EUROVISION 2024 (L'IMPATTO DELLA MUSICA SUI MOVIMENTI SOCIALI)

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SUL PALCO DELL’EUROVISION CANZONI SCATENATE TRA TEMPESTE E MIRACOLI

L’impatto della musica sui movimenti sociali

di Roberto D’Onorio

Quando l’uso del costume entra a gamba tesa nella storia, vale la pena di soffermaci a pensare sulle coordinate in cui gli orizzonti storici si stanno muovendo, e come si sa, le canzoni sono da sempre state il faro che illumina i percorsi più bui dell’umanità. Poco più di sessant’anni fa Bob Dylan poneva domande pungenti sulla guerra, la povertà e la disuguaglianza, cantando Blowin' in the Wind, quando John Lennon dipingeva con le parole un’Imagine utopica di un mondo senza guerra, povertà o fame. E poi ancora Bob Marley, con Get Up, Stand Up, incitava alla resistenza e alla lotta per i diritti; "The Power of Love di Huey Lewis and the News ci ricordava il potere trasformativo dell'amore; Fight the Power dei Public Enemy affrontava in modo diretto e potente le questioni di razzismo e oppressione. Questi sono solo alcuni esempi di come la musica abbia dato voce a generazioni di attivisti e sognatori, divenendo un potente strumento per denunciare ingiustizie, promuovere il cambiamento sociale e ispirare speranza. Da sempre la musica riflette il contesto sociale e politico del suo tempo, non solo sfidandolo ma anche trasformandolo attraverso melodie e testi dalle emozioni profonde, capaci di connettere le persone e mobilitare movimenti collettivi per la giustizia e la pace.

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L’Eurovision Song Contest continua questa tradizione, utilizzando per lo slogan ufficiale di quest’anno United By Music, buon proposito condiviso dallo stesso vincitore della 68ª edizione, il cantante e musicista svizzero Nemo, che si è esibito sul

palcoscenico della Malmö Arena, in Svezia, con la canzone autobiografica dal titolo The Code. Un premio giocato e vinto a casa quello del rapper ventiquattrenne che dopo la sua vittoria non ha dimenticato di dichiarare la speranza << che questa manifestazione mantenga la promessa di favorire la pace>>. Per la prima volta nella storia dell’Eurovision il podio vede non solo salire in trionfo una persona non binaria, che ricordiamo significa non riconoscersi strettamente né nel genere maschile né in quello femminile, ma anche una canzone che celebra l’identità non come dono sociale ma come consapevolezza che rende liberi. Le parole dietro la melodia pop di the Code, raccontano una storia leggera ma mai scontata di un giovane Rimbaud contemporaneo che, attraversando il suo "inferno personale", fatto di pregiudizi e costrizioni, riesce finalmente a trovare con intelligenza emotiva, la strada per intraprendere un percorso di autenticità e autodeterminazione. Tuttavia, nonostante i messaggi di grande potenza sostenuti dalla vittoria del cantante svizzero, la gara non è stata immune alle tensioni geopolitiche e alle lotte sociali che attraversano la triste narrazione del presente storico che stiamo vivendo. Non sono mancati, infatti, momenti di disagio e rivalsa che hanno visto da un lato vittorie morali, come quella dell'Ucraina, che ha trionfato nonostante il conflitto in corso con la Russia, presentando una canzone inno di speranza e resilienza che ha commosso il pubblico europeo, mentre dall’altro, la partecipazione di Israele ha sollevato accese critiche da parte di alcuni paesi e attivisti, accendendo i riflettori sulla questione del conflitto israelo-palestinese e sul ruolo dell'Eurovision come piattaforma politica. La decisione stessa di non squalificare Israele, (come invece accaduto in passato con altri stati giudicati belligeranti, come la Russia), essendo parte dell’Unione dei broadcaster

A poco sono servite le precauzioni neutrali adottate dall’EBU per contenere i malumori, quali ad esempio il rifiuto della prima canzone October Rain, considerata troppo esplicita nei riferimenti agli attentati del 7 ottobre 2023, costringendo la delegazione israeliana a modificare il testo per poi ripresentarlo con il titolo Hurricane. Inefficiente anche il divieto di introdurre bandiere palestinesi all'interno dell'arena. Nulla è servito a placare la libertà di espressione di alcuni partecipanti, tra cui il britannico Olly Alexander, firmatario di una dichiarazione congiunta per chiedere un cessate il fuoco a Gaza nel periodo precedente al concorso. Come pure la cantante portoghese Iolanda, che sul finire della sua performance, al grido «La pace vincerà», ha sfoggiato sulle sue unghie disegni ispirati alle tradizionali sciarpe palestinesi, dando in questo modo continuità al gesto di solidarietà di Eric Saade, cantante svedese fuori gara, che nella sua esibizione durante la prima semifinale ha indossato sul polso una kefiah come gesto di solidarietà per il Paese.

