Anteprima Quaderni del Magazzino Marini

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INDICE

Prefazione

Due parole per inquadrare questo corso universitario tenuto in Statale nell’anno accademico 1987-88. 10

I LEZIONE (17/11/1987)

Considerazioni preliminari: scienza, radicalismo, democrazia, spirito pubblico, libertà...................................................................................................................21

II LEZIONE (18/11/1987)

La tensione tra scienza e storia: ilparadosso della “Storia Universale” (nazionalità, umanità). La democrazia di Weimar. L’università e la società di massa. Fichte, Husserl e Heidegger. 41

III LEZIONE (24/11/1987)

I fatti storici sono storici anche perché non sono mai puri fatti. Problemi di prospettiva: il vescovo Gröber e il professor Heidegger. Chiarimenti. .................63

IV LEZIONE (1/12/1987)

Introduzione all’analisi del Discorso di rettorato. 85

V LEZIONE (2/12/1987)

Analisi della Rektoratsrede (p.9). La Gefolgschaft............................................103

VI LEZIONE (9/12/1987)

Partiamo da Tacito. Il Principe e i Conti. Miti nazionali e identità nazionale. Atteggiamento difensivo e imperialismo culturale. La folliadi Hitlere l’essenzialità storica dell’ebraismo. Esemplarità del popolo ebraico. Analisi della Rede. L’autoamministrazione. 121

VII LEZIONE (10/12/1987)

Auto-amministrazione (volontà), auto-riflessione (comprensione), autoaffermazione (sentimento, passione, trovarsi, situazione emotiva). Il più interno della scienza e il più esterno della politica. La dialettica tra governo e corpo sovrano. Volere l’essenza. ..................................................................................................149

VIII LEZIONE (15/12/1987)

Scienza e destino. La potenza dell’inizio. L’inizio in Husserl. L’Erlebnis di Dilthey. La potenza di Aristotele e quella di Nietzsche. Ancora e sempre la Grecia: l’ “Aufbruch” della filosofica greca. Tre ipotesi irriguardose. 165

IX LEZIONE (16/12/1987)

Scienza, università e “passione” in Che cos’è metafisica? Fare come i greci, o fare ciò che hanno fatto i greci? 185

X LEZIONE (12/1/1988)

Ancora su realtà, potenza e necessità. Teoria e passione: la cosa stessa. Il pensiero è debole ma astuto.................................................................................................199

XI LEZIONE (13/1/1988)

Lo stile di Heidegger. Il pensiero che fallisce e la torsione dei concetti. 217

XII LEZIONE (14/1/1988)

Grandezza dell’inizio, necessità come coincidenza del più interno e del più esterno. La verità del domandare....................................................................................237

XIII LEZIONE (19/1/1988)

La Rede di Heidegger e la Crisis di Husserl: la scienza come “entelechia” dell’umanità.......................................................................................................263

XIV LEZIONE (20/1/1988)

Lo spirito e il popolo. Ragione e imperialismo. La rivoluzione dentro e fuori. La responsabilità. Dal domandare fine a se stesso all’incertezza del mondo. Hitler o Amleto?...............................................................................................................279

XV LEZIONE (21/1/1988)

La responsabilità e la leadership. Il posto della Università e della scienza. Il modello sociale della Führerschaft/Gefolgschaft. Il protagonismo studentesco e il populismo di Heidegger. 309

XVI LEZIONE (2/2/1988)

Ancora su Führerschaft e Gefolgschaft. La libertà accademica e la democrazia. Il servizio del lavoro e Dilthey. “Comunanza” (categorie kantiane e categorie humeane)............................................................................................................325

XVII LEZIONE (3/2/1988)

Il servizio della difesa e il servizio del sapere. Tradizioni patriottiche studentesche e paramilitari. Umanesimo della Deutsche Bewegung. Nietzsche e Husserl. Potenze dello spirito e sovrapotenza dell’essere come essere dell’ente. Il “popolo” tedesco aspetta la “parola” di Heidegger? La coscienza e l’essere speciale. 347

XVIII LEZIONE (4/2/1988)

Gli ultimi studi sul “caso Heidegger”: erudizione di H. Ott. Diffamazione di Farias. Il cardinal Gröber. Il caso Staudinger. Heidegger il filosofo fuori misura. ............................................................................................................................377

