Prof. S. Brancozzi

ART. 2086 SECONDO COMMA

GLI ADEGUATI ASSETTI ORGANIZZATIVI, AMMINISTRATIVI E CONTABILI, E LA MISURAZIONE DELLA

CONTINUITÀ AZIENDALE

contiene il link gratuito al MISURATORE degli adeguati assetti

Prof. Simone Brancozzi

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SOMMARIO

CHI È SIMONE BRANCOZZI? COSA DICONO DI SIMONE BRANCOZZI E DEL CRUSCOTTO DI CONTROLLO? INTRODUZIONE

CAP I L'ART. 2086 SECONDO COMMA: RIFORMA RIVOLUZIONARIA DELLA CRISI D’IMPRESA 1.1 L’ABOLIZIONE DELLA FIGURA DEL FALLITO: IL PRIMO RISCATTO DELL’IMPRENDITORE 1.2 IL GOING CONCERN, LA CAPACITÀ DI ANDARE AVANTI SENZA AFFIDARSI ALLO SPECCHIETTO RETROVISORE DEL BILANCIO 1.3 LA RILEVAZIONE TEMPESTIVA DELLA CRISI D’IMPRESA 1.4 I GRADI DI ALLERTAMENTO CONTRO LA CRISI D’IMPRESA 1.5 L’ IMPRENDITORE SFORTUNATO - INADEGUATO E L’ IMPRENDITORE FRAUDOLENTO: ART 13 E FUMUS DECOCTIONIS

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1.5.1 COME DEFINIRE IL MOMENTO DI FUMUS DECOCTIONIS 1.6 L’ARTICOLO 14 E L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE TEMPESTIVA DEL REVISORE CONTABILE

1.7 L’OBBLIGO DI NOMINA DEL REVISORE E GLI ART. 2476 SESTO COMMA E 2477 SESTO COMMA

CAP II LE CRISI D’IMPRESA: ANALISI E CAUSE

2.1 LE CRISI D’IMPRESA NEL SISTEMA AZIENDALE MODERNO 2.2 LE FASI DELLA CRISI AZIENDALE 2.3 LA CRISI DA INEFFICIENZA 2.3.1.1 L’INEFFICIENZA COMMERCIALE 2.3.1.2 L'INEFFICIENZA AMMINISTRATIVA 2.3.1.3 L'INEFFICIENZA ORGANIZZATIVA

2.4 LA CRISI DA SOVRACAPACITÀ

2.5 LA CRISI DA DECADIMENTO DEI PRODOTTI

2.6 LA CRISI DA CARENZE DI PROGRAMMAZIONE E D’INNOVAZIONE

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2.7 LA CRISI DA SQUILIBRIO FINANZIARIO PATRIMONIALE

2.8 I FATTORI DI CRISI 2.8.1 FATTORI DI CRISI EXTRA AZIENDALI

CAP III PREVENZIONE DELLE CRISI D’IMPRESA

3.1 LA PREVENZIONE DEI FATTORI PRIMARI DI CRISI

3.2 INCIDENZA DEL PROGRESSO TECNOLOGICO SULLE MODIFICAZIONI SETTORIALI

3.3 COME L’AZIENDA PUÒ ANTICIPARE LE MODIFICAZIONI DEL PROPRIO SETTORE 3.3.1 L’ANALISI DI SCENARIO 3.3.1.1 LA FASE INIZIALE DELL’ANALISI DI SCENARIO: I SUBAMBIENTI 3.3.1.2 OGGETTIVITÀ E SOGGETTIVITÀ DELLA VALUTAZIONE DI SCENARIO 3.3.1.3 GLI ELEMENTI CRITICI DELLO SCENARIO 3.3.1.4 LO SCENARIO TEAM 3.4 LE FASI ESSENZIALI DEL PROGRAMMA STRATEGICO 3.4.1 LA RELAZIONE FRA STRATEGIA E SCENARIO BASE

3.5 LA PREVENZIONE DELLE INEFFICIENZE: IL CONTROLLO

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3.5.1 IL BUDGET 3.5.1.1 LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEL BUDGET

3.6 COME EVITARE LA CRISI NELLE FASI DI DECLINO DELLA DOMANDA DI UN SETTORE 3.6.1 IL DECLINO DI UN SETTORE 3.6.1.1 LE CONDIZIONI STRUTTURALI DI UN SETTORE IN DECLINO 3.6.1.2 I PRODOTTI DI QUALITÀ 3.6.2 LE BARRIERE CHE IMPEDISCONO L’USCITA DA UN SETTORE

3.7 STRATEGIE PER IL FINALE DI PARTITA 3.7.1 LA STRATEGIA DI LEADERSHIP 3.7.2 LA STRATEGIA DI NICCHIA 3.7.3 LA STRATEGIA DI RACCOLTO 3.7.4 LA STRATEGIA DI DISINVESTIMENTO VELOCE 3.7.5 GLI SCHEMI PREVISIONALI 3.8 LIQUIDARE O CEDERE L’AZIENDA 3.8.1 I CASI IN CUI CONVIENE CEDERE L’AZIENDA

3.9 PREVENZIONE DELLE INCAPACITÀ MANAGERIALI 3.9.1 IL COMPORTAMENTO MANAGERIALE 3.9.2 I PROFILI GESTIONALI 3.9.3 I MODELLI COMPORTAMENTALI NEI PROCESSI

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DIREZIONALI

3.10 I FATTORI CHE DETERMINANO IL COMPORTAMENTO DIREZIONALE 3.10.1 I MODELLI ORGANIZZATIVI 3.10.1.1 IL MODELLO DI STRUTTURA SEMPLICE 3.10.1.2 IL MODELLO DI BUROCRAZIA TECNOCRATICA 3.10.1.3 LA BUROCRAZIA PROFESSIONALE 3.10.2 IL MODELLO PER DIVISIONI 3.10.3 IL MODELLO ADHOCRAZIA 3.10.4 LA FORMAZIONE DEI MANAGERS 3.10.5 LO STILE DIREZIONALE E L’AMBIENTE DI LAVORO 3.10.5.1 L’ESEMPIO GIAPPONESE 3.10.5.2 LA NECESSITÀ DI CAMBIARE LA LEADERSHIP

3.11 LA PREVENZIONE DELLE CRISI DI LIQUIDITÀ 3.11.1 DUE VARIABILI CONTRAPPOSTE: LA LIQUIDITÀ E LA CRESCITA 3.11.2 REDDITIVITÀ E LIQUIDITÀ OPERATIVA 3.11.3 LA DETERMINAZIONE DELLA CURVA OPERATIVA

3.12 IL MISURATORE DEGLI ADEGUATI ASSETTI ORGANIZZATIVI AMMINISTRATIVI E CONTABILI

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CAP IV COME PREVEDERE UNA CRISI AZIENDALE

4.1 METODI FONDATI SULL'INTUIZIONE 4.1.1 VARIABILI CRITICHE NELLA PREVISIONE DELLE CRISI: VARIABILI ECONOMICHE 4.1.2 VARIABILI CRITICHE NELLA PREVISIONE DELLE CRISI: VARIABILI FINANZIARIE D'INCIDENZA 4.1.3 VARIABILI CRITICHE NELLA PREVISIONE DELLE CRISI: VARIABILI FINANZIARIE DI FLUSSO 4.1.4 CRITERI OPERATIVI DI UTILIZZO DELLE VARIABILI CRITICHE

4.2 METODI FONDATI SUI MODELLI 4.2.1 DESCRIZIONE DEL MODELLO 4.2.2 APPLICAZIONE DEL MODELLO DI ALTMAN 4.2.3 MODELLO DI ALTMAN ADATTATO ALLA PMI 4.2.4 MODELLO SIMONE BRANCOZZI 4.2.4.1 MODELLO BRANCOZZI APPLICATO ALLE AZIENDE CAMPIONE 4.2.4.2 CONFRONTO TRA DUE MODELI DI RATING

4.3 LE WINDOW DRESSING OPERATIONS 4.3.1 EFFETTI DISTORSIVI DELLE WDO

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CAP V I COMPONENTI DI UN ADEGUATO ASSETTO ORGANIZZATIVO AMMINISTRATIVO E CONTABILE.

5.1 ADEGUATO ASSETTO ORGANIZZATIVO 5.1.1 L’ORGANIGRAMMA 5.1.2 PROCEDURE ISO 9001 5.1.3 GLI E.R.P. 5.1.4 IL PANEL DEI CONSULENTI 5.1.5 LA COPERTURA DEI RISCHI

155 5.2.1. ANALISI DI SCENARIO 5.2.2 ANALISI SWOT 5.2.3 MAPPA STRATEGICA 5.2.4 BALANCED SCORECARD 5.2.4.1 PROSPETTIVA FINANZIARIA: SUOI INDICATORI 5.2.4.2 PROSPETTIVA CLIENTI: SUOI INDICATORI 5.2.4.3 PROSPETTIVA DEI PROCESSI INTERNI: SUOI INDICATORI 5.2.4.4 PROSPETTIVA DELL’APPRENDIMENTO E DELLO SVILUPPO: SUOI INDICATORI 5.2.4.5 POTENZIALITÀ E VANTAGGI DELLA BALANCED SCORECARD 5.2.5 IL CRUSCOTTO DI CONTROLLO

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5.3 STRUMENTI QUANTITATIVI LE EVIDENZE DELLA CRISI 180 5.3.2 LA CONTABILITÀ ANALITICA 185 186 188 189 5.3.6.1 IL ROS 5.3.6.2 IL TOCI 5.3.6.3 IL ROI 5.3.6.4 AZIENDE ROS O TOCI 193 5.3.7.1 L’EQUILIBRIO FINANZIARIO 5.3.7.2 IL MASA 195

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BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………… ………..1

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CHI È SIMONE BRANCOZZI? Il Prof. Simone Brancozzi è nato a Grottazzolina, in provincia di Ascoli Piceno, il 31 Ottobre dell’anno 1963, sposato, con due figlie, risiede da sempre a Grottazzolina (FM), attualmente al n.57 di via G. Mazzini.

Consegue nel 1982 il diploma di ragioniere, si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Ancona dove, nell’anno 1987, si laurea con la tesi in “Patologia generale dell’azienda” - studio sulla soluzione delle crisi aziendali.

Nello stesso anno è entrato nel direttivo dell’azienda del padre dove rimane fino al 1990, e di cui ancora oggi, nonostante gli importanti incarichi che svolge, riveste il ruolo di consulente aziendale di riferimento non facendo mai mancare quella passione che fin dai primi anni lo ha contraddistinto.

Ottenuta nel 1988 l’abilitazione per l’esercizio della professione di Dottore Commercialista e Revisore Contabile dal 1990 la svolge a Fermo effettuando prevalentemente consulenze di direzione aziendale.

Dal 1987 e ininterrottamente fino al 2014 è stato cultore della materia e coadiutore didattico presso la cattedra di “Ragioneria Generale Applicata” e “Analisi di Bilancio” della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Ancona tenuta dal Professor Fiorenzo Lizza prima e dal Prof. Stefano Marasca poi. Nel 1992 ha vinto il concorso regionale ottenendo la cattedra di Ragioneria e Tecnica, conseguendo il titolo di Professore. Dal 1992 fino al 2017 è stato docente di ruolo di Scuola Secondaria Superiore di discipline tecniche, commerciali ed aziendali.

Dal 1992 al 1996 è stato Segretario della sez. di Fermo del Sindacato Dottori Commercialisti delle Marche. In tale veste ha organizzato e coordinato diversi ed importanti convegni tra cui: 1992 “L’avvicendarsi delle generazioni alla guida delle imprese: aspetti aziendali, civilistici e fiscali.”; 1993 “Le crisi aziendali: aspetti aziendali, civilistici e fiscali”; 1994 “Le Borse locali: aspetti aziendali e professionalità; 1995 “L’Arbitrato”;

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1996 “L’Internazionalizzazione delle PMI”.

Appena uscito dall’Università ha fatto parte, dal 1988 al 1994, del gruppo di docenti a cui sono stati affidati i corsi di formazione post universitari TODA presso i centri E.N.A.I.P. di Ancona, Fabriano, Fermo e Rimini.

La sua esperienza sul campo gli ha permesso di pubblicare ben 5 libri appartenenti alla collana ‘Gestione e Soluzione delle Crisi Aziendali’, tutti con editore Amazon.

Le crisi d'Impresa: analisi e cause (Gestione e Soluzioni delle Crisi Aziendali Vol. 1) – 11 nov 2013; Previsione della crisi Aziendale Prevenzione delle crisi d’impresa; Il turnaround. La soluzione delle crisi nelle aziende in perdita.

(Gestione e Soluzioni delle Crisi Aziendali Vol. 4); I 12 pilastri aziendali. L'imprenditore, il contadino e il Vangelo; La soluzione delle crisi nelle aziende in perdita.

Ha inoltre, al suo attivo, la pubblicazione di più di 30 volumi editi da Amazon sulla Gestione d’Impresa, la Connection Economy e il Web Marketing. Bibliografia che comprende la collana “Web Marketing per Imprenditori e Professionisti” e le loro versioni kindle: • Guida alla gestione dell'Impresa del Futuro – 6 mar 2017; •I 12 pilastri aziendali. L'imprenditore, il contadino e il Vangelo - 5 set. 2016; •Connection Economy. Come diventare il re del tuo mercato - 10 mar 2016; •

L’era del web marketing e la fine delle 4 P;

•

L’importanza dei contenuti nel Web marketing;

•Trovare Clienti con Facebook. (Web Marketing imprenditori e professionisti Vol. 4) - 23 ott. 2014;

per

•Web Marketing for Lawyers. (English Edition) - 26 feb 2014; •Web marketing per Architetti. (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 17) – 15 gen 2014;

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per

•

Web Marketing for Companies – 6 gen 2014;

•Web marketing per Ingegneri (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 16) – 2 gen 2014;

per

•Web marketing per medici. (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 15) – 18 dic 2013;

per

•

L'equilibrio finanziario in azienda – 15 dic 2013;

•How to gain quietly without stress in the stock market – 12 dic 2013; •Gestire l'azienda con il Margine di Contribuzione e il Break Even Point (Gestione e Soluzioni delle Crisi Aziendali Vol. 5) - 25 nov 2013; •Web Marketing per Idraulici. (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 14) – 19 nov 2013;

per

•Web Marketing per Imprese Edili e Muratori. (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 13) – 17 nov 2013; •L'importanza della reportistica nel web marketing. (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 7) - 13 nov 2013; •Web Marketing per Avvocati. (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 12) – 13 nov 2013;

per

•Trovare Clienti con il Pay per Click. (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 6) – 13 nov 2013; •Trovare Clienti con Twitter. (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 3) – 13 nov 2013;

per

•Trovare Clienti con Youtube. (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 8) - 12 nov 2013;

per

•L'importanza dei contenuti nel web marketing. (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 5) – 11 nov 2013; •Fai Successo col tuo Sito. (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 10) – 11 nov 2013; •

Trovare Clienti con Twitter;

•L'importanza della reportistica nel web marketing (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 7); •L'importanza dei contenuti nel web marketing, (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 5) - 11 nov 2013; •Trovare Clienti con Google+ (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 11) – 16 giu 2013;

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per

•Trovare Clienti con Linkedin (Web marketing imprenditori e professionisti Vol. 8) - 21 mag 2013;

per

•Le attività per fare web marketing (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 2) – 24 feb 2013; •

Borsa: Guadagna tranquillo senza stress - 9 dic 2012;

•L'era del web marketing e la fine delle 4 P. (Web marketing per imprenditori e professionisti Vol. 1) - 14 nov 2012.

Da oltre 20 anni effettua ristrutturazioni e tutoraggi aziendali, e grazie al suo attivismo sui social è considerato il Commercialista più conosciuto fra i commercialisti Italiani. È noto in tutta Italia per essere fautore della tesi secondo la quale il commercialista deve evolversi a consulente - “Il nuovo commercialista: come sarà il commercialista del futuro”.

Dal 2000 al 2004 è stato Consigliere dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Fermo.

Dal 2007 studia e sviluppa il CRUSCOTTO DI CONTROLLO AZIENDALE il cui Marchio, Software e Metodologie sono regolarmente registrati. Il Cruscotto di Controllo ideato dal Prof. Brancozzi è il primo ed unico software cloud, basato sulla Balanced Scorecard di Kaplan e Norton, che misura la continuità aziendale e risponde alle esigenze normative dettate dal secondo comma dell’Art. 2086.

Dal 2008 al 2010 è stato presidente dell’ADC Marche (Associazione dei Dottori Commercialisti).

Nel 2010 consegue il Dottorato di Ricerca con una tesi sull’Economia Aziendale intitolata: “ANALISI E RIFLESSIONI SULLE PRINCIPALI CRITICITÀ E PROBLEMATICHE APPLICATIVE NELL’ADOZIONE DEI PRINCIPI IAS/IFRS”.

Oltre alle doti tecniche e professionali, il Prof. Simone Brancozzi si distingue per le spiccate capacità comunicative e per la sua propensione all’insegnamento, alla disciplina, ma al tempo stesso anche alla creatività.

Forte del suo background e della sua figura carismatica porta il suo operato di consulente e tutor aziendale, con professionalità, competenza e successo, all’interno delle più svariate aziende in tutta Italia, effettuando consulenze di direzione aziendale, piani industriali, passaggi generazionali, analisi di bilancio, rating aziendali e risolvendo con brillantezza e pragmaticità i diversi problemi che affliggono il piccolo e medio imprenditore italiano.

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L’innata e sviluppata propensione nell’inserimento nelle realtà e nelle problematiche aziendali lo hanno portato ad interfacciarsi efficacemente con tutta la vasta gamma delle PMI italiane. Dirige il team di relatori del proprio studio e in questa veste sta presentando su tutto il territorio nazionale il corso “Come sfruttare la crisi per dare slancio alla tua Azienda” ed elabora, in collaborazione con il proprio studio di consulenza, corsi personalizzati per imprenditori, manager e aziende.

Esperto a livello nazionale di Web Marketing, ha prodotto numerosi libri a riguardo, tutti con editore e pubblicati da Amazon, per Aziende e Professionisti. Fornisce inoltre la sua consulenza alle aziende grazie alla sua continua esperienza maturata sul campo.

Nel 2011 espone la sua Vision sul futuro delle professioni sintetizzandola nel sito www.lamortedelcommercialista.it È inoltre ideatore e coordinatore del network Consulenti Aziendali d’Italia (www.consulentiaziendaliditalia.it) network di professionisti consulenti aziendali di tutta Italia e da anni porta avanti la sua visione sul Commercialista del Futuro organizzando un convegno presso tutti gli Ordini dei Dottori Commercialisti di tutta Italia interessati, gli ultimi 2 a Pesaro, in gennaio e a luglio, presso l’ODCEC Crotone.

Altre pubblicazioni: Guida alla gestione dell’Impresa Guadagna tranquillo senza stress.

del

Futuro

Borsa:

Siti web di riferimento: www.imprenditoreitaliano.it www.ilnuovocommercialista.it www.simonebrancozzi.com Ma la vera vocazione e Mission del Prof. Simone Brancozzi è quella di diffondere Cultura Aziendale ed è per questo che ha fatto dell’organizzazione di eventi il perno delle sue attività. Ecco di seguito alcuni dei più importanti eventi per commercialisti ed imprenditori organizzati negli ultimi anni.

EVENTI REALIZZATI NEL 2013

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PESARO – 25/01/2013 - evento n°1 e 1 del 2013 BOLZANO – 30/10/2013 - evento n°2 e 2 del 2013 BRESCIA – 13/11/2013 - evento n°3 e 3 del 2013 MODENA – 14/11/2013 - evento n°4 e 4 del 2013 FIRENZE – 22/11/2013 - evento n°5 e 5 del 2013 PADOVA – 11/12/2013 - evento n°6 e 6 del 2013 ANCONA – 13/12/2013 - evento n°7 e 7 del 2013 TREVISO – 20/12/2013 - evento n°8 e 8 del 2013

EVENTI REALIZZATI NEL 2014 DURAZZO(ALB) 1-2/09 - Il commercialista del futuro / evento n°9 e 1 del 2014 BRESCIA 10/09 - Il commercialista del futuro / evento n°10 e 2 del 2014 CIVITANOVA MARCHE 22-23/12 - Il Commercialista del futuro / evento n°11 e 3 del 2014 EVENTI REALIZZATI NEL 2015 FANO 26-27/03 - Cruscotto di Controllo / evento n°12 e 1 del 2015 FANO 14-15-16/05 - Connection Economy / evento n°13 e 2 del 2015 FANO - Il Commercialista Consulente Finanziario Indipendente: La Professione del Futuro / evento n°14 e 3 del 2015 FANO 10-11/07 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°15 e 4 del 2015 TORINO 27/11 - Il controllo di gestione nello studio professionale / evento n°16 e 5 del 2015 TREVISO 15/09 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°17 e 6 del 2015 RHO EXPO 22/09 - Connection economy - come diventare il re del tuo mercato evento n°18 e 7 del 2015

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VERONA 24/09 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°19 e 8 del 2015 TREVISO 09/11 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°20 e 9 del 2015 PADOVA 19/11 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°21 e 10 del 2015 BOLOGNA 25/11 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°23 e 12 del 2015 BERGAMO 26/11 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°24 e 13 del 2015 TORINO 27/11/2015 - Il controllo di gestione nello studio professionale / evento n°25 e 14 del 2015 VERBANIA 27/11/2015 - Connection Economy: come strutturarla per far ripartire il tuo business / evento n°26 e 15 del 2015 FANO 03-04/12/2015 - Il Commercialista Consulente Finanziario Indipendente: La Professione del Futuro / evento n°27 e 16 del 2015 EVENTI REALIZZATI NEL 2016 FANO 28-29/01 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°28 e 1 del 2016 SARONNO 11/02 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°29 e 2 del 2016 MILANO 17/02 - Il controllo di gestione nello studio professionale / evento n°30 e 3 del 2016 FANO 03-04/03 - Connection Economy / evento n°31 e 4 del 2016 UDINE 09/03 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°32 e 5 del 2016 VENEZIA 10/03 - Il controllo di gestione nello studio professionale / evento n°33 e 6 del 2016 TREVISO 31/03 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°34 e 7 del 2016 FANO 14-15/04 - Il controllo di gestione nello studio professionale / evento n°35 e 8 del 2016 FIRENZE 05/05 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°36 e 9 del 2016 MESTRE 23/05 - Il controllo di gestione nello studio professionale / evento n°37 e 10 del 2016

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CAGLIARI 15/07 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°38 e 11 del 2016 FANO 07-08/07 - Cruscotto di Controllo / evento n°39 e 12 del 2016 S. ELPIDIO A MARE 06/09 - 12 Pilastri a teatro / evento n°40 e 13 del 2016 FANO 15-16/09 - Il Nuovo Commercialista Future Expo 2° edizione / evento n°41 e 14 del 2016 BERGAMO 20/09 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°42 e 15 del 2016 TORINO 15/11 - Il controllo di gestione nello studio professionale / evento n°43 e 16 del 2016 NAPOLI 19/12 - Tecnologie Informatiche E Marketing Dello Studio Professionale Nuove Opportunità per il Dottore Commercialista / evento n°44 e 17 del 2016 EVENTI REALIZZATI NEL 2017 CASTELFRANCO 19/01 – I 12 Pilastri a teatro / evento n°45 e 1 del 2017 FANO 16-17/02 - Cruscotto di Controllo / evento n°46 e 2 del 2017FANO 16-17/03 - Diventa re del tuo mercato - web marketing / evento n°47 e 3 del 2017 FANO 20-21/04 - Come far crescere lo studio professionale / evento n°48 e 4 del 2017 SALERNO 22/05 - Il nuovo commercialista: come sarà il commercialista del futuro / evento n°49 e 5 del 2017 FANO 15-16/06 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°50 e 6 del 2017 TORINO 26/06 - I 12 Pilastri Aziendali / evento n°51 e 7 del 2017 BRESCIA 03/09 - Oltre la crisi con l'antica saggezza finanziaria / evento n°52 e 8 del 2017 FANO 21-22/09 - Il Crowdfunding / evento n°53 e 9 del 2017 POTENZA 26/09 – I 12 Pilastri a teatro / evento n°54 e 10 del 2017 EVENTI REALIZZATI NEL 2018

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VASTO 12/02 – I 12 Pilastri a teatro / evento n°55 e 1 del 2018 RIMINI 21/09 - Commercialista Vincente / evento n°56 e 2 del 2018 FANO 24-25/10 - Cruscotto di Controllo / evento n°57 e 3 del 2018 ROMA 12/11 - Corso lettura bilanci / evento n°58 e 4 del 2018 MILANO 23/11 - Commercialista Vincente / evento n°59 e 5 del 2018 POTENZA 28/11 - Corso lettura bilanci / evento n°60 e 6 del 2018 LECCE 29/11 - Corso lettura bilanci / evento n°61 e 7 del 2018 REGGIO CALABRIA 30/11 - Corso lettura bilanci / evento n°62 e 8 del 2018 ROMA 05/12 - Commercialista Vincente / evento n°63 e 9 del 2018 CAGLIARI 06/12 - Corso lettura bilanci / evento n°64 e 10 del 2018 NUORO 07/12 - Corso lettura bilanci / evento n°65 e 11 del 2018 CITTADELLA 14/12 - Commercialista Vincente / evento n°66 e 12 del 2018.

I 12 PILASTRI A TEATRO Sant’Elpidio a Mare – 06/09/2016 evento n°40 e 13 del 2016 Castelfranco – 19/01/2017 evento n°45 e 1 del 2017 Potenza – 26/09/2017 evento n°54 e 10 del 2017 Vasto – 12/02/2018 evento n°55 e 1 del 2018 EVENTI REALIZZATI NEL 2019 BARI 11/01 - Corso lettura bilanci / evento n°67 e 1 del 2019 MANTOVA 18/01 - Corso lettura bilanci / evento n°68 e 2 del 2019 ROMA 22/01 - Corso lettura bilanci / evento n°69 e 3 del 2019 LIVORNO 24/01 - Corso lettura bilanci / evento n°70 e 4 del 2019

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MODENA 25/01 - Commercialista Vincente / evento n°71 e 5 del 2019 MESSINA 1-2/02 - Corso lettura bilanci / evento n°72 e 6 del 2019 FANO 7-8/02 - Cruscotto di Controllo / evento n°73 e 7 del 2019 LAMEZIA – TERME 15-16/02 - Corso lettura bilanci / evento n°74 e 8 del 2019 CATANIA 22-23/02/19 - Corso lettura bilanci / evento n°75 e 9 del 2019 PALERMO 1-2/03 - Corso lettura bilanci / evento n°76 e 10 del 2019 FANO 7-8/03 - Ristrutturazione crisi / evento n°77 e 11 del 2019 CAGLIARI 15/03 - La riforma della crisi d'impresa: cambia un mondo / evento n°78 e 12 del 2019 TORINO 29/03 - Commercialista Vincente / evento n°79 e 13 del 2019 LAMEZIA 05/04 - Corso lettura bilanci / evento n°80 e 14 del 2019 FANO 11-12/04 - Cruscotto di Controllo / evento n°81 e 15 del 2019 TRANI 15/04 - Strumenti per la rilevazione performance aziendale / evento n°82 e 16 del 2019

della

ROMA 16/05 - Il Codice della Crisi di impresa e di insolvenza / evento n°83 e 17 del 2019 CATANIA 23/05 - Corso lettura bilanci / evento n°84 e 18 del 2019FANO 30-31/05 - Cruscotto di Controllo / evento n°85 e 19 del 2019 MILANO 05/06 - Corso sovra indebitamento e mediazione civile / evento n°86 e 20 del 2019 ALTAMURA 12-13/06 - Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza / evento n°87 e 21 del 2019

LAMEZIA 14/06 - Corso lettura bilanci / evento n°88 e 22 del 2019 FANO 27-28/06 - Cruscotto di Controllo / evento n°89 e 23 del 2019

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SALERNO 10/07 - Corso bilanci e nuovo codice della crisi / evento n°90 e 24 del 2019 NAPOLI 11/07 - Corso bilanci e nuovo codice della crisi / evento n°91 e 25 del 2019 FANO 25-26/07 - Cruscotto di Controllo / evento n°92 e 26 del 2019 FANO 5-6/09 - Cruscotto di Controllo / evento n°93 e 27 del 2019 ROMA 20/09 - Tavola Rotonda: LA AZIENDALE / evento n°94 e 43 del 2019

CONTINUITA’

ROMA 25/09 - Cruscotto di Controllo / evento n°95 e 28 del 2019 TRANI 27/09 - Misurazione e valutazione della performance aziendale /evento n°96 e 29 del 2019 MILANO 04/10 - Cruscotto di Controllo / evento n°97 e 30 del 2019 BARI 18/10 - Crisi d'Impresa e Presidio sulla Continuità Aziendale / evento n°98 e 31 del 2019 TORINO 23/10 - Cruscotto di Controllo / evento n°99 e 32 del 2019 ROMA 30/10 - Cruscotto di Controllo / evento n°100 e 33 del 2019 PESCARA 31/10 - Cruscotto di Controllo / evento n°101 e 34 del 2019 MILANO 07/11 - Riforma Crisi per Imprese / evento n°102 e 35 del 2019 MILANO 08/11 - Cruscotto di Controllo / evento n°103 e 36 del 2019 Ha pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 Ore: 9 Ottobre 2019 - “ADEGUATO ASSETTO D’IMPRESA CONTRO I PRIMI SEGNI DI CRISI - Focus sulla Continuità Aziendale” / Simone Brancozzi; 13 Novembre 2019 – “La crisi d’impresa emerge in anticipo anche con la valutazione qualitativa - Per il Cda più facile la verifica degli scostamenti” / Simone Brancozzi e Alberto Bubbio; Nel 2019 ha effettuato 18 eventi sulla “Riforma della Crisi” in collaborazione con Il Sole 24 Ore nelle seguenti città

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incontrando più di 3000 commercialisti e svolto collaborazione con Il Sole 24 Ore i seguenti convegni:

in

FERMO 22/03 - evento n°76 e 13 del 2019 COSENZA 16/04 - evento n°81 e 18 del 2019 NAPOLI 17/04 - evento n°82 e 19 del 2019 TAORMINA 02/05 - evento n°83 e 20 del 2019 PALERMO 03/05 - evento n°84 e 21 del 2019 VERONA 09/05 - evento n°85 e 22 del 2019 PERUGIA 15/05 - evento n°86 e 23 del 2019 PADOVA 24/05 - evento n°89 e 26 del 2019 PESCARA 28/05 - evento n°90 e 27 del 2019 TREVISO 20/06 - evento n°95 e 32 del 2019 UDINE 21/06 - evento n°96 e 33 del 2019 RAGUSA 02/07 - evento n°98 e 35 del 2019 SIRACUSA 04/07 - evento n°99 e 36 del 2019 AREZZO 10/09 - evento n°104 e 41 del 2019 REGGIO EMILIA 13/09 - evento n°105 e 42 del 2019 ROMA 26/09 - evento n°108 e 45 del 2019

SONDRIO 11/10 - evento n°111 e 48 del 2019 BRESCIA 29/10 - evento n°114 e 51 del 2019

EVENTI REALIZZATI NEL 2020 Milano 17/01 - Cruscotto di Controllo / evento n°126 e 1 del 2020 Taranto 22/01 - Nuovo Codice della Crisi d’Impresa e della Continuità Aziendale / evento n°127 e 32 del 2020 Bari 23/01 - Cruscotto di Controllo / evento n°128 e 3 del 2020 Roma 24/01 - Cruscotto di Controllo / evento n°129 e 4 del 2020 Bergamo 06/02 - Il Dna della tua Azienda / evento n°130 e 5 del 2020

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Mestre 07/02 - Cruscotto di Controllo / evento n°131 e 6 del 2020 Fano 18/02 - Convegno crisi d’Impresa e dell’insolvenza per Pmi / evento n°132 e 7 del 2020 Roma 20/02 - Cruscotto di Controllo / evento n°133 e 8 del 2020 Bologna 21/02 - Cruscotto di Controllo evento n°134 e 9 del 2020 CURRICULUM COME RISANATORE AZIENDALE - Laurea con Tesi in “Patologia delle aziende in crisi” (studio sulle crisi); - Pubblicazioni edite da Amazon; - Corsi sulle Soluzioni Crisi aziendali e sulla Ristrutturazione Debiti; A) Il Commercialista del Futuro – Corso accreditato dall’Ordine dei Commercialisti con 3 CFC Deontologia al cui interno si è dedicato un intero modulo legato al risanamento aziendale e alla ristrutturazione debiti: • Pesaro – 25 Gennaio 2013 • Bolzano – 30 Ottobre 2013 • Brescia – 13 Novembre 2013 • Modena – 14 Novembre 2013 • Firenze – 22 Novembre 2013 • Padova – 11 Dicembre 2013 • Ancona – 13 Dicembre 2013 • Treviso – 20 Dicembre 2013 B) Master sulle Soluzioni Crisi – Corso di 2 giorni rivolto a tutti i commercialisti e consulenti aziendali, in grado di formare il professionista in un vero risanatore aziendale e di affrontare la crisi padroneggiando tutti gli strumenti a disposizione: • Piacenza 20-21/02 – evento 2014 • Varese 17-18/05 - evento n°1 e 1 del 2014 • Crotone 20/06 - evento n°2 e 2 del 2014

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• Torino 22/06 - evento n°3 e 3 del 2014 • Napoli 14-15/09 - evento n°6 e 6 del 2014 • Torino 27-28/09 - evento n°7 e 7 del 2014 • Brescia 29/09 - evento n°8 e 8 del 2014 • Torino 27-28/11 - evento n°9 e 9 del 2014 • Fano 11-12/09 - evento n°14 e 4 del 2015 Tutte le comunicazioni mezzo posta possono essere inviate al n.57 di via G. Mazzini. Grottazzolina, FM (63844).

Qualsiasi comunicazione via mail può essere inviata ad indirizzo di posta elettronica certificata simonebrancozzi@pec.it Mobile 3357589095 Sito web www.simonebrancozzi.com https://www.facebook.com/tutor.aziendale https://www.linkedin.com/in/simonebrancozzi/ https://www.pinterest.it/sbrancozzi/ https://www.instagram.com/ https://twitter.com/simonebrancozzi

COSA DICONO DI SIMONE BRANCOZZI E DEL CRUSCOTTO DI CONTROLLO? Ecco di seguito una serie di video d’imprenditori e colleghi commercialisti:

testimonianze

https://www.youtube.com/watch?time_continue=11&v=W AnhbKJH18Y&feature=emb_title Video intervista sul Corso Cruscotto di Controllo a Roberto Mazzoleni, consulente della provincia di Bergamo. https://www.youtube.com/watch?v=Z_Rj_faf5sI

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Video intervista sul Corso Cruscotto di Controllo ad Alessandra Paci, avvocato della provincia di Milano specializzato in crisi d’impresa. https://www.youtube.com/watch?v=aItD7M4QNLs Video testimonianza di Angelo Fanizzi, commercialista di Bari e presidente dell’associazione sull’evento Cruscotto di Controllo - Bootcamp. https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=T10 Gmn1Gk2c&feature=emb_title Video testimonianza di Nazzareno Tassotti, consulente della provincia di Ascoli Piceno. https://www.youtube.com/watch?v=RxwivgPO24M&featur e=emb_title Video intervista sul Corso Cruscotto di Controllo a Denis Berti, imprenditore della provincia di Verona. https://www.youtube.com/watch?v=emzfnA42uzY&feature =emb_title Video Testimonianza sul Cruscotto di Controllo - Angelo Rapuano, imprenditore e cliente del cruscotto. https://www.youtube.com/watch?time_continue=27&v=Z psG9nl5AJw&feature=emb_title Video testimonianza cliente Cruscotto di Controllo, Gianluca Ostolero, imprenditore. https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=9hn u1sdUD3g&feature=emb_title Video testimonianza sul Cruscotto di Controllo di La Migliore s.r.l. https://www.youtube.com/watch?v=AT7jtGyRry4 Intervista Corso Cruscotto di Controllo - Ignazio Santangelo, imprenditore. https://www.youtube.com/watch?v=3i0Pz4mJ3GI

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Intervista Cruscotto consulente.

di

Controllo

-

Salvatore

Cezza,

https://www.youtube.com/watch?v=WP1-GxJDIYM Intervista Corso Cruscotto di Controllo - Gianluca Ligori, fiscalista.

INTRODUZIONE Da cosa dipende il successo di un’azienda? Non è facile rispondere. Non perché non ci siano risposte giuste, ma per l’esatto contrario: troppe ce ne sono, ognuna esatta a suo modo, e fra tante strade possibili è facile perdersi. Eppure, io non ho faticato a trovare il mio filo d’Arianna: la crisi.

E qui devi subito accettare una verità ineluttabile: non si può vivere in assenza totale di crisi. E non parlo soltanto della vita aziendale. È un concetto molto più grande.

Riguarda la nostra stessa evoluzione.

Noi tutti siamo sempre “attraversati” e plasmati dalle crisi che viviamo. Pensa al Coronavirus. Non saremo più gli stessi. Non potremo esserlo, sarebbe innaturale. Si apriranno nuovi scenari, nuovi modi di agire, di pensare.

Anche di questo parleremo.

«Ma la mia azienda oggi è al successo!» mi dirai tu. Ed io ti rispondo: «Preoccupati». Preoccupati perché, come diceva il grande allenatore Red Auerbach, “niente avvicina di più alla sconfitta della vittoria”. Quando vinciamo siamo all’apice della nostra ascesa. Tutto va bene. Eppure è proprio allora che cominciano a farsi strada i primi problemi, le inefficienze. Proprio allora inizia la discesa.

Ecco. Il segreto del successo aziendale doveva consistere nel saper vincere la crisi pur sapendo di non poterla mai estirpare del tutto. Una bella sfida. Come si può sconfiggere il gigante Golia senza poterlo mai completamente abbattere? Semplice, basta saperlo controllare: bloccarlo se non abbatterlo. Alla fionda si sostituisce la bacchetta magica del controllo di gestione.

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E controllare vuol dire misurare, perché solo ciò che si può misurare si può controllare. Mentre dall’assenza di controllo nasce la paura; è la biologia a dircelo, si tratta dell’amigdala, una mandorla di nuclei nervosi che si attiva in noi di fronte all’ignoto e ci fa rifuggire il cambiamento.

Immagina di trovarti al buio in una stanza che non conosci.

Non sai dove sei, come muoverti, cosa c’è o chi c’è. Non sai niente. L’amigdala si aziona: hai paura come naturale istinto di preservazione.

Poi si accende la luce. Ti ritrovi in camera tua, soliti mobili, quadri, libri... Niente di nuovo. Tanta paura per niente!

Ma se invece della tua camera ti fossi trovato altrove? In una camera d’albergo magari, o in un ospedale, o addirittura in prigione! Un bel problema. Però, avresti comunque saputo cosa fare: ti saresti guardato attorno capendo il contesto, avresti pensato a delle azioni possibili e poi avresti agito di conseguenza. Niente più paura, o per lo meno una paura più controllabile.

Misurare la crisi è proprio questo: fare luce sulla vita aziendale in ogni suo momento per non avere più paura.

Ogni imprenditore conosce bene questa sensazione.

Ora sapevo cosa fare, ma dovevo capire come. Che luce usare? Il bilancio. Era la prima risposta, la più semplice.