Dopo tutto questi rumors non ce da stupirsi se durante la prima esibizione della cantante che rappresenta Israele, Eden Golan, si sono sentiti distintamente parecchi fischi e grida di disapprovazione provenire dal pubblico e dagli spalti. La vera sorpresa è arrivata dal risultato delle votazioni che hanno visto classificare Israele al quinto posto su 25 finalisti, favorendo la tendenza che non tutti odiano Israele.

Tuttavia, non esiste un moto concreto per giustificare veramente le motivazioni di milioni di elettori nell’esprimere la propria preferenza, soprattutto se interroghiamo il sistema molto complesso di pesi e contrappesi dell’Eurovison, che come risaputo, combina due giurie: una composta da cinque esperti musicali da ogni nazione partecipante e una di televotanti, ogni sezione pesa per il 50% sul risultato finale. Nel dettaglio, Israele ha ottenuto il massimo dei voti da ben 14 paesi, tra cui grandi potenze europee come Albania, Austria, Cipro, Repubblica Ceca, Moldavia, Slovenia e perfino dall’Irlanda, considerata da molti uno dei paesi più anti-israeliani d’Europa. Il fatto curioso di questa geografia riguarda il risultato del 39,31% della giuria di professionisti italiani composta da BigMama (presidente di giuria), il ballerino Marcello Sacchetta, la giornalista Barbara Mosconi, il musicista e compositore Maurizio Filardo e la conduttrice Elena Di Cioccio. Una decisione che è importante ricordare, si unisce a tante altre per il diritto di esistere di Israele. Non è forse anche questo riconoscimento un chiaro gesto di tolleranza e unione tra le nazioni? Ma allora cos’è che ci fa storcere ancora il naso? Forse è necessario fare un passo indietro e ricordarci l’esempio di Nemo nel riuscire a distinguere tra le azioni che una certa società ci impone e la responsabilità che ci assumiamo come individui. In questo caso la cantante israeliana Eden Golan incarna i messaggi di cui la canzone Hurricane narra. Una melodia chiara accompagna la narrazione struggente di come il fato al pari di un uragano possa spezzare inaspettatamente la nostra esistenza e di come questa possa resiste agli eventi inattesi solo grazie all’amore. Sicuramente una delle canzoni migliori in gara, resa ancora più lirica dalla voce limpida e vibrante della giovane interprete.

Fino a qui nulla da eccepire, se non fosse che, come abbiamo detto, il testo è stato oggetto di numerosi interventi rispetto alla versione originale, in particolare ad essere sotto osservazione il ritornello, la chiosa in ebraico e il titolo cambiato da October Rain ad Hurricane.

Nella prima versione, è stata censurata la parola “fiori”, “che nel gergo delle forze armate israeliane (IDF) indica i soldati caduti in battaglia. Le ultime tre versi farebbero riferimento alle condizioni dei civili israeliani durante l’attacco di Hamas, mentre il finale sembrerebbe esser stato modificato perché dedicato ai ragazzi morti

nell’attentato del 7 ottobre 2023, durante un Festival musicale: “Sono tutti bravi ragazzi, ognuno di loro“.

Cosa fa di una canzone un inno? Sicuramente non essere composta da parole scritte per chiedere il premesso di fare qualcosa, ma soprattutto una grande canzone non tradisce mai la fiducia riposta in essa dal popolo che lo canta. Ne è un esempio l’Ucraina (classificatasi al 3 posto, rappresentata dal duo tutto al femminile composto da alyona alyona (Aliona Savranenko) e Jerry Heil (Yana Shemaieva).

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Il brano portato dalle due cantautrici intitolato “Teresa & Maria” celebra le figure di Madre Teresa di Calcutta e della Vergine Maria, ricordandoci come queste figure prima ancora di essere divenute simboli religiosi di carità unione e amore, siano state delle persone comuni. Dal testo, alla melodia alla rappresentazione scenica, tutto suggerisce come la divinità risieda essa stessa nell’umanità e di come spetti alla responsabilità personale giungervi a compimento, anche quando “qualcuno vuole spezzarci”, piegarci o annientarci.

Una performance dalla forza epica quella pensata ad accompagnare il duo all’’Eurovision, con l’entrata in scena di Jerry Heil vestita come una giovane Giovanna D’arco che sfida gli elementi della natura. Il primo ad animare il palco è il vento che con il suo ululare accompagna le parole marcianti della nostra eroina lungo la passarella d’acqua, sulla quale ristagna una collina di terra, posta non come ostacolo, ma come punto di elevazione per l’incipit della canzone. Ed è lì, al culmine, sotto una pioggia di fuoco, che l’allegoria prende forma nella carne e nel sangue, per riposizionare quel pensiero del bene e del male che siamo abituati a definire sfumato. Perché, l’idea che anche le sfide e le difficoltà possono essere opportunità per crescere e superarsi, richiede un ideale preciso in cui il bene e il male non possono essere concetti sfumati: esiste il male ed esiste il bene e quest’ultimo va perseguito con tutte le forze.

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