Torri a cremona

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F o t o g r a f i e ROBERTO CACCIALANZA



Alle Amiche Elena Contucci e Rosanna Lamagni, ai miei genitori per il continuo incoraggiamento e sostegno


MOSTRA FOTOGRAFICA

dal 6 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 Museo Civico di Cremona Sale delle esposizioni temporanee

Grafica e impaginazione: Roberto Caccialanza www.robertocaccialanza.com - info@robertocaccialanza.com Le fotografie di questa sezione sono di ©2008 Roberto Caccialanza Volume: ©2008 Roberto Caccialanza Versione digitale ©2013 Roberto Caccialanza Tutti i diritti riservati Nessuna immagine o parte scritta di questo volume può essere riprodotta e utilizzata, in qualsiasi forma e/o con qualsiasi mezzo (compresi la fotocopia, la registrazione e il trattamento dell’informazione), senza esplicita autorizzazione scritta dei rispettivi Autori o degli Enti detentori degli originali. Versione digitale del volume edito nel novembre 2008


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R E M O N A L

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F o t o g r a f i e ROBERTO CACCIALANZA


RINGRAZIAMENTI

Don Albino Aglio Carla Almansi Don Attilio Arcagni Nadia Ardizzi Alberto Baldrighi Annamaria Balestreri Bernabei Pietro Belisario Angela Bellardi Walter Berlini Gianfranco Berneri Carla Bertinelli Spotti Luciana e Adriano Binda Beschi Oreste Bini Paolo Bodini Mons. Achille Bonazzi Elisabetta Bondioni Alessandro Bonezzi Roberto Borsella Cristina Bottoli Emanuele Brognoli Consuelo Cabrini Marina Cambiati Stefano Campagnolo Rosy Cappelletti Cesare Cavazzi Centro di Musicologia ‘Walter Stauffer’ Mariella Cesura Magni Mirco d’Angelo Stefano Damini Gabriele Dassi e famiglia Dirigente scolastico Scuola Elementare ‘Realdo Colombo’ Luigi Fagioli Fam. Faticati Fam. Ferrari Don Andrea Foglia Carlo Forte Angelo Gabbani Lodovico Ghelfi Lauro Guindani Donatella Ligorio Gaboardi Cesare Guarneri Dantina Mainardi Carlo Mancini Daniro Mandelli Marco Manfredini

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Paolo Mantovani Fam. Negri Ivano Nicoletti Emanuele Orsi Marco Pagliarini Alessandro Paini Gerardo Paloschi Giorgio Pastorelli Fabiano Penotti Edoardo Persico Ottavio Pettenati e signora Beatrice Ponzoni Don Marino Reduzzi Nayla Renzi Fam. Repellini-Franco Albino Rigoni Nadia Rossi Roberto Ruggeri Marco Scartapacchio Antonia Schiavini Luigi Siena Daniele Soregaroli Guido Trotta Gianluigi Varoli Libero Zini


UNA LUNGA E PAZIENTE RICERCA FOTOGRAFICA di Roberto Caccialanza

quanto evidente: le torri sono davanti ai nostri occhi ogni giorno e caratterizzano lo skyline della città rendendolo armonioso e inconfondibile. Confesso di non aver mai pensato che potessero essere così tante: l’elenco definitivo ne conta ben 83 tra campanili di chiese (40), torri e torrette di palazzi storici del centro cittadino, ciminiere e camini di industrie vecchie (come quelle manifatturiere laterizie, tessili e vetrarie) o moderne, cascine. Spiccano, facilmente visibili, la torre della ex filanda Bertarelli di via Cistello (chiamata più comunemente “il Minareto”), le due torrette che sovrastano la Galleria XXV Aprile, i camini delle ex Ceramiche Eredi Frazzi al quartiere Po, la trentina di ciminiere e torri di raffinazione della Tamoil, il torrione di piazza Castello, la torricella della cascina Roncacesina sulla via Sesto... Vi sono poi costruzioni non individuabili dall’esterno perché circondate da mura che ne occultano la vista o inglobate in altri edifici, come la ciminiera della ex filanda Guerri in via Garibotti e quella del primo stabilimento Vergani fra le vie Tofane e Decia, immortalata nel breve periodo intercorso fra la demolizione di vecchi edifici e la costruzione di una nuova palazzina residenziale. Un altro sventramento, in via Larga, ha aperto uno scorcio eccezionale sulla torre Pretoria del palazzo Comunale. A Bagnara (Ca’ Basse) resiste all’abbandono e alle intemperie il camino della ex fornace Pagliari, a S. Savino le campane rintoccavano il mezzogiorno mentre mi apprestavo a fotografare il campanile della chiesa omonima... Un viaggio settembrino in mongolfiera da piazzale Azzurri d’Italia a Casanova del Morbasco ha regalato tante emozioni: il sorvolo della città fino ad una quota di oltre quattrocento metri dal suolo è stato utile per ritrarre panorami e punti di vista ovviamente straordinari ed esclusivi. Fra tutti, quello sulla chiesa di S. Bartolomeo a Picenengo. L’esito della lunga avventura fra i tetti e i cieli di Cremona è racchiuso nelle pagine di questa monografia, realizzata grazie all’interessamento di Fausto Cacciatori per l’Editrice CremonaLibri. Al Comune di Cremona, a Fausto, Mariella, Luciano, Massimo e a tutti coloro che, in vario modo, hanno reso possibile il compimento del progetto va il mio più caloroso e sentito ringraziamento.

