecniche.

I confini fisici considerati possono essere rappresentati in maniera chiara ed esaustiva tramite un flow chart (diagramma di flusso).

74

75

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Si ricorda che la scelta dei confini del sistema è strettamente correlata alla qualità dei dati a disposizione dell'utente. Se la qualità dei dati risulta essere scarsa, i confini del sistema possono cambiare; questo è un primo esempio in cui si evince la natura iterativa della metodologia LCA. Nel caso in analisi non si è fatto ricorso a dati primari, data la difficoltà nell'ottenere in maniera chiara ed equivalente le informazioni direttamente dalle aziende produttrici dei materiali oggetto di studio. Si è quindi fatto ricorso a dati secondari; sono da considerarsi dati secondari tutti quei dati mantenuti dalla banca dati Ecoinvent, necessari proprio nel momento in cui né le misurazioni dirette né la documentazione acquisita sono in grado di fornire dati esaurienti per l’intero processo di produzione. Il database Ecoinvent ha consentito di eliminare questo limite fornendo dei processi di produzione standard assimilabili a quelli dei materiali utilizzati.

In relazione ai confini geografici del sistema, le due pareti verticali così considerate sono entrambe ubicate a Bari, nel rispetto dello studio comparativo previsto.

4.3.2 Analisi d'inventario L’analisi di inventario (LCI, Life Cycle Inventory) è la fase più importante nel processo di LCA (Xing et al., 2008). Seguendo la definizione fornita dalla norma ISO 14040, è in questa fase che vengono “individuati e quantificati i flussi in ingresso e in uscita da un sistema di prodotto, lungo tutta la sua vita”. Tali flussi sono espressi in unità fisiche (unità di massa e di energia) e riguardano sia il prelievo e la preparazione delle materie prime, la loro trasformazione in prodotti finiti con l’immissione di agenti inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo, sia il prelievo delle fonti di energia, il loro uso e i rilasci associati nei diversi comparti ambientali, nelle diverse fasi del sistema esaminato. In questo caso di studio questa fase è stata la più impegnativa proprio perché si sono dovuti ricostruire nel dettaglio tutti i processi e le operazioni proprie dell’intero ciclo di vita dell’edificio.

La gestione dei flussi di inventario è stata svolta attraverso l’utilizzo della banca dati “Ecoinvent v3” e il relativo system model “Allocation default system” (questo tipo di modellazione considera i processi presenti in banca dati come sistema di prodotti, mentre il modello "Allocation default unit" presenta i dati come processi unitari, che a loro volta si collegano con altri processi unitari). I processi di banca dati costituiscono i dati secondari (o indiretti) rappresentativi dei materiali da costruzione più ricorrenti; questi vanno supportati con i dati di progetto utili a caratterizzare la tipologia di materiale da selezionare nel database e naturalmente i quantitativi e i consumi energetici previsti o ipotizzati.

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Fase di pre-produzione e produzione I dati relativi a questa fase sono stati reperiti nella banca dati del software, sulla base dei dati “diretti” relativi alle scelte progettuali.

Nella fattispecie, la scelta dei materiali da costruzione è stata condotta con un approccio “Transformation”, ovvero utilizzando dati inclusivi degli input di produzione e non di trasporto, data la possibilità di ottenere informazioni chiare, sulla provenienza esatta, delle materie prime concorrenti alla realizzazione di ogni prodotto.

Nel database sono inclusi in maniera statistica sia il reperimento delle materie prime tema molto importante ma di cui è difficile trarre una buona qualità di dati in maniera diretta- sia i trasporti medi dalle cave di estrazione allo stabilimento di produzione. In genere gli stabilimenti di produzione sono inseriti in una posizione prossima alle cave, per poter usufruire delle materie prime in maniera diretta oltreché ridurre i trasporti che possono danneggiare le proprietà dei materiali.

Di seguito verranno elencati i profili dei prodotti utilizzati all'interno di questa tesi. In particolare si tratterà l'approvvigionamento delle materie prime e il processo produttivo.

Tutte queste informazioni sono state utili per selezionare i dati, in maniera corretta, dalla banca dati presente all'interno del software.

LATERIZIO Approvvigionamento materie prime La materia prima del laterizio è l'argilla che, in presenza di acqua, ha proprietà plastiche.

Le argille sono rocce sedimentarie classiche incoerenti costituite principalmente da silice.

A esse vengono aggiunti minerali di tipo non plastico (feldspati, quarzo, calcite, ossidi di ferro, etc.) e smagranti, come sabbia, farina di quarzo, farina di laterizio, scarti (scorie, ceneri, trucioli di segheria), per garantire la stabilità dopo essiccamento e cottura. Il colore del materiale dipende dagli ossidi di metallo presenti nell'argilla e dalle temperature di cottura. In genere gli stabilimenti e le fornaci nascono in prossimità delle cave di estrazione. L'estrazione avviene per strati.

Processo produttivo I composti vengono macinati, mescolati e bagnati, per formare l'impasto. Si procede quindi alla formatura: l'impasto viene fatto passare attraverso una matrice (estrusione),

78

che ne determina la forma della sezione, e tagliata a pezzi tramite cavi. L'impasto viene quindi essiccato a 120 °C e poi cotto nei forni a tunnel: a 600 °C l'argilla espelle l'acqua e comincia a cristallizzarsi, a 800 °C. il materiale si consolida, a 1000°C avviene la compattazione della massa. Per realizzare laterizi porizzati, vengono aggiunti inerti all'impasto a crudo: generalmente si tratta di palline di polistirolo, segatura o residui fibrosi della lavorazione della carta. La cottura elimina questi materiali, generando piccoli pori d'aria, che riducono la densità del laterizio e migliorano le prestazioni di isolamento termico.

Tutte le informazioni descritte nell'approvvigionamento delle materie prime e nel processo produttivo sono utili per individuare esattamente all'interno della banca dati il processo esatto che l'utente necessita per immettere la propria applicazione nel software.

Fig. 4.7 Definizione dei dati di input in Simapro

La Fig. 4.7 rappresenta il processo di costruzione di 1 m2 di parete in laterizio; nella voce "Light clay brick {GLO} | market for | Alloc Def, S" scelta da banca dati, sono incluse: tutte le materie prime necessarie alla produzione del laterizio; i trasporti dalle cave allo stabilimento di produzione; in Simapro, per ogni processo c'è una sezione dedicata alla descrizione del processo produttivo che deve coincidere con quello del materiale scelto dalla nostra applicazione. Inoltre nel caso di studio, si è optato di inserire anche i consumi delle macchine e i trasporti al cantiere che sono propri della fase di costruzione della muratura e non della produzione del laterizio, (nella Fig. 4.7 è possibile osservarlo per il

79

processo elementare dei blocchi in laterizio). Questa scelta è stata fatta per ottenere una sistematicità delle nostre applicazioni ma anche per alcune finalità che verranno mostrate successivamente; questa unione non costituisce un errore ma una scelta ricordando di non doppiare questi consumi quando si andrà a costruire il processo di costruzione del cappotto.

Inoltre in Simapro è possibile inserire già in questa fase gli scenari di fine vita del laterizio ma, sempre nell'ottica di una migliore sistematicità, si è preferito inserirlo nel processo di costruzione del cappotto.

Le stesse considerazioni fatte finora valgono anche per lo studio del cappotto con supporto murario in calcestruzzo autoclavato.

CALCESTRUZZO AUTOCLAVATO Approvvigionamento materie prime Il calcestruzzo aerato autoclavato è un materiale leggero da costruzione preconfezionato.

Contrariamente alla maggior parte dei calcestruzzi, per la sua realizzazione non vengono usati inerti di dimensioni superiori alla sabbia. I componenti principali sono: sabbia silicea, cemento Portland, ossido di calcio e acqua. Tra il 5% e l'8% del volume, in funzione della densità desiderata, è costituito da polvere di alluminio; quest'ultimo ha la funzione di attivare il processo di "lievitazione" dell'impasto con conseguente formazione di pori a seguito della reazione della calce viva e dell'acqua con l'alluminio stesso che si trasforma in alluminio di calcio idrato. Quando il materiale è miscelato con acqua e colato nelle forme avvengono varie reazioni chimiche che conferiscono allo stesso le sue caratteristiche peculiari.

Processo produttivo La sabbia, macinata a umido, viene omogeneizzata con la calce e il cemento in modo da ottenere un impasto fluido che viene versato in apposite vasche metalliche nelle quali avviene la formazione delle porosità interne alla massa che contraddistinguono il materiale. Questo fenomeno è dovuto alla polvere di alluminio che reagendo con l'idrossido di calcio libera bolle di idrogeno che, creando una specie di schiuma secondo un processo di lievitazione naturale, fanno aumentare il volume della miscela. Il processo di lievitazione si interrompe quando il fenomeno di presa dei leganti cementizi consente al materiale di raggiungere una consistenza solida. Alla fine di questa fase, le bolle rimangono catturate nella massa e l'idrogeno viene rilasciato nell'atmosfera e sostituito da aria che è 80

il miglior isolante termico naturale. All'estrazione dalle forme il materiale è solido ma ancora soffice. A questo punto viene tagliato in blocchi o pannelli e chiuso in un'autoclave per 11-12 ore. Durante il processo di maturazione a vapore saturo, quando la temperatura raggiunge i 190 °C e la pressione da 8 a 12 bar, la sabbia di quarzo reagisce con l'idrossido di calcio e forma calcio silicato idrato, che fornisce al materiale le sue caratteristiche meccaniche. Terminato il processo in autoclave il materiale è immediatamente pronto per l'uso. In funzione della densità, il prodotto finale è composto per circa il 20-30 % del volume di materiale solido mentre per il restante 70-80% del volume è composto da macroporosità visibili a occhio nudo e microporosità visibili al microscopio responsabili delle proprietà fisiche e meccaniche che lo caratterizzano.

A titolo d'esempio, si riporta la finestra delle informazioni del processo "Calcestruzzo autoclavato" da banca dati, che è stato scelto per il caso di studio.

Fig. 4.8 Finestra delle informazioni relative al processo "Calcestruzzo autoclavato" visibile in Simapro

POLISTIRENE ESPANSO EPS Approvvigionamento materie prime Il polistirene espanso (EPS) è un polimero termoplastico derivato dallo stirene (ottenuto dal petrolio o dal gas naturale) addizionato di un espandente (pentano).

Processo produttivo Con la polimerizzazione dello stirene e l'aggiunta di un agente espandente volatile leggero (HFC, pentano o CO2, dopo l'abolizione dei CFC e HCFC) si ottengono perle di polistirene sinterizzato. Il granulato viene fuso in un estrusore (miscelatore a vite), espanso con l'aggiunta di un agente espandente e sagomato con l'estrusione, in modo da formare lastre.

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PVC (Tasselli di fissaggio) Approvvigionamento materie prime Il P.V.C., o cloruro di polivinile, è il risultato della sintesi del cloro e dell'etilene. All'origine vi sono sale e petrolio.

Processo produttivo L'elettrolisi del sale permette la produzione del cloro. La raffinazione del petrolio, seguita dal cracking con vapore d'acqua, produce l'etilene. La sintesi dell'etilene e del cloro permette di produrre il cloruro di vinile, il quale, dopo un processo di polimerizzazione, è trasformato in cloruro di polivinile. Gli additivi ne caratterizzano la qualità.

MALTE E INTONACI Approvvigionamento materie prime e processo produttivo Per queste tipologie di materiali è impossibile separare il processo produttivo dall'approvvigionamento delle materie prime, poiché sono operazioni strettamente collegate. Le malte e gli intonaci sono materiali compositi, la cui formazione avviene generalmente in cantiere mescolando sacchetti preconfezionati di leganti (essi possono variare a seconda della tipologia di legante scelto: a base cementizia, a base di calce idraulica, a base di calce, etc.) e sabbie classificate con l'aggiunta di acqua. Perciò il processo produttivo è quello effettuato in cantiere e varia a seconda del materiale scelto per lo studio che si intende effettuare, oltre alle variabili insite nel luogo di cantiere.