In Italia esiste il dogma del bilancio. Si tratta di una tradizione antica che nasce da Fra Luca Bartolomeo De Pacioli1 in poi. Le aziende si controllano dal bilancio e quindi con strumenti contabili (Controllo quantitativo, Analisi dei Costi, Break Even Point, Budgeting, analisi di bilancio etc...). Punto. Ma ti posso assicurare che non basta. Ne ho viste di aziende dai grandi bilanci poi decotte, fallite; cadaveri aziendali di cui sono stato il patologo, ed è quello che sono oggi: un patologo delle crisi d’impresa. Lo sono diventato partendo dalla mia stessa esperienza personale, perché sono figlio di imprenditori e di contadini, ed è proprio nella cultura contadina e imprenditoriale che ho cominciato a pormi quella domanda iniziale.

Ma ti dico di più. È stata la dimensione cattolica di quella cultura a insegnarmi per prima come non basti il bilancio per controllare la crisi. Ti sembrerà strano, se non assurdo, 1Fra Luca Bartolomeo de Pacioli, o anche Paciolo (Borgo Sansepolcro, 1445 circa –

Roma, 19 giugno 1517), è stato un religioso, matematico ed economista italiano, autore della Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni e Proportionalità e della Divina Proportione. Egli è riconosciuto come il fondatore della ragioneria.

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ma è così. Mi spiego con un esempio. Ricordi la storia di Giuseppe in Egitto? Abbandonato dai fratelli, dopo alterne vicende Giuseppe si ritrova alla corte del faraone per aiutarlo a interpretare un suo sogno ricorrente. Sfilano ogni notte sette vacche grasse, e poi sette vacche magre. Che vuol dire? Giuseppe interpreta e spiega il misterioso messaggio.

Sono sette anni di prosperità seguiti da sette anni di carestia. Nei primi sette anni il Faraone dovrà accumulare e conservare scorte da usare nei sette successivi. Non ti sembra che questo modo di fare si adatti perfettamente alla vita aziendale, e ad ogni sua possibile crisi? Sicuramente sì, e di sicuro l’idea di risparmiare per affrontare tempi peggiori non ti è nuova.

Una semplice analisi del bilancio potrebbe mai indurre a una pratica preventiva del genere? Sicuramente no.

Anzi, un bilancio florido porterebbe solo a ulteriori investimenti richiedendo crediti bancari, basterà chiedere e con un buon rating le banche saranno pronte ad aprire i cordoni delle borse mentre un bilancio in perdita non farebbe che constatare l’effetto della crisi, la sua conseguenza, e a quel punto una qualsiasi attività di prevenzione sarebbe tardiva. Davvero il bilancio non basta per affrontare la crisi. Certo non può essere del tutto escluso, anzi, ma da solo non basta. Deve unirsi ad altri strumenti. Ma quali? Ancora non sapevo come fare davvero luce per scacciare la paura.

Così ho continuato la mia ricerca. Da studente ho avuto la fortuna di incontrare il Professor Fiorenzo Lizza, nella facoltà di Economia e Commercio di Ancona, e a lui sarò sempre riconoscente per avermi lasciato libero di potermi dedicare proprio alla ricerca sulle crisi d’impresa. Infine la svolta. La scoperta della Balanced Scorecard di Kaplan e Norton.

Il suo principio di fondo era ed è semplice, lo stesso che ho già espresso: la crisi a l’azienda non si può misurare solo dal bilancio.

I due studiosi di Harvard avevano scoperto, partendo dall’amministrazione di un ospedale, che esistono tre elementi qualitativi — e non solo quantitativi come vorrebbero i criteri bilancistici — a determinare la migliore resistenza contro i rischi della crisi; tre grandi rimedi da perseguire ogni giorno assicurando qualità alla vita aziendale: INNOVAZIONE, FORMAZIONE e CLIMA

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AZIENDALE. Kaplan e Norton hanno dimostrato che la componente ECONOMICA FINANZIARIA in primis non è l’unica e in secundis dice dopo sono solo risultati immodificabili.

La luce cominciava a filtrare. Dovevo saperne di più. Sono andato ad Harvard, ho visitato la sua library, approfondito i miei studi. Ma più continuavo le mie ricerche e più mi accorgevo di sapere già tutto, o meglio di come noi Italiani sapessimo già tutto.

Ti ricordi, ne ho parlato più sopra: la cultura cattolico contadina, il risparmio, l’autofinanziamento. Ebbene, solo per darti un esempio, nella library di Harvard trovai un’intera sezione dedicata proprio a quegli argomenti, e in forme nemmeno tanto dissimili da quanto ognuno di noi ha da sempre imparato in famiglia. Allora dovevo tornare indietro? Sì, nel tempo e nello spazio, per recuperare la tradizione, la nostra tradizione, ed unirla al futuro dell’economia aziendale.

Oggi diffondo con il cruscotto di controllo la Balanced Scorecard accordandola alla realtà italiana delle piccole e medie imprese. C’è ancora tantissimo da fare perché le stesse UNiversità le remano contro continuando ad imporre il dogma del bilancio, mentre laddove è trattata spesso si riduce a mera “notizia”, e poche sono le vere eccezioni; fra queste devo certo ricordare l’opera del Professor Alberto Bubbio, padre della Balanced Scorecard in Italia, nonché il primo a tradurre da noi nel 2001 gli studi di Kaplan e Norton.

Col Professore ho avuto anche il piacere e l’onore di pubblicare un articolo a quattro mani sul Sole 24 Ore: “La crisi d’impresa emerge in anticipo anche con la valutazione qualitativa2” e con cui mi onoro di condividere presso l’università LIUC di Castellanza il prof Bubbio, A. ed il Dott.

Brancozzi, S. hanno creato il primo ed unico master accreditato per la ottenere la “Certificazione Balanced Scorecard Italia” (per informazioni www.bscitaly.com Non è questo il luogo per parlare della Balanced Scorecard, ne tratteremo nel corso del libro, e potrò anche soffermarmi su come l’ho rielaborata ed inglobata in un software cloud

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Bubbio, A.; Brancozzi, S. “La crisi d’impresa emerge in anticipi anche con la valutazione qualitativa”, Sole 24 Ore, 13/11/2019.

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da me sviluppato nel corso di oltre dieci anni: il Cruscotto di Controllo.

Vorrei invece affrontare il vero cuore di questo lavoro.

L’articolo 2086 secondo comma del Codice Civile: il cuore della riforma della gestione della crisi d’impresa, già in vigore dal 16 Marzo 2019.

Finalmente il legislatore ha dato avvio ad un riforma che impone all’imprenditore di guidare la sua impresa con “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili”, di modo che ogni impresa non possa più essere gestita senza controllo, simile a un’auto che si muove per le strade senza aver prima superato la necessaria revisione, e quindi col rischio continuo di danni ai suoi passeggeri e la necessità che l’imprenditore abbia una patente di guida che dimostri di saper gestire l’azienda e non solo. E questi “adeguati assetti” servono ai fini “della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale”.

In altre parole, l’azienda deve essere controllata, o meglio MISURATA, in modo da poter rilevare subito i segnali di crisi impedendo la perdita della continuità aziendale, dove per continuità s’intende il concetto anglosassone di GOING CONCERN, ossia la capacità di compiere ogni giorno delle azioni che garantiscano alla propria azienda un futuro migliore, ma anche su questo importantissimo nodo torneremo nel corso del libro.

Nota bene la normativa parla di RILEVAZIONE TEMPESTIVA. Tempestiva, non a distanza di mesi come succede con i bilanci. L’ho detto all’inizio, il bilancio da solo non basta a far controllare l’impresa.

Ed è qui che subentra la Balanced Scorecard con i suoi KPI, cioè con i suoi obiettivi da raggiungere ogni giorno per garantire quelle azioni (going concern) che agiscono in primis, ma non solo, proprio su innovazione, formazione e clima aziendale, ossia quelle famose tre medicine per prevenire TEMPESTIVAMENTE la crisi, proprio in accordo con lo spirito della norma.

A riguardo importanti sono state le sentenze del Tribunale di Milano e Roma a dispetto di tutti coloro che hanno inteso non curarsi della nuova normativa Ma allora possiamo dire che l’articolo 2086 secondo comma — unito per altro al 2476 sesto comma anch’esso entrato in vigore il 16 marzo 2019 sulle responsabilità degli amministratori per i mancati assetti — trova nella Balanced

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Scorecard il suo ideale strumento di realizzazione?3 È mia ferma convinzione di sì. Manca solo un tassello. C’è la riforma, c’è lo strumento per attuarla, ma quello che manca è il suo concreto attuatore, cioè tu.

Tu sei l’unico professionista, commercialista e revisore contabile, tributarista, consulente aziendale che possa essere chiamato a conferire alle imprese, di oggi e di domani quegli adeguati assetti misurandole, controllandole, e in definitiva illuminandole con la luce della Balanced Scorecard, e aggiungo della sua softerizzazione con il Cruscotto di controllo. È una grande evoluzione per te, direi una trasformazione epocale, segnata per giunta da un’intera riforma. Puoi smettere di offrire soltanto servizi di basso valore aggiunto, come la contabilità e i dichiarativi, per diventare invece un consulente aziendale che tiene costantemente il polso alle imprese con uno strumento moderno, e infatti già usato da tutti quei Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, che hanno saputo finalmente liberarsi dal dogma del bilancio fin dal 1992.

Ma per riuscirci devi applicare su te stesso e la tua attività sempre quelle famose tre medicine: innovazione, formazione e clima aziendale. Devi innovarti, e per farlo hai bisogno per prima cosa di formarti con gli strumenti giusti, ed ecco la ragione di questo libro.

Cominceremo a parlare di crisi, di come si sviluppa nel ciclo di vita di un’azienda, di come si manifesta in differenti forme, quali sono i fattori che la innescano; e poi ancora come prevenirla e prevederla (scoprirai che prevenire e prevedere non sono per niente la stessa cosa). Infine, vedrai nel dettaglio quali sono concretamente gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili che un’impresa deve rispettare, e come poter misurare la loro presenza o meno per poi intervenire alla luce, sempre, dell’attuale riforma della crisi ti presenterò anche il MISURATORE che ho inserito nel sito www.2086.it (puoi richiedere anche una demo) Ma non basta. Una volta formato, e diciamo così innovato, dovrai dare al tuo stesso studio un clima aziendale diverso abituando te stesso e i tuoi dipendenti a un contatto nuovo 3 A riguardo si vedano gli articoli pubblicati da me su ilsole24ore dal titolo

“adeguato assetto d’impresa, contro i primi segni di crisi” e l’altro dal titolo “la crisi d'impresa emerge in anticipo anche con la valutazione qualitativa”

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con i tuoi clienti, basato appunto non solo sui normali servizi che offri, ma sulla misurazione costante delle loro aziende attraverso le procedure della Balanced Scorecard.

Si tratta, in definitiva, di una trasformazione a 360°, ma alla quale noi tutti operatori del mondo aziendale siamo chiamati, soprattutto per adattare l’Italia intera a quelli che sono ormai dei veri e propri standard internazionali perché, lo ripeto, in tutti i paesi più evoluti la conduzione aziendale è misurata attraverso elementi qualitativi espressi in KPI, e non più soltanto quantitativi e bilancistici.

Sei pronto a iniziare questo percorso? Io credo di sì. Forse potrebbe spaventarti. In fondo si tratta di cambiare radicalmente approccio alla tua professione. È una crisi per te. Ma ricordi quello che abbiamo detto all’inizio? Non si può vivere in assenza totale di crisi, e dobbiamo invece attraversarle lasciandoci plasmare da loro per evolverci.

Perché alla fine solo di questo si tratta. Della tua personale evoluzione.

VIDEO APPROFONDIMENTI Per una prima panoramica sull’articolo 2086 secondo comma vedi: https://www.youtube.com/watch?v=lUiTFVq_eQ&feature=emb_title

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CAP I L'ART. 2086 SECONDO COMMA: RIFORMA RIVOLUZIONARIA DELLA CRISI D’IMPRESA

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1.1 L’ABOLIZIONE DELLA FIGURA DEL FALLITO: IL PRIMO RISCATTO DELL’IMPRENDITORE Il D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, meglio noto come Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ha emanato, in attuazione della legge delega n. 155 del 2017, la riforma della legge fallimentare in Italia.

La riforma riscrive finalmente la vecchia legge fallimentare n. 267 del 16 marzo 1942. Di certo una legge troppo datata considerando le grandi mutazioni storico sociali degli ultimi decenni. E lo dimostra già il fatto che il moderno Codice della Crisi d’Impresa abbia abolito l’uso del termine “fallito”.

Perché? Perché definire un imprenditore “fallito”, con tutto il peso del pregiudizio sociale che questo termine comporta da sempre in Italia, non ha più senso nell’attuale contesto economico mondiale in cui la crisi è qualcosa di integrante e fisiologico per ogni sistema aziendale, spesso ben oltre le varie responsabilità del singolo imprenditore.

D’altronde lo abbiamo accennato già nell’introduzione. È impossibile vivere in assenza totale di Crisi, qualsiasi tipo di crisi, non solo aziendale. Noi siamo attraversati e plasmati da stati di criticità. Ne abbiamo persino bisogno per evolverci, e gli eventi più recenti — in primis purtroppo il Coronavirus — non fanno che confermarlo.

E allora, meglio sostituire il termine “fallito”, abolendo il concetto stesso di “fallimento”, con quello di “procedura di liquidazione giudiziale”.

Riforme dal 2006 con il l’art. 182-bis e soprattutto l’art. 182ter4 hanno già tentato un’evoluzione in questo senso.

4 Già l’art 182 bis-ter rappresenta un’importante evoluzione nella gestione

fallimentare a favore dell’imprenditore e non soltanto dei creditori. Con questo articolo l’imprenditore, dimostrando di poter continuare a generare reddito pur nella condizione di crisi, può chiedere di essere posto nelle migliori condizioni possibili per continuare in questo sviluppo di reddito, a sua volta necessario per pagare i debiti stessi fino a una composizione bonaria del credito. Si apre così un tavolo di trattative tra l’imprenditore e i maggiori creditori (Inps, Inail, Equitalia, banche, fornitori e Agenzia delle Entrate), anche fuori di un concordato preventivo, e si presenta un piano dove bisogna dimostrare che i creditori avranno una soddisfazione maggiore rispetto alla semplice attuazione del fallimento. Per un maggiore approfondimento ti invito comunque al seguente approfondimento video: https://www.youtube.com/watch?time_continue=505&v=l7woajiikQY&feature =emb_title

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Ma è solo con l’attuale riforma che il legislatore ha cambiato radicalmente prospettiva, assumendone anzi una che potremmo definire anglosassone a partire dal going concern, la continuità aziendale.

1.2 IL GOING CONCERN, LA CAPACITÀ DI ANDARE AVANTI

SENZA

AFFIDARSI

ALLO

SPECCHIETTO

RETROVISORE DEL BILANCIO Il going concern, ossia la continuità aziendale. Ne abbiamo accennato nell’introduzione: è la capacità di compiere ogni giorno delle azioni che garantiscano un futuro migliore, azioni che permettono letteralmente di andare avanti.

Ora, se un’azienda compie tali azioni dovrà trovarsi in una condizione tale da presentare: 1. preservazione dell’equilibrio economico della gestione col conseguimento di ricavi superiori ai costi di esercizio; 2. congrua remunerazione del capitale di rischio; 3. mantenimento dell’equilibrio monetario della gestione; 4. soddisfacimento delle aspettative degli shareholders, e in generale di tutti gli stakeholders aziendali.

Se queste condizioni sono presenti l’azienda potrà continuare al meglio la propria attività nel futuro, e così manterrà la vera continuità aziendale, appunto il going concern, cosa invece molto diversa dalla più tradizionale continuità aziendale basata sul bilancio.

Quest’ultima considera soltanto se una certa azienda riesce a restare in vita nei successivi dodici mesi, ma senza valutare davvero se al suo interno ci sono quei quattro punti fondamentali su elencati, e soprattutto se sono presenti sempre tutte le AZIONI che fanno scaturire quei punti.

La grande forza del concetto di going concern è proprio questa: soffermarsi sull’importanza delle azioni da compiersi ogni giorno; il che presume un controllo costante dell’azienda, cosa che invece il bilancio non consente.

Dei limiti del bilancio in tal senso ti ho già parlato nell’introduzione, e qui ritornano come nodo cruciale.

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Se un’impresa deve compiere ogni giorno delle azioni per garantire il mantenimento di quei famosi quattro punti, il suo controllo non può affidarsi esclusivamente al bilancio, che invece offre dell’azienda sempre un’immagine al PASSATO, risalente a mesi prima, e quindi lontana dalle condizioni del presente e del futuro. Pensa di dover guidare la tua auto usando solo lo specchietto retrovisore. Assurdo.

E considera ancora una volta il triste esempio del Coronavirus. Quante imprese stanno attraversando oggi una gravissima crisi nonostante le più floride previsioni bilancistiche, i più rosei budget (e anche sui limiti di quest’ultimo strumento ci soffermeremo)?

Occorre un controllo aziendale diverso, “tempestivo”. E non è un caso che proprio l’art 2086 secondo comma, cuore della riforma, parli di “tempestività”. Scopriamo come.

1.3 LA RILEVAZIONE TEMPESTIVA DELLA CRISI D’IMPRESA L’articolo 2086 secondo comma rappresenta, come ho già detto, il cuore dell'attuale riforma della crisi d’impresa.

Leggiamo insieme cosa dice: ● L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori [artt. 2094 e 2104 c.c.].

L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Ecco che troviamo l’aggettivo “tempestivo”. È davvero una parola chiave, nonché un concetto aziendale di matrice anglosassone, ossia l’early warning, l’allerta precoce. E non può sorprendere il richiamo a questo principio, dato che

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l’intera riforma guarda allo stile anglosassone a partire dal summenzionato going concern.

Così, il legislatore stabilisce che l’imprenditore deve assicurare alla propria impresa “un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile” proprio per individuare, in modo tempestivo la crisi d’impresa.

E perché proprio in modo tempestivo? Semplicemente per poter intervenire quando l’azienda è ancora sostanzialmente sana, segnata forse dalle prime inefficienze, ma lontana da vere e proprie, e importanti, perdite; e vedremo meglio questi aspetti nel capitolo seguente, in particolare nel paragrafo dedicato alle fasi della crisi aziendale.

Ma il legislatore segue un percorso anche più preciso. Cosa deve fare l’imprenditore per assicurare una rilevazione tempestiva della crisi? Dotare la propria azienda di adeguati assetti, e cioè strumenti, in ambito organizzativo, amministrativo e contabile. E come fare a capire se l’azienda presenta o no questi strumenti?

Sulla base dell’art. 13 secondo comma, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili è tenuto a predisporre degli indici di allertamento a cui ogni impresa deve monitorare: ● Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell'impresa. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili elabora indici specifici con riferimento alle startup innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, alle PMI innovative di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, alle società in liquidazione, alle imprese costituite da meno di due anni. Gli indici elaborati sono approvati con decreto del Ministero dello sviluppo economico.

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Ancora l’art 13 stabilisce gli elementi considerare nell’elaborare tali indici, ossia:

fondanti

da

1. gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso “indici” che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno “i 6 mesi successivi” e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso; ovvero, quando la durata residua dell’esercizio è inferiore a 6 mesi, per i 6 mesi successivi. A questi fini, sono “indici significativi” della crisi quelli che misurano “la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi“.

2. Ritardi reiterati e significativi nei pagamenti (anche sulla base di quanto previsto dall’art. 24 sulla tempestività dell’iniziativa ai fini del beneficio delle misure premiali).

Gli indici del Consiglio Dottori Commercialisti nascono dunque per mettere in risalto degli “squilibri” interni all’azienda stessa.

Ma ora ti faccio una domanda? Basta seguire gli indici per assicurare l’allerta precoce, tempestiva, sulla crisi d’impresa e per fornire la propria azienda di assetti adeguati? La risposta è no. E lo vedremo ora parlando dei tre livelli di allertamento che la Riforma d’impresa prevede.

1.4 I GRADI DI ALLERTAMENTO CONTRO LA D’IMPRESA

NEL

CICLO

STESSO

DELLA

CRISI VITA

AZIENDALE Esistono tre diversi gradi di allertamento previsti dalla crisi d’impresa per preservare il più possibile la continuità aziendale. Tali gradi si pongono in tre momenti distinti del ciclo di vita dell’impresa.

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Il primo livello di allertamento si ha quando l’impresa è all’apice del successo. Tutto sembra andare bene, i bilanci sono più che positivi, eppure è proprio in questo momento d’ascesa che iniziano a crescere i germi della crisi.

Ad esempio possono fare il proprio ingresso in azienda soggetti familiari dell’imprenditore, in primis i suoi figli.

Si tratta di persone che vengono spesso poste in posizioni di comando pur non avendo assolutamente le caratteristiche adatte, ma solo per i propri legami di parentela. Più in particolare, ciò che loro manca sono quelli che Keynes definisce animal spirits, ossia delle doti particolari (amministrative, commerciali, persino da visionario), innate e perfette per l’economia di mercato, doti che l’imprenditore possiede e che lo portano rapidamente al successo — spesso anche in una sorta di rivalsa sociale del tutto personale — ma che non tutti possono avere, e che infatti quasi sempre mancano a quei parenti di cui dicevo.

Così, l’entrata in azienda di tali soggetti porta alle prime inefficienze, soprattutto su innovazione, formazione e clima aziendale. Questi tre elementi sono intangibili, spesso trascurati, ma fondamentali, fortemente strategici e qualitativi.

Ed ecco che seguono le prime perdite di quote di mercato, tensioni nel consiglio d’amministrazione, un clima aziendale negativo a discapito del know how, un invecchiamento del portafoglio prodotti, rallentamento del turnover del capitale investito ( cioè del rapporto fra le vendite/capitale investito; totale attivo) cioè l’indice che secondo lo Z-score di Altman , segnala meglio di altri il possibile disfunzionamento aziendale. Perchè rallenta? perchè le vendite a parità di capitale investito calano? perchè se aumenta il capitale investito le vendite non aumentano? La risposta è di tipo qualitativa e non quantitativa: -

perdita di autorevolezza dell’imprenditore; peggioramento del clima aziendale; invecchiamento del portafoglio prodotti; scarsa formazione; incapacità di innovare;

Cioè si stanno minando le basi qualitative del going concern,(come prevede lo Z-score di Altman).

Fai però attenzione, ci troviamo in uno stadio della crisi in cui i bilanci sono ancori solidi: c’è utile, c’è equilibrio

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finanziario e sostenibilità del debito. Eppure si sta già perdendo la continuità aziendale. Qui entra in gioco il revisore. Entri in gioco tu.

Egli ha l’obbligo, secondo l’art 14 1° comma che esamineremo poi più nel dettaglio, di allertare già in questo primo stadio l’imprenditore, o l’amministrazione con una PEC che, bada bene, libera il revisore da qualsiasi ulteriore responsabilità, e infatti la Riforma della crisi riconosce ANCHE il revisore responsabile solidalmente e patrimonialmente della perdita della continuità aziendale (art. 2476 6° comma c.c.).

E a questo punto, non puoi non domandarti: ma come si può individuare, e quindi segnalare, la perdita di quelle componenti qualitative e strategiche se i tradizionali strumenti bilancistici non solo non riescono a rilevarle, ma al contrario segnano una situazione ottimale? Cercheremo di rispondere a questa domanda nei capitoli seguenti.

Ma passiamo al secondo grado di allerta. L’imprenditore amministratore riceve la prima PEC dal revisore, comprende le sue carenze, si adopera per assumere gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, e l’azienda si rimette in carreggiata. Situazione ottimale. Ecco un esempio di allerta precoce, di early warning nel pieno spirito della riforma.

Oppure l’imprenditore non si adegua. La crisi continua, le perdite operative si fanno sempre più pesanti, i rendimenti non sono più in linea con quelli dei concorrenti e ANCHE nel bilancio si inizia a vedere la crisi, tanto che l’azienda mostra di superare i limiti posti dagli indici del Consiglio Dottori Commercialisti, e proprio per il superamento di tali limiti il revisore può passare al secondo grado di allertamento.

Ma questo secondo allertamento se può sembrare ancora tempestivo per l’imprenditore - amministratore, in realtà non lo è per il revisore, e non solo in virtù delle sue competenze e professionalità, ma anche e soprattutto in base all’ISA 210, l’ISA 570 e ovviamente per l’art. 2086 secondo comma. E di qui deriva, poi, la suddetta responsabilità solidale e patrimoniale che la riforma della crisi riconosce al revisore come pari alla perdita di capitale netto prodottasi in questo secondo stadio.

Infine si ha il terzo stadio di allertamento. Se il primo richiamo, riferito a componenti intangibili ma strategiche non è servito, e nemmeno il secondo, sebbene più forte

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perché sulla base dei bilanci e del superamento degli indici5, allora, il legislatore ha previsto l’allertamento da parte dei grandi creditori INPS e ADE, e oltre questo limite, di fatto, la crisi non può più spingersi, il che rappresenta un bene per permettere di salvare l’azienda quando questa viene, per così dire, portata “all’ospedale”, ossia l’OCRI. Mentre la parte della riforma della crisi riguardante la PREVENZIONE di cui all’art 2086 2° comma c.c., art. 14 1° comma D.Lgs. 14/2019 e art. 2476 6° comma c.c. è entrata in vigore il 16/03/2019 la parte della decozione deve ancora entrare in vigore e quindi anche gli indici di cui all’art. 13 D.Lgs 14/2019 emanati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, attualmente sono sospese. Per avere un software gratuito sul calcolo degli indici di decozione vai su www.indiciocri.it.

1.5 L’IMPRENDITORE SFORTUNATO - INADEGUATO E L’IMPRENDITORE

FRAUDOLENTO:

ART

13

E

IL

“FUMUS DECOCTIONIS” Se un imprenditore non rispetta l’articolo 2086 secondo comma, e quindi non possiede gli adeguati assetti richiesti, un amministratore, un revisore, un sindaco, può trovarsi in una delle condizioni seguenti.

O è un imprenditore sfortunato-inadeguato; oppure è un imprenditore fraudolento.

Ma come distinguere l’uno dall’altro? Come visto come l’art.

13 ci viene in aiuto poiché è alla base degli indici di crisi che il Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti dovrà fissare per altro ogni tre anni. Accade che, qualora vengano superati gli indici per più di tre mesi consecutivi — come indicato dall’art. 24 — senza alcun processo di risoluzione, l’imprenditore riversa nella condizione di imprenditore sfortunato - inadeguato, ma non ancora fraudolento, cosa che invece diventa se, non fermando la propria attività rispetto al superamento degli indici, e rispetto ai richiami già ricevuti dal revisore per quanto detto sopra, continua ad 5

Considera che il bilancio può essere gonfiato con operazioni di windows dressing, ossia sottostimare gli ammortamenti o sovrastimare le rimanenze, o sottostimare i fondi rischi.

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operare, magari truccando i bilanci e facendo debiti e compiere nella migliore delle ipotesi portando avanti l’azienda in condizioni di squilibrio economico-finanziario in frode alla fede pubblica.

Nell’idea del Legislatore della Riforma della crisi la linea del fumus decoctionis, ossia il momento, persino il giorno preciso, in cui lo stato di decozione, di crisi, dell’azienda diventa evidente a tutti i soggetti esterni all’azienda stessa, e di conseguenza anche all’imprenditore che dovrebbe semplicemente fermarsi, è delimitata dal superamento dei limiti di cui all’art. 13 D.Lgs 14/2019, o meglio dopo tre mesi dal loro superamento senza che ci sia stato il ricorso all’OCRI. Pensa ancora una volta a un’automobile. Se non è in regola, se non ha superato la revisione deve semplicemente fermarsi.

1.5.1 COME DEFINIRE IL DECOCTIONIS

MOMENTO

DI

FUMUS

Ma stabilire il giorno preciso della manifestazione del fumus decoctionis, è tanto importante quanto difficile.

Si tratta di tracciare una linea di confine netta per poi capire se l’imprenditore l’abbia superata o meno diventando fraudolento o no.

Ti offro la mia personale esperienza. Ho gestito parecchi fallimenti nella mia carriera professionale, e in diversi casi sono riuscito a dimostrare la data del fumus decoctionis riuscendo a censurare l’operato di alcune banche.

Cosa succedeva in generale? Una certa banca attribuiva a un imprenditore uno scoperto, supponiamo 10.000 euro, ma poi autorizzava lo scoperto a 12.000 senza fido, 2.000 euro in più di scoperto temporaneo venivano dati DOPO la manifestazione del fumus, manifestazione che la banca poteva, però, individuare attraverso uno strumento che è lo Z-Score di Altman, ovvero il principale strumento d’analisi usato ad oggi al mondo per individuare lo stato fallimentare di un’azienda; ne parleremo nel prossimo capitolo.

Così, quando l’imprenditore rimborsava, ad esempio, 3.000 euro, 2.000 servivano per rientrare nel massimo dello scoperto che era stato creato, e 1.000 riportavano il debito a 9.000. Ma quei primi 2.000 euro tecnicamente

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rappresentavano delle rimesse solutorie, cioè dei rimborsi di debiti concessi dopo la manifestazione del fumus decoctionis, e il curatore li poteva revocare tutti per ristabilire la par conditio creditorum.

Per cui, in casi del genere, io chiedevo la restituzione delle rimesse solutorie dimostrando al giudice che, in quella data in cui la banca aveva concesso lo scoperto essa, in realtà, non poteva non sapere del fumus grazie all’applicazione del suddetto Z-Score di Altman.

1.6 L’ARTICOLO 14 E L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE TEMPESTIVA DEL REVISORE CONTABILE Nel paragrafo precedente abbiamo individuato tre livelli di allertamento rispetto ad altrettanti fasi di crisi, di gravità crescente, nel corso della vita di un’azienda.

Ora, ognuno di questi tre livelli di allertamento vede per protagonista anche il revisore contabile che, infatti, con l’attuale riforma della crisi viene ad assumere una rinnovata importanza.

Tutto inizia con l’art. 14 secondo comma anch’esso in vigore dal 16/03/2019 e mai sospeso. Leggiamo il primo comma: ● Gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni, hanno l'obbligo di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi.

L’art. 14 sancisce per il revisore un rinnovato ruolo di tutor aziendale. Egli viene a trovarsi persino al di sopra dell’organo amministrativo, di cui deve controllare costantemente l’operato per verificare se questo sappia dare all’azienda gli adeguati assetti dell’art 2086 secondo comma.

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Qualora poi il revisore riscontri che l’organo amministrativo non stia operando in modo conveniente rispetto agli adeguati assetti, e quindi contro la continuità aziendale, o che ci siano degli indizi di crisi, deve subito darne segnalazione all’organo amministrativo stesso, così come specifica il secondo comma dello stesso articolo: ● La segnalazione deve essere motivata, fatta per iscritto, a mezzo posta elettronica certificata o comunque con mezzi che assicurino la prova dell'avvenuta ricezione, e deve contenere la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l'organo amministrativo deve riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese. In caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, i soggetti di cui al comma 1 informano senza indugio l'OCRI, fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni, anche in deroga al disposto dell'articolo 2407, primo comma, del codice civile quanto all'obbligo di segretezza.

Il revisore invia la propria segnalazione di allertamento all’organo amministrativo a mezzo PEC. Se a tale segnalazione non segue alcuna azione di correzione nell’arco di 30 giorni, segue la segnalazione all’OCRI, l’Organismo di composizione della crisi d’impresa, di cui parleremo più nel dettaglio nel prossimo paragrafo.

La segnalazione viene fatta attraverso una semplice PEC, ed esonera il revisore da ogni responsabilità solidale, e di conseguenza anche patrimoniale, rispetto ad una perdita di capitale netto con l’insorgere della crisi e della prima perdita di continuità aziendale.

Infatti, sempre l’art 14 precisa bene nel terzo comma le responsabilità del revisore rispetto a un suo mancato o non tempestivo allertamento verso l’organo amministrativo: ● La tempestiva segnalazione all'organo amministrativo ai sensi del comma 1 costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal

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predetto organo, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione, a condizione che, nei casi previsti dal secondo periodo del comma 2, sia stata effettuata tempestiva segnalazione all'OCRI. Non costituisce giusta causa di revoca dall'incarico la segnalazione effettuata a norma del presente articolo.

Ma nota come l’articolo parli di una segnalazione tempestiva, ossia lo stesso aggettivo che abbiamo evidenziato nell’art. 2086: “in funzione della rilevazione tempestiva della crisi”.

Questo vuol dire che se il revisore riscontra i germi della crisi solo dopo il superamento degli indici dell’art. 13, e quindi su base contabile, sostanzialmente arriva tardi, e questo spiega la sua responsabilità solidale e patrimoniale, rispetto al capitale netto perso, che abbiamo già espresso.

Egli invece, nella rinnovata veste di tutor aziendale, deve essere in grado di rilevare tempestivamente il germe della crisi fin dal suo primo grado, e ricorda quanto abbiamo detto sui tre livelli di allertamento, cioè fin dagli INDIZI e NON dalla prova della crisi. Gli indici dell’art. 13 sono prove.

Altrimenti, una sua rivelazione tardiva, o addirittura assente, giustifica la sua responsabilità solidale e patrimoniale. Per altro, anche gli ISA 210 e 570, lo richiamano a molteplici livelli di allerta.

Ma da quanto abbiamo fin qui detto dovrebbe nascere in te una domanda: come posso io, in quanto revisore, assicurare un’allerta tempestiva sugli indizi di crisi se la mia rilevazione sulla base degli indici è già tardiva perché tardiva è la rilevazione della crisi su base bilancistica?

Ecco, questa domanda ci riporta in modo circolare al punto di partenza. L’ho affermato fin dall’introduzione e l’ho chiarito accennando al ciclo della vita aziendale, qui lo ripeto nuovamente: i vari strumenti bilancistici rilevano la crisi quando questa è già presente nei numeri, dunque tardi, così tardi da giustificare la sua corresponsabilità patrimoniale. IL BILANCIO LO SA “DOPO” quello che è successo in azienda e NON PUO’ essere uno strumento di allerta precoce.

Servono invece altri strumenti che permettano al revisore di rilevare nella vita aziendale la perdita di quegli elementi fondamentali, fortemente strategici quanto impalpabili:

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innovazione, formazione e clima aziendale che sono alla base della capacità di “evolversi” dell’azienda.

Questi strumenti non sono altro che i KPI (Key Performace Indicator) che permettono di misurare quanto un’azienda stia facendo per raggiungere precisi obiettivi, anche obiettivi su innovazione, formazione e clima aziendale.

I KPI poi, come vedremo, si strutturano formando dei KPArea che a loro volta portano a strutturare una più generale mappa strategica. La mappa strategica, insieme ad analisi di scenario, analisi SWOT e soprattutto la Balanced Scorecard sono gli strumenti qualitativi che permettono davvero a te, tutor revisore contabile, di dare una rilevazione tempestiva di ogni crisi aziendale ponendoti al sicuro da ogni responsabilità una volta fatta la tua segnalazione.

1.7 L’OBBLIGO DI NOMINA DEL REVISORE E GLI ART. 2476 SESTO COMMA E 2477 SESTO COMMA (le disposizione dell’art. 2477 sono rinviate al 2022) Ma perché un’azienda dovrebbe nominare un revisore riconoscendoli quel superiore grado di tutor aziendale che abbiamo fin qui descritto?

Innanzitutto perché si tratta di un obbligo di legge. Sempre l’art. 2477 c.c. impone la nomina del revisore contabile per tutte le aziende con più di venti dipendenti o più di quattro milioni di capitale investito o più di quattro milioni di ricavi nel biennio precedente, basta che una sola di questi parametri sia superata. Vengono così abbassati i precedenti parametri rispetto alle grandezze considerate nell’art. 2477 c.c. ante riforma.

Si tratta di un punto fondamentale. Il legislatore ha deciso che il revisore sia posto al di sopra dello stesso organo amministrativo per controllarlo. Questo per preservare innanzitutto la continuità aziendale sempre nell’accezione di going concern.

Potrà sembrare una limitazione forte nei confronti dell’organo amministrativo, e quindi dello stesso imprenditore, eppure un simile controllo può risultare

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davvero prezioso per un amministratore se consideri l’articolo 2476 sesto comma dove leggiamo: ● L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi.

In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.

In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti.

Questo vuol dire che se un amministratore non fornisce la propria azienda degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili (previsti dall’art. 2086 2° comma c.c.), causando una perdita della continuità aziendale, e quindi una crisi, i soci potranno per cautelarsi chiedere la revoca dell’amministratore stesso, e di conseguenza quest’ultimo sarà poi tenuto a pagare direttamente tutti i danni che la sua conduzione inadeguata avrà causato, a partire dai vari debiti che di certo si saranno accumulati.

E allora ecco che la presenza di un tutor aziendale che si affianchi all’amministratore con una rilevazione costante della continuità aziendale diventa a dir poco fondamentale.

Anche perché, qualora un amministratore venga chiamato in giudizio dagli altri soci nei modi che abbiamo su visto, questi, a sua volta, potrebbe obbiettare in sede giudiziaria che, essendo la sua competenza come imprenditore, uomo d’affari, non sufficiente a garantire gli adeguati assetti necessari, si è avvalso di un commercialista revisore contabile, che non solo può dimostrare una competenza ben maggiore, ma che per giunta possiede anche un’assicurazione contro la responsabilità civile, e di conseguenza non verso di lui debbono rivalersi gli altri soci ma proprio verso il revisore.

Per altro, all’articolo 2476 sesto comma si deve collegare anche l’articolo 2409 sesto comma. Questo estende anche per società al di sotto dei limiti espressi dall’art 2086 per la nomina del revisore (4 milioni di ricavi, 4 milioni di capitale investito e 20 dipendenti) la possibilità che la minoranza dei

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soci, appena il 10%, possa chiedere all’autorità giudiziaria la nomina di un amministratore giudiziale, previa ovviamente ispezione, qualora ci siano fondati motivi per ritenere che l’azienda non sia adeguatamente strutturata, a sfavore sempre del going concern.

In definitiva, è necessario che fra l’amministratore e il revisore tutor aziendale si venga a creare uno stretto rapporto di integrazione reciproca.

Da una parte l’amministratore deve operare sempre nel perseguimento degli adeguati assetti, e dall’altra il revisore deve controllare costantemente, quasi giorno per giorno l’azienda stessa, come un prezioso supporto esterno. E solo da tale simbiosi nasce quello che possiamo definire un vero e proprio sistema di risk management.

E ancora, dimentica ora obblighi e responsabilità. Ma in quanto professionista concentrati solo sulle molteplici opportunità professionali che la nomina a revisore, sempre nell’accezione di moderno tutor aziendale, comporta. Si tratta di un salto di qualità per te, di un evoluzione. Quello che ti serve sono solo quei strumenti qualitativi di cui abbiamo già detto, e che vedremo più nel dettaglio, e infine di poterli racchiudere tutti in un unico grande strumento.

Anche su questo torneremo.

1.8 LA RESPONSABILITÀ’ DEL COMMERCIALISTA In questa sede è bene sottolineare che accanto all’amministratore c’è un’altra figura da menzionare e che può essere responsabile così come l’amministratore ed è il commercialista, perchè in sede di giudizio l’amministratore potrebbe esimersi dalla responsabilità attribuitagli dall’art.

2476 6° comma per il semplice fatto di aver assunto un commercialista che si occupi del rispetto delle norme.