XIX LEZIONE (9/2/1988)

Il concetto di “servizio”. Il concetto di popolo tedesco. Lo stato dei filosofi. Il popolo filosofico, la lingua filosofica. Lo stato moderno. La lettura di Dilthey. Le lezioni su Nietzsche........................................................................................................409

XX LEZIONE

(10/2/1988)

Struttura diltheyana dell’esserci, riforma della università. L’università si fonda solo sulle proprie forze, e cioè sulla scienza, perché è popolo. Lo psicologismo trascendentale. Uomini “ideologici” e uomini “ontologici”. Ancora su Ott e Farias. 443

XXI LEZIONE (11/2/1988)

Cattive traduzioni. Cos’è “spirito”? L’Introduzione alla metafisica e J. Habermas. Università e vuoto civile. Riduzione fenomenologica e motivazione personale del filosofo. La comunanza di lotta. Quattro punti per uno studio. .......................467

XXII LEZIONE (17/2/1988)

Forma e contenuto. Essenza e fatto, grandezza e dominanza. Popolo spirituale. Comunità di lotta. Destino e senso dell’essere. Filosofia di Heidegger e impegno politico. Provincialismo. La Rede e la Crisis.....................................................499

Programma d’esame.......................................................................................................... 529

PREFAZIONE 1

Intorno al 1980, da pochi anni incaricato d’insegnamento ufficiale alla Statale di Milano, avevo progettato seguendo il corso dei miei studi di scrivere su Martin Heidegger una “monografia” – classico genere letterario (che assomma in sé le tre caratteristiche modalità della ricerca umanistica: “storico-biografica”, “sistematica” ed “ermeneutica” ed era perciò richiesto o preferito nei concorsi universitari). Ma nel 1981, richiesto dall’amico Tristano Codignola – che su un autore come Heidegger, in ascesa nel“mercato” italiano, voleva un’antologia competente per il nr. 111 della sua gloriosa collana PAM (Pensatori Antichi e Moderni) – il professor Mario Dal Pra gli aveva suggerito il mio nome ed io fui lieto di poter accettare la proposta. Per Dal Pra e per la sua collana dei “Pensatori del Nostro Tempo” (nell’ambito della mia lunga conversazione con Paci e Cantoni ai tempi del grande progetto culturale de “Il Saggiatore”), avevo già tradotto dieci anni prima il trattato di Nic. Hartmann su Il problema dell’essere spirituale, un capolavoro che gli allievi prediletti da Antonio Banfi negli anni ’30,

1 NB: In questa edizione, le note in calce non fanno parte delle lezioni, ma appartengono a una nuova Era: quella definita dalle tre date seguenti: – 17 novembre 2019 (invasione virale pandemica cinese Wuhan (Xi Jinping) /21 febbraio 2020 Cologno (Speranza, von der Leyen <pseudo-vaccino Pfizer-BioNTech, in realtà antidoto preventivo mRNA contro la SARS Covid-19>): – 24 febbraio 2022 (invasione militare russa dell’Ucraina”: /marzo genocidio di Bucha – deportazione/ricatto genetico di 19.500 bambini ucraini – Putin / Zelenskij); – 7-9 ottobre 2023 (genocidio terroristico iraniano vs Israele, tramite i terroristi di Hamas (appoggiati da Hezbollah in Libano e dagli jemeniti Houthi nel Mar Rosso) 1.200 Ebrei civili e militari massacrati di sorpresa in una giornata campale, con circa 250 rapiti per esercitare un più lungo ricatto sulla pelle degli innocenti /Gaza – (Hamas - Haniyeh, Sinwar)/ Israele –(Netanyahu).

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ricordavano lodatissimo dal loro Maestro. Il livello di maturazione del mio progetto heideggeriano mi permise di realizzare abbastanza rapidamente l’antologia richiesta (che infatti uscì nel marzo 1982 e fu disponibile per circa 30 anni, fino alla infausta chiusura della casa editrice fiorentina, da tempo (come buona parte delle iniziative PSI) sotto il controllo politicoculturale del PC. Il suo catalogo passò prima a Rizzoli poi a Mondadori. Quanto a me, l’essermi dedicato a quell’antologia ebbe due effetti collaterali per gli anni successivi:

a) quello di intensificare la mia prospettiva di studio heideggeriano sul lato “critico-ermeneutico”, e

b) (vista l’insufficienza delle traduzioni italiane <e straniere> del tempo, che avevo passato in rassegna o di cui avevo dovuto far uso per l’antologia): quello di considerare garanzia e sigillo del mio lavoro futuro l’idea di fornire almeno una migliore traduzione di Essere e tempo.