Per via della vastità di rapporti di composizione delle materie prime per malte e intonaci, in alcuni casi è stato opportuno crearsi autonomamente i processi perché è difficile trovare un'appropriata voce nelle banche dati di Simapro. Per fare ciò è importante soffermarsi sulla composizione delle materie prime presenti nelle malte ed intonaci scelti nel nostro caso di studio affinché la costruzione dei processi sia corretta. Si può ad esempio riportare la costruzione del processo relativo all'intonaco di fondo, all'interno del quale ci sono le materie prime costituenti l'intonaco e le relative proporzioni.

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Fig. 4.9 Costruzione del processo "intonaco di fondo" in Simapro

FIBRA DI VETRO (rete d'armatura per la rasatura) Approvvigionamento materie prime La rete dâ&#x20AC;&#x2122;armatura rinforzata per cappotto presa in esame è costituita all'88% da fibra di vetro e al 12% da appretto antialcalino.

Processo produttivo Il vetro a base di silice viene fuso e leggermente raffreddato restando ancora plastico; successivamente viene fatto passare attraverso trafile di Platino-Iridio e le fibre vengono rivestite di polimeri per evitare che si fondano tra loro e sistemate in fasci. A questo punto sono sottoposti ad uno speciale trattamento di impregnazione che rende la rete resistente agli alcali.

Fase di costruzione

Gli aspetti relativi alla realizzazione delle murature, nonostante riguardino una fase molto limitata temporalmente rispetto alla vita dell'edificio, costituiscono in realtĂ una fase non trascurabile del ciclo di vita dal punto di vista degli impatti ambientali. Tra gli aspetti piĂš importanti in questa fase vi sono i trasporti dei materiali dallo stabilimento produttivo al cantiere, che costituiscono una fetta importante nella valutazione degli impatti ambientali e che, quindi, non possono essere sottovalutati. Anche i flussi energetici per la posa dei

83

materiali (ad esempio l'utilizzo della gru) costituiscono input fondamentali per la determinazione reale dell'incidenza ambientale delle soluzioni scelte.

Di seguito si riportano i processi della fase di costruzione di entrambe le applicazioni; all'interno del processo di costruzione delle chiusure verticali esterne sono presenti tutti i materiali necessari per la costruzione (inclusi macchinari e trasporti) con tutti i flussi di riferimento che sono stati già inseriti preventivamente nelle operazioni di costruzione di tutti i sub-processi, come già detto in precedenza.

Fig. 4.10 Definizione dei dati in fase di costruzione per la parete con muratura in calcestruzzo autoclavato in Simapro

Si può evidenziare come in questa fase, ma anche in quella della manutenzione e della dismissione, non si possono sottovalutare gli impatti del cantiere che sono già inclusi nei sub-processi inseriti per la fase di costruzione, come si può vedere nella Fig. 4.7 alla voce "Eletricity LV use in I + import S". Il cantiere ospita mezzi e macchinari, che richiedono consumi di energia e che generano rumore e inquinamento nella zona circostante. Inoltre al cantiere arrivano i mezzi di trasporto dei materiali edilizi, che generano impatti nelle

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operazioni di carico/scarico/deposito dei materiali. Durante la gestione del cantiere, soprattutto se si tratta di un cantiere di tipo tradizionale, gli impatti sono generati dalle lavorazioni in opera, che richiedono energia e acqua e producono rifiuti (taglio dei materiali, impasto di inerti e leganti, etc.). Queste lavorazioni sono state immesse in Simapro e non verranno trascurate.

Fig. 4.11 Definizione dei dati in fase di costruzione per la parete con muratura in laterizio in Simapro

A questo punto si possono esplicitare tutti i flussi di riferimento di entrambe le applicazioni dai rispettivi inventari tramite delle tabelle2, includendo anche i calcoli relativi ai consumi dei macchinari.

I dati necessari al calcolo delle quantitĂ sono stati rilevati dalle schede tecniche dei prodotti utilizzati.

2

Per ulteriori approfondimenti e maggiori informazioni si vedano gli allegati A.1 e A.2

85

86

87

Tab. 4.5 Analisi d'inventario della chiusura verticale esterna con muratura in calcestruzzo autoclavato

88

Tab. 4.6 Analisi d'inventario della chiusura verticale esterna con muratura in laterizio

Fase di esercizio (manutenzione)

La fase di manutenzione, assieme a quella di fine vita, è probabilmente una delle fasi più delicate ma anche più probabilistiche dello studio LCA. In questa fase si richiede sia una previsione sia sulla durabilità dei componenti edilizi sia sulle modalità di esecuzione in cantiere, proiettandosi nel futuro, di demolizione e di ripristino dei componenti edilizi coinvolti. È chiaro che è difficile prevedere come queste operazioni possano essere eseguite nei prossimi decenni.

Nell’arco degli 80 anni di vita ipotizzati per le murature di tamponamento, si stima che alcuni componenti edilizi siano soggetti ad un decadimento prestazionale più rapido nel tempo e che pertanto non abbiano una durata coincidente con il supporto murario. Ciò rende necessario interventi di manutenzione per il ripristino e la sostituzione di alcuni materiali, al fine di garantire nel tempo l’efficienza funzionale di ogni unità tecnologica.

All’interno delle analisi, la fase di esercizio è stata considerata solo per gli aspetti manutentivi, trascurando i consumi energetici relativi all’uso nel tempo dell’edificio.

I benefici a lungo termine dell’edilizia sostenibile, quali per esempio i minori costi di manutenzione e di gestione e la maggiore durabilità, non sono immediatamente evidenti a breve termine o al momento dell’acquisto iniziale. In media la manutenzione di un edificio lungo tutta la sua vita utile costa fino a dieci volte più del costo di costruzione (Commissione delle Comunità Europee, 2004).

Il problema riguarda pertanto anche la definizione delle durate dei materiali, rispetto a cui poca informazione scientifica è disponibile, perché la maggior parte dei materiali attualmente in commercio è abbastanza “recente” e dunque non esistono informazioni in tal senso. Eppure dal punto di vista ambientale il parametro che incide di più è proprio quello della durabilità, poiché può modificare notevolmente la valutazione finale: materiali durevoli diluiscono nel tempo gli impatti causati per produrli.

Bisogna quindi ricercare la durabilità dei materiali componenti le due unità tecnologiche che, come già spiegato, quasi mai coincide con la vita utile del supporto murario. È bene precisare che la durabilità di un materiale preso singolarmente è diversa rispetto alla durabilità dello stesso valutato in fase d’uso, accoppiato con altri materiali o componenti; molto spesso infatti il contatto con altri materiali, va a ridurne l'affidabilità e non di rado questo costringe ad una sostituzione prematura di tale componente.

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Quando possibile tali informazioni sono state reperite direttamente dalle aziende produttrici attraverso contatto diretto, ma nella maggior parte dei casi questi dati sono stati acquisiti da letteratura tecnica e da Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (EPD).

Tab. 4.7 Aspettativa di vita utile dei componenti edilizi - Fonti dei dati: A. BRE - The guide to Specification; B. Associazione Svizzera Inquilini (MV) e Associazione Svizzera dei Proprietari Immobiliari (HEV Schweiz)

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Fig. 4.12 Estratto tabella aspettativa di vita utile dell'involucro di un edificio - Fonte: Associazione Svizzera Inquilini

Tab. 4.8 Aspettativa di vita utile dei componenti edilizi - Fonte: Bundesministerium fĂźr Verkehr, Bau- und Wohnungswesen

91

Tuttavia, a titolo informativo, esistono diverse metodologie per la valutazione di durabilità in edilizia che prevedono dapprima la valutazione della durabilità in condizioni di riferimento (Reference Service Life o RSL) attraverso prove di invecchiamento accelerato in laboratorio e di invecchiamento naturale per esposizione in esterno e, attraverso la scelta di un metodo (metodo fattoriale, metodo statistico o metodi ingegneristici), è possibile determinare la valutazione della vita utile nelle condizioni effettive di progetto (Estimated Service Life o ESL). Queste metodologie necessitano di notevoli informazioni dei componenti edilizi, oltre che di prove in laboratorio: per questi motivi non si è potuto procedere in questo senso.

Una volta note le informazioni che riguardano le aspettative di vita utile dei materiali presenti nel nostro caso di studio, si è proceduto a stilare delle tabelle descrittive delle stratigrafie dei vari elementi componenti le pareti verticali esterne, che hanno permesso di capire quali fossero le operazioni manutentive da applicare nei vari archi temporali.

L' ultimo passo che ha consentito di giungere alla valutazione degli impatti ambientali in fase d’uso dell’edificio è stato quello di tradurre le operazioni manutentive in processi sul software di calcolo.

Procediamo quindi con la determinazione delle durate dei materiali componenti le murature: -

sia per la muratura in laterizio sia per la muratura in calcestruzzo autoclavato si è scelta una durabilità pari al ciclo di vita del sub-sistema tecnologico, ovvero pari a 80 anni.

-

il ripristino della sola finitura sia interna sia esterna, mediante applicazione del nuovo materiale sullo strato esistente, sulle superfici interne ed esterne ogni 10 anni

-

La scelta ottimale in termini di durabilità per il ripristino del cappotto esterno non è stata semplice: è poco chiara l'effettiva durabilità del pannello isolante che, senza alcun legame con materiali come collanti e rasanti, può conservare la sua funzionalità fino a 100 anni; inoltre, dalla letteratura tecnica emerge che, nelle poche applicazioni di prelievo da murature a cappotto vecchie 40 anni, l'isolante EPS è stato trovato in buone condizioni e con prestazioni che poco differivano da quelle di progetto.

Tuttavia, per avere margini di sicurezza e per considerare anche l'accostamento con altri materiali deterioranti, una scelta da ritenersi ottimale è quella di 30-35

92

anni. Per quanto riguarda gli intonaci, rasanti/collanti, le informazioni fanno oscillare i valori tra i 25-40 anni.

A questo punto, data la similarità degli archi temporali, si può convergere ad una manutenzione di opportunità dell'intero cappotto termico, per entrambe le applicazioni, intorno a 30 anni.

Tab. 4.9 Necessità manutentive della parete a cappotto con muratura in laterizio

La Tab. 4.9 riassume ciò che è stato detto precedentemente ed intende evidenziare anche altri aspetti: se ad esempio prendessimo come riferimento l'anno 30, la sostituzione del cappotto esterno è stata effettuata solo una volta ma il ripristino delle finiture interne ed esterne è stato effettuato per la terza volta. Ciò significa che, se vogliamo fare una valutazione LCA fermandoci all'anno 30, in Simapro non va dimenticato il numero di volte in cui alcune operazioni sono state già effettuate, in questo caso le finiture.

Tuttavia il nostro studio è stato effettuato alla fine della vita utile dei sub-sistemi tecnologici considerati, quindi ad 80 anni.

Perciò se prendiamo l'anno 80esimo: 5 volte solo il ripristino delle finiture interne ed esterne (il totale in 80 anni è 7 ma il ripristino delle finiture interne ed esterne è già incluso nel processo di sostituzione del cappotto esterno); 2 volte sostituzione del cappotto esterno. Le stesse considerazioni valgono anche per il caso con la muratura in calcestruzzo autoclavato.

Tab. 4.10 Necessità manutentive della parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato

Una volta redatte le tabelle appena illustrate, l’ultimo passaggio è stato quello di tradurre 93

le operazioni manutentive che sono emerse da questo studio in processi sul software Simapro.

Si illustra adesso come si è costruito un processo di manutenzione partendo ad esempio dal caso della chiusura verticale esterna con muratura in laterizio.

Dapprima sono stati definiti tre processi: ripristino finiture interne/esterne, demolizione del cappotto esterno e ripristino del cappotto esterno. L'esecuzione di finiture interne/esterne è un processo che è stato già costruito per la fase di costruzione, perciò si è proceduto con la realizzazione degli altri due processi.