Le prime fotografie realizzate espressamente per il progetto ‘Torri’ risalgono al settembre-ottobre 1994. Tanto tempo mi è servito per approfittare di occasioni straordinarie se non uniche come i lavori di rifacimento delle coperture della cupola del ‘Foppone’, dei restauri delle chiese di S. Girolamo, S. Carlo nonché del nostro Torrazzo: ho avuto la fortuna di essere uno dei pochi non addetti ai lavori che ha potuto ammirare e documentare da vicino i segreti della torre simbolo di Cremona, oltre a catturare scorci e vedute da posizioni prospettiche altrimenti non raggiungibili. Tuttavia la demolizione con esplosivo del serbatoio della ex Feltrinelli-Masonite sulla via Castelleone è la preziosità di tutto il volume: ero nel posto migliore per registrare la sequenza del crollo da un punto di vista a me favorevole e terminato con un tonfo che fece scuotere il suolo come fosse un terremoto. Il lavoro di riprese fotografiche ha portato a raccogliere, mano a mano, centinaia di fotografie fra negativi in bianco-nero e a colori, diapositive, immagini digitali. La scelta di pubblicare le fotografie esclusivamente in bianco e nero è stata deliberata e consapevole perché si lega con straordinaria efficacia all’argomento trattato. Gli originali a colori rimangono comunque disponibili per altri utilizzi. Ho deciso, inoltre, di non divulgare in questa occasione le immagini di torrette e terrazzine di ville della fine dell’Ottocento e novecentesche in quanto saranno oggetto di una ricerca più approfondita nel prossimo futuro. Fra tutti gli scatti ho selezionato quelli che mi sono sembrati più significativi sotto l’aspetto artistico e documentaristico. Alcuni di questi si trovano nelle prossime pagine, a catalogo di ciascun soggetto, mentre tanti altri sono a corredo dei testi specialistici di Luciano Roncai, Massimo Terzi e delle ricerche storiche di Mariella Morandi: date le sue capacità non ho pensato ad altri che lei per questo saggio praticamente inedito nel panorama documentario e storico cremonese. All’inizio degli anni Settanta venne pubblicato un libretto tascabile su alcune torri campanarie illustrato con fotografie di Ezio Quiresi mentre nel 2003 è stato presentato un calendario di immagini elaborate. Nient’altro. È curioso che, mai prima d’ora, sia stata prodotta un’indagine completa su un tema tanto importante

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26 settembre 2004 Veduta dalla mongolfiera

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TORRI C A M PA N A R I E della cittĂ di Cremona


25 luglio 2004 Beata Vergine di Borgo Loreto in via Litta

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28 luglio 2004 Beata Vergine Lauretana e S. Genesio in piazza Cappellani Militari caduti (loc. Borgo Loreto)

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28 luglio 2004 Istituto Buon Pastore di via Borghetto, scorcio dall’altana al civico 76 di via Aselli

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12 ottobre 2007 Cristo Re in piazza Cazzani

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25 maggio 2002 S. Abbondio da interno di abitazione privata al civico 62 di corso Matteotti

