IN OMBRA vol.2

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Lombardi editori | Siracusa

STUDENTI ARCHITETTURA SIRACUSA vol. 2


N OMBR

www.inombra.it




Al Prof. Arch. Giuseppe Dato



IN OMBRA

STUDENTI ARCHITETTURA SIRACUSA

vol. 2 anno 2009 progetti A.A. 2008 / 2009

Lombardi editori | Siracusa


I IN OMBRA O

vol. 2

comitato di redazione Marco Di Perna Stefano Latina Carlo Paternò Orazio Saluci Stefano Romano

editoriale e domande ai docenti Orazio Saluci

progetto grafico Grazia Vittoria Corsaro Maria Egle Guzzardi Stefano Romano

ha collaborato Francesco Scelba si ringrazia l’ Arch. Paolo Zermani per la disponibilità.

È vietata la vendita. È vietata la riproduzione anche parziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione.


Editoriale Introduzione Interviste ai docenti Arch. Paolo Zermani Progetti 1 2 3 4 5

pag. 8 pag. 9 pag. 13 pag. 23 pag. 32 pag. 72 pag. 110 pag. 166 pag. 204


EDITORIALE

Sapresti ridisegnare quell’immagine onirica di buon architetto?

In Ombra cerca di portare in superficie il “lavoro silenzioso” degli studenti della Facoltà di Architettura di Siracusa. Il primo volume ha raccolto i tre progetti migliori di ogni corso di Composizione. L’obiettivo era semplice: fotografare lo stato di salute dei nostri studi. Il secondo volume, oltre a raccogliere, indirizza. Sovrappone un filtro. Induce ad una riflessione. Esiste una Scuola d’Architettura di Siracusa? È la domanda che molti di noi si pongono, spesso per poter legare il proprio lavoro a qualche solco già tracciato. Per non perdere la via, il senso. Forse altri si chiedono che architetto sarò? Forse le due domande sono strettamente connesse. Crediamo che tutto ciò dipenda da cosa abbiamo visto in questi anni, da come lo abbiamo letto. Si diceva affamati di immagini, assetati di parole (cfr.: In Ombra vol.1). Ora è importante capire come abbiamo nutrito i nostri bisogni: quali immagini, quali parole.

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In Ombra vol. 2 approfondisce il dibattito proponendovi una rassegna di dati oggettivi. In questo numero sono pubblicate le interviste ai docenti che guidano i corsi di Progettazione per cercare di capire da dove vengono gli esempi, da dove nascono i temi. Si analizzano le caratteristiche ‘anagrafiche’ dell’insegnante consapevoli che il lavoro del singolo studente è il frutto non solo delle scelte autonome ma anche degli indirizzi del docente. Invitiamo, dunque, il lettore a riconoscere liberamente un insieme di bisogni, un comune sentire, un simile approccio alla risoluzione di problemi urbani, architettonici, di dettaglio. Se il primo volume si interrogava sull’essere architetto in Sicilia, quest’anno, pubblicando il primo capitolo di Oltre il muro di gomma di Paolo Zermani (Ed. Diabasis, 2010), cerchiamo di conoscere un po’ di più il panorama dell’architettura nazionale. Ri-abituiamo l’occhio alla nuova luce. Buona lettura.

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INTRODUZIONE

Scuola di Architettura

La progettazione oltre alla cultura richiede esperienza e competenza. Questo richiede sbocchi specialistici realizzati dalle Scuole attraverso processi di formazione da rivedere e riorganizzare, in relazione a figure professionali collegate alle competenze richieste dalle necessità costruttive ed abitative, per la salute e la qualità dell’ambiente. La Scuola come modello istituzionale corrisponde ad un’aspirazione ad apprendere, non solo per acquisire nozioni, quanto per imparare facendo e vedendo fare. La strada da seguire per diventare grandi. Lo dico spesso e anche qui lo riporto: Louis Kahn, uno dei maestri dell’architettura da cui non si può prescindere, ha detto che la città è quel luogo dove un bambino passando si rende conto di cosa vuole fare da grande. Facendogli seguito sostengo che per la formazione un architetto si rende conto con la verifica sul campo di cosa deve fare per essere professionalmente virtuoso. Un obiettivo che questa rivista, su esemplare richiesta-esigenza e posizione degli studenti, mette in luce.


Un modello potrebbe essere1 la Scuola di Medicina, dove gli sbocchi professionali sono definiti dalle esigenze dettate dal corpo e calibrati su figure specializzate, e dove ricerca, didattica ed esercizio professionale – anche se chiamato assistenza – sono strettamente correlate, mentre altrove l’aspetto professione è totalmente escluso dalla professione, con rischi di degenerazioni. In una Facoltà di Architettura o di Ingegneria, ad esempio, uno studente non vede quasi mai un cantiere, esce senza rendersi conto di fenomeni concreti e delle applicazioni di quanto ha studiato. Avviene ciò che accadrebbe in una Facoltà di Medicina se l’allievo in formazione non entrasse mai in una sala operatoria, senza quindi conoscere né il corpo né il modo di operare. La dissociazione tra ricerca non applicata, insegnamento non riportato a fasi di attuazione, quindi puramente teorico, e risvolti professionali non riferiti all’adattamento e all’integrazione ambientale limitano il processo di formazione, poco orientato verso risvolti applicativi, e creano inconvenienti all’interno del mondo accademico. Gli interessi incentrati su progetto e realizzazione vanno estesi dal singolo edificio alla relazione con quanto lo circonda e che, in effetti, dovrebbe generarlo. Un approccio che sposta gli interessi dal funzionalismo e dal razionalismo all’ambientalismo, non inteso come sentinella sul territorio per evitare di intervenire e di fare, ma come forma di tutela orientata verso l’operare, quindi in grado di pervenire ad una reale valorizzazione.

Prof. Arch. Carlo Truppi Preside della Facoltà di Architettura

1 È una tesi che ho già sostenuto, cfr. In difesa del paesaggio, Electa Mondadori, 2011.



Interviste ai docenti

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FABIO GHERSI

Dove ha studiato?

Mi sono laureato nella facoltà di Architettura di Reggio Calabria. Ho conseguito il Dottorato di ricerca allo IUAV di Venezia. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Franco Purini (è stato mio docente), Peter Eisenman e Richard Meier. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

L’ateneo New Harmony di Richard Meier. Toulouse-le-Mirail (Team X). I disegni della catalogazione spaziale di Franco Purini. Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

Sì, mi sono posto il problema. Riconoscevo un’identità nella facoltà di Reggio Calabria, un’identità fatta di personalità affini, di comuni intenti. Era un’identità cangiante. La gente entrava e usciva. Ho riconosciuto a Reggio una forte influenza di Eugenio Battisti e Franco Purini. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

Franco Purini. Era un progetto sulla Stazione di Bologna, interessava tutto il nodo ferroviario. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Io mi autoinfluenzo. Del Novecento Mies, Kahn e Eisenman. Ma i miei ‘padri’ sono gli architetti con cui ho lavorato, cioè Purini, Anselmi e Eisenman. Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei;

I miei orecchini di Gill. Il suo miglior progetto.

Il mio miglior progetto è il mio corso.

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ISOTTA CORTESI

Dove ha studiato?

Laurea in Architettura, Università di Firenze. Master in Architettura, University of Virginia, Charlottesville, USA. Ph.D in Progettazione Urbana, Università di Firenze. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Vittorio Garatti, Vittoriano Viganò, Louis Kahn. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Escuelas de Arte de Cuba di Garatti, Gottardi e Porro. il Walden 7 a Barcellona di Ricardo Bofill. il progetto di concorso per la Biblioteca di Francia di Rem Koolhaas. Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

La scuola fiorentina ha fortemente consolidato la tradizione del costruire rinascimentale con l’espressionismo tardo dei maestri fiorentini come Leonardo Ricci, Leonardo Savioli e Giovanni Michelucci. Certamente, l’identità della scuola nella disciplina dell’architettura, era l’elemento centrale nel confronto nazionale ed internazionale. La scuola fiorentina esprimeva una resistenza al panorama diffuso del Postmodernismo. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

Prof. Paolo Zermani, la tesi era una Scuola di Teatro e Balletto nel parco pubblico dell’Ex-Eridania a Parma. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Ignazio Gardella, Franco Albini, Alvar e Aino Aalto Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei.

La Sacrestia Vecchia a Firenze di Brunelleschi, la Biblioteca Laurenziana a Firenze di Michelangelo, Imperial Hotel a Tokio di Frank Lloyd Wright Il suo miglior progetto.

Edificio per residenze collettive in Piazzale Fedro a Parma del 2006

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ANTONIO FARINA

Dove ha studiato?

Laureato presso la Facoltà di Architettura di Napoli. Dottorato in composizione architettonica presso IAV-Venezia. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

I tre architetti che mi hanno maggiormente influenzato sono stati: Rossi, Mies, Terragni. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Le tre architetture che hanno segnato la mia formazione sono state: l’edificio del “Gallaratese” di Rossi, la Neue National Gallery di Mies, la casa del Fascio di Terragni. Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

La facoltà non aveva una chiara identità ma era certamente orientata verso un sapere attento alla fenomenologia urbana. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

La mia tesi di laurea trattava il tema dei caratteri urbani sviluppato attraverso il progetto per i “Quartieri Spagnoli” a Napoli (cfr.: Casabella n.495- ottobre1983) – relatore: prof. Arch. S. Bisogni. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Oggi non vi sono architetti che suscitano in modo particolare la mia curiosità scientifica e progettuale, stimola il mio interesse invece l’approccio plurale e privo di vincoli ideologici attraverso cui ci si pone rispetto alle questioni architettoniche e urbane. Ad ogni modo trovo ancora stimolante la lettura dell’esperienza di studi analitico-progettuale compiuta da alcuni architetti quali A. Rossi, R. Moneo e P. Eisemann. Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei.

Le architetture che oggi suscitano il mio interesse sono diverse e sono selezionate non tanto sotto il profilo linguistico quanto soprattutto sotto l’aspetto e le motivazioni urbane su cui fondano le proprie scelte. Volendo selezionarne solo tre sono: il municipio di Mursia di R. Moneo, il Guggenheim a Bilbao di F. Gehry, la Mediateca di Sendai di Toyo Ito. Il suo miglior progetto.

Tra i miei progetti quello che preferisco è “L’accademia della musica” redatto per la Triennale di Milano in occasione della Mostra “Il centro altrove. Periferie e nuove centralità nelle aree metropolitane” del 1995 (cfr.: “il centro altrove”- pag. 203-205, Triennale di Milano-Electa, Milano 1995).

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EMANUELE FIDONE

Dove ha studiato?

Ho studiato all’Università IUAV di Venezia. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Più che per “un modo di progettare”, gli studi universitari sono stati utili per formare “un modo di vedere” l’architettura e i suoi processi culturali. Per questo le lezioni di Aldo Rossi, di Massimo Cacciari e di Manfredo Tafuri sono state determinati. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

E’ difficile rispondere. Sicuramente mi interessavano le architetture del passato come quelle di Leon Battista Alberti, per la purezza, o di Michelangelo per la loro potenza espressiva. Dei contemporanei i maestri: Mies, Corbù e Kahn. Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

No, non ero interessato all’identità della facoltà, ma adesso con il tempo ho capito che la libertà di pensiero e il carattere internazionale dello IUAV sono stati importanti. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

Mi sono laureato con una tesi di storia dell’architettura con il Prof. Mario Manieri Elia. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Non credo di essere influenzato dal lavoro di un architetto in particolare, ma sono interessato al tipo di approccio concettuale di alcuni architetti e artisti contemporanei verso lo spazio e la materia, come Peter Zumthor, Richard Serra e Jannis Kounellis. 7. Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei.

Il Taj Mahal, il Pantheon e la villa reale di Katsura. Il suo miglior progetto.

E’ stato il sogno di una rovina immersa nella vegetazione selvaggia.

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MARCO NAVARRA

Dove ha studiato?

Firenze. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Leon Battista Alberti, Giovanni MichelucciI, Francesco Venezia. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Gli Uffizi e il Corridoio Vasariano. Stazione di Firenze di Giovanni Michelucci. Biblioteca Laurenziana. Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

Si. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

Adolfo Natalini. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Buster Keaton, Bernard Rudofsky, Giancarlo De Carlo. Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei.

Looshaus_Wien, El Sawi Culture Whell_Il Cairo, CCCB_Barcellona. Il suo miglior progetto.

“FITZCARRALDO” Valle dei Margi, Grammichele

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VINCENZO LATINA

Dove ha studiato?

A Venezia. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Sono veramente pochi. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Sono più di tre. Sono le architetture “fuori moda”. Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

La preoccupazione principale da studente era finire presto gli studi. Solo al quinto anno ha cominciato a germinare la passione per l’architettura.. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

I proff. Francesco Venezia e Giuseppe Gambirasio. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Non mi lascio influenzare dagli architetti. Invece, mi incuriosiscono molto le opere di architettura. Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei;

Le architetture esistenti che ammiro sono state realizzate per fortuna da altri! Non ho mai pensato di sostituirmi neanche idealmente agli autori. Il suo miglior progetto.

Il miglior progetto? Quello che farò domani!

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BRUNO MESSINA

Dove ha studiato?

Alla facoltà di Architettura della Federico II di Napoli. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Giuseppe Terragni, Francesco Venezia, Alvaro Siza. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Danteum (G. Terragni), Gallaratese (A. Rossi), Museo di Gibellina (F. Venezia). Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

In parte. Relativamente. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

Il docente per cui avrei optato non seguiva tesi, feci una scelta di ripiego. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Passo... Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei.

Visto che si tratta di un desiderio: Partenone, Pantheon (in alternativa la terma di Mercurio a Baia), Biblioteca Laurenziana. Il suo miglior progetto.

Il prossimo...

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FRANCESCO CACCIATORE

Dove ha studiato?

Reggio Calabria, Lisbona. 3 architetti che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Gli antichi Egizi, gli antichi Greci, gli antichi Romani. 3 architetture che hanno influenzato il suo modo di progettare nel corso dei suoi studi.

Il Pantheon di Adriano, le Terme di Caracalla, la Domus Aurea.. Riconosceva un’identità nella facoltà in cui ha studiato? Si poneva il problema da studente?

Si, quella Mediterranea: Egizia, Greca, Romana. Chi è stato il relatore per la sua tesi di laurea?

Manuel Aires Mateus. 3 architetti che influenzano, oggi, il suo lavoro.

Gli antichi Egizi, gli antichi Greci, gli antichi Romani. Le 3 architetture (già esistenti) che vorrebbe fossero state realizzate da lei.

La piramide di Cheope, il Partenone, il Colosseo. Il suo miglior progetto.

Il prossimo.

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Paolo Zermani


Nota biografica

Paolo Zermani nasce nel 1958. Dal 1990 è professore ordinario di Composizione Architettonica presso la facoltà di Architettura di Firenze. Ha insegnato al Master “Costruzione di chiese” presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e alla Syracuse University di New York e Firenze. E’ stato direttore esecutivo della rivista internazionale di Architettura “Materia” dal 1999 al 2000. E’ fondatore e coordinatore dei Convegni sulla “Identità dell’architettura italiana” e della “Galleria dell’architettura italiana” di Firenze. Nel 1986 la rivista “Ottagono” gli ha dedicato la copertina del numero monografico sulla nuova architettura italiana. Nel maggio 1991 la rivista giapponese “A+U” (Architecture and Urbanism) ha pubblicato un numero monografico sul suo lavoro. E’ stato selezionato per il Premio di Architettura Palladio nel 1988 e nel 1989. Nel 2003 ha vinto il Premio Giorgio Vasari per l’architettura. E’ Accademico di San Luca.


Tra le sue opere e progetti: il Teatrino di Varano (1983-85); il Padiglione di Delizia a Varano (1983-86); la Cappella sul mare a Malta (1989); la Cappella-Monumento sull’ex-muro a Berlino (1990-92); l’Edificio Sacro sul Bastione del Sangallo a Roma (1994); il Cimitero di Sansepolcro (1998); la Chiesa dei Francescani a Perugia (1997-2007); il Cimitero di Sesto Fiorentino (1999-2010); il Municipio di Noceto (1999); la Casa della finestra sulle mura di Firenze (1999-2002); il Museo della Madonna del Parto di Piero della Francesca a Monterchi, Arezzo (2000-2010); il Tempio di cremazione di Parma (2009); la Biblioteca dell’area tecnologica per l’Università di Firenze (2009); il restauro e ricostruzione del castello di Novara (2010); il Museo storico di San Galgano a Chiusdino, Siena (2010); la Scuola per l’Europa a Parma (2010); la Chiesa di Gioia Tauro (2010). E’ stato invitato alla Biennale Architettura di Venezia nel 1991, 1992 e 1996 e alla Triennale di Milano nel 1993 e 2005. Nel 2003 la casa del Mantegna di Mantova ha presentato una mostra antologica sui suoi progetti e realizzazioni dal 1983 al 2003. Nello stesso anno la Galleria “lo Spazio” di New York ha organizzato la mostra “Paolo Zermani Architecture in the Italian Landscape”.


Officina italiana

L’architettura italiana presenta, a partire dalla architettura romana, un insieme di caratteri originali chiaramente riconoscibili che, maturati dalla progressiva evoluzione del classico, hanno costituito un patrimonio attingibile fino alla fine dell’Ottocento. Questi caratteri, come i primi piani dell’arte figurativa italiana, che Edith Wharton sottilmente differenzia dai fondali, si definiscono attraverso figure costanti e ripetute, pur nelle transizioni epocali e, soprattutto dal Rinascimento in poi, mostrano una chiara riconoscibilità evolutiva. Altri caratteri, nell’architettura come nei fondali dell’arte pittorica, definiscono una verità regionale, cioè un corpus di rivelazioni più intime, capaci di farci comprendere l’evoluzione dell’architettura italiana come sequenza di microstorie, fortemente impregnata di connotazioni stilistiche e spaziali ambientate. Il quadro delinea così, nel tempo, una identità italiana complessiva, di per sé profondamente riconoscibile, e una complessità di identità regionali, assolutamente eterogenee e differenziate, che non sfuggono al più ampio respiro di un disegno unitario, ma vi concorrono attraverso differenze e distinzioni. Nel momento di transizione del primo Novecento il Moderno, per quanto riguarda l’architettura, interpreta, con alcune riflessioni critiche e proposte emblematiche, queste differenze che sono peculiari alla condizione nazionale, rivelandosi lungo tutto un sofferto percorso e fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, poi ancora con alcune significative esperienze isolate. È questa l’originalità della condizione italiana che ci ha condotto, fino a un certo momento, in salvo rispetto a ogni tipo di deviazione (le comete neotecnologiche, stelle con la luminosa e abbagliante coda caduca) o di evasione (i fumi ideologici, per definizione tossici alla architettura, destinati a disperdersi) mantenendo ferma la bussola dell’autonomia dell’architettura, coscienti che gli strumenti della disciplina sono sempre gli stessi e non possono essere confusi, piegati o distorti.

Chiesa di San Giovanni,1997-2007 Ponte d’ Oddi (Perugia) foto di Mauro Davoli 26


Il rapporto architettura-tecnica vive oggi una nuova attualità, ma il suo manifestarsi, nel nostro Paese, è soltanto apparente. La risposta alla necessità di dotare i tipi dell’abitare contemporaneo delle tecniche di contenimento energetico ne è l’esempio più lampante. Essa viene proposta attraverso un generico approvvigionamento di attrezzature ingombranti, importate in ritardo, di scarsa efficacia reale, o colorata di un bizzarro travestimento ecologico, con cui si consegue la definitiva amnesia del carattere tipologico dell’edificio. Nel nome dell’urgenza risparmiatrice e di una ambita compatibilità ambientale si concepiscono edifici arborati di essenze improbabili che raccolgono il consenso e coprono la cattiva coscienza dei committenti pubblici. Queste false sperimentazioni, che traviano le naturali vocazioni dei materiali, travestendone, attraverso protesi, la verità tecnologica, distruggono definitivamente il significato delle tecnologie e delle tipologie, quali ci sono state consegnate dall’esperienza e quali dovremmo trasformarle senza mascheramenti, attraverso altra esperienza. L’equivoco messo in scena distrae dalla vera ricerca sui materiali, sulle tecniche, sui valori dell’energia, intrinseca a ogni luogo, ma delegata da sempre, nell’architettura, alle specificità delle proprie misure d’ambiente, intonse o trasformate, al loro darsi e mutare non neutrale e generalizzabile. A proposito di una continuità del principio di misura Giovanni Michelucci cita le monumentali colonne di Delfi , cadute a terra e frammentate in rocchi colossali.