Quindi il mancato rispetto dell’art. 2086 2° comma è diretta responsabilità del commercialista, ecco perchè bisogna fare prima informare il cliente il quale se non si adegua a quanto prescritto da voi è bene che vi tuteliate facendovi firmare il consenso informato.

Di seguito ti propongo un esempio: Carissimo pensando di farti cosa gradita ti invio la comunicazione del consenso informato che sto inviando ai miei clienti sulla portata SCONVOLGENTE del 2476 sesto comma C.C. che ha reso dal 16 marzo 2019 tutti gli amministratori RESPONSABILI delle obbligazioni sociali.

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CONSENSO INFORMATO RISPETTO ALLE NUOVE DISPOSIZIONI DELL’ART. 2476 SESTO COMMA IN VIGORE DAL 16 MARZO 2019: RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI RISPETTO A TUTTE LE OBBLIGAZIONI SOCIALI FERMO, 12 LUGLIO 2019 Gentile Cliente, Con la presente è nostra intenzione renderla edotta sull’enorme modifica che è stata apportata alla responsabilità degli amministratori con l’introduzione del sesto comma dell’art. 2476 del codice civile. Dal 16 Marzo 2019 tutti gli amministratori sono responsabili delle obbligazioni sociali (cioè di tutti i debiti della società verso dipendenti, Stato, banche e fornitori) nel caso in cui l’azienda sia stata gestita senza un ADEGUATO SISTEMA DI CONTROLLO. Prima di passare alla trattazione specifica del problema, le anticipiamo subito che il nostro studio ha elaborato già una soluzione che, se adottata, impedisce l’applicazione del 2476 sesto comma perché si riesce a dotare l’azienda di UN ADEGUATO ASSETTO AMMINISTRATIVO E CONTABILE AI FINI DELL’INDIVIDUAZIONE DEGLI INDIZI DI CRISI E DEL MONITORAGGIO DELLA CONTINUITA’ AZIENDALE, esattamente come richiesto dalle nuove disposizioni normative già in vigore (art. 2476 sesto comma e art. 2086 secondo comma). Si tratta del CRUSCOTTO DI CONTROLLO, il primo ed unico software cloud basato sulla Balanced Scorecard di Kaplan e Norton rispondente alle disposizioni degli art. 2476 sesto comma e art. 2086 secondo comma e quindi capace di limitare la responsabilità degli amministratori. www.cruscottodicontrollo.it Dal 16 Marzo 2019 tutti gli amministratori che non avranno dotato l'azienda di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, capace di intercettare gli indizi di crisi e, soprattutto, la perdita della continuità aziendale, risponderanno con il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali della società amministrata per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale così come disposto dal nuovo art. 2476. Non solo, come ribadisce il nuovo 2086 secondo comma: “L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. l’'art. 378 del D.Lgs. 14/2019 dal 16 marzo 2019 ha aggiunto un sesto comma all’art.2476 che, nella sua prima parte recita testualmente: "Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale.... (omissis) ".

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Si tratta di una norma rivoluzionaria soprattutto nella sua portata culturale. É chiarissimo l'intento del legislatore, fra l'altro riscontrabile in decine di prescrizioni diffuse in tutto il D.Lgs. 14/2019 (la nuova riforma della crisi), di costringere il management aziendale a gestire in modo corretto ed adeguato l'azienda, senza improvvisazioni e con competenza, allo scopo di eliminare le inefficienze e favorire la proliferazione di aziende sane e gestite con sagacia e intelligenza.

Tale intento risulta ancor più evidente se, insieme al nuovo sesto comma del 2476 Codice Civile, si legge l'altra grande novità, anch'essa già in vigore dal 16 marzo 2019, introdotta dal D.Lgs. 14/2019; si tratta della disposizione dell'art. 3 (quindi proprio all'inizio dei 390 articoli del D.Lgs. quasi a ribadirne l'importanza e la centralità). Testualmente l'art. 3 secondo comma del D.Lgs. 14/2019 prescrive che "l'imprenditore collettivo (il primo comma si occupa degli imprenditori individuali) deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del Codice Civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione delle idonee iniziative."

Per rivelazione tempestiva della “crisi” cosa si deve intendere? La constatazione di elementi certi e precisi che dimostrano l’effettività della crisi, cioè la semplice rilevazione dal bilancio di esercizio di eventuali squilibri economici o finanziari, oppure, per il legislatore, è necessario presidiare, con un adeguato assetto ORGANIZZATIVO AMMINISTRATIVO E CONTABILE, il manifestarsi di semplici INDIZI che POTREBBERO, se non fronteggiati, portare l’azienda alla crisi, cioè a non avere più l’equilibrio economico o l’equilibrio finanziario?

Gli strumenti di controllo QUANTITATIVI, cioè quelli basati sui dati di bilancio, come: lo "Z" Score di Altman¹; la Break Even Analisys; le tecniche di Budgeting o l’analisi verticale ed orizzontale del ROI² e del MASA³ per lo studio dell’equilibrio economico finanziario; sono in grado di identificare uno stato di crisi SOLO SE LA CRISI È GIÀ IN ESSERE E HA GIÀ PRODOTTO DEGLI EFFETTI ormai visibili anche nelle grandezze di bilancio. In tali casi, la CONSTATAZIONE dello stato di crisi, evidenziata dalla perdita dell’equilibrio economico finanziario, è la conferma dell’incapacità, del sistema di controllo interno all’azienda, di saper vigilare, e quindi di saper intercettare, sul sorgere degli indizi importanti che hanno poi inoculato il virus della futura crisi.

Lo spirito della riforma operata con il D.Lgs. 14/2019, e prima ancora della sua Legge delega 155/2017, é quello di favorire l'EARLY WARNING (l'allerta precoce) in modo da favorire il risanamento delle imprese e soprattutto porre un presidio forte sulla robustezza del loro equilibrio economico e finanziario. Quindi, é chiaro che un ADEGUATO ASSETTO ORGANIZZATIVO, AMMINISTRATIVO E CONTABILE non può essere quello che CONSTATA semplicemente i danni causati dalla crisi, ma deve essere, invece, un insieme sistemico di strumenti che garantisca, in azienda, la rilevazione precoce degli INDIZI DI CRISI. A supporto di ciò si può riportare l'altra disposizione rivoluzionaria già in vigore dal 16 marzo 2019 cioè l'art. 14 primo comma del D.Lgs. 14/2019 che impone al revisore, in aggiunta ai

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suoi vecchi compiti di controllo dei conti "...omissis… di segnalare allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati INDIZI di crisi… omissis".

Non si parla di prove, ma di semplici indizi; proprio a voler enunciare che, il revisore e l’amministratore, hanno l’obbligo di vigilare sulle possibili inoculazioni del virus della crisi prima che esso si propaghi nell'azienda e demolisca gli equilibri economico finanziari, facendo perdere la continuità aziendale.

Tale analisi non lascia dubbi sul fatto che gli strumenti di controllo quantitativo basati sul bilancio (Analisi per indici, Z Score, Budget e scostamenti, Break Even Analisys etc...) non hanno la capacità di rispettare le disposizioni del secondo comma dell'art. 2086, perché essi non riescono a presidiare la rilevazione degli indizi di crisi e rilevano solo gli EFFETTI sul bilancio di una crisi già avviata e conclamata.

Il Bilancio non può essere l’unico metro di valutazione oggettivo ed utile per condurre l’azienda in un futuro esente da rischi di crisi. Il Futuro è sempre diverso dal Passato e se si guida l’azienda utilizzando il Bilancio, lo si sta facendo guardando nello specchietto retrovisore; perché il bilancio contiene dati morti, riferiti cioè al passato, e non ha di fatto nessuna possibilità di far interpretare il futuro.

Passiamo ora all'altro presidio richiesto dall’art. 2086 Comma 2, quello della continuità aziendale. In senso economico, la continuità aziendale è un concetto anglosassone ed è definita “GOING CONCERN” cioè l’ESSERE SICURI DI COMPIERE DELLE AZIONI CHE GARANTISCANO UN FUTURO MIGLIORE ALL'AZIENDA. Pertanto, quando si compiono azioni che non migliorano il futuro dell'azienda si sta perdendo la continuità aziendale.

Facciamo alcuni esempi in cui, pur in presenza di un solido equilibrio finanziario ed economico, rilevato dagli strumenti del controllo quantitativo, l'azienda presenta, tuttavia, una perdita di continuità aziendale attraverso il riscontro di FONDATI INDIZI DI CRISI che un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, dovrebbe intercettare per lasciare indenni gli amministratori da qualsiasi responsabilità: Clima aziendale ostile e non collaborativo; Liti fra soci o fra amministratori che, di fatto, impediscono all'azienda di operare correttamente; Feedback negativi relativi alla soddisfazione dei clienti; Scarsa innovazione; Scarsa attività di formazione; Perdita di quote di mercato;

50

Fatturato costituito in gran parte dalla vendita di prodotti e servizi in fase di decadimento. Etc..

Sono tutte situazioni che condurranno alla creazione di inefficienze le quali eroderanno il reddito operativo e la liquidità. Questo farà salire l'indebitamento che provocherà un aumento degli oneri finanziari che, in caso di mancato ripristino della redditività operativa, porteranno alla formazione di perdite di esercizio. L'eventuale continuazione di formazione di perdite porterà l'azienda al deficit patrimoniale (passivo maggiore dell’attivo) e di conseguenza all'insolvenza e al default. È chiaro che, un'azienda i cui amministratori decidano, con apposita delibera del Consiglio di Amministrazione adottata per la soluzione alla problematica dell’adeguamento della società alle nuove disposizione del 2086 secondo comma, di implementare nel sistema di controllo interno, una Balanced Scorecard per la guida ed il controllo dell'azienda, sicuramente riuscirà a monitorare la continuità aziendale e ad intercettare prontamente gli indizi di crisi.

L'adozione della Balanced Scorecard, o di cruscotti di controllo ad essa ispirati appare, senza ombra di dubbio, la strategia più idonea a poter rispondere alle prescrizioni del 2086, secondo comma. Tali strumenti diventano di fatto utili ed indispensabili per proteggere gli amministratori, e di conseguenza anche i revisori, dalla responsabilità personale rispetto le obbligazioni sociali contratte dalla società.

In caso lei addivenga alla conclusione di non doversi adoperare per limitare le sue responsabilità rispetto alla nuova prescrizione di cui al sesto comma dell’art. 2476 c.c. e che quindi non le interessi implementare nella sua azienda la soluzione del Cruscotto di Controllo, noi decliniamo ogni responsabilità qualora in futuro la sua azienda e la sua persona dovessero subire dei danni o dovesse avere delle responsabilità in merito alla mancata adozione degli ADEGUATI ASSETTI ORGANIZZATIVI PREVISTI DAL NUOVO sesto comma art. 2476 e dal nuovo secondo comma dell’art. 2086.

Rimaniamo a sua disposizione per ogni info e/o chiarimento e la preghiamo di reinviarci, debitamente sottoscritta, la presente comunicazione.

Io sottoscritto/a dichiaro di aver ricevuto e compreso l’informativa che precede.

Luogo _______, lì _/_/_ Firma

Sarebbe anche importante che il CdA adottasse una delibera dal seguente tenore:

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VERBALE DEL CDA Nei miei eventi sto consigliando a tutti i colleghi di far adottare agli amministratori la seguente delibera in modo da poter limitare/escludere la loro responsabilità verso le obbligazioni sociali imposta dal nuovo art. 2476 sesto comma e dal secondo comma dell'art. 2086, già in vigore dal 16 marzo 2019, nel caso di mancata adozione di misure protettive del patrimonio sociale.

Il CdA preso atto delle modifiche apportate dal D.Lgs. 14/2019 al codice civile, ed in particolare al nuovo art. 2086 secondo comma e al nuovo art. 2476 sesto comma, che impongono all'imprenditore collettivo l'obbligo di adottare degli adeguati assetti organizzativi e delle procedure aziendali che consentano il presidio ed il monitoraggio della continuità aziendale, intesa come capacità dell'azienda di operare quotidianamente delle scelte che diano un futuro migliore; e valutato che le nuove norme prescrivono inoltre, che gli assetti organizzativi e le procedure aziendali, debbano poter intercettare gli indizi di crisi DELIBERA Di implementare all'interno dell'azienda dei sistemi di controllo qualitativi basati sul modello scientifico della Balanced Scorecard dei Professori Kaplan e Norton che risulta ad oggi essere l'unico strumento di controllo capace di misurare la permanenza in azienda della continuità aziendale. Il CdA ritiene con questo di aver assolto in particolare agli obblighi di protezione del patrimonio sociale imposti dal nuovo sesto comma dell'art. 2476.

Il www.cruscottodicontrollo.it è uno strumento basato sulla Balanced Scorecard di kaplan e Norton ed è di per se idoneo a rispettare il 2086 secondo comma ed il nuovo 2476 sesto comma.

1.9 LE SENTENZE DEI TRIBUNALI A LA CASSAZIONE Sebbene non sia entrato in vigore nella sua interezza ma solo in parte il Codice della crisi d’impresa è già applicato nelle aule di tribunale, il tema centrale è: la gestione dell’impresa

e

i

suoi

adeguati

amministrativi e contabili.

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assetti

organizzativi,

Dal 16 marzo 2019, data di entrata in vigore del nuovo art.

2086 secondo comma e dell’art. 3 del D.Lgs. 14, i Tribunali hanno fatto proprie le disposizioni sugli obblighi di dotare l’azienda di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili e hanno emesso le prime sentenze. In particolare la Corte di Cassazione con l’Ordinanza nr. 20389 del 28 settembre 2020, rispetto ad un caso in cui la società ricorrente invocava la forza maggiore, dovuta ad una crisi di liquidità legata alla congiuntura economica, quale causa del suo inadempimento per il pagamento delle imposte ricorda che, affinché, ci sia forza maggiore debbono esistere due elementi. Un elemento oggettivo, relativo a circostanze anomale

ed

estranee

all’impresa;

ed

un

elemento

soggettivo, costituito dall’obbligo per l’azienda di premunirsi

contro

le

conseguenze

dell’evento

anormale, adottando misure appropriate. Ossia se l’azienda non è adeguata non può invocare nessuna causa di forza maggiore, poiché qualora lo fosse stata sarebbe stata in grado di prevenire le circostanze anomale.

Questa autorevole pronuncia si va ad aggiungere ad altre due pronunce: quella del Tribunale delle Imprese di Milano del 21 ottobre 2019 e quella del Tribunale delle Imprese di Roma del 08 aprile 2020. Entrambe le pronunce fanno scaturire

la

condotta

di

mala

gestio

verso

gli

amministratori, con conseguente assoggettamento delle condotte all’art. 2476 e quindi alla responsabilità degli amministratori per i danni e i debiti creati alla società, quando non abbiano dotato l’azienda di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. In particolare il Tribunale delle Imprese di Milano ha chiarito che “le condotte degli amministratori non in linea con i doveri gestori oggi predicati dall’art. 2086 secondo comma costituiscono una grave irregolarità nella gestione, alla quale è collegata la reazione della denunzia al

53

Tribunale ex art. 2409 c.c. (quindi anche da parte di altri soci) nonchè la conseguente revoca dell’organo amministrativo con la nomina di un amministratore giudiziario”.

La Sentenza del Tribunale delle Imprese di Roma del 8 aprile 2020, già oggetto del già citato studio 7/2020 da Assonime, in sede cautelare, affronta il tema della responsabilità dell’amministratore di società anche per un profilo inerente

l’adeguatezza

degli

assetti

organizzativi

adottati nell’impresa in attuazione di quanto prescritto sia dall’art. 2381 terzo comma e soprattutto dell’art. 2086 secondo comma. Il Tribunale delle Imprese di Roma pur rilevando

un

profilo

di

responsabilità

in

capo

all’amministratore citato in giudizio, prende posizione favorevole all’applicazione di Business Judgment Rule anche ai fini della non sindacabilità delle scelte operate dagli amministratori in merito alla definizione degli assetti risultino

organizzativi conformi

a

dell’impresa, criteri

di

laddove legittimità

questi e

di

ragionevolezza. Quindi essendo la Balanced Scorecard riconosciuta, dalla prassi e dalla dottrina internazionale, un valido Business Judgment Rule, la sua adozione in azienda pone al riparo gli amministratori da qualsiasi responsabilità in merito agli obblighi di cui all’art. 2086 secondo comma e di cui all’art. 2381 terzo comma e ciò per stessa ammissione dei Giudici Romani.

1.10

L’OCRI

(l’introduzione

è

stata

rinviata

al

settembre 2021) Cosa succede quando tutti i livelli preliminari di allerta falliscono e l’imprenditore supera anche gli indici del Consiglio nazionale dottori commercialisti?

Se l’imprenditore non vuole passare da sfortunato a fraudolento deve fermarsi e recarsi all’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa).

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L’ Ocri nasce col D.lgs. 14/2019. La norma prevede la sua istituzione e apertura entro il 16 agosto 2020 all’interno delle varie camere di commercio (rimandato al 15 febbraio 2021).

A cosa serve? L’imprenditore in crisi, quello che, è bene ricordarlo nuovamente, non ha saputo garantire alla propria azienda gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell’art. 2086 secondo comma, andando oltre gli indici di allerta, presenta all’Ocri un piano di risanamento.

Ora, ancor prima di parlare di come il piano si forma, e di cosa comporta, voglio farti notare un aspetto importantissimo per la posizione stessa dell’imprenditore e che dimostra — contro i detrattori della riforma che pure non mancano — come questa sia stata pensata interamente a favore dell’imprenditore, o meglio a favore di un’imprenditoria sana, ben gestita, sicura per la società.

Pensa sempre all’immagine di un automobile che deve restare in strada sempre efficiente e revisionata.

La nuova normativa sulla riforma della crisi sta entrando sempre più nei nostri studi, ma ad oggi la confusione è ancora tanta in merito alla definizione di imprenditore sfortunato ed imprenditore fraudolento.

Sono due figure completamente diverse e diversa è la loro trattazione sia nella normativa fallimentare che nel codice della crisi d’impresa, infatti oggi nella nostra Legge Fallimentare c’è una linea che separa queste due figure cioè c’è un giorno in cui l’imprenditore sfortunato che non ha commesso reati ma che per vari motivi: ad esempio per il mercato, perchè ha avuto degli insoluti, perché non è riuscito bene a gestire i suoi affari diventa fraudolento.

La prassi normativa chiama tecnicamente questo particolare momento o particolare giorno fumus decotionis cioè quando la decozione dell’azienda sfortunata è diventata di pubblico dominio quindi tutti sono a conoscenza dell’insolvenza dell’imprenditore.

Individuare questo giorno è importante in quanto chi presta denaro all’imprenditore fraudolento (cioè che è decotto) che non si ferma e che continua ancora ad intraprendere affari

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deve stare attento perché in caso di fallimento dell’imprenditore che ha superato il limite del fumus decotionis gli scatta l’art. 67 della L.F. sulla revocatoria fallimentare: cioè in caso di fallimento le somme date all'imprenditore che è diventato fraudolento e poi restituitegli sono soggette a revoca dalla curatela.

Come si individua il fumus decotionis? Fino ad oggi la magistratura ha usato lo z-score di Altman che è un modello di scoring che stabilisce quando l’azienda ha la probabilità di fallire al 95%. E’ un modello di facile applicazione che si basa sui dati presenti in bilancio e se dal calcolo dello zscore l’azienda si trova nella red area vuol dire che l’azienda è decotta.

Questa era la situazione fino all’introduzione del Codice della Crisi d’impresa il quale segna un cambio di passo, infatti il primo obiettivo perseguito dal D. Lgs 14/2019 è stato quello di tutelare l’imprenditore sfortunato, ciò è testimoniato che la parola fallimento non c’è più ed è stata sostituita con liquidazione giudiziale proprio ad evidenziare che non si vuole più segnare a vita l’imprenditore che si è assunto il rischio imprenditoriale e che è stato sfortunato venga anche bollato come fallito dalla società quindi è giusto che lo Stato si sia fatto carico della tutela di questo soggetto, tutelando così indirettamente la libera iniziativa economica d’impresa, principio garantito all’art. 41 dalla nostra Costituzione.

Quindi è giusto far ripartire senza conseguenze l’imprenditore sfortunato che fa impresa senza delinquere a patto che rispetti il secondo comma dell’art. 2086 cioè si doti di un adeguato assetto organizzativo amministrativo e contabile, così il Legislatore gli garantisce la tutela ma l’imprenditore si deve attivare per allontanare quanto più possibile la sfortuna.

Come anticipato precedentemente il Codice della Crisi d’Impresa istituisce all’interno delle Camere di Commercio l’OCRI a cui l’imprenditore deve ricorrere entro tre mesi dal superamento degli indici previsti dall’art. 13 e dell’art. 24 del Codice della Crisi d’impresa; cioè gli indici introdotti dal

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Consiglio Nazionale dei Commercialisti e degli Esperti Contabili6.

In questa fase all’imprenditore che ammette di essere sfortunato e che superati i limiti previsti previsti dagli indici ed entro tre mesi da questo superamento ricorre all’OCRI il Legislatore prevede altre tutele: 1. non può essere condannato penalmente; 2. in caso di liquidazione giudiziale gli vengono tolti i debiti; 3. riapre presto.

Se invece l’imprenditore sfortunato che superando i limiti previsti dagli indici ex art. 13 e 24 nei tre mesi successivi non si adopera ricorrendo all’OCRI e peggio ancora continua ad operare noncurante della stato delle cose diventa automaticamente imprenditore fraudolento e in caso di liquidazione giudiziale viene dichiarata la bancarotta fraudolenta.

E’ chiaro all’imprenditore sfortunato, senza competenze e inadeguato che non ha rispettato l’art. 2086 2° comma non si prospetta la prigione ma se la stessa situazione dovesse capitare ad un amministratore di s.r.l. si applica l’art. 2476 6° comma c.c. anch’esso entrato in vigore il 16 marzo 2019 che lo vede responsabile dei danni causati (quindi dei debiti) alla società, responsabilità che non viene meno neppure se l’amministratore abbia fermato l’attività, il fatto stesso che non si sia adeguato all’art 2086 2° comma lo rende automaticamente responsabile nei confronti della società.

Alla luce di tutto ciò emerge chiaramente che all’interno della crisi d’impresa ci sono due mondi: 1. quello dell’imprenditore sfortunato a cui si applica tutta la normativa 2086 2° comma c.c. e agli amministratori che non si adeguano si applica l’art. 2476 6° comma c.c. che hanno l’obiettivo di far adeguare l’impresa degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili 6https://www.indiciocri.it/?gclid=CjwKCAiAn7L-

BRBbEiwAl9UtkHtWGAR3rAgZNsqIZjlFtO3xbcvPRE7K4TJjS8tHTyk2kI8J5_v_RoCkzAQAvD_BwE piattaforma gratuita creata da me per vedere se l’azienda supera i limiti

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al fine di escludere una responsabilità patrimoniale e personale.

2. quello dell’imprenditore fraudolento (che viene delimitato dall’art. 13 con gli indici generati dall’ordine e l’art. 24).

Ma scendiamo più nel particolare. Come opera l’Ocri. Si forma una commissione che cerca insieme all’imprenditore di attuare un piano di risanamento per ripartire. “Insieme”, è qui davvero una parola chiave perché di questi tre membri uno di fatto lo sceglie lo stesso imprenditore.

Infatti, il primo viene nominato dal Presidente del Tribunale per le Imprese (non dal Tribunale Civile), il secondo dal Presidente della Camera di Commercio, ma il terzo dall’associazione di categoria a cui appartiene il debitore (ad esempio Confindustria o Confcommercio, etc.), e solo dopo aver SENTITO IL DEBITORE. In altri termini l’imprenditore sfortunato indica, e quasi decide, uno dei tre membri così da avere un membro amico a lui più vicino.

Anche questo modo di operare pensa alla tutela dell’imprenditore per le ragioni già dette, e come se non bastasse sempre in questa direzione opera il principio di riservatezza dell’Ocri, poiché l’art. 4 nr. 3 e l’art. 12 nr. 2 della Riforma stabiliscono che il procedimento di risanamento si deve svolgere in modo confidenziale e riservato con l’obbligo di segretezza.

In base a ciò, il soggetto che viene nominato membro dell’OCRI riceve una lettera con l’indicazione soltanto del codice ateco e del volume d’affari dell’azienda, nulla di più, nemmeno la partita IVA e la ragione sociale, e tutto sempre per tutelare l’imprenditore sfortunato; anzi se qualche informazione personale trapela dall’OCRI, l’imprenditore potrà chiedere il risarcimento del danno.

Formata la commissione, l’imprenditore presenta un suo piano di risanamento sulla scorta di un minimo di sua continuità aziendale. E qui entri in gioco tu.

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Chi altri potrebbe aiutare un’azienda in crisi nell’elaborare un piano di risanamento se non un consulente che di quell’azienda è il tutor a pieni poteri. E puoi già comprendere quanto sarà importante la tua attività di assistenza per i tanti imprenditori che dovranno recarsi presso l’Ocri presentando un piano di risanamento. Si tratta di una grande opportunità professionale, sempre a condizione di essere un professionista strategico.

Ma torniamo all’Ocri. Fin’ora abbiamo visto come naturale destinatario di questo organismo l’imprenditore sfortunato inadeguato, ma in realtà l’Ocri si rivolge a tutti gli imprenditori in condizione di crisi, anche quelli fraudolenti, per loro infatti scatta il “ricovero coatto” così come lo chiamo io, cioè se non va l’imprenditore volontariamente all’OCRI ce lo mandano i grandi creditori. Lo prevede il codice della riforma: al superamento di determinati importi di debiti con l’Inps e l’Agenzia delle Entrate, scatta la segnalazione obbligatoria. E poi, al di là della stessa distinzione tra imprenditore sfortunato e fraudolento, in generale, tutte le tipologie d’imprenditori dovranno in futuro affrontare la crisi passando dall’Ocri, anche quelle considerate non fallibili come gli agricoli.

In conclusione, l’Ocri vuole essere “un ospedale” in cui l’azienda, partendo da un minimo di capacità residua di fare reddito possa trovare una via per il risanamento. Questo è un grande passo, se consideri che fino ad oggi l’unica alternativa al fallimento era un concordato preventivo che pure quasi mai risultava efficiente.

Non resta che attendere la sua apertura e prepararsi in quanto professionisti a collaborarci per il bene dei clienti stessi.

VIDEO APPROFONDIMENTI https://www.simonebrancozzi.com/2020/02/10/i mprenditore-sfortunato-e-imprenditorefraudolento/

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CAP II LE CRISI D’IMPRESA: ANALISI E CAUSE

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2.1 LE CRISI D’IMPRESA NEL SISTEMA AZIENDALE MODERNO Da tempo ormai le crisi d’impresa non possono più considerarsi singoli fenomeni sporadici, imputabili all’incapacità del singolo imprenditore, ma sono piuttosto parte integrante del sistema aziendale moderno.

Da cosa dipende questa incredibile evoluzione? Si tratta di un processo iniziato negli anni Settanta, e che possiamo riassumere nei seguenti fenomeni:

1. l’aumento del costo del lavoro con la perdita inevitabile dei vantaggi concorrenziali di un costo del lavoro più basso; 2. i fortissimi aumenti nei prezzi del petrolio e di altre materie prime; 3. la concorrenza di nuove forze commerciali emergenti dotate di lavoro a basso costo e di impianti moderni (Corea, Taiwan, Brasile, India...)

4. la messa in crisi di settori produttivi incapaci di adeguarsi all’evoluzione tecnica del sistema produttivo generale tramite i computer e la robotica, evoluzione che riguarda anche alcune branche della gestione aziendale come il web marketing7, e che porta a un ciclo vitale dei prodotti in commercio molto più breve del passato; 5. il fenomeno dell’ipercompetitività che a seguito di frequenti ed intensi fenomeni di turbolenza ambientale ha modificato l’ambiente esterno in cui opera l’azienda e quest’ultimo come vedremo nelle prossime pagine è un importante punto di riferimento per l’impresa.

Oltre a questi elementi, un altro, se vuoi più indiretto ma non meno importante, è la scarsa mobilità del lavoro con il conseguente rischio di un’eccessiva rigidità produttiva.

7 Si legga L’era del web marketing e la fine delle 4 P al seguente link:

https://www.amazon.it/Connection-economy-Come-diventaremercato/dp/889306149X

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Oggi le crisi d’impresa si dividono soprattutto in due grandi tipi: 1. le “crisi diffuse”, che riguardano interi settori, o parte di essi, a causa del cambiamento generale delle condizioni operative e degli equilibri preesistenti; 2. le “crisi particolari”, che riguardano singole aziende in relazione a specifiche debolezze causate dai turbamenti a dalle variabili ambientali.

In questo quadro generale avviene tra le aziende una sorta di naturale processo di selezione, per cui rimangono in vita solo le aziende più efficienti o innovative, quelle che hanno saputo proteggersi dai rischi quelle capaci di evolvere, mentre imprese più marginali incapaci di evolvere muoiono.

D’altra parte, voler mantenere in vita, ad ogni costo, imprese marginali e inefficienti significherebbe mettere in difficoltà interi comparti economici, che avrebbero invece bisogno, data la loro eccessiva capacità, di un alleggerimento dell’offerta.

Rispetto a queste premesse, la possibilità di risanare un’azienda in crisi dipenderà da tre fattori preliminari: 1. accertare le cause della crisi; 2. individuare gli strumenti idonei per il risanamento della crisi e per i relativi costi; 3. analizzare le possibilità di successo nel risanamento della crisi.

Da questi tre punti capisci che, per realizzare un piano di risanamento, ci serve innanzitutto un’attenta analisi generale. Anzi è interessante notare come da tale analisi risulterà il bisogno di rivedere criticamente l’idea della responsabilità degli imprenditori rispetto a comportamenti colposi e conseguenti reati.

Esistono poi diversi tempi e modi per affrontare una crisi d’impresa.

Alcune aziende intervengono con provvedimenti correttivi in via preventiva così da eliminare i presupposti stessi della crisi, ben prima che si sia manifestato il tipico sintomo della crisi: la perdita economica.

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Questo è tipico di aziende che si sono dotate di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili al di là della disposto giuridico del 2086 2° comma, in quanto PROTEGGERE la propria azienda dovrebbe essere una cosa ovvia oltre che un preciso obbligo di legge finalmente in vigore dal 16 marzo 2019.

In altri casi un’azienda può intervenire sulla crisi quando questa è già in atto con le prime inefficienze, ma non si è ancora manifestata la conseguenza più grave: l’insolvenza. In questo secondo caso bisogna intervenire ripristinando le condizioni di equilibrio economico dell’azienda tramite il già menzionato piano generale di risanamento.

In altri casi, ancora, non basta intervenire sulla singola azienda per risanare la crisi, ma occorre intervenire su più aziende che operano nel medesimo settore, o addirittura, per crisi più diffuse, su tutti i produttori che operano in quel campo. Nascono così più estesi piani settoriali dove le singole aziende accettano limitazioni alle proprie libertà per il bene comune. Queste limitazioni riguardano:

1.

2.

3.

4.

5.

capacità; produttiva; prezzi; costi di promozione e vendita; introduzioni di nuovi prodotti sul mercato;

Infine, in alcuni casi si interviene su aziende nel momento peggiore della crisi, ossia quando sono in stato d’insolvenza e di dissesto. Si tratta degli interventi più difficili, e spesso, purtroppo, come si vedrà anche più avanti, destinati all’insuccesso.

Ma ora soffermiamoci sull’intervento del primo stadio di crisi sulle prime inefficienze, e capiamo quali e quante sono.

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2.1.1 L’INEFFICIENZA COMMERCIALE

La prima è l’inefficienza commerciale. Dipende da una forte sproporzione tra i costi di marketing e i risultati ottenuti. Su questo punto bisogna dire che ad oggi, purtroppo, sono ancora pochi ad usare a pieno le potenzialità del marketing, ancor più del web marketing, e considera come il Coronavirus abbia accelerato il bisogno di digitalizzazione per professionisti e aziende.

Proprio l’area del marketing, invece, concentra spesso le maggiori cause di inefficienza, per giunta difficilmente individuabili.

I casi più frequenti di crisi in questo campo riguardano: 1. campagne condotte con scelte sbagliate sulla differenziazione dei prodotti per generare diversi stimoli all’acquisto; 2. campagne marketing che non raggiungono l’equilibrio tra costi e risultati; 3. campagne marketing condotte con un disegno disordinato; 4. campagne marketing senza web marketing.

2.1.2 L'INEFFICIENZA AMMINISTRATIVA

Segue il settore amministrativo. Qui le inefficienze tipiche sono: 1. eccessi di burocratizzazione con costi sproporzionati rispetto ai risultati; 2. carenze nel sistema informativo a discapito della conduzione tempestiva dell’azienda (spesso per un malinteso spirito di risparmio o per una cattiva impostazione del sistema informativo).

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2.1.3 L'INEFFICIENZA ORGANIZZATIVA Questa inefficienza dipende dalla mancanza di adeguati strumenti per la programmazione a breve o a medio - lungo termine. In questo campo, spesso, ciò che davvero manca è un’adeguata definizione dei compiti e delle responsabilità, dei risultati da conseguire e del collegamento tra risultati e compensi.

Queste carenze si riflettono poi nel lavoro produttivo, in quello degli uffici, nella manutenzione degli impianti, e negli acquisti.

Vi sono due concause alla base di questi fenomeni: 1. debolezza contrattuale dell’azienda; 2. incapacità degli addetti alla funzione finanziaria.

Un’azienda segnata da tali debolezze si troverà in una condizione di inferiorità, rispetto alle altre aziende, nelle condizioni per ottenere credito o per aumentare il proprio capitale, e sarà obbligata a certi tipi di credito più onerosi e a scarso potere contrattuale sulle condizioni dei prestiti.

2.2 LE FASI DELLA CRISI AZIENDALE Quando le inefficienze perdurano e si moltiplicano, ecco che si entra nello sviluppo vero e proprio di una crisi aziendale, e si hanno tre stadi ai quali, per altro, abbiamo già accennato nel capitolo precedente.

Primo stadio: condizioni di squilibrio e d’inefficienza perdurano all’interno dell’azienda causando perdite di varia gravità.

Secondo stadio: le perdite si ripetono Facendo aumentare l’indebitamento e gli interessi passivi fino a portare l’azienda a uno stato d’insolvenza.

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Terzo stadio: segue il dissesto con l’incapacità permanente dell’attivo di fronteggiare il passivo.

Nel primo stadio della crisi si riconoscono poi tre tempi distinti della vita aziendale, ognuno con le sue conseguenti attività necessarie: 1. maturità dell’azienda: attività di prevenzione sulla crisi; 2. declino dell’azienda: attività di previsione della crisi; 3. palesamento della crisi dell’azienda.

Nel secondo stadio il palesamento della crisi si rafforza al punto d’apparire evidente anche a chi è esterno all’azienda (ricorda il momento del fumus decoctionis), e a questo punto occorrono provvedimenti tempestivi per evitare l’insolvenza suddetta.

Per individuare le cause della crisi già nel primo stadio bisogna

fare

attenzione

a

una

serie

di

indizi

che

testimoniano un progressivo depauperamento delle risorse aziendali, ossia: 1. assorbimento delle risorse di bilancio e di quote del capitale; 2. erosione della liquidità; 3. appesantimento dei debiti; 4. riduzione delle risorse destinate a ricerca, marketing o addestramento; 5. impossibilità di distribuire dividendi.

Quando poi esplode l’insolvenza arrivano altri fenomeni negativi:

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1. perdita di fiducia e di credito; 2. sfaldamento della struttura organizzativa; 3. perdita progressiva della clientela.

All’insolvenza può far seguito il dissesto, e a questo punto l’unico modo per fronteggiare la crisi consiste nell’intervento dei creditori che permettano tagli alle loro esposizioni. In tale situazione è possibile intervenire solo con procedure concorsuali.

Da quanto fin qui detto ti sarà ormai chiaro che l’unico vero modo per affrontare la crisi aziendale è intervenire il più tempestivamente possibile individuando e analizzando quanto prima le cause della crisi stessa. Ecco che i concetti di early warning, di allerta precoce, e adeguati assetti ai fini della rilevazione tempestiva, (di cui l’art. 2086 2° comma c.c. e l’art. 14 1° comma del D.Lgs 14/2019) cominciano a trovare i loro presupposti teorici, divenendoti di conseguenza anche più chiari.

Tornando alle cause, queste possono essere di natura soggettiva, legate spesso ai membri del management aziendale: l’imprenditore, i detentori del capitale, gli addetti alla produzione o all’organizzazione e alla vendita.

Ma come ho già chiarito all’inizio di questo capitolo, la crisi d’impresa è oggi un fenomeno assai complesso, fisiologico e spesso più determinato da cause esterne, generali, che dalla responsabilità dei singoli.

Pensa ad esempio alla diminuzione globale di un prodotto o di una categoria di generi.

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Per questo è più opportuno seguire un approccio che sia soprattutto il più obiettivo possibile nell’analisi e nella descrizione delle cause della crisi. È proprio questo approccio a farci riconoscere cinque tipi di crisi, che poi quasi sempre si combinano fra di loro.

Di seguito: 1. crisi da inefficienza; 2. crisi da sovracapacità – rigidità; 3. crisi da decadimento dei prodotti; 4. crisi da carenza di programmazione – innovazione; 5. crisi da squilibrio funzionale – patrimoniale.

2.3 LA CRISI DA INEFFICIENZA

La crisi da inefficienza riguarda i costi di produzione quando questi risultano superiori rispetto alla media del settore, o comunque rispetto alle migliori aziende concorrenti. Le cause di questo tipo di crisi possono essere le più svariate, ad esempio l’utilizzo di tecnologie non aggiornate o l’infelice dislocazione degli impianti o molto più spesso un numero di collaboratori sproporzionato rispetto al volume di Margine per addetto.

Ci sono due modi per accertare la crisi dell’inefficienza: 1. confrontare il costo industriale calcolato (escludendo i costi commerciali, amministrativi e finanziari) di ogni prodotto con quello delle principali società concorrenti, e i dati ottenuti vanno messi in relazione al grado di sfruttamento della capacità produttiva; 2. confrontare gli indici di efficienza ( es. il R.O.I.) confrontando tra aziende i dati di rendimento dei

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principali fattori produttivi, ad esempio indici sulla velocità produttiva delle singole macchine o d’impianti complessi, oppure l’energia consumata per unità di prodotto o analizzare gli andamenti del R.O.I. (Return On Investment: Reddito operativo/Capitale investito) presenti, passati e futuri.

Tuttavia, quando non avremo dati precisi dovremo fare riferimento a questi dati: A. valore della produzione pro capite nell’unità di tempo; B. validità e modernità degli impianti; C. kow know tecnologico; D. sfruttamento della capacità produttiva; E. abilità e impegno del personale.

2.4 LA CRISI DA SOVRACAPACITÀ

Le crisi di sovraccapacità dipendono da: 1. una duratura riduzione del volume di domanda per l’azienda con conseguenti perdite di quote di mercato; sviluppo di ricavi inferiori alle attese rispetto a investimenti fissi pensati per maggiori dimensioni; 2. aumenti di costi non controbilanciati da variazioni dei prezzi soggetti a controlli pubblici; Può esservi poi una sovraccapacità a livello di settore.