La ricostruzione ripercorre lo stesso percorso della fase di costruzione, salvo la posa in opera delle murature. Per quanto riguarda la demolizione, ci soffermeremo nella sezione seguente.

Fig. 4.13 Definizione della fase di ricostruzione in Simapro. Caso della muratura in laterizio.

Fig. 4.14 Definizione della fase di demolizione in Simapro (Parte 1). Caso della muratura in laterizio.

94

Fig. 4.15 Definizione della fase di demolizione in Simapro (Parte 2). Caso della muratura in laterizio.

A questo punto è stato possibile costruire il processo di manutenzione, come riportato in Fig. 4.16, che richiama i processi sopradescritti.

Fig. 4.16 Definizione della fase di manutenzione in Simapro. Caso della muratura in laterizio.

Allo stesso modo, si riporta la definizione dei processi anche per il caso del cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato. In un primo momento potrebbe risultare un lavoro ridondante perché abbiamo detto che gli unici componenti differenti nelle due soluzioni sono le murature, che durante la fase manutentiva non vengono intaccate. Tuttavia la differenza della lunghezza dei tasselli di fissaggio e, quindi, il differente peso di questo materiale nelle due applicazioni produrrà differenti impatti per diversi motivi: innanzitutto la manutenzione è un'operazione che viene ripetuta più volte nell'arco del ciclo di vita di un sub-sistema tecnologico. In questo caso la ricostruzione e demolizione del cappotto termico avverrà due volte, ciò vuol dire che i tasselli verranno due volte rimossi e sostituiti. Ricostruire due volte significa che la differenza di peso si raddoppierà, così come

95

questo piccolo delta di valori di peso farà emergere una differenza di impatti nella demolizione perché bisognerà smaltire più materiale nel caso della muratura in calcestruzzo autoclavato piuttosto che nel caso della muratura in laterizio.

Anche in questo caso è stato possibile costruire tutti i processi necessari a definire il processo di manutenzione.

Fig. 4.17 Definizione della fase di ricostruzione in Simapro. Caso della muratura in calcestruzzo autoclavato

Fig. 4.18 Definizione della fase di demolizione in Simapro (Parte 1). Caso della muratura in calcestruzzo autoclavato.

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Fig. 4.19 Definizione della fase di demolizione in Simapro (Parte 2). Caso della muratura in calcestruzzo autoclavato.

Fig. 4.20 Definizione della fase di manutenzione in Simapro. Caso della muratura in calcestruzzo autoclavato

Fase di fine vita In precedenza si è già parlato di come il settore delle costruzioni produca un grande quantitativo di rifiuti. Negli Stati Uniti, ad esempio, vengono prodotti annualmente 140 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione (Kibert, 2005): essi costituiscono un terzo del flusso di rifiuti solidi totali, consumando territorio per le discariche, compromettendo le falde acquifere e innalzando i costi di costruzione. Prima di pensare alla discarica occorre cercare di mettere in atto alcune strategie fondamentali per prolungare la durata dei prodotti e dei materiali: riparare, riusare, effettuare up-grading, riprocessare, riciclare e recuperare il contenuto energetico dei materiali. Ovviamente questi scenari, per essere praticabili, devono essere previsti in sede progettuale.

La fase di dismissione entra dunque nella progettazione, legata alla durata controllata e programmata dei componenti edilizi e dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio nel suo complesso.

97

La separabilità dei materiali, la reversibilità delle operazioni di assemblaggio, la scomponibilità dell’edificio, la demolizione selettiva sono tutti scenari che favoriscono il riciclaggio dei materiali e il riuso dei componenti, ma si tratta di scenari che per essere percorsi richiedono una progettazione che preventivamente li abbia predisposti.

Cosi come per la fase di manutenzione, anche per la fase di demolizione è difficile prevedere come questa operazione possa essere effettuata fra 80 anni, perciò anche in questo caso è necessario servirsi di ipotesi ed è indispensabile essere sempre aggiornati, altrimenti si procede ad una valutazione LCA obsoleta già in partenza.

Lo scenario di fine vita è stato valutato da differenti fonti: dalla letteratura tecnica, da valutazioni EPD e dal contatto diretto con le aziende produttrici. A seguito di ciò lo scenario scelto per le due chiusure verticali esterne è il medesimo ed è il seguente: -

Murature con sistemi termoisolanti a cappotto basati su polistiroli presentano una percentuale talmente elevata di materiali estranei nei rifiuti minerali, da rendere indispensabile una prima selezione già nel cantiere di demolizione. Il sistema termoisolante a cappotto deve essere separato in modo selettivo addirittura prima della demolizione della muratura. La separazione, se vi è spazio sufficiente attorno all’edificio, può essere effettuata meccanicamente con una escavatrice provvista di una cosiddetta benna selettrice. Tuttavia per restare in un ambito più generico possibile, si è optato per una demolizione con un martello pneumatico: ciò comporta maggiori oneri in termini di tempo e di personale impiegato, compensati però dal minor prezzo di conferimento praticato dagli impianti di trattamento dei materiali. In questo modo è possibile rimuovere il sistema termoisolante a cappotto, purché si faccia attenzione, nel contatto con la parete, a non esercitare un’eccessiva pressione. Ai piedi di una parete di questo tipo si dispone, di norma, un telo di plastica in modo che gli inerti e i pannelli EPS rimangano separati dal terreno e si possa conferire il tutto ad uno smaltimento separato. In particolare, nel nostro studio, i pannelli EPS verranno destinati ad un trattamento termico (termovalorizzazione). Successivamente si procede alla demolizione delle murature attraverso un escavatore con pinza demolitrice; anche le macerie dei laterizi, assieme agli inerti, verranno inviati ad un impianto che ne consentiranno il riciclaggio per usi secondari (sottofondi stradali, lettiere, etc.)

98

Fig. 4.21 Parete in laterizio con resti di fissaggi di un sistema termoisolante a cappotto

Di seguito si riporta la tabella contenenti le scelte progettuali per la fase di fine vita dei componenti edilizi delle nostre applicazioni.

Nome componente

Possibile trattamento a fine

Sede del sito di tratta-

Distanza

cantiere-sito

vita

mento a fine vita

di trattamento a fine vita [km]

Blocchi in laterizio;

Riciclaggio per usi secon-

malta

dari (sottofondi stradali,

di

alletta-

mento; collante/ra-

Bari

14

Discarica

Bari

14

Termovalorizzazione

Taranto

80

lettiere, ecc.)

sante; intonaci Tasselli di fissaggio e rete armata Isolante EPS

Tab. 4.11 Possibili trattamenti a fine vita della chiusura verticale esterna con muratura in laterizio

Nome componente

Possibile trattamento a fine

Sede del sito di tratta-

Distanza

vita

mento a fine vita

di trattamento a fine vita [km]

Blocchi in calce-

Riciclaggio per usi secon-

struzzo autoclavato;

dari (sottofondi stradali,

malta

lettiere, ecc.)

di

alletta-

Bari

mento; collante/rasante; intonaci

99

14

cantiere-sito

Tasselli di fissaggio

Discarica

Bari

14

Termovalorizzazione

Taranto

80

e rete armata Isolante EPS

Tab. 4.12 Possibili trattamenti a fine vita della chiusura verticale esterna con muratura in calcestruzzo autoclavato

Si può procedere quindi ad immettere in Simapro le informazioni presenti nelle Tab. 4.11 e Tab. 4.12 nei processi dedicati al fine vita sia per il caso della muratura in laterizio sia per quello in calcestruzzo autoclavato.

Fig. 4.22 Definizione della fase di fine vita in Simapro (Parte 1). Caso della muratura in laterizio

Fig. 4.23 Definizione della fase di fine vita in Simapro (Parte 2). Caso della muratura in laterizio

100

Fig. 4.24 Definizione della fase di fine vita in Simapro (Parte 1). Caso della muratura in calcestruzzo autoclavato

Fig. 4.25 Definizione della fase di fine vita in Simapro (Parte 2). Caso della muratura in calcestruzzo autoclavato.

È importante scegliere l'appropriata voce da banca dati per quanto riguarda lo smaltimento dei materiali presi in considerazione. La banca dati Ecoinvent è davvero molto estesa in questo senso e non è semplice individuare la voce adeguata. È necessario quindi leggere attentamente la descrizione dei processi di smaltimento presente nella finestra delle informazioni del software.

101

4.3.3 Valutazione degli impatti Le informazioni ottenute dall’analisi di inventario costituiscono la base di partenza per valutazioni di tipo ambientale, cui è dedicata la fase della LCA definita Life Cycle Impact Assessment (LCIA) e regolata dalle norme ISO 14040 e ISO 14044 (Baldo et al., 2008).

I dati raccolti nell’inventario vengono a questo punto elaborati con lo scopo di rendere leggibili i risultati ottenuti nelle fasi precedenti, visualizzando i potenziali impatti ambientali. La valutazione è un processo tecnico-quantitativo per calcolare gli effetti delle sostanze identificate nell’inventario. La norma ISO 14044 descrive come impostare la valutazione degli impatti associati ai flussi identificati nell’inventario, in base agli “indicatori di categoria”, ossia ai parametri rappresentativi degli impatti legati ai consumi di risorse (flussi in ingresso) e alle emissioni (flussi in uscita).

La valutazione degli impatti ambientali ha lo scopo di evidenziare l’entità delle modificazioni generate dai consumi e dalle emissioni calcolate nell’inventario.

Per impatto ambientale si intende l’intervento di una sostanza sull’ambiente o sull’uomo.

Con questo passaggio si passa dal dato oggettivo (quantità di sostanza) calcolato nell’inventario al “giudizio” di pericolosità ambientale e di danno potenziale.

Accade spesso che un prodotto o un componente che risulta migliore rispetto a un indicatore di impatto, risulti peggiore rispetto a un altro indicatore.

I risultati della valutazione LCA devono essere interpretati, per poter trarre le conclusioni e dare indicazioni di miglioramento. La norma ISO 14044 descrive come impostare l’interpretazione dei risultati.

Il Life Cycle Assessment ha come obiettivo il miglioramento della qualità ambientale attraverso: -

l’ottimizzazione dei bilanci energetici;

-

la riduzione del consumo di risorse;

-

la riduzione delle emissioni inquinanti;

-

la riduzione del carico ambientale degli scarti.

Nelle pagine successive si procederà ad illustrare gli impatti ambientali ottenuti nelle fasi di costruzione, manutenzione e dismissione dei due sub-sistemi tecnologici confrontati, mettendo in evidenza quei processi che più degli altri producono sull’ambiente degli impatti maggiori.

102

Impact 2002+

Il metodo di valutazione degli impatti utilizzato per il lavoro di tesi è stato Impact 2002+.

Questo metodo è tra i più diffusi allo stato attuale perché fonde diversi metodi, tra cui Eco-indicator 99(probabilmente il più scelto prima della nascita di Impact 2002+). La metodologia Impact 2002+ è implementato dallo Swiss Federal Institute of Technology di Losanna. Tale metodo di valutazione ambientale offre una soluzione intermedia tra gli approcci delle metodologie midpoint-oriented (basate sulle categorie di impatto, come CML ed EDIP 1996) e quelle damage-oriented (orientate alla valutazione per categorie di danno, come EPS ed Eco-Indicator99), connettendo i risultati desunti dagli inventari LCI a 14 “midpoint categories” a loro volta riconducibili a 4 “damage categories”.