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19 gennaio 2005 Chiesa prepositurale mitrata di S. Agata dalla torretta di palazzo Barbò-Mainardi in via Ugolani Dati 7 (sullo sfondo S. Ilario)

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29 luglio 2004 S. Ambrogio in via S. Francesco d’Assisi

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4 marzo 2005 La chiesa di S. Agostino dalla torre Pretoria del palazzo Comunale (si noti il camino della Scuola Elementare ‘Plasio’)

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14 ottobre 2007 S. Bassano in via Bissolati

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14 ottobre 2007 S. Bernardo in via Brescia

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5 settembre 2004 SS. Donnino e Carlo in via Bissolati dal tetto della chiesa di S. Lucia

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17 novembre 2007 S. Facio detta ‘Foppone’

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4 marzo 2005 S. Girolamo in via Sicardo dalla torre Pretoria del palazzo Comunale

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12 ottobre 2007 S. Giuseppe sulla piazza Aldo Moro al Cambonino

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17 novembre 2007 S. Giuseppe in via Brescia

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29 ottobre 2007 SS. Ilario e Apollinare in via Garibotti dalla torretta di palazzo Trecchi

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5 luglio 2002 SS. Clemente e Imerio in via Aporti dalla terrazza dell’acquedotto AEM di via Realdo Colombo

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27 aprile 2002 S. Luca da giardino di casa privata al civico 10 di via Bertesi

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5 settembre 2005 S. Lucia nella piazzetta omonima

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4 marzo 2005 SS. Marcellino e Pietro in via Amilcare Ponchielli dalla torre Pretoria del palazzo Comunale (sullo sfondo S. Carlo)

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12 novembre 2007 SS. Margherita e Pelagia in via Trecchi dall’interno di portone al civico 20 di via Milazzo

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22 luglio 2008 S. Maria Maddalena e S. Geroldo dal Centro di Musicologia ‘Walter Stauffer’ di via Realdo Colombo

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27 gennaio 2005 S. Michele Vetere dalla torre Pretoria del palazzo Comunale (in primo piano il timpano della facciata del Duomo)

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4 marzo 2005 SS. Egidio e Omobono dalla torre Pretoria del palazzo Comunale

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29 maggio 2002 S. Pietro al Po in via Cesari dalla torretta della Camera di Commercio

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11 ottobre 2007 SS. Fabiano e Sebastiano Martiri nella piazzetta omonima

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19 gennaio 2005 Le torri delle chiese SS. Siro e Sepolcro, S. Abbondio e la torretta di S. Facio riprese da altana al civico 76 di via Aselli

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11 ottobre 2007 Abbazia di S. Sigismondo dalla via S. Rocco

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11 ottobre 2007 S. Sigismondo, dettaglio della torre

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11 ottobre 2007 L’Abbazia di S. Sigismondo da via Diritta

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1 febbraio 2003 S. Gregorio e della TrinitĂ in corso XX Settembre da S. Michele Vetere Sullo sfondo S. Pietro al Po

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19 gennaio 2005 S. Vincenzo in via Palestro dalla terrazzina di palazzo Barbò-Mainardi di via Ugolani Dati

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1 febbraio 2003 Veduta dalla cella campanaria di S. Michele

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TORRI C A M PA N A R I E I l To r r a z z o


19 novembre 2002 Restauro esterno: dall’ascensore est il panorama sui vecchi giardini di piazza Roma

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23 dicembre 2003 Veduta dai nuovi giardini di piazza Roma

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9 novembre 2002 Scorcio sul Torrazzo da bottega liutaria in Largo Boccaccino

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9 novembre 2002 Decorazioni della parete ovest del Torrazzo poco al di sopra dell’Orologio

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9 novembre 2002 La cuspide vista dagli ascensori esterni fissati alla parete ovest della torre

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9 novembre 2002 Veduta a picco dal ponteggio mobile

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20 novembre 2002 Dettaglio dello stemma Comunale

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20 novembre 2002 Altro particolare dello stemma

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23 maggio 2004 Spettacolare esibizione acrobatica con danzatrice appesa a cavi d’acciaio

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9 novembre 2002 L’Orologio astronomico del Torrazzo (dall’alto)

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9 novembre 2002 Le aste della Luna e del Drago

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9 novembre 2002 Il Sole

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20 novembre 2002 Fulcro dell’Orologio: immagine ravvicinata