Questa può a sua volta essere causata da: 1. ricerche di economia di scala o accrescimento nel tempo delle dimensioni minime efficienti, cioè delle dimensioni al di sotto delle quali i costi di produzione non sono concorrenziali; 2. caduta della domanda globale per il cambiamento di gusti dei consumatori di un paese a causa di nuove correnti di importazione;

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3. errori di previsione della domanda; esistenza di elevate barriere all’uscita, ossia incapacità di abbandonare un dato settore senza subire rilevanti perdite; 4. politiche manageriali legate più alla produzione che al mercato e alla qualità ed alla creazione di valore.

Sulla riduzione della domanda globale, ti faccio notare che le aziende più forti reagiscono accrescendo la propria quota di mercato, e questo per le aziende più deboli vuol dire riduzione della propria quota di mercato insieme alla riduzione della domanda globale.

In una condizione simile, se un’azienda non riesce ad adeguare in modo repentino i propri costi al mutato livello dei ricavi non può che ritrovarsi in una pesante condizione di crisi.

I principali costi da adattare sono i costi fissi e i costi della manodopera. Ricorda poi che i costi si dividono in due grandi categorie: 1. i costi derivati dalle immobilizzazioni tecniche; 2. i costi della “struttura aziendale” (costi della direzione generale, dell’apparato societario...).

I costi degli impianti rientrano nei costi fissi.

C’è un solo modo per adattare tali costi in modo da fronteggiare la domanda: ricorrere a produzioni alternative deve puntare sul margine e sul valore creato piuttosto che sulla quantità: “o di distingui o ti estingui”.

Ma non sempre questo è possibile, magari per l’alto grado di specializzazione degli impianti, e allora nessun processo di adattamento è realizzabile in breve termine, mentre nel medio – lungo termine si potrà eliminare una parte degli impianti perdendo, però, gran parte dei costi d’investimento sostenuti.

In realtà, alcuni costi di struttura possono essere semplificati. Pensa ad alcuni uffici divenuti sovrabbondanti a seguito della riduzione del volume delle attività (ad esempio gli uffici di controllo della rete vendita).

Dovrebbe essere chiaro, fin qui, come i costi degli impianti e della struttura non consentano significativi interventi di

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correzione, e ciò rende più rischiosa la suddetta caduta della domanda generale per le aziende basate maggiormente proprio su questi costi, e con consequenziali rischi crescenti da sovraccapacità, come visto.

L’adattamento dei costi per la diminuzione dell’attività produttiva diventa poi anche più complesso in riferimento alla manodopera e, in generale, al personale.

In questo caso, infatti, ecco che subentrano fattori sociali e politici. Ti basti ricordare come nel nostro Paese sia costante, complessa e ricca di turbamenti, la trattativa con le organizzazioni sindacali, e spesso segnata solo dal compromesso. Così, adattare i costi della manodopera e del personale finisce per portare a provvedimenti che sono: ● 1) parziali, 2) temporanei, 3) non immediati, 4) onerosi, 5) con varie contropartite a carico dell’azienda 6) e segnati dall’assunzione di impegni da parte di altri soggetti.

Spesso però la sovraccapacità non riguarda un intero settore, ma una singola impresa che perde quote di mercato, e allora si deve procedere rapidamente ad un adattamento dei costi con dolorose riduzioni dell’occupazione; ancor più dolorose perché il settore dell’azienda in crisi non è, invece, tale.

Esiste poi un tipo di crisi da rigidità legata a ricavi che risultano inferiori rispetto alle attese, specie rispetto a investimenti precostituiti per maggiori dimensioni. In particolare succede: 1. il mancato o insufficiente aumento delle quote di mercato rispetto alle attese in previsione di un aumento della domanda globale; 2. l’errata previsione di sviluppo della domanda globale a parità di quote di mercato; 3. il tentato perseguimento di politiche di mercato aggressive per migliorare in breve tempo le proprie quote di mercato.

Un ultimo tipo di crisi da rigidità riguarda l’aumento dei costi senza che questo sia controbilanciato da corrispondenti

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variazioni dei prezzi soggetti al controllo pubblico. Specie nei periodi di inflazione, con costi velocemente al rialzo e prezzi lenti nell’adattamento, questo tipo di crisi è tipico.

La rigidità sta quindi nel modo in cui avviene l’adattamento dei prezzi, specie a causa di difficoltà burocratiche e ostacoli politici.

2.5

LA

CRISI

DA

DECADIMENTO

DEI

PRODOTTI

Questo tipo di crisi si ha quando i margini positivi tra prezzi e costi decadono al disotto del livello minimo necessario per coprire costi fissi o comuni non imputati al prodotto.

Quando i margini positivi decadono così, subito compaiono squilibri e poi perdite. Allora bisogna misurare e capire la redditività di un prodotto, e per farlo bisogna considerare due elementi: margine lordo e margine di contribuzione.

Il margine lordo si definisce calcolando il costo di un prodotto, ma escludendo costi comuni che non sono agevolmente imputabili al singolo prodotto, ad esempio costi amministrativi, commerciali e finanziari, oppure costi industriali che possono o meno essere inseriti nel calcolo, e quando sono inseriti si parla di margine lordo industriale.

Il margine di contribuzione riguarda un tipo di costo che esclude i costi fissi.

Le crisi di decadimento di prodotti vanno misurate confrontando il prezzo con il costo medio per l’intero settore, se i prezzi di vendita praticati dalle aziende non sono sostanzialmente differenti.

Invece, se i prezzi sono differenti bisogna fare un confronto tra prezzi medi e costi medi esprimendo così l’andamento della redditività per l’intero settore in riferimento a un dato prodotto.

Poi, le differenze tra il costo medio per un’azienda e il costo medio dei settori rispecchiano fasi positive e negative di un ciclo congiunturale con periodi di margini larghi o ristretti.

Nelle fasi negative i margini si erodono e si hanno delle perdite che possono essere tali da superare la capacità di resistenza di un’impresa, e quando si supera tale capacità

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ecco che si apre una situazione di insolvenza e dissesto.

Inoltre, il regresso dei margini avviene di solito quando un dato prodotto è maturo e, ancor peggio, con un prodotto ormai in decadenza i margini diventano insufficienti o del tutto negativi.

I margini comunque variano anche a causa dell’affermazione di nuove correnti d’importazione. Infatti, il decadimento dei prodotti può anche dipendere proprio da nuove e massicce correnti d’importazione dove gli esportatori hanno vari vantaggi nell’approvvigionamento di determinati fattori produttivi, e pensa all’impiego di manodopera a basso prezzo, oppure all’uso di materie prime largamente disponibili in loco.

La dinamica dei margini, comunque, risente di svariati fattori, in particolare: 1. il portafoglio prodotti in tutta la sua complessità; 2. i margini a livello delle varie marche per uno stesso prodotto.

Rispetto a questi elementi risulta utile essere un’azienda “pluri-prodotto”, e in particolare con prodotti destinati a mercati diversi. Infatti, risulta praticamente impossibile che fluttuazioni negative dei margini si producano contemporaneamente su più prodotti così diversificati.

Al contrario risulterà molto rischioso essere un’azienda “mono-prodotto”, pur potendo distribuire quell’unico prodotto su mercati geograficamente distinti.

In generale, dunque, al di là del numero di prodotti, differenziare i mercati risulta sempre una buona strategia per limitare i rischi di crisi.

Ma non bisogna pensare che i prodotti aziendali siano tutti omogenei: stessi prodotti venduti da tutte le aziende a gli stessi prezzi. Le marche differenziano gli stessi prodotti, e soprattutto nei prezzi. Ci sono marche che producono un maggior margine, altre un margine inferiore, e quelle che producono un margine superiore sono più pregiate.

Ovviamente, marche pregiate hanno costruito col tempo il proprio prestigio, la propria rinomanza.

73

2.6

LA

CRISI

DA

CARENZE

DI

PROGRAMMAZIONE E D’INNOVAZIONE In merito al ciclo di vita del prodotto sono note le fasi: introduzione, crescita, maturità e declino; nella fase dell’introduzione l’azienda fattura poco e guadagna poco nella fase della maturità fattura molto e guadagna molto, se in ogni caso l’azienda si presenta sana, dove per sana intendo abbia un ROI positivo, non ha debiti quindi vedendo il bilancio l’azienda non si direbbe in crisi ma in realtà non è così perchè ha un portafoglio prodotti decadente perché non ha fatto innovazione, non ha fatto formazione, come fare per generare continuità aziendale in un’azienda che si trova in questa situazione?

Prima che ancora i suoi prodotti arrivino nella fase di decadenza deve introdurre un nuovo prodotto che sosterrà il fatturato quando gli altri prodotti sono nella fase di declino.

Le aziende spesso, e purtroppo, operano guardando solo all’immediato, a risultati da conseguire a breve termine, mentre trascurano di costruire le condizioni migliori per il futuro: da tale atteggiamento deriva progressivamente un peggioramento del reddito.

Ciò che manca ad aziende che operano così è, sostanzialmente, la capacità di fissare obiettivi precisi nella

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propria azione, oltre che verificare se i mezzi a disposizione siano o meno compatibili con gli obiettivi stessi.

Ma quando mancano chiari e perseguibili obiettivi anche i rapporti dell’azienda col personale e col management si deteriorano. E questo perché? Semplicemente perché management e collaboratori aziendali operano con scarso impegno, poca partecipazione e soprattutto nessuna speranza di ottenere vantaggi, ossia c’è un clima aziendale negativo; ecco uno degli elementi qualitativi e strategici che abbiamo visto in precedenza, e che se trascurato, porta alla creazione di fattori di crisi.

Un altro importantissimo fattore di crisi è la carenza, o completa mancanza, di innovazione. Innovazione vuol dire in primis nuove idee. Sono le nuove idee che fanno poi trovare nuovi mercati, nuovi prodotti, nuovi metodi produttivi e così via.

Nelle aziende di piccole dimensioni l’innovazione coincide del tutto con le capacità del singolo imprenditore. Invece, nelle aziende più grandi le nuove idee si associano ad una più strutturata attività di ricerca: ricerca su prodotti, mercati, mezzi di produzione. Una ricerca insoddisfacente produrrà sempre, anche se magari non nell’immediato, esiti disastrosi per l’azienda.

Ed ecco troviamo il secondo elemento qualitativo e strategico, e in realtà l’innovazione include anche la formazione, perché di certo non può esserci alcuna innovazione se prima non vi è adeguata formazione, e un’azienda priva di innovazione nei suoi prodotti, e ancor prima nei suoi processi interni, a sua volta non compie formazione. Si tratta di un rapporto circolare inscindibile.

2.7 LA CRISI DA SQUILIBRIO FINANZIARIO PATRIMONIALE Lo squilibrio finanziario patrimoniale in un’azienda dipende da: 1. grave carenza di mezzi propri, a titolo di capitale, e corrispondente netta prevalenza di debiti dei terzi;

75

2. netta prevalenza dei debiti a breve termine rispetto ad altre categorie di indebitamento; 3. squilibri tra investimenti duraturi e mezzi finanziari stabilmente disponibili; 4. insufficienza o inesistenza di riserve di liquidità; 5. scarsa o nulla capacità dell’azienda di contrattare le condizioni di credito; 6. difficoltà nel rispettare le scadenze con conseguenti ritardi di alcune categorie di pagamenti (fornitori, retribuzioni dei dipendenti).

Da questi elementi dipendono oneri finanziari che si ripercuotono sulle aziende in crisi con ovvie perdite economiche. Tali perdite in fasi di congiuntura favorevole vogliono dire per l’azienda squilibrata riuscire a malapena a mantenere il pareggio, mentre in casi di congiuntura negativa portano alla crisi.

Quando lo squilibrio finanziario patrimoniale si traduce, dunque, in crisi i rimedi sono praticamente assenti.

Infatti, l’azienda in crisi non riesce a ottenere dal mercato mezzi a titolo di capitale, e nemmeno titoli a credito; e intanto se le perdite continuano non restano che i dissesti e l’insolvenza.

Ma in realtà, a ben vedere e rispetto a quanto fin qui detto, gli squilibri finanziari di un’azienda più che essere causa della crisi sono l’esteriorizzazione di un male che già da tempo affligge l’azienda sono degli acceleratori della crisi.

Certo, dare la responsabilità della crisi a squilibri finanziari è comodo: la colpa è degli altri, dei mercati finanziari come delle banche. Si resta ciechi invece alle cause precedenti e più profonde della crisi, in primis quelle che abbiamo già visto più volte: innovazione, formazione e clima aziendale: cioè gli indizi di crisi.

Lo squilibrio finanziario porta poi a un altro squilibrio, quello patrimoniale, ossia la scarsità per l’azienda di mezzi propri con un forte indebitamento consequenziale; e ciò implica avere poche risorse da opporre quando si verificano delle perdite, al contrario di un’azienda dotata di ampio capitale che, in caso di perdite, può assorbirle con maggiore disinvoltura senza compromettere l’equilibrio tra attività e passività e attivando, intanto, le necessarie azioni di correzione e recupero.

76

2.8 I FATTORI DI CRISI Le crisi aziendali non dipendono mai da una sola causa, ma piuttosto dal concatenarsi di più cause diverse, ed è per questo che risulta più corretto parlare di “fattori di crisi” operanti in modo contemporaneo, e non di singoli tipi di crisi provocati da cause specifiche.

Fattori, dunque, che agiscono contemporaneamente, sebbene si possano pure dividere in fattori di prima e seconda linea secondo la loro successione nel tempo.

Fattori di prima linea sono: carenze di programmazione e innovazione, inefficienze. Mentre fattori di seconda linea sono: rigidità e squilibri finanziari.

Tutti questi fattori interagiscono tra di loro o determinano rapporti di causa ed effetto. Alcuni di questi fattori possono essere quantificati, ossia è possibile stabilire l’entità del loro concorso alle perdite, per altri è più difficile.

In particolare, uno dei fattori di crisi più quantificabile è il decadimento dei prodotti considerando la riduzione dei margini rispetto a una data situazione di partenza. Anche il fattore rigidità può essere quantificato dando delle misurazioni, ma questo caso risulta più complesso del precedente, perché è segnato da elevati coefficienti di opinabilità, e si fonda su un confronto tra il livello di costo unitario dei prodotti, nel caso di pieno sfruttamento delle capacità produttive, con livelli diversi di costo unitario diverso, spesso parziali.

2.8.1 FATTORI DI CRISI EXTRA AZIENDALI Un tipico elemento di crisi extra aziendale è il passaggio generazionale. Ne abbiamo già parlato. Approfondiamolo. A un certo punto della vita aziendale, l’imprenditore di prima generazione cede il passo ai familiari, di solito i figli, anche per un ammodernamento dei tempi. In questo passaggio l’imprenditore fondatore spera che ci sia anche un passaggio di tutte quelle capacità uniche che lo hanno caratterizzato — ricorderai gli spirit animals — così da garantire il prosieguo dell’impresa familiare. Ma questo purtroppo, spesso, non accade. Anzi, ad essere precisi, solo il 30% delle imprese familiari sopravvive al passaggio alla seconda

77

generazione, e solo il 15% passa alla terza e solo il 4% resiste e passa alla quarta Bisogna saper gestire il passaggio generazionale con scelte preventive che vadano a preservare il patrimonio materiale e immateriale dell’impresa familiare.

Ma torniamo a questo impalpabile ma fondamentale fattore di crisi. In un’azienda familiare, ancor prima del passaggio generazionale non mancano conflitti, ossia liti, tensioni, incomprensioni, il tutto in un inestricabile groviglio tra famiglia e impresa. Senza dimenticare, poi, i possibili “favoritismi” a favore di familiari rispetto ai singoli dipendenti che, di conseguenza, saranno indotti ad impegnarsi sempre meno fino anche a un possibile abbandono dell’azienda.

Bisogna tener presente tutto questo quando in un’impresa familiare si definisce l’assetto societario e le clausole degli statuti, così da poter prevedere, prevenire e comunque gestire “i certi” dissidi familiari che si avranno in futuro. Anche uno statuto appropriato alla specifica situazione fa parte di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile.

78

CAP III PREVENZIONE DELLE CRISI D’IMPRESA

79

3.1LA PREVENZIONE DEI FATTORI PRIMARI DI CRISI La prevenzione deve partire dall’intervento su fattori primari che sono: carenze di programmazione e innovazione, inefficienze e decadimento dei prodotti e il peggioramento del clima aziendale. Per intervenire su questi elementi bisogna considerare in particolare: 1. le influenze del progresso tecnologico sul settore dell’azienda; 2. la capacità dell’azienda di adeguare il proprio sistema a queste influenze.

3. l’incapacità dell’azienda di misurare e migliorare il clima aziendale in azienda.

3.2INCIDENZA

DEL

PROGRESSO

TECNOLOGICO

SULLE MODIFICAZIONI SETTORIALI Siamo certi che il progresso tecnologico non avrà mai un punto d’arresto, ma continuerà sempre ad aumentare la sua incidenza nella vita quotidiana. Questo influisce sulla politica strategica di ogni azienda con effetti che possiamo riassumere in questi punti principali di analisi e riflessione.

1. L’aumento della concorrenza fra aree geografiche lontane, ma ormai non più di ostacolo grazie a un trasporto dei prodotti sempre più economico e veloce insieme allo sviluppo di nuovi metodi di trattamento delle merci, nonché nuove tecniche di trasporto; in particolare internet stesso diventerà sempre più un “mezzo di trasporto” per merci digitali scaricate in un attimo senza più alcun bisogno di spostamento fisico.

2. Le nuove forme di concorrenza, specialmente da parte di quei prodotti che in passato non erano competitivi a causa del loro rendimento o del costo.

80

3.

4.

5.

6.

7.

Un esempio viene dall’industria cartiera che, grazie alle ricerche chimiche8, oggi concorre nel settore tessile producendo non solo fazzoletti usa e getta, ma anche tappeti e tappezzerie per auto con una materia ibrida tra carta e tessuto: la carta tessile. Per altro, il progresso tecnologico finisce per distruggere prodotti o servizi già esistenti. Pensa al web che ha ormai modificato da anni il mercato editoriale rendendo inutili giornali cartacei o la televisione, così come ha reso inutili i viaggi d’affari, sostituiti sempre di più da chat, webinar e tecnologia VoIP per telefonare; Le nuove opportunità commerciali che il progresso tecnologico offre sono pressoché infinite. Le aziende non dovranno più limitare le proprie attività a certe zone geografiche e a certi settori industriali. A condizione, però, per le aziende d’essere disponibili ad accogliere le innovazioni investendo sempre di più non solo nel brand, ma anche e soprattutto nel digital brand; L’obsolescenza tecnologica di molti prodotti diventerà più breve rispetto ad oggi. E già oggi nel mondo digitale un dispositivo come un pc, un tablet o uno smartphone, risulta vecchio pochi mesi dopo l’acquisto, tanto che in questo mercato si forma una nuova generazione di prodotti ogni anno.

L’aumento dei costi per le attività di ricerca, dovuto al sempre maggiore sviluppo tecnologico, richiederà tempi di progettazione più lunghi e maggiori costi. Nonostante ciò, un’azienda può raggiungere risultati soddisfacenti solo con un impegno nella ricerca costante e prolungato.

La diminuzione dei costi per prodotti e servizi è già oggi possibile grazie alle nuove procedure commerciali e a una diversa politica dei prezzi.

Questo, per esempio, è accaduto con la diffusione delle compagnie di telefonia mobile e il conseguente abbattimento delle tariffe dei gestori di telefonia fissa.

Il progresso tecnologico di materiali, servizi, attrezzature di collaudo e processi di produzione richiederà innovazioni in altri settori congiunti con enormi opportunità. Vediamo un esempio: nella metà del Ventesimo secolo il programma spaziale della N.A.S.A

8 Altri esempi di ricerche simili sono quelle nel campo dell’abbigliamento per la

produzione di capi integrati con componenti digitali. In pratica presto indosseremo il nostro “notebook”.

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ha richiesto un enorme movimento e manipolazione di componenti missilistici, eppure le industrie che fornivano mezzi di trasporto non hanno voluto affrontare questioni logistiche connesse al trasporto stesso perdendo innumerevoli possibilità colte da altre imprese, e tutto per semplice “pigrizia” nel rifiutarsi di affrontare i problemi tecnici di quello che era allora un nuovissimo settore; 8. L’assenza di sviluppo tecnologico in varie imprese le porterà, semplicemente, a sparire rispetto ai prodotti tecnicamente superiori dei competitors.

9. L’occupazione sembrerebbe apparentemente risentire dello sviluppo tecnologico. In realtà, nessuna automazione ha mai fatto sparire realmente posti di lavoro, semplicemente alcune professioni sono state sostituite da altre che hanno creato nuova occupazione in altri settori e sedi. In quest’ottica, anzi, le preoccupazioni occupazionali dei sindacati saranno superate dal problema di assicurare una programmazione sempre tecnologicamente all’avanguardia.

10.

I l ruolo dei governi nello sviluppo tecnologico resterà fondamentale anche in futuro. Basti considerare che già oggi i progetti tecnologici stanno diventando così complessi e costosi da richiedere persino la programmazione e il finanziamento di più governi. Di conseguenza gli operatori devono continuare a prestare piena attenzione alle decisioni degli enti governativi sulla tecnologia; 11.

I fattori di rischio e fallimento saranno più elevati in futuro, e i vertici aziendali dovranno essere preparati in questa prospettiva9.

9 Nota come l’attuale sistema di retribuzione dei dirigenti aziendali, basato sugli

utili dell’anno precedente, non incoraggia progetti dai frutti sul lungo periodo come succede per le opportunità tecnologiche.

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Tutti questi cambiamenti provocheranno inevitabilmente anche dei cambiamenti socio-politici che impatteranno anche sul clima aziendale. Tutti questi elementi sono portatori di cambiamenti che ogni azienda deve saper captare rispetto al settore in cui opera. Solo successivamente potranno essere approntati tutti gli interventi necessari affinché l’azienda sia pronta ad operare nella nuova realtà.

3.3COME

L’AZIENDA

PUÒ

ANTICIPARE

LE

MODIFICAZIONI DEL PROPRIO SETTORE Ti apparirà chiaro ormai come ogni azienda sia costretta ad operare in un ambiente fatto di modifiche improvvise e consistenti, modifiche che richiedono di essere percepite con sufficiente anticipo così da potersi preparare ad affrontarle.

Bisogna quindi pensare ad una strategia secondo questi step: 1. interpretazione dell’ambiente futuro nelle sue variazioni più attendibili; 2. esame di coerenza con il quadro ambientale futuro; 3. ricerca delle idee su cui fondare l’azione pluriennale dell’azienda; Nell’elaborare tale strategia può risultare utile non affidarsi esclusivamente al vertice aziendale, ma coinvolgere anche i quadri organizzativi impegnati nei vari settori dell’azienda. In tal modo la strategia potrà fondersi su un quadro previsionale più ampio.

L’analisi di scenario è la tecnica che consente di elaborare un ampio quadro previsionale necessario alla 10 programmazione strategica . Oggi si è compreso come nell’elaborazione di un’analisi di scenario non basta avere a disposizione una grande quantità di dati, ma è molto più importante la qualità dei dati stessi, ossia quanto questi dati siano effettivamente legati al corso futuro degli eventi.

10 Si veda D’Anna Roberto, La costruzione di scenari di medio e lungo termine

nella programmazione Produzione”, n.1 1987.

strategica

83

d’impresa,

in

“Finanza,

Marketing

e

Un’analisi di scenario definisce un insieme unitario nel quale le trasformazioni, rispetto al contesto attuale, dipendono da vari fenomeni studiati nel loro rapporto di interdipendenza. Infatti ogni evento è sempre legato ad una concatenazione di cause fra loro interdipendenti, e che si verificano o contemporaneamente o in successione in un certo lasso di tempo.

Lo scenario è composto poi da componenti ambientali che potrebbero influire sulle azioni compiute dall’azienda nel periodo di realizzazione del programma strategico. Ciò implica che l’analisi di scenario si unisce alla pianificazione strategica determinando una procedura complessa che vedremo meglio più avanti.

L’analisi di scenario richiede per prima cosa di individuare i subambienti critici che compongono lo scenario stesso. Per individuarli devi dividere l’intero contesto ambientale in più parti distinte ma sempre interdipendenti.

Fatto questo, dovrai domandarti quali saranno gli andamenti futuri dei singoli elementi che caratterizzano i subambienti, e ci sono delle tecniche estrapolative per definire la configurazione degli elementi suddetti.

Potrai così costruire un modello astratto in cui le previsioni si manifestano senza l’interferenza di fenomeni contingenti. In altre parole, si proiettano nel futuro gli stessi meccanismi del passato.

Successivamente, per ogni sub ambiente dovrai invece stimare anche le variazioni dei loro elementi caratterizzanti nell’ipotesi di alterazione dei trends passati. Queste variazioni dovranno essere considerate prima sui singoli elementi, e poi composte fra loro per formare insiemi omogenei di modifiche compatibili a vicenda.

Nel fare simili analisi dovrai usare diverse tecniche, che almeno in parte vedremo, avvalendoti anche di esperti, per

84

cogliere nei dati cambiamenti.

in

possesso

indizi

su

determinati

3.3.1.3 GLI ELEMENTI CRITICI DELLO SCENARIO Dell’analisi di scenario parlerò diffusamente nel quinto capitolo al paragrafo 2.

3.3.1.4 LO SCENARIO TEAM Dobbiamo ora soffermarci su: 1. Gli elementi critici dello scenario, che implica la stima degli elementi critici dei sub-ambienti. In sostanza si tratta di configurare eventi, ossia fatti predeterminati, che derivano dall’osservazione diretta di fatti concreti, e non dall’interpretazione indiretta di sintomi e circostanze, che innescando relazioni di causa – effetto modificano talune componenti essenziali del quadro ambientale.

2. La valutazione soggettiva dello scenario: dall’osservazione di fatti concreti si costruisce uno scenario; ecco che la sua plausibilità dipende dalla natura (e quindi qualità) degli eventi concatenati che lo compongono. Questo modus operandi conferisce allo scenario un carattere prettamente soggettivo, perchè ogni esperto può costruire uno scenario diverso a seconda delle variabili che ritiene più o meno significative in quel quadro ambientale. Si ottengono, così più stime probabilistiche, tutte soggettive, che non possono coincidere, ma combinandole ecco che si giunge a un quadro complessivo degli eventi interrelati. E per questo si deve ricorrere a più esperti.

3. La valutazione oggettiva dello scenario: nella costruzione di scenario l'eccesso di valutazione soggettiva potrebbe essere un elemento di criticità ecco che la cross impact analysis permette di ottenere delle stime oggettive sulla misurazione delle probabilità di avveramento. In sostanza si vanno ad intrecciare ed incrociare gli eventi per cui la probabilità di un evento

85

dipende dalla probabilità dell’evento immediatamente precedente, costruendo così, una catena da cui dipenderanno dalle probabilità di avveramento dell’intero scenario considerato.

4. Lo scenario team: Può risultare utile costituire dei veri e propri “scenario teams”, ossia gruppi formati da personale sia interno che esterno all’azienda. Ciò sarà possibile solo grazie ad una certa apertura dell’alta direzione aziendale senza che questa si chiuda nella difesa delle proprie prerogative di leadership strategica.

3.4

LE

FASI

ESSENZIALI

DEL

PROGRAMMA

STRATEGICO

Il programma strategico serve a costruire scenari di medio e lungo periodo e si articola nelle seguenti fasi: 1. scelta dell’intervallo temporale della strategia a cui riferire i vari scenari alternativi a base della programmazione; 2. analisi delle attuali potenzialità interne all’impresa rispetto a opportunità esterne e valutazione dei possibili pericoli; 3. determinazione dei segmenti dell’ambiente che interagiscono con l’azione dell’impresa; 4. studio dei trends passati ed attuali; 5. studio dei soggetti economici inseriti nei subambienti con cui l’azienda ha frequenti contatti; 6. costruzione del futuro senza imprevisti dopo le inferenze condotte dai dati raccolti nelle fasi precedenti; 7. organizzazione dello scenario team; 8. valutazione delle probabili rotture dei trends; 9. definizione di omogenee catene di variazioni di futuro considerando le rotture profilabili e definendo scenari alternativi.

10. a ttribuzione della probabilità di accadimento ai fatti e stima della plausibilità degli scenari alternativi;

86

11. a nalisi delle capacità reattive dell’impresa in ciascuno degli scenari costituiti con relativo grado di successo o insuccesso della sua azione rispetto ai diversi scenari; 12. s celta di uno scenario base in rapporto alla sua plausibilità e alla possibilità di selezionare le strategie più efficaci; 13. s celta della strategia più vantaggiosa per lo scenario di base scelto; 14. i mpostazione ed attuazione dei programmi operativi per realizzare la strategia scelta; 15. v erifica costante della realizzabilità dello scenario base e dello scenario base.

3.4.1

LA RELAZIONE FRA STRATEGIA E SCENARIO

BASE La strategia scelta ti potrebbe richiedere una specie di riassestamento per uno sviluppo della situazione ambientale diverso da quanto previsto.

Tale riassestamento è facile da compiersi se la strategia si collega bene a uno scenario di base.

Infatti, lo scenario base nasce a sua volta, come abbiamo visto da catene di eventi correlati fra loro, e quindi se non si realizza un certo evento si rivedono anche le previsioni degli eventi successivi per poi modificare la strategia con grande anticipo. Fai attenzione, però, perché spesso si rende necessario realizzare più scenari base ognuno con una sua strategia.

La modifica di una strategia, realizzata con la tecnica degli scenari su vista, è una componente essenziale nell’attività di un’impresa perché permette di modificare più rapidamente le azioni stesse dell’azienda.

Invece, una strategia basata su eventi concretamente verificatisi tende a essere modificata con un pericoloso ritardo per la salvezza dell’azienda, almeno rispetto al suo bisogno di “giocare d’anticipo” per prevenire carenze

87

d’innovazione, inefficienze e decadimento dei propri prodotti, ossia tutte quelle situazioni che portano infine alla CRISI aziendale.

3.5

LA

PREVENZIONE

DELLE

INEFFICIENZE:

IL

CONTROLLO L’efficienza è il rapporto tra fattori produttivi usati e produzione realizzata. In questo rapporto le inefficienze derivano da carenze di programmazione, ad esempio in un’azienda in cui non si percepiscono e accolgono le innovazioni tecnologiche restando indietro rispetto la concorrenza. Altre volte, le inefficienze si annidano nel normale svolgimento delle attività.

Per estirparle ti occorre un adeguato controllo di gestione definito come: «il processo mediante il quale la direzione si assicura che le risorse vengano efficacemente ed efficientemente acquisite ed impiegate nella realizzazione degli obiettivi industriali»11.

Per condurre tale controllo non si debbono usare solo strumenti contabili bilancistici ma occorre mixare anche strumenti di controllo qualitativo. Un sistema di controllo adeguato deve prevedere: 1. Analisi dei fattori critici di successo; 2. La mappa strategica; 3. La Balanced Scorecard; 4. Contabilità generale e bilancio di esercizio; 5. Contabilità analitica o industriale; 5.1 il margine di contribuzione;

11 Brusca Luigi e Dessani Flavio, Budget e controllo di gestione, Giuffrè, Milano,

1983, pp. 49-50.

88

5.2 il break even point; 6. Il budget.

3.6 COME EVITARE LA CRISI NELLE FASI DI DECLINO DELLA DOMANDA DI UN SETTORE

3.6.1 IL DECLINO DI UN SETTORE Siamo arrivati a un punto critico. Di fronte al declino di un certo settore produttivo ogni azienda si trova a dover capire che fare come se si trovasse in una finale di partita, ossia se vendere, ritirarsi o investire rispetto a una strategia di difesa adatta alla difficile situazione. Ora, per capire come intervenire dobbiamo innanzitutto capire come si configura un settore in declino.

3.6.1.1 LE CONDIZIONI SETTORE IN DECLINO

STRUTTURALI

DI

UN

Un settore entra in declino perché cala la domanda ad esso collegato. Questo calo dipende da diversi fattori che possiamo così elencare:

1. progressi tecnologici che determinano nuovi prodotti sostitutivi più economici e di qualità superiore; 2. il gruppo di clienti si riduce; 3. cambiano gli stili di vita con nuovi bisogni e gusti; 4. si innalza troppo il costo di prodotti complementari o di fattori di produzione propri di quel settore;

Ora, rispetto al calo della domanda, un’azienda può avere delle percezioni diverse credendo o che la domanda

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riprenderà, oppure che continuerà a calare. In base alla diversa percezione cambia ovviamente la politica aziendale.

A sua volta, questa percezione è influenzata dalla posizione che l’azienda occupa nel settore in declino e da quanto sia difficoltosa la sua uscita. In altri termini più è importante il ruolo dell’azienda, più è difficile per lei uscire dal settore in declino.

Ma non basta, perché il declino di un settore risente della velocità stessa del declino in base al modo in cui le aziende ritraggono la loro capacità produttiva, specie per le imprese industriali, a volte anche con abbandoni precoci che assottigliano il volume delle vendite con un aumento dei costi e dei prezzi.

3.6.1.2 I PRODOTTI DI QUALITÀ

Ma ricorda anche che il declino di un settore non è mai totale perché si creano sempre delle sacche di resistenza della domanda che riguardano prodotti di qualità superiore o componenti di ricambio.

Queste sacche favoriscono i concorrenti che rimangono in lizza. Infatti, ad esempio, la domanda di alcuni prodotti di qualità superiore potrebbe restare insensibile al prezzo grazie a clienti fedeli al marchio di fiducia.

Questa insensibilità è a dir poco importante nel momento in cui l’assottigliarsi delle vendite obbliga le aziende ad alzare i prezzi.

3.6.2 LE BARRIERE CHE IMPEDISCONO L’USCITA DA UN SETTORE Quando un settore è in crisi, un’azienda molto probabilmente vorrà abbandonarlo per i redditi che si fanno inferiori alla norma. Tuttavia, ci sono elementi che cercano d’impedirgli l’uscita dal settore in crisi.

Questi elemento sono:

90

1. attività vincolate, spesso strettamente dipendenti da un certo tipo d’impresa o dalla località in cui vengono esercitate; 2. il gruppo di produzione di cui l’azienda con la sua attività fa parte rispetto a una strategia comune che, di conseguenza, ne risulterebbe indebolita con l’abbandono dell’azienda stessa; 3. la credibilità finanziaria di un’azienda potrebbe essere compromessa proprio dall’abbandono di un settore in crisi; 4. l’integrazione verticale esistente tra alcune aziende, in un rapporto di interdipendenza, può causare un ostacolo all’uscita, per lo meno a seconda che il declino riguardi l’intera catena d’imprese o solo uno dei suoi anelli; 5. i costi a volte elevati per uscire da un dato settore, come penalità da pagare per la rottura di contratti o la sistemazione della mano d’opera; 6. i fattori psicologici di barriera all’uscita, ad esempio attaccamento emotivo dei dirigenti, orgoglio o timori per il futuro, dimenticando così come spesso l’abbandono di un’attività in un settore in declino sia spesso una mossa intelligente in una strategia d’impresa; 7. le barriere sociali, come da parte delle autorità preoccupate dalla disoccupazione che l’abbandono dell’azienda potrebbe causare.

3.7 STRATEGIE PER IL FINALE DI PARTITA Però, è anche vero che spesso è possibile trarre dei vantaggi dalla crisi della domanda in un certo settore. L’importante è riuscire a percepire in debito anticipo l’andamento declinante di un settore attraverso strumenti come l’analisi di scenario legata a strategie che dividiamo in tre tipi12: 1.

2.

3.

4.

strategia strategia strategia strategia

di di di di

leadership; nicchia; raccolto; disinvestimento veloce.

12 Cfr. O’ Conor C. W., Tutti i conti da rivedere prima di cedere l’azienda, in

“Harvard Espansione”, n. 30 1986.

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Queste quattro strategie sono molto diverse tra loro e possono essere seguite singolarmente o in modo sequenziale.

3.7.1 LA STRATEGIA DI LEADERSHIP

Questa strategia consiste appunto nell’assumere la leadership della quota di mercato del settore in declino. Assunta la posizione di dominio, l’azienda passa poi ad una strategia di mantenimento o di raccolta con il controllo del processo di declino, in particolare sui costi così da recuperare risorse nella fase di declino, e il tutto senza competizione.

In questa strategia è essenziale fare investimenti prima di altri eventuali competitor, e si seguono queste apposite politiche: fare in modo che le altre aziende si ritirino dal mercato attraverso un marketing aggressivo e una rete capillare di distribuzione; condurre una guerra dei prezzi attraverso una superiorità tecnologica che spinga i concorrenti a operare investimenti in tal senso a discapito della loro permanenza sul mercato; ridurre le barriere all’uscita dei concorrenti con l’acquisizione della capacità produttiva dei concorrenti; elaborare e rendere note delle informazioni credibili per rinforzare nelle altre imprese la convinzione che il declino del settore sia inevitabile.

3.7.2 LA STRATEGIA DI NICCHIA La strategia di nicchia consiste nel trovare una parte del settore in declino destinata a conservare una domanda stabile o a declinare lentamente in modo che possa ancora consentire alti rendimenti.

92

3.7.3 LA STRATEGIA DI RACCOLTO

Si tratta di attuare un disinvestimento controllato ottenendo la maggior quantità possibile di cash flow dell’impresa. Per ottenere spesso ciò si eliminano i nuovi investimenti, si taglia la manutenzione degli impianti, la pubblicità e la ricerca, e intanto si “raccolgono” i frutti dell’avviamento passato.

Questa strategia comporta, però, spesso problemi di fiducia dei fornitori e dei clienti e mette a dura prova le capacità amministrative dei dirigenti con problemi di conservazione e motivazione del personale.

Alla strategia di raccolto segue la cessione o la liquidazione dell’azienda.

3.7.4 LA STRATEGIA DI DISINVESTIMENTO VELOCE

Si adotta, invece, questa strategia quando vi è la convinzione di poter recuperare dalla propria attività una quota maggiore dell’investimento fatto in partenza vendendola nelle prime fasi del declino e non dopo il “raccolto”.

In altre parole, prima si vende l’azienda maggiore è la possibilità di trovare acquirenti, perché questi saranno ancora incerti sul futuro cedimento della domanda. A volte, può persino essere preferibile disinvestire l’attività prima dell’inizio del declino, anche se un’azienda che decidesse di vendere subito potrebbe poi constatare l’errore della propria previsione, e da qui capisci come sia importantissimo individuare la strategia con un’attenta analisi del settore in cui opera l’azienda, magari usando degli schemi previsionali, vediamo di che si tratta.

3.7.5 GLI SCHEMI PREVISIONALI Gli schemi previsionali si basano sulle seguenti azioni da fare per migliorare la posizione dell’impresa nel finale di partita:

93

1. minimizzare gli investimenti e le iniziative che innalzerebbero le barriere all’uscita; 2. aumentare la flessibilità delle risorse così da accettare materie prime collegate o produrre articoli collegati; 3. rivolgere la strategia ai segmenti di mercato resistenti nella fase di declino.

Infatti le strategie di fine partita servono a ottenere il massimo vantaggio, senza intaccare l’integrità del sistema aziendale in una situazione critica, portando sempre, appunto, all’uscita dell’azienda, anche nel caso di strategie leadership o di nicchia, con attività di cessione o liquidazione dell’azienda.

Vediamo ora quando conviene vendere o liquidare.

3.8 LIQUIDARE O CEDERE L’AZIENDA La politica di “raccolto” conduce come visto alla liquidazione.

L’azienda viene pian piano smantellata non essendo più appetibile per i potenziali acquirenti con maggiore vantaggio finanziario rispetto al disinvestimento veloce.