Fig. 4.26 Le categorie d'impatto e le categore di danno nel metodo di valutazione IMPACT 2002+

Le categorie di danno utilizzate da Impact 2002+ sono:

-

Human Health, misurata in DALY e derivata dalle cinque categorie di impatto Human toxicity (poi suddivisa in Carcinogens e Non-Carcinogens), Respiratory inorganics, Ionizing radiation, Ozone layer depletion, Respiratory organics;

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-

Ecosystem quality, misurata in PDF*m2*yr, derivata dalle categorie di impatto Acquatic ecotoxicity, Terrestrial ecotoxicity, Terrestrial acidification / nutrification, Acquatic acidification, Acquatic eutrophication e Land occupation. L’architettura di Impact 2002+, diversamente da quella di Eco-indicator, prevede la possibilità di allocare gli apporti delle diverse categorie di impatto all’interno di più categorie di danno: nel caso dell’ossidazione fotochimica è per l’appunto in fase di elaborazione una metodologia, già individuata per stimare il danno sulla salute umana, in grado di legare tale impatto anche all’integrità degli ecosistemi naturali;

-

Climate Change, misurata in kg di CO2 equivalente in aria, derivata dall’unica categoria di impatto Global warming;

-

Resources, in MJ, costruita a partire dalle categorie di impatto Non renewable energy e Mineral extraction.

I fattori di caratterizzazione per le diverse categorie di impatto sono basati su un principio di equivalenza, cioè i punteggi assegnati alle diverse sostanze sono espressi in kg equivalenti di una sostanza di riferimento.

Categoria di impatto Human toxicity Respiratory (inorganics) Ionizing radiations Ozone layer depletion Photochemical oxidation Acquatic ecotoxicity Terrestrial ecotoxicity Terrestrial acidification/nutrification Acquatic acidification Acquatic eutrophication Land occupation

Sostanza di riferimento

Fattore di danno

kgeq chloroethylene (in aria) kgeq PM2.5 (in aria)

2,80 E-6

kgeq carbon-14 (in aria) kgeq CFC-11 (in aria) kgeq ethylene (in aria)

2,10 E-10 1,05 E-3 2,13 E-6

kgeq triethylene (in acqua) kgeq triethylene (in suolo) kgeq SO2 (in aria)

5,02 E-5

kgeq SO2 (in aria, acqua, suolo) kgeq PO4 (in aria, acqua, suolo) mqeq organic arable land*yr

8,86 E-5

104

Categoria di danno

7,00 E-4 Human Health (DALY)

7,91 E-3 1,04

8,86 E-5 1,09

Ecosystem Quality (PDF*m2*yr)

Global warming

kgeq CO2 (in aria)

1

Non-renewable energy Mineral extraction

MJ primary non-renewable MJ surplus

1 1

Climate Change (kgeq CO2) Resources (MJ)

Tab. 4.13 Sostanze di riferimento e fattori di danno delle categorie d'impatto

Nella Tab. 4.13 sono riportate le categorie di impatto, le sostanze di riferimento, le categorie di danno, le unità di misura delle categorie di danno. Obiettivo principale comune a tutte le categorie di impatto è la determinazione degli effetti a lungo termine, ottenuta mediante l’uso di un orizzonte temporale (time horizon) infinito (qualche volta approssimato a 500 anni).

La categoria di impatto Human Toxicity costituisce uno dei principali aspetti di novità introdotti da Impact 2002+, che lo differenzia dalle metodologie precedenti: attraverso un nuovo modello di calcolo. Human toxicity risponde all’esigenza di stimare il rischio tossicologico cumulativo e i potenziali impatti associati ad una determinata quantità di sostanza liberata nell’ambiente. Tale legame viene esplicitato ricorrendo ad un codice di calcolo denominato IMPACT 2002 (Impact Assessment of Chemical Toxics, da non confondere col nome della metodologia di analisi LCA che ne fa uso, cioè Impact 2002+), che è in grado di modellizzare rischio e potenziale dell’impatto di migliaia di sostanze chimiche, calcolando i fattori a livello dell’Europa Occidentale con differenziazioni spaziali per 50 bacini idrografici e celle d’aria europee.

I fattori di caratterizzazione per le categorie di impatto di Human Health sono espressi sempre in DALY/kgemissione o in DALY/Bqemissione per la categoria Ionizing radiation.

Per la Ecosystem Quality le categorie di impatto Terrestrial acidification, Terrestrial nutrification e Land occupation sono state prese da Eco-indicator 99 e il loro impatto si determina come una frazione di potenziale in via di estinzione (Potentially Disappeared Fraction - PDF) in una certa area e in un determinato intervallo di tempo per kg di sostanza emessa (espressa in PDF*m2*yr/kgemissione).

Per l’ecotossicità la valutazione del danno è basata sulla Potentially Affected Fraction (PAF) delle specie integrato nel tempo e nel volume, espresso in PAF*m 3*yr/kg. Per convertire i PAF in PDF si è usato il fattore di estrapolazione diretta 10 tra il NOEC (No Observed Effect Concentration) del PAF e il NOEC del PDF.

105

Metodi di estrapolazione sono ancora in fase di sviluppo per la determinazione dei fattori di danno che caratterizzano gli impatti sull’ecosistema causati da acidificazione acquatica e eutrofizzazione acquatica. Anche l’ossidazione fotochimica e l’assottigliamento della fascia di ozono contribuiscono potenzialmente all’impatto sull’ecosistema.

Per la categoria Climate Change si è ritenuto che i dati per stabilire il danno dei mutamenti climatici sulla qualità dell’ecosistema e sulla salute umana non fossero ancora abbastanza accurati. L’interpretazione, di conseguenza, ha luogo direttamente al livello della categoria di impatto, valutabile come il danno relativo ai sistemi di supporto alla vita chiamati alla protezione della loro stessa esistenza. La categoria di impatto Global warming viene considerata a sé stante, con unità di misura equivalente ai kgeq di CO2 e il fattore di danno (per essere accorpato nella categoria di danno Climate Change) pari a 1. L’orizzonte temporale è ancora di 500 anni, per tenere conto sia degli effetti a breve che quelli a lungo termine.

Per quanto concerne infine Resources, le due categorie di impatto sono mineral extraction e non-renewable energy consumption. Il danno dovuto all’estrazione di minerali sono calcolate come in Eco-indicator 99 mediante il concetto di Surplus Energy (in MJ). Esso si basa sull’assunzione che l’estrazione di un materiale determini un incremento del fabbisogno di energia per ogni ulteriore quantità di sostanza estratta dal sottosuolo in futuro; ciò a causa della ridotta ed eterogenea diffusione delle risorse minerarie nel pianeta e delle caratteristiche sempre meno vantaggiose in termini di reperibilità e facilità di captazione dei giacimenti mondiali. Mentre i minerali potrebbero essere potenzialmente accessibili al termine dell’utilizzo, una volta avviati a smaltimento con eventuale recupero, l’energia non rinnovabile (ad esempio quella da combustibili fossili), invece, una volta utilizzata non può essere ripristinata a un livello exergetico funzionale al reimpiego. Per questa ragione, contrariamente a quanto avviene in Eco-indicator 99, per le risorse energetiche non rinnovabili viene considerata l’energia primaria potenziale contenuta nelle materie prime dei materiali. L’unità di misura della categoria di danno Resources è la somma della quantità di energia primaria (Surplus) per l’estrazione dei minerali e dell’energia primaria (potenziale) per vettori energetici (energy carriers), in [MJ/unitàconsumata].

La normalizzazione è il rapporto tra l’impatto specifico per unità di emissione diviso per l’impatto totale relativo all’Europa delle sostanze della specifica categoria, per persona e in un anno. L’unità di misura di tutti i fattori delle categorie di impatto è pers*year/unità 106

di misura del danno, cioè il numero di persone equivalenti affette durante 1 anno per unità di misura del danno. Nella tabella seguente sono riportati i fattori di normalizzazione per le categorie di danno.

Categoria di danno Human Health

Fattore di normalizzazione 141

Unità di misura Persona*anno / DALY

Ecosystem Quality

7,30 E-5

Persona*anno/PDF*m2*anno

Climate Change

1,01 E-4

Persona*anno/ Kg CO2

Resources

6,8 E-6

Persona*anno / MJ

Tab. 4.14 Fattori di normalizzazione e unità di misura per ogni categoria di danno

In Human Health il fattore di normalizzazione è calcolato in accordo con Eco-indicator 99, con due modifiche: gli impatti causati dai mutamenti climatici non sono presi in considerazione, mentre la tossicità delle sostanze inquinanti per l’uomo viene calcolata come somma degli effetti cancerogeni e non cancerogeni. Per ogni inquinante, l’impatto, in DALY/kgemissione è moltiplicato per le emissioni annuali nell’Europa Occidentale (ripartite tra comparti: aria, suolo ed acqua), ottenendo il numero globale di DALY persi annualmente in Europa a causa della singola sostanza inquinante. Gli impatti totali sulla salute umana in un anno si ottengono quindi sommando quelli di tutte le sostanze (2.695E6DALY/anno). Infine tale valore è diviso per la popolazione europea (380 milioni di persone) per ottenere il valore da usare per la normalizzazione per Human Health: 7.092E-3 DALY/(pers*anno), che esprime una riduzione di vita di circa tre giorni per anno e per persona.

Anche in Ecosystem Quality il fattore di normalizzazione è determinato in maniera simile a quello usato in Eco-indicator 99, con due differenze: il danno alla qualità dell’ecosistema causato dalla trasformazione del suolo e dall’ossidazione fotochimica non viene considerato e il danno alla qualità dell’ecosistema causato dalle emissioni tossiche è ripartito tra le categorie di danno per gli ecosistemi acquatici e terrestri.

In Climate Change il valore rispetto al quale fare la normalizzazione è basato sulle emissioni annue totali di CO2 prodotte in Europa, moltiplicate per i potenziali di riscaldamento globale in un orizzonte di 500 anni. Il punteggio totale di riscaldamento globale relativo alle emissioni in Europa Occidentale è 3,78E12 kgeq CO2/anno. Tale valore viene diviso per la popolazione europea, per ottenere la quota di gas climalteranti emessi per persona l’anno, pari a 9.95E3 kgeq CO2/(pers*anno).

107

In Resources il valore rispetto al quale fare la normalizzazione è calcolato come il consumo totale di energia non rinnovabile in Europa, includendo il consumo di energia nucleare.

Tutte le operazioni che sono state esposte per il metodo Impact 2002+ vengono eseguite in automatico da Simapro, tuttavia si è ritenuto utile conoscere la logica con la quale lavora il software per comprendere ciò che sta dietro i "numeri" e istogrammi che verranno illustrati di seguito.

Valutazione degli impatti in fase di costruzione

Di seguito, attraverso i grafici ottenuti dallâ&#x20AC;&#x2122;utilizzo del software di valutazione ambientale, si procede al confronto degli impatti provocati dalla costruzione dei due sub-sistemi tecnologici, sia per quanto riguarda la parete realizzata con muratura in laterizio sia per quanto riguarda quella realizzata con muratura in calcestruzzo autoclavato.

Fig. 4.27 Confronto degli impatti generati in fase di costruzione (mid-point)

108

Fig. 4.28 Confronto degli impatti generati in fase di costruzione (end-point)

La prima colonna dellâ&#x20AC;&#x2122;istogramma si riferisce alla costruzione della parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato, mentre la seconda fa riferimento alla costruzione della stessa tecnologia utilizzando blocchi in laterizio. Oltre alla rappresentazione grafica si riporta una tabella contenente i valori degli impatti generati dai due involucri edilizi.