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9 novembre 2002 Il segno zodiacale del Cancro

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13 maggio 2002 Panoramica sul centro storico dalla cupola del ‘Foppone’

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27 ottobre 1993 Tramonto dalla via Mantova

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12 ottobre 2007 S. Bartolomeo a Picenengo

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TORRI C A M PA N A R I E delle frazioni di Cremona


12 ottobre 2007 Bassorilievo alla base della torre, sopra la porta di accesso

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26 settembre 2004 La chiesa di S. Bartolomeo fotografata dalla mongolfiera

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12 ottobre 2007 S. Maria Maddalena, abbazia cistercense di Cavatigozzi

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3 maggio 2004 S. Cristina sulla via omonima

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12 ottobre 2007 S. Felice in via Torchio

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11 ottobre 2007 S. Maria Annunciata in via Crocile al Boschetto

67


11 ottobre 2007 S. Maria del Campo sulla via Giuseppina dalla via Postumia

68


11 ottobre 2007 S. Maria del Campo

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14 ottobre 2007 S. Maria Nascente al Migliaro

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12 ottobre 2007 S. Savino Vescovo (loc. S. Savino)

71


26 gennaio 2005 La torre Pretoria del palazzo Comunale da piazza della Pace

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A LT R E E M E R G E N Z E della cittĂ e delle frazioni di Cremona


17 novembre 2007 Via Dante angolo via Antica Porta del Tempio

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29 ottobre 2007 Corso Campi angolo via Antico Rodano

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13 maggio 2002 La terrazzina dell’Istituto Ala-Ponzone-Cimino e la torretta di palazzo Zaccaria-Arvedi fra vicolo Chiesa e piazza Lodi ritratte dalla sommità della cupola della chiesa di S. Facio durante i lavori di rifacimento delle coperture

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5 novembre 2007 Palazzo Stradiotti da via Baldocca

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12 novembre 2007 La torretta di palazzo Barbò-Mainardi in via Ugolani Dati vista dalla terrazzina fra corso Campi e via Antico Rodano

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29 maggio 2002 Panoramica dalla terrazzina dell’Istituto APC di via Gerolamo da Cremona

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29 maggio 2002 La torre del ‘Minareto’ facente parte del complesso della ex filanda Bertarelli fotografata all’APC

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18 maggio 2002 La torre vista dalla terrazza sottostante

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29 maggio 2002 Camino dell’ex filanda Bertarelli in via Cistello visto dall’APC

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20 novembre 2002 Il ‘Minareto’ visto attraverso il colonnato di una torretta della facciata nord del Duomo ripreso dall’ascensore est utilizzato per il restauro del Torrazzo

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12 ottobre 2007 La torre dei Torresini in corso Garibaldi

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20 novembre 2007 Particolare di affresco con paesaggio fantastico dipinto sulla volta del piano terreno

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29 ottobre 2007 Palazzo Cittanova e la torre campanaria di S. Agata ripresi dalla torretta di palazzo Trecchi (a fianco, sullo sfondo, S. Vincenzo)

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15 ottobre 2007 Palazzo Cittanova dalla via Trecchi

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26 gennaio 2005 La torre del Capitano in piazza Stradivari, night...

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21 febbraio 2005 ... and day

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28 aprile 2005 Restauri della torre Pretoria del palazzo Comunale vista da piazza Marconi poco prima che iniziassero i lavori di scavo dell’autosilo

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18 luglio 2004 Scorcio sulla torre Pretoria visibile da via Cadore per un breve lasso di tempo intercorso fra la demolizione di un edificio e una nuova edificazione in via Larga

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10 ottobre 2008 La torre Pretoria ritratta dai ponteggi di restauro della chiesa di S. Girolamo (a sinistra S. Marcellino)

92


26 gennaio 2005 La torre Pretoria da piazza Stradivari - via Gramsci

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29 maggio 2002 Il Duomo fa da sfondo alla torre Comunale e alla torre del Capitano viste dal liceo Manin di via Felice Cavallotti

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26 gennaio 2005 Il Torrazzo e la torre Comunale da piazza Stradivari

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12 ottobre 2007 Il Torrione, unica testimonianza rimasta del Castello di S. Croce, sulle via Ghinaglia e Piave