Invece di togliere ogni riferimento alla situazione didattica di un corso universitario (quasi che l’alta cultura dovesse vergognarsi di questo aspetto “meramente” didattico!), io voglio offrire tutti i particolari possibili di quel corso del semestre invernale 1987-88 invitando, anzi, la curiosità del lettore di oggi ad entrare con me in quell’aula della Statale: le lezioni duravano due ore, e questo, se favoriva la mia naturale tendenza alla divagazione, permetteva anche di sforare per qualche minuto i margini serali dell’orario.

Due parole per inquadrare questo corso universitario tenuto in Statale nell’anno accademico 1987-88.

Premesso che il titolo stesso del discorso (“l’Auto-affermazione!”) era un inequivocabile schiaffo in pieno viso alla pretesa hitleriana di una università nazista; che il netto rifiuto di una “politische Wissenschaft” ne era la riconferma, estesa più in generale alla indipendenza della Scienza stessa (Eraclito, Fr. 108 ...hóti sophón esti pántōn kechōrisménon), con l’aggravante implicazione classico-romantica, fatta propria da Heidegger, che lo spirito autentico della Germania fa tutt’uno con quello della Scienza (dove “scienza” va ovviamente inteso più nel senso di Vico che in quello di Galileo!)... –avverto che questo corso è un libero commento interamente parlato (“a braccio”) che però traduce anche parola per parola il testo dell’originale tedesco2 cercando di fornire per quello scritto d’occasione, uno spazio di ovvia comprensibilità al di là di ogni pregiudizio ideologico (esistenzialistico-sartriano, nichilistico-nietzscheano o marxista-leninista, che tenevano banco allora, e che giudicavo approcci assai pretestuosi e violenti) – ma anche al

2 M. Heidegger, L’“Auto-affermazione dell’Università tedesca”, Freiburg i.Br. 27.V.1933.

di qua di pregiudizi più fondati e più filosofici che invece condividevo (tutto il trascendentalismo tedesco fino a Marx compreso; lo storicismo italiano e lo spiritualismo critico diltheyano; e il radicalismo fenomenologico che diventava, per me, il corpo stesso del pensiero heideggeriano come Seinsfrage). Dunque, se non esitavo a colpire l’opinio communis, ritenevo di sacrificare anche qualcosa di mio cercando di muovermi tra i miei pregiudizi e quelli altrui.

Un “esercizio” di documentazione objettiva che durò tutto il semestre invernale (gli ultimi sei mesi di gestazione di mia figlia Alice, che “apparve” anch’essa a fine-febbraio ’88!), mentre la mia traduzione italiana dell’Intervista rilasciata da Heidegger nel 1966 (al periodico tedesco “Der Spiegel” , che l’aveva pubblicata il 13.V.1976 col titolo Ormai solo un dio ci può salvare!) era già apparsa da Guanda nell’ottobre 1987, giusto in tempo per l’inizio delle lezioni il 17 novembre.3

Il crollo del Vallo Antifascista, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e quindi l’apparente cancellazione della “Cortina di Ferro” non erano nelle aspettative dell’opinione pubblica mondiale. La quale opinione, se alla sua vista quasi non poteva credere ai propri occhi, ancor meno dovette poi (cioè oggi, dopo il 24 febbraio del 2021!) rassegnarsi a credere che tale cancellazione è stata davvero apparente.

L’interesse del mondo culturale politicizzato per la figura di Heidegger era allora tutto concentrato su una questione il cui interesse a me, socialista, ma anche studioso di filosofia fenomenologica, era fino a quel momento sembrata, nonostante le mie ricorrenti visite a Freiburg, peregrina, del tutto marginale se non puramente tendenziosa e diffamatoria4 , specie la presunta “adesione” di Heidegger al piano rivoluzionario del Mein Kampf di Hitler, ovviamente alla base della “politische Wissenschaft” che Heidegger rifiutava, ma in cui si era materializzata (sia pure nello specifico Lebensraum universitario) quella misura generale che era già nell’aria negli ultimi anni in cui Heidegger era sprofondato negli sviluppi del suo Aristotelesbuch: la cosiddetta Gleichschaltung di tutti gli uffici amministrativi.