Mid-point

End-point

Carcinogens Non-carcinogens Respiratory inorganics Ionizing radiation Ozone layer depletion Respiratory organics Aquatic ecotoxicity Terrestrial ecotoxicity Terrestrial acid/nutrification Land occupation Aquatic acidification Aquatic eutrophication Global warming Non-renewable energy Mineral extraction Totale Human health Ecosystem quality Climate change Resources Totale

Costruzione CVE_AAC 1,509E-04 2,299E-04 3,086E-03 2,394E-05 2,625E-06 1,334E-05 2,607E-05 4,222E-04 6,822E-05 1,371E-04 0 0 5,381E-03 4,063E-03 7,712E-06 1,361E-02 3,506E-03 6,536E-04 5,381E-03 4,071E-03 1,361E-02

Costruzione CVE_LATERIZIO 9,286E-04 6,362E-04 5,468E-03 1,577E-05 1,770E-06 1,287E-05 2,087E-05 1,611E-03 1,047E-04 1,120E-03 0 0 5,744E-03 6,026E-03 2,290E-05 2,171E-02 7,063E-03 2,857E-03 5,744E-03 6,049E-03 2,171E-02

Tab. 4.15 Tabella riassuntiva di confronto dei valori degli impatti divisi per categorie d'impatto e categorie di danno (fase di costruzione)

109

Come si evince dalla Tab. 4.15, la costruzione della parete in laterizio risulta impattare il 59,5% in più rispetto alla soluzione con muratura in calcestruzzo autoclavato. Perciò, nel nostro caso, costruire una parete a cappotto con blocchi in calcestruzzo autoclavato comporta una riduzione del 37,3% rispetto ad una messa in opera della struttura con blocchi in laterizio. In tutte le categorie di danno, gli impatti causati dalla parete in laterizio sono superiori a quella in calcestruzzo autoclavato.

Le cause sono da ricercarsi chiaramente nelle due tipologie di muratura e rispettive malte di allettamento, data l'uguaglianza degli altri materiali.

La differente lunghezza dei tasselli di fissaggio influisce nella differenza dei valori anche se in una percentuale alquanto trascurabile, ricordando però che l'unità funzionale è solo 1 m2 di chiusura verticale esterna opaca.

Un altro aspetto da sottolineare è che a parità di dimensioni, quello che varia è il peso e lo spessore necessario alla realizzazione dell’unità funzionale, cioè la densità. Un materiale più denso è facile che sia maggiormente impattante rispetto ad uno che ha una densità più bassa. Per rendere possibile un confronto tra queste due tipologie di chiusure si è scelta la trasmittanza termica come parametro di uguaglianza per le due chiusure verticali: a parità di spessore degli altri materiali, sono stati necessari 35 cm di laterizio per ottenere la stessa trasmittanza termica espressa da 24 cm di calcestruzzo autoclavato. Infatti la quantità di laterizio necessaria a costruire 1 m2 di parete è di 253,75 kg, mentre quella di calcestruzzo autoclavato è di 78 kg. Bisogna sottolineare quindi che, in generale, non si può affermare che il laterizio incida più del calcestruzzo autoclavato ma bisogna tenere in considerazione la densità dei materiali.

Un altro tema su cui riflettere sono i trasporti: nonostante la notevole differenza per quanto riguarda la distanza di approvvigionamento dei due materiali (850 km per il calcestruzzo autoclavato, 100 km per il laterizio), i blocchi in laterizio incidono maggiormente nella valutazione degli impatti.

Poiché è la muratura ad essere la principale causa della differenza di valori nella valutazione degli impatti, si è voluto approfondire ulteriormente lo studio in questo senso. Si è deciso di analizzare singolarmente gli impatti delle murature nei rispettivi sub-sistemi tecnologici: lo scopo è stato quello di studiare i valori degli impatti dei singoli componenti edilizi in un cappotto termico come quelli del nostro caso di studio.

In Simapro all'interno dei singoli sub-processi della fase di costruzione sono stati inclusi sia i trasporti sia i macchinari necessari per la messa in opera dei singoli componenti.

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A questo punto verranno presentati sia gli istogrammi sia i valori quantitativi generati dalla costruzione delle due chiusure verticali.

Fig. 4.29 Impatti generati in fase di costruzione della parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (mid-point)

Fig. 4.30 Impatti generati in fase di costruzione dalla parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (end-point)

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Fig. 4.31 Impatti generati in fase di costruzione dalla parete a cappotto con muratura in laterizio (midpoint)

Fig. 4.32 Impatti generati in fase di costruzione dalla parete a cappotto con muratura in laterizio (endpoint)

Sia i blocchi in calcestruzzo autoclavato sia i blocchi in laterizio sono i processi con i valori degli impatti piĂš alti nelle rispettive soluzioni tecnologiche. Tuttavia per una migliore interpretazione dei risultati, di seguito si mostrano i dati quantitativi dei due casi presi in esame.

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113

Tab. 4.17 Impatti generati in fase di costruzione divisi per sub-processi. Caso della parete con muratura in laterizio. In giallo i valori degli impatti piĂš alti della fase di manutenzione per ogni categoria d'impatto e di danno

Tab. 4.16 Impatti generati in fase di costruzione divisi per sub-processi. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato. In giallo i valori degli impatti piĂš alti della fase di manutenzione per ogni categoria d'impatto e di danno

Un ulteriore strumento di approfondimento e che aiuta notevolmente in sede di interpretazione dei risultati è il diagramma di flusso generato da Simapro indicante, in maniera grafica e in percentuale, i valori degli impatti.

Fig. 4.33 Diagramma di flusso per la fase di costruzione. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato

Fig. 4.34 Estratto del diagramma di flusso per la fase di costruzione. Caso della parete con muratura in laterizio

Ă&#x2C6; ancora una volta evidente come, anche nei rispettivi sub-sistemi tecnologici, siano sempre i blocchi in calcestruzzo autoclavato e in laterizio i maggiori responsabili nella valutazione degli impatti complessiva. Nel caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato, i blocchi sono responsabili al 76,06% della costruzione della chiusura verticale.

Mentre, nell'altro caso, i blocchi in laterizio costituiscono l'81,82% degli impatti della costruzione del sub-sistema tecnologico.

A questo punto è possibile confrontare direttamente le due murature per evidenziare possibili differenze nelle singole categorie d'impatto e/o categorie di danno.

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Mid-point

End-point

Carcinogens Non-carcinogens Respiratory inorganics Ionizing radiation Ozone layer depletion Respiratory organics Aquatic ecotoxicity Terrestrial ecotoxicity Terrestrial acid/nutrification Land occupation Aquatic acidification Aquatic eutrophication Global warming Non-renewable energy Mineral extraction Totale Human health Ecosystem quality Climate change Resources Totale

Blocchi in AAC 6,299E-05 1,671E-04 2,388E-03 1,943E-05 2,500E-06 9,759E-06 2,422E-05 3,625E-04 5,533E-05 9,454E-05 0 0 4,130E-03 2,757E-03 6,515E-06 1,008E-02 2,650E-03 5,366E-04 4,130E-03 2,764E-03 1,008E-02

Blocchi in laterizio 8,361E-04 5,637E-04 4,662E-03 1,034E-05 1,624E-06 9,201E-06 1,862E-05 1,528E-03 8,987E-05 1,075E-03 0 0 4,313E-03 4,636E-03 2,150E-05 1,777E-02 6,083E-03 2,712E-03 4,313E-03 4,658E-03 1,777E-02

Tab. 4.18 Tabella riassuntiva di confronto dei valori degli impatti delle due murature divisi per categorie d'impatto e categorie di danno. In giallo i valori più alti tra i due sub-sistemi per ogni categoria d'impatto e di danno

Nonostante i blocchi in laterizio sono più impattanti dei blocchi in AAC del 76,3%, in alcune categorie di impatto i blocchi in AAC hanno valori superiori (Ionizing radiation, Ozone layer depletion, Respiratory organics, Aquatic ecotoxicity).

Come già detto in precedenza, oltre ai trasporti, nei processi elementari dei blocchi in laterizio e calcestruzzo autoclavato è inclusa l'incidenza dei flussi di energia: in particolare per la movimentazione dei blocchi si è ipotizzato l'uso della gru che, come si può vedere dalle Tab. 4.5 e Tab 4.6, ha consumi minori nel caso del calcestruzzo autoclavato producendo impatti inferiori rispetto all'altra soluzione, giustificando quindi i risultati che emergono dalla Tab. 4.18.

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Fase di manutenzione

La fase di manutenzione presa in considerazione è quella che tiene in conto tutte le operazioni di demolizione parziale e ripristino dei componenti edilizi nell'arco degli 80 anni.

Partiamo quindi con il confronto tra le due chiusure verticali:

Fig. 4.35 Confronto degli impatti generati in fase di manutenzione (mid-point)

Fig. 4.36 Confronto degli impatti generati in fase di manutenzione (end-point)

A livello grafico si può dire che i valori dei due istogrammi sono pressoché i medesimi.

In realtà analizzando i dati quantitativi una lieve differenza dei valori impattanti è presente.

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Mid-point

End-point

Carcinogens Non-carcinogens Respiratory inorganics Ionizing radiation Ozone layer depletion Respiratory organics Aquatic ecotoxicity Terrestrial ecotoxicity Terrestrial acid/nutrification Land occupation Aquatic acidification Aquatic eutrophication Global warming Non-renewable energy Mineral extraction Totale Human health Ecosystem quality Climate change Resources Totale

Manutenzione CVE_AAC 2,467E-04 2,525E-04 2,434E-03 1,600E-05 7,820E-07 1,024E-05 8,656E-06 2,397E-04 4,486E-05 2,442E-04 0 0 4,120E-03 3,999E-03 5,254E-06 1,162E-02 2,961E-03 5,374E-04 4,120E-03 4,004E-03 1,162E-02

Manutenzione CVE_LATERIZIO 2,460E-04 2,505E-04 2,419E-03 1,594E-05 7,817E-07 1,022E-05 8,634E-06 2,393E-04 4,460E-05 2,442E-04 0 0 4,101E-03 3,978E-03 5,242E-06 1,156E-02 2,943E-03 5,367E-04 4,101E-03 3,984E-03 1,156E-02

Tb. 4.19 Tabella riassuntiva di confronto dei valori degli impatti divisi per categorie d'impatto e categorie di danno (fase di manutenzione). In giallo i valori più alti tra i due sub-sistemi per ogni categoria d'impatto e di danno.

Osservando i valori, è chiaro che la differenza è alquanto trascurabile. Tuttavia gli impatti generati dalla manutenzione del cappotto esterno con muratura in calcestruzzo autoclavato risultano superiori all'altro caso.

Considerando che la muratura e, di conseguenza, anche la malta di allettamento non sono intaccate dalle operazioni di manutenzione, la differenza dei valori è data sicuramente dalla disuguaglianza della lunghezza dei tasselli di fissaggio, che sono gli unici componenti con quantità diverse nei due cappotti termici analizzati, oltre al fatto che i pannelli di isolamento sono uguali per spessore e materiale. È importante evidenziare che, sebbene la differenza sia davvero minima, si sta considerando un'unità funzionale pari a 1 m2; qualora si dovesse considerare come unità funzionale l'intero edificio probabilmente questa grandezza non sarà più trascurabile.

A questo punto, così come per la fase di costruzione, si è deciso di approfondire lo studio della fase di manutenzione per valutare i maggiori responsabili degli impatti generati nelle rispettive applicazioni.

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Partendo dal caso del cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato:

Fig. 4.37 Impatti generati in fase di manutenzione dalla parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (mid-point)

Fig. 4.38 Impatti generati in fase di manutenzione dalla parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (end-point)

È chiaro come il ripristino del cappotto termico sia l'operazione più impattante durante la fase di manutenzione. Inoltre è bene sottolineare anche come le operazioni di ripristino delle finiture (5 volte nell'arco del ciclo di vita della parete) nella parte esterna ed interna del pacchetto murario siano più impattanti delle operazioni di demolizione del cappotto (2 volte nell'arco del ciclo di vita della parete).

Spingendo l'analisi ancora più a fondo è possibile risalire al sub-processo più impattante dell'operazione di ricostruzione del cappotto, ma anche al sub-processo più impattante in assoluto della fase di manutenzione della parete verticale esterna. È bene ricordare che, nel caso dei sub-processi riferiti alla demolizione, i consumi dei macchinari e i trasporti al sito di trattamento finale non sono distinguibili per ogni singolo componente edilizio, come invece accadeva per la costruzione dei processi della fase di

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costruzione. Ad esempio quando si utilizza il martello pneumatico per la rimozione del cappotto, la rimozione non avviene a strati ma si rimuovono indistintamente gli strati costituenti il cappotto. È impossibile assegnare, quindi, in maniera netta la quantità di consumo elettrico prodotta dalla rimozione del rasante o della finitura, ad esempio.