Ma può risultare conveniente liquidare l’azienda anche in strategie di leadership, di nicchia, o quando non sia stata realizzata nessuna tattica di fine partita, e la convenienza nasce dalla mancanza d’acquirenti disposti ad offrire un valore di cessione accettabile, mancanza che, a sua volta, dipende da due fattori: la struttura aziendale ha un alto grado di specializzazione ma appartiene a settori maturi; l’acquirente dovrebbe investimenti13.

sopportare

forti

costi

e

forti

13 Ad esempio i costi per mantenere strutture insufficienti per costruire ricambi

di prodotti già esistenti sul mercato. Oppure l’azienda sta investendo molte risorse in campagne marketing e tecnologie avanzate ma senza buone percentuali di riuscita rispetto al settore in declino.

94

Vi sono però situazioni in cui non è assolutamente conveniente liquidare l’azienda, mentre potrebbe risultare preferibile una cessione. Vediamo questa possibilità più nel dettaglio partendo dalle situazioni in cui conviene cedere l’azienda.

3.8.1 I CASI IN CUI CONVIENE CEDERE L’AZIENDA Il primo caso è quello della strategia disinvestimento veloce.

In questo caso l’azienda è ancora perfettamente integra dal punto di vista economico finanziario e la liquidazione è perciò del tutto sconsigliata. Mentre, risulta preferibile dopo una strategia di raccolta. Eppure, anche in questo caso, la liquidazione comporta costi aggiuntivi spesso anche notevoli.

In realtà, la cessione non deve essere vista come un’azione di ripiego, ma come una vera e propria strategia14 da seguire con delle azioni preliminari per aumentare il valore di mercato del sistema aziendale creando intorno all’azienda un certo interesse.

Ma vediamo quali passi seguire per vendere bene l’azienda: 1. una pianificazione finanziaria preliminare confrontando le poste principali del conto profitti e perdite con i bilanci di tre anni precedenti; 2. lo scorporamento del patrimonio e l’incremento dei profitti attraverso misure come la collocazione dei beni immobili in una nuova società posseduta al 100% dai membri della famiglia, l’istituzione di una con società con diritto di proprietà su macchinari e attrezzature logistiche, la cessione delle azioni agli eredi, mantenimento nel possibile di stipendi e fringe benefits del personale direttivo; 3. la scelta dei tempi per vendere guardando ai profitti aziendali e agli indici reddituali quando sono in fase di forte crescita, al personale direttivo quando sia esperto

14 Cfr. O’ Conor C. W., Tutti i conti da rivedere prima di cedere l’azienda, in

“Harvard Espansione”, n. 30 1986.

95

e completo, alle previsioni di declino con una vendita tempestiva; 4. una presentazione appropriata con dati sufficienti per descrivere l’impresa focalizzando le potenzialità del profitto, ma senza offrire notizie che facciano identificare l’azienda, così da contattare vari compratori coprendo le proprie carte finché non si siano vagliate le prospettive migliori; 5. la selezione dei potenziali compratori per poi selezionare le società migliori in base a decorsi finanziari e condizioni di credito, il tutto insieme a un’inchiesta discreta sul management dei potenziali acquirenti e arrivando alla scelta finale di una o due società ideali come acquirenti.

Seguiti questi passi, le trattative ideali con gli acquirenti scelti dovranno sciogliere i nodi più delicati sul prezzo, i compensi di intermediazioni e i tempi tecnici, magari ricorrendo a una lettera d’intenti non vincolante non formale e sottoscritta da tutte le parti.

3.9 PREVENZIONE DELLE INCAPACITÀ MANAGERIALI Quasi sempre si danno le responsabilità di una crisi aziendale a fattori già visti e a cause esterne all’azienda.

Tuttavia, varie ricerche nelle cifre del turnaround sui casi di risanamento aziendale a buon fine dimostrano come il cambiamento manageriale sia spesso la mossa vincente.

L’inadeguatezza dei managers è la più determinante e pericolosa causa di crisi aziendale. Infatti, un manager inadeguato non saprà sviluppare una strategia di direzione lungimirante quando l’azienda è ancora pienamente sana agendo sulla prevenzione della crisi.

Invece, aspettare il declino per agire vuol dire entrare nel primo stadio della crisi.

L’abilità di un manager sta proprio nella sua capacità di fare prevenzione, e vedremo ora le differenze tra le direzioni di aziende sane e quelle di aziende in crisi, facendo sempre

96

riferimento a uno studio condotto in Italia da un gruppo di autorevoli esperti15.

3.9.1 IL COMPORTAMENTO MANAGERIALE

In ogni impresa il comportamento manageriale ha le seguenti caratteristiche: 1. mantiene nettamente differenziati i profili economicofinanziari, gestionali e organizzativi; 2. risponde a modelli differenti di comportamento direzionale; 3. è determinato dalla diversa configurazione di fattori organizzativi, umani, tecnici e sociali.

3.9.2 I PROFILI GESTIONALI

Nei profili gestionali, economico finanziari e organizzativi un’azienda è sana se si verificano le seguenti condizioni: 1. il profilo gestionale deve presentare una strategia che coinvolga prodotti, mercato e tecnologie; 2. il profilo gestionale deve possedere un’elevata capacità concorrenziale in ogni prodotto e mercato; 3. il profilo gestionale deve essere caratterizzato da un equilibrio finanziario e di tesoreria; 4. deve esserci un bilanciamento tra le principali variabili economico-finanziarie come il rapporto tra variabilità e ordine medio di grandezza delle redditività degli investimenti, oppure la redditività degli investimenti, il costo dei mezzi dei terzi e il tasso d’indebitamento; 5. il quadro organizzativo derivato dalla configurazione di fattori organizzativi, individuali, tecnici e sociali deve presentare flessibilità e creatività.

15 Cfr. D’Anna Roberto, La costruzione di scenari di medio e lungo termine nella

programmazione strategica d’impresa, in “Finanza, Marketing e Produzione”, n.1 1987.

97

Se questi cinque fattori non si verificano potrà verificarsi molto probabilmente nell’azienda una situazione di crisi aziendale.

3.9.3 I MODELLI COMPORTAMENTALI NEI PROCESSI DIREZIONALI Le fasi del processo direzionale sono: 1. la percezione della situazione esterna all’azienda; 2. la diagnosi; 3. la progettazione della realtà da costruire; 4. la realizzazione del cambiamento.

ed

interna

Ognuna di queste fasi implica differenti modelli di comportamento direzionale. Nelle imprese sane, comunque, le direzioni anticipano il cambiamento con una percezione corretta della situazione aziendale, e affrontando i problemi critici con provvedimenti efficaci. Invece, il comportamento direzionale delle aziende in crisi ha una percezione intempestiva, errata e superficiale del cambiamento ambientale. Ma come sono determinati i diversi modelli di comportamento direzionale? Scopriamolo:

3.10

I

FATTORI

CHE

DETERMINANO

COMPORTAMENTO DIREZIONALE Ci sono tre fattori fondamentali: 1. struttura organizzativa; 2. formazione dei managers; 3. stile di direzione e clima aziendale.

98

IL

3.10.1 I MODELLI ORGANIZZATIVI è fondamentale scegliere il modello organizzativo più adatto per la propria struttura aziendale, in modo che, a sua volta, la struttura aziendale risulti perfettamente adeguata alle caratteristiche della gestione dell’ambiente, e capace di soddisfare esigenze di differenziazione e integrazione, di accertamento e decentramento16.

Esistono cinque tipi base di modelli organizzativi, ognuno adeguato a certe situazioni ambientali e a determinati obiettivi.

3.10.1.1 IL MODELLO DI STRUTTURA SEMPLICE

Il modello di struttura semplice è formato da una sola grande unità costituita, a sua volta, da uno o più top managers seguiti da numeroso personale operativo.

Questa struttura presenta pochissimi comportamenti standardizzati, uso minimo della pianificazione e scarsissima formazione professionale con un’integrazione fra dipendenti pressoché nulla.

L’ambiente in cui opera una simile struttura deve essere semplice come deve essere semplice il processo produttivo che il direttore generale controlla con forza. Tale modello è comunque ideale per accogliere subito l’innovazione grazie ad un’organizzazione che può modificare le sue strutture molto velocemente saltando una struttura burocratica meno flessibile.

In definitiva, si tratta di un modello indispensabile per fondare nuove organizzazioni.

16 Sull’argomento, ci si è attenuti allo studio di Mintzberg H Scegliere il miglior

modello organizzativo, in “Harvard Espansione”, n.13 1981.

99

3.10.1.2 IL TECNOCRATICA

MODELLO

DI

BUROCRAZIA

La burocrazia tecnocratica ha un’altissima standardizzazione del lavoro. Questo modello prevede un elaborato assetto amministrativo, e richiede un alto numero d’analisti per progettare e mantenere i sistemi di standardizzazione. Gli analisti, poi, raggiungono un certo grado di potere informale poiché da loro finisce per dipendere l’organizzazione dell’intera struttura aziendale.

La burocrazia tecnocratica si accorda molto naturalmente con la produzione di massa dove i processi e i sistemi di distribuzione sono molto razionalizzati e facili da comprendere.

Questo assetto organizzativo è spesso caratteristico delle aziende sottoposte a un forte controllo esterno, ad esempio le attività parastatali.

Ma sono molteplici i problemi posti da questo modello, nell’ordine: 1.

lavoro ripetitivo e monotono;

2.

lavoratori alienati;

3.

controlli esasperati dei fatti aziendali;

4.dimensioni enormi e incapacità di adattarsi a rapidi cambiamenti.

Nonostante simili problematiche, un suo punto di forza resta la capacità di dare prodotti a basso prezzo e con alto livello di efficienza.

3.10.1.3 LA BUROCRAZIA PROFESSIONALE

La burocrazia professionale è diversa da quella tecnocratica perché si basa soprattutto sulla specializzazione delle capacità professionali - le skill - piuttosto che sulla standardizzazione dei processi produttivi. In questo modello l’organizzazione è costretta a cedere una buona parte del suo potere agli esperti stessi altamente specializzati, col

100

risultato di una struttura fortemente decentralizzata e fortemente democratica. Un esempio di tale modello si ha nelle società di revisione o nelle università.

3.10.2 IL MODELLO PER DIVISIONI

Quest’ultimo modello è un insieme di entità abbastanza indipendenti tra loro e legate da controlli amministrativi.

Però, a differenza della burocrazia professionale dove abbiamo entità che sono singoli individui, nel modello divisionalizzato abbiamo entità costituite da unità della struttura intermedia.

Un’organizzazione si divisionalizza perché le sue linee di prodotto sono diversificate e bisogna creare più unità di mercato – o divisioni — per ciascuna distinta linea di prodotto. Il vertice aziendale controlla le divisioni con forme di supervisione diretta, anche se le sedi centrali si affidano soprattutto a sistemi di controllo delle prestazioni e alla standardizzazione dei risultati da parte delle divisioni.

Questo sistema di controllo porta a considerare le divisioni come singole entità dotate di obiettivi propri, coerenti, pianificati e quantificabili. Gli obiettivi formano poi un insieme di sotto obiettivi di secondo livello, e a volte standard di prestazione.

3.10.3 IL MODELLO ADHOCRAZIA17.

Si tratta dell’ultimo modello, adhocrazia pura o gestionale.

Si parte dell’idea che nessuno dei modelli su visti si adatta a imprese della nostra epoca come quelle aerospaziali, petrolchimiche, o case di produzione cinematografiche; per non parlare di tutte quelle imprese che operano solo sul Web. 17 Questo termine è un neologismo coniato negli anni Sessanta da Warren e

Bennis, studiosi di leadership. L’adhocrazia si contrappone semanticamente alla burocrazia.

101

Queste realtà richiedono una struttura organizzativa capace di innovare seguendo modalità più complesse, oltre a strutture per progetti che raccolgano differenti specialisti in un gruppo di lavoro creativo, e proprio per tutto questi l’adhocrazia è una struttura costituita da gruppi di progetto integrati, che agiscono su un piano orizzontale senza forti vincoli gerarchici. È una struttura molto fluida, dove il potere si sposta di continuo, e coordinamento e controllo derivano da comunicazioni informali tra le persone. Al suo interno vi sono specialisti che lavorano insieme facendo squadra.

L’adhocrazia si distingue in due tipi: pura e gestionale. In quella pura le attività operative sono primarie, e quelle di gestione e di controllo sono inscindibili. Nell’adhocrazia gestionale le attività operative e gestionali sono nettamente separate. Ancora, l’adhocrazia pura è tipica spesso di organizzazioni giovani, spesso fragili e prive di prodotti e servizi standard, e infatti sviluppa progetti innovativi direttamente per conto dei propri clienti18.

Invece, l’adhocrazia gestionale ha un sistema produttivo molto complesso e spesso automatizzato con l’esigenza di supporti altamente specializzati, ai quali, per giunta, lasciare un alto potere decisionale su questioni di carattere tecnico-produttivo.

3.10.4 LA FORMAZIONE DEI MANAGERS Oggi i managers o imprenditori in generale hanno bisogno di continui aggiornamenti, tanto da poter affermare che oggi per lavorare occorre sempre continuare a studiare, intendendo, però, per studiare la conoscenza di ciò che accade fuori dalla propria azienda, e cosa avviene negli altri luoghi di lavoro. La formazione continua è così importante che si può affermare, in definitiva, che non basta scegliere personale qualificato, ma occorre anche investire per arricchire questo capitale, e considera quanto abbiamo già detto sull’importanza della formazione, e conseguente 18 A differenza della burocrazia professionale che cerca di superare il problema

posto dal cliente con soluzioni standard.

102

innovazione, come componente intangibile, ma fortemente strategica nel ciclo di vita di un’azienda.

3.10.5 LO STILE DIREZIONALE E L’AMBIENTE DI LAVORO: IL CLIMA AZIENDALE Anche la cura dei rapporti umani, intesi come clima aziendale rientrante nelle componenti strategiche che abbiamo già considerato, viene spesso trascurata, specie a livello dirigenziale.

Ciò può provocare effetti disastrosi laddove vi siano poi scontri al vertice che non riguardano solo chi vi partecipa direttamente, ma tutta l’organizzazione. È come un morbo che, una volta partito dall’alto, si propaga rapidamente anche ai settori più periferici della società facendo venir meno lo spirito di corpo e la competenza interna.

3.10.5.1 L’ESEMPIO GIAPPONESE

Il “caso Giappone” — con il suo boom industriale negli anni ‘80 — ha risvegliato l’interesse degli studiosi per i soggetti aziendali e i loro rapporti. Si è infatti compreso che la ragione della straordinaria produttività giapponese sta nel coinvolgimento dei lavoratori e dei managers, e quindi nelle relazioni interpersonali.

I dipendenti giapponesi, secondo i ricercatori americani Peter e Waterman19 , dimostrano «amore» per il prodotto, risultando motivati da valori «semplici e bellissimi» con una vera e propria «gioia» di dirigere e lavorare. Con una simile mentalità ecco che l’azienda si allontana dallo stereotipo di fabbrica spersonalizzante.

Per creare un ambiente simile in azienda occorre avere un leader carismatico che incida positivamente sulla direzione 19 Cfr. Peters Th. J. E Waterman R. H. jr., Search of Excellence: Lessons from

America’s best-run Companies, Warner Books, 1984.

103

dello sviluppo aziendale. Ma potrebbe anche accadere che il leader eserciti un vero e proprio potere che, alla lunga, renda insofferenti i suoi collaboratori creando ansietà, rancori e debolezza.

3.10.5.2 LA NECESSITA DI CAMBIARE LO STILE DELLA LEADERSHIP

Un sistema per cambiare lo stile di leadership, così che l’ambiente di lavoro assomigli a quello delle aziende giapponesi, consiste nell’inserire nella struttura organizzativa delle iniziative quali: 1.creare un sistema che coinvolga i dirigenti definizione degli obiettivi aziendali e individuali;

nella

2.predisporre dei confronti per affrontare il problema della scarsa comunicazione fra i quadri direttivi; 3.realizzare una strategia capace di promuovere cambiamenti negli individui e nell’organizzazione; 4. Incentivare e premiare i collaboratori; 5. Introdurre sistemi di welfare aziendali.

Giulio Cesare vinceva la guerra perché prima della battaglia spartiva il bottino con i suoi generali e i suoi soldati. I suoi uomini lottavano e morivano NON per ONORE e NON per la GLORIA DI ROMA ma per la PECUNIA, per il denaro.

Fatti questa domanda: perchè un collaboratore dovrebbe dare la vita per il proprio datore di lavoro?

3.11 LA PREVENZIONE DELLE CRISI DI LIQUIDITÀ

In molti casi accade che, grazie alle buone prospettive del mercato, l’azienda si sviluppi molto in fretta, ma con una pericolosa riduzione delle riserve di tesoreria e arrivando così a una crisi di liquidità.

104

3.11.1 DUE VARIABILI LIQUIDITÀ E LA CRESCITA

CONTRAPPOSTE:

LA

Le crisi di liquidità sono frequentissime e spesso conducono l’azienda verso l’insolvenza e il dissesto. Ma è possibile utilizzare i dati di bilancio per prevenire ed evitare queste pericolosissime strette di liquidità.

Bisogna, però, partire da una considerazione di fondo, ossia che la crescita e la liquidità sono due fenomeni contrapposti: un aumento della crescita significa una minor liquidità, e viceversa. Le variazioni del rapporto fra le due variabili si possono rappresentare con una curva detta curva operativa.

Per costruire la curva operativa, la variazione più significativa è trasformare le scorte da attività finanziaria corrente in variabile di crescita. Le variabili di crescita sono: 1.

2.

3.

4.

i beni patrimoniali; gli impianti e le attrezzature (patrimonio netto); le scorte; le altre attività a lungo termine

3.11.2 REDDITIVITÀ E LIQUIDITÀ OPERATIVA

Se aumenta il totale costituito dalle variabili suddette, di solito le vendite e gli utili crescono. Se il totale diminuisce, le vendite e gli utili dovrebbero ridursi.

Seguendo questa impostazione, la redditività è la variazione annuale degli utili non distribuiti, divisa per le vendite.

Mentre l’utile netto non tiene conto dei dividendi, gli utili non distribuiti sono il dato su cui l’azienda deve realmente lavorare.

105

Utilizzando, poi, questa definizione di redditività, si possono collegare gli utili con il tasso di crescita degli investimenti in attività fisiche.

In questo contesto anche la liquidità è data dal capitale circolante diminuito delle scorte e dell’indebitamento a lungo termine del capitale sociale. La cifra rimanente è la liquidità operativa.

3.11.3

LA

DETERMINAZIONE

DELLA

CURVA

OPERATIVA Bisogna quindi stabilire il cambiamento delle variabili della liquidità operativa e della crescita di anno in anno.

Poi si dividono queste variazioni annuali per la cifra delle vendite relative all’anno precedente.

Si ottengono così delle cifre da riportare su un grafico mettendo il rapporto capitale/vendite sull’asse orizzontale, e il rapporto liquidità relativa/vendite su quello verticale.

Ne deriva la curva. Infine, tracciando una retta di regressione con il sistema dei minimi quadrati, si ricava la curva operativa.

Il punto in cui la curva operativa è pari a zero sull’asse della liquidità è il punto di equilibrio operativo.

Il punto di equilibrio rappresenta il massimo tasso di crescita che si può ottenere con il finanziamento interno.

C’è poi il gap operativo che è la differenza tra lo zero lungo l’asse della liquidità e la posizione attuale di un’azienda sulla curva operativa. Se tale posizione è al di sotto del punto di equilibrio operativo, l’azienda dovrà colmare il divario con il finanziamento esterno a lungo termine.

In generale la posizione della curva operativa dipende dal rapporto fra utili non distribuiti e variabili di crescita.

Quando poi, con tassi di sviluppo elevati, i dati di crescita e di liquidità del momento indicano un punto molto al di sotto della curva operativa stabilita, diventa facile prevedere segnali di crisi in vista.

106

Mentre, con le definizioni più comuni di liquidità, che tendono a offuscare la condizione del cash flow, i dirigenti troverebbero ben più difficile, per non dire impossibile, riuscire a prevedere criticità legate alla liquidità.

107

CAP IV COME PREVEDERE UNA CRISI AZIENDALE

108

4.1 METODI FONDATI SULL'INTUIZIONE

Non è solo l’imprenditore ad essere interessato a conoscere lo stato di salute della propria azienda, ma anche fornitori, istituti di credito e finanziatori.

Per questi soggetti, infatti, conoscere per tempo le difficoltà dell’azienda vuol dire attuare le contromisure necessarie a tutela del proprio credito. In quest’ottica agisce la previsione. Ma bisogna subito precisare una cosa: la previsione non deve essere confusa con la prevenzione.

La previsione si ha solo se compaiono i sintomi della crisi. Non si può prevedere una crisi quando l’azienda è in perfetta salute. In questo caso si possono attuare strategie di prevenzione. D’altronde il ragionamento di base è: io non posso prevedere che avrò l’influenza se godo di ottima salute, ma se comincio ad avere mal di gola, tosse e raffreddore, allora posso prevedere che avrò quasi sicuramente l’influenza.

La crisi dunque è composta da due stadi, e il primo stadio si divide a sua volta in due fasi: 1. l’iniziale declino dell’azienda; 2. il palesamento all’esterno della crisi.

Nella prima fase è possibile prevedere la crisi grazie ai sintomi che cominciano a manifestarsi.

Per avere comunque un’immagine chiara dell’andamento della crisi aziendale può essere utile il seguente grafico:

109

La previsione della crisi nella prima fase segue spesso metodi fondati sull’intuizione verso sintomi di crisi aziendale riconoscibili anche dall’esterno, specie da parte di soggetti che intrattengono rapporti con l’azienda. Questi sintomi esterni di crisi sono: 1. Verificarsi dell’inefficienza; 2. Bilancio in perdita; 3. appartenenza a settori scadenti o in difficoltà per momentanea caduta della domanda; 4. perdita di quote di mercato; 5. palesi inefficienze nel campo produttivo e commerciale; 6. squilibri patrimoniali e finanziari.

Di fronte a tali sintomi spesso si attiva il “sentito dire” sullo stato di crisi dell’azienda, cosa che pure può avere una sua validità per valutare se fare o meno affari con l’azienda in questione.

Certo, affidarsi all’intuizione per una potenziale crisi è piuttosto rischioso, non ci sono garanzie, e poi, dal punto di vista dei creditori l’intuizione è ulteriormente limitata perché questi non possono avere accesso a documenti interni come i bilanci o i reports. Per giunta

110

quando la perdita risulta dal bilancio, vuol dire che la crisi è già conclamata e non si può più parlare di previsione. Ecco che anche qui il bilancio mostra tutti i suoi limiti temporali come strumento di controllo aziendale.

Per queste ragioni, poi, i metodi di previsione basati sull’intuizione risultano limitati e funzionali al massimo per “allertare” i creditori.

Invece dobbiamo concentrarci sui metodi di previsione che permettono di affrontare la crisi nel breve periodo, ben prima delle risultanze dei documenti contabili.

4.1.1 VARIABILI CRITICHE NELLA PREVISIONE DELLE CRISI: VARIABILI ECONOMICHE

La prima tipologia di variabili critiche per un’impresa è quello delle variabili economiche, e tra queste la più importante è la redditività del capitale proprio che, a sua volta, comprende quattro sottovariabili dal quale

111

andamento si comprende la tendenza dell’intero sistema verso un possibile deterioramento. Queste quattro sottovariabili sono: 1.

2.

3.

4.

redditività del capitale investito; tasso d’indebitamento; costo dei mezzi di terzi; tasso di incidenza della gestione extracaratteristica.

Sviluppiamo i quattro punti.

1. La redditività del capitale investito si compone a sua volta di due sottovariabili: la redditività delle vendite (ROS) e il turnover del capitale investito (TOCI).

La redditività delle vendite (ROS), anche se risulta di grado sufficiente per un lungo periodo di tempo, non dev’essere considerata un dato tranquillizzante, perché potrebbe derivare da circostanze come particolari condizioni commerciali praticate a clienti e fornitori influendo sui ricavi netti di vendita, o su costi variabili di produzione; e poi circostanze simili ma di segno opposto – come l’aumento del volume medio dei crediti verso clienti – apporterebbero effetti negativi all’altra variante della redditività del capitale investito, il turnover del capitale investito (TOCI).

Questo è definito come il rapporto fra ricavi netti di vendita e capitale investito medio del periodo. Da qui si capisce come la redditività del capitale investito sia riconducibile al rapporto fra reddito operativo e capitale medio del periodo.

Si può quindi affermare che il controllo della redditività si realizza con una costante verifica del bilanciamento ottimale fra il livello del reddito operativo e il rispettivo ammontare del capitale investito. A sua volta, il controllo del capitale investito incide diversamente sulla manifestazione della crisi dell’impresa a seconda che si tratti d’investimento in capitale fisso o in capitale di esercizio.

Nel reddito operativo agisce poi un’elevata correlazione fra il volume delle vendite e il capitale d’esercizio poiché quest’ultimo si compone delle sub variabili crediti verso clienti e magazzino.

Sempre nell’ottica della previsione della crisi d’impresa, e considerando la rigidità gestionale presente nelle aree del

112

capitale fisso e del capitale d’esercizio, bisognerà analizzare gli indici di rotazione delle variabili che li compongono (liquidità immediate, liquidità differite e disponibilità) insieme a gli indici di durata media dei crediti e dei debiti.

2 Il tasso di indebitamento ha un’influenza sulla redditività del capitale proprio che si manifesta attraverso l’effetto leverage (capitale investito/capitale proprio).

3 Il costo dei mezzi di terzi rientra proprio, come variabile da controllare, nel discorso più ampio dell’effetto leverage sulla redditività del capitale proprio causato da variazioni del tasso d’indebitamento e – conseguentemente – del capitale investito. Infatti, l’ampiezza e la direzione dell’effetto leverage dipendono solo dal risultato della somma algebrica di redditività del capitale investito e costo dei mezzi terzi.

4 Il tasso d’incidenza (reddito netto/reddito operativo) della gestione extra caratteristica, infine, deve essere osservato per la previsione della crisi per accertare in che misura delle componenti esterne alla gestione tipica abbiano concorso, o possano concorrere, a determinare la redditività complessiva del capitale proprio.

4.1.2 VARIABILI CRITICHE NELLA PREVISIONE DELLE CRISI: VARIABILI FINANZIARIE D'INCIDENZA

Le variabili finanziarie si dividono in due tipi: d’incidenza e di flusso.

Le prime derivano da quozienti di bilancio. Le seconde da schemi di analisi che mostrano la dinamica delle variazioni finanziarie rilevanti in un dato periodo.

Tra le variabili finanziarie di incidenza si distinguono: 1. il rapporto corrente o indice di liquidità; 2. il tasso d’indebitamento;

113

3. il coefficiente di composizione dell’attivo e del passivo netto; 4. il capitale circolante; 5. il cash-flow.

Rispetto a queste variabili vi sono delle differenze anche rilevanti nei tempi di scadenza delle singole attività o passività. Ciò vale in particolare per le imprese ad andamento stagionale. Per loro i valori di attivo o passivo corrente emergenti dal bilancio possono essere non significativi rispetto alle medie degli stessi valori nel corso dell’esercizio, e così si bisogna controllare tali variabili in periodi di tempo ravvicinati.

Ancora, all’interno del capitale di esercizio si possono riconoscere dei valori col carattere di vere e proprie immobilizzazioni e/o passività consolidate. In particolare, pensa come nel passivo corrente vi siano delle posizioni debitorie verso banche che finiscono per essere veri e propri finanziamenti a medio termine, sebbene siano concesse formalmente a vista.

Ma per evitare delle distorsioni interpretative nell’evoluzione delle variabili in oggetto bisogna identificare i valori che hanno natura corrente solo formalmente. Ciò è possibile con l’analisi delle serie storiche estese ad un periodo significativo, così da identificare i livelli minimali sotto i quali detti valori non sono mai scesi.

Vediamo ora più nel dettaglio le variabili finanziarie d’incidenza.

Il rapporto corrente o indice di liquidità è dato dal rapporto fra l’attivo corrente (ovvero liquidità più disponibilità) e il passivo corrente. Questo indice valuta la capacità dell’azienda di far fronte a propri debiti a breve utilizzando le attività realizzabili.

L’attivo corrente concentra in sé elementi non facilmente liquidabili come le scorte o alcuni crediti di dubbia esigibilità, e perciò il rapporto fra le attività correnti dedotte delle scorte e il passivo corrente assume una maggiore significatività.

L’indice di liquidità è comunemente chiamato indice di tesoreria o test acido. In un’azienda sana questo indice ha valore 1, e quindi in condizioni ideali le scorte sono finanziate dal capitale proprio più i debiti a medio termine cioè dalle fonti a lungo.

114

Poi abbiamo l’indice di solvibilità che è dato dal rapporto fra le attività correnti e la somma delle passività a medio e lungo termine. Serve a verificare la capacità dell’azienda di far fronte ai debiti a breve e medio-lungo termine utilizzando le attività disponibili e realizzabili senza intaccare le attività immobilizzate.

Anche il tasso di indebitamento è rilevante ai fini della previsione di un’eventuale crisi di impresa, e ciò per l’azione amplificatrice (o di leverage) sulla redditività del capitale proprio che questa variabile esercita esprimendo una determinata struttura del passivo e del netto patrimoniale.

Il tasso di indebitamento produce effetti positivi o negativi sulla redditività del capitale proprio a seconda del risultato della somma algebrica fra redditività del capitale investito e costo dei mezzi di terzi. Dal punto di vista più propriamente finanziario, questa variabile è espressa dal rapporto fra capitale investito e capitale netto di periodo, ed esprime il grado di dipendenza dell’azienda da terzi mettendo in evidenza un possibile deterioramento del sistema d’impresa.

Comunque, per seguire correttamente l’evoluzione del grado di equilibrio dell’assetto patrimoniale dell’impresa, è necessario che il controllo dei rapporti orizzontali fra le aree significative del bilancio si unisca all’apprezzamento verticale delle medesime aree, anche in percentualizzazione sul totale dell’attivo e del passivo, e pertanto è utile controllare alcune correlazioni tra le singole aree dell’attivo, del passivo e del netto; queste correlazioni sono poi proprie anche degli indici di liquidità.

L’indice di margine di struttura allargato (MASA) ha un buon valore prospettico, ed è costituito dal rapporto tra il valore netto dell’attivo immobilizzato e la somma algebrica delle passività a medio lungo termine, e del capitale netto. Questo indice, unito all’indice margine di struttura, costituisce poi gli indici di copertura che dicono come abbiano trovato copertura gli impieghi in immobilizzazioni, e in particolare se gli indici di copertura siano finanziati da mezzi propri (margine di struttura

115

semplice) o da mezzi propri e passivo consolidato (margine di struttura allargato) Il capitale circolante è pari alla differenza fra capitale di esercizio e passività a breve termine, il cui valore medio si identifica con la parte di attivo corrente impiegata in misura stabile nella gestione d’impresa. Pertanto, il controllo del capitale circolante assume una grande importanza per la previsione di eventuali crisi del sistema d’impresa.

Infine, il casch-flow è una variabile assimilata al flusso di cassa in quanto disponibilità monetarie nette procurate dalle operazioni di esercizio.

4.1.3

VARIABILI

CRITICHE

NELLA

PREVISIONE

DELLE CRISI: VARIABILI FINANZIARIE DI FLUSSO Le variabili di flusso da esaminare ai fini della previsione di eventuali crisi sono: J) i flussi di capitale circolante; K) i flussi di cassa.

I flussi di capitale circolante come variabile esprimono il raccordo fra la gestione finanziaria e la gestione economica attraverso il capitale circolante prodotto dalla gestione corrente.

Così, integrando la definizione di capitale circolante prodotto dalla gestione corrente con i flussi originati da investimenti o disinvestimenti patrimoniali, da acquisizione o estinzione di passività a medio e lungo termine, ed infine da variazioni di capitale netto, si arriva alla definizione di flusso di capitale circolante prodotto nel corso del periodo di riferimento.

Questa è un’altra variabile complessa dotata di un significativo valore previsionale di eventuali situazioni di crisi, sebbene essa non compendi fenomeni importanti come aumenti del capitale sociale effettuati con conferimenti di beni in natura, o con dividendi pagati in azioni di società partecipate.

116

L’analisi prospettica dei flussi di cassa ha lo scopo di configurare nel breve periodo (anche inframensile) il dinamismo ipotizzato per un periodo più ampio, e quindi per verificare che l’intrecciarsi dei flussi di cassa in detto periodo non provochi carenze di liquidità patologiche portando ad una imminente crisi d’impresa.

Il flusso di cassa prodotto in un esercizio si ottiene facendolo derivare direttamente dal flusso di capitale circolante prodotto, a sua volta, dalla gestione corrente usando come elementi di raccordo le variazioni intervenute in tutti i valori di natura non liquida, e compresi nella definizione di capitale circolante suddetta.

Il flusso di cassa così configurato deve poi essere integrato con l’analisi quali-quantitativa di tutti gli eventi non riconducibili alla gestione tipica a compendio di fondi o impieghi di liquidità.

Comunque, qualora permanga una quota di fabbisogno netto, si dovranno mettere in atto correttivi diversi a seconda che si tratti di fabbisogno monetario o finanziario.

Nel caso di fabbisogno monetario, l’analista dovrà pensare ad una combinazione di fonti interne ed esterne all’impresa con vincolo a breve, a medio e lungo termine, mentre per il secondo caso si può ipotizzare il semplice ricorso a fonti non monetarie.

4.1.4

CRITERI

OPERATIVI

DI

UTILIZZO

DELLE

VARIABILI CRITICHE Il primo passo da fare è analizzare la redditività economica e l’equilibrio finanziario dell’impresa mettendoli in relazione diretta, in modo da simulare gli effetti che una decisione strategica potrebbe avere su entrambe queste variabili. Si dovrà così quantificare il valore economico delle decisioni prese. Ma tale valore non deve essere valutato solo in relazione al livello di redditività atteso, ma anche in base all’influenza che eserciterà sull’equilibrio dell’azienda, e la decisione ottimale sarà quella in grado di soddisfare la seguente condizione:

117

aumentare la redditività a medio termine senza compromettere in nessun modo l’equilibrio finanziario.

Sarà utile uno schema di coordinamento degli indici che, attraverso simulazioni ripetute, permette di verificare che le necessità non superino mai la capacità finanziaria globale scongiurando qualsiasi possibilità di crisi.

Figura 3

118

Lo schema in figura 3 è quello più comunemente utilizzato.

Comprende tutte le variabili critiche descritte, ma rispetto a questa costruzione si può riscontrare la mancanza di due requisiti: 1. un sufficiente dettaglio degli elementi che mostrano il fenomeno economico-finanziario; 2. una chiusura logica (ad anello) nel concatenamento degli indici.

Tali requisiti sono invece presenti nello schema riportato di seguito figura 4.

Come nello schema precedente si parte dalla redditività del capitale proprio espressa dal rapporto fra il risultato netto di gestione e i mezzi propri, che abbiamo definito come l’indice di estrema sintesi della redditività aziendale.

Questo però viene scisso in due variabili.

La prima è la redditività dei mezzi impiegati, rappresentata dal rapporto fra la somma di reddito netto e oneri finanziari e il capitale investito.

119

La seconda è l’indice di leva finanziaria è espresso dal rapporto fra la redditività del capitale proprio e la redditività dei mezzi impiegati che viene, a sua volta, scissa in due sottovariabili: 1. la redditività del capitale investito operativo, che è data dal rapporto fra reddito operativo e capitale investito operativo; 2. l’indice di incidenza dell’investimento operativo, dato dal rapporto fra capitale investito operativo e il capitale investito totale.

Vi è poi l’indice di copertura della gestione extracorrente, dato dal rapporto fra la somma del reddito netto degli oneri finanziari e il reddito operativo.

Ancora, la redditività del capitale investito operativo viene suddivisa in due sotto variabili: 1 redditività delle vendite e 2 turnover del capitale investito operativo.

Quest’ultimo si compone a sua volta di tre variabili: 1. il turnover dell’investimento della gestione corrente, dato dal rapporto tra vendite e somma delle voci dell’attivo quali disponibilità della gestione, crediti commerciali, scorte di magazzino e crediti diversi; 2. l’indice di incidenza dell’investimento della gestione corrente, dato dal rapporto fra l’investimento della gestione corrente e il capitale investito nella gestione corrente; 3. l’indice di rotazione dell’investimento corrente è la somma data dall’indice di durata media dei crediti e dall’indice di durata media del magazzino.

Vi è poi l’indice di copertura degli oneri finanziari: si tratta del rapporto fra reddito netto e la somma del reddito netto e degli oneri finanziari;

120

Abbiamo anche il rapporto di indebitamento, che è poi il rapporto fra il capitale investito totale e i mezzi propri.

Il rapporto di indebitamento è poi il prodotto di tre variabili: 1. l’indice di indipendenza dell’indebitamento oneroso, che a sua volta è rapporto fra capitale investito e oneri finanziari; 2. il costo dei mezzi terzi; 3. il tasso di indebitamento: rapporto fra i mezzi dei terzi e i mezzi propri.

Quest’ultimo tasso deriva anche dalla somma di altri due indici: 1. l’indice di intensità dell’indebitamento della gestione corrente che è dato dal rapporto fra finanziamento della gestione corrente e i mezzi propri; 2. l’indice di intensità dell’indebitamento della gestione extra corrente, dato dal rapporto fra il finanziamento della gestione extracorrente e dai mezzi propri.

L’indice dell’indebitamento corrente è poi in relazione con l’indice di durata media dei debiti.

Questo indice, a sua volta, si unisce con gli indici di durata dei crediti e del magazzino attraverso il ciclo capitale circolante.

Comunque, per maggiore chiarezza riportiamo di seguito la situazione patrimoniale riclassificata secondo il criterio della pertinenza gestionale.

121

Figura 5 SITUAZIONE PATRIMONIALE RICLASSIFICATA SECONDO LA PERTINENZA GESTIONALE INVESTIMENTO della GESTIONE CORRENTE

FINANZIAMENTO della GESTIONE CORRENTE

Disponibilità della gestione; - Crediti commerciali; - Scorte di magazzino; - Crediti diversi.

- Debiti commerciali; - Fondo trattamento fine rapporto; - Debiti diversi.

INVESTIMENTO della GESTIONE OPERATIVA

FINANZIAMENTO GESTIONE EXTRACORRENTE

-Immobilizzi tecnici in esercizio; - Immobilizzi immateriali in esercizio; - Crediti vari.

INVESTIMENTO GESTIONE EXTRACORRENTE

della

Disponibilità extra gestione; - Crediti finanziari; - Immobili tecnici inattivi; Immobili immateriali inattivi; -Immobilizzazioni patrimoniali; - Spese da ammortizzare.

122

-

della

Debiti finanziari; Debiti vari; Fondi accantonamento.

PATRIMONIO

- Capitale sociale; - Riserve fondi di capitale; Risultati di periodi precedenti; - Risultato del periodo.

TOTALE CAPITALE INVESTITO

TOTALE CAPITALE di FINANZIAMENTO

4.2 METODI DI PREVISIONE FONDATI SUI MODELLI

4.2.1 DESCRIZIONE DEL MODELLO

Il principio metodologico dei modelli di previsione richiede di individuare i trend di vari quozienti di bilancio sia in aziende in crisi che sane. I quozienti saranno valutati per un periodo di alcuni anni. I trend ottenuti saranno poi messi a confronto valutando la significatività dei quozienti adottati per la previsione della crisi.