Questa specie di quintessenza nazista del totalitarismo sovietico veniva giusto allora (intorno al 1933) annunciata dal nuovo governo tedesco come una brillante riorganizzazione amministrativa dello stato caotico della Repubblica di Weimar in nome di un generico principio di autorità (Führungsprinzip), ed era invece il sogno criminale di una mens giacobina assoluta (quella di Hitler), che si stava scatenando in Germania ed era destinato

3 M. Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare! Intervista con lo “Spiegel”. A cura di Alfredo Marini, Guanda Parma 1987, 20112 , 20233

4 Solo la consultazione della già ampia e recente bibliografia sull’argomento, presentatami da una laureanda di eccezione, Paola Capriolo, mi convinse che forse meritava approfondire l’informazione (a patto di non distrarsi in chiacchiere).

XIII LEZIONE

(19/1/1988)

La Rede di Heidegger e la Crisis di Husserl: la scienza come “entelechia” dell’umanità.

L’ultima volta abbiamo commentato un passo, a pag. 13, dove si parlava della “grandezza dell’inizio”. Questo concetto di grandezza deve essere inteso nel senso che la differenza tra grande e piccolo è la stessa differenza che c’è tra lo spirito e la lettera, o meglio ancora: tra la possibilità e la realtà effettuale. Lo spirito è più grande della lettera, la lettera è un modo di rimpicciolire il senso delle cose, e così anche la possibilità è più grande della realtà effettuale, perché la possibilità è la condizione stessa della realtà. La realtà può essere vista come un aspetto o una parte della possibilità, un aspetto che non esaurisce la possibilità (“più in alto della realtà sta la possibilità” dice Heidegger in SuZ; quindi anche come una realizzazione di un aspetto dell’intera situazione possibile o possibilitante, tale per cui – in questa realizzazione (che è la realtà stessa) – è ancora immanente il senso, l’odore, l’ombra, il fumo o il profumo della condizione di possibilità che l’ha permessa, e la realità da lei promessa è in essa già immanente. Analogo, ma inverso rapporto (come rovesciando il cannocchiale) deve essere quello tra la realtà effettuale e, in essa ritagliata, la necessità. Il che implica, e dà anche la misura, di un “modo di concepire la realtà”: un modo di concepire la realtà come “storica”, come capace di portarsi dietro una scia, come capace di sviluppi: una realtà in divenire che si porta dietro la possibilità iniziale da cui è sorta e la fa diventare una possibilità di sviluppo, di trasformazione; in una direzione che è anch’essa pre-tracciata, perché è contenuta in questa possibilità iniziale. Questo inizio/ fine, questa dinamica apertura/ chiusura di orizzonte, è intesa nel senso del termine “grandezza”: questa è la “grandezza” di qualche cosa.

C’era una frase, che qui avevamo commentato, ed era che “se noi ci affidiamo al futuro, questo futuro è capace di riprendere il nostro passato”: in questo legame tra passato e futuro si iscrive anche il senso del termine “necessità” – l’anágkē, rispetto alla quale, come ricorderete, Eschilo “dal punto di vista prometeico” considerava che la téchnē <intesa come l’umano know how> fosse molto più debole <asthenestéra makrō>. Se così non fosse, se per esempio, la scienza (visto che della scienza si parlava) non diventasse la

264 / Il Discorso di rettorato

più interna necessità dell’esserci, e quindi non venisse a collegarsi a questa struttura essenziale dell’esserci (quella, appunto, di avere avuto una possibilità nel passato e di averne un’altra nel futuro), allora la scienza, – per es. il fenomeno storico delle “scienze europee” (sentirete ripreso questo tema nella Crisis di Husserl!) – resterebbe un caso (bleibt sie ein Zufall), un caso in cui siamo capitati. Oppure resterebbe “un’attività tranquilla, che ci permette di inserirci meccanicamente in uno degli aspetti del mondo già fatto” (invece di fare questo mestiere ne faccio un altro: invece di fare il banchiere, faccio lo scienziato). Ma questa casualità, l’equipossibilità tra due attività come queste, il fatto che un’attività scientifica debba essere concepita come equivalente a qualsiasi altra attività, secondo Heidegger (almeno in questo contesto) significherebbe che questa attività è un’attività casuale, non è l’essenza dell’esserci: solo la scienza ha questa capacità di rappresentare l’interna necessità dell’esistenza.