Detto ciò, poiché non è stato possibile costruire un unico sub-processo contenente sia i trasporti sia i macchinari, anche i trasporti sono stati realizzati come sub-processi indipendenti separando i processi al variare del sito di trattamento finale.

Per quanto riguarda invece la ricostruzione, i consumi e i trasporti sono inclusi in ogni sub-processo perché è possibile includere queste operazioni nei singoli componenti.

Affinché le valutazioni possano essere effettuate in maniera sistematica, si è costruita una tabella ad-hoc all'interno della quale ci sono tutti i valori degli impatti generati dai subprocessi generati dalla fase di ricostruzione e demolizione.

Non è stato possibile, chiaramente, scomporre ulteriormente il processo di ripristino delle finiture interne ed esterne.

Si parte quindi riportando gli istogrammi riferenti le operazioni di demolizione e ricostruzione durante la fase di manutenzione.

Fig. 4.39 Impatti generati in fase di demolizione del cappotto termico con muratura in calcestruzzo autoclavato (end-point)

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Fig. 4.40 Impatti generati in fase di ricostruzione del cappotto termico con muratura in calcestruzzo autoclavato (end-point)

È già chiaro come i pannelli EPS risultino essere il sub-processo più impattante nella fase di ricostruzione. Altri impatti abbastanza importanti provengono dai processi di ripristino delle finiture interne ed esterne, dal rasante e dall'intonaco di fondo. Tuttavia, attraverso le tabelle, si può valutare quantitativamente quello che è già visibile graficamente. Le tabelle sono utili anche per fare diverse valutazioni e interpretare al meglio i risultati ottenuti. Anche in questo caso è fondamentale riportare le tabelle e il diagramma di flusso, utili per una migliore interpretazione dei risultati.

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Tab. 4.20 Impatti generati in fase ricostruzione divisi per sub-processi. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato. In giallo i valori degli impatti piĂš alti della fase di ricostruzione per ogni categoria d'impatto e di danno

Tab. 4.21 Impatti generati in fase di manutenzione divisi per sub-processi. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato. In giallo i valori degli impatti piĂš alti della fase di manutenzione per ogni categoria d'impatto e di danno

Partendo dalla fase di ricostruzione, che è l'operazione più impattante della fase di manutenzione, è evidente che i due sub-processi più impattanti sono il ripristino dei pannelli

Fig. 4.41 Estratto del diagramma di flusso per la fase di manutenzione. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato

EPS e quello delle finiture interne ed esterne. Tuttavia, sommando le categorie di impatto o di danno, in assoluto i pannelli EPS rappresentano i valori più impattanti della fase di ricostruzione.

Analizzando, invece, l'intera fase di manutenzione si evince che, a meno di alcune categorie di impatto e di danno, l'impatto maggiore è generato dal ripristino delle finiture interne ed esterne perché, nel ciclo di vita utile della chiusura verticale esterna pari a 80 anni, questa operazione viene ripetuta in totale 7 volte, mentre il ripristino dei pannelli isolanti avviene solo due volte. Per avere maggiore chiarezza in tal senso si riporta sulla sinistra il diagramma di flusso della fase di manutenzione, indicante le percentuali di impatto di ogni processo. Dal diagramma si evince come la fase di ricostruzione sia responsabile per il 57,84% degli impatti totali delle operazioni di manutenzione e che il ripristino delle finiture interne ed esterne hanno un impatto quasi doppio (28,05%) alla fase di demolizione (14,11%) Riportiamo adesso, anche per il caso del cappotto con muratura in laterizio, dapprima gli istogrammi relativi alla fase di manutenzione e successivamente, scendendo nel dettaglio dell'analisi, quelli relativi alla fase di demolizione e ricostruzione inserendo le tabelle e il diagramma di flusso.

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Fig. 4.42 Impatti generati in fase di manutenzione del cappotto termico con muratura in laterizio (midpoint)

Fig. 4.43 Impatti generati in fase di manutenzione del cappotto termico con muratura in laterizio (endpoint)

Cosi come nel caso della muratura in calcestruzzo autoclavato, è chiaro che la gerarchia dei valori degli impatti sia la stessa del caso precedente per via della similarità delle soluzioni tecnologiche. Tuttavia come si vedrà dalle tabelle i valori saranno differenti dall' altro caso a causa della differente lunghezza dei tasselli di fissaggio.

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Fig. 4.44 Impatti generati in fase di demolizione del cappotto termico con muratura in laterizio (endpoint)

Fig. 4.45 Impatti generati in fase di ricostruzione del cappotto termico con muratura in laterizio (endpoint)

È comprensibile che, anche in questo caso, i pannelli EPS ricoprano un ruolo importante negli impatti complessivi, data la similarità dei materiali con l'altro caso di studio. Si può evidenziare che, nella fase di ricostruzione, le finiture - che hanno uno spessore alquanto trascurabile- impattano più del rasante oppure dell'intonaco di fondo che hanno spessori superiori. La causa è da ricercarsi nella natura dei materiali scelti per le finiture, per il rasante e per l'intonaco di fondo. Il processo produttivo delle finiture comporta maggiori oneri in termini ambientali -se confrontato ad intonaci e malte- per via della presenza di leganti speciali in esso contenuti.

124

125

Tab. 4.23 Impatti generati in fase ricostruzione divisi per sub-processi. Caso della parete con muratura in laterizio. In giallo i valori degli impatti piĂš alti della fase di ricostruzione per ogni categoria d'impatto e di danno

Tab. 4.22 Impatti generati in fase di manutenzione divisi per sub-processi. Caso della parete con muratura in laterizio. In giallo i valori degli impatti piÚ alti della fase di manutenzione èer ogni categoria d'impatto e di danno

Così come nel caso della parete con supporto in calcestruzzo autoclavato, i subprocessi più impattanti sia nella fase di ricostruzione sia nella fase di manutenzione sono gli stessi. L'unica differenza, come già è stato detto in precedenza, è la Fig. 4.46 Diagramma di flusso per la fase di manutenzione. Caso della parete con muratura in laterizio.

differenza dei valori degli impatti gene-

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rati dai tasselli di fissaggio. Poiché le informazioni, quindi, erano simili si è voluto differenziare la rappresentazione del diagramma di flusso nella Fig. 4.46.

Questa volta esso riproduce tutti i processi che portano alla fase di manutenzione, mostrando anche le materie prime, i consumi e i trasporti di tutti i sub-processi con i relativi impatti.

In questo caso gli impatti generati dalla ricostruzione costituiscono il 57,79% degli impatti generati dalla fase di manutenzione; la sostituzione dei pannelli EPS impatta per il 24,91% nelle operazioni di ricostruzione.

Fase di dismissione

Per fase di dismissione si intende la fase finale della vita utile della parete verticale esterna, ovvero quella dove tutti i componenti che costituiscono la parete vengono demoliti e destinati ai rispettivi siti di trattamento, comprese le murature. Le possibilitĂ di trattamento a fine vita di tutti i materiali presi in esame sono state giĂ affrontate nel paragrafo 4.3.2 e sono state inserite in Simapro.

Di seguito si riportano gli istogrammi relativi al confronto delle due soluzioni tecnologiche in fase di dismissione:

Fig. 4.47 Confronto degli impatti generati in fase di dismissione (mid-point)

Fig. 4.48 Confronto degli impatti generati in fase di dismissione (end-point)

Attraverso la sola rappresentazione grafica degli impatti è già visivamente evidente come il caso della parete con supporto in laterizio causi un impatto superiore alla parete con

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muratura in calcestruzzo autoclavato. Per comprenderne l'entità effettiva della differenza di valori, si riportano i dati quantitativi dei due casi di studio.

Mid-point

End-point

Carcinogens Non-carcinogens Respiratory inorganics Ionizing radiation Ozone layer depletion Respiratory organics Aquatic ecotoxicity Terrestrial ecotoxicity Terrestrial acid/nutrification Land occupation Aquatic acidification Aquatic eutrophication Global warming Non-renewable energy Mineral extraction Totale Human health Ecosystem quality Climate change Resources Totale

Dismissione CVE_AAC 1,969E-05 6,017E-05 1,979E-03 1,632E-06 1,549E-06 5,938E-06 7,090E-06 8,772E-05 3,729E-05 4,644E-06 0 0 1,167E-03 7,710E-04 3,572E-07 4,144E-03 2,068E-03 1,367E-04 1,167E-03 7,714E-04 4,144E-03

Dismissione CVE_LATERIZIO 2,153E-05 6,263E-05 2,479E-03 1,907E-06 1,646E-06 6,424E-06 7,943E-06 1,003E-04 4,138E-05 7,534E-06 0 0 1,254E-03 8,667E-04 4,667E-07 4,851E-03 2,573E-03 1,572E-04 1,254E-03 8,671E-04 4,851E-03

Tab. 4.24 Tabella riassuntiva di confronto dei valori degli impatti divisi per categorie d'impatto e categorie di danno (fase di dismissione). In giallo i valori più alti tra i due sub-sistemi per ogni categoria d'impatto e di danno.

Come per la fase di costruzione, anche nella fase di dismissione è la parete a cappotto con muratura in laterizio ad essere più impattante, esattamente del 17,06% in più. In questo caso però ci sono pochi dubbi perché tutti i valori delle categorie di impatto e di danno sono superiori all'altra soluzione.

Per la dismissione si è voluto procedere come per le altre fasi: si vogliono quindi valutare tutti gli impatti generati dai sub-processi riferiti a questa fase per ogni parete esterna del caso di studio.

Per quanto riguarda i trasporti, i macchinari e la questione riguardante la rete d'armatura valgono le stesse considerazioni fatte nel caso della demolizione durante la fase di manutenzione.

Partiamo, ad esempio, con il caso del cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato riportando gli istogrammi estrapolati da Simapro: 128

Fig. 4.49 Impatti generati in fase di dismissione della parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (mid-point)

Fig. 4.50 Impatti generati in fase di dismissione della parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (end-point)

È evidente come gli impatti più onerosi sono generati dalle lavorazioni dell'escavatore.

Per quanto possa sembrare di poco conto, le operazioni di cantiere determinano consumi non trascurabili di risorse (energia, acqua, combustibili e materie prime). Il cantiere ospita mezzi e macchinari, che richiedono consumi di energia e che generano rumore e inquinamento nella zona circostante.

Come si nota dalle Fig. 4.49 e Fig. 4.50, il trasporto dei pannelli EPS al sito finale produce impatti superiori al trasporto di tutti gli inerti, nonostante le quantità siano nettamente diverse (i pannelli EPS sono molto più leggeri di tutti gli inerti). Ciò dipende dalla distanza dei trasporti (14 km per gli inerti e 80 km per i pannelli EPS).

A questo punto è possibile mostrare una panoramica generale degli impatti generati in fase di dismissione e il relativo diagramma di flusso.

129

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Fig. 4.51 Diagramma di flusso per la fase di dismissione. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato

Tab. 4.25 Impatti generati in fase di dismissione divisi per sub-processi. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato. In giallo i valori degli impatti piĂš alti della fase di dismissione per ogni categoria d'impatto e di danno.

Le informazioni presenti nella Tab. 4.25 e nella Fig. 4.51 sottolineano ulteriormente il grande impatto ambientale generato dall'escavatore, pari addirittura al 72,2% dell'intera fase di dismissione. I valori degli impatti generati dall'escavatore rispetto agli altri materiali sono piĂš alti in tutte le categorie di danno e nella quasi totalitĂ delle categorie d'impatto.