Un esempio di modello è quello di Beaver.

In questo modello viene individuato un certo numero di quozienti di bilancio, e per ognuno di loro viene calcolato il valore in riferimento a tutte le imprese del campione.

Si ottiene così un valore medio che funge da riferimento con cui confrontare i singoli valori rilevati per ciascuna azienda, per poi attribuire le stesse aziende al gruppo di quelle in crisi o di quelle ancora sane.

Fatta questa riclassificazione, il confronto con la situazione reale darà conto dell’errore commesso e delle significatività dei quozienti adottati per la previsione della crisi.

Tuttavia, un vero progresso nei modelli di previsione delle crisi d’impresa si è avuto con i modelli di “multivariate analysis”, che tengono conto di tutte le relazioni matematiche e logiche esistenti tra le variabili considerate.

Il modello più importante di questo tipo di analisi è quello elaborato da Edward I. Altman, a cui abbiamo già più volte accennato.

123

Il suo modello risale al 1968 ed è basato su cinque parametri economico finanziari, e sintetizzato da un unico punteggio, lo Z score.

Nella sua ricerca Altman ha seguito un campione di 66 imprese manifatturiere, divise in due gruppi: sane e fallite.

Per ognuna di esse lo studioso ha determinato 22 indici rappresentativi dei vari aspetti economico finanziari di un dato periodo.

Poi ha scelto cinque quozienti più discriminanti per evidenziare lo stato di salute dell’impresa.

A ciascuno di tali quozienti ha assegnato un coefficiente che ne rispecchia la capacità di previsione della crisi.

I cinque fattori che portano al risultato finale sono: 1.

2.

3.

4.

5.

equilibrio finanziario; capacità di autofinanziamento; redditività; solvibilità; utilizzo del capitale.

La funzione così ricavata da Altman è la seguente: z=2 - 1,2 x 1 + 1,4 x 2 + 3,3 x 3 + 0,6 x 4 + 0,999 x 5 Punteggi superiori a 3 indicano un’impresa in buona salute. Uno score al di sotto dell’1,8 indica un’impresa in crisi, anche se il cut-off è stato individuato a 2,675, tutti i punteggi fra 1,81 e 2,99 sono indice di una situazione critica.

Vediamo ora le cinque variabili individuate da Altman: X1 = Equilibrio: (Attivo Corrente – Passivo Corrente / Totale Attivo) X2 = Capacità di Autofinanziamento: Riserve Utili / Totale Attività.

Rispetto a questa seconda variabile le aziende più giovani risultano le più vulnerabili. Per le aziende in serie difficoltà il quoziente assume spesso valori negativi.

124

X3 = Redditività: Utile Operativo / Totale Attività.

Indica la produttività reale dell’attività dell’impresa.

Questo quoziente è quello con la maggiore capacità di discriminare fra imprese sane e non.

X4 = Solvibilità: Patrimonio Netto / indebitamento Totale.

L’indebitamento totale comprende sia i debiti a breve che a lungo termine, e l’indice mostra di quanto il totale attivo può ridursi prima che l’impresa diventi insolvente.

X5 = Utilizzo del Capitale: Vendite / Totale Attività.

Evidenzia la capacità del management di generare fatturato dall’attività dell’impresa in un mercato competitivo sfruttando le risorse a disposizione.

Ad ogni indice viene attribuito un peso diverso in base alla sua significatività rispetto alla previsione della crisi.

Infine, il valore numerico totale ricavato dalla funzione, ossia lo Z score, indica in modo sintetico lo stato di equilibrio finanziario dell’azienda.

La percentuale di accuratezza del modello di Altman si riduce per le previsioni formulate con due anni di anticipo. Oltre i due anni, la percentuale di previsione esatta si riduce così drasticamente che il modello risulta privo di efficacia.

4.2.2 APPLICAZIONE PRATICA DEL MODELLO DI ALTMAN Il modello di Altman è stato applicato ad un campione di 12 aziende con le seguenti caratteristiche: 1.

2.

3.

4.

società di capitale; piccole e medie dimensioni; operanti nel settore industriale o artigianale; fallite negli esercizi 2016-2017-2018.

125

Gli indici relativi ai cinque esercizi precedenti alla dichiarazione del fallimento (t) sono esposti nella tabella seguente:

t-5

t-4

t-3

t-2

t-1

Alfa

1,4443

1,7513

1,4301

1,4185

1,2721

Beta

-

3,3448

1,1329

-1,6598

-8,8426

Gamma

1,3913

3,7916

1,1455

1,2053

1,1746

Delta

2,0261

0,9045

0,1594

2,1236

0,1161

Zeta

0,6802

0,6496

0,3486

0,0725

0,1837

Eta

-

1,5520

1,8882

2,6536

0,0113

Teta

2,1024

1,0964

1,2924

-0,2600

-6,9517

Iota

-

-

4,9537

4,2031

3,2803

Kappa

1,4563

0,5364

-1,5599

1,6079

0,8408

Lambda

-

-

1,3657

-1,0010

-1,8059

Sigma

-

0,1688

1,3566

1,5364

0,6312

Omega

1,3563

2,7996

2,2878

2,3221

1,6998

126

Dall’analisi dei risultati così ottenuti si vede che le aziende Alfa, Zeta, Kappa, Lambda e Sigma presentano valori inferiori a 1,8 in tutti gli esercizi considerati.

Inoltre l’indice è in costante diminuzione, e da ciò si deduce che lo Z score è in grado di mostrare il progressivo peggioramento della performance dell’azienda, specie man mano che la stessa si avvicinava al fallimento.

Solo Sigma fa eccezione rispetto a quanto detto poiché partendo da valori prossimi allo zero nel t-4 cresce fino a 1,5 nel t-2, per poi tornare di nuovo a valori inferiori all’uno nell’esercizio precedente il default.

L’indice di Altman sembra funzionare anche nei casi di Beta e Gamma, in cui l’alta probabilità di default (Z<1,8) si registra con almeno tre esercizi di anticipo.

Per le aziende Delta, Eta e Omega invece lo Z score prevede un’alta probabilità di default solo con un esercizio di anticipo, mentre in quelli precedenti indica una probabilità medio-alta.

L’indice di Altman invece fallisce nella previsione del fallimento della Iota, in quanto i valori indicano fino all’ultimo una bassa probabilità di default. In definitiva, l’applicazione del modello di Altman ha un’alta capacità di previsione della crisi d’azienda.

4.2.3 MODELLO DI ALTMAN ADATTATO ALLA PMI Nota però che tale modello non è stato applicato solo a grandi società quotate in borsa, ma anche a piccole medie imprese, che rappresentano poi la parte più rilevante dei soggetti economici nel nostro Paese. In questa particolare applicazione i coefficienti degli indici sono stati modificati creando un indice di equilibrio finanziario denominato K: K = 1,981 x X1 + 9,841 x X2 +1,951 x X3 + 3,206 x X4 + 4,037 x X5.

Il valore K > 8,1 sarà il valore migliore, mentre K compreso fra 4,8 e 8,1 indicherà una situazione intermedia; una situazione critica verrà evidenziata da K < 4,8.

127

Dall’applicazione della formula si troverà un valore K per le aziende campione:

t-5

t-4

t-3

t-2

t-1

Alfa

5,9028

6,5010

4,9994

4,9931

4,3142

Beta

-

14,2798

6,2751

-0,2416

-24,8563

Gamma

5,8906

12,8663

5,2053

4,6386

4,2500

Delta

7,2678

2,6447

3,0474

10,3887

12,7960

Zeta

3,5777

3,2510

2,5805

2,1797

1,9792

-

5,1541

6,3180

10,3939

6,7916

Teta

7,3133

2,6282

3,9352

3,3213

-7,1750

Iota

-

-

21,4328

24,3606

11,8445

5,5381

3,0237

9,1387

5,4107

3,6012

Lambda

-

-

4,5320

2,7934

0,5235

Sigma

-

1,4520

5,6651

6,0097

3,8987

Omega

5,4590

10,4498

8,9494

9,0517

6,7697

Eta

Kappa

128

Dall’analisi dei risultati dell’applicazione del modello così modificato si evince che esso è meno preciso dell’originale, tanto che in nessun caso riesce a prevedere il fallimento in anticipo rispetto al modello Altman originale, e inoltre prevede il default con un esercizio di ritardo rispetto al modello originale.

4.2.4 MODELLO SIMONE BRANCOZZI

Proponiamo ora un modello alternativo di rating pensato esclusivamente per aziende di dimensioni piccole e medie.

Questo modello di rating vuole arrivare ad un unico valore riassuntivo della situazione complessiva dell’impresa, sia sotto l’aspetto finanziario che economico, monitorando la dinamica ed il trend di solidità nel tempo, ed avendo insieme uno strumento di valutazione dell’attività imprenditoriale.

Il valore finale, compreso fra 0 e 100, rappresenterà la realtà dell’impresa sfruttando la semplicità del parametro.

Il modello viene applicato riclassificando i dati di bilancio e attraverso il calcolo degli indici. Vengono così individuati: 1. gli indici fondamentali agli effetti del giudizio; 2. il “peso” attribuito a ciascun indice in funzione della sua rilevanza; 3. i corrispondenti indici standard definiti non come parametri orientativi, ma come dati di calcolo.

Il modello è una particolare applicazione degli indici ponderati nell’analisi di bilancio, e si basa pertanto su una “analisi discriminante”, fondata sul calcolo di un indice ponderato, ovvero di un indice che ad un certo valore “discrimina” tra aziende sane e aziende a rischio di crisi.

Gli indicatori vengono scelti per costruire un sistema di indici che vada a concentrarsi sugli aspetti più rilevanti della gestione, e che segnali anomalie di comportamento con la massima tempestività. Vale poi il presupposto che l’analisi di bilancio per indici diventa uno strumento di previsione delle insolvenze tenendo sotto controllo la dinamica della gestione imprenditoriale.

129

Questo modello, comunque, non vuole sostituirsi allo Z score, ma integrarlo con un ulteriore studio dell’equilibrio finanziario e di quello economico per costruire una formula finale di rating che valuti il funzionamento dell’azienda.

Lo studio dell’impresa si divide in cinque fasi: 1.

2.

3.

4.

5.

inserimento dei dati di bilancio; calcolo dello Z score di Altman; calcolo e valutazione dell’equilibrio finanziario; calcolo e valutazione dell’equilibrio economico; calcolo della formula di rating.

In particolare, il calcolo e valutazione finanziario verrà fatto considerando:

dell’equilibrio

1. l’autofinanziamento con l’analisi del cash flow prodotto e residuo; 2. l’indice di correlazione temporale e quantitativa delle fonti, e degli impieghi attraverso l’analisi del margine di struttura associata allo studio del suo trend nel corso degli esercizi; 3. la liquidità mediante l’analisi dell’indice di liquidità e del suo trend.

Soprattutto l’analisi del cash flow evidenzia cosa ha generato o assorbito liquidità nel corso della gestione. È una sorta di rendiconto che indica quali attività necessitano di maggiore attenzione sotto il profilo finanziario. L’analisi del margine di struttura allargato e dell’indice di liquidità immediata permettono, poi, di analizzare la correlazione temporale fra fonti ed impieghi, e il grado di liquidità aziendale, ossia la capacità dell’azienda di far fronte alle passività di breve termine La valutazione dell’equilibrio economico è poi importante perché è proprio la sfera economica dell’azienda che permette di analizzare la sua performance. Tale equilibrio verrà analizzato nei seguenti fattori: 1. analisi del ROI e dei relativi trend; 2. analisi del ROD;

130

3. analisi sul management e sulla valutazione del settore; Lo studio del ROI (Return on Investiment), ossia del rendimento del capitale investito, permette di valutare se l’attività rende adeguatamente, o se è necessario fare degli aggiustamenti. Infatti, il ROI è la sintesi del tasso di redditività delle vendite e della rotazione del capitale investito, e misura il rapporto fra fattore produttivo impiegato e prodotto ottenuto, output su input. Quanto maggiore è l’output a parità di input tanto maggiore è l’efficienza aziendale.

Il ROI permette poi di valutare il rendimento del capitale proprio e di quello di terzi, unito all’analisi del ROD, il tasso di onerosità del capitale di terzi.

ROI e ROD vanno costantemente monitorati – sia come valori immediati che nei relativi trend – per poter poi effettuare le scelte di investimento più remunerative, oppure per sfruttare le potenzialità di una eventuale leva finanziaria, come aumentare il rapporto fra il capitale proprio e quello di terzi.

L’analisi del ROI prosegue poi con la rotazione del capitale investito, ossia la capacità delle vendite di rigenerare il capitale investito, un aspetto importante per valutare la dinamicità dell’attività svolta.

Ultimo step del modello è il calcolo della formula finale di rating che avrà un risultato compreso fra 0 e 100 indicando il grado della salute aziendale: Rischio di default (Z score)* p1 Equilibrio finanziario * p2 Equilibrio economico* p3

+ + =

_____________________________ Punteggio di rating P1, p2 e p3 sono pesi “discriminanti” attribuiti ad ognuna delle tre analisi. Questi pesi esprimono delle opportune ponderazioni che, a loro volta, determinano dei risultati parziali in ogni step del percorso di valutazione, e nella sua formula finale di rating.

131

La costruzione del modello dà poi una diagnosi della situazione aziendale che porta alla previsione della crisi vera e propria. La previsione si basa su due direttrici: 1. componente matematica per una valutazione statica, oggettiva e parziale.

2. componente analitico soggettiva per un’analisi qualitativa con valutazioni di tipo soggettivo, ma dall’interno dell’azienda, e quindi più in linea con la realtà in esame.

Chiaramente questo modello si trova all’interno dell’algoritmo del cruscotto di controllo (www.cruscottodicontrollo.it) 4.2.4.1 MODELLO BRANCOZZI AZIENDE CAMPIONE

APPLICATO

ALLE

L’applicazione di questo sistema di rating è stata realizzata attraverso fogli di calcolo coi quali sono stati calcolati – automaticamente – i valori che portano a determinare l’indice finale riassuntivo della situazione globale dell’impresa.

Sono stati inseriti dati di bilancio, dopo la loro riclassificazione e altre modifiche necessarie. Inoltre, è stato inserito un tasso Euribor del 4%. La simulazione che ne deriva è un po’ vecchia, ma il tasso è una variabile neutra, e quindi non si è voluto adeguarla ai ben più bassi valori attuali.

Si è dato un giudizio sul settore di appartenenza usando un valore uguale per tutte le aziende pari a 7, mentre per il giudizio sul management sono stati dati due valori, 5 e 6, a seconda delle aziende.

Sono così emersi i seguenti dati riportati in tabella:

Indici risultanti dall’applicazione del modello Brancozzi**

t-5

t-4

132

t-3

t-2

t-1

Alfa

0,00

40,26

40,48

37,06

37,89

Beta

-

0,00

20,28

11,16

9,01

Gamma

0,00

85,52

21,31

37,91

38,34

Delta

0,00

32,82

15,32

39,23

21,70

Zeta

0,00

26,69

15,11

19,46

21,88

Eta

-

0,00

44,40

44,01

13,37

Teta

0,00

21,15

13,44

12,85

12,31

Iota

-

-

0,00

57,51

69,72

Kappa

0,00

26,04

18,92

44,80

23,94

Lambda

-

-

0,00

15,36

15,67

Sigma

-

0,00

30,30

35,41

23,31

Omega

0,00

64,49

47,04

44,79

36,74

133

** Il primo valore per ogni azienda è sempre uguale a 0 in quanto il modello si basa sui trend, quindi sul confronto con i dati passati che nel primo esercizio è impossibile.

Il valore pari a 50 è stato considerato come discriminante, ossia il valore al di sotto del quale l’azienda presenta criticità. Una prima analisi generale dimostra come il modello in undici casi su dodici ha previsto delle difficoltà per l’impresa anche con congruo anticipo.

Fra i vari casi per due in particolare, Delta e Kappa, il modello ha mostrato con grande anticipo la difficoltà esistente, anche se nel penultimo esercizio essi mostrano un trend in ripresa, il che fa pensare a una situazione in via di risanamento, anche se gli indici restano al di sotto di 50. Infine, il caso Iota ha costituito un’eccezione. Nei due esercizi considerati, gli indici assumono valori pari a 57 e 69, quindi persino in aumento.

4.2.4.2 CONFRONTO TRA DUE MODELI DI RATING

Mettiamo ora a confronto i risultati ottenuti dall’applicazione dei due modelli (Z-score e modello Brancozzi) per verificare quale dei due è stato più accurato ed efficace nel prevedere il default.

Da un’analisi generale emerge che i due modelli hanno dato spesso risultati simili indicando gli stessi trend. Ma per alcune aziende il modello Brancozzi rivela risultati più accurati rispetto allo Z score.

Così, nei casi Beta, Zeta, Teta e Lambda, entrambi i modelli mostrano tempestivamente le situazioni di criticità, ma per il caso Teta il modello Brancozzi risulta più accurato evidenziando una situazione in costante peggioramento, mentre lo Z score mostra un lieve miglioramento in t-3.

Anche per Eta e Omega il modello Brancozzi risulta più efficace nel non registrare i lievi miglioramenti registrati dallo Z score, specie per il caso Eta con un sensibile miglioramento nel periodo t-2. Tale miglioramento non appare nel modello Brancozzi, con un indice invece costante nello stesso esercizio t-2.

134

Invece per il caso Iota nessuno dei due modelli riesce a prevedere il default, ma probabilmente a causa dello stesso bilancio che non mostra le difficoltà dell’impresa.

In conclusione si può affermare che il modello Brancozzi risulta più accurato dello Z score, soprattutto perché lo incorpora al suo interno, e inoltre esso dimostra di possedere un’utilità che va oltre la sola previsione del rischio di default, ma permette anche di monitorare l’andamento dell’azienda adottando misure correttive dove necessario “per invertire la rotta”.

Così l’utilizzo di questo modello di rating, unito magari ad una classica analisi per indici può risultare uno strumento assai utile per le piccole aziende nell’anticipare la crisi.

4.3 LE WINDOW DRESSING OPERATIONS Quando l’azienda è in difficoltà il manager deve operare su due fronti: 1. recuperare produttività e profittabilità aumentando il fatturato e/o riducendo i costi, e riducendo l’incidenza del capitale investito; 2. conservare le linee di credito in essere e avere ulteriori finanziamenti per azioni di recupero.

In tali circostanze il manager si sforza, naturalmente, di nascondere i segnali della crisi, o perlomeno cerca di evidenziare i segnali di regresso.

Le WDO sono proprio lo strumento usato per rallentare, almeno sulla carta, l’evolversi della malattia cogliendo, intanto, i risultati di azioni correttive.

Questo strumento agisce rivalutando una o più poste dell’attivo e/o sottovalutando una o più poste del passivo in deroga a vari postulati sani di bilancio.

Le WDO si dividono in due categorie.

Le WDO che hanno impatto sul conto economico basate su: 1. rivalutazione del magazzino (es. da lifo a fifo);

135

2. rivalutazione dei beni patrimoniali (es. da valori storici a valori correnti); 3. registrazioni tra i crediti di merci fatturate ma non spedite; 4. ammortamenti ridotti su beni patrimoniali (es. 50% delle quote normali); 5. accantonamenti ridotti a fondi rischi (es. di cambio), ovvero a fondi rettificativi delle poste dell’attivo (es. su crediti e magazzino); 6. iscrizione all’attivo di beni immateriali (es. capitalizzazione di spese di pubblicità).

Queste WDO riducono o azzerano la perdita di esercizio, oppure evidenziano un modesto utile.

Poi abbiamo le WDO che non hanno impatto sul conto economico: 1. sospensione o rallentamento dell’acquisto di merci nel periodo antecedente la chiusura per aumentare l’indice di tesoreria o il test acido; 2. omissione dell’informazione sugli effetti scontati o anticipati (es. conti d’ordine); 3. esclusione dal magazzino di prodotti già pervenuti e la relativa contropartita dei fornitori.

Le WDO della seconda categoria evidenziano i segni di buona salute più che nascondere quelli di insolvenza.

Ma noi ci soffermeremo sugli effetti distorsivi della prima categoria di WDO sullo Z score.

4.3.1 EFFETTI DISTORSIVI DELLE WDO

Partiamo da questo interrogativo. Come, e in quale misura, le WDO possono alterare le cinque variabili di Altman, e quindi i risultati dello Z score?

Per prima cosa, dobbiamo riferirci ai soli casi in cui le WDO vengano effettuate in modo non esplicito per

136

fuorviare la lettura dei terzi. Infatti, è improbabile che, per quanto ben dissimulate, queste WDO possano passare inosservate agli occhi esperti di un buon analista.

Nella seguente tabella si mostra come ciascun WDO influisca sulle 5 variabili di Altman.

Dalla tabella si evince che tutte le WDO portano sì al miglioramento di alcune variabili, ma anche al peggioramento di altre, e così gli effetti delle prime vengono neutralizzati.

Il vero problema, dunque, è quello di capire in quale misura il variare di questi indici si riflette sullo Z score.

Partiamo da delle ipotesi.

137

Pensiamo come prima ipotesi che le WDO siano di entità pari a 6 punti percentuali di profitto. Rivalutando il magazzino, la variabile X1 passerà dal 17,6% al 22,3; X2 passerà da -7% a -0,94 e così via.

In una seconda ipotesi si verificheranno gli effetti di WDO di entità superiore: 10 punti percentuali. A seconda che le WDO vengano effettuate 2 o 3 anni prima dello stato di insolvenza, l’impatto sullo Z score sarà più o meno elevato, come evidenziato dalla tabella seguente:

Da quanto visto si ricava che: 1. la rivalutazione di magazzino e la fatturazione di merci non spedite sono le WDO più insidiose; 2. la rivalutazione dei beni patrimoniali causa effetti distorsivi, ma attiva pure un meccanismo che li neutralizza quasi del tutto.

Inoltre, anche nell’ipotesi di WDO dell’entità di 10 punti percentuali, lo Z score non si discosta in modo significativo dal valore originario. In realtà, il modello di Altman ha in sé un meccanismo che neutralizza in parte gli effetti distorsivi delle WDO. A ciò si aggiunga la relazione del Consiglio di Amministrazione o dei Sindaci sempre su tali effetti.

In conclusione, le WDO non producono sullo Z score effetti tali da privarlo del suo valore.

138

CAP V I COMPONENTI DI UN ADEGUATO ASSETTO ORGANIZZATIVO AMMINISTRATIVO E CONTABILE.

139

5.1 ADEGUATO ASSETTO ORGANIZZATIVO

5.1.1 L’ORGANIGRAMMA

L’organigramma è la rappresentazione della struttura gerarchica e funzionale dell’azienda. In esso compaiono nome e cariche dei vari collaboratori procedendo dall’alto verso il basso, dalle cariche maggiori a quelle minori, secondo poi i vari rapporti di subordinazione.

In molte aziende purtroppo manca, il che è sintomo ovviamente di scarsa organizzazione aziendale.

E anche laddove presente, esso spesso non risponde a una vera esigenza del management, ma soltanto ad un adempimento per conseguire la certificazione ISO sulla qualità dei processi, di cui per altro parleremo.

Ma di certo l’importanza dell’organigramma va ben al di là di un semplice “diploma” di qualità, e costituisce invece lo strumento centrale per esprimere la struttura dell’organizzazione aziendale in funzione degli obiettivi strategici.

L’organigramma risponde alle seguenti domande: “Chi?”; “Qual è il suo ruolo?”; “Quali obiettivi deve raggiungere?”; “Quali sono i suoi compiti di controllo?”.

Queste domande posso essere riassunte con l’acronimo CROC: Chi, Ruolo, Obiettivo, Controllo.

La costruzione dell’organigramma si realizza sulla base della mappa strategica e individua: 1. chi si occupa dell’operatività dei KPI in quanto azioni da compiere; 2. chi si occupa del raggiungimento dei target imposti dai KPI;

140

3. chi verifica il raggiungimento dei risultati a livello di KPI e KPA. Ecco che così l’organigramma dimostra di servire all’operatività, al controllo e al conseguimento degli obiettivi strategici.

L’organigramma serve poi a costruire un team di lavoro capace di rispettare il principio della triangolazione attitudinale e funzionale, ossia qualsiasi unità di lavoro deve includere una personalità con capacità imprenditoriali e manageriali, una con competenze organizzative e una con competenze operative:

141

Un team di lavoro così strutturato sarà perfettamente bilanciato e potrà costruire e realizzare obiettivi aziendali realmente condivisi da tutti; cosa fondamentale, questa, se consideri che la mappa strategica non è poi solo qualcosa di razionalmente astratto, ma è pur sempre il progetto di uomini in carne e ossa che devono davvero credere nei suoi obiettivi, e perché ciò sia possibile, è necessario che l’imprenditore per primo convinca i suoi collaboratori sull’importanza di conseguire obiettivi strategici per il benessere di tutti.

D’altronde è compito dell’imprenditore costruire l’organigramma. Nel farlo potrà chiedere l’aiuto dei collaboratori più stretti o delle risorse più anziane dell’azienda. Ciò che importa nella sua costruzione è innanzitutto l’aspetto psicologico, in particolare l’affinità, l’armonia, la creazione di un team affiatato. È buona norma segnare preliminarmente gli incarichi nella mappa strategica.

In particolare nei KPA si individuano i responsabili del controllo e/o tecnici, nei KPI le risorse operative.

Ad esempio, poniamo il KPI: “effettuare telefonate ai contatti dal Web”. Chi le effettua è la risorsa operativa; chi controlla nel reparto il funzionamento degli apparecchi tecnologici è la risorsa tecnica. Questo approccio garantisce anche il controllo, perché si può conteggiare il numero di telefonate effettuate da ogni operatore.

Così, il responsabile di area (KPA) controlla tutto il reparto delle vendite, organizza e affida il lavoro, valuta l’aderenza agli obiettivi, decide con i superiori la realizzazione della strategia.

In definitiva, passare dalla mappa strategica all’organigramma vero e proprio è solo questione di rappresentazione grafica.

5.1.2 PROCEDURE E CERTIFICAZIONI

142

Innanzitutto chiariamo cosa dobbiamo intendere col termine di “procedure”. Ci sono diversi significati possibili.

Te li espongo di seguito: 1. “procedure” in quanto “azioni”, e quindi processi che vengono eseguiti durante l’attività lavorativa.

2. “procedure” come “insieme” delle attività necessarie per ottenere delle certificazioni.

3. “procedure” come “sinonimo” della documentazione da redigere per poter richiedere una certificazione.

Da queste tre diverse definizioni capisci che le “procedure” sono allo stesso tempo azioni lavorative, attività da certificare e documenti da redigere.

Ora concentriamoci sul punto 1. Si parla di un Sistema di Gestione della Qualità, che poi si abbrevia in SGQ. Ogni azienda secondo la norma internazionale ISO 9001 deve documentare tutti i propri sistemi di gestione della qualità. Questo, molto spesso, porta le aziende ad esagerare nella documentazione presentata per ottenere la certificazione di qualità, ed ecco i punti 2 e 3, ed è pur vero che l’elenco dei documenti richiesti dalla normativa è particolarmente corposo. Vediamoli di seguito: 1.

2.

3.

4.

Campo di applicazione dell’SGQ; Politica della qualità; Obiettivi della qualità; Criteri di valutazione e selezione dei fornitori.

E poi ci sono le registrazioni, sebbene alcune di queste, quelle che ho indicato con l’asterisco, sono obbligatorie solo se il punto corrispondente della norma non è stato escluso rispetto alla specifica azienda a cui si deve applicare: 1. Registrazioni della calibrazione degli strumenti di monitoraggio e misurazione*; 2. Registrazioni della formazione, di capacità, esperienza e qualificazioni; 3. Registrazioni delle revisioni dei requisiti di prodotti/servizi; 4. Registrazione della revisione degli output della progettazione e sviluppo*;

143

5. Registrazioni degli input della progettazione e sviluppo*; 6. Registrazioni dei controlli della progettazione e sviluppo*; 7. Registrazioni degli output della progettazione e sviluppo*; 8. Registrazioni delle modifiche della progettazione e sviluppo*; 9. Caratteristiche del prodotto da produrre e del servizio da erogare; 10. egistrazioni delle proprietà del cliente; 11. egistrazioni dei controlli delle modifiche della produzione/erogazione di servizi; 12. egistrazione della conformità di prodotti/servizi con criteri di accettazione; 13. egistrazione degli output non conformi; 14. isultati del monitoraggio e delle misurazioni; 15. rogramma delle verifiche interne; 16. isultati delle verifiche interne; 17. ultati del riesame della direzione; 18. ultati delle azioni correttive.

R R R R R P R Ris Ris

Infine ci sono anche i documenti non obbligatori. Però, il fatto che non siano obbligatori non vuol dire di certo che siano inutili, anzi si tratta di documenti spesso usati per l’implementazione della ISO 9001.

Di seguito quelli più comunemente utilizzati: 1. Procedura per la determinazione del contesto dell’organizzazione e delle parti interessate; 2. Procedura delle azioni per affrontare rischi e opportunità; 3. Procedura per competenza, formazione e consapevolezza; 4. Procedura per la manutenzione delle attrezzature e dei dispositivi di misurazione;

144

5. Procedura per il controllo dei documenti e delle registrazioni; 6. Procedura di vendita; 7. Procedura di progettazione e sviluppo; 8. Procedura per la produzione ed erogazione di servizi; 9. Procedura di magazzino; 10.

Pro cedura per la gestione delle non conformità e delle azioni correttive; 11.

Pro cedura per il monitoraggio della soddisfazione del cliente; 12.

Pro cedura delle verifiche interne; 13.

Pro cedura per riesame della direzione.

I documenti richiesti sono sicuramenti tanti, ma questo perché una buona SGQ vuole sempre esprimere una chiara struttura dell’attività, dei suoi processi, obiettivi e finalità, rispetto ai seguenti aspetti che rispondono anche a una visione piramidale: 1.

2.

3.

4.

5.

la politica della qualità; il manuale della qualità; procedure; istruzioni di lavoro; piani della qualità e registrazioni.

145

Comunque, se da una parte l’ISO 9001 impone che siano documentati vari tipi di informazione, è anche vero che la norma lascia una certa flessibilità nell’inserire più informazioni all’interno di un unico documento, senza dover così per forza inserire tanti documenti separati per ogni informazione richiesta, e questo affinché l’azienda possa decidere il volume dalla documentazione e il livello delle informazioni documentate. Per fare un esempio, le piccole aziende possono includere le procedure documentate all’interno del manuale dell’SGQ. Comunque, su come strutturare la documentazione del proprio SGQ viene in aiuto la norma internazionale ISO 10013:2001 che offre linee guida per la documentazione dei sistemi di gestione per la qualità, nonché per il dimensionamento della documentazione dell’SGQ e una panoramica sui contenuti e sulla struttura in base ai tipi di documenti dell’SGQ. In linea di massima le indicazioni sono le seguenti.

1) Il manuale di qualità deve presentare struttura e contenuti proporzionati alle dimensioni dell’azienda, alla complessità delle sue attività e alla competenza del personale.

Così le piccole organizzazioni possono documentare l’intero SGQ in un solo manuale, mentre le grandi organizzazioni internazionali possono avere diversi manuali della qualità.

Il manuale comunque deve sempre comprendere: ● ● ● ● ● ● ● ● ●

titolo e indice; campo di applicazione dell’SGQ; esclusioni rispetto alla norma ISO 9001; informazioni sulle versioni e sull’approvazione; politica e obiettivi della qualità; descrizione dell’SGQ; modello dei processi di business dell’organizzazione; definizione delle responsabilità per tutto il personale; riferimenti ai documenti e alle appendici corrispondenti.

146

2) La politica della qualità deve rappresentare una dichiarazione d’impegno, che l’azienda si assume, per garantire qualità e il miglioramento continuo.

Risponde a degli obiettivi di qualità, e per tanto dovrebbe essere sempre ben visibile all’interno delle sedi dell’azienda e sui suoi siti internet.

3) Le procedure della qualità possono avere vari formati e strutture. Possono essere puramente testuali, oppure basarsi su tabelle o altre forme grafiche come diagrammi di flusso. Infine nulla esclude che testi, tabelle e altre forme grafiche possano combinarsi in un’unica esposizione. Ciò che importa è che includano sempre tali elementi: ● Titolo per identificare la procedura; ● Scopo per descrivere la motivazione logica della procedura; ● Campo di applicazione per spiegare gli aspetti coperti dalla procedura e quelli non coperti; ● Responsabilità e autorità di tutte le persone/funzioni coinvolte in qualunque parte della procedura; ● Le registrazioni derivanti dalle attività descritte nella procedura; ● Controllo dei documenti attraverso l’identificazione delle modifiche, la data di revisione, l’approvazione e la versione del documento; ● Descrizione delle attività per indicare tutto ciò che deve essere fatto, da chi e come, quando e dove. In alcuni casi si deve includere anche il “perché”. Inoltre, si devono illustrare gli input e gli output delle attività, comprese le risorse necessarie. ● Inserimento di appendici se necessarie.

4) Le istruzioni di lavoro possono far parte di una procedura oppure essere solo “citate” all’interno di una procedura. In genere, le istruzioni di lavoro hanno una struttura simile a quella delle procedure e contengono gli stessi elementi; però, le istruzioni di lavoro includono dettagli più specifici delle attività che si devono compiere come sequenza delle fasi di

147

produzione, strumenti e metodi da usare, precisione richiesta. È bene comunque ricordare che la formazione del personale, e quindi l’utilizzo di personale competente, può diminuire il bisogno di istruzioni di lavoro molto dettagliate.

In conclusione, ogni SGQ deve essere dimensionato in modo proporzionale alle esigenze organizzative dell’azienda stessa. Questo permette a sua volta di avere una documentazione adeguatamente strutturata, e quindi efficiente per l’azienda e ai fini del certificazione ISO 9001.

MA LA DOMANDA CHE SORGE A QUESTO PUNTO E’: UN’AZIENDA CHE NON ABBIA UN SGQ, A PRESCINDERE DALLE CERTIFICAZIONI ISO, PUO’ RITENERSI ADEGUATA?

5.1.3 GLI E.R.P. Erp è un acronimo: Enterprise resource planning, pianificazione delle risorse d’impresa. Indica un tipo di software per la gestione delle seguenti attività: 1.

2.

3.

4.

5.

contabilità; procurement; project management; gestione del rischio e compliance; operations per la supply chain.

Oltre a queste funzionalità, alcune suite di programmi più avanzate includono anche un enterprise performance management, ossia un software per pianificare, quantificare, prevedere e comunicare i risultati finanziari di un'organizzazione.

Più nello specifico non dobbiamo pensare ad un singolo programma, ma a un insieme di programmi, detti moduli.

Ogni modulo lavora su uno specifico reparto aziendale. Questa strutturazione a moduli è molto comoda per le varie aziende, perché consente loro di strutturare il proprio ERP con moduli diversi a seconda delle varie esigenze. Fai attenzione, però. Se da una parte una divisione in moduli potrebbe farti pensare ad uno strumento

148

chiuso, dall’altra così non è. Anzi, la grande forza degli Erp sta proprio nella loro capacità di di controllare e ottimizzare tutti i processi organizzativi aziendali (acquisti, magazzino, produzione, vendita e contabilità) in modo che questi non siano più strutturati in tanti compartimenti stagni, ma in un flusso continuo di materiali e informazioni, insieme poi a un armonioso coordinamento dei processi decisionali.

Di qui puoi capire perché questi software siano ormai da anni indispensabili per migliaia di aziende, dalle più piccole alla più grandi e nei più disparati settori.

In fondo la loro idea base è semplice: avere sempre a disposizione un grande database condiviso da tutta l’azienda dove far confluire tutti i dati presi dai vari reparti.

Questi dati, a loro volta, vengono organizzati e strutturati in un repository, cioè l’ambiente di un sistema informativo ( come appunto gli ERP) dove vengono gestiti come metadati attraverso tabelle relazionali. Ma come arrivano i vari dati?

Gli ERP si basano su un’architettura client-server.

Questo vuol dire che tutti i clients dell’azienda si collegano ad un unico server dove fanno confluire le loro informazioni.

A sua volta il server si interfaccia col database aziendale, ossia il database management systems.

Proprio quest’architettura rende gli ERP dei sistemi aperti, in grado di interfacciarsi con altri sistemi diversi ed eterogenei tra di loro, se pure basati su singoli moduli.

Comunque, senza scendere troppo negli aspetti tecnici, quello che conta per il nostro studio è la totalità con cui i sistemi ERP guardano alle aziende. Essi rispettano la concezione olistica che abbiamo espresso nei paragrafi precedenti in merito alla mappa strategica senza soffermarsi solo su dati di bilancio quando questi arrivano, e cioè troppo tardi rispetto alla situazione dell’azienda nel presente e nel futuro, e pertanto i software ERP rientrano tra i principali strumenti di controllo strategico.

149

5.1.4 IL PANEL DEI CONSULENTI Assicurare alla propria azienda degli adeguati assetto organizzativi, amministrativi e contabili, è un’operazione complessa che sicuramente l’imprenditore non può realizzare da solo.

Ha bisogno di una serie di professionalità che lo aiutino, fra queste si inserisce certamente il consulente aziendale, ossia la tua figura che, come già abbiamo visto fin dall’introduzione, richiede di evolversi passando dall’immagine tradizionale di contabile a quella, ben più complessa ma anche più stimolante, di consulente strategico aziendale capace, nei modi che ho fin qui spiegato e che ancora vedremo, di tenere costantemente il polso dell’azienda.

Ma la tua figura da sola non basta. L’azienda è un sistema troppo complesso, dinamico e in continua evoluzione, per poter essere controllato da un solo professionista, per quanto “evoluto”.

Occorre un sistema, un panel, come mi piace definirlo di consulenti che si affianchino all’imprenditore nella gestione ordinaria dell’azienda, ed è così che il concetto di adeguato assetto diventa anche adeguato assetto di professionisti.

Per altro, riflettendoci, questa struttura riguarda sicuramente l’imprenditore, ma più in generale riguarda ogni professionista che diventa inevitabilmente imprenditore di se stesso.

Il panel sarà così composto, almeno nei suoi elementi base: 1.

2.

3.

4.

5.

6.

Commercialista strategico/consulente aziendale; Commercialista fiscalista; Avvocato; Assicuratore; Consulente sulla sicurezza; Consulente finanziario;

Come vedi si tratta poi di professionisti sempre necessari, e la loro presenza attiva non può che rappresentare un ulteriore, ma fondamentale, strumento di “allerta”.

150

5.1.5 LA COPERTURA DEI RISCHI Nel delineare il panel dei consulenti abbiamo anche fatto riferimento agli assicuratori.

Pensaci. Noi tutti siamo esposti giornalmente a molteplici rischi che, a loro volta, possono comportare danneggiamenti, deterioramenti e/o perdite. Il caso del Coronavirus è ovviamente un macro esempio, e infatti pensa alla nuova importanza che le polizze assicurative hanno assunto dopo lo scoppio della pandemia. Purtroppo un’importanza tardiva, mentre un’attenzione preventiva, magari alla luce di una buona analisi di scenario, di cui parleremo, avrebbe potuto salvare molte aziende. Ma torniamo al nostro argomento principale.