Ci si può chiedere quale sia l’estensione del concetto di necessità. Ora, quando Heidegger scrive (soprattutto se lo scritto, come in questo caso, è impegnativo) nella formulazione si gioca tutte le sue possibilità: quindi, le vere definizioni dei significati, dei termini che adopera vanno cercate nella loro contestualizzazione; se vogliamo capire il discorso, dobbiamo vedere come si contestualizza e perciò io direi che qui il concetto di necessità è innanzi tutto quello che viene fuori dalla lettura del testo. Quello che volevo mettere in luce era però, rispetto alla necessità, il lato del “caso”, della casualità.

La domanda che si pone Heidegger è innanzittutto questa: se esiste questo fenomeno storico, che passa per un fenomeno caratterizzante la civiltà europea come tale, ed è la scienza, cosa vuol dire “scienza europea”? Quella moderna (galileiana) col suo progetto fisico-matematico articolato sul metodo ipotetico-deduttivo della verifica sperimentale, persegue pur sempre l’antico ideale di scientificità dell’epistēmē che ci proviene dal concetto greco di theoria. Ma qual’è l’essenza e quale la necessità della scienza? La scienza è forse un’occupazione come un’altra per noi? Dal punto di vista della professione, è una professione come un’altra? Quello che si vuol mettere in luce è che, per altro verso, la scienza non è una professione come un’altra, ma superiore alle altre; è una professione che non ha lo scopo di una semplice funzionalità sociale, perché in questo tipo di attività si riflette una responsabilità per il tutto della società in cui si opera. Mentre qualsiasi altra attività può non sentirsi, in quanto tale, responsabile per la totalità della vita sociale, della vita di un popolo e dell’intera Umanità – chi fa lo scienziato (almeno in Europa, e quindi anche in Germania) questa responsabilità storica di carattere universale, deve sentirla. Perché? Per questa necessità, per questo carattere di necessità che è già proprio della scienza. Il contrario della necessità è la casualità, quello che non è necessario è casuale (ogni necessità deve

essere <stata> almeno reale, ogni realtà dovrà essere <stata> almeno possibile!).

Se così non fosse la scienza sarebbe qualcosa di puramente casuale. Sembra di poter interpretare: la scienza non europea, le scienze di altri popoli storici, sono state delle scienze che non avevano il carattere di radicalità che ha la scienza europea. Il concetto di theoria che potevano avere i Caldei o gli Indiani etc. di cui del resto ci restano ben poche testimonianze –, diciamo: il fatto stesso che siano scomparse, che non abbiano saputo incrementarsi e svilupparsi, portando con sé tutto il proprio passato, questo stesso fatto, nell’arrière pensée di Heidegger, come nella cultura accademica del tempo, sembra significare o è la prova della “non-necessità” di questo tipo di scienze. Ma invece il fatto stesso, che la theoria greca e la scienza europea abbiano avuto questa capacità di auto-consapevolezza, di crescita pressoché infinita su se stesse (questa autoconferma, o Selbstbehauptung: una “stabilità” che è indicata in greco dal termine epi-stēmē, con-sistere), e questa capacità di conquista, espansione, projezione illimitata starebbe proprio a indicarne la necessità, l’aspetto nuovo, la co-essenzialità alla natura stessa dell’uomo e non invece a una particolare forma di civiltà! Questo infatti, è anche il problema che si porrà Husserl nella Crisi delle scienze europee. I testi della Crisis di Husserl vanno dal ’28 al ’37, ma la maggior parte è databile intorno al 1935, e quindi è posteriore alla Rede di Heidegger. Vi troviamo anche un passo50 nel quale Husserl con la sua capacità di riassumere in poche parole decenni di dibattiti e anche di retorica accademica sulla scienza, sui compiti dell’Università e sulla funzione della filosofia, sostiene che

le uniche battaglie veramente significative del nostro tempo sono battaglie tra un’Umanità che già è franata in se stessa e un’Umanità che è ancora radicata su un terreno”, […] sono lotte tra filosofie, cioè tra le filosofie scettiche […] e le vere filosofie, quelle ancora vive. Ma la vitalità di queste ultime consiste in questo: che esse lottano per il loro senso vero e autentico e perciò per il senso di un’autentica Umanità . (Crisis, 44)