Si presentano adesso i risultati relativi alla parete con muratura in laterizio:

Fig. 4.52 Impatti generati in fase di dismissione della parete a cappotto con muratura in laterizio (midpoint)

Fig. 4.53 Impatti generati in fase di dismissione della parete a cappotto con muratura in laterizio(endpoint)

131

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Fig. 4.54 Diagramma di flusso per la fase di dismissione. Caso della parete con muratura in laterizio

Tab. 4.26 Impatti generati in fase di dismissione divisi per sub-processi. Caso della poarete con muratura in laterizio. In giallo i valori degli impatti piĂš alti della fase di dismissione per ogni categoria d'impatto e di danno

Dalla Tab. 4.26 emerge un'informazione molto importante: analizzando la soluzione tecnologica con muratura in laterizio, gli impatti generati dai trasporti dei blocchi e dai materiali inerti sono superiori a quelli generati dai trasporti dei pannelli EPS, differentemente dal caso precedente. In generale le considerazioni da fare sono simili al caso precedente, tuttavia l'entità degli impatti in questa soluzione sono differenti. Le cause sono da ricercarsi ad esempio nelle quantità di alcuni materiali che già in fase di costruzione erano diverse nelle due soluzioni tecnologiche e che, quindi, incidono nelle differenze dei valori in fase di demolizione: -

Per costruire 1 m2 di muratura in calcestruzzo autoclavato sono necessari 4,5 kg di malta di allettamento mentre, se consideriamo la muratura in laterizio, ne servono 12,6 kg;

-

I tasselli di fissaggio hanno lunghezze differenti nei due casi e, di conseguenza, due pesi differenti che incidono anche negli impatti in fase di demolizione;

-

Nuovamente in 1 m2 di muratura di tamponamento le quantità di laterizio (273,75 kg) sono diverse da quelle del calcestruzzo autoclavato (78 kg);

-

Le tecnologie per il processo di smaltimento dei blocchi in calcestruzzo autoclavato sono differenti da quelle dei blocchi in laterizio, producendo quindi impatti differenti.

Dai valori emersi dalla Tab. 4.26 e dalla Fig.4.54, anche in questo caso i valori degli impatti generati dall'escavatore sono superiori agli altri processi. Tuttavia, dopo aver analizzato i singoli sub-processi per ogni soluzione tecnologica, si rende necessario un loro confronto. Così facendo si possono conoscere quali sono i sub-processi che rendono il cappotto con muratura in laterizio più impattante di quello in calcestruzzo autoclavato.

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Tab. 4.27 Confronto degli impatti generati in fase di dismissione divisi per sub-processi. In verde quando i valori degli impatti più alti appartengono al caso del calcestruzzo autoclavato. In arancione quando appartengono a quello del laterizio.

Dalla Tab. 4.27 emergono diverse informazioni: - I valori degli impatti dei sub-processi legati ai consumi dei macchinari sono gli stessi perché la tecnologia delle due applicazioni è identica; - Il trasporto e lo smaltimento dei pannelli EPS impattano allo stesso modo nei due casi perché i pannelli isolanti sono uguali nelle due soluzioni a cappotto; - La differenza, seppur minima, della lunghezza dei tasselli di fissaggio, genera nel caso della muratura in calcestruzzo autoclavato un impatto addirittura del 17,8% superiore ai tasselli dell'altra soluzione poiché la tecnologia di smaltimento del PVC è parecchio dispendiosa in termini ambientali anche su piccole quantità; - Nel complesso le motivazioni per cui la demolizione della parete con supporto in laterizio genera impatti superiori sono legati agli impatti generati dai blocchi in laterizio per via della quantità da smaltire (253,75 kg contro i 78 kg del calcestruzzo autoclavato) che a sua volta generano maggiori oneri nei trasporti in termini ambientali.

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Ciclo di vita

Dopo aver analizzato le fasi di costruzione, di manutenzione e dismissione delle due pareti, si può procede ad illustrare i risultati relativi al ciclo di vita che si ricorda essere pari ad 80 anni.

Fig. 4.55 Confronto degli impatti generati durante il ciclo di vita (mid-point)

Fig. 4.56 Confronto degli impatti generati durante il ciclo di vita (end-point)

Mid-point

Carcinogens Non-carcinogens Respiratory inorganics Ionizing radiation Ozone layer depletion Respiratory organics Aquatic ecotoxicity Terrestrial ecotoxicity Terrestrial acid/nutrification 135

Life Cycle CVE_AAC 4,173E-04 5,426E-04 7,499E-03 4,157E-05 4,955E-06 2,951E-05 4,182E-05 7,496E-04 1,504E-04

Life Cycle CVE_LATERIZIO 1,196E-03 9,493E-04 1,037E-02 3,361E-05 4,197E-06 2,950E-05 3,744E-05 1,950E-03 1,907E-04

End-point

Land occupation Aquatic acidification Aquatic eutrophication Global warming Non-renewable energy Mineral extraction Totale Human health Ecosystem quality Climate change Resources Totale

3,859E-04 0 0 1,067E-02 8,833E-03 1,332E-05 2,938E-02 8,535E-03 1,328E-03 1,067E-02 8,847E-03 2,938E-02

1,372E-03 0 0 1,110E-02 1,087E-02 2,861E-05 3,813E-02 1,258E-02 3,550E-03 1,110E-02 1,090E-02 3,813E-02

Tab. 4.28 Tabella riassuntiva di confronto dei valori degli impatti divisi per categorie d'impatto e categorie di danno (ciclo di vita). In giallo i valori più alti tra i due sub-sistemi per ogni categoria d'impatto e di danno.

Valutando l'intero ciclo di vita delle due pareti, si nota come il cappotto con la muratura in laterizio genera impatti del 29,78% in più se confrontato con l'altro caso (si può dire anche che scegliere una muratura in calcestruzzo autoclavato riduce gli impatti del 22,95%). Tuttavia, in alcune categorie d'impatto, gli impatti della chiusura verticale con supporto in calcestruzzo autoclavato sono maggiori, come si vede dalla Tab. 4.28.

Poiché il ciclo di vita è formato dalla fase di costruzione, manutenzione e dismissione, per ricercare le cause della differenza di valori tra le due soluzioni in questa fase basterebbe rivedere le considerazioni fatte in precedenza. È evidente che tutto dipenda dai due supporti murari, in quanto sono gli unici componenti differenti nelle due applicazioni. Lo scopo dello studio era proprio questo, evidenziare come cambiano gli impatti attraverso il solo cambio della muratura che costituisce la parete verticale esterna.

Affinando ulteriormente i risultati, possiamo confrontare le fasi costruzione, manutenzione e dismissione nelle singole applicazioni, per comprendere l'entità degli impatti che ciascuna fase genera nel rispettivo ciclo di vita.

Partendo, come nei casi precedenti, dal caso con la muratura in calcestruzzo autoclavato:

136

Fig. 4.57 Impatti generati durante il ciclo di vita della parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (mid-point)

Fig. 4.58 Impatti generati durante il ciclo di vita della parete a cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato (end-point)

I dati numerici relativi alle singole fasi di costruzione, manutenzione e demolizione persono presenti nelle pagine precedenti.

Gli istogrammi che scaturiscono dall'analisi del ciclo di vita sono tra i più importanti in sede di valutazione degli impatti perché è possibile confrontare e valutare tutte le fasi che caratterizzano la vita utile della chiusura verticale esterna.

Dalla rappresentazione grafica emerge che la costruzione della parete è la fase più impattante durante il ciclo di vita, a seguire ci sono la manutenzione e infine la dismissione.

La manutenzione genera impatti non molto lontani da quelli della fase di costruzione, sebbene non siano presenti durante la manutenzione le operazioni necessarie a ripristinare la muratura in calcestruzzo autoclavato, per via della durata di questo materiale pari all'intero ciclo di vita della chiusura verticale esterna. Questo accade perché la fase di costru-

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zione avviene solo una volta nell'intero ciclo di vita mentre, le operazioni di manutenzione, sebbene circoscritte al cappotto termico e non intaccando quindi le murature, vengono innanzitutto ripetute più volte nel ciclo di vita ma include in sé anche la fase di demolizione oltre a quella di ricostruzione. La fase del ciclo di vita fornisce diverse informali utili, perciò non deve essere sottovalutata e non può essere esclusa come invece accade in altre tipologie di valutazione ambientale.

Per poter fare analisi quantitative, parlando quindi di numeri, è necessario valutare il diagramma di flusso3 che mostra in valori percentuali l'entità degli impatti delle singole fasi parlando in termini di ciclo di vita.

Andando in ordine decrescente: la fase di costruzione incide per il 46,33% sugli impatti dell'intero ciclo di vita, all'interno della quale, come è ormai noto, il sub-processo relativo ai blocchi di calcestruzzo autoclavato è quello che comporta maggiori oneri in termini ambientali. La fase di manutenzione incide per il 39,56% ed in questo caso il sub-processo che produce maggiori impatti è la ricostruzione del cappotto termico; infine la dismissione della parete incide per il 14,11% con un grosso contributo, in termini ambientali, prodotto dalle operazioni di demolizione dell'escavatore.

Analizziamo adesso il cappotto con muratura in laterizio:

Fig. 4.59 Impatti generati durante il ciclo di vita della parete a cappotto con muratura in laterizio (midpoint)

3

Si vedano gli allegati A.3 e A.4

138

Fig. 4.60 Impatti generati durante il ciclo di vita della parete a cappotto con muratura in laterizio (endpoint)

Anche in questo caso la gerarchia dei valori degli impatti non cambia: i valori più grandi emergono dalla fase di costruzione, poi dalla fase di manutenzione e infine la fase di demolizione. Calcolando il delta dei valori tra la fase di costruzione e manutenzione il risultato è più grande rispetto al caso precedente: ricordando che i valori degli impatti della fase di manutenzione di entrambe le pareti era pressoché identico, la causa è insita nella fase di costruzione che nel caso della parete con muratura in laterizio produce un impatto superiore, come emerge dalle analisi presenti nella sezione "fase di costruzione".

In termini percentuali4: la fase di costruzione incide per il 56,95% dei valori degli impatti dell'intero ciclo di vita, la fase di manutenzione il 30,33% e infine la fase di demolizione il 12,72%. I sub-processi più impattanti per ogni fase sono gli stessi dell'altra parete, ricordando ovviamente che in questo caso si tratta di blocchi in laterizio.

4.3.4 Interpretazione dei risultati La fase dell’interpretazione dei risultati ottenuti costituisce il momento in cui realizzare una valida correlazione tra i risultati dell’analisi di inventario e di quella degli impatti, per proporre utili raccomandazioni in conformità con lo scopo e gli obiettivi dello studio.

Dopo aver analizzato gli impatti ambientali ottenuti nelle diverse fasi del ciclo di vita delle pareti così considerate, si vanno a valutare i principali punti critici sui quali focalizzare l’attenzione per poterne ricavare delle conclusioni e delle raccomandazioni, le quali possono essere ulteriormente convalidate andando a modificare i dati di inventario in modo da poter attuare un confronto con i processi inizialmente realizzati.

4

Si vedano gli allegati A.5 e A.6

139

Nelle pagine precedenti, in cui si sono valutati gli impatti ambientali ottenuti dal confronto, sono stati messi in evidenza i principali punti critici rilevati: è proprio da qui che parte la fase di interpretazione dei risultati ottenuti.

Innanzitutto bisogna sottolineare che lo studio si concentrava essenzialmente sulle due tipologie di muratura dato che gli altri materiali sono volutamente identici. Perciò qualsiasi considerazione verrà fatta facendo riferimento alle due tipologie di muratura.

In particolare è emerso che: -

Le murature delle due applicazioni sono le cause principali degli impatti delle due chiusure verticali esterne perché generano valori superiori rispetto agli altri materiali in tutte le fasi, ad esclusione della sola fase di manutenzione nella quale le murature non sono coinvolte e quindi non possono generare impatti;

-

I blocchi in laterizio producono impatti maggiori rispetto ai blocchi in calcestruzzo autoclavato sia in fase di costruzione sia in fase di dismissione;

-

La causa principale degli impatti generati dalla fase di dismissione è l'uso dell'escavatore che è necessario alla demolizione delle murature.