Sullo sfondo è il paesaggio. Dalle colonne esce una materia, quasi lavica, libera e tuttavia regolata dal diametro e dalla circonferenza di quel frammento, orizzontalmente steso in apparente agonica contraddizione alla propria fiera e seriale verticalità di componente un ordine complesso, ma ancora vivo e fluidificante, capace di trasfigurarsi e reincarnarsi rispetto allo spazio modificato. Ora si sa come la straordinaria capacità immaginativa di Michelucci possa risultare fonte di equivoci interpretativi. La sua libertà, a partire dalla Chiesa dell’autostrada, ha generato, in interpreti e seguaci non troppo attenti, una equazione un poco sbrigativa di istintiva creatività, restituendo, del potenziale insegnamento trasmissibile dal maestro toscano, ciò che meno atteneva alla profondità della sua ricerca. Ma la libertà, in architettura, non motiva concessioni. Quello che Michelucci auspica è ancora un sistema regolato e riconoscibile. La catastrofe del paesaggio, indotta dal XX secolo, ha oggi modificato la distanza tra le cose, dando luogo a una alterazione dei rapporti secolari. Ma non è possibile pensare di sostituire quel sistema in crisi con una deriva. Anche le scuole di architettura sono invase da penose riproduzioni di luoghi comuni del consumismo architettonico, importate frettolosamente, prive di qualsiasi fondamento o dignità critica e di metodo, spacciate come evasive pillole per illusorie estasi, pornografi a architettonica capace di offrire qualche temporaneo consolatorio piacere. In tale contesto potrebbe apparire addirittura sedizioso invocare parole come regola e misura. Ma noi sappiamo di dover colmare dentro l’alveo che ha come argine queste parole le incertezze del nostro tempo. Qualsiasi approccio che si proponga di prescindere da tutto ciò appare, nel migliore dei casi, come un velleitario sforzo di nani nei confronti dei giganti, destinato allo smarrimento e alla delusione. È davvero curioso osservare chi eticamente contesta in modo radicale l’inevitabile processo di globalizzazione della società contemporanea adattarsi nell’architettura all’importazione acritica dei modi e dei modelli. Rispetto a un contesto politico e produttivo quasi sempre provinciale e incolto, che naturalmente si serve di quegli improvvisati stilemi, è necessario fissare la qualità di una diversità italiana che postuli, a costo di viverne il disagio, un approfondimento serio ed evoluto della realtà ed eviti le scorciatoie. Non abbiamo paura del nuovo e non inseguiamo un perduto mondo ideale, ma abbiamo il dovere di inseguire un nuovo mondo ideale.

(nelle pagine seguenti)

Tempio di cremazione, 2006-2009 Valera (Parma) foto di Mauro Davoli 28


La sfida è sulle nuove misure. La rinuncia a questa sfida, che l’architettura italiana del XX secolo ha per prima proposto, ma non ha portato a termine, costituirebbe la vera rinuncia alla modernità. In un contesto ove si è materializzata la maturazione e l’evoluzione di un carattere eterogeneo e tuttavia preciso, progettare significa percorrere con umiltà la strada del riconoscimento dei prototipi, dei codici, delle misure, rilevarne gli stati di crisi per capire quali nuove relazioni li possano sostenere e per volgere l’internazionalizzazione delle conoscenze contemporanee a una architettura non generica. L’incombente trasformazione e manomissione della città e del paesaggio, la frantumazione dei riferimenti, la scomparsa di un orizzonte fisso che aveva giustificato, per secoli, la ricerca di un ideale infinito prospettico capace di guidare il processo del progettare non giustificano cedimenti o deviazioni. Viceversa è nel paesaggio dilaniato, dove la crisi della prospettiva sembra togliere ragione e parola a un meccanismo sperimentato, in questa solitudine dei monumenti che vedono alterato il proprio ordine di relazione, in questa straniata distanza tra le cose, che noi dobbiamo cercare una nuova consapevolezza critica. La condizione è drammatica, ma anche straordinaria, perché ci consente di lavorare a un nuovo equilibrio degli spazi e dei tempi, in una mutazione della scala di percezione delle cose che è alimento per il progetto. Perché sono ancora e sempre le misure e solo esse che possono alimentare il sacro fuoco dell’arte, il quale si manifesta – nel darsi e ritrarsi della fiamma – solo quando il proprio apparire è regolato. Intervenendo sulle lacerazioni del nostro tempo, negli interstizi lasciati vuoti dalla frenesia produttiva e sulle ferite da questa provocate, possiamo imparare una nuova geografia in cui le architetture, necessariamente frammentate, sappiano riannodare spazi e tempi apparentemente privi di relazione. Solo così potremo sperare che il nostro tempo confluisca nel lungo tempo dell’architettura.

(da Paolo Zermani, Oltre il muro di gomma, Ed. Diabasis, 2010) 29




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1TA LABORATORIO DI PROGETTO 1 TRIENNALE A prof. arch. Rita Simone (composizione architettonica)

prof. arch. Edoardo Dotto (rappresentazione 1) tutor: arch. Annamaria Chiabatta Studenti:

Francesco Cavaliere Antonella Covato

1TB LABORATORIO DI PROGETTO 1 TRIENNALE B prof. arch. Gianfranco Gianfriddo (composizione architettonica)

prof. arch. Francesco Maggio (rappresentazione 1) Studenti:

Salvatore Sanfilippo, Valeria Rita Torrisi Pietro GarfĂŹ, Giancarlo Verga Roberta Sortino, Ambra Tumino

1QA LABORATORIO DI PROGETTO 1 QUINQUENNALE A prof. arch. Fabio Ghersi (composizione architettonica)

prof. arch. Giuseppe Pagnano (rappresentazione 1) tutor: arch. Alberto Lacagnina / arch. Salvo Mezzasalma Studenti:

Ernesto Alberghina, Michele Armenia Alberto Borghese, Luca Farina, Chiara Giallanza, Sonja Lo Menzo Carmelo Loris Campo, Martina Di Stefano

1QB LABORATORIO DI PROGETTO 1 QUINQUENNALE B prof. arch. Bruno Messina (composizione architettonica)

prof. arch. Edoardo Dotto (rappresentazione 1) tutor: arch. Alessandro Mauro Studenti:

Marisa Agrusa Giuliano Torrisi Claudio Zisa



LABORATORIO DI PROGETTO 1 TRIENNALE A 1TA prof. arch. Rita Simone (composizione architettonica) prof. arch. Edoardo Dotto (rappresentazione 1) tutor: arch. Annamaria Chiabatta

In continuità con quanto svolto nel primo semestre del Laboratorio, è stato fatto proprio il programma precedentemente avviato, e pertanto, l’obiettivo è stato quello di fornire agli studenti gli strumenti di base per l’approccio alla disciplina della progettazione architettonica in tutte le sue componenti essenziali individuate in: teoria architettonica, tecnica del disegno, studio dei maestri e fondamenti del progetto. Il programma di lavoro, oltre alle comunicazioni di didattica frontale, si è sviluppato attraverso esercitazioni incentrate sul tema della residenza individuale Gli obiettivi formativi, dunque, sono stati perseguiti attraverso attività diversificate tra lezioni ed esercitazioni. Le lezioni teoriche hanno avuto come oggetto le tematiche relative al rapporto tra il progetto e la composizione architettonica, il disegno, lo spazio, il tipo, il linguaggio ed, infine, il contesto. Le esercitazioni, invece, hanno avuto come tema il ridisegno di Maison La Roche di Le Corbusier e il progetto di una “casa d’artista” contenuta all’interno di una sagoma cubica delle dimensioni ed anticipata dalla composizione di un manifesto che rendesse evidenti le caratteristiche del committente.

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Francesco Cavaliere “L’Architettura scompare tra i volumi sfalsati, leggeri e stropicciati” Il tema affrontato prevede la realizzazione di un atelièr per artista, in particolare il soggetto preso come riferimento per lo sviluppo del progetto è Gianfranco Ferrè. Lo studio accurato dei suoi volumi, dei tagli non convenzionali ma direttori di linee semplici sono il fulcro di tutta l’ideazione progettuale; particolare importanza si è data ad uno schizzo realizzato dal medesimo “artista” nel quale erano evidenti le intenzioni di dettare la lettura dello stesso attraverso l’utilizzo di volumi ben conosciuti ma sovrapposti in maniera inusuale. Nel progetto ciò si concretizza seguendo meticolosamente tali principi e la struttura, costituita da murature portanti, diviene, agli occhi dello spettatore, quasi precaria, dove tutto, ad eccezione della facciata massiccia, acquista una sorta di leggerezza tipica solamente dei tessuti (conferita anche dalla presenza di grandi aperture vetrate). Lo spazio interno si articola in tre piani; il piano terra è uno spazio adibito interamente al ricevimento di clienti e dotato di una passerella per uno studio diretto del prodotto trattato dallo stilista-architetto; il piano primo è invece di pertinenza semi-privata dove usualmente l’artista crea le sue “opere”; il piano ultimo è invece di pertinenza puramente privata caratterizzato da un spazio per servizi ed un altro di relax.

1TA

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PIANO TERRA

PRIMO PIANO

SECONDO PIANO

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Antonella Covato Per il progetto ‘’Casa d’artista’’ mi sono ispirata ad un noto pittore surrealista: Joan Mirò. L’artista in questione, intraprende nei suoi dipinti un cammino di astrazione, rappresentando il mondo dell’inconscio, utilizzando però oggetti rapportabili al mondo reale . Si tratta di elementi singoli, talvolta frammentati, dislocati nello spazio, ma resi unitari da un un senso logico che li racchiude. Le forme sembrano disposte in modo frenetico ma nulla è lasciato al caso; tutto è misurato ed è disposto secondo un ordine, un preciso schema compositivo, una grande disciplina. Il tema per il progetto è di realizzare una struttura che potesse accogliere l’atelier per l’artista e uno spazio dedicato alla sua vita privata. Nel mio progetto prendo proprio spunto da questa peculiarità dell’artista. Realizzo innanzitutto una maglia strutturale in modo da collocare i pilotis che reggono i volumi e le passerelle, secondo una precisa rete geometrica. I volumi, che presentano ognuno altezze differenti, sono una serie di elementi a se stanti, resi unitari da una forma leggera, un involucro in vetro scandito da una serie di travi in acciaio. Il tutto risulta cosi molto illuminato. Il piano terra accoglie l’atelier dell’artista e una zona destinata ai servizi; una scala a chiocciola collega questo vano con il primo piano che accoglie una zona studio, con antecedente sala espositiva. Il secondo e ultimo piano invece è riservato alla zona privata dell’artista, con un angolo cottura, dei servizi e una camera da letto. Quest’ultimo possente volume viene chiuso tramite dei setti murari a tutta altezza nell’ultimo piano mentre nel piano intermedio questi setti sono dei parapetti che consentono l’affaccio nell’atelier sottostante, e quindi permettono alla luce di inondare questo spazio. Le varie forme sono connesse tra loro tramite un sistema di passerelle sospese che contribuiscono a dare leggerezza e unitarietà al progetto.

Joan Mirò | Il Carnevale di Arlecchino

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SCHEMA COMPOSISTIVO


PIANO TERRA

PRIMO PIANO

SECONDO PIANO

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1TB LABORATORIO DI PROGETTO 1 TRIENNALE B prof. arch. Gianfranco Gianfriddo (composizione architettonica) prof. arch. Francesco Maggio (rappresentazione 1)

L’ambito territoriale del “val di Noto” offre spunti preziosi per lo studio propostoci. Gli insediamenti rurali sparsi nel territorio ibleo, masserie, piccole case, strutture di regimentazione dei suoli e delle acque, che nei secoli si sono stratificati, rappresentano un “coerente sistema insediativio”. Ed è all’interno di questo sistema che è stata pensata l’esercitazione didattica prendendo spunto da strutture “semplici” quale la piccola casa rurale, spesso costituita da un unico ambiente, per condurre un percorso conoscitivo degli elementi che strutturano un piccolo ambito o porzione di territorio e proporre un intervento di ampliamento coerente relazionato al tema della residenza-vacanza. Perciò gli studenti hanno scelto una piccola casa rurale nei pressi di Canicattini Bagni e dopo un rilievo alle varie scale (per comprenderne le relazioni col sistema generale) hanno proposto un piccolo ampliamento. I tre lavori selezionati affrontano tre tematiche: il gruppo Sortino – Tumino propone una reinterpretazione della stessa casa a pianta centrale invertendone le relazioni col contesto; Verga – Garfì affrontano il tema del re insediamento del sito; Sanfilippo – Torrisi affrontano il tema della “ridefinizione dell’orizzonte” quale elemento di conquista dello spazio aperto.

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“L’architettura regionale offre delle fonti preziose per lo studio delle origini dell’Architettura. Il funzionamento chiaro delle costruzioni rurali e la loro stretta relazione con i fattori geografici, il clima così come le condizioni economiche e sociali, esprimono semplicemente e direttamente certi fenomeni basilari dell’architettura, senza interferenze o preoccupazioni stilistiche che potrebbero turbare la coscienza chiara, diretta ed intuitiva di questi rapporti. Questi fenomeni sono spesso difficili da individuare negli edifici eruditi ma, nell’architettura regionale, sono subito evidenti se siamo pronti a comprenderli ed apprezzarli”. (AA. VV., Introduzione alla 3 edizione della “Arquitectura popular em Portugal”, Lisbona 1988)

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Salvatore Sanfilippo, Valeria Rita Torrisi La casa delle stelle I progetti sviluppati sono relativi a delle semplici case rurali nell’area di Canicattini-Bagni (SR). Nello specifico, la casa da noi trattata è situata al centro di una lingua di terra, creata da due cave minori, nonostante l’abitazione sia in una zona totalmente pianeggiante. La casa si nasconde dalla strada di sua pertinenza, perché arretrata rispetto ad essa; risultando così totalmente immersa nel verde. La sua forma ad “L” crea nella parte privata una sorta di piccola corte, dalla quale diparte il progetto. Partendo da essa, si estende una rampa crescente in pendenza e in larghezza. Da ciò che si evince dal corpo di ampliamento vi è la possibilità di accedere, utilizzando una scala, all’interno di una stanza. La peculiarità di quest’ultima è il soffitto traforato, studiato appositamente per ricreare l’effetto di un cielo stellato attraverso un gioco di luci e ombre, proiettate sulle pareti. Osservando la stanza in questione troviamo una cupola semisferica, il cui accesso permette di visitare il planetario situato al suo interno. Contribuiscono a ricreare questa atmosfera celestiale anche dei fondamentali elementi architettonici come la rampa, che oltre a svolgere la sua normale funzione acquista un valore simbolico, essa infatti dall’alto rappresenta un telescopio. Nella parte finale della rampa, inoltre, è stato realizzato un gradone scavato nella struttura stessa, dove è possibile sedersi per ammirare il panorama. L’ampliamento da noi ideato è dettato da un nostro desiderio di avere un luogo dedicato all’osservazione delle stelle, sfruttando la possibilità di allienarsi dall’inquinamento luminoso della città, potendo ricavarne anche uno spazio adibito a planetario.

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STATO DI FATTO

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STATO DI FATTO

PROGETTO

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Pietro Garfì, Giancarlo Verga La casa preesistente si trova sul fianco di una trazzera che costeggia la cava di “Contrada cugni di Rausa”, cava che segna fortemente l’altopiano fra Canicattini Bagni e Cassibile. Il fabbricato giace su un terreno leggermente scosceso, a pochi metri dalla cava, con esposizione a sud-est. La forma dell’edificio è quella di un parallelepipedo che, dalla trazzera, si allunga sul lotto di pertinenza. La copertura è a una falda. Due grondaie incassate, consentono la raccolta dell’acqua alla cisterna. Quest’ultima si trova sul lato destro della facciata. La posizione del muro a secco, che da recinzione del lotto crea, con la cisterna, uno spazio di pertinenza esterno della casa, come a voler distinguere l’ambito lavorativo da quello domestico. La nostra idea di progetto si muove tra alcuni elementi principali: l’uomo; il territorio ; il bisogno di recuperare il concetto di centralità (il focolare) e quello di creare un intenso rapporto con il paesaggio ma allo stesso tempo cerca di mantenere spazzi e ambienti estremamente personali e personalizzati. Il progetto di ampliamento consiste in un lavoro di addizione tra diversi corpi di fabbrica , posti sull’asse longitudinale dell’edificio preesistente ma che alla fine si risolvono in maniera unitaria, divenendo così, un unico elemento grazie al basamento. Gli elementi centrali rappresentano l’idea del focolare mentre quelli agli estremi, si rifanno al concetto di individualità e rapporto interno-esterno. Quest’ultimo concetto è meglio rappresentato nella parte di edificio che conquista la cava.

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STATO DI FATTO

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STATO DI FATTO

PROGETTO

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Roberta Sortino, Ambra Tumino Anche se in apparenza la nostra idea di progetto è semplice, non avendo ne aggiunto ne sottratto volumi, in realtà essa è concettualmente forte. Il progetto sta infatti nella riorganizzazione sia interna che esterna, cambiando così in modo radicale le destinazioni d’uso. Percorrendo la strada provinciale si notano solamente i due fronti ciechi che denotano un carattere di riservatezza, contrariamente immettendosi nella strada d’accesso di sua pertinenza si scorge il fulcro della fabbrica: la corte interna. Concentrandoci su quest’ultima, abbiamo creato una piscina a livello, destinandovi l’intera area in modo da accedervi direttamente dalle aperture principali. Prendendo in esame queste ultime abbiamo creato delle nuove aperture in asse forando i fronti ciechi e posizionando delle panche, poggiate direttamente sul terreno tramite “lingue” di pietra locale, dalle quali è possibile godere una vista prospettica che attraversa l’interno fino ad arrivare allo specchio d’acqua antistante. Particolarità del casolare è una torretta di piccolissime dimensioni, disposta su due livelli privi di collegamento e per ovviare a tale problema si è pensato di realizzare delle scale d’accesso. La fabbrica, al suo interno, presentava delle stanze non comunicanti tra loro, due delle quali adibite a mangiatoie; noi abbiamo invece diviso gli ambienti per renderli comunicanti, ricavando da due spazi distinti tre ambienti collegati tramite uno spazio comune, stravolgendo così il carattere riservato della fabbrica.

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STATO DI FATTO

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STATO DI FATTO

PROGETTO

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1QA LABORATORIO DI PROGETTO 1 QUINQUENNALE A prof. arch. Fabio Ghersi (composizione architettonica) prof. arch. Giuseppe Pagnano (rappresentazione 1) tutor: arch. Alberto Lacagnina / arch. Salvo Mezzasalma

Tra i diversi esercizi che costruiscono la base didattica del Laboratorio 1 -l’oggetto analogico, il libro illeggibile, cubocity, gli esercizi di stile…- presentiamo qui a fianco la scultura da viaggio, un’idea di Bruno Munari che abbiamo provato ad utilizzare per suggerire agli studenti l’idea della complessità della generazione della forma nel rapporto tra il piano e lo spazio. Come oggetto “a funzione estetica”, cioè autoreferenziale e privo di vincoli utilitaristici, la scultura è una metafora di un’idea di Architettura in cui i diversi piani -funzionali, distributivi, tecnologici, strutturali, urbani …- diventano dettagli parziali di una parola unica che li contiene tutti e ne trascende contemporaneamente il senso. Nelle pagine successive una selezione –inevitabilmente ingiusta- dei progetti finali del corso, testimonia l’impegno e le capacità dei ragazzi nell’affrontare, come saggio finale del corso, il loro primo, vero progetto senza concedere sconti a nessuna delle categorie che definiscono l’Architettura. Come lo scorso anno, secondo un’idea di sperimentazione didattica almeno biennale, il tema proposto per il progetto finale riguarda la costruzione di una casa-studio per un’artista su due aree che si fronteggiano sulle sponde del Porto Grande di Siracusa: una è a Ortigia accanto alla sede della facoltà in piazza Federico di Svevia, l’altra, di fronte, sulla spiaggia di Punta del Pero. Le due aree trovano il loro rapporto nel reciproco guardarsi attraverso lo specchio d’acqua, ma possiedono caratteristiche del tutto differenti, l’una nel rapporto col pieno del denso e antico tessuto della città, l’altra nel rapporto col vuoto della natura e del paesaggio. Agli studenti, associati a coppie di due su ciascuna delle differenti aree, è stato affidato il compito di esprimere questo rapporto a partire da una coppia di artisti cui sono dedicate le case-studio che si fronteggiano.