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4 marzo 2005 Torrazzo, cuspide della facciata nord del Duomo e torretta del palazzo Ala-Ponzone-Cimino dalla torre Pretoria

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29 maggio 2002 La terrazzina del liceo Manin di via Cavallotti e la torre della chiesa di S. Carlo dalla Camera di Commercio

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5 novembre 2007 Ex filanda Guerri al civico 12 di via Garibotti

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26 settembre 2004 Le ex Ceramiche Eredi Frazzi dalla mongolfiera

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5 aprile 2000 Sono in corso i lavori di restauro e di consolidamento del camino maggiore

101


3 aprile 1995 Camino minore della Ceramica Frazzi

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7 novembre 2008 Viale Trento e Trieste 136, camino di ex panificio

103


25 luglio 2004 Via Dante, camino sul retro del supermercato Colmark (ex ‘Ferro Metalli Carbone’ ?)

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25 luglio 2004 Veduta da via Cimitero

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18 luglio 2004 Ciminiera dell’ex stabilimento Vergani fra le vie Decia e Tofane

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18 luglio 2004 Lavori di sbancamento di vecchi magazzini evidenziano il camino ex Vergani la cui vista è stata in seguito rapidamente occultata da nuove abitazioni private

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18 luglio 2004 Ciminiera della Fabbrica del Vetro vecchia in via Cadore

108


14 dicembre 2007 La torre di palazzo Mina-Bolzesi in via Plà tina vista dalla torre di S. Pietro al Po (sullo sfondo, in parte nascosto dalla gru, l’Abbazia di S. Sigismondo)

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9 febbraio 2008 L’imponente costruzione vista dal parco del palazzo

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9 febbraio 2008 La scala di accesso alla torre

111


9 febbraio 2008 Le ex stalle poste alla base della torre

112


9 febbraio 2008 I sotterranei verso una delle aperture che portano al parco si trovano sotto al rialzo del terreno che funge da fondazione per la torre

113


12 novembre 2007 Le torri di palazzo Trecchi e della chiesa di S. Ilario dalla terrazzina fra via Antico Rodano e corso Campi

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15 ottobre 2007 Palazzo Trecchi nella via omonima

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29 maggio 2002 Curiosa sopraelevazione di casa d’angolo fra via Ceresole e vicolo Paradiso dalla terrazza dell’Ala-Ponzone-Cimino

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11 ottobre 2007 Civico 28 di via Tonani

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19 gennaio 2005 La torretta della Camera di Commercio di piazza Stradivari ritratta dal liceo Manin di via Cavallotti

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29 maggio 2002 Le torri della Galleria XXV Aprile panoramica dalla Camera di Commercio (al centro la torre campanaria di S. Agata)

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29 maggio 2002 Galleria XXV Aprile: la torretta di nord-ovest vista dal Liceo Classico Daniele Manin

120


La torretta di sud-est

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22 luglio 2008 Colonie Padane al Po in via del Sale, lato est

122


22 luglio 2008 Lato ovest

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21 ottobre 2003 Sequenza: demolizione con carica esplosiva della torre dell’acqua ‘Masonite’

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L’area ex Feltrinelli è attualmente occupata dall’ipermercato Cremona Po fra le vie Eridano e Castelleone

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26 settembre 2004 Sorvolo della raffineria Tamoil con la mongolfiera ad un’altitudine massima di mt 494 slm

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5 giugno 2008 Torri di raffinazione-raffreddamento e gregge di pecore ripresi dalla via Eridano (tangenziale)

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11 ottobre 2007 Centro Servizi dell’Azienda Energetica Municipale in via Postumia (teleriscaldamento)

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11 ottobre 2007 Ciminiere del termovalorizzatore in via S. Rocco

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12 ottobre 2007 Azienda Uniquema da via S. Ambrogio

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7 novembre 2008 Camino di centrale termica in via Navigatori Padani

131


12 ottobre 2007 Serbatoio della ditta Lameri in via S. Bernardo

132


29 ottobre 2007 Azienda Sanitaria Locale di via Postumia dalla piscina del CRAL ASL

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28 novembre 2007 Ex fornace Pagliari sulla via Casalmaggiore (loc. Bagnara)

134


28 novembre 2007 Tunnel di servizio all’interno alla fornace

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11 ottobre 2007 La torre della fornace Pagliari