Cioè: l’autenticità della Scienza coinciderebbe con l’autenticità dell’Umanità. Un sapere casuale, non essenziale, non tale da riassumere in sé nella forma e nella maniera che abbiamo già visto descritte da Heidegger in questa Rede (cioè di essere, insieme, il più lontano e il più vicino, il più esterno e il più interno e di tenere insieme la totalità dell’esistenza): una scienza che non sa far questo è un sapere casuale. Ma un sapere “empirico” (come lo

50 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la filosofia trascendentale. Introduzione alla filosofia fenomenologica, c/ di Walter Biemel, “Husserliana”, Bd. VI, Martinus Nijhoff, L’Aja 1959, § 6, (trad. it. di Enrico Filippini, pref. di Enzo Paci, “Il Saggiatore” Milano 1961, p. 44-45).

266 / Il Discorso di rettorato

chiama Kant ma che, da Eraclito e Parmenide in poi, tutta la tradizione platonico-aristotelica aveva già chiamato “opinione” o doxa), è tipico di una umanità casuale, mentre un sapere essenziale fa della umanità che lo possiede un’umanità essenziale (e viceversa!).

Questa è l’equazione e la presunzione di Husserl. Ecco allora che il senso autentico della scienza per Husserl è di lottare per il senso autentico, vero, della scientificità; Heidegger aveva detto (1933) che ilsenso autentico, vero, della scientificità è un “ritorno all’origine greca”, a come i Greci concepivano la scienza, perché là, in quell’inizio era la “grandezza”. “La grandezza dell’inizio che va recuperata. Perché la grandezza dell’inizio è il senso della scienza, le cui realizzazioni possono ridurre questo senso fino a farlo dimenticare. Dimenticare ma non cancellare: sulla base di quello che rimane di una tradizione scientifica, noi possiamo recuperare la grandezza dell’inizio, cioè tornare all’origine.

È questo un movimento, se voi ci pensate, caratteristico dell’Età Moderna, cioè caratteristico innanzitutto del Rinascimento italiano che è quello che determina e dà le coordinate dell’Età moderna, e cioè il ritorno all’antico. Il ritorno all’antico può essere inteso in tanti modi: può essere inteso anche come semplice erudizione (il modo più ambiguo, ma inevitabile, è quello del commercio di oggetti che il tempo ha reso sacri), ma c’è un modo fondamentale che è quello che si muove nella realtà storica moderna e la muove, ed è proprio quello di recuperare la “grandezza” dell’inizio, cioè di recuperare quelle possibilità che sono ancora iscritte in ciò che resta della tradizione che le ha realizzate; quasi per ricominciare. E quindi, a ben vedere, l’idea di ricominciare da capo non è essenzialmente di fare un taglio netto col passato ma, al contrario, è l’idea di ripercorrere tutto il passato, di salvare le reliquie del passato, per dare unicuique suum e conoscere la misura di tutte le cose, al limite, di dedicarsi all’archeologia, alla filologia (Nietzsche vi aggiungeva la “storia monumentale” e quella “critico-assiologica”!) come le vere scienze della ripresa e della riconquista di un vero inizio, e quindi alla storia in generale in tutte le sue forme e strumenti. Il ritorno all’antico significa allora scoperta della storia, significa rimettere in squadra il presente, ri-organizzare la società presente, fare dei piani, prospettare delle linee di sviluppo della cultura contemporanea. In una parola: tornare in sé (Selbstbehauptung).

Solo perché lottano per il “loro” senso autentico esse lotterebbero per il senso di un’“autentica” umanità. “Portare la ragione latente all’auto-comprensione”: questa è la formula usata da Husserl nel § citato. Quella di Heidegger è di affidarsi a questa lontana capacità che l’inizio (il quale si projetta nel futuro) ha di disporre di noi nel presente, e quindi recuperare la grandezza dell’inizio e così via: questo significa recuperare la necessità interna della scienza. Husserl chiama questo procedimento “portare la

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