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SCULTURE DA VIAGGIO

Ernesto Alberghina Gaia AmarÚ Michele Armenia Chiara Armeri Eros Augello Tommaso Bartoloni Alberto Borgese Dario Bottino Carmelo Loris Campo Dalila Campo Maria Carla Cantarella Giulia Cappello Federica Caramagno Simone Cassia Josephine Tatiana Castorina Marta Cuffaro Giada D’Amico Corradina Di Grande Adriana Di Mauro Roberta Di Natale Martina Distefano Mariapia Donzuso Alessandro Falanga Luca Farina Giuseppe Fazio Luca Ferlito Vitaliana Floresta Adriana Fratantonio Salvatore Gambuzza Chiara Giallanza Valeria Grillo Giuseppe La Face Sonja Lo Menzo Emanuele Longo Marco Mancari Manfredi Maugeri Nunzia Procaccianti Annalisa Pruiti Ciarello Valentina Putrino Sara Vinci 55


Ernesto Alberghina

ORTIGIA

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Michele Armenia

PUNTA DEL PERO 57

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Luca Farina

ORTIGIA

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Alberto Borgese

PUNTA DEL PERO 59

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Chiara Giallanza

ORTIGIA

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Sonja Lo Menzo

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Martina Di Stefano

ORTIGIA

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Carmelo Loris Campo

PUNTA DEL PERO 63

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1QB LABORATORIO DI PROGETTO 1 QUINQUENNALE B prof. arch. Bruno Messina (composizione architettonica) prof. arch. Edoardo Dotto (rappresentazione 1)

La conoscenza dei fondamenti della composizione architettonica – momento iniziale ed imprescindibile nella formazione culturale e progettuale dell’allievo – è stato l’obiettivo primario del corso, obiettivo proposto agli studenti attraverso l’analisi, il ridisegno e lo studio comparato di una casa di uno dei maestri del Movimento Moderno e di una casa di un architetto contemporaneo. Le conoscenze acquisite sul tema dello spazio domestico hanno consentito di affrontare la prova conclusiva: un primo e prudente saggio progettuale, una piccola casa unifamiliare in un lotto localizzato nel comune di Viagrande. Le finalità didattiche del laboratorio hanno suggerito l’adozione di un metodo di apprendimento basato sul ridisegno a matita e sulla verifica della comprensione spaziale attraverso la realizzazione di modelli. Una tendenza alla concretezza che ha informato anche la terza esercitazione, con l’assegnazione di un lotto di progetto realmente esistente e l’applicazione delle normative urbanistiche vigenti (indice di fabbricabilità, distanze dai confini, ecc.).

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Marisa Agrusa L’obbiettivo del progetto finale del corso richiedeva la realizzazione di una villetta unifamiliare, sita nella periferia del comune di Viagrande (CT), in un lotto di terreno di 12131 mq. La villa è collocata nella parte retrostante del lotto, in modo da essere lontana dalla strada principale e vicina ad una preesistente piccola costruzione. A collegare l’edificio alla strada è un percorso pavimentato in pietra lavica, allineato e posto in contatto con un preesistente muretto a secco in pietra lavica, caratteristico della zona, ed al quale è allineato anche un prospetto della villa. L’edificio si presenta costituito da due blocchi che differiscono per forma, quadrato l’uno e rettangolare l’altro; e per funzione, dal momento che il primo ospita la camera da letto padronale, e una cameretta, entrambe dotate di un bagno; mentre nel secondo troviamo l’ingresso principale che da su un soggiorno il quale è separato dalla cucinasala da pranzo da un piccolo blocco di sevizi contenente un bagno e una dispensa. Sia la sala da pranzo che il soggiorno sono dotate di grandi aperture entrambe vetrate, che danno l’accesso a due verande, una principale e più grande posta nella parte antistante della villa, l’altra più piccola e intima è nascosta/collocata sul retro. I due blocchi sono collegati tra loro da un corridoio vetrato. La zona in cui si erge l’edificio offriva un’ottima vista dell’Etna, per cui la veranda principale sfrutta il particolare orientamento dei due blocchi, allineato al muretto a secco e ortogonale rispetto all’ingresso il volume rettangolare e ruotato di 30° ad ovest quello quadrato, per inquadrare visivamente il vulcano. Per mantenere una coerenza con il luogo la villa e posta su un basamento di 30 cm in pietra lavica, (come il muretto) e pensata con un rivestimento della muratura in intonaco bianco per creare uno stacco improvviso e per creare un forte contrasto cromatico con il basamento sottostante.

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Giuliano Torrisi L’elaborato in questione è un progetto per una casa unifamiliare posizionata in un lotto libero a Viagrande in zona agricola. I punti di riferimento del progetto sono presi dalle strutture esaminate durante il corso di laboratorio. In particolare ad aver avuto l’influenza maggiore sono state casa Hescherick di Louis Kahn e casa Guerrero di Alberto Campo Baeza. Di quest’ultimo si riprende soprattutto l’uso di molte differenze di quote altimetriche per distinguere spazi serventi e spazi serviti, zona giorno e zona notte. Un ulteriore distinzione di queste due è data dall’ingresso principale della casa, posto a metà tra le camere da letto e il soggiorno. Ingresso che si affaccia inoltre sul giardino retrostante tramite una parete vetrata. Da Kahn invece è ripresa la lunga finestra del prospetto principale, che da luce al soggiorno e inquadra la vista dell’Etna al suo interno, e l’uso di pareti poste a filo interno o esterno rispetto ad uno schema geometrico regolare.

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Claudio Zisa Il progetto prende le mosse dal rispetto e la valorizzazione di preesistenze pregevoli. Nel lotto si trovano un piccolo edificio allo stato di rudere e una cisterna per la raccolta delle acque meteoriche da cui si dipartono dei canali d’irrigazione (saye), retaggio della cultura rurale araba: tutto edificato nella locale pietra lavica. Si è utilizzato il segno forte della saya per l’allineamento dell’impianto della casa unifamiliare. Aggrappati a un nuovo, possente muro in pietra lavica innalzato parallelamente alla saya, si articolano i volumi della casa concepiti come tre blocchi leggibili autonomamente: quello della zona giorno e quello della zona notte, dalla differente altezza e parzialmente compenetrati e lo studio, isolato, al di là del setto in pietra lavica. I tre blocchi e il setto protendendosi verso sud individuano uno spazio antistante aperto ma privato, protetto, sul quale si apre l’ampia vetrata della zona giorno che guarda sulla piscina. Anche il rudere adiacente viene rimodulato mantenendo per intero l’originario involucro murario lavico: diventa dependance della casa, indipendente nelle funzioni e visivamente protetta. L’intera composizione tiene conto della necessità di “regredire” o meglio ritornare a un linguaggio primordiale, intuitivo. Operare su quei canoni di bellezza la cui comprensione e fruizione siano accessibili a tutti a discapito di operazioni “tecniche” o virtuosistiche. Per questo gli ambienti sono attentamente dimensionati secondo un’armonia (o disarmonia) che sottende e presuppone proporzioni e rapporti intrinsecamente piacevoli, riconoscibili perché facenti parte del background culturale occidentale e mediterraneo.

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2TA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 2 TRIENNALE A prof. arch. Isotta Cortesi (composizione architettonica) tutor: Marco Di Perna / Stefano Latina / Carlo Paternò / Orazio Saluci Studenti:

Claudio Cammarana, Dario Colosi, Antonio Gualtieri Orazio Cannizzaro, Francesco Faraci Paolo Cianci, Zaira Grasso

2TB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 2 TRIENNALE B prof. arch. Giuseppe Lo Castro (composizione architettonica)

Studenti:

Alessandra Tito Luisa Trovato Stella Viglianisi

2QA LABORATORIO DI PROGETTO 2 QUINQUENNALE A prof. arch. Emanuele Fidone (composizione architettonica)

prof. arch. Carlo Truppi (tecnologia dell’architettura) Studenti: Alessandro Federico, Danilo Filoramo, Andrea Garozzo, Claudia La Verde Rossella Apa, Annalisa Laganà, Andrea La Rosa, Stefania Ruggieri Pierpaolo Cancemi, Giuseppe Capizzi, Stefania Guerrieri, Oliviero Guzzardo

2QB LABORATORIO DI PROGETTO 2 QUINQUENNALE B prof. arch. Marco Navarra (composizione architettonica)

prof. arch. Luigi Alini (tecnologia dell’architettura) Gruppo:

B – House Sabashi Pavilion


2TA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 2 TRIENNALE A prof. arch. Isotta Cortesi (composizione architettonica) tutor: Marco Di Perna / Stefano Latina / Carlo Paternò / Orazio Saluci

Lo spazio come osservazione del reale, la rappresentazione come interpretazione Si tratta di un esercizio che osserva e individua, nella realtà, l’interno del Duomo di Siracusa per comprenderne le ragioni che ordinano e conformano lo spazio. Lo studente esprime le gerarchie, il carattere ed il valore di sequenze spaziali che riconosce tra le singole parti del volume interno, rappresenta il processo interpretativo, così come percepito e ordinato, inoltre approfondisce l’ordine delle parti strutturali, il rapporto tra i pieni e i vuoti, la sequenza verticale, i partiti murari continui in relazione alle strutture puntuali, la natura simmetrica/asimmetrica, la conformazione del suolo, il rapporto con l’esterno e l’intensità della luce. Si tratta di un esercizio che concorre alla definizione di parametri di rappresentazione limitati ad un unico elemento: il modello tridimensionale colato in gesso con utilizzo di casseformi.

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Il progetto dello spazio pubblico. Piazza Cesare Battisti a Ortigia. Si tratta di un confronto tra gli elementi stabili della cultura urbana e le condizioni variabili della cultura contemporanea: un progetto che sperimenta il valore dell’architettura nel tessuto urbano consolidato. Si rende necessaria un attenta osservazione dell’esistente nell’area del progetto. La forma della città è individuata come il risultato di complesse sovrapposizioni ed intrecci narrativi, ove la nozione di tempo e cambiamento caratterizzano l’area del progetto. - Il rapporto con le preesistenze della città e del paesaggio. - Il progetto del suolo. - Le gerarchie spaziali dello spazio pubblico. Lo studente progetta la piazza Cesare Battisti, uno spazio pubblico urbano della città di Siracusa. La funzione quotidiana, ma pur sempre temporanea, del mercato, dovrà essere tenuta in considerazione nella sua qualità principale: la mutevolezza dello spazio: ora pieno ed in alcuni momenti della giornata e della notte, completamente vuoto.

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Claudio Cammarana, Dario Colosi, Antonio Gualtieri

Il progetto per la piazza Cesare Battisti ha come obiettivo la restituzione, all’isola di Ortigia, di uno spazio pubblico che aggreghi veramente persone e attività differenti, soprattutto perché sono differenti le funzioni che questo luogo svolge durante le ore della giornata. Tanti sono gli elementi che concorrono alla valorizzazione della piazza: le mura dionigiane, l’esclusiva vista sul tempio di Apollo, l’ex carcere borbonico, la stretta vicinanza con l’ex palazzo delle poste (futura sede alberghiera), l’affaccio sul porto piccolo di Siracusa e, non per ultimo, lo storico mercato rionale. Tutti connotati storici, ed è proprio dalla storia che il nostro progetto trae spunto. La piazza oggi è un vuoto, frutto anche della giustapposizione di differenti tessuti urbani; il nostro intervento risolve questa situazione con l’inserimento di una “rete” tridimensionale che risponde all’orientamento dell’antico schema ippodameo di plateiai e stenopoi, che in età greca divisero l’isola. La piazza interpone nel dislivello che ha con il Lungomare di Levante, decine di parallelepipedi con altezze sempre diverse offrendo così un modo unico, e comunque sempre agevole, di attraversare e vivere lo spazio: gioco, intrattenimento, sosta. I parallelepipedi ora pavimentati, ora riempiti a verde con alberi e arbusti tipici della macchia mediterranea, creano spazi pubblici per trascorre dei momenti di relax e per osservare ancor meglio il panorama offerto dal mare. Verso il porto piccolo, una grande gradonata ci fa apprezzare da vicino le antiche mura dionigiane; infine, su Riva Nazario Sauro, ci aspetta un’isola verde dove l’abbondanza del fiorire degli arbusti e delle piccole piante, crea un’affascinante spettacolo stagionale.

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SEZIONE A-A

SEZIONE B-B

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Orazio Cannizzaro, Francesco Faraci

Il progetto della piazza Cesare Battisti di Siracusa vuole mettere in relazione la vista mare, annebbiata dal parcheggio Talete, mantenendo contemporaneamente lo stretto contatto con il contiguo ed effimero mercato giornaliero che nasce al mattino e muore la sera. In tal modo verrà realizzato questo nuovo spazio urbano che funge da cucitura tra il brulicante mercato retrostante e la mirabile vista del fronte mare. Sulla piazza è prevista la costruzione di un piano rialzato a quota superiore rispetto al Talete, che consente la riconquista della vista sul mare. Nel nostro progetto, tale piano rialzato, raggiungibile mediante una semplice e ampia rampa poggiata su una struttura in acciaio reticolare, crea una sorta di tempio costituito da alberi di grosso fusto, in cui il fruitore raggiunge la zona relax, con ampio verde e sedute per ritrovare se stesso, lontano dallo snervante frastuono del traffico cittadino e dal caos del mercato. La parte sottostante invece si apre al mercato stesso, consentendogli un possibile futuro ampliamento che impegnerà la stessa piazza. Con la opportuna collocazione di una parete a maglia, realizzata con policarbonato colorato, che si alterna ad aperture e chiusure casuali a nido d’ape, si creeranno zone di luce ora più chiare ora più scure. La piazza è stata studiata in modo da essere vissuta per gran parte della giornata; al morire del mercato rionale, essa si animerà diventando luogo di incontro di giovani, specialmente universitari della vicina Casa dello Studente. Il manufatto accoglie la luce solare nel volgere della giornata modificando il proprio aspetto in relazione dello scorrere delle ore. Una successione di lucernai realizzata sulla rampa garantisce anche la diffusione di un gioco di luci, provenienti dall’alto, nella sottostante piazzetta.

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PLANIMETRIA GENERALE

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Paolo Cianci, Zaira Grasso

La vicinanza del Tempio di Apollo dà lo spunto per la progettazione dello spazio pubblico adiacente al Lungomare di Levante Elio Vittorini, in corrispondenza del parcheggio Talete. Partendo dalla pianta originaria del tempio di Apollo e dal rilievo planimetrico del suo stato attuale, si è pensato di riproporne, nell’area di progetto, la parte mancante. Tutto ciò giocando su una scomposizione, sottrazione, ribaltamento, duplicazione degli elementi non più esistenti. I muri diventano sedute e la serialità delle colonne un ritmare di palme, oasi di riposo ombreggiato nella chiassosa animazione del prospiciente colorato mercato. La scelta dei materiali richiama i colori della costa: per la pavimentazione dei percorsi il rosato della pietra di Modica; per lo spazio di sosta e svago il ciottolato. Da un punto di vista urbano si è inteso riqualificare l’area eliminando il traffico veicolare nel tratto fra le vie Trento e De Benedictis , creando inoltre un continuum con esse con la proposizione dell’estensione di eguale pavimentazione.

PLANIMETRIA GENERALE

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PIANTA

IDEA PROGETTUALE

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2TB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 2 TRIENNALE B prof. arch. Giuseppe Lo Castro (composizione architettonica)

Il progetto Il progetto, inteso come progetto di uno spazio urbano e insieme degli oggetti che lo determinano, è stato articolato in diverse fasi, dall’impostazione planimetrica al 2000 e al 500, allo studio al 200 delle architetture e degli spazi aperti fino ai dettagli in scala maggiore. Il tema proposto in Ortigia tra l’edificio della Facoltà di Architettura e il Castello Maniace - un luogo storico esemplare di circa 6000 mq. - è la progettazione di residenze per gli studenti. Come spazio dentro la città storica e insieme autonomo e dominante sul paesaggio. Questo luogo ha implicato una forte libertà di sperimentazione insieme ad una grande responsabilità sull’immagine della città storica. L’accento posto sulla residenza, anziché sull’edificio pubblico, ha sottolineato la quotidianità delle relazioni come chiave della bellezza della città ancorché antica.

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Il progetto della residenza è stato articolato in residenza per singolo studente, residenza per una coppia di studenti e residenza per una coppia di studenti con figli. La residenza per il singolo studente, composta da un bagno e da un ambiente unico (zona letto e zona studio), è stata servita da una cucina e da una sala soggiorno comune ad un numero massimo di 10 studenti. La residenza per una coppia di studenti, è stata progettata con una camera da letto unica oppure con due camere da letto singole. In entrambi i casi è stato previsto un bagno, un angolo cucina e due zone per lo studio. E’ stato previsto anche una sala soggiorno comune ad un numero massimo di 6 coppie di studenti. La residenza per una coppia di studenti con figli è stata dotata di tutti i comfort di un alloggio. E’ stato previsto un bagno, una camera da letto doppia, una camera da letto singola, una cucina, un soggiorno e due zone studio. E’ stata prevista anche una sala soggiorno e giochi comune ad un numero massimo di 4 coppie di studenti.

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Alessandra Tito L’area interessata dal progetto è compresa tra la caserma Abela e il castello Maniace, uno spazio all’interno della città consolidata, il centro storico, e a ridosso di manufatti e monumenti che lo identificano fortemente. L’idea progettuale prende spunto dal “segno”, mirabilmente esaltato da Paul Klee nella sua tela Blich aus rot del 1937, che in architettura si fa volume. La progettazione si articola su due assi ideali che si esplicitano in percorsi materiali: la passerella-ponte che lega il castello Maniace alla via omonima e il corridoio aereo vetrato che, seguendo la direzione dell’ingresso al castello, congiunge quest’ultimo al Lungomare di Ortigia. La stecca degli alloggi, ortogonale al primo asse, è concepita come un secondo muro di cinta al castello, un filtro tra la frenesia della città e la quiete della storia. Essa separa lo spazio dell’agire da quello del pensiero: dalla corte nord si accede alla mensa e alla piscina, mentre nella piazza sud si erge il volume contenente il teatro e la biblioteca. I possenti corpi dell’auditorium, della stecca e della caserma sono perforati dal passaggio del secondo asse che ne consente il collegamento al ritmo del dentrofuori esaltato dal susseguirsi di differenti scorci panoramici.

PLANIVOLUMETRICO

PROSPETTO EST

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PIANTA PIANO TERRA

SEZIONE A-A

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Luisa Trovato Il lavoro compiuto suggerisce l’idea che il linguaggio dei segni è il linguaggio con cui si costruisce un progetto architettonico e che i segni acquistano un significato molto diverso sulla base del contesto in cui vengono posti. Attraverso desideri e analogie si può costruire un primo sistema di segni astratti che con la lettura del luogo sintetizzano l’idea degli spazi urbani e degli oggetti architettonici. In un primo momento mi sono accostata al disegno urbano seguendo l’ipotesi di un approccio per segni che si confrontano col territorio come segni su una tela, si pensi all’idea corbusiana del Plan Obus per Algeri e di molti progetti di A. Anselmi, o al dialogo dei segni dello spazio astratto di Kandinsky. La composizione nasce osservando gli elementi territoriali di riferimento e le direzioni urbane che aiutano per la collocazione dei volumi; nel mio caso i volumi sono tratti da un quadro di Kandinsky; il planivolumetrico mette in evidenza i rapporti spazi-oggetti. Il progetto implica due tematiche complementari: gli spazi privati delle abitazioni degli studenti e gli spazi pubblici dei luoghi di relazione (interni ed esterni), degli spazi commerciali e dei servizi previsti (auditorium, palestra, mensa, biblioteca). In generale si affronta il fenomeno centrale della contemporaneità guardando alla città come città in un interno. Le stanze singole degli studenti sono state poste nel blocco più lungo (totalmente vetrato, a sbalzo sul mare e con una macro apertura) insieme agli spazi di servizio. Su questo blocco si incastrano un blocco a C e uno ad U sostenuti da pilotis e con la “pelle” composta da brisoleil, entrambi contenenti ulteriori alloggi per studenti (camere doppie, camere triple). Il blocco semi circolare contiene al suo interno una sala proiezione e spazi per il bar ed è percorso da una rampa, anch’essa semi circolare, che conduce alla terrazza esterna. Infine, all’esterno sul lato sud-ovest, viene progettato un piccolo molo, nella parte centrale il ponte si collega visivamente alla macro apertura del blocco centrale, si ricostituiscono le scale per godere della vista del castello e sul lato sud-est si pone un ascensore panoramico per collegare la spiaggia alla residenza.