136


12 ottobre 2007 Ex caseificio Cavo nell’omonima cascina nei pressi di via S. Cristina

137


12 ottobre 2007 Abitazione privata al civico 44 di via S. Savino

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12 ottobre 2007 Cascina Roncacesa in via Sesto

139


12 ottobre 2007 Cascina Roncacesina sulla via Sesto

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12 ottobre 2007 Particolare

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12 ottobre 2007 Camino di garage per autoriparazioni al 48 di via Sesto

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TORRI CAMPANARIE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

ALTRE EMERGENZE

S. Maria Annunciata, via Crocile 16 (loc. Boschetto) S. Maria Nascente, via Livrasco 2 (loc. Migliaro) SS. Nazario e Celso in S. Giuseppe, piazza A. Moro 10 S. Cristina, via S. Cristina S. Bartolomeo Apostolo, via Picenengo 7 (loc. Picenengo) S. Maria Maddalena, via Abbadia 32 (loc. Cavatigozzi) Beata Vergine Lauretana e S. Genesio, piazza Cappellani Militari Caduti 1 (loc. Borgo Loreto) Beata Vergine di Borgo Loreto, via Litta 34 (loc. Borgo Loreto) S. Ambrogio Vescovo, via S. Francesco d’Assisi 5 S. Felice Martire, via Torchio 6 (loc. S. Felice) S. Bernardo, via Brescia 135 S. Savino Vescovo, via S. Savino (loc. S. Savino) S. Luca, corso Garibaldi S. Vincenzo, Via Palestro S. Giuseppe, via Brescia S. Bassano, via Bissolati SS. Apollinare e Ilario, via Garibotti 2 S. Agata, corso Garibaldi 121 Istituto Buon Pastore, via Borghetto 11 SS. Siro e Sepolcro, via Aselli S. Facio, via del Foppone SS. Nazario e Celso in S. Abbondio, piazza S. Abbondio S. Monica, via Bissolati (non fotografabile causa ponteggi) SS. Margherita e Pelagia, via Trecchi 11 S. Giacomo in Braida e Agostino, via Breda 3 S. Michele Vetere, piazza S. Michele SS. Donnino e Carlo, via Bissolati SS. Egidio e Omobono, piazza S. Omobono S. Gregorio e della Trinità, corso XX Settembre SS. Fabiano e Sebastiano Martiri, via S. Sebastiano 5 Cristo Re, piazza Cazzani 1 S. Lucia, piazza S. Lucia S. Marcellino e Pietro, via Amilcare Ponchielli Cattedrale della S. Maria Assunta, piazza del Comune S. Girolamo, via Sicardo 9 S. Giorgio in S. Pietro al Po, via Cesari 41 S. Maria Maddalena e San Geroldo, via XI Febbraio SS. Clemente e Imerio, via Aporti 18 S. Sigismondo Re e Martire, piazza Bianca Maria Visconti S. Maria del Campo, via Giuseppina 32

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 *

Cascina Roncacesina, via Sesto 53 Cascina Rocacesa, via Sesto 76a Cascina Cavo, via S. Cristina * Ex Feltrinelli-Masonite, via Castelleone - via Eridano CEC Autotecnica, via Sesto 48 Uniquema, via Bergamo 66 Lameri, via S. Bernardo 22 Centro Servizi AEM, via Postumia Torrione del castello di S. Croce, via Ghinaglia Supermercato Colmark, via Dante Cascina, via S. Savino 44 Ex filanda Guerri, Via Garibotti 12 Palazzo Stradiotti, vicolo S. Martino - via Baldocca Via Dante angolo via Antica Porta del Tempio Palazzo Cittanova, corso Garibaldi S. Monica, via Bissolati (non fotografabile causa ponteggi) Palazzo Trecchi, via Trecchi 20 Torre dei Torresini, corso Garibaldi 60 Palazzo Barbò Mainardi, via Ugolani Dati 7 Ex panificio Facchetti-Tàino, viale Trento e Trieste 136 Via Antico Rodano angolo corso Campi Palazzo Zaccaria-Arvedi, piazza Lodi - vicolo Chiesa Ex stabilimento Vergani, via Tofane - via Decia Scuola Elementare Capra Plasio, via Plasio Galleria XXV Aprile Ex filanda Bertarelli, via del Cistello 1 IPSIA Ala Ponzone Cimino, via Gerolamo da Cremona 23 ASL, via Postumia 23 Raffineria Tamoil Liceo Classico Daniele Manin, via Felice Cavallotti Torre del Capitano, piazza Stradivari Camera di Commercio, piazza Stradivari 5 Vicolo Paradiso angolo via Ceresole Torre Comunale del palazzo Comunale Torre Pretoria del palazzo Comunale Via Tonani 28 Via Navigatori Padani Ex Ceramiche Eredi Frazzi, via della Ceramica Palazzo Mina-Bolzesi, via Plàtina 66 Fabbrica del Vetro vecchia, via Cadore 72 Ex Colonie Padane al Po, via del Sale Termovalorizzatore, via S. Rocco - via Carpanella Ex fornace Pagliari, via Casalmaggiore - via Gerre Borghi