Dunque, per liberarsi da questi rischi, totalmente o parzialmente, il soggetto può decidere di trasferirli ad un altro soggetto, l’assicuratore il quale, dietro il pagamento di una somma in denaro (il premio), si assume l’obbligo di indennizzarlo e/o risarcirlo per i danni derivati da uno o più eventi contrattualmente stabiliti. Si stringe così una polizza.

Esistono due macro categorie di polizze.

Polizze a rischi nominati (o a rischi definiti): in questo caso l’Assicuratore elenca i rischi che intende assumersi, e di conseguenza ciò che non è nominato è automaticamente escluso. Generalmente questo tipo di polizze sono così strutturate: 1. garanzia base (elenco dei rischi compresi); 2. garanzie facoltative (acquistabili in aggiunta garanzia base); 3. esclusioni; 4. delimitazioni; 5. franchigie; 6. scoperti; 7. limiti di risarcimento;

alla

Polizze all risk: in questo caso l’Assicuratore si assume l’obbligo di tenere indenne l’assicurato da tutti gli eventi

151

che non sono espressamente esclusi. Si tratta di polizze utilizzate generalmente per alcune coperture specialistiche, ad esempio RCT, CAR, EAR , ELETTRONICA, INCENDIO, RISCHI INDUSTRIALI. In questa seconda tipologia la struttura diventa ovviamente più semplice, e include solo: 1.

2.

3.

4.

5.

oggetto dell’Assicurazione; esclusioni; delimitazioni; franchigie; scoperti e limiti di risarcimento.

Ma quali sono le polizze a rischi nominati e quelle all risk?

Ti offro un elenco di entrambe a puro titolo esemplificativo.

Polizze a rischi nominati per: 1. acqua condotta; 2. acqua piovana; 3. autocombustione; 4. bang sonico; 5. caduta aeromobili, loro parti o cose trasportate; 6. caduta meteoriti; 7. caduta satelliti; 8. colaggio di impianti sprinklers; 9. dispersione di liquidi; 10. uzioni vulcaniche; 11. plosione e scoppio; 12. enti atmosferici (trombe, uragani, tempeste, bufere, grandine); 13. venti sociopolitici (tumulti, scioperi, sommosse, atti vandalici o dolosi, terrorismo e sabotaggio); 14. enomeno elettrico (esteso o no alle apparecchiature elettroniche); 15. ulmine;

152

er es ev e f f

16. umo; 17. elo e/o ghiaccio; 18. randine su fragili; 19. mplosione; 20. ncendio; inondazioni, alluvioni, allagamenti; 21. ntasamento gronde e pluviali; 22. cclusioni di tubazioni; 23. igurgito o trabocco di fogna; 24. ovraccarico neve; 25. pese di ricerca e riparazione danni da acqua condotta; 26. erremoto; 27. rto veicoli; 28. andemia (ho volutamente aggiunto questo elemento per ultimo. Alla luce di un’opportuna analisi di scenario, sarebbe stato possibile per molte aziende prevedere quanto successo in merito al Corona Virus, e di conseguenza tutelarsi proprio con una polizza, magari al risk)

f g g i i i o r s s t u p

Polizze all risk per (elemento escluso dalla polizza): 1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

dolo; inquinamento e contaminazione; infedeltà dei dipendenti; difetti di materiale prodotto; normale deperimento, usura o logoramento; lavori di costruzione, modifica e trasformazione fabbricati; montaggi, smontaggi, manutenzioni e revisione di macchinari; 8. trasporto delle cose assicurate;

153

9. guasti meccanici, elettrici ed elettronici propri del macchinario, attrezzature, arredamento (salvo quanto previsto dalle estensioni relative ai rischi "Guasti accidentali elettrici/elettronici); 10. ma remoto; 11. me rci in refrigerazione per effetto di mancata o anormale produzione o distribuzione del freddo o fuoriscita del fluido frigorifero; 12. t erremoti (rischio già assicurato per alcuni settori), eruzioni vulcaniche, bradisismo, franamento, cedimento o smottamento del terreno; Esistono poi le cosiddette polizze Monoramo.

Garantiscono SOLO una serie di rischi omogenei afferenti ad un Ramo specifico, ad esempio la polizza Furto, la polizza Incendio, la polizza RCT/RCO. Ancora, ci sono le polizze Multirischio. Queste, all’interno di un unico contratto, prevedono più sezioni afferenti a rami diversi: multirischio dell’abitazione, globale fabbricati civili, multirischio del commercio.

Un altro aspetto rilevante, poi, sono le diverse forme d’assicurazione con cui vengono prestate le garanzie di polizza. Vediamole nel dettaglio.

1. Assicurazione a Valore Intero: vi è l’obbligo di assicurare il bene/beni per l’intero valore assicurabile, e in caso di “sottoassicurazione”, ossia di valore assicurato inferiore al valore complessivamente assicurabile, si sarà soggetti all’applicazione della regola proporzionale; 2. Assicurazione a Primo Rischio Relativo: qui l’assicurato deve fornire due elementi, il valore complessivamente assicurabile del bene/beni, e una somma corrispondente alla massima esposizione da parte dell’Assicuratore, di fatto un limite di risarcimento. Anche questa forma di assicurazione è soggetta all’applicazione della regola proporzionale.

154

3. Assicurazione a Primo Rischio Assoluto: l’assicuratore si impegna a risarcire fino alla concorrenza della somma pattuita senza obbligo di dichiarazione del valore complessivo assicurabile.

Nei tre punti precedenti abbiamo parlato di regola proporzionale. Ma di che si tratta? È disciplinata dall’art.

1907 del Codice Civile. Prevede che, in caso di sottoassicurazione, l’assicuratore risponda del danno in una proporzione che, generalmente, è così calcolata: VALORE ASSICURATO/VALORE ASSICURABILE x DANNO ACCERTATO = DANNO LIQUIDABILE A questa regola, comunque, le polizze applicano quasi sempre “una tolleranza” indicata come “deroga alla proporzionale”. Spesso tale tolleranza è espressa in percentuale (10%/20%), e sta a significare che, se al momento del sinistro i valori assicurati non si discostano in misura superiore a quanto previsto, la regola non troverà applicazione.

5.2.

IL

SISTEMA

INFORMATIVO:

STRUMENTI

QUALITATIVI E GLI “INDIZI DI CRISI”

Quali sono gli indizi per scoprire se in un’azienda è già presente o meno una crisi? La risposta per eccellenza, quella che sentirai da qualsiasi revisore è il bilancio. Lo abbiamo visto in apertura. In Italia da Fra’ Luca Pacioli in poi vige il dogma del bilancio. Le aziende si controllano dal bilancio. E abbiamo già visto più volte che questo non può bastare. Lo ribadisco: quando si rileva una crisi nel bilancio è tardi, stiamo già constando gli effetti della crisi, non la causa, ad esempio un Roi e un Masa negativi e lo abbiamo potuto constatare nei capitoli precedenti.

Ma i veri indizi di crisi si nascondono in elementi intangibili, più profondi, a cui pure abbiamo già accennato.

155

Ti offro un caso esempio. Pensiamo a un clima aziendale negativo. Questo clima potrebbe essere colpa di dipendenti che non sono più motivati, che non sentono più il bisogno di dare consigli per la crescita dell’azienda stessa. Ma questa mancanza di motivazione personale potrebbe essere anche colpa dello stesso imprenditore. Perché?

Perché spesso le ore di aggiornamento e formazione per un impiegato sono giudicate non solo inutili, ma addirittura dannose in quanto sottratte alle ore di produzione vera e propria. E pertanto il dipendente finisce per ripetere ogni giorno lo stesso identico lavoro senza vedere mai alcuna possibilità di sua evoluzione personale all’interno, poi, della crescita generale dell’azienda. Ed ecco che egli comincia a diventare appunto svogliato e privo di spinta propositiva.

Intanto, la mancanza di formazione porta alla perdita d’innovazione nei prodotti o servizi che l’azienda offre. Così i prodotti invecchiano, rientrano in un portafoglio maturo e perdono competitività, e quindi quote di mercato.

Ecco, questi sono solo un esempio consequenziale dei veri indizi di crisi. Li ho definiti “intangibili”, e infatti non si possono scoprire con il bilancio che, invece, su questi aspetti ci lascia al buio. Ricorda il buio di cui ho parlato nell’introduzione. Allora ci vogliono degli strumenti diversi, non quantitativi, bilancistici, come il Budget e scostamenti, analisi per indici, Z Score, Break Even Analysis etc, ma qualitativi.

Questi strumenti qualitativi mettono in luce appunto la qualità di vita e lo sviluppo di un’azienda. Usandoli in modo combinato vanno a costituire un complesso informativo che ci mostra l’azienda come organismo complesso, dinamico, e non un insieme monolitico fatto solo di entrate e uscite.

Anzi, soffermiamoci su questo aspetto. Che cos’è un’azienda? Cerchiamo un’immagine. Credo che l’unica immagine possibile sia quello di un albero frondoso e carico di frutti.

Ora, l’albero azienda affonda le sue radici in un humus, che è formato da: 1.

2.

3.

4.

qualità e sviluppo delle risorse umane; politiche degli investimenti; conoscenza del mercato; competenze tecnologiche;

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5. relazioni socio-economiche; 6. manutenzione degli impianti; 7. rapporti con la clientela.

Quindi ci sono le radici: 1. innovazione; 2. formazione; 3. clima aziendale.

Non è un caso se, negli esempi di indizi di crisi che ti ho offerto, sono più volte comparsi questi tre elementi.

Rappresentano davvero le radici. Senza di essi non si può andare avanti, e devono essere costantemente monitorati, anche perché, oggi, è la stessa riforma della crisi ad imporcelo, imprenditori-amministratori e revisori insieme. E ritorniamo così al cuore di questo libro: L’art 2086 secondo comma, insieme agli altri articoli a lui correlati. Bene, ora vedremo quali sono gli strumenti qualitativi da utilizzare nel rispetto e applicazione della riforma stessa.

5.2.1. ANALISI DI SCENARIO Cominciamo con l’analisi di scenario. Essa ci consente di analizzare quello che io chiamo “il mare da solcare”.

Quando un marinaio si mette in navigazione per prima cosa studia le caratteristiche morfologiche del mare e delle coste che dovrà attraversare. Ecco, l’analisi di scenario ci permette di decodificare e descrivere — in maniera compiuta — quali sono le caratteristiche dell’ambiente esterno in cui l’azienda dovrà operare.

L’ambiente esterno si compone di quattro grandi ambienti che sono: 1.

2.

3.

4.

l’ambiente socioeconomico; la concorrenza; la domanda; la tecnologia;

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Questi quattro ambienti non potranno mai restare uguali al passato, se è vero che il futuro non può mai essere uguale al passato, ma dovranno per forza cambiare, e pertanto ogni azienda per andare avanti deve essere in grado di adeguarsi ad essi.

Il più importante dei quattro è sicuramente l’ambiente socioeconomico, ossia come la società stessa cambierà in futuro i propri gusti, stili di vita, usi e costumi. Segue la concorrenza che risponde alle aspettative che si creano proprio rispetto all’ambiente socio politico e quindi ai concorrenti. Il terzo ambiente è la domanda, ossia il mercato e i clienti, e il quarto è la tecnologia.

Nella nostra analisi, determinate alcune ipotetiche modificazioni dell’ambiente sociopolitico, si dovrà analizzare come queste influiranno sulla domanda e come questa, a sua volta, reagirà, ossia se aumenterà, diminuirà, oppure se si sposterà verso altri mercati. Ancora, bisognerà capire quale sarà la reazione della concorrenza al modificarsi della domanda. Più nello specifico le sue reazioni potrebbero essere:

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2.

3.

4.

consolidarsi sulle attuali posizioni; scegliere di abbandonare il mercato; attaccare la posizione dell’azienda in esame; l’arrivo di concorrenti da altri mercati.

Ognuna di queste reazioni avrà poi un impatto specifico sullo sviluppo tecnologico, ad esempio aumentando il bisogno di tecnologia, o al contrario riducendone la presenza sul mercato.

Tutte queste valutazioni daranno delle ipotesi sul futuro.

Queste ipotesi dovranno poi essere discusse all’interno della nostra azienda insieme ai maggiori portatori di interesse nell’azienda stessa, come i collaboratori più importanti e i professionisti.

Una discussione del genere è molto importante. Serve a creare un consenso comune su quale possa essere l’ipotesi di sviluppo futuro più plausibile. E se un po’ tutti nell’azienda finiscono per concordare sull’evoluzione da

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seguire, ecco che i cambiamenti aziendali non sono più percepiti come semplici imposizioni, ma piuttosto volontà condivise. In altre parole si cambia insieme. A questo punto segue l’analisi SWOT, la programmazione strategica e la mappa strategica finale.

Ma facciamo un passo indietro. Ipotizziamo il mutamento di un elemento specifico dell’ambiente socioeconomico, e prendiamo il caso di una società che tenda a diventare col tempo sempre più minimalista negli usi e costumi. Rispetto a tale mutamento potrebbe verificarsi una reazione X del mercato. A questa reazione X. la concorrenza potrebbe poi rispondere con una reazione A. Questa reazione A potrebbe poi far pensare a un certo sviluppo della tecnologia.

Ecco che si viene già a delinearsi uno scenario al quale attribuire una certa probabilità, e questo perché il mercato potrebbe, sempre nell’ambito delle ipotesi, rispondere con un’altra reazione di tipo B da parte della concorrenza, e tale nuova reazione porterebbe poi a uno sviluppo tecnologico diverso. Analogamente, alla stessa reazione X dell’ambiente socioeconomico, il mercato potrebbe reagire con una reazione di tipo Y, non più di tipo X. Ciò potrebbe a sua volta indurre una reazione diversa della concorrenza di tipo C, ad esempio l’arrivo di nuovi concorrenti.

In definitiva, dal tipo di reazioni dipende lo scenario, il quale apparirà completamente diverso da caso a caso, ed è per questo che bisogna costruire più scenari, ad esempio quattro o anche di più.

I quattro ambienti possono poi essere ulteriormente scomposti in sotto-ambienti.

Così, l’ambiente socioeconomico può dividersi in:

1.

2.

3.

4.

politica e legislazione; relazioni internazionali; conflitti internazionali; modificazione degli usi e costumi della popolazione.

L’ambiente politico legislativo sarà con buon grado di approssimazione sempre meno conservatore — a discapito di politiche liberiste — e in direzione di una sempre

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maggiore collaborazione tra enti e cittadini, tanto da far pensare ad un ritorno dello Stato verso il cittadino.

Le relazioni internazionali saranno caratterizzate sempre più dalla eliminazione delle barriere con una maggiore facilità nell’interscambio di merci, oltre che nel turismo.

Questo poi non potrà non coincidere con l’apertura di nuovi mercati, e di conseguenza con una sempre maggiore vocazione all’export di tutte le aziende, mentre sarà difficile una vita aziendale a connotazione fortemente nazionale, anche perché ogni mercato sarà invaso da concorrenti stranieri.

I conflitti internazionali nei prossimi 15 anni probabilmente persisteranno nelle zone dell’Africa e del Medio Oriente, ma senza accentuarsi. Però, qualora un’azienda decidesse in futuro di internazionalizzarsi, l’analisi attenta degli Stati in cui andare a operare sarà, di certo, sempre più importante.

Sulla modificazione degli usi e costumi della popolazione. sono soprattutto due gli elementi che sicuramente si intensificheranno: i nuovi modi di comunicare e la semplicità di spostamento.

Già oggi si comunica tantissimo raggiungendo un numero enorme di persone e creando molteplici reti di interscambio.

Per, altro, i recenti eventi legati al Coronavirus hanno fortemente, e direi d’improvviso, aumentato la velocità di digitalizzazione del lavoro, ma anche della vita sociale, aprendo a molteplici potenzialità.

Sulla facilità di spostamento, invece, possiamo essere sicuri che sarà ulteriormente garantita dallo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto, come le auto elettriche, mini elicotteri e tanto altro.

Ma usi e costumi cambieranno anche riguardo al risparmio energetico, perché continuerà a crescere la sensibilizzazione sugli sprechi nell’ottica della razionalizzazione dei consumi, e tutto ciò all’interno di una più generale visione di vita, il minimalismo, ossia il bisogno di eliminare l’inessenziale, il lusso, a discapito di varie nicchie di mercato.

Attenzione, però, perché minimalismo non significa vivere peggio, ma al contrario vivere meglio usando di meno; direzione per altro obbligata dato il lungo sperpero fatto dall’uomo delle risorse naturali. La riduzione dello spreco ha per altro molteplici accezioni. Ad esempio, può

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implicare l’idea di ridurre il tempo speso in molteplici attività per concentrarlo invece nella cura di sé stessi.

Oppure, può voler dire ottimizzare gli spazi rinunciando a costruire il nuovo per usare quello che già c’è, e basti pensare al recupero delle aree industriali — la così detta l’archeologia industriale — o al recupero di palazzi costruiti tra gli anni Sessanta e Settanta con cemento mischiato a degli inerti di sabbia di fiume e mare, ma con poco ferro, e quindi destinati ad essere riprogettati e ristrutturati con enormi potenzialità di mercato.

Infine, restando sempre nell’ultimo sotto ambiente, va evidenziato come continueremo a vivere in una società multi etnica.

Si tratta già di una tendenza inarrestabile. Vivremo in una società dove sarà assolutamente normale la piena condivisione con persone di razze, culture, usi e costumi diversi. E chi si frappone a questo sviluppo, cercando invece di mantenere il più possibile lo status quo, è destinato ad essere travolto; lo dimostra ormai da anni la vita di qualsiasi grande città, ma anche quella dei centri più piccoli.

Tale multietnicità incrementerà poi lo sviluppo del turismo, dei trasporti, con un sempre maggiore bisogno di nuove aziende in questo settore. D’altra parte, in una società multietnica la tendenza al viaggio è alimentata dalla conoscenza stessa di nuove etnie con un naturale passa parola.

Così, questi quattro sotto ambienti ci hanno dato una visione complessiva del futuro. Una visione unitaria segnata da una tendenza progressista, da uno stile di vita minimalistico con una riduzione dello spreco, e da una società multietnica. Ed è partendo da simili riflessioni che bisogna poi interrogarsi su come conseguentemente reagirà l’azienda, e di qui nasce la sua analisi interna, ossia l’analisi SWOT che vedremo nel prossimo paragrafo.

Prima però, a titolo d’esempio si offre qui di seguito una rappresentazione schematica di un case history possibile, ossia un’analisi di scenario di un ipotetico calzaturificio.

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Ecco, sulla base di questi schemi nel nostro case history ritornano tutti gli elementi visti, ed anzi se ne offrono altri come il pet friendly.

Dallo scenario si può ipotizzare che ci sarà un aumento nella produzione di scarpe rispetto a design, performance e utilizzo dei materiali, e nell’ambito di una

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domanda che riguarderà l’altissimo lusso e quindi la fascia altissima dei consumatori, mentre certo “lusso a metà” non è un trend destinato a proseguire, almeno stando a questa previsione. Però, design e alta qualità, sia delle prestazioni della calzatura che dei materiali, sicuramente verranno premiati.

La domanda resterà stabile per le calzature di tipo tecnico e per il bassissimo valore aggiunto, ossia per le scarpe che sostanzialmente costano poco, e che quindi hanno nel prezzo il loro unico punto di forza. Invece, la domanda diminuirà per la fascia media, cioè per quelle scarpe che non sono né di lusso né di basso valore aggiunto: chi sta nel mezzo non esisterà più in sostanza, ma subirà un grosso calo nel fatturato, almeno sempre secondo questa previsione.

La concorrenza a sua volta, rispetto ai primi tre ambienti, aumenterà con l’ingresso nel settore delle calzature di altri competitors, soprattutto nell’ambito del lusso estremo e del design. Invece, la concorrenza rimarrà stabile nell’ambito delle calzature tecniche e di basso valore aggiunto, pur essendoci meno produttori, anche perché per calzature di fascia medio bassa molto probabilmente la produzione si sposterà in paesi più a basso costo.

La tecnologia presenterà una rivoluzione per le calzature di fascia alta, di altissimo lusso e grande design, sperimentando nuovi materiali, nuovi tessuti e rinnovata ricerca. Mentre l’obsolescenza tecnologica riguarderà solo le calzature di bassa qualità.

Questo è il nostro scenario. Ad esso segue l’analisi SWOT. 5.2.2 ANALISI SWOT L’analisi SWOT è un’analisi interna dell’azienda.

Individua i punti di forza e debolezza le minacce e le opportunità dell’azienda stessa in rapporto all’evoluzione dei quattro ambienti esterni esaminati con l’analisi di scenario. Questi punti poi aiutano a delineare delle minacce e delle debolezze su cui lavorare per poi costruire la mappa strategica.

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Per entrare più nel dettaglio offriamo qui di seguito un altro case history basato su un’azienda che produce per conto terzi. L’analisi SWOT darà così questo risultato:

Dalla seguente tabella emerge un’azienda dotata di una buona qualità dei prodotti, con clienti soddisfatti. In particolare si tratta di una produzione per conto terzi, quindi manca una propria linea prodotti.

Anche l’organizzazione produttiva è buona, ma ecco la prima debolezza: il numero committenti, e si tratta di un punto debole comune a molti terzisti. Non presenta poi un’organizzazione commerciale. Ma soprattutto, come già accennato, non presenta una linea propria di prodotti, e di conseguenza sviluppare una linea interna potrebbe essere un’opportunità a patto di saper sfruttare quel trend, visto nel paragrafo precedente, del design, della tecnologia e quindi del lusso.

Anche il brand è un punto mancante, ed è ovvio data l’assenza di una propria linea di prodotti. Però, mancando esso costituisce anche un’opportunità, ossia possiamo costruirlo, ed ecco perché è “tutto da costruire”. Non c’è poi e-commerce, anche questo a causa della mancanza di prodotti propri, ed è così un’altra debolezza e opportunità insieme.

Infatti, basta ancora lavorare su una linea propria per sviluppare questo ulteriore canale commerciale. La vera minaccia sta comunque nel mercato, o meglio nella

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concorrenza, specie considerando che tutti i concorrenti fanno analisi SWOT simili a questa, e di conseguenza altre aziende potrebbero porsi gli stessi obiettivi del nostro case history, anche se fortunatamente l’azienda della nostra analisi presenta in conclusione buone capacità d’innovazione e di design.

Ora, sulla base di queste valutazioni andremo a costruire la mappa strategica con i relativi KPI.

5.2.3 MAPPA STRATEGICA La mappa strategica è l’insieme di tutte le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi aziendali. Si tratta di un’attività da compiersi ogni volta che si vuole “disegnare” la propria azienda capendo come agire su diversi livelli. Perché quando pensi ad un’impresa non devi mai pensare a un blocco monolitico, ma piuttosto ad un insieme che si articola appunto su più livelli.

Per essere più chiari immagina un albero. Da cosa si compone un albero?

Innanzitutto ci sono le radici che affondano nella terra.

Poi abbiamo il tronco che si sviluppa nei vari rami. Infine sui rami ci sono foglie e frutti. Ora, un’azienda è proprio come un albero. Le radici sono innovazione, formazione e clima aziendale. Queste affondano nella terra, ossia i valori aziendali. Dalle radici sale il tronco con tutti i suoi rami, e si tratta dei processi aziendali. Infine, le foglie sono i clienti e i frutti i prodotti o servizi con i rispettivi ricavi.

La mappa strategica regola proprio le varie azioni che lungo questo albero devono compiersi per assicurare che l’albero stesso sia sempre sano.

Ma entriamo più nel dettaglio e vediamo un caso esempio di costruzione di una mappa strategica.

Prenderemo come esempio il caso di un’azienda artigianale media che produce macchinari per l’agricoltura.

Si parte da quattro aree:

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1.

2.

3.

4.

prospettiva prospettiva prospettiva prospettiva

finanziaria; cliente; dei processi interni; di crescita e formazione.

Ognuna di queste aree risponde a delle “cause” che generano poi “effetti” nell’area stessa.

Gli effetti determinano poi dei KPArea che devono, a loro volta, essere monitorate da un sistema di Balanced Scorecard. Vedremo meglio nel prossimo paragrafo, infatti, che una Balanced Scorecard è proprio uno strumento misuratore, e solo indirettamente di controllo. Ma entriamo più nel particolare.

La prospettiva finanziaria presenta a sua volta tre sotto aree, tre KPAreas: 1. produttività: la redditività e il conto economico; 2. aspettative dei shareholder: le aspettative di chi porta interesse all’interno e all’esterno dell’azienda, ossia azionisti, ma anche fornitori, finanziatori e anche dipendenti; 3. crescita dei ricavi, specie per aziende che trovano in questa crescita possibilità di potere finanziario e politico; Ora, la nostra azienda modello dal punto di vista della redditività è un’azienda Roi, ossia un’azienda a prevalenza Ros che aumenta, a sua volta, se è elevato il margine di contribuzione, e quindi l’alto grado del margine di contribuzione è la causa da perseguire per avere l’effetto di una buona redditività.

Segue la seconda sotto area, quella delle aspettative dei portatori di interesse. Nel nostro caso esempio, trattandosi di un’azienda familiare, l’effetto di avere le aspettative soddisfatte si realizza attraverso la causa di una buona solidità finanziaria, accompagnata anche da crescita patrimoniale. Invece mancano aspettative sulla crescita nel mercato dell’azienda stessa.

In sostanza si tratta di una sotto area di peso minore.

Ma sul concetto di peso torneremo nel paragrafo successivo.

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La seconda prospettiva che dobbiamo prendere in considerazione è quella dei clienti, ossia come i clienti vedono la nostra azienda. tale prospettiva si divide quasi sempre in sei sotto aree, sei KPAreas: 1.

2.

3.

4.

5.

6.

prezzo; qualità; tempo di consegna; funzioni; brend; partnership: collaborazioni con altri soggetti.

Il prezzo nel nostro caso non è molto importante, perché si tratta di investimenti di lungo periodo.

Un agricoltore non vuole investire su un macchinario che costi poco, ma vuole investire su un macchinario affidabile, durevole nel tempo e che aumenti la sua produttività. Ciò significa che in questo caso il prezzo non è una variabile da tenere in considerazione, non è una variabile “strategica”; anche su questo concetto torneremo nel paragrafo successivo.

La qualità, invece, come puoi ben capire, costituisce in questo caso una variabile molto importante. Anzi, si rende necessario per l’azienda creare macchinari che possano essere gestiti da un solo dipendente e con elevate performance. Ma soprattutto è importante che la qualità sia chiaramente percepita dal cliente, e come potremo fare? Ad esempio con un’indagine periodica sulla durata dei carrelli presso i clienti, oppure con un questionario sul miglioramento di utili avuti dai clienti attraverso i carrelli stessi, e quindi sul miglioramento delle performance.

Il tempo di consegna. L’azienda tipo presa da noi in esame lavora prettamente su commesse. Di conseguenza, questa sotto area diventa fondamentale.

Potremmo inserire un KPI specifico per sapere quante volte i tempi di consegna sono stati rispettati e quante volte no.

Le funzioni indicano quanto il cliente percepisce il prodotto come usabile con facilità e capace di dare dei

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miglioramenti in efficienza, e quindi di reddito. Per monitorare questo aspetto potremmo usare gli stessi indicatori usati per la qualità, risparmiando poi sugli indicatori e facendo anche confluire l’area delle funzioni in quella della qualità.

Il brand. La percezione del brand in un pubblico di agricoltori come nel nostro caso è molto elevato. Per far crescere il brand in questa azienda la strategia migliore è quella di diffondere feedback positivi con indicatori che li raccolgano, ma anche con indicatori che misurano il sistema di web marketing, poiché è proprio tale sistema ad avere il compito di diffondere il più possibile i feedback positivi .

Anche la partnership è molto importante perché permette una migliore fruibilità da parte dei clienti.

Ad esempio, sempre nel nostro caso è fondamentale avere dei concessionari locali per avere una rete di vendita più diffusa, e di qui deriva il bisogno di sapere quanto il concessionario si sente integrato con l’azienda stessa. Per saperlo esistono vari indicatori: il numero di preventivi, il rapporto tra preventivi fatti e preventivi chiusi, oppure il fatto che il concessionario abbia nel suo portafogli prodotti anche i prodotti di aziende concorrenti.

Segue la prospettiva dei processi interni. I processi interni sono generalmente le attività di acquisto, produzione e vendita. Nel nostro caso l’azienda deve per prima cosa produrre in qualità assoluta in ogni aspetto e materiale, con rigidi controlli. E così in questa prospettiva noi potremmo, ad esempio, inserire degli indicatori che ci dicano quante volte ci sono stati dei fermi di produzione rispetto alla qualità non conforme, oppure degli indicatori per blocchi di produzione causati dal fornitore, magari per non aver mandato materiali conformi, oppure per non aver consegnato in tempo.

Anche in questa prospettiva si può riconoscere una sotto area incentrata sul cliente.

Si dovranno qui inserire degli indicatori su i contatti con i clienti in fase di progettazione, lavorazione e anche post vendita.

Si riconosce in quest’area di produzione anche una sotto area dedicata all’innovazione.

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Per garantire innovazione sarà di certo necessario inserire molti tecnici nella produzione, e da ciò un buon indicatore che si potrebbe ricavare potrebbe essere stabilire quanti tecnici per collaboratore hanno i rispettivi concorrenti e, una volta stabilito un numero medio, si dovrebbe metterne nella nostra azienda di più.

Ultima sotto area nella sfera dei processi è il rispetto delle norme di produzione con l’inserimento di indicatori per sapere quanti collaudi sono stati fatti su tot prodotti, e anche quante volte i collaudi stessi non hanno dato esito positivo.

L’ultima area strategica è anche la più importante: la formazione, innovazione e crescita. Si tratta di un’area fondata solamente su elementi altamente strategici, come ti sarà ormai chiaro, e quindi rivolti al futuro, e non solo al presente. In quest’area riconosciamo tre sotto aree che sono il capitale umano, il capitale informativo e l’innovazione.

Riguardo al capitale umano, in questa azienda modello è fondamentale che tutti i collaboratori siano altamente specializzati e aggiornati e che lavorino in un clima collaborativo positivo. Quindi sarà necessario creare degli indicatori in queste sotto aree che dicano quante ore di formazione fanno i collaboratori, quanti corsi di aggiornamenti fanno, com'è il clima aziendale, e su quest'ultimo aspetto un primo indicatore, semplicissimo, che si potrebbe usare è il numero di consigli dato da ogni collaboratore all’azienda stessa.

Infatti,un collaboratore che non sente di dare consigli alla propria azienda, evidentemente, non è realmente motivato nel proprio lavoro.

Sul capitale informativo è fondamentale per la nostra azienda che tutte le procedure siano scritte in un manuale, e che siano diffuse, e questo porta anche a un indicatore sulle ore di formazione specificatamente sui nuovi prodotti, e un altro indicatore potrebbe riguardare i miglioramenti dei processi produttivi.

In questa area è fondamentale anche l’organigramma di cui abbiamo già parlato, e sarebbe auspicabile avere degli indicatori sull’aggiornamento costante dell’organigramma, almeno ogni sei mesi, ma anche un

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indicatore che dica quante volte una certa delega non è andata a buon fine.

Da quanto detto fin qui si capisce che la mappa strategica si basa sempre su cause che producono effetti, questi effetti determinano cause in aree superiori che, a loro volta, determinano altri effetti, e così via, il tutto in un meccanismo a catena e insieme a piramide.

5.2.4 BALANCED SCORECARD La Balanced Scorecard non è in realtà uno strumento così nuovo come si possa credere. Esiste infatti, ed è largamente usata, da quasi 30 anni. I suoi padri, Kaplan e Norton, la descrissero per la prima volta nel 1992 in un articolo pubblicato su “Harvard Business Review” dal titolo: The Balanced Scorecard: Measures That Drive Performance. Purtroppo, però, come ho già accennato nell’introduzione, ancora oggi fatica ad affermarsi in Italia dove predomina il dogma del bilancio nella gestione aziendale.

La Balanced Scorecard — in italiano “scheda di valutazione bilanciata” — è un modello di controllo capace di unire misure finanziarie e non, e questo perché ingloba al suo interno la mappa strategica, o meglio nasce come ideale collegamento tra la mappa strategia stessa (intesa come “missione” con i suoi relativi obiettivi) e la gestione operativa in modo che quest’ultima, a sua volta, sia il più possibile allineata alla prima. In sostanza rende la mappa strategica misurabile, e quindi concretamente attuabile, attraverso un insieme di misure che sono poi i KPI (Kay Performance Indicator). Ma come funziona nello specifico? Vediamo.

Si individuano quattro prospettive fondamentali. Devi pensare a quattro grandi gruppi di variabili strategicamente più rilevanti.

Le quattro prospettive sono comunque sempre le stesse che abbiamo già individuato in merito mappa strategica, e che scompongono ogni azienda nella sua totalità:

1. Prospettiva finanziaria;

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2. Prospettiva dei processi interni; 3. Prospettiva clienti; 4. Prospettiva dell’apprendimento e dello sviluppo.

La prospettiva finanziaria mostra come l’azienda appare a soci e azionisti. Presenta indicatori tutti appartenenti a dati di bilancio, e in essa vengono misurate la redditività aziendale e l’equilibrio finanziario.

La prospettiva dei processi interni include tutti gli approvvigionamenti, la produzione e la vendita. Ci dice come l’azienda stia lavorando e su cosa dover migliorare sul lungo periodo, prevenendo così fattori di rischio di una crisi.

Un merito della Balanced Scorecard in questa prospettiva sta proprio nel saper identificare i nuovi processi in cui l’impresa deve eccellere, per conseguire gli obiettivi finanziari e customer based. Mentre gli approcci tradizionali tentano solo di migliorare e monitorare i processi esistenti.

La prospettiva clienti si focalizza su come l’azienda è vista dai suoi clienti (customer based), in particolare in termini di customer satisfaction.

La prospettiva di apprendimento e sviluppo risponde alla domanda su come migliorare e creare valore per il futuro, ponendo l’attenzione sulle attività che fanno aumentare le competenze interne, e che a loro volta aiutano i processi interni e l’innovazione. In particolare, guarda a tre elementi fondamentali: 1. innovazione; 2. formazione; 3. clima aziendale.

Purtroppo quest’area è spesso la più trascurata, pur essendo tra le più importanti perché è l’unica che permette davvero alle aziende non solo di guardare al futuro, lavorando per impedire l’invecchiamento e la morte dei propri prodotti, ma anche per creare un clima aziendale positivo, stimolante, cosa indispensabile, questa, per la qualità del lavoro quotidiano, nell’immediato, specie rispetto alla situazione di molte aziende con dipendenti che non mostrano alcun

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interesse a dare propri consigli per lo sviluppo dell’azienda stessa. Inoltre è proprio in quest’area che si manifestano a pieno quelli che vengono definiti “elementi strategici intangibili”. Pensaci. In qualsiasi impresa si possono rilevare elementi tangibili, concreti, evidenti, ad esempio i processi di produzione o tutti i dati di bilancio. Ma c’è poi qualcosa di più profondo, e appunto intangibile, come invisibile a ogni dato oggettivo: la formazione, l’innovazione e il clima aziendale. Ne parleremo più avanti, ma già qui è facile capire come in un’impresa che non curi questi elementi, che non si curi di tutta la formazione necessaria all’innovazione costante dei propri prodotti, e che per giunta sia segnata da dipendenti sempre insoddisfatti, di certo è un’azienda destinata a scomparire. Bisogna saper misurare anche l’invisibile o, se preferisci, saper gettare luce a quel buio da dove siamo partiti.

Ma torniamo alle nostre quattro prospettive. In esse ci sono poi delle sotto aree, le KPArea (Key Performance Area). Queste a loro volta includono ciascuna un certo numero di indicatori strategici: i KPI (Key performance indicator). In genere il numero dei vari KPI per ogni area non dovrebbe essere troppo grande, e ciò per consentire alla Balanced Scorecard d’essere sempre uno strumento agile, facile per quanto possibile.

Infine, i KPI rispondono a specifici obiettivi da raggiungere in termini numerici seguendo un “peso” specifico attribuito ad ogni KPArea.

Per farti capire il funzionamento dei KPI pensa ad una bilancia. Quando ti pesi, questa ti dà una misura precisa che però, da sola, non ti permette di raggiungere il tuo obiettivo, che potrebbe di perdere peso, di non ingrassare oltre, o al contrarie di prendere chili. Ci vuole una strategia, una dieta studiata per te da seguire, e quando il dato della bilancia rientra nella tua strategia ecco che diventa un indicatore prezioso. La Balanced Scorecard funziona proprio così: misura la mappa strategica da seguire con degli indicatori di performance espressi in valori numerici rispetto al raggiungimento o meno degli obiettivi prefissati

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5.2.4.1 Prospettiva finanziaria: suoi indicatori

Gli indicatori cambiano in base alle sotto aree a cui appartengono, e quindi alle rispettive prospettive. E vediamo ora, in questo e nei seguenti paragrafi, quali sono in genere i vari KPI per ogni prospettiva.

Per la prospettiva finanziaria abbiamo: 1. L’albero del ROE ed in particolare il ROI e le sue componenti ROS e Toci; 2. L’analisi del margine di contribuzione; 3. La leva operativa e quella finanziaria; 4. Gli indici o i flussi economico-finanziari; 5. il tasso di crescita dei ricavi e degli utili; 6. il Net-Present-Value; 7. l’EVA.

5.2.4.2 Prospettiva clienti: sui indicatori 1. analisi di mercato; 2. indicatori lagging; 3. indicatori lead; In particolare gli indicatori lagging misurano il grado di successo delle azioni passate, mentre gli indicatori lead misurano le azioni in corso finalizzate al raggiungimento di un obiettivo.

Sono indicatori lagging: 1. La quota di mercato; 2. Il tasso di fidelizzazione; 3. I risultati della customer satisfaction (soddisfazione del cliente); 4. Il tasso di crescita dei clienti.

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Gli indicatori leading, invece, si basano sulla valutazione dei prodotti in base all’opinione espressa dai clienti cercando, ovviamente, la loro massima soddisfazione possibile. La valutazione tiene conto: 1. Degli attributi del prodotto/servizio (come funzionalità, qualità, prezzo); 2. Dell’immagine dell’azienda (valutando la pubblicità, la comunicazione, ecc.); 3. Delle relazioni con i clienti (tempi di consegna, giudizi, valutazioni del servizio post vendita, ecc.).

5.2.4.3 Prospettiva dei processi interni: suoi indicatori In quest’area vi sono due tipi di indicatori. I primi sono gli indicatori di efficienza, e troviamo: 1. Misure di produttività (rapporto output/input, valore aggiunto per dipendente, 2. ecc.); 3. Misure degli sprechi (somma degli scarti, percentuale di rilavorazioni, 4. numero interventi di riparazione, ecc.); 5. Indicatori della tecnologia (tasso automazione, numero 6. componenti presenti nel prodotto finale, ecc.); 7. Indicatori di efficienza rispetto al fattore tempo (lead time di produzione, delivery 8. time, time to market, ecc.).

9. La capacità di approvvigionarsi Beni; 10. a capacità di saper vendere; 11. a capacità di far funzionare bene i processi amministrativi.

Poi ci sono gli indicatori di efficacia che, più generalmente, sono tutte quelle misure atte a quantificare la capacità di raggiungere gli obiettivi. Sono

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volti a monitorare la qualità dei processi, sia sotto il punto di vista del cliente che dell’impresa.