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PLANIVOLUMETRICO


PIANTA PIANO PRIMO

PROSPETTO SUD

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Stella Viglianisi Il progetto è situato nella zona posta tra la Caserma G. Abela e l’affascinante Castello Maniace. Tutto nasce dallo sviluppo volumetrico di uno dei quadri più famosi del pittore Piet Mondrian; opera scelta per la sua fortissima composizione essenzialmente geometrica, utile per la realizzazione di strade ariose e lineari e di edifici dai volumi essenziali e compatti. Il progetto gioca, infatti, non tanto sulle forme quanto sulla contrapposizione di edifici che si sviluppano in altezza, edifici di media altezza ed infine zone che, invece, sfruttano il sottosuolo creando spazi sotterranei. Ha un ruolo sicuramente predominante il mare, valorizzato attraverso l’apertura di un vasto cono ottico che taglia e stravolge la maglia zenitale data dalla composizione del quadro. Il progetto formalmente riprende l’architettura di Ludwig Mies van der Rohe (anch’egli, come P. Mondrian, ispirato al Suprematismo russo) e consiste nella creazione di alloggi per studenti singoli, doppi e matrimoniali negli edifici più alti e di zone destinate ai servizi quali mensa, cinema-teatro, palestra, bar, biblioteche, uffici, lavanderie e zone parcheggio negli edifici di media altezza e nelle zone sotterranee. Le coordinate assiali, che portano ad un principio zenitale della maglia ed i materiali innovativi quali vetro ed acciaio, sfuggono totalmente alla maglia di stampo medievale ed al comune uso del materiale litico dell’isola, riconoscendo così il Centro Storico non soltanto come luogo legato al passato, ma anche come una risorsa proiettata verso il futuro.

2TB

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PLANIVOLUMETRICO


PIANTA PIANO PRIMO

PROSPETTO SUD

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2TB


2QA LABORATORIO DI PROGETTO 2 QUINQUENNALE A prof. arch. Emanuele Fidone (composizione architettonica) prof. arch. Carlo Truppi (tecnologia dell’architettura)

L’esercitazione ha riguardato la sistemazione dell’area della città di Siracusa di connessione tra lo spazio urbano “incompleto” del nuovo Terminal degli Autobus, posto tra la Via Elorina e la continuazione del Corso Umberto I, l’area della Stazione Ferroviaria e l’adiacente zona archeologica del Ginnasio Romano. L’idea è stata quella di creare strutture-cerniera ibride (terminal, easy-alloggi, piazza accesso area archeologica, …) capace di includere e sintetizzare i vari elementi presenti a valenza urbana, con l’obiettivo di conferire una specifica identità urbana. Lo sforzo richiesto agli studenti è stato quello di riflettere sul rapporto tra la progettazione architettonica e lo spazio urbano, attraverso una sistemazione di un’area urbana apparentemente marginale ma carica di potenzialità, in cui il progetto assume un ruolo propositivo determinante. Il tiolo “Il muro scavato, una struttura in pietra con sette varianti”, dato all’esercitazione progettuale, è in qualche modo esemplificativo della complessa relazione tra la materia e l’ideazione progettuale, che è stata una traccia fondamentale dello sviluppo del laboratorio. Gli studenti avevano l’obbligo di utilizzare la pietra naturale, quale materiale costruttivo portante. Questa costrizione li ha posti, da subito, davanti al problema della relazione imprescindibile tra struttura e forma architettonica. Un rapporto, con la statica e con i materiali, che spesso viene trascurato dallo studente e percepito come secondario rispetto alla fase ideativa, limitata spesso alla elaborazione di figure immateriali, astratte e decontestualizzate in cui predomina solo l’effetto dell’immagine virtuale. In questa prospettiva lo sviluppo del progetto si è effettuato attraverso continue revisioni del lavoro svolto, in cui la elaborazione di plastici di grande formato ha rappresentato un mezzo di verifica indispensabile.

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“Now you could say who moves and advances in civilization? I think it is the effort of men and women in all fields. And it, it is you, you have to build up this civilization. You have to build up the world you want to live in. And nobody else can do it for you. I have one more thing to say: Don’t worry about success. I always tell my students, “Success is just the by-product of good, simple and honest work.” And this simple and honest work, I think, is the essence of civilization.” (Mies Van Der Rhoe)

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Alessandro Federico, Danilo Filoramo, Andrea Garozzo, Claudia La Verde Il progetto è situato nella zona posta tra la Caserma G. Abela e l’affascinante Castello Maniace. Tutto nasce dallo sviluppo volumetrico di uno dei quadri più famosi del pittore Piet Mondrian; opera scelta per la sua fortissima composizione essenzialmente geometrica, utile per la realizzazione di strade ariose e lineari e di edifici dai volumi essenziali e compatti. Il progetto gioca, infatti, non tanto sulle forme quanto sulla contrapposizione di edifici che si sviluppano in altezza, edifici di media altezza ed infine zone che, invece, sfruttano il sottosuolo creando spazi sotterranei. Ha un ruolo sicuramente predominante il mare, valorizzato attraverso l’apertura di un vasto cono ottico che taglia e stravolge la maglia zenitale data dalla composizione del quadro. Il progetto formalmente riprende l’architettura di Ludwig Mies van der Rohe (anch’egli, come P. Mondrian, ispirato al Suprematismo russo) e consiste nella creazione di alloggi per studenti singoli, doppi e matrimoniali negli edifici più alti e di zone destinate ai servizi quali mensa, cinema-teatro, palestra, bar, biblioteche, uffici, lavanderie e zone parcheggio negli edifici di media altezza e nelle zone sotterranee. Le coordinate assiali, che portano ad un principio zenitale della maglia ed i materiali innovativi quali vetro ed acciaio, sfuggono totalmente alla maglia di stampo medievale ed al comune uso del materiale litico dell’isola, riconoscendo così il Centro Storico non soltanto come luogo legato al passato, ma anche come una risorsa proiettata verso il futuro.

PROSPETTO NORD-OVEST

2QA

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PLANIVOLUMETRICO

FOTOMONTAGGI

SEZIONE B-B

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2QA


Rossella Apa, Annalisa Laganà, Andrea La Rosa, Stefania Ruggieri Tra classicità e movimento. Classicità, Movimento, Continuità: sono questi i concetti generatori del progetto. Lo scopo è quello di porre in risalto la presenza della stazione ferroviaria e della zona archeologica per valorizzarne l’importanza storico-artistica. Per ragioni di comodità e soprattutto di ordine, nel progetto è stato inserito un parcheggio a fianco del terminal riservato agli autobus fuori servizio . L’idea è quella delle grandi stazioni coperte; il progetto è articolato su tre elementi: il terminal, la pensilina e un dormitorio con funzione di alloggio temporaneo. L’idea di un “doppio” terminal (stazione vera e propria e pensilina), nasce in rapporto all’esigenza pratica di dividere i percorsi degli autobus extra-urbani da quelli urbani. La “classicità” viene assunta come modulo base del terminal: il rettangolo aureo con le sue proporzioni perfette. Il terminal è originato, infatti, da due rettangoli aurei affiancati; si forma un “sistema di rettangoli”: quello del blocco centrale in muratura portante, destinato ad ospitare uffici, quello della banchina pedonale e, in proiezione, quello della copertura. Si tratta di un “blocco” perfettamente inserito nel contesto, allineato, ai lati corti, con la stazione ferroviaria, e su un lato lungo con il fronte della strada principale. I due prospetti (uno verso l’area archeologica e l’altro verso la stazione) sono differenziati: rispettivamente un muro scavato e un “colonnato” (che fa riferimento all’antico ginnasio). Il muro scavato è un altro tema fondamentale sul quale si riflettono pure i concetti relativi al movimento: cinque blocchi caratterizzati infatti da una serie di bucature trapezoidali che si susseguono: le linee diagonali rappresentano il dinamismo, quelle verticali la stabilità. Ad ogni blocco corrisponde un servizio al piano terra mentre, al piano superiore, una passerella che unisce tutti i blocchi permette di godere, attraverso una “passeggiata architettonica”, della vista dell’area archeologica attraverso le bucature. La copertura insieme alla parete sono concepite come un “foglio” di pietra continuo che si piega per poi “sparire” nei pilastri del prospetto opposto; dei tagli corrono verticalmente sulla parete bucata per poi proseguire sulla copertura, che viene così suddivisa in lastre, e poi riscendere di nuovo, virtualmente, definendo i pilastri. Nella copertura sono inglobate le travi in acciaio che seguono i tagli diagonali e sono collegate a terra tramite setti, anch’essi in acciaio, che permettono la distribuzione interna degli uffici del blocco centrale. La pensilina (a quota più bassa) penetra nel terminal definendo la copertura del blocco centrale. Centro tra questo sistema e l’area archeologica è il piccolo hotel di forma circolare; due aperture marcano questa posizione centrale, di nodo: una verso il terminal, l’altra verso il ginnasio. Inoltre, un ulteriore collegamento con il ginnasio è offerto da una rampa che permette al pubblico di visitare il sito archeologico.

2QA

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PLANIMETRIA

SEZIONE A-A1

PROSPETTO A

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2QA


ASSONOMETRIA

SPACCATO ASSONOMETRICO

2QA

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PROSPETTO

SEZIONE C-C1

PLANIMETRIA DELL’HOTEL A QUOTA + 0.90 MT

SEZIONE B-B1

PLANIMETRIA DELL’HOTEL A QUOTA + 0.90 MT

PROSPETTO B

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2QA


Pierpaolo Cancemi, Giuseppe Capizzi, Stefania Guerrieri, Oliviero Guzzardo Il luogo dove il progetto deve essere inserito è la zona limitrofa a quella della stazione ferroviaria di Siracusa. Il progetto deve servire non solo a migliorare il servizio pubblico ma anche a riqualificare la zona d’edificazione dello stesso. Attualmente è possibile notare come la risoluzione del problema terminal autobus sia stato affidato ad una soluzione alquanto approssimativa e poco definitiva. Il terminal attuale si presenta come un unico marciapiede dove i passeggeri possono prendere indistintamente gli autobus interurbani ed extraurbani. Alla base del nuovo progetto doveva esservi il concetto di muro scavato. La soluzione da noi cercata è finalizzata alla ricerca dell’ordine dei percorsi e all’armonia fra gli stessi. Abbiamo cercato di mantenere una certa fedeltà nella sistemazione urbanistica delle zone limitrofe al terminal, cercando di inglobare anche gli edifici esistenti. Si può notare come la forma architettonica del progetto derivi dall’allineamento con la stazione e gli isolati circostanti. Per quanto riguarda l’edificato vediamo come il progetto sia strutturato su tre livelli, uno dei quali seminterrato. Al livello inferiore possiamo trovare la zona destinata agli autobus di linee urbane ed extraurbane. Sul livello centrale invece si possono trovare tutti i servizi utili ai viandanti; è possibile inoltre sostare nell’ampia piazza che si collega direttamente al piazzale della stazione. Sul livello superiore invece possiamo trovare la zona destinata agli alloggi e alla ristorazione; è prevista difatti la presenza di un ampio ristorante con vista sul sito archeologico. Materiale utilizzato per la realizzazione dei blocchi è la pietra calcarea di Modica sia per la colorazione biancastra sia per le caratteristiche di resistenza della pietra stessa. La grande piazza centrale invece è stata progettata in pietra di Comiso. Viene inoltre impiegato il calcestruzzo per la costruzione dei solai (che verranno poi alleggeriti con l’introduzione della lamiera grecata).

2QA

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2QA


2QA

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2QA


2QB LABORATORIO DI PROGETTO 2 QUINQUENNALE B prof. arch. Marco Navarra (composizione architettonica) prof. arch. Luigi Alini (tecnologia dell’architettura) Il ricalco come invenzione Il lavoro didattico, attraverso diversi esercizi, lezioni, esperienze sul campo, ha indagato pratiche tecniche e strumenti di lavoro della progettazione architettonica contemporanea. Disegni, modelli, foto e video raccontano i passaggi più significativi del laboratorio di progettazione architettonica. Gli esercizi introduttivi riguardano l’interpretazione e la reinvenzione della famosa casa prefabbricata del film “One Week” di Buster Keaton con l’elaborazione di 400 disegni e 400 modelli. Nel primo semestre sono state studiate trentatré architetture fondamentali dall’età arcaica all’età contemporanea con la realizzazione di 132 modelli in gesso, cera e terracotta e 8250 ricalchi effettuati con tecniche differenti su diversi supporti. Queste architetture sono state accuratamente scelte per certi loro caratteri contraddittori. I progetti finali sono legati all’idea del ri-uso, sperimentata con la realizzazione di SABASHI, padiglione temporaneo per la biblioteca multiculturale di Mazara del Vallo (costruito con cassette di plastica in via sperimentale durante i due workshop tenutisi a Grammichele tra maggio e giugno), di una struttura in cartone piegato e di B-HOUSE, progetto per una casa bifamiliare dentro un rudere a Mazara del Vallo riutilizzando i materiali reperibili nei cantieri navali della città. Il Laboratorio è stato concluso con la mostra RICALCOLANDO. L’arte del ricalco come invenzione: quantità alternative, diversità in serie, proposte dal la.p.a.2 in collaborazione con la Galleria Civica d’arte contemporanea Montevergini, offrono l’occasione per ripensare i materiali didattici di un intero anno attraverso l’esercizio dell’allestimento e del display.

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Fabio Messina, Salvatore Oddo, Emanuela Paternò, Mario PInnacchio, Luana Testa B-HOUSE Ipotesi A

2QB

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2QB


Messina Fabio, Migliore Valentina, Oddo Salvatore, Paternò Emanuela, Perricone Veronica Pinnacchio Mario, Pizzino Marco, Ragno Maria Elena, Rametta Fabiano, Rapisarda Olga Rossitto Jessica, Santacroce Andrea, Santangelo Annamaria, Scuderi Cristina, Spallina Ilenia Talarico Guido, Testa Luana B-HOUSE Ipotesi B

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Mappa Gea, Miranda Federica, Montanaro Nicola, Motta Dario, Nicolosi Carla, Nicolosi Ilenia Pappalardo Miriam, Petrella Serena, Platania Veronica, Raciti Chiara, Rametta Francesca Salemi Sofia, Santacroce Roberta, Scirè Banchitta Giuseppe, Torrisi Chiara, Vitali Federica SABASHI PAVILION

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2QB


3


3TA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 3 TRIENNALE A prof. arch. Antonio Farina

(composizione architettonica) tutor: arch. Andrea Albanese Studenti:

Nicolas Plechuk, Orazio Scalia Danilo Randazzo, Filippo Scollo Fabrizio Rizza, Stella Viglianisi

3TB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 3 TRIENNALE B prof. arch. Francesco Cacciatore (composizione architettonica)

Studenti:

Vittorio Caruso, Monia Latino, Andrea Rizza Marco Masuzzo, Andrea Petrolio, Antonino Vasile Francesca Abela, Piersanti Mazzarella, Irene Tranchina Veronica Brugaletta, Emanuele Leggio, Marco Scribano

3QA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 3 QUINQUENNALE A prof. arch. Vincenzo Latina (composizione architettonica)

Studenti:

Vittoria Basile Alessandra Grasso Giuseppina Iozia

3QB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 3 QUINQUENNALE B prof. arch. Isotta Cortesi (composizione architettonica) tutor: Marco Di Perna, Carlo Paternò, Orazio Saluci, Stefano Latina Studenti:

Grazia Vittoria Corsaro, Gianluca Zirone Pierangelo Scravaglieri Andrea Tarda


3TA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 3 TRIENNALE A prof. arch. Antonio Farina (composizione architettonica) tutor: arch. Andrea Albanese Le mie frequentazioni allo IUAV, all’inizio degli anni ’90 (dottorato V ciclo), erano caratterizzate da una domanda ricorrente relativa ai possibili sviluppi delle teorie rossiane sulla città, e che si sostanziava nella differenza concettuale tra l’architettura della città e l’architettura-città e degli esiti che l’una e l’altra congettura potevano offrire in termini operativi. Ovvero la possibilità di riflettere su metodiche differenti: conoscere e analizzare e, nonché, normare i processi di trasformazione della forma urbana e/o l’atto sintetico del progetto come altrettanta capacità investigativa della fenomenologia urbana. Non si trattava di una scelta di metodo e, pertanto, non si voleva esprimere un giudizio così come, in maniera disattenta e sbrigativa a partire proprio da quegli anni, si è associata l’operatività della prima ad un atteggiamento deterministico definito dalla dicotomia analisi-progetto e quella della seconda ad una capacità investigativa maggiormente aperta ad accogliere stimolazioni creative perché vera e propria reinvenzione artistica della città e delle sue parti attraverso la proposizione dell’oggetto architettonico. In sintesi non si trattava di scegliere tra architettura e piano. Si trattava, bensì, della necessità di individuare strumenti operativi plurimi per entrare in sintonia con le dinamiche urbane che andavano modificando profondamente l’immagine della città moderna europea: regolamentazione del fenomeno di territorializzazione della città (per così dire da morfologica a geografica) da un lato e dall’altro la ricerca dell’ame de la ville attraverso l’individuazione di alcuni elementi capaci di riassumere in se il senso più profondo e generale di quel carattere di individualità che contraddistingue ogni singola città.

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L’esercizio progettuale svolto dal corso verifica la validità dei due atteggiamenti proponendo una nuova centralità nell’area di piazza Pancali ad Ortigia area manomessa, forse, in maniera irreversibile rispetto al suo senso originario dalle trasformazioni umbertine all’inizio del secolo scorso. I primi materiali forniti agli allievi sono stati: due elementi alti binati e una pluralità di elementi bassi lamellari da adottare, rispettivamente, per: dare compiutezza all’impianto umbertino str strutturato, al di la del canale, su Corso Umberto e per riammagliare la morfologia dell’intorno in un quadro architettonico e urbano definito da un vuoto. Una sorta di restauro della morfologia urbana dove si afferma però anche la necessità di riscoprire in questo punto, attraverso l’unicità del nuovo foro, quell’ame de la ville che, proprio in questo luogo di limite tra realtà fisico-geografiche differenti, Ortigia da sempre ha espresso in maniera chiara e indelebile. La narrazione delle vicende urbane e una guida di riferimenti progettuali, fra tutti quello di Terragni delle “Corteselle” per Como, ha reso evidente e maggiormente comprensibile agli allievi il tema architettonico e urbano da svolgere.

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Nicolas Plechuk, Orazio Scalia L’area di studio è costituita dai primi due isolati ubicati in ambi i lati dell’ingresso dell’isola. Il progetto, da noi nominato “palazzo umbertino”, assume con grande forza l’idea di porta diventando manifesto di accoglienza attraverso l’impetuosità di due torri che marcano l’idea d’ingresso a Ortigia, dimostrandosi così una porta di prestigio culturale rimarcando l’idea del progetto di ubicare la nuova biblioteca comunale e una sede per eventi culturali come esposizioni, mostre e conferenze. L’edificio che poi sarà ripetuto in serie si affida interamente ad un progetto lecorbuseriano. Questo adotta il modulo duplex e si adatta perfettamente allo stile formale del progetto. Il blocco è composto da due moduli abitativi, ognuno formato da due appartamenti per un totale di quattro, ciascuno in grado di ospitare una famiglia con due figli. Infine il lato est è composto: da una torre che, insieme all’altra, definisce la struttura tipica di porta, da un grande volume che può ospitare mostre di ogni genere e da 5 blocchi che saranno destinati ad un uso abitativo con un totale di 20 appartamenti.