demolita il 21 ottobre 2003

PUNTI DI RIPRESA Acquedotto AEM, via Realdo Colombo Camera di Commercio, piazza Stradivari 5 Ex Casa di Bianco, piazza Stradivari Ex filanda Bertarelli, via del Cistello IPSIA Ala Ponzone Cimino, via Gerolamo da Cremona 23 Liceo Classico Daniele Manin, via Felice Cavallotti Palazzo Barbò Mainardi, via Ugolani Dati 7 Palazzo Trecchi, via Trecchi 20 Torre Comunale Torre Comunale Pretoria Via Antico Rodano angolo corso Campi Via Aselli 76

SS. Donnino e Carlo, via Bissolati S. Giorgio in S. Pietro al Po, via Cesari 41 S. Maria Maddalena, via XI Febbraio - via Realdo Colombo S. Michele Vetere, piazza S. Michele S. Lucia, piazza S. Lucia S. Facio, via del Foppone S. Girolamo, via Sicardo 9 Torrazzo, piazza del Comune

Mongolfiera

143





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R i c e r c h e e t e s t i MARIELLA MORANDI



INDICE

Sezione testi pag.

7

pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag.

11 13 13 15 18 20 25

pag.

31

pag. pag. pag. pag. pag.

33 34 39 42 45

RINGRAZIAMENTI

pag.

6

UNA LUNGA E PAZIENTE RICERCA FOTOGRAFICA, di Roberto Caccialanza

pag.

7

TORRI CAMPANARIE della città di Cremona TORRI CAMPANARIE - Il Torrazzo TORRI CAMPANARIE delle frazioni di Cremona

pag. pag. pag.

9 43 61

ALTRE EMERGENZE della città e delle frazioni di Cremona

pag.

73

ELENCO GENERALE e dei punti di ripresa

pag.

144

TORRI A CREMONA, di Luciano Roncai LA CITTÀ CHE CAMBIA, di Massimo Terzi Premessa Urbanistica medioevale di una città padana Luogo di scambi Due poli (800-1027): nascita della Città Nova I monasteri Città murata (1169-1187) Dal Torrazzo I CAMPANILI DI CREMONA, di Mariella Morandi Premessa Le torri medioevali Il Quattrocento I campanili della Controriforma Dal Settecento ad oggi

Sezione fotografica

5


14 dicembre 2007 Scorcio dalla cella campanaria di S. Pietro al Po

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TORRI A CREMONA di Luciano Roncai

degli spazi e delle architetture ambientali. Nel disegnare e nel riprendere l'esistente, la memoria agisce di fatto su piani diversi nella scelta dell'oggetto da rilevare o rappresentare, nel modo di trascrivere i dati reali, nella resa finale complessiva della rappresentazione ed infine nell'uso che di quelle rappresentazioni viene fatto non solo nell'immediato presente ma anche nella prospettiva temporale. Tali strumenti costituiscono infatti un'efficace opportunità, offerta ad ogni individuo per rendere dinamica l'immagine o, meglio, quel concerto di sensazioni, sintesi di molteplici percezioni che si sedimentano nel singolo. Volendo entrare più a fondo nel problema, come afferma Martha D. Pollak, si potrebbero sintetizzare le fasi del proporsi di una storia narrativa di ogni ambiente, e nel caso specifico di Cremona, in più modi, considerevoli chiavi di lettura della città, ad esempio attraverso l'esame del circuito delle mura, inteso