5.2.4.4 Prospettiva dell’apprendimento, dello sviluppo e del clima aziendale: suoi indicatori Qui gli indicatori sono davvero tanti, troppi per riportarli in un elenco. In particolare, però, per misurare il bisogno formativo che ogni azienda ha, sarebbe opportuno attuare la seguente strategia organizzativa con conseguenti misurazioni: 1. tracciare un elenco di tutte le competenze presenti in azienda; 2. tracciare un secondo elenco delle competenze mancanti; 3. sovrapporre i due elenchi; 4. elaborare un fabbisogno formativo; 5. elaborare un piano formativo con un tot di ore settimanali o mensili da rivolgere alla formazione dei dipendenti stessi.

Ancora, si potrebbe misurare il turn over dei dipendenti, oppure il loro numero di ore d’assenza per malattia.

Come detto gli indicatori sono veramente tanti. In linea di massima, comunque, è buona norma seguire un principio esposto proprio da Kaplan e Norton, quello dei consigli interni alle aziende. Come ho già detto in molte imprese i vari collaboratori non danno dei propri consigli per la crescita e il miglioramento dell’azienda, mentre si limitano a svolgere le quotidiane mansioni quasi meccanicamente. Un simile atteggiamento denota, ovviamente, mancanza d’interesse verso la propria realtà lavorativa, e questo è un grave problema di fondo che potrebbe anche essere causato dallo stesso imprenditore. Lui stesso, infatti, potrebbe impedire la presenza di un clima aziendale positivo, magari con turni di lavoro eccessivamente pesanti. È buona pratica, perciò, far fare ai propri dipendenti delle visite annuali presso uno psicologo del lavoro che potrà, facilmente, stilare dei report con tutte le indicazioni del caso. D’altra

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parte, le responsabilità dello stesso imprenditore in questa quarta prospettiva sono molte profonde. Infatti su di lui non solo grava il peso della formazione dei dipendenti, ma anche della propria. Troppi imprenditori, purtroppo, ancora oggi si riducono ad essere “operai” della propria azienda. Gestiscono le urgenze del quotidiano, sono sempre in ufficio, ma dimenticano di formarsi seguendo fiere, seminari, o andando in visita dai concorrenti.

In conclusione, capisci come davvero quest’ultima prospettiva sia la più profonda e sensibile di tutte, quella che agisce sugli elementi intangibili di cui ho detto. E il fatto che la Balance riesca ad agire a simili livelli di profondità la rende uno strumento davvero unico.

5.2.4.5 Potenzialità e vantaggi della Balanced Scorecard Abbiamo già chiarito in buona parte le potenzialità della BSC. Ma ora cerchiamo di scendere più nel dettaglio elencando tutti i vantaggi che offre: 1. un sistema di controllo olistico capace monitorare tutti i processi aziendali dall’inizio (i valori dell’azienda) alla fine (i ricavi) dando un’unica rappresentazione sintetica (o se preferisci “bilanciata”) di tutte le variabili più sensibili da gestire; 2. onitora l’azienda in tempo reale, e non più soltanto attraverso dati storici di bilancio che si rivolgono al passato anziché al presente e al futuro, e sui limiti del bilancio come strumento di controllo ricorda quanto ti ho detto già nell’introduzione; 3. un ottimo strumento interno di comunicazione per gli amministratori nell’implementare la strategia e l’organizzazione aziendali; 4. isulta molto utile nella gestione di reti aziendali e alleanze strategiche;

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è

m

è

r

5. ffre ai membri del C.d.A informazioni finanziarie, e non, utili come supporto interno alle discussioni del Consiglio e per assicurare che le scelte della governance siano sempre coerenti con lo sviluppo futuro delle quattro macro aree già viste; 6. one l’azienda al riparo dalle perturbazioni congetturali poiché, rileva tempestivamente qualsiasi scostamento dalla programmazione strategica permettendo d’intervenire prima che si creino le inefficienze alla base di ogni crisi aziendale.

5.2.5 IL CRUSCOTTO DI www.cruscottodicontrollo.it

CONTROLLO

-

Sul solco di tutte queste utilità si pone il Cruscotto di controllo. È una rielaborazione e softerizzazione della Balanced Scorecard. L’ho elaborato nel corso di oltre dieci anni con il difficile obiettivo di raggiungere un adattamento della Balanced alla specifica realtà delle piccole e medie imprese italiane. Rappresenta davvero per me quella luce sulle crisi d’impresa di cui parlavo nella presentazione, oltre tutti i limiti del bilancio e del suo dogma in Italia.

Segue sempre la struttura delle quattro prospettive con relative KPArea e conseguenti KPI. Semplifica, però, il numero e la specificità dei KPI considerati, e questo proprio per adattarsi il più possibile alle piccole e medie imprese, sebbene ovviamente possa poi benissimo adattarsi e svilupparsi anche per aziende più grandi.

Inoltre punta a una piena usabilità, ed è perciò strutturato attraverso un software molto semplice.

Guarda agli imprenditori ma non direttamente, bensì attraverso una figura d’intermediazione che è il consulente aziendale, cioè tu.

Immagina d’essere un medico. Hai diversi pazienti. Per ognuno devi monitorare i valori fondamentali come il

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o

p

battito cardiaco, la pressione e il ritmo di respirazione.

Immagina di poter controllare tutti questi valori su più pazienti quasi contemporaneamente. Sarebbe un controllo perfetto, costante e totale. Ecco è proprio quello che succede col Cruscotto di controllo.

L’interfaccia ti pone nella condizione di super utente. In base ai valori che i diversi imprenditori comunicano sulla propria azienda, per ognuno di loro tuoi puoi elaborare un report, che è poi il vero servizio del cruscotto.

Ricevendo questo report l’imprenditore conosce immediatamente lo stato della propria attività, e di conseguenza può intervenire subito senza dover aspettare il risultato dei bilanci, merito sempre di quell’analisi on time che la BSC permette.

Capisci bene come il tuo stesso ruolo cambi. L’ho già accennato nell’introduzione.

Diventi un consulente aziendale strategico. Ricevi dati sull’andamento reale dell’impresa che segui. Il software ti aiuta nel delineare dei KPI che indicano specifiche azioni da compiere quotidianamente.

Se queste azioni vengono rispettate ecco che l’azienda mantiene la sua continuità aziendale, sempre intesa in senso anglosassone come going concern, ossia la capacità di compiere ogni giorno delle azioni che garantiscano all’azienda un futuro migliore, a partire proprio da quelle impalpabili azioni strategiche, poste ben oltre il solo aspetto economico finanziario, di cui abbiamo detto. E se tu, con l’aiuto di uno strumento come il cruscotto, o meglio come la BSC, riesci a garantire il permanere della continuità aziendale, impedendo l’insorgere della crisi, o comunque rilevando tempestivamente i suoi primi indizi, ecco che aiuti l’imprenditore tuo cliente a rispettare l’articolo 2086 secondo comma, e di conseguenza a far sì che il tuo cliente rientri negli obblighi dell’intera riforma della crisi.

Quanto può valere tutto ciò per un imprenditore?

Sicuramente tantissimo. E quanto può valere per te?

Anche di più.

Così adottare una gestione aziendale con la guida della Balanced, e se vuoi del Cruscotto, ha molteplici implicazioni per te professionista:

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1. diventi un consulente strategico in grado di guidare le aziende dei tuoi clienti giorno per giorno; 2. rispondi ad un ruolo di attuatore della Riforma cui lo Stato stesso ti chiama in quanto, come recita il nostro stesso statuto di Commercialisti, “giurista ed economista d’impresa”; 3. ti evolvi e contribuisci all’evoluzione dell’intero sistema finanziario italiano per abbandonare una volta per sempre il dogma del bilancio adeguandosi, semplicemente al resto del Mondo.

5.3 STRUMENTI QUANTITATIVI LE EVIDENZE DELLA CRISI Dopo aver illustrato gli strumenti qualitativi necessari per definire un sistema informativo costante sull’andamento della vita aziendale, e dunque riconoscendo in modo tempestivo come vuole la riforma i primi segnali di crisi, vedremo ora di seguito, invece, strumenti quantitativi legati al bilancio.

Non è infatti assolutamente mia intenzione negare in toto la validità dei strumenti bilancistici. Solo ritengo, e ti dovrebbe ormai essere ben chiaro, che questi vadano integrati all’interno di un sistema di controllo più ampio.

Non a caso il cruscotto di controllo da me elaborato non esclude, ma al contrario include tali strumenti sempre per quella concezione olistica propria della Balanced Scorecard.

I vari strumenti che qui andremo ad analizzare serviranno soprattutto a mostrare le evidenze della crisi, come recita il titolo, rispetto a un livello d’allerta forse tardivo ma pure necessario e fisiologico rispetto a quei diversi livelli d’allerta e richiamo che abbiamo già considerato.

5.3.1 LA PARTITA DOPPIA

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CONTABILITÀ GENERALE : è un sistema contabile che ha come fine la determinazione del reddito d’esercizio, che scaturisce dalle scritture contabili in Conto Economico e in Stato Patrimoniale e del reddito imponibile, ovvero la base per la tassazione della società. È diretta sia ad interlocutori interni (management, amministratori), sia ad interlocutori esterni (portatori di interessi).

È imposta dalla legge. Si basa sul metodo della partita doppia: piano dei conti, registri contabili e bilancio. Ci sono obbligazioni civilistiche che obbligano l’azienda a tenere il libro giornale.

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La contabilità direzionale integrata fornisce le informazioni che servono all’imprenditore per prendere decisioni ed è data da: - CONTABILITÀ GENERALE; - CONTABILITÀ ANALITICA; - BUDGET O STANDARD; - RILEVAZIONI EXTRACONTABILI.

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5.3.2 LA CONTABILITÀ ANALITICA

La contabilità analitica rappresenta uno strumento fondamentale della contabilità direzionale. È conosciuta anche come contabilità industriale, o dei costi, o interna. Si occupa di monitorare costi e ricavi interni per poi rielaborarli e riclassificarli a seconda di precise metodologie che l’azienda intende adottare. Il suo obiettivo è quindi un pieno controllo di gestione necessario, a sua volta, per le scelte strategiche del management aziendale.

La contabilità analitica non è obbligatoria per legge , a contrario della partita doppia, ma è ormai indispensabile rispetto a mercati altamente competitivi come quelli moderni.

A dimostrazione della sua importanza, ti basti sapere che è proprio la contabilità analitica a far stabilire: 1. la convenienza economica di un’attività; 2. l’efficienza produttiva di un processo operativo; 3. le informazioni da seguire per stabilire il prezzo di vendita di nuovi prodotti/servizi.

Peraltro, l’analisi che sta alla base di questa contabilità non è affatto statica, ma anzi decisamente dinamica attraverso software gestionali che permettono di integrare, automatizzare, velocizzare, e ovviamente analizzare molte operazioni in tempo reale.

Ma come funziona? Possiamo riassumere così i punti fondamentali: 1. analisi dei costi, dei ricavi e dei risultati economici, fatta non necessariamente con il metodo della partita doppia, ma lasciando ad ogni azienda le proprie metodologie di gestione; 2. riclassificazione dei costi non per natura, (ossia costi per materia prima, costi manodopera, costi lavorazione, eccetera) come prevede la contabilità generale, ma per destinazione in base a uno o più criteri, e secondo le informazioni da estrapolare;

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3. individuazioni di costi-uscita e costi imputazioni, i primi sono costi sostenuti per l’acquisto di un bene o di un servizio, i secondi sono attribuzioni di parte dei costi sostenuti a specifici oggetti, definiti Centri di Costo ed equivalenti a un prodotto, una commessa o un’area funzionale.

In sostanza, riclassificare i costi per destinazione vuol dire imputare determinate parti di costo sostenuto a determinate aree gestionali o funzionali. E questo, in molti software gestionali specifici per commesse e servizi, è fatto indicando, durante il caricamento di documenti di ciclo attivo e passivo, o nella compilazione “Prima Nota”, tutti i centri di costo o le commesse cui attribuire un costo o un ricavo.

Dobbiamo infine concludere facendo un confronto tra la contabilità generale e quella analitica.

La contabilità generale è solitamente detta esterna perché i suoi dati sono appunto destinati all’esterno:finanziatori, fornitori, azionisti, creditori, Stato, eccetera. Tali dati dovranno poi fluire in documenti economici obbligatori per legge: il bilancio e il conto economico. Il metodo seguito per la tenuta e la registrazione dei conti è la partita doppia, che è obbligatoria. Così, durante l’esercizio, i dati contabili vengono registrati nella Prima Nota. Questa permette di tener conto di tutti gli scambi che avvengono tra l’azienda e l’ambiente esterno, ossia da una parte le acquisizioni di fattori produttivi (acquisti), e dall’altra i trasferimenti sul mercato di beni e servizi (vendite). Tutto ciò con lo scopo primario di determinare a fine anno il reddito di esercizio attenendosi al principio di competenza.

Invece la contabilità analitica è interna. I suoi dati non sono destinati ad essere divulgati, ma come abbiamo detto servono al management aziendale per supportare le decisioni strategiche da prendere, o per valutare i nuovi prodotti/servizi.

Natura esterna, natura interna. Qui è dunque la principale differenza. Come puoi ben capire si tratta di due prospettive completamente diverse.

La seconda distinzione riguarda la classificazione dei costi. Ne abbiamo già parlato: per natura e per destinazione. Anche qui cambia la prospettiva. Nel primo caso si guarda a quale tipologia produttiva ha generato il costo: materie prime,

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manodopera, cessioni, vendite eccetera. Nel secondo, invece, i costi rispondono alle loro destinazioni, ovvero si individua una specifica area — ad esempio un’area organizzativa, una linea di prodotti o un prodotto — in base al loro effettivo realizzo. Facciamo un esempio, se vengono sostenuti dei costi per l’acquisto di materie prime che servono per svolgere più commesse in corso, si attribuisce la parte di competenza a ciascuna commessa in base a criteri decisi dalla direzione.

Da questa distinzione sui costi capisci facilmente come i dati della contabilità generale sono oggettivi e documentati, mentre quelli della contabilità interna sono, quasi sempre, stimati e allocati sulla base di percentuali d’incidenza. Ed è perciò che, mentre i dati della contabilità generale sono dati di sintesi per determinare conti sulle variazioni monetarie e/o finanziarie dell’azienda, i dati della contabilità interna sono dati analitici discreti o stimati necessari per valutare i costi per singolo prodotto/servizio o segmento aziendale.

5.3.3 IL BUDGET Parto con una semplice domanda. Alla luce di quanto detto sui limiti dei vari strumenti bilancistici, e rispetto al bisogno di cogliere non solo variabili strategiche quantitative, ma soprattutto quelle qualitative e più impalpabili, ha senso ancora oggi fare analisi di budget?

Normalmente, quando si arriva a fine settembre o inizi di ottobre ecco che si affaccia nelle varie aziende l’idea di fare delle analisi di budget per l’anno successivo.

Una prima risposta è sì. Certo che il budget serve, non deve essere escluso, ed anzi rientra sicuramente tra gli strumenti messi in atto nella Balanced Scorecard in merito alla prospettiva finanziaria. Però serve un budget “fatto bene”, per dirla più semplicemente possibile.

E allora, ci sono delle premesse fondamentali da ricordare nel fare un budget. Per prima cosa un budget non è una previsione, ma un programma d’azione espresso in termini quantitativi, ed essendo tale deve indicare tutte le azioni da compiere per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti.

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Allora il primo passo per costruire un buon budget sarà elaborare un elenco chiaro degli obiettivi da perseguire.

Invece, il secondo passo consisterà nello sviluppo di un buon piano d’azione.

Ma guardiamo degli esempi concreti. Pensiamo al budget delle vendite. Di certo bisognerà guardare alla storia, al passato, ad esempio per conoscere i prodotti che nel corso dell’anno sono stati più richiesti e consumati, anche come sistema di offerta, ma queste informazioni servono per interpretare il passato sempre alla luce del futuro, e specialmente alla luce di possibili cambiamenti. I miei clienti avranno delle diverse esigenze il prossimo anno? Se la risposta è sì, è chiaro che bisognerà rivedere il rapporto con loro rispetto agli anni precedenti, e di conseguenza sarà buona pratica non fare un budget per prodotto, ma per cliente. D’altra parte qualsiasi programma di fatturazione, oggi, possiede sempre come sotto prodotto un ambito di analisi ABC cliente, e quindi sarà molto facile individuare subito i clienti maggiori e quelli di fatturato minore, insieme ovviamente ad altre caratteristiche.

C’è poi un altro tipo di budget che purtroppo viene spesso dimenticato, ed è invece molto importante, il budget per approvvigionamenti. Prova a pensare come può cambiare il rapporto con i fornitori se non ci si limita a riflettere sulle vendite per l’anno successivo, ma anche sui prodotti da acquistare, sempre nell’anno successivo, per soddisfare i clienti. Una simile riflessione fa scattare un rapporto completamente diverso con i fornitori, e fa nascere con loro una vera partnership.

Ultimo aspetto da considerare, è il fatto che oggi il budget si può chiudere verificando la fattibilità finanziaria del piano d’azione futuro, ed è questo il budget di cassa, ossia una proiezione dei flussi economico finanziari.

5.3.4 IL MARGINE DI CONTRIBUZIONE Il margine di contribuzione è senza ombra di dubbio la grandezza economico aziendale più importante per controllare la gestione economica di un’impresa.

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Purtroppo, ancora oggi 8 aziende su 10, per non dire 9 su 10, non usano affatto questo strumento gestionale. Ciò è gravissimo, ed equivale a attribuire i risultati dell’andamento gestionale dell’azienda al caso.

Il concetto di “margine di contribuzione” molto spesso trova delle difficoltà ad essere pienamente appreso, forse perché in realtà è spiegato male. Proviamo a spiegarlo semplicemente con degli esempi concreti.

Immaginiamo che l’azienda sia composta da ingranaggi e che questi, a loro volta, siano azionati da una cascata d’acqua, anch’essa a sua volta alimentata dai costi fissi o costi indiretti.

I costi fissi o indiretti sono quei costi di struttura che l’azienda sostiene comunque, a prescindere dal livello delle vendite. Un esempio di costo fisso è la mano d’opera, sebbene nei testi scolastici sia indicata come un costo variabile, ma l’esperienza concreta dimostra che così non è. Poi vi sono gli impiegati, gli affitti, gli ammortamenti, i leasing, costi amministrativi, finanziari per le banche e così via. In sostanza sono costi di cui l’azienda ha bisogno proprio per andare avanti. Assodato ciò, basta fare un calcolo. Posto che: 1 anno = 210 giorni lavorativi; Totale costi fissi / 210 giorni lavorativi = Costo fisso giornaliero.

Il costo fisso giornaliero equivale alla somma fissa che l’impresa deve guadagnare per poter andare avanti, ancor prima dei ricavi, ed è quindi il primo problema che la gestione aziendale deve porsi. Entrano poi in scena i prodotti.

Ogni prodotto per poter essere venduto ha bisogno di sostenere altri costi, come quello della materia prima, della lavorazione e così via. Questi sono costi variabili. E così succede che ogni prodotto, nel momento in cui viene venduto dà un prezzo a cui si sottraggono i costi variabili, e quello che resta, appunto il margine, deve essere usato dall’azienda in primis per coprire costi fissi.

Da tutto ciò capisci che ci vorranno tanti margini di contribuzione per coprire tanti costi fissi, e se i prodotti venduti saranno pochi è chiaro che il margine di contribuzione

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non sarà più sufficiente per coprire i costi fissi. Invece se, per fare un esempio, con tre prodotti venduti, e loro relativi margini di contribuzione, l’azienda guadagna il necessario per coprire i costi fissi che arriva al cosiddetto break even, il punto di equilibrio. Superato questo punto, dal quarto prodotto in poi venduto tutti i margini di contribuzione producono utili.

Volendo poi fare una esemplificazione scolastica, per trovare quante quantità giornaliere di prodotti occorre vendere per raggiungere il punto di equilibrio, ossia quantità di equilibrio, basta dividere il costo fisso per il margine di contribuzione, che è poi la formula del Break Even Point.

Si andrà poi a tracciare una curva dei costi variabili, una dei ricavi totali, una dei costi variabili, e quindi se sovrapponiamo sulla curva dei costi fissi quella dei costi totali troviamo il costo totale e il break even.

Il margine di contribuzione è davvero determinante. Se io conosco qual’ è il costo fisso giornaliero, e so anche qual è il margine unitario di ogni prodotto, basta moltiplicare il margine unitario di ogni prodotto per i prodotti venduti nel giorno per sapere se sono stati superati i costi fissi, e quindi avendo poi utili, oppure no.

Il margine di contribuzione ha poi diverse applicazione, ad esempio per capire se i prodotti devono essere prodotti internamente o esternamente.

5.3.5 BREAK EVEN POINT Quando il margine di contribuzione totale è pari ai costi fissi totali, si ha una condizione di equilibrio chiamata Break Even Point, BEP, in italiano “Punto di pareggio”.

Viene calcolato con il rapporto tra costi fissi (CF) e il margine di contribuzione (MDC): BEP = CF/MDC Così, se un’azienda che vende biciclette ha dei costi fissi di 1.000 euro al giorno e per ogni bicicletta presenta un margine di contribuzione unitario di 50 euro si avrà: BEP = 1.000/50

188

BEP = 20 Ossia l’azienda dovrà vendere ogni giorno 20 biciclette per raggiungere il punto di pareggio. Una volta che l’azienda supera il break even point produce profitto.

Da quanto fin qui detto capisci che per produrre profitto non basta avere un alto fatturato, ma un fatturato capace di coprire tutti i costi superando il punto di pareggio.

Ritornando, poi, sul margine di contribuzione, una volta che lo conosciamo ci basta moltiplicarlo giornalmente per il numero di prodotti venduti per capire se stiamo al di sopra o al di sotto del punto di pareggio, e quindi se stiamo guadagnando o no. È importante che questo calcolo sia fatto giornalmente. Infatti, così facendo l’imprenditore conosce giornalmente lo stato dei propri guadagni e può intervenire di conseguenza.

5.3.6 IL ROS E IL TOCI

5.3.6.1 IL ROS Il Ros (Return On Sale) è un indice, proprio dell’analisi di bilancio. Indica la redditività di ogni singola vendita.

In sostanza, ci dice qual è il margine lordo rispetto al fatturato. Fai attenzione. Quando parliamo di “indice” intendiamo sempre un valore numerico, e questo valore dipende dal rapporto fra due grandezze: 1. eddito operativo caratteristico (RO); 2. endite (V).

Il reddito operativo caratteristico è una grandezza desunta dalla “gestione caratteristica”. Con questa

189

r v

espressione si indicano le attività proprie dell’azienda, ossia i settori di: 1. “acquisto”; 2. “produzione”; 3. “amministrazione”; 4. “vendita”.

A sua volta, il reddito operativo caratteristico si calcola sottraendo ai ricavi delle vendite, (1) i costi commerciali, (2) i costi industriali e (3) i costi amministrativi. Invece, non fanno parte del reddito operativo caratteristico (A) gli oneri di natura finanziaria, (B) le imposte sul reddito, (C) i proventi o oneri derivanti da investimenti accessori, e (D) i proventi o oneri derivanti da operazioni straordinarie.

Le vendite, invece, consistono nei ricavi ottenuti dalle vendite nette di prodotti/servizi, al netto di detrazione (sconti, resi, etc.). Rispetto a queste il ROS misura quanta redditività generano i ricavi netti.

Il ROS può crescere, a parità di vendite, se vengono effettuati opportuni correttivi, come ad esempio l’aumento dei prezzi di vendita o la diminuzione dei costi di produzione. In entrambi i casi, infatti, si ha un aumento del margine di contribuzione e quindi un aumento del reddito operativo, che determina un proporzionato aumento del ROS.

5.3.6.2 IL TOCI Il Toci (Turn Over del Capitale Investito) è un altro indice. È usato per misurare la redditività delle aziende che producono beni a basso valore aggiunto, puntando sulla vendita di grandi quantitativi di prodotti a basso costo. Vedremo nei prossimi paragrafi, infatti, come molte aziende si possano dividere in aziende ROS o Toci.

Più in particolare si basa sul rapporto fra vendite e capitale investito: TOCI = V/CI

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Con questo rapporto è possibile sapere quando l’azienda riesce a monetizzare il capitale investito attraverso i ricavi di vendita, e così, per fare un esempio, se il Toci ci dà come risultato 12, questo vuol dire che l’azienda riesce a trasformare una volta al mese il capitale investito in denaro.

Si può avere un aumento del TOCI, se si riesce ad aumentare le vendite (e quindi rendendo più consistente la trasformazione del capitale in denaro), e o se si diminuisce la quantità di capitale investito.

5.3.6.3 IL ROI Il Ros e il Toci sono poi in rapporto tra loro. Se li moltiplichiamo abbiamo il Roi, (Return on Investiment).

Tecnicamente, il Roi esprime la capacità di un’azienda di remunerare gli investimenti in fattori produttivi, a fecondità semplice e ripetuta, in crediti e partecipazioni, ed effettuati con le fonti di finanziamento provenienti dai mezzi propri e dai capitali di terzi. In parole più semplici è un indice sintetico della redditività globale di tutti gli investimenti effettuati in azienda.

Il Roi quindi è uguale a: ROS*TOCI E quindi, poiché il ROS è dato dal rapporto fra reddito operativo e vendite, mentre il TOCI dal rapporto fra vendite e capitale investito, si ha che:

ROI =

𝑅𝑂 𝑉

*

𝑉 𝐶𝐼

𝑅𝑂

= 𝐶𝐼

Semplificando i termini frazionari, otteniamo che il ROI è dato dal rapporto fra reddito operativo e capitale investito, dove il reddito operativo (RO) indica il risultato della gestione tipica d’impresa, e il capitale investito (CI) indica tutti gli impieghi effettuati in

191

azienda con i finanziamenti da capitale proprio o capitale dei terzi.

In conclusione il ROI è determinato sia dall’aumento del reddito operativo rispetto alla vendite (rappresentato attraverso il ROS) sia dalla velocità di monetizzazione del capitale investito rispetto alle vendite (TOCI).

5.3.7 AZIENDE ROS O TOCI Le aziende ROS sono aziende con poche vendite ad alto valore aggiunto. La Ferrari, per fare un esempio, è una tipica azienda ROS con poche vendite ma con elevato guadagno per ogni unità venduta, e quindi con grandi spostamenti a livello di reddito di esercizio.

Se però le vendite si contraggono, anche di poco, rispetto a un fatturato di equilibrio, ecco che si hanno perdite elevate. Da tutto questo, si capisce le aziende ROS sono aziende capaci di dare grandi soddisfazioni, ma anche decisamente più rischiose.

L’azienda TOCI è invece l’esatto contrario. In questo caso, come visto, il TOCI aumenta se aumentano le vendite rispetto al capitale investito, e quindi dobbiamo avere un capitale investito che non sia troppo elevato, e questo implica poche immobilizzazione e pochi crediti, per concentrarsi invece il più possibile sulle vendite.

I costi fissi in questo secondo tipo sono molto più bassi, e rispetto al break even point, per ottenere guadagni importanti, bisogna elevarsi molto al suo di sopra, come pure, però, per registrare grosse perdite bisogna porsi molto al suo di sotto. Di conseguenza, si tratta di un tipo di azienda assai più limitata, ma anche molto più sicura.

Tipico esempio di azienda TOCI è un qualsiasi supermercato, o più in generale un negozio. Qui si punta tutto sulle vendite, spesso abbassando il costo, e quindi con perdite in termini di ROS, ma con un guadagno per il reddito operativo.

Per schematizzare:

192

1. AZIENDA ROS, POCHE VENDITE CON ELEVATO MARGINE (ESEMPIO FERRARI) 2. AZIENDA TOCI, MOLTE VENDITE CON BASSO MARGINE 3. (ESEMPIO SUPERMERCATO)

5.3.7 L’EQUILIBRIO FINANZIARIO E IL MASA

5.3.7.1 L’EQUILIBRIO FINANZIARIO L’equilibrio finanziario riguarda il rapporto fra entrate e uscite, più nello specifico tra gli investimenti fatti nell’azienda e le fonti di finanziamento degli stessi.

Per cui si ha una situazione di equilibrio finanziario quando: 1. le fonti di finanziamento sono pari o superiori agli impieghi da un punto di vista quantitativo e se, nello stesso tempo, esiste tra loro correlazione temporale.

Ora, esaminiamo questa definizione. Ogni investimento richiede ovviamente delle delle fonti di finanziamento.

Queste si dividono in due grandi tipologie: 1. il capitale proprio, formato dalla liquidità personale dell’imprenditore stesso, e stabilmente vincolato all’azienda (si rimborsa quando l’azienda è messa in liquidazione e poi chiusa).

2. il capitale di terzi, derivato dal prestito di una terza persona a breve termine (entro 12 mese), o a lungo termine, oltre 12 mesi.

Quasi sempre si ricorre al capitale di terzi. In questo caso bisogna fare molta attenzione sugli investimenti che quel capitale dovrà coprire, ricordando sempre quella che possiamo definire la regola aurea del finanziamento:

193

1. la durata del finanziamento deve avere durata pari o superiore al tempo di permanenza del fattore produttivo all’interno dell’azienda, o detto altrimenti, la durata del debito deve essere almeno pari alla durata del fattore produttivo per avere un flusso di cassa sufficiente a ripagare il prestito.

Che vuol dire questo? Proviamo a spiegarlo con un esempio. Poniamo di dover acquistare un macchinario per una fabbrica. Stringiamo un mutuo quinquennale per coprire il costo di 100.00 euro, e quindi 20.000 euro all’anno per cinque anni.

Ora, se sappiamo che il macchinario produrrà efficacemente per almeno sei anni, e che ogni anno si potranno recuperare 25.000 euro di ammortamenti dai prodotti venduti, allora, tutto va bene: le entrate saranno superiori alle uscite necessarie a ripagare il mutuo.

Ma se il mutuo avesse avuto la durata di tre anni? Che sarebbe successo? Le rate sarebbero risultate superiori alla ricchezza prodotta dal bene acquistato. Di qui si sarebbe creata una situazione di squilibrio finanziario, e conseguente situazione d’insolvenza dell’azienda.

In conclusione, il tempo, o meglio la correlazione temporale, è essenziale nell’equilibrio finanziario, perché, se esso riguarda il rapporto tra entrate ed uscite, tra investimenti e fonti di finanziamento, allora riguarda anche il rapporto tra l’acquisto dei beni necessari alla produzione, ossia i fattori produttivi, e il disinvestimento con la vendita dei prodotti e il pagamento degli stessi fattori produttivi.

5.3.7.2 IL MASA Il MASA (Margine di struttura allargato) è un indicatore che risponde alla seguente formula: (CN + PC) / AI

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CN è il capitale netto posto in azienda dall’imprenditore.

PC sono le Passività consolidate, ossia il capitale di terzi a lungo termine.

AI sono le Attività Immobilizzate (impianti, macchinari, immobili).

Il Masa è positivo quando risulta maggiore di 1, per cui la somma del capitale netto e delle passività consolidate deve risultare maggiore delle attività immobilizzate. Se il MASA è negativo vuol dire che manca quella correlazione temporale tra fonti vista a proposito dell’equilibrio economico, e infatti per calcolarlo bisogna per prima cosa capire il tipo di investimento fatti, ossia se a breve o a lungo termine.

Investimenti a breve termine sono, di norma, crediti a breve, la merce o le materie prime del magazzino, tutti investimenti che dovrebbero sbomilizzarsi nel breve periodo. Ma non è detto. I crediti a breve possono trasformarsi in insoluti, la merce invenduta in giacenza.

Insoluti e giacenze sono investimenti a lungo termine e passano nell’attivo immobilizzato, ma se questo passaggio non viene calcolato il MASA potrebbe risultare erroneamente positivo. Ti basta considerare che nel MASA le attività immobilizzate sono poste al denominatore, e se questo è minore del numeratore il MASA risulta positivo con un rapporto maggiore di 1. Un simile errore sulle attività immobilizzate farebbe pensare all’imprenditore di trovarsi in condizione di equilibrio finanziario, pur non essendo così con tutte le conseguenze del caso.

5.3.8 IL RENDICONTO FINANZIARIO Il Rendiconto finanziario esprime tutte le variazioni finanziarie intervenute nel corso dell’esercizio, e illustra tutti i flussi in uscita (impieghi) e in entrata (fonti) delle disponibilità liquide. È un importantissimo strumento di controllo di gestione usato dalle maggiori imprese per capire se l’azienda ha generato nuova liquidità, o se ha ridotto quella di cui già disponeva. Per altro, ormai da tempo, il suo utilizzo rientra in precisi obblighi di legge.

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Secondo il Codice civile, infatti, a partire dall’esercizio con inizio dal 1.1.2016, le imprese che redigono il bilancio in forma ordinaria sono obbligate a presentare il rendiconto finanziario (nuovo articolo 2423 c.c.), che è stato recepito dai principi contabili con il documento OIC 10.

Ma vediamo come si elabora. Per prima cosa si classificano i flussi di cassa in entrata e in uscita in tre aree: 1. gestione reddituale o attività operativa. Comprende i flussi connessi all’acquisizione, produzione e distribuzione di beni e alla fornitura di servizi.

Consente di misurare la liquidità prodotta o assorbita dalla gestione caratteristica o corrente dell’azienda; in breve consente di capire se il cosiddetto core business dell’impresa genera o meno flussi finanziari; 2. attività di investimento, si classificano i flussi finanziari derivanti dagli investimenti e dalle dismissioni. Consente di valutare l’impatto delle scelte strategiche in relazione con le politiche di investimento aziendale; 3. Attività di finanziamento. I flussi in entrata e in uscita derivano dai rapporti con i finanziatori, i soci (aumento capitale, distribuzione utili, ecc.) e altri soggetti (accensione e rimborso finanziamenti a lungo termine e/o a breve termine).

Ognuna di queste aree fa derivare dei flussi. La somma algebrica dei flussi determina, a sua volta, la variazione netta delle disponibilità liquide nel corso dell’esercizio.

La prima area, in particolare, quella della gestione reddituale, rappresenta la più importante fonte di generazione di liquidità e quindi d’autofinanziamento. Ti basta pensare che una gestione operativa capace di produrre flussi positivi consente, a sua volta, di finanziare le attività di investimento e il rimborso dei finanziamenti. E così, con un flusso positivo dell’area operativa la gestione produce nuove risorse finanziarie.

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Ma per una corretta analisi dei flussi non basta valutare il risultato finale, positivo o negativo: bisogna prima capire come si è generato il flusso.

Inoltre, il Rendiconto finanziario della gestione reddituale può essere ottenuto con due metodi: diretto e indiretto. Il metodo diretto analizza i singoli flussi finanziari generati dalla gestione, mentre quello indiretto (il più utilizzato nei bilanci italiani) determina il flusso in base al risultato d’esercizio e apportando le opportune rettifiche.

Il metodo diretto, in un’ottica di controllo di gestione, consente di valutare meglio la performance dell’impresa individuando quali elementi hanno generato i flussi positivi, e quali, invece, hanno bruciato liquidità.

In conclusione, il Rendiconto finanziario è uno strumento utilissimo che, insieme ad altri indicatori aziendali, controlla la gestione finanziaria e di capire la capacità dell’impresa a far fronte agli impegni assunti.

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CONCLUSIONI Questo libro è uno strumento, e come tale devi considerarlo. Sicuramente è migliorabile, e di conseguenza non mancheranno altre pubblicazioni per sviluppare ancora e aggiornare tutti gli argomenti che abbiamo percorso insieme fin qui.

Però questo libro vuole essere comunque un punto fermo. Una prima trattazione chiara e organica dell’attuale riforma sulla crisi d’impresa, su come essa vada affrontata, preparata, studiata rispetto alle molteplici responsabilità, ma anche opportunità, che comporta per noi commercialisti e contabili.

Ad oggi c’è ancora molta confusione in merito, e soprattutto molti sono i detrattori che la denigrano senza invece aver veramente capito lo spirito della riforma stessa, i suoi presupposti, le sue intenzioni, l’ammodernamento che essa comporta per tutto il mondo della gestione aziendale, e di conseguenza appunto per noi professionisti che di questo mondo facciamo parte con tanto lavoro e sacrifici.

Non voglio essere retorico, ma davvero l’articolo 2086 segna una rivoluzione. Io l’ho capito nel momento stesso in cui mi sono accorto che tutto il mio percorso di ricerca professionale decennale finiva proprio in lui.

La ricerca della luce di cui ti ho parlato nell’introduzione era finita, o meglio si chiudeva in un cerchio. Ora non restava, e non resta, che far entrare in quel cerchio professionisti come me per formare, fare rete, crescere e, se vuoi, portare avanti l’ambiziosa visione di innovare l’intera figura del commercialista affinché questa sia veramente in linea con lo spirito dei nostri tempi, e non solo con una semplice riforma, per quanto importante.

Da tutto questo nasce il libro, il suo percorso, o meglio i suoi molteplici percorsi che, come hai potuto vedere, non si limitano a una riduttiva trattazione dell’attuale riforma della crisi d’impresa, ma passano per svariati

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concetti teorici, spunti di ricerca e mie personali esperienze.

In conclusione, direi che questo libro è uno strumento per affrontare innanzitutto il concetto di crisi d’impresa con una prospettiva rivolta al futuro e non al passato.

L’immagine è sempre la stessa: guidare un auto con tutti gli strumenti rivolti alla strada ancora da percorrere, e non a quella già percorsa.

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BIBLIOGRAFIA Testi di riferimento dell’autore

Brancozzi Simone, Connection economy, come diventare il Re del tuo mercato, Brancozzi & Partners Consulting srl. https://www.amazon.it/Connection-Economy-Comediventare-mercatoebook/dp/B01CUNOXWU/ref=sr_1_6?dchild=1&qid=15 91728888&refinements=p_27%3ASimone+Brancozzi&s =digital-text&sr=1-6&text=Simone+Brancozzi Brancozzi Simone, Gestire l'azienda con il Margine di Contribuzione e il Break Even Point (Gestione e Soluzioni delle Crisi Aziendali Vol. 5), Brancozzi & Partners Consulting srl. https://www.amazon.com/lazienda-ContribuzioneGestione-Soluzioni-Aziendali-ebook/dp/B00GXE1PXS Brancozzi Simone, Guida alla gestione dell'Impresa del Futuro, Brancozzi & Partners Consulting srl. https://www.amazon.com/Guida-gestione-dellImpresaFuturo-Italian-ebook/dp/B00AQZE66S Brancozzi Simone, I 12 pilastri aziendali. L'imprenditore, il contadino e il Vangelo, Consulting srl. https://www.amazon.com/pilastri-aziendaliLimprenditore-contadino-Vangelo/dp/8892628755 Brancozzi Simone, I 12 pilastri aziendali. L'imprenditore, il contadino e il golfista, Consulting srl. https://www.amazon.com/12-PILASTRI-AZIENDALILIMPRENDITORE-CONTADINOebook/dp/B088CS9VQY/ref=sr_1_1?dchild=1&qid=159 1775038&refinements=p_27%3ASimone+Brancozzi&s =digital-text&sr=1-1 Brancozzi Simone, Il turnaround. La soluzione delle crisi nelle aziende in perdita.(Gestione e Soluzioni delle Crisi Aziendali Vol. 4), Brancozzi & Partners Consulting srl.

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Come usare le Balanced Scorecard per umentare la competitività. A cura di Alberto Bubbio. ISEDI editore.

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