3TA

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STRUTTURA A

STRUTTURA B

STRUTTURA C

VIA SAVOIA

VIA XX SETTEMBRE

VIA DEI MILLE

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3TA


STRUTTURA A

PIANO TERRA

3TA

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PRIMO PIANO

MEDIATECA

SALA LETTURA

ARCHIVIO LIBRI


STRUTTURA B

PRIMO PIANO

PRIMO PIANO

SECONDO PIANO

TERZO PIANO

STRUTTURA C

PIANO TERRA

PRIMO PIANO

SECONDO PIANO

TERZO PIANO

QUARTO PIANO

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3TA


Danilo Randazzo, Filippo Scollo Durante il corso di progettazione ci è stata data la possibilità di confrontarci con un annoso problema di carattere urbanistico, ovvero la creazione di un sistema architettonico che potesse attraverso la progettazione di uno spazio vuoto, inteso non solo come negativo del pieno, ma come spazio delle relazioni, tra le cose e tra le persone; dar vita ad un nuovo foro per la città. L’intento compositivo dell’organismo edilizio da noi progettato è quello di creare una nuova centralità capace di riammagliare tessuti urbani differenti, concepita come una corte “anfibia” sospesa tra i canali della Darsena. Attestandoci alle direttrici ortogonali che ci vengono imposte dal tessuto urbano realizzato ad inizio secolo, attraverso elementi lamellari, posti al di sopra della quota del terreno, riusciamo a strutturare uno spazio capace di instaurare una relazione tra ciò che è posto all’interno della corte e ciò che ne sta al di fuori, andando ad inglobare all’interno della nuova corte, la Darsena ed il ponte Umbertino. Le due torri poste all’ingresso suggeriscono il carattere monumentale della nuova porta alla città antica. L’organismo edilizio instaura un meccanismo di alternanza tra spazi pubblici e privati, interni ed esterni. Analizzando gli elementi orizzontali che racchiudono la corte, nell’elemento lamellare adiacente al Palazzo del Fichera, distinguiamo: uno spazio espositivo, una sala conferenze, uffici, spazi aggregativi e di ristoro con annessa una piazza sospesa sulla Darsena accessibile dalla corte. Di carattere differente sono le funzioni esplicate nell’elemento lamellare posto a sud, in cui troviamo la successione di spazi dal carattere differente: una struttura alberghiera con annessi al piano inferiore un ristorante e un lounge bar. Le due torri sono adibite a biblioteca e ad uffici, mentre gli elementi posti tra i corpi edilizi a sviluppo orizzontale e le due torri, fungono da mediazione, creando un filtro tra la corte ed il tessuto urbano antecedente, capaci di ospitare nel tempo funzioni differenti. Le scelte formali ci hanno imposto l’uso dell’acciaio per poter realizzare grandi elevazioni e lunghi aggetti; e le caratteristiche del vetro corrugato per le superfici esterne ci permette di avere una corte chiusa nella quale vi è comunque un’ osmosi tra spazi interni ed esterni che ben interagisce con il luogo e la sua identità.

3TA

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PIANO TERRA | HALL

UFFICI

SPAZIO AGGREGATIVO

ARCHIVIO LIBRI

BIBLIOTECA

MEDIATECA

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SEZ C-C’

SEZ B-B’

SEZ. D-D’

SEZ. A-A’

3TA

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SECONDO PIANO

PRIMO PIANO

PIANO TERRA

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3TA


Fabrizio Rizza, Stella Viglianisi Lo scopo generale del progetto è quello di dare maggiore monumentalità e visibilità all’accesso umbertino dell’isola di Ortigia , attraverso l’utilizzo di edifici ad andamento sia verticale che orizzontale, simulando così le forme di un trilite. Oltre a questi caratteri generali è stato possibile basarsi (attraverso degli attenti studi storici e topografici dell’intorno) su altre problematiche indicative per completare nel miglior modo possibile il progetto. Per esempio, la nostra attenzione si è rivolta subito al problema MONUMENTO (tempio di Apollo)- CITTA’ CONTEMPORANEA: infatti, progetto urbano e progetto archeologico possono, qui, trarre sostegno l’uno dall’altro, mettendosi in stretta relazione. Si vuole dimostrare che è possibile studiare e progettare lo SPAZIO URBANO in continuità-concettuale e figurativa con lo SPAZIO ARCHEOLOGICO. La volontà è quella di dare una possibile continuità tra spazio pubblico e spazio archeologico. Non un PASSAGGIO-MUSEO, ma una nozione operativa per predisporre lo spazio pubblico, che diventa elemento ordinatore, attraverso il quale è possibile leggere i diversi tempi delle città, la DIACRONIA e la SINCRONIA delle tracce e delle storie percepibili in essa.Tutto ciò realizzato attraverso l’abbassamento del livello del piano di calpestio attuale a quello relativo ai resti del tempio di Apollo, l’apertura di assi storicamente importanti ed, infine, la progettazione di un imponente ed altissima piazza ,che si affaccia sull’antico e sul contemporaneo. Un castello moderno in antitesi con quello già presente di Maniace ,contenente attività moderne (quali biblioteche, aree espositive, aree congresso, aree commerciali e ludiche), che apre le porte all’affascinante isola.

3TA

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PIANTO TERRA

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3TA


SEZ A-A’

3TA

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PARTICOLARE COSTRUTTIVO DI UNA FACCIATA CON VETRATURA CONTINUA. ATTACCHI AI SOLAI INTERMEDI SUPERIORI. LA VETRATA TERMINA SUPERIORMENTE CON PARAPETTO CON VETRO STRATIFICATO

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3TA


3TB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 3 TRIENNALE B prof. arch. Francesco Cacciatore (composizione architettonica)

Orizzontale/Verticale. Dalla Sicilia all’Olanda. La casa collettiva [social housing]. Il laboratorio Il corso ha proposto lo sviluppo di temi progettuali che, a partire da un identico programma, ricadono all’interno di due aree con peculiarità geografiche, topografiche, economiche e sociali differenti. Questo doppio esercizio ha come obiettivo di fondo quello di stimolare una riflessione nei confronti dell’idea di “contesto” e di indagare sulle ricadute progettuali di quelle “condizioni insediative” con cui, di volta in volta, ogni proposta architettonica, anche la più autoreferenziale, deve necessariamente confrontarsi.

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Il contesto Da un lato, quindi, il piatto territorio di Almere, città olandese della regione del Flevoland, a est di Amsterdam, tema del primo semestre; dall’altro la città di Buscemi, insediata nell’accidentato paesaggio ibleo, oggetto dell’esercitazione finale. Il piccolo centro siciliano, in particolare, insieme a Buccheri, Ferla, Cassaro e Palazzolo Acreide costituisce il sistema dei cosiddetti “paesi montani” della provincia di Siracusa. All’interno del paesaggio di “cozzi” e di “cave”, di costoni scoscesi e di piccoli altopiani, generato dal suolo calcareo, la città storica aveva operato scelte insediative precise. Il suo sviluppo si è prodotto in verticale, occupando il costone esposto a sud-est, ben soleggiato e al riparo dalle correnti dominanti. Il piano in vigore L’idea di espansione attuale prevede l’impiego di quasi dieci ettari di questo intenso paesaggio per la costruzione di appena cento alloggi, sul modello della cosiddetta “villetta” unifamiliare isolata a bassa densità. Questo impianto sovverte il principio della città consolidata che fino ai primi anni ’90 propone un tessuto a più alta densità, cioè un sistema serrato e compatto di case aggregate. L’alternativa: la cava e l’altopiano Il tema proposto si oppone al modello di crescita attuale individuando una ipotesi di sviluppo sostenibile della città di Buscemi, basato sul principio dell’impianto tradizionale. La costruzione di alloggi collettivi in prossimità del centro storico, sul bordo della cava e a ridosso dell’altopiano, soddisfa pienamente la richiesta di nuova edilizia abitativa occupando minore spazio ed offre anche l’occasione di riqualificare ampie aree pubbliche già insediate ma oggi abbandonate e degradate.

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Vittorio Caruso, Monia Latino, Andrea Rizza L’altopiano Il complesso di abitazioni è situato nella parte alta di Buscemi. Per la definizione dell’impianto dei blocchi è stata attentamente considerata la direzione della luce naturale in modo da poter assicurare la migliore illuminazione ad ogni ambiente, nelle viarie ore del giorno e dei mesi dell’ anno. Le aperture sono disposte tenendo conto della direzione del sole. Inoltre, gli edifici sono soggetti a forti venti di tramontana e per far fronte a questo problema alcune pareti sono prive di aperture. Gli ingressi alle abitazioni si fronteggiano ma la posizione trasversale dell’edificio più a sud evita l’introspezione, così come il basamento di 70 cm dal piano della corte di entrambi i blocchi. A livello inferiore sono collocati i garage, collegati alla cortegiardino attraverso una grande rampa. Tutti gli alloggi sono duplex e alternano zona giorno e zona notte ai diversi livelli.

3TB

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PIANTA PIANO PRIMO

PIANTA PIANO TERRA

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TIPOLOGIA 1

TIPOLOGIA 2

PIANTA PIANO TERRA

PIANTA PIANO TERRA

PIANTA PIANOPRIMO

PIANTA PIANO SECONDO

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TIPOLOGIA 1

TIPOLOGIA 2

PARTICOLARE COSTRUTTIVO

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Veronica Brugaletta, Emanuele Leggio, Marco Scribano L’altopiano Il progetto si impianta nella parte più alta del centro ibleo di Buscemi, a cavallo dell’altopiano. Esso consiste in una serie di edifici mono-familiari che si adattano al luogo sfruttando le qualità migliori del sito. Gli edifici sono tutti organizzati in modo tale da avere un lungo giardino indipendente che funge anche da ingresso ad ogni singola casa. La disposizione planimetrica è organizzata in dodici blocchi costituiti da due piani ciascuno, ma l’organizzazione interna e la superficie è sempre differente. Alcuni blocchi sono organizzati mettendo la zona giorno al piano terra e la zona notte al primo piano. Altre residenze, quelle con una superficie maggiore, sono invece organizzate mettendo al piano terra zona giorno e zona notte e al primo piano uno spazio da adibire a zona studio/relax. Ogni edificio gode a sud di una veranda. A nord, lungo la strada principale che corre lungo il lotto, oltre ad avere gli accessi alle case, troviamo i garage, perfettamente integrati con i blocchi residenziali. L’intero sistema volumetrico si risolve con l’uso della pietra calcarea locale e dell’intonaco bianco.

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Marco Masuzzo, Andrea Petrolito, Antonino Vasile La cava L’edificio è situato in un punto particolarmente suggestivo della città di Buscemi, affacciato sulla cava che si apre sul lato sud del paese. La situazione complessa dell’area, sia dal punto di vista morfologico che del tessuto edilizio, ha influenzato la soluzione di progetto. La possibilità di espansione della città su questo versante deve fare i conti con la difficoltà di gestire le pendenze, i salti di quota elevati del terreno e la condizione del tessuto edilizio esistente, composto prevalentemente da piccoli edifici ormai abbandonati, che, all’occorrenza, devono essere demoliti. L’obiettivo del progetto era quello di costruire le abitazioni ma, allo stesso tempo, di rendere fruibile una zona ora abbandonata e poco accessibile. Si prevede anche la sistemazione della strada che passa in fondo alla cava, così da rendere comodo l’accesso carrabile. L’edificio, rialzato dalla quota del terreno per ottenere lo spazio utile dei parcheggi, comprende sei appartamenti duplex, tre da 80 mq e tre da 120 mq. Al di sopra dei due livelli degli alloggi si trova un terrazzo pubblico, raggiungibile dal livello dei parcheggi attraverso scale poste sul fronte Ovest dell’edificio. Inoltre è possibile raggiungere l’affaccio direttamente dalla città, attraverso alcune rampe di collegamento che ne permettono la fruizione anche a persone diversamente abili.

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DUPLEX TIPO A mq 120

PRIMO LIVELLO

SECONDO LIVELLO

DUPLEX TIPO B mq 80

PRIMO LIVELLO

3TB

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SECONDO LIVELLO


PARTICOLARE COSTRUTTIVO

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3TB


Francesca Abela, Piersanti Mazzarella, Irene Tranchina La cava La proposta di progetto parte dall’analisi di quegli elementi attraverso i quali il centro abitato di Buscemi ha preso vita e si è negli anni sviluppato. Si parla delle caratteristiche morfologiche dell’area, delle tipologie edilizie e di quelle climatiche. Si è studiato in particolare l’area sud, il margine tra il centro abitato e la cava; Un’area che non è centro e non è campagna, un’area nella quale queste due condizioni coesistono. Si è cercato un dialogo con il contesto, tra elemento costruito ed elemento naturale, nel configurarsi come un sistema di congiunzione tra queste due condizioni e nella definizione di un nuovo margine. L’area è costituita da un terreno in pendenza ed è rivolta verso sud e verso la cava. La tipologia proposta è quella di edificio a corte. Proprio la corte rappresenta, in questa situazione, la continuità tra costruito e paesaggio; attorno ad essa le pareti sono definite da 4 volumi che in totale accolgono 8 alloggi. Dal livello della strada esistente, che delimita a sud il nucleo urbano, si può scegliere se scendere verso la corte che si apre al paesaggio, fermarsi, o accedere agli alloggi che definiscono i quattro lati di questo spazio.

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SEZIONA A-A’

PROSPETTO SUD/OVEST

PROSPETTO NORD-EST

PROSPETTO SUD

PIANTA LIVELLO +1,20 m

PIANTA LIVELLO -1,80 m

PIANTA LIVELLO -4,80 m

SEZIONE B-B’

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3QA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE URBANA 3 QUINQUENNALE A prof. arch. Vincenzo Latina (composizione architettonica)

Il laboratorio ha introdotto gradualmente gli studenti allo studio analitico di alcuni progetti di architettura per comprendere il complesso processo progettuale attraverso l’analisi di alcuni “principi della composizione”; principi intesi come azioni da assimilare dettati da consolidate prassi progettuali. Le sperimentazioni progettuali del laboratorio sono consistite prevalentemente nello studio e rielaborazione critica di alcune architetture emblematiche suggerite dalla docenza. In prevalenza, si è trattato di edifici di rilevanza disciplinare per la loro natura storica-architettonica, morfologica, ambientale e per ordine compositivo e tecnico. Agli studenti è stata richiesta la composizione di una “architettura didattica” attenta e misurata, che intende tenere conto di molteplici fattori esistenti o predeterminati di ordine topologico, strutturale, distributivo e compositivo in genere.

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Le composizioni progettuali sono state sviluppate all’interno di due esercitazioni: • La prima esercitazione ha riguardato la residenza per nuclei sociali svantaggiati. Social Housing al villaggio Gisira di Brucoli, Augusta. Sono state svolte sperimentazioni progettuali di alloggi temporanei per migranti e per famiglie in difficoltà; centri di riposo per malati cronici, o nuove forme di coabitazione per giovani, single o famiglie separate. • La seconda esercitazione è consistita invece nella rielaborazione critica dei progetti di concorso del lungomare di levante di Ortigia e del parcheggio Talete. Il progetto di carattere urbano ha visto una preliminare acquisizione di elementari conoscenze della forma del costruito della città, dell’esistente e della strutturazione delle dinamiche di trasformazione. Sono stati privilegiati progetti consapevoli che strutturano relazioni urbane e che diventino misura del contesto. Il Corso, si è occupato di un aspetto particolarmente importante: quello di agire su parti del territorio urbano con consapevolezza, con attenzione sia al luogo dell’intervento, come parte di una costruzione complessa, sia alle spazialità dell’intervento.

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Vittoria Basile Il progetto mira alla realizzazione di un centro terapeutico per pazienti effetti da demenza, infatti la realizzazione di un adeguato ambiente fisico viene sempre più riconosciuto di grande aiuto per la cura di molte malattie come ad esempio l’ alzheimer. L‘ambiente viene così considerato come una risorsa terapeutica per favorire la funzionalità ed il benessere di queste persone. Obiettivi seguiti per la progettazione di un ambiente adeguato: - struttura semplice e chiara; - ambiente non-istituzionale, ma paragonabile ad uno più tradizionale; - necessaria libertà di movimento e di esplorazione; - varie componenti ambientali che interagiscono fra loro e con gli individui; - distinguere gli spazi per le attività, privacy e momenti di socializzazione; - rendere l’ambiente comprensibile. Il tema inoltre è stato affrontato attraverso l’utilizzo di grandi blocchi di pietra (calcarea, lavica ed arenaria) direttamente estratti dalla cava. La misura dei conci varia da 80x80x200 cm, 60x80x200 cm, 40x80x200 cm a 10x80x200 cm. Il progetto segue un modulo di base (6x13,2) per quanto riguarda gli edifici ed un ulteriore modulo per gli spazi esterni. L’esterno infatti rappresenta un percorso ed uno spazio dedicato ai momenti di socializzazione ed attività riabilitativa, questi spazi cambiano in base alle varie esigenze attraverso dei pannelli di legno mobili che si muovono all’interno della scacchiera e definiscono lo spazio dando l’idea del recinto. L’intera struttura è composta da tre grandi blocchi con funzioni differenti: -il primo sala da pranzo e cucina; -il secondo spazio-comune, vano ascensore, infermieria al piano terra, e camere annesse sempre al vano scala e all’ascenzore al primo piano; -il terzo comprende camere, bagni ed una vasca per terapie. Un aspetto che riprende la teoria di Luis Barràgan (architetto messicano del XX sec) è l’utilizzo nel progetto di elementi semplici ma ben definiti dalle intense tonalità che plasmano sia gli spazi interni che quelli esterni. Questi riguardano dei parallelepipedi tinteggiati con dei colori accesi che costituiscono l’amministrazione, l’ascensore, il vano scala e la vasca. La copertura si estende dall’ingersso fino a diventare facciata dell’edificio retrostante, composta da travi, travetti e lastre in vetro. Questa copertura fu utilizzata da Gilles Perraudin nella cantina vinicola di Nizas(2001).

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SEZIONE A-A

SEZIONE B-B

SEZIONE C-C

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Alessandra Grasso Il progetto riguarda la realizzazione di un padiglione per accedere al mare. L’area di progetto è Ortigia in adiacenza al parcheggio Talete e, tale progetto, nasce con il fine di riqualificare tale zona. Il padiglione è stato progettato prendendo a riferimento il “Centro culturale Noumea” di Renzo Piano e la residenza unifamiliare “Headlands house” realizzata da Kirkland Fraser Moor. Poiché in stretto rapporto con il mare, la forma richiama quella di una grande conchiglia che si aggrappa alla grande base di cemento sulla quale si appoggia e si evolve nello spazio. La sua pianta nasce dalla costruzione aurea e ha un’altezza che varia da 4,5 m a un’altezza massima di 7,5 m. Il padiglione è essenzialmente costituito da una struttura in legno lamellare e ogni “arco ligneo” è collegato all’altro. Le cerniere delle basi degli archi sono nascoste poiché il piano di calpestio è un po’ sollevato e il dislivello è comodamente superabile tramite una piccola rampa di accesso. Poiché fruibile principalmente l’estate, non è stato pensato nessun involucro esterno, la struttura è a vista e nella copertura, sempre in travi lignee, sono pensati grandi teli per riparare dal sole. Al centro del padiglione è pensata un’area bar, mentre nella parte in cui la conchiglia si restringe, vi sono docce e bagni. In quella porzione, per garantire la privacy di chi usufruisce dei sanitari, le bacchette lignee esterne si infittiscono notevolmente così da non essere visti dall’esterno. La copertura con teli è qui sostituita con canne di bambù. La conchiglia si apre verso il mare e la sua “coda” si estende su di esso con un lungo piccolo pontile che si conclude con una zona in tavolato ligneo per prendere il sole.

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PIANTA PIANO TERRA

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PARTICOLARE ATTACCO AL SUOLO

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PIANTA COPERTURA

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Giuseppina Iozia Oggetto della presente relazione è la descrizione di un progetto che prevede la realizzazione di uno stabilimento balneare presso il lungomare di Ortigia. Questo è caratterizzato da una struttura che permette di creare uno spazio stabile e flessibile grazie al suo carattere modulare che bene si adegua alle più diverse esigenze estetiche e funzionali. L’obiettivo principale è rendere la spiaggia fruibile a tutti, ma nello stesso tempo l’ intenzione è quella di creare aree a servizio degli stabilimenti dove poter installare elementi modulari che compongono le strutture ricettive per le pubbliche attività. Lo stabilimento sarà corredato da servizi che interessano la collettività, come ad esempio, il servizio docce, il ristoro, gli svaghi con la possibilità di organizzare il tutto per fini ludici ricreativi. Tuttavia il progetto prevede la realizzazione di spazi pubblici creando un collegamento con l’area del parcheggio talete che sarà portatrice di spazi connotati funzionalmente come aree sportive e per la ricreazione, la creazione di un solarium in stretta connessione con le piattaforme galleggianti previste, finalizzato a creare un rapporto diretto con il mare e l’introduzione di un volume il quale, per la sua posizione e forma incornicia una porzione di paesaggio. Per quanto riguarda i collegamenti verticali sono previste delle rampe che oltre a rappresentare elementi di collegamento tra piani differenziati, contribuiscono a creare una continuità dello spazio al fine di consentire un unico percorso pedonale simbolo di connessione tra le varie parti che compongono la struttura.

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PLANIVOLUMETRICO


PIANTA PIANO TERRA

PROSPETTO EST

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STUDIO DELLA COPERTURA

PIANTA COPERTURA

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SEZIONE D-D’

SEZIONE A-A’

PROSPETTO NORD

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3QB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 3 QUINQUENNALE B prof. arch. Isotta Cortesi (composizione architettonica) tutor: Marco Di Perna, Stefano Latina, Carlo Paternò, Orazio Saluci, Il progetto dello spazio pubblico. Tre spazi vicino all’edificio delle Poste a Ortigia. Si tratta di un confronto tra gli elementi stabili della cultura urbana e le condizioni variabili della cultura contemporanea: il progetto sperimenta il valore dell’architettura nel tessuto urbano consolidato. Si rende necessaria un’attenta osservazione dell’esistente nell’area del progetto. La forma della città è individuata come il risultato di complesse sovrapposizioni ed intrecci narrativi, ove la nozione di tempo e cambiamento caratterizzano l’area del progetto. • Il luogo, rapporto con le preesistenze della città storica e del paesaggio. • Il progetto del suolo (per approfondire la sezione quale modalità di controllo del progetto). • Le gerarchie spaziali dello spazio pubblico (percorsi pedonali, strada carrabile e lungomare). Il progetto può provvedere, oltre al giardino e alla piazza, spazi di ombra, di sosta per lettura per il gioco e l’intrattenimento.

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Grazia Corsaro, Gianluca Zirone Il progetto propone la riqualifica della piazza cesare battisti sita in ortigia (SR) , attualmente priva di destinazione d’uso, e la sua trasformazione in parco urbano. L’area si presenta come un vuoto urbano, adiacente al regolare tessuto dell’isola, mantenendo uno stretto legame con quest’ultimo, con le antiche mura spagnole, la zona del porto piccolo e dei Calafatari. La complessità dell’aerea di progetto ci ha portato a rimodulare la zona suddividendola in microsistemi di interesse, in se conclusi ma collegati. Il primo intervento è quello di deviare il traffico veicolare sostituendolo con percorsi pedonali e ciclabili; a nord ovest, il progetto prevede un collegamento con la zona dei Calafatari (all’interno del porto piccolo), mediante la demolizione del ponte carrabile preesistente ed un costruzione ex novo di un ponte ciclo-pedonale, sulla traccia di un antico collegamento risalente al periodo spagnolo; a nord-est la pista prosegue sino al parcheggio Talete, ipotizzando una sua continuazione lungo tutto il periplo dell’isola. La pista ciclabile rappresenta inoltre l’elemento di rottura all’interno del parco urbano, suddividendolo in tre zone di interesse: una zona di sosta e relax, caratterizzata dal lago eco sistemico e dalle zone naturali; queste, ribassate rispetto al suolo di calpestio, favoriscono un maggiore isolamento dai venti. Una zona di sosta ed attività ricreativo-culturali, formata da un sistema “cavea-scena-quinta”. La cavea è un elemento naturale a gradoni in legno ed erba, la scena una piazza trapezoidale in pietra bianca mentre la quinta è ottenuta tramite una folta vegetazione che scherma la scena impedendo la vista diretta del mare. L’ultima zona, è rappresentata da una passeggiatabelvedere, realizzata in tek, che partendo dal ponte umbertino, circonda l’area di progetto, fino a collegarsi al parcheggio Talete. Quest’ultima prevede delle aree di sosta alberate e delle rampe che consentono la discesa in spiaggia. Da questo collegamento esterno si diramano i percorsi interni al parco, anch’essi in tek, che collegano le tre zone, restituendo unità al parco e fungendo da “fil rouge” del progetto.

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PARTICOLARE COSTRUTTIVO

SEZIONE X-X

SEZIONE Y-Y

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Pierangelo Scravaglieri Il progetto sperimenta il valore dell’Architettura nel tessuto urbano consolidato mettendo a confronto gli elementi stabili della cultura urbana e le condizioni variabili della cultura contemporanea. Il progetto ipotizza, quindi, il completamento di quel processo costruttivo fonte della realizzazione di isolati a scacchiera nella zona limitrofa all’area. Il disegno della piazza mira ad una saturazione dello spazio mediante la frammentazione dell’isolato (di grandi dimensioni nell’entroterra e sempre più piccolo vicino alla costa fino a raggiungere la dimensione di frangi onde). La riqualificazione di piazza Cesare Battisti ha implicato l’individuazione di tre fattori a contorno: il primo riguarda la mobilità, e a tal proposito si è scelto di deviare il traffico veicolare (in uscita dall’isola di Ortigia) in direzione del ponte Umbertino, facendo della piazza un’isola pedonale; il secondo riguarda la presenza del canale d’acqua costeggiante l’area di progetto e che definisce una ipotetica linea di sezione alla geometria della pianta; ed infine la presenza del porto marittimo, a nord, che fa di questa porzione di costa una zona non balneare. I materiali ipotizzati per la costruzione sono: il legno,per la superficie di calpestio dell’intera piazza, composto in diverse falde inclinate (generatrici di uno spazio fluido), e il calcestruzzo per gli elementi solidi, incastonati nella suddetta superficie, sulla quale definiscono un livello zero costante. La variabilità altimetrica di questi due elementi realizza diverse condizioni d’uso della piazza quali sedute, percorsi seminterrati, vasi per la piantumazione di alberi o per il riempimento d’acqua.

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Andrea Tarda La necessità della creazione di uno spazio in movimento impone delle ovvie riflessioni sulla genesi di un vuoto urbano in relazione col tessuto di cui è parte. Capirne la morfologia, le intenzionalità compositive, il rapporto col costruito, la forza simbolica. Diversa cosa è tradurre quest’analisi storico-morfologico-sociale in direzioni progettuali, tenendo conto di quanto delicato e consapevole debba essere un intervento costruttivo quando ha a che fare col bene pubblico. L’analisi dello spazio di Piazza delle Poste parla di un luogo ampiamente stratificato, dove un meltin’pot di preesistenze ha lasciato varie tracce sulla morfologia dell’area, leggibili tranquillamente come una sovrapposizione di layer. In questo senso spiccano per evidenza topografica un forte livello di limite (identificabile con le linee del molo, residuo del tracciato delle mura spagnole) ed uno di connettivo urbano (l’ortogonalità degli isolati della città Umbertina) tra due parti distinte della città. L’obiettivo primario delle nostre intenzioni progettuali si prefissa di essere l’abbattimento di quel limite attraverso l’uso combinato dei vari linguaggi. Il tessuto connettivo ortogonale viene prima ruotato sulla direzione del limite, quindi esploso sia in orizzontale sia nelle quote, onde assorbire la differenza d’altezza tra il mare e la città e consentirne l’accesso da essa. Viene così a crearsi uno spazio frammentato, che viene ulteriormente sconvolto dalla sovrapposizione di un altro layer: uno sventramento in corrispondenza degli assi stradali che, in quanto riferimento di un altro sistema, adotta diverse differenze di quota. A questi livelli si giustappone un patchwork di materiali che dona alle varie porzioni di terreno consistenze diverse. Tre percorsi d’acqua indicano tracciati visivi ed uditivi agevoli per una graduale discesa al mare. Il sistema delle alberature e delle sedute, posizionandosi parallelamente al costruito, contribuisce a creare delle schermature visive, e di conseguenza degli assi visivi coerenti col tessuto Umbertino.

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PLANIVOLUMETRICO

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4QA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 4 QUINQUENNALE A prof. arch. Bruno Messina (composizione architettonica)

tutor: arch. Fabrizio Foti Studenti: Roberto Capodanno, Davide CassarĂ , Giulio Doria Dario Felice Alfio Greco, Francesca Greco, Rosanna Leonardi

4QB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 4 QUINQUENNALE B prof. arch. Giuseppe Leone

(composizione architettonica) tutor: arch. Lavinia Pitino, Daniele Orlando Studenti:

Valeria Pulvirenti Maria Celeste Chiavetta, Katia La Russia, Simona Parisi, Germano Schillaci, Chiara Spicuglia, Giuseppe Spicuglia, Roberta Sciuto, Amedeo Sicari



LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 4 QUINQUENNALE A 4QA prof. arch. Bruno Messina (composizione architettonica) tutor: arch. Fabrizio Foti

Obiettivi prioritari del laboratorio sono: - rappresentare criticamente le condizioni di conflittualità, interstizialità e residualità tra città storica e città contemporanea; - elaborare idee di trasformazione dell’esistente, compatibili con le condizioni di specificità morfologiche dei luoghi. La localizzazione, la scala e il programma del progetto hanno costituito un’occasione specifica di riflessione sui temi e sulle modalità di modificazione dell’ambiente costruito, in particolare della residenza. Le esercitazioni progettuali si sono concentrate, quindi, sul tema dell’abitazione (individuale e collettiva), nel rapporto tra tipo, scala e forma urbana. Temi prevalenti e trasversali alle esercitazioni del laboratorio sono stati: - il rapporto tra tipo abitativo, tipo edilizio e forma della città nella definizione del progetto urbano; - la residenza come tassello indispensabile di costituzione della forma urbana; - il rapporto tra costruzione e sedime; - la trasformazione dell’ambiente costruito, attraverso interventi di ristrutturazione e/o sostituzione, sopralzo, addizione; - il progetto del verde come strumento di ridefinizione degli spazi aperti, marginali e delle sezioni stradali; - il rapporto tra architettura e infrastruttura all’interno della città. Le attività di laboratorio si sono articolate in esercitazioni progettuali sul tema della residenza integrata dai servizi pubblici. Ambito di lavoro scelto è il quartiere adiacente la Villa Comunale a Palazzolo Acreide (SR) .

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Roberto Capodanno, Davide Cassarà, Giulio Doria Il piazzale G. Marconi a Palazzolo Acreide costituisce un caso interessante per svariati aspetti: lungo la base del triangolo che descrive la forma di questo luogo si trova l’ingresso alla Villa Comunale, mentre il vertice opposto punta in direzione del campanile di S. Sebastiano, visibile al di sopra degli edifici e posto su una quota più alta. Individuati questi due “poli d’attrazione” si è cercato di metterli a sistema con la griglia regolare del Quartiere Convento e con il dislivello determinato dalla strada sul lato sud. Prolungando gli assi nord-sud degli isolati prossimi alla piazza è stato possibile ricavare una scalinata. I tre accessi alla Villa Comunale sono stati segnalati da altrettanti percorsi, di cui uno sospeso sulla scalinata per mezzo di una passerella. Sul vertice, come contraltare del cancello della Villa, è stata collocata una “piazza coperta”, pensata in acciaio corten ed utile per manifestazioni pubbliche al coperto. Il lavoro sul parterre ha previsto l’uso del lastricato a livello stradale, sedute in pietra con illuminazione integrata e, inoltre, la piantumazione di palme Washington come esplicito richiamo alla varietà botanica presente nel giardino pubblico. Le fronti delle case prospicienti la piazza sono state considerate parte integrate del progetto e su di esse si è ipotizzata l’applicazione di una contro-facciata che trasformasse i ballatoi in logge e contemporaneamente avesse funzione di telaio comune per infissi scorrevoli. Il servizio di parcheggio per i residenti è stato garantito sfruttando uno spazio non edificato adiacente alla piazza, con funzione di zona filtro tra abitazioni e luogo pubblico.

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PLANIVOLUMETRICO

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STATO DI FATTO

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SEZIONE B-B

SEZIONE A-A

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Dario Felice L’area di progetto si sviluppa apparentemente senza espedienti che regolino gli interventi, appare un laboratorio aperto agli esperimenti, dove tutto è permesso, dove ogni singolo edificio può rispondere ad una propria logica o affermare il proprio linguaggio senza doversi confrontare con quanto lo circonda. Prevale una superficialità del contesto urbano che va investigato attraverso un corpo a corpo che permette di raccogliere informazioni visive, di cogliere situazioni ed atmosfere che disperdano la disorientante sensazione di essere immersi in un magma edilizio. La necessità di questo tetê à tetê sembra dettato dalla natura stessa dell’ambito urbano, caratterizzato dalla mancanza di una struttura chiara ricostruibile nella nostra mente. Il primo step progettuale prevede il riassetto del tessuto urbano attraverso lo sventramento di alcune porzioni e l’innesto di un parco urbano organizzato da un percorso che come un filo d’Arianna unisce i punti focali dell’area. Il progetto emerge dalla semplice operazione boettiana di ricalco, da massa amorfa si genera una nuova forma in negativo, capace di distribuire la propria massa tra gli interstizi della città esistente. Sollevare dal suolo invertendo lo skyline, queste le operazioni che enfatizzano il galleggiamento di questo grattacielo orizzontale, che intercetta in un’unica visione il quartiere con spazi per la socialità, appartamenti e un bar. L’idea di un grande rettile su dieci zampe sotto il limite d’altezza di 12 m, invece di proporre diverse strutture più piccole per un programma specifico, è stato ispirato dalla prospettiva di creare viste per gli sviluppi futuri; l’edificio, un unico grande oggetto galleggiante che come un parassita si diffonde, saturando anarchicamente quei vuoti circostanti generando spazio di permeabilità pubblica al piano terra. Coprendo l’intera lunghezza della costruzione di un percorso pubblico si dà la possibilità di osservare da un nuovo punto di vista l’immagine dell’intero quartiere. ¬Di notte, una passeggiata attraverso questo paesaggio di piante autoctone si mescola alla massa dell’urban snake.

PERCORSO ATTRAVERSO GLI ORTI

AREE DESTINATE AD ORTO

PERCORSO A TERRA

PERCORSO/ARREDO URBANO

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PIANTA LIVELLO 0

PIANTA LIVELLO 1

PIANTA LIVELLO 2

PLANIVOLUMETRICO

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ASSONOMETRIE

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Alfio Greco, Francesca Greco, Rosanna Leonardi Il quartiere del Convento a Palazzolo Acreide è nato per dare una casa di appoggio in città ai contadini che abitavano in campagna. Se, attraverso le vie parallele e gli isolati lunghi e stretti ci dirigiamo dal nuovo Viale Dante verso la Villa Comunale, è come se viaggiassimo nel tempo: si passa dai condomini, le sopraelevazioni, le trasformazioni di oggi alle case terranee a schiera con tetti a falde di ieri. Il progetto urbano mira a convertire il disorientamento esistente in percorsi e pause con elementi di riconoscibilità. La ricerca di permeabilità del quartiere dal nuovo viale alla villa viene risolta grazie a demolizioni mirate che danno forma ad una via con un sistema di piazze alberate, che si articola in tratti carrabili rallentati e tratti pedonali. Il progetto architettonico è una riflessione sui modi dell’abitare contemporaneo, i pieni e i vuoti della casa a patio si inseriscono nel tessuto preesistente del quartiere.

LOCALIZZAZIONE DELL’INTERVENTO

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4QB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 4 QUINQUENNALE B prof. arch. Giuseppe Leone (composizione architettonica) tutor: arch. Lavinia Pitino, Daniele Orlando “Il sogno del cielo e la realtà del mare” Il termine abitare dovrebbe essere per ogni abitante, residente o no, un importante riferimento, sia per la sua personale esperienza di uomo o donna che sia, purché “vivente”, che per gli studi urbani che, un qualsiasi studioso di storia dell’architettura, o dei sistemi spaziali e architettonici, degli storici impianti urbani, dovrebbe, o avrebbe dovuto, acquisire all’interno della sua personale ricerca di studio. Dico di più, anche in una sua eventuale esperienza, ancorché acquisita attraverso un rigoroso rapporto di conoscenza con quella parte della città che chiamiamo “centro storico”, o nelle occasioni di progetto che oggi, e non solo da oggi, si incentrano in quella parte del sistema urbano che i migliori critici, definiscono opportunamente obsoleta. Permane certamente la coscienza “storica” in ognuno di noi, sicuri che si tratta di un sistema molto complesso e, se non altro, per i significati che si sono stratificati nel tempo e che costituiscono comunque un aspetto molto importante anche per un qualsivoglia architetto progettista che si occupa seriamente di una particolare zona urbana. Se vogliamo abitare il centro storico dobbiamo captare l’origine letteraria del termine abitare, anche perché si intuisce, nel centro storico, una maggiore difficoltà di risiedere la contemporaneità; possiamo leggere dai noti scritti di Heidegger del 1957: <<che l’uomo non abita solo la propria casa e che costruire (“bauen”) significa anche abitare. Le costruzioni che non sono abitazioni rimangono pur sempre anch’esse determinate in riferimento all’abitare, nella misura in cui sono al servizio dell’abitare […] il costruire è già in se stesso un abitare>>. Nell’ultimo CIAM del 1959, termini come identità, “core”, “cluster”, diventano i nuovi codici per discutere i problemi della città e della 184

“architettura” e la priorità dell’abitare diventa il motore della trasformazione urbana. In questo periodo, Neutra, Rogers, van Eyck, Nervi, Fuller, Kahn, Johnson, etc, costruiscono architetture accomunate dall’influenza dei principi dell’Umanesimo e dell’esistenzialismo derivato dalla fenomenologia che, secondo me, è fine a se stessa, con ovvi riferimenti agli storici e relativi rapporti dell’ormai quasi scomparso, dalla scena operativa internazionale, movimento moderno, che aveva concluso o interrotto la sua esperienza innovativa e poetica. L’uso dei “materiali”, delle tecniche e delle tecnologie considerate vernacolari, etc, oggi costituiscono il momento di un’essenza estetica che vuole reagire in altre innovazioni e in altri, secondo me, significanti dei significati, come le espressioni linguistiche: <<la produzione da parte di un soggetto di esperienze percettive elementari capaci di generare significati attraverso le emozioni. […] L’architettura al pari di tutti gli altri campi della creazione estetica, acquista la libertà assoluta di sperimentazione percettiva, il che si traduce in questo caso […] nell’apertura a posizioni sperimentali specialmente per quanto attiene agli effetti delle forme, dei materiali e degli spazi, nel rapporto con il paesaggio naturale e dell’acquisizione culturale>>. Così si espresse nel 1991 l’architetto Morales nel tentativo, secondo me troppo enfatico, di comunicare al mondo la riqualificazione della città di Barcellona, salvando, grazie a Dio, lo storico sistema urbano pensato e realizzato da Cerdà. Quanto detto, vuole mettere in evidenza anche nei casi peggiori, “una eccessiva libertà creativa” che spesso ha danneggiato, con difficoltà un eventuale recupero del recupero, intere porzioni di tessuto urbano preesistente e del ben più ampio

territorio storicamente definito ecosistema territoriale produttivo, che insieme costituivano un riferimento equilibrato nell’evoluzione dello stesso sistema abitativo. Da un altro punto di vista questa operazione fu inspiegabilmente disattesa, ma malgrado tutto venne chiamata pilota: fu esistenzialista nell’attualità e ancora disattesa alle esigenze dell’abitare, dando così origine a ricerche e riflessioni che sono ancora oggi dibattute, anche se non sono più significative nella globalizzazione dell’esperienza umana. Ad esempio, una funzionaria di una società di investimenti finanziari, ebbe a dire in aereo ad un intervistatore, che gli domando: “Dove è la tua casa dell’anima?”, che in realtà la sua casa abituale è l’aereo, ma nel profondo dei suoi desideri aveva, anche se lontana, una chiara immagine del luogo del suo sogno dove abitare. Il resto è silenzio. Il corso di progettazione architettonica ed urbana che ho tenuto fra il 2007 e il 2008 a Siracusa, con l’assistente arch. Lavinia Pitino, ha voluto applicare, con opportuna modestia e nel dubbio delle scelte, una attenzione all’attività progettuale del tema della città e del suo contesto territoriale e si è voluto considerare ancora il centro storico parte viva della città contemporanea. A partire da casa, servizi pubblici, casa-bottega, etc, si è cercato di accostare all’azione progettuale i vari significati che può avere il termine abitare, come presenza dell’uomo/ donna nel nostro mondo Terra. Il termine abitare comprende, con tutte le accezioni connesse, anche le questioni del modo di abitare gli spazi collettivi di una città, di un territorio e dello stesso paesaggio che costituisce l’ensamble musicante del concerto complessivo. A tal fine è stato necessario approfondire le nozioni più opportune, date da vari studiosi, del mondo dell’uomo, del suo ambiente, dei suoi luoghi e dei siti dove vive. Questi


termini sono stati posti in relazione con il significato di carattere e di tipo, definizioni espresse da Quatremére de Quincy nel 1832. Lo scopo fu quello di orientare gli studi verso la comprensione dei complessi sistemi concettuali ed espressivi di un ragionamento progettuale sul significato e permanenza dell’architettura e del suo contesto. La configurazione formale di uno spazio urbano dipende dal modo in cui sono disposti gli elementi che lo racchiudono e ne determinano i limiti perimetrali dell’esperienza temporale verso un prevedibile futuro. Questi ragionamenti sono alla base dell’idea di progetto architettonico e urbano, non escluso il centro storico, che nonostante le invasioni dell’abusivismo, le demolizioni, i crolli deturpanti, riesce a conservare una certa riconoscibilità delle sue originarie caratteristiche morfologiche, soprattutto se, questi tessuti storici, sono paragonati a quegli delle aree diffuse delle espansioni alle periferie delle città e dei territori circostanti, che, dal secondo dopoguerra in poi, hanno freneticamente raggiunto dimensioni e forme abnormi, creando psicologicamente a chi le abita, un disorientamento spaziale, caratterizzato prevalentemente da un’intensa e rilevante attività di viabilità carrabile e l’indeterminatezza del relativo disegno morfologico dei volumi edilizi posati, sembrerebbe casualmente, nell’insieme del paesaggio tra le linee di costa e quelle dei più alti pendii. La trama del territorio urbanizzato può assimilarsi, come metafora, al suono musicale di tante arpe. L’arpa è, nella concertazione, il suono armonico dello sfondo che rimanda anche a figure; la trama ne è un sinonimo, come sistema armonico dei segni e delle proporzioni che possono accogliere un “pizzicato”, senza vibrazioni, un’onda bloccata sul nascere: un vero non finito e se fosse finito, dovrebbe essere appena posato con lucida causalità. Trovare

dentro il fare architettura in un luogo una sequenza capace di restituire l’idea di sfumatura armonica al paesaggio che, per cultura e storia dell’uomo è stato fisicamente rivisitato nel passato, con quel gusto che è proprio l’azione del costruir fisicamente, pone in un contesto unico, leggero, libero nel rispetto del fare nelle “cose”.

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Valeria Pulvirenti Il Progetto. Come prima operazione ho diviso il lotto stesso in tre parti: una di mq 4.430 da destinarsi a viabilità e parcheggio, una seconda di mq 7.913 per la stazione e il parco, infine la terza di mq 8.208 assegnata alla fascia di rispetto tra la zona d’intervento e il fiume. Il parcheggio è organizzato per 73 posti auto, dei quali cinque riservati a portatori di handicap e uno spazio riservato a bici e moto. E’ stata ripensata anche la viabilità realizzando una corsia di ingresso e una di uscita all’aerea; tra le due strade ho collocato un grande spazio a verde alberato, attrezzato con sedute e vasche d’acqua. Nella fascia di rispetto verso il fiume, non progettata nel dettaglio, ho voluto riproporre la vegetazione tipica e rendere utile l’area proponendo percorsi in barca sul fiume e piccole postazioni di ritrovo. La stazione del treno veloce è collocata alla quota di m 6 rispetto la pavimentazione del parco. Ho proposto una volumetria semplice: un parallelepipedo sostenuto da pilastri. Quattro volumi a cilindro, attraversano il parallelepipedo: emergono dalla copertura dell’edificio e si pongono come forti “segni” architettonici anche grazie ai colori diversi e molto accesi, che richiamano quelli dell’architettura messicana di Barragan. Il corpo parallelepipedo della stazione è servito da due rampe di scale e due ascensori, per rispondere all’impianto speculare rispetto alla ferrovia e garantire, gli stessi servizi in entrambi i lati rispetto alle due uscite del treno. Due ulteriori volumi, solidi geometrici, sono destinati ad un bar e alla vendita di gadget. Il bar ha un lato completamente vetrato in modo da essere aperto nel periodo estivo. Un segno forte è ottenuto con piloni colorati (memoria delle Torres Satélite), opportunamente illuminati tramite un sistema di luci a pavimento. Si predispone anche un area per i giochi dei bambini. Conclusioni. Il progetto- riqualificazione mira prima di tutto a diventare un ”luogo” importante per la vicina città: una stazione non di solo passaggio, ma un luogo aperto di ritrovo e di sosta. Infatti, proprio grazie alla sua posizione alle porte della città, si propone come luogo di accoglienza per cittadini e turisti. Ho voluto progettare qualcosa di diverso dal semplice parco: un nuovo modo di interpretare lo spazio collettivo grazie all’uso di pochi elementi combinati tra loro a definire gli spazi.

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PLANIVOLUMETRICO

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PIANTA STAZIONE QUOTA +7.20 m

PIANTA BAR E NEGOZIO QUOTA +1.20 m

SEZIONE NORD-OVEST

PROSPETTO NORD-EST

PROSPETTO SUD-OVEST

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Maria Celeste Chiavetta, Katia La Russia, Simona Parisi, Germano Schillaci (masterplan) L’idea di progetto. Il progetto prevede la risistemazione dell’assetto stradale con la realizzazione di ponti carrabili e pedonali nonché piste ciclabili e parcheggi che assicurano il collegamento tra le due sponde dei fiumi, la progettazione di un ristorante pubblico, un club canoistico compreso di ristorante (privato) e un piccolo approdo sul Porto Grande. Il referente. Tenendo conto del valore paesaggistico del sito, delle viste che ci offre verso il mare e verso i due fiumi, il nostro intento era quello di realizzare qualcosa che garantisse la possibilità ai fruitori di godere di questi scorci naturali. La nostra ricerca si è subito orientata verso l’opera di Daniel Libeskind, architetto statunitense di origine polacca nonché esponente dell’architettura decostruttivista. In particolar modo ci siamo indirizzate verso due opere dell’architetto sopra enunciato: il Museo Ebraico di Berlino e il Ponte abitato a Londra, quest’ultimo si tratta di un progetto non realizzato. Ciò che accomuna queste due opere, e che ci è sembrato interessante riproporre all’interno del nostro progetto, è la pianta a “zig-zag”. Ed è proprio questa la forma che meglio si presta a soddisfare i nostri obiettivi progettuali. Il progetto. Come precedentemente enunciato, il nostro progetto prevede la realizzazione di un approdo, un club canoistico e un ristorante privato. La nostra volontà era quella di unire con un unico segno i diversi spazi destinati a tali funzioni. Da qui la progettazione di un percorso che si snoda partendo dal litorale con l’approdo,la biglietteria,il ristorante e la caffetteria,il club canoistico, procedendo lungo il percorso pedonale che collega le rive dei due fiumi. Tale percorso, che segue le pendenze del terreno, fatta eccezione per un tratto che si eleva da terra di circa m1.80 e che diventa una sorta di belvedere, presenta una forma frastagliata che ha l’intento di indirizzate il fruitore verso molteplici visuali. Lungo il percorso si innestano dei volumi che ne riprendono le forme irregolari. Le irregolarità riguardano sia l’impianto planimetrico che l’alzato, in quanto ciascun volume presenta altezze diverse. Si tratta di volumi scatolari, caratterizzati da superfici piene, rivestite da lastre di cemento bianco, a cui si contrappongono dei vuoti (vetrate a tutta altezza). Queste vetrate hanno lo scopo di incorniciare il paesaggio naturale. La realizzazione del progetto non prevede l’inserimento di piantumazioni oltre a quelle già esistenti con l’intento di non alterare le caratteristiche del sito. Inoltre l’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale,come il cemento bianco e il legno, perseguono l’obiettivo di preservare e riqualificare il litorale già deturpato dalle costruzioni sorte senza una precisa pianificazione.

Maria Celeste Chiavetta, Katia La Russia

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MASTERPLAN

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Maria Celeste Chiavetta

PIANTA A QUOTA +1.20m

PIANTA A QUOTA +5.20m

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PROSPETTO NORD-EST

PROSPETTO SUD-OVEST

SEZIONE A-A’

SEZIONE B-B’

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Katia La Russia

PIANTA PIANO TERRA +0.00 m

PIANTA PIANO PRIMO +3.50 m

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PROSPETTO SUD-OVEST

PROSPETTO NORD-EST

SEZIONE A-A’

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Germano Schillaci L’area di progetto presa in esame inquadra la zona fluviale del Comune di Siracusa. In particolare è stata esaminata la zona della foce dei fiumi Anapo e Ciane. L’intento del progetto è quello di riqualificare l’area, oggi del tutto abbandonata e quasi sconosciuta, a causa dell’assenza di infrastrutture adeguate e servizi. Gli obiettivi posti a monte sono stati, quindi, quelli di aumentare l’afflusso di gente nell’area ed aumentare la qualità dei servizi, pubblici e privati. Per fare ciò sono stati previsti i seguenti interventi: aumento della sezione stradale, realizzazione di una pista ciclabile con relative soste immerse nella natura, un ristorante a forte attrazione turistica, un club canoistico e due ponti, uno carrabile ed uno pedonale, in modo da collegare le due sponde dei fiumi (su cui sono stati collocati i servizi). L’attuale posizione della sede stradale ha comportato il ridisegno di quest’ultima (aumentata da 9 m a 21 m), in quanto, nella situazione odierna, la strada non consente un elevato flusso veicolare. Inoltre si può notare l’inesistente rapporto tra fiume e strada; percorrendola quasi non ci si rende conto di essere su un fiume (o meglio, due fiumi). Questo perché il ponte esistente ha una struttura ingombrante che occupa, oltre alle sponde nord e sud, anche l’istmo che divide i due fiumi. Questo comporta la paradossale mimesi del fiume a favore della carreggiata. Per questi motivi il progetto del ponte mira a liberare la parte sottostante, grazie ad un sistema a doppio arco ad unica campata, ed in più, con la sua forma in forte contrasto con il paesaggio, aiuterà l’identificazione del sito e porrà l’accento su questo luogo ai più sconosciuto, cancellandone l’anonimato. La sezione stradale del ponte carrabile presenta un’anima di calcestruzzo armato e travi di acciaio, sorretta da cavi di sospensione. Il sistema strutturale è formato da due archi in acciaio, ognuno dei quali ruotati di 27°. A loro volta i due archi sono rinforzati tra loro tramite controventature. Il ponte pedonale/ciclabile, lungo 95 m, è ad unica campata, grazie ad un arco di acciaio ruotato sul suo asse di 30°. Una doppia fila di tiranti, che convergono tutti verso lo stesso punto (il centro della curva), sorreggono la passerella. Questa è realizzata con un profilo a L in acciaio rivestito con tavole di legno. La particolare sezione della trave fa si che si venga a formare una “panca”, presente per tutta la lunghezza del ponte, dove è possibile soffermarsi per godere degli spettacoli che quotidianamente la natura offre.

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Amedeo Sicari, Roberta Sciuto, Chiara Spicuglia, Giuseppe Spicuglia Progetto: Water in the salt water La proposta progettuale riguarda Punta Del Pero, area del litorale siracusano. La zona è protetta da uno sperone roccioso, barriera naturale contro le correnti di mare aperto spinte dal vento di grecale. L’insenatura presenta, allo stato di fatto, una serie di banchine d’attracco per le barche e alcuni capannoni per ospitare l’attrezzatura per la manutenzione di queste. Il progetto prevede il riuso, la risistemazione e il progetto del nuovo. A fornire la chiave di lettura del progetto è la sua stessa esigenza: vivere l’acqua. Il progetto si compone di vari elementi: una diga foranea, una stecca di servizi, un sistema di piscine, una piscina olimpionica, il “Sea Bath” e un parcheggio. La diga foranea ha la funzione di frangiflutti e assume un’importanza fondamentale per la realizzazione di piscine naturali all’interno dell’insenatura. Sotto il livello dell’acqua, sulla diga è installato un sistema di turbine finalizzato alla produzione di energia idroelettrica. La diga diventa una vera e propria passeggiata sul mare, passeggiata che culmina in uno spazio più ampio che rappresenta un punto panoramico e luogo del faro di segnalazione per le imbarcazioni. La stecca, filo di comunicazione tra la terra e il mare, ospita gli spogliatoi, i servizi igienici, un bar self-service ed un’emeroteca. Situate lungo la costa, sono previste delle piscine d’acqua salata per la fruizione di tutti, bambini, anziani e disabili, messe in comunicazione attraverso un sistema di passerelle e rampe per la discesa a mare. Il sistema a gradoni rispetta l’orografia del terreno e ha la duplice funzione di tribuna e zona relax. Il Sea Bath svolge la stessa funzione che una piazza svolge all’interno di un centro storico: la socializzazione. Importante elemento del concept del sea bath è la libertà di ingresso e fruizione in ogni momento. Esso è pensato per essere un framework non tradizionale per l’esercizio delle attività sportive. C’è uno spazio per il nuoto serale, così come per l’esercizio e per il gioco. Dotato di vari livelli che consentono di diversificare sia le attività che gli accessi, ora ai trampolini, ora alle libere passeggiate, ora alla sosta per il relax, esso ospita all’interno spazi per gli spogliatoi. Il materiale utilizzato è il legno azobè: la scelta di questo è dettata sia dalla volontà di fare un intervento quanto più mimetico possibile che dalla sua buona resistenza all’acqua. La forma circolare del sea bath crea uno spazio interno concentrato, riparato dal vento, esposto al sole e tale da consentire sia una prospettiva diversa a seconda della posizione dell’osservatore che una vista a tutto tondo per chi si trova al suo interno. La forma si apre verso la terraferma per creare un collegamento con la spiaggia attraverso una rampa e consentire l’accesso dalla spiaggia. Il parcheggio è collocato sul lato sinistro della strada che, correndo parallelamente alla linea di costa, determina una divisione del parcheggio dall’insenatura attraverso filari di ginepro.

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SEZIONE A-A’

SEZIONE B-B’

SEZIONE C-C’

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SEZIONE A-A

SEZIONE B-B

SEZIONE C-C

SEZIONE D-D

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SEZIONE B-B

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SEZIONE A-A

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5QA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA URBANA 5 QUINQUENNALE A prof. arch. Rita Simone

(composizione architettonica) tutor: Arch. Annamaria Ciabatta, Arch. Nicoletta Abela Studenti:

Marco Di Perna Daniele Marotta Carlo Paternò

5QB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA URBANA 5 QUINQUENNALE B prof. arch. Marco Navarra (composizione architettonica)

Studenti:

Raffaello Buccheri, Celeste Greco, Ezio Siciliano Giulia Messina, Licia Passalacqua, Mariella Smriglio Lucia Rapisarda, Violetta Scandurra


5QA LABORATORIO DI PROGETTAZIONE URBANA 5 QUINQUENNALE A prof. arch. Rita Simone (composizione architettonica) tutor: Arch. Annamaria Ciabatta, Arch. Nicoletta Abela SOTTRAZIONI DI MATERIA I lavori presentati costituiscono una selezione di prodotti didattici elaborati all’interno del Laboratorio di Progettazione Architettonica V per l’a.a. 2008/09 . L’impostazione didattica sperimenta un‘operazione di carattere spaziale/compositivo legata alla costruzione del volume architettonico e all’invenzione di spazi come grandi interni destinati alla socializzazione: spazi pubblici contemporanei legati alla notte sia rivisitati nei modelli usuali (discoteche, internet point, pub, sale per musica live, caffé letterari ecc.), sia sperimentati in base alle nuove modalità di aggregazione del mondo giovanile. Al di là della destinazione d’uso proposta, comunque, l’interesse didattico mirava alla costruzione di un metodo progettuale che partisse unicamente da un’idea di spazio e dalla sua formalizzazione: uno spazio che avesse come caratteristica quella di raffigurarsi come un grande interno posto in relazione gerarchica con altri e ottenuto attraverso un procedimento di scavo e sottrazione. A partire da una volumetria predefinita data come massa, tale processo di sottrazione materica – costantemente verificato attraverso una sequenza stratigrafica di sezioni – ha, quindi, generato studi su spazialità più o meno complesse, costruite attraverso quegli strumenti compositivi che fanno capo ai concetti di gerarchia, geometria, peso, misura e luce.

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Marco Di Perna Sottrazioni di materia: il progetto di sezione e di grandi interni. La discoteca L’esperienza didattica svolta, mira ad attenzionare un metodo, invertendo il processo compositivo usuale fondato sulla primigenia della “pianta”, assume lo studio di sezione come primo atto a cui ricondurre l’intero processo progettuale. Si aggiunge un ulteriore approfondimento legato allo spazio pubblico contemporaneo come grande interno. Tra i modelli usuali legati alla costruzione e all’invenzione di luoghi destinati alla socializzazione ci viene proposto di indirizzarci verso quegli spazi contemporanei legati al vivere la notte: sia rivisitati nei modelli usuali, sia sperimentati in base alle nuove modalità di aggregazione del mondo giovanile. In quest’ottica si è ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione su quegli spazi destinati alla “discoteca” divenuti “simbolici” di un nuovo “modo aggregativo”. La grande massa viene lavorata per contrapposizione pieno/ vuoto, mantenendo pur sempre un equilibrio tra le parti. La sottrazione di materia è “forte” la dove si vuole comporre un grande spazio da ballo, mentre più “debole”, nel lato opposto, in cui vi saranno, oltre che ai servizi, il sistema di ingresso. A caratterizzare il progetto sono delle vere e proprie “lingue”, di vuoti e di materia, che si sottraggono nella parte piena e si addizionano nel lato vuoto. Tali “lingue” hanno comportamenti differenti in estremità: si proiettano verso l’alto costituendo dei lucernari e verso il basso dei salotti.

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Daniele Marotta Pieno e vuoto. Questo è lo stimolo progettuale che l’arch. Rita Simone ha dato per la concezione di un nuovo modo di comporre l’architettura. Nel corso l’obiettivo è stato quello di ideare e comporre una “Discoteca” non impiegando la tipica sezione orizzontale, ma progettando in sezione verticale longitudinale e trasversale. Datoci un volume di 32x12x96 metri, il progetto è stato modellato creando dei vuoti e dei pieni tramite la sottrazione e l’aggiunta di volumi, la traslazione e la rotazione di spazi tridimensionali. Il tutto progettato tramite singole unità di sezione e infine unite, dando vita alla forma tridimensionale risultato di un attento esame dei pieni e dei vuoti. Sono stati aggiunti dei volumi concepiti come spazi di ristoro, privè o altro, posizionati lungo le pareti longitudinali. Un altro volume, che definisce l’ingresso, è stato posizionato su una parete trasversale. Il risultato finale è l’insieme di un’attenta e meditata progettazione volumetrica che genera un insieme architettonico molto intuitivo e ordinato nel contempo.

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Carlo Paternò Il corso propone la progettazione di un grande spazio destinato a discoteca, secondo il processo di scavo, come regola di lavorazione di una massa. S’inizia il progetto pensando al ritmo come background, anzi una serie di ritmi che scandiscono i movimenti dei fruitori nel vivere lo spazio discoteca. Emissione di suoni ordinati per ritmo e altezza a formare una melodia acustica e spaziale. A tal proposito il progetto si compone di una “ripetizione” di sezioni longitudinali a cadenza costante, che suddividono il volume per parti. Ogni singola parte è lavorata nell’intradosso, con l’intento di creare una cassa armonica per la caratterizzazione del suono. Le variabili principali nella progettazione e realizzazione della cassa armonica sono il volume interno, la forma ed il materiale, variabile che non viene presa in considerazione in quanto il corso verte sullo studio volumetrico e non materico. Il volume interno è dato dal rapporto pieno/vuoto della singola sezione. La forma invece, pensata come scansione di spazi, aiuta in maniera omogenea tutte le note prodotte. Infine la “ripetizione” di sezioni restituisce al volume predefinito uno spazio interno organico, una somma di suoni che si legano in una composizione spaziale.

video link:

http://www.youtube.com/user/paternocarlo#p/a/u/0/E4vGtfsZXmE

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5QB LABORATORIO DI PROGETTAZIONE URBANA 5 QUINQUENNALE B prof. arch. Marco Navarra (composizione architettonica)

Arte vs Architettura Esercitazione in forma di concorso: (MONTEVERGINI): dispositivi per l’arte contemporanea a Siracusa 1. Il tema del concorso Il tema del concorso dispositivi per l’arte contemporanea a Siracusa nasce da due ipotesi: la prima è che l’arte contemporanea possa essere riconosciuta come disciplina che negli ultimi decenni ha dimostrato una maggiore sensibilità e capacità di comprensione ed azione di fenomeni urbani e territoriali. Di fronte all’inerzia della disciplina architettonica bloccata dall’idea anchilosata della tipologia o della ricerca linguistica, l’arte contemporanea ha rinnovato i suoi strumenti estendendo la sua azione spesso e volentieri su temi e problemi tradizionalmente appartenenti alla disciplina architettonica. La seconda ipotesi è che l’arte contemporanea si fondi su una rottura radicale con l’idea di museo o galleria a cui l’architettura appare ancora legata. L’arte contemporanea da molti anni ha iniziato a lavorare fuori dall’idea dell’oggetto e della sua produzione in un atelier per essere esposto in un museo spostando la sua attenzione su i processi, sulle azioni nei contesti, sulla comunicazione e le sue interferenze. 2. Oggetto del concorso Oggetto del concorso è l’elaborazione di un progetto che, a partire dalle ipotesi prima illustrate, proponga una strategia, definisca alcuni scenari, gli elementi di una concettualizzazione coerente e sviluppi alcune azioni progettuali misurate e tecnicamente controllate. Strategia, scenari concettualizzazioni e azioni non sono da intendersi come operazioni allineate entro un processo deduttivo: anche se può essere utile interrogarsi su alcuni possibili scenari prima di progettare azioni specifiche, le diverse operazioni mantengono una notevole indipendenza. E’ importante però valutare le relazioni che di volta in volta, nel corso della definizione del progetto, si stabiliscono tra le diverse operazioni ed ipotesi. Ciascuna di esse richiede di scegliere entro tipi diversi di descrizioni e di ricognizioni, entro differenti forme di rappresentazione e l’utilizzo di scale differenti: nel loro insieme queste operazioni costituiscono il progetto urbano.