A questo punto pertanto si procede a formulare delle proposte per la mitigazione degli effetti ottenuti. Trascurando le possibilità migliorative esistenti che riguardano la soluzione a cappotto che non sono oggetto dello studio, si vogliono ricercare quelle che possono attenuare gli impatti generati dalle murature, partendo dall'utilizzo degli stessi materiali ovvero il laterizio e il calcestruzzo autoclavato. Tra le possibili alternative c'è sicuramente la possibilità di acquisire i blocchi in calcestruzzo autoclavato e quelli in laterizio in una zona prossima al cantiere. Nel lavoro di tesi lo stabilimento di produzione dista 850 km nel caso del calcestruzzo autoclavato e 100 km per il laterizio; perciò la presenza di un'azienda più vicina al cantiere abbatterebbe notevolmente gli impatti. Un' ipotesi futura, che potrebbe ridurre gli impatti, potrebbe essere la reversibilità delle murature a fine vita con la possibilità di riutilizzo in un cantiere diverso dal primo. Ciò limiterebbe gli impatti in fase di dismissione perché i blocchi non verrebbero inviati in un sito di fine vita (eliminando gli impatti generati dai relativi processi di smaltimento); inoltre si abbatterebbero gli impatti di produzione di questi materiali nel nuovo cantiere perché già esistono e proverrebbero da un altro cantiere e non dal sito di produzione (gli impatti sarebbero generati solo dal trasporto dei materiali da un cantiere all'altro).

Sono presenti diverse ricerche sperimentali in questo senso: sono presenti ad esempio blocchi ad incastro tipo "LEGO" che quindi non necessitano della malta di allettamento 140

per unire i blocchi ma l'utilizzo del legante che circonda l'armatura presente nella muratura è indispensabile per evitare i problemi legati alla sismicità (limitando quindi la reversibilità di questa soluzione).

Questo limite impedisce una valutazione reale dei vantaggi che questa soluzione potrebbe avere sulle tecnologie classiche. Realizzare Fig. 4.61 Blocchi in laterizio tipo "LEGO"

murature completamente a secco in laterizio e calcestruzzo autocla-

vato è una delle sfide più importanti che il mercato delle costruzioni sta cercando di effettuare in questi anni.

141

CONCLUSIONI Il lavoro di tesi ha focalizzato l’attenzione sulla necessità di scelte corrette e consapevoli per la progettazione di chiusure verticali esterne in questo caso e, più in generale, di edifici finalizzate a limitare gli impatti ambientali inevitabilmente connessi con il settore dell’edilizia.

L’attenzione progettuale non va riposta solo su una delle fasi del ciclo di vita, ma è necessaria una valutazione complessiva degli impatti ambientali di tutte le fasi.

Come si è visto infatti non ha senso, per esempio, adottare un materiale come il laterizio valutandone gli impatti solo in termini di produzione, senza tenere conto del ciclo di vita e dunque degli impatti in fase di gestione o di dismissione. Le valutazioni degli impatti ambientali lungo il ciclo di vita e l’approccio life cycle hanno delle ripercussioni importanti sul progetto; in tal senso il progetto diventa, in pratica, la sede di decisioni che influiscono non solo sulla costruzione, ma anche sulla gestione, manutenzione e addirittura dismissione dell’edificio, imponendo al progettista una visione a lungo termine del proprio operato e responsabilizzando il progetto rispetto all’intero ciclo di vita del caso di studio.

Per quanto riguarda lo studio affrontato nel lavoro di tesi, il calcestruzzo autoclavato ricopre sicuramente un ruolo da protagonista poiché, nonostante si tratti di un materiale minerale, le caratteristiche fisico tecniche e meccaniche lo rendono perfettamente idoneo all'impiego in edilizia. I suoi vantaggi in termini di risparmio energetico sono dimostrati nel capitolo inerente al caso di studio ma lo dimostra anche il fatto che viene utilizzato molto frequentemente come principale materiale da costruzione nei paesi del nord Europa. È stata questa la motivazione da cui è nata la volontà di confrontare il calcestruzzo autoclavato con il materiale più utilizzato in Italia e in molti altri paesi: il laterizio.

A questo punto si è scelto di effettuare questo confronto servendosi di una soluzione tecnologica nota in edilizia: il cappotto termico. Tutti i materiali presenti nel pacchetto murario erano identici per entrambe le applicazioni, ad esclusione delle due murature.

La valutazione comparativa è stata effettuata confrontando tutte le fasi che determinano il ciclo di vita: la fase di costruzione, la fase di manutenzione (trascurando la fase d'uso) e la fase di fine vita.

Si è mostrato come modellare tutte le fasi del ciclo di vita delle due soluzioni tecnologiche all'interno del software Simapro, in linea con i principi di una valutazione LCA.

142

Dal confronto delle due soluzioni tecnologiche è emerso che durante l'arco del ciclo di vita pari a 80 anni gli impatti generati dal cappotto con supporto murario in laterizio sono 1,3 più alti del cappotto costruito con una muratura in calcestruzzo autoclavato.

La differenza di impatti è emersa in maniera significativa nelle fasi di costruzione e di dismissione, nelle quali il caso con la muratura in calcestruzzo autoclavato, rispetto alla soluzione con muratura in laterizio, riduce gli impatti rispettivamente del 37,3 % nella fase di costruzione e del 14,6 % nella fase di dismissione.

Si è notato quindi che nell’analisi finale di tutti i processi concorrenti nell’impatto delle due soluzioni tecnologiche, la causa principale degli impatti finali è imputabile ai blocchi in laterizio in un caso e ai blocchi in calcestruzzo autoclavato. In particolare è la muratura in laterizio ad incidere più del calcestruzzo autoclavato nella valutazione degli impatti.

Tra le diverse cause quella più importante è legata alla densità dei materiali: a parità di trasmittanza termica la densità e quindi l'impiego di materiale è maggiore nel caso del laterizio. È stato importante quindi, attraverso l'approccio Life Cycle Assessment, indagare gli impatti anche nelle fasi di manutenzione e di dismissione che non devono essere trascurati già in fase di progettazione. Infatti, durante la fase di manutenzione è emerso che, anche un elemento di piccole dimensioni come il tassello di fissaggio, può fare la differenza in termini di valutazione ambientale.

Passando alla metodologia di valutazione ambientale utilizzata nel lavoro di tesi, a valle dello studio è possibile analizzare quali sono stati i vantaggi ma anche i limiti della metodologia LCA riscontrati durante il lavoro di tesi. Tra i vantaggi: -

Quantifica completamente gli impatti ambientali associati alle soluzioni tecnologiche analizzate. Per via della possibilità di separare il sistema di prodotto in processi unitari è stato possibile quantificare qualsiasi tipo di dato in maniera scientifica e non qualitativa. Ad esempio è necessario conoscere i litri di acqua indispensabili alla produzione della malta di allettamento per 1 m2 di muratura così come il numero necessario di tasselli di fissaggio per costruire 1 m2 di cappotto e così via per tutti i materiali. È doveroso conoscere il consumo di tutti i mezzi utilizzati nel cantiere per la movimentazione dei materiali, ma anche i trasporti dallo stabilimento di produzione al cantiere e successivamente dal cantiere al sito finale. Tutte questi dati sono stati quantificati e trasferiti nella metodologia LCA, generando così dati scientifici e soprattutto oggettivi.

143

-

È possibile individuare le cause dei cambiamenti degli impatti tra le fasi del ciclo di vita e tra i diversi processi. Nel lavoro di tesi non è stato analizzato solo il ciclo di vita inteso come la somma delle fasi di costruzione, manutenzione e dismissione ma ci si è soffermati anche sulle singole fasi, analizzando tutte le possibili cause che hanno generato i diversi impatti. Questo tipo di lavoro è stato possibile perché nella metodologia LCA il valore totale degli impatti di un sistema di prodotto non è altro che la somma degli impatti generati dai rispettivi processi unitari.

Ad esempio è stato agevole intuire che nella fase di costruzione di un cappotto con muratura in calcestruzzo autoclavato, gli impatti maggiori sono generati dai blocchi in AAC. È immediato perché già dal principio i valori sono quantitativi e vengono esplicitati in maniera univoca attraverso istogrammi e tabelle, a differenza di altri metodi di valutazione che nascono da parametri qualitativi e frutto anche di soggettività.

-

La versatilità nel confrontare le prestazioni di due o più prodotti o processi concorrenti. Nello studio di tesi sono state comparate le prestazioni di due sub-sistemi tecnologici ma è stato possibile anche confrontare esclusivamente le prestazioni dei blocchi in laterizio e quelli in calcestruzzo autoclavato. In generale, tramite l'approccio LCA, è possibile confrontare anche interi edifici o quartieri (scomponibili in sub-processi qualora si volesse confrontare esclusivamente un sub-sistema tecnologico) ed è per questo che l'LCA rappresenta una grande risorsa per il progettista.

Tra i principali limiti si possono menzionare: -

il carattere prototipico del settore edilizio: ogni edificio ma anche ogni componente che costituisce un edificio è di fatto un “prototipo” di sé stesso, essendo diverso per forma, materiali, impianti, da tutti gli altri. Nello studio di tesi sono stati presi in esame due soluzioni tecnologiche a cappotto termico specifiche che hanno determinate regole per la posa in opera. Tuttavia non si può pensare che i materiali presi in esame per la costruzione delle rispettive soluzioni tecnologiche siano universali e ripetibili in qualsiasi tipo di valutazione simile. Il mercato delle costruzioni è un mercato vasto che offre una vasta gamma di soluzioni e ciò produrrà, in sede di valutazione degli impatti, valori differenti da quelli ottenuti in questo lavoro.

144

-

La quantità di operatori interessati nel ciclo di vita dell’edificio. Questo concetto è strettamente correlato alle decisioni probabilistiche prese in ambito LCA. Come si è visto, le fasi manutentive e quelle legate alla dismissione sono operazioni eseguite "prevedendo" il futuro. Tuttavia è chiaro che gli operatori intesi sia come aziende produttrici, come progettisti e in alcuni casi anche come committenti saranno diversi durante il ciclo di vita provocando quindi incertezza nei risultati ottenuti.

-

La difficoltà nel reperimento di dati specifici del contesto in cui il caso oggetto di studio è inserito: i codici di calcolo che implementano la LCA contengono banche dati internazionali o estere, mentre un’accurata LCA richiederebbe dati nazionali o addirittura locali. Infatti nel lavoro di tesi si è fatto riferimento essenzialmente alla banca dati svizzera che ha similarità con i processi produttivi italiani ma costituisce comunque un limite per una valutazione LCA.

Partendo ad esempio da un quadro normativo chiaro in ambito LCA e dalla costruzione di una banca dati italiana, si eliminerebbero alcuni dei limiti, rendendo questa metodologia una pratica condivisa e attuata sistematicamente.

Considerando i limiti della valutazione LCA ma anche quelli relativi a possibili nuovi scenari di produzione edilizia per quanto riguarda i blocchi in laterizio e in calcestruzzo autoclavato, successivi sviluppi possono migliorare la valutazione effettuata durante il lavoro di tesi.

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ALLEGATI

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A. 1 Tabella completa Analisi d'inventario. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato

147

A. 2 Tabella completa Analisi d'inventario. Caso della parete con muratura in laterizio.

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A. 3 Diagramma di flusso per l'intero ciclo di vita. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato (Parte 1)

A. 4 Diagramma di flusso per l'intero ciclo di vita. Caso della parete con muratura in calcestruzzo autoclavato (Parte 2)

149

A. 5 Diagramma di flusso per l'intero ciclo di vita. Caso della parete con muratura in laterizio (Parte 1)

A. 6 Diagramma di flusso per l'intero ciclo di vita. Caso della parete con muratura in laterizio (Parte 2)

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