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3. L’area e i luoghi del concorso Siracusa, Ortigia e la terraferma sono il riferimento geografico dell’esercitazione-concorso. 4. I temi del concorso 2 L’isolato Montevergini il primo tema richiede di affrontare progettualmente l’insieme di luoghi attraversati ed utilizzati fino ad oggi dalla Galleria civica Montevergini di Arte contemporanea Siracusa: la città e i suoi paesaggi La casa dell’artista: il secondo tema riguarda l’abitare (residenze di artista) dell’artista come modalità di lavoro e di creazione oggi molto diffusa. Il punto di interesse sta nella rottura di una specificità degli spazi e in una commistione tra le forme dell’abitare le forme del lavoro artistico e le forme dell’esposizione e del display. E’ evidente che i tre temi proposti sono tra di loro connessi: un allargamento degli spazi espositivi dalla casa atelier alla galleria, dalla città al paesaggio e al territorio comporta una nuova idea di spazi per l’arte contemporanea pensati come una rete piuttosto che come un punto chiuso ed autoreferenziale. Dall’altra parte questa nuova possibile modo di pensare l’arte contemporanea comporta un’idea diversa della città e dei suoi paesaggi con altri modi di viverla che possono modificare le geografie dell’abitare consolidate.

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Raffaello Buccheri, Celeste Greco, Ezio Siciliano Il progetto per il nuovo Museo di Arte Contemporanea di Siracusa nasce dal recupero e dal ri-progetto dell’isolato di Montevergini, uno tra gli esempi più emblematici del palinsesto storico di Ortigia. La compresenza di tracce diverse (una cisterna, due strade greche, una chiesa, un convento, delle abitazioni) risulta occultata dall’immagine compatta ed inaccessibile dell’isolato. Frammentazione del blocco, ridefinizione delle corti ed innesto del nuovo sono le tre operazioni che hanno guidato il processo progettuale al fine di dar forma ad un edificio complesso e capace di tenere insieme spazi ed attività diversificate. I tagli dei fronti e le demolizioni di parti dell’isolato, ricalcando le tracce dell’ “insula” della città greca, capovolgono l’idea di corte come spazio chiuso e privato aprendolo ai flussi ed alle attività della città. L’isolato si riorganizza attorno a due grandi corti: la prima, ad est, diventa attraversamento per i passanti e, per gli artisti, materia con cui confrontarsi; la seconda, ad ovest, si configura come spazio di pertinenza della biblioteca che separa fisicamente le due corti. Il museo si sviluppa principalmente nei corpi ad est dell’isolato e si presenta come un unico edificio grazie all’ausilio di una seconda “pelle” che, staccandosi dalle facciate interne degli edifici preesistenti, caratterizza lo spazio interstiziale come nuovo elemento distributivo e lo spazio esterno come rinnovato spazio pubblico. Un cinema-auditorium, un centro sociale, dei ristoranti ed una biblioteca-emeroteca costituiscono le quinte animate di uno spazio dedicato alla produzione ed alla condivisione di opere ed installazioni d’arte contemporanea. L’innesto di nuovi corpi è stato pensato per mettere in comunicazione parti dell’isolato un tempo distinte, definire aree espositive con caratteri spaziali nuovi e flessibili e dotare il museo di ateliers, sparsi lungo il percorso espositivo, alcuni dei quali hanno accesso diretto dagli appartamenti riservati agli artisti invitati a lavorare “in situ”.

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Prospetto nord 0,00

- 1,00

- 0,70

- 0,60

I

Prospetto ovest

- 0,60

H 5,35 8,20

- 4,00

Pianta piano secondo_ casa dell’artista

Pianta primo piano I

H

- 5,50

Sezione H-H’

5 | PROGETTO - piante, sezioni, prospetti

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Scala 1:200

1 0,5 2

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15 m

CORSO DI COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA E URBANA | PROF.: M. NAVARRA | STUD.: R. BUCCHERI - C. GRECO - E. SICILIANO


Sezione F-F' 2,30

Loggiato primo piano

Pianta piano secondo

I

Sezione I_I'

Prospetto Sud Scala 1:200

1 0,5 2

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15 m

Sezione C-C'

6 | PROGETTO - piante, sezioni, prospetti

CORSO DI COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA E URBANA | PROF.: M. NAVARRA | STUD.: R. BUCCHERI - C. GRECO - E. SICILIANO

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Giulia Messina, Licia Passalacqua, Mariella Smriglio L’ arte contemporanea si fonda sulla rottura dell’idea che l’arte abbia come sola ubicazione il museo o la galleria. Partendo da quest’ultima asserzione la nostra attenzione si è soffermata sulle Latomie che hanno rappresentato il luogo da cui veniva estratta la pietra, che serviva per gli edifici della città. La nostra idea verte, invece, a ribaltare lo scopo di queste cave, trasformandole da fornitori di materie prime, quali la pietra, a contenitori d’arte. L’idea di contenitore è legata al fatto che queste cave costituiscono nel nuovo assetto urbano dei veri e propri buchi, con salti di quota, rispetto al livello stradale, di diverse decine di metri, che, per tale ragione si prestano bene ad essere osservate dall’alto, come un vero e proprio affaccio sul vuoto. Poiché queste cave oggi sono parte integrante e condizionante del tessuto urbano della città, non possono essere considerate come elementi distaccati dagli edifici e dagli spazi che vi si sono creati attorno. E’, infatti, non trascurabile il fatto che alcune di queste latomie si aprono alla città e sono visibili a tutti, altre, invece, sono inserite e chiuse da alcuni aggregati urbani e non accessibili a tutti. In funzione di questa osservazione abbiamo conferito all’arte la funzione di tenere conto di tali chiusure ed aperture artificiali, date dagli edifici attorno alle cave, trasformandole in quinte da rivalutare attraverso la creazione di installazioni o nuove forme d’arte contemporanea, e all’architettura quello di rimodellare i confini delle cave partendo da azioni sugli edifici circostanti attraverso integrazioni e demolizioni. Le varie latomie sono pensate come luoghi fondamentali dell’arte, legate tra loro attraverso itinerari direttamente connessi all’isolato Montevergini. Questo risulta per la maggior parte costituito da edifici abbandonati o diroccati e da edifici che, invece, hanno ospitato e continuano ad ospitare mostre d’arte contemporanea. Quindi l’azione primaria risulta quella di rimodellare le loro forme, intervenendo sui volumi attorno ad esse e sulla creazione di una seconda pelle che unificasse il tutto, dando un’immagine uniforme e continua di questi spazi. Sull’ultimo piano la rete metallica si curva per creare una sorta di pergolato, dal quale ci si può affacciare sulla corte e avere la stessa percezione visiva che si ha guardando dall’alto le cave.

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RIMODELLARE I CONFINI LE CAVE OGGI: DA FORNITORI DI MATERIE PRIME A CONTENITORI DI OPERE D’ARTE

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Lucia Rapisarda, Violetta Scandurra Il primo passo verso il progetto, secondo la strategia della frammentazione, è rappresentato dalla rimozione delle superfetazioni, e dallo sventramento dei passaggi tra le corti, in modo da rendere l’isolato completamente permeabile dal un senso all’altro, la pianta rappresenta il nuovo livello che si viene a creare dal taglio della piastra, esso è adibito essenzialmente all’albergo, lo spazio ricavato sotto la corte diventa una nuova piazza al coperto che ospita la hall dell’albergo divenendo nodo distributivo per il ristorante , le stanze comuni e le stanze degli artisti. Il problema dell’illuminazione viene risolto attraverso dei lucernari nella piastra. La rampa rappresenta un collegamento visivo e diretto tra i vari livelli, raccordando così quote diverse; connette parte degli spazi adibiti a museo, pur mantenendo flessibilità negli accessi e nei percorsi museali. L’aggiunta delle due impalcature in ferro permette non solo l’appoggio della rampa ad esse, ma definisce anche la divisione tra spazio pubblico e spazio privato. Al museo si aggiungono spazi pubblici quali i negozi e i bar, ma anche funzioni direttamente connesse come l’albergo che ospita gli artisti, l’atelier e i laboratori, la sala conferenze e altre funzioni pubbliche indipendenti. Per tale motivo si è pensato che lo spazio pubblico possa essere sempre accessibile e vivibile in maniera indipendente rispetto al museo. Al di sopra della piastra vengono a crearsi degli affacci verso la strada. In particolare nella parte nord dell’isolato la corte presenta un dislivello che sottolinea la differenza fra lo spazio pubblico su cui si affacciano funzioni essenzialmente pubbliche e quello privato pertinente al museo. Tale divisione è definita anche grazie ad uno schermo che ha sia uno scopo strutturale, perchè su queste si poggia la rampa, e inoltre può essere utilizzato come supporto a delle installazioni.

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MONTEVERGINI_COSTRUIRE I FRAMMENTI

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SEZIONI E PIANTA SECONDO LIVELLO

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SEZIONI E PIANTA QUARTO LIVELLO

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SCHEMA FUNZIONALE

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LT LABORATORIO DI TESI prof. arch. Giuseppe Dato prof. arch. Fabio Ghersi prof.sa arch. Maria Rosaria Vitale La modernità nei tessuti storici. Lo stupore che, soprattutto la prima volta, si prova passando accanto ad un tempio dorico murato in una cattedrale barocca lascia impressioni e domande che è difficile cancellare. Le colonne annegate nel muro sino a sparire sono prima di tutto la prova di una violenza endogena che sta entro la definizione stessa di architettura: costruire, ridisegnare i luoghi, la città, il mondo è sempre stato, necessariamente, un atto insieme di meravigliosa generosità e di atroce crudeltà. Questa è la città: una straordinaria stratificazione di culture, di lingue che si sovrappongono, snaturano e insieme conservano la memoria di quelle che hanno sepolto. E questa è, in tutta evidenza, la specificità del luogo in cui viviamo, lavoriamo e studiamo. Ma dopo essere passati molte volte accanto a quel tempio murato è impossibile non chiedersi con crescente impazienza perché l’unica cultura esclusa da questo straordinario luogo di dialoghi e conflitti millenari debba essere proprio la nostra. Perché proprio la lingua che abbiamo imparato a parlare e che ora, qui, insegnamo? Perché proprio la contemporaneità è esclusa da questa città? La proposta di questo Laboratorio è stata innanzitutto una dichiarazione culturale. Contro tutti quelli che questi luoghi non riescono a vedere, contro la non-cultura di istituzioni che propugnano soluzioni mimetiche (si può fare il nuovo, purchè tale non sembri), contro i timori conservativi di chi preferisce sia cancellato il presente purchè non si sfiori il passato, contro i luoghi comuni che vedono l’arte e l’architettura moderna come irresponsabile arbitrio, abbiamo provato a dimostrare l’operatività di una cultura che possiede gli strumenti e la sensibilità per costruire nell’antico affermando la propria contemporanea identità.

Fabio Ghersi 232


Jean Ho端el, veduta laterale del tempio di Minerva, 1777

interno del Duomo di Siracusa

Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, casa unifamiliare a Vittoria, 1994-98 233


Gianluca Indelicato The white zone. Progetto per l’aria di corso Martiri della Libertà a Catania. L’area in oggetto d’analisi si presenta come periferia al centro della città. E’ trascorso più di mezzo secolo dalla demolizione del vecchio e popolare quartiere, a favore del sistema a rettifilo, costituito da due tronchi sfalsati. Il primo tronco di strada, quello da Piazza Stesicoro raggiunge Piazza della Repubblica, ha un carattere rappresentativo e commerciale, il secondo, quello che da quest‘ ultima raggiunge la Stazione, doveva avere carattere residenziale meno impegnativo. Ed è proprio in questa zona di città che si concentrano le mie ricerche. A seguito di diatribe fra amministrazione, proprietari terrieri e privati, tale parte non venne mai ultimata. Il risultato è un grande vuoto, un tessuto ibrido, all’interno del quale, a distanza di pochi metri, coesistono situazioni costruzioni, spazi e volumi completamente diversi l’uno dall’altro. La situazione appena descritta non consente, dato il suo carattere strutturalmente frammentario, di parlare di regole compositive. Magari si potrebbe parlare di scelte, ma è forse meglio riferirsi all’esistenza di un certo numero di idee-strumento. La proposta si pone come completamento di uno spazio, come esito di quella lunga stratificazione di tracciati, di tessuti e di monumenti che ha dato forma al luogo. Infatti s’è deciso di progettare per “negativo”, lo spazio è stato visto non come contenitore di un volume, ma come contenuto in volume, e, quindi s‘è cercato di dare un peso ed un volume al vuoto “pieno trasparente”. Scelte come risposte alle esigenze di una situazione caotica, razionalizzazione nel sistema della viabilità, volumi che ruotano e si arretrano in prossimità di costruzioni terranee, altezze che si ripetono, piani inclinati in prossimità delle aree a verde, sono alcune degli elementi che caratterizzano questo progetto. Le idee strumento proposte sono: stazione, scuola, chiesa, contesto e l’assenza di verde. Situato in una zona perfettamente pianeggiante, esso si configura come una collina artificiale al di sotto della quale si trovano le funzioni. Non è un edificio ma un paesaggio architettonico bifronte, costituito da frammenti che sembrano ora sostenere, ora essere generati da un‘ampia “piazza”, la quale assume le sembianze di un piano continuo leggermente inclinato che, repentinamente, s’innalza trasformandosi in facciata. Per la sistemazione del verde si è scelto di utilizzare quasi esclusivamente essenze tipiche della flora mediterranea; l’inserimento della vegetazione nelle varie zone di progetto è sostanzialmente diversa per altezze densità e disegno architettonico, ma è tesa sempre a riprodurre brani diversi del nostro paesaggio.

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Il piano si prefigge di ridurre e razionalizzare il traffico veicolare a vantaggio di percorsi pedonali,aree di sosta, aree a verde e attività commerciali attualmente carenti in zona. L’eliminazione del rettifilo di Corso Martiri della Libertà, di alcune arterie secanti ,e dell’attuale rotonda in prossimità della stazione ferroviaria rappresentano il primo passo di quello che sarà il nuovo sistema viabile . L’eliminazione del rettifilo e di alcune delle strade trasversali,che insistono su questo, ci consente di avere una maggiore superficie da destinare a verde e attività pubbliche. Il traffico verrà deviato sulle parallele (attualmente poco utilizzate) al Corso, Via Archimede (con traffico in direzione Stazione-Piazza Stesicoro) e Via Marchese di Casalotto (con traffico in direzione Piazza StesicoroStazione). In prossimità della Stazione,l’eliminazione della rotonda sarà resa possibile dall’interramento del traffico in direzione Sud-Nord. Percorrendo tale asse, è possibile immettersi nel parcheggio scambiatore, che troverà spazio sotto quella che sarà la nuova Piazza Giovanni XXIII. L’interramento di parte della viabilità facilita la creazione di una vera e propria piazza antistante l’edificio ferroviario, resa oggi, caotica e di difficile lettura, dalla rotonda che crea come un vortice che avvolge traffico veicolare, verde ed edifici intorno. Il traffico in direzione Nord- Sud rimarrà nelle condizioni attuali. La proposta di eliminare il sistema a rotonda, scaturisce dalla volontà di dare quella sensazione di piazza e quindi di area di sosta e aggregazione che attualmente la caotica e dispersiva Piazza Giovanni XXIII non riesce a dare.

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Paolo Montineri La corte di Montalto. Progetto di ricostruzione di uno spazio urbano a Ortigia. Il progetto nasce dall’idea di valorizzare uno spazio, un tempo residenziale, ubicato a Siracusa, nell’isola di Ortigia. L’interesse a rivalutare tale sito si è sviluppato per l’evidente assenza di continuità architettonica del luogo, nettamente visibile percorrendo via Montalto. Mi riferisco, precisamente, allo stridente contrasto che si percepisce guardando l’area vuota adiacente a Palazzo Montalto. Dagli studi effettuati sull’isolato, in particolare sull’edificio e osservando le cartografie storiche, risulta che l’anzidetta area anticamente era suddivisa in due parti: una di queste apparteneva alla Famiglia Montalto ed era la corte del Palazzo alla quale si accedeva tramite un vicolo di libero accesso, l’altra era adibita ad uso residenziale. La mia intenzione sta nel riutilizzo di questa area proponendo una “ricostruzione” della corte tramite l’inserimento all’interno di essa di nuovi volumi architettonici che assumeranno determinate e diverse funzioni. Così facendo si ricreerebbe non solo quella continuità architettonica oggi perduta, ma anche un “contatto sociale” tra gli abitanti e il Palazzo. La corte diverrebbe un luogo pubblico dove poter usufruire di alcuni servizi e nel contempo godere della qualità estetica prodotta non solo dalla presenza del Palazzo ma anche dalla loggia dei Montalto. Palazzo Montalto venne costruito nel 1397, nell’isola siracusana di Ortigia nel quartiere della Spirduta dalla famiglia di Filippo Montalto dopo aver avuto la concessione di edificare dalla Regina Costanza. L’edificio è l’unico esempio di architettura chiaromontana così da essere valutato come la più pregiata testimonianza storicoarchitettonica di quel periodo. La mia proposta suggerisce di inserire all’interno della Corte due elementi fondamentali, la pelle ed un insieme di volumi, che assumeranno diverse funzioni, le quali serviranno non solo a ristabilire quel “rapporto sociale”, ma anche da supporto ad un altro importante edificio situato nei pressi del Palazzo, mi riferisco al Cinema-Teatro Verga. Dall’analisi ho identificato tre tipologie: spazi vuoti createsi dalla demolizione di una striscia di isolato, spazi vuoti formati da un solo edificio e spazi vuoti createsi dall’accostamento di varie unità edilizie. I volumi sono incastrati tra di loro e sono attaccati alla pelle, all’interno di essi ho previsto diverse funzioni, tra cui una libreria disposta in tre livelli, un pub a piano terra che si affaccia all’interno della corte e, sopra di esso, un ristorante anch’esso ripartito in tre livelli.

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SEZIONE D-D’

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SEZIONE B-B’


SEZIONE F-F’

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Cristiana Papale, Massimiliano Rizza Produzione di uno spazio urbano. Progetto di un asse culturale alla Marina di Siracusa Considerati gli elementi, sia di pregio che negativi per la monumentalità dell’area, il progetto si ispira ad essi e li considera come parte integrante del processo di riproduzione di spazio urbano. Gli obiettivi del progetto sono quelli di stabilire ed ordinare in maniera coerente i collegamenti ipogei ed i collegamenti in quota tra le mura e la Marina; ristabilire i collegamenti visivi tra le mura e gli elementi di interesse paesistico del porto grande che fungono da attrattori visivi; generare, attraverso un procedimento analitico, nuovi volumi che possano ospitare attività culturali. Tali volumi dovranno, allo stesso tempo, fare da teca alle opere d’arte ospitate all’interno dei musei previsti dal programma ed all’opera presente all’esterno: le mura. Demoliti gli elementi impropri ed integrati alle preesistenze i nuovi volumi, il progetto genera una corrispondenza organica tra gli oggetti architettonici, riorganizzando un nuovo spazio composto da nuovi fuochi prospettici e da diversi livelli di percorrenza evocando le stratificazioni storiche della città antica.

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FACOLTA’ DI ARCHITETTURA DI SIRACUSA Piazza Federico di Svevia tel. 0931.489401 fax 0931.489430 architettura@unict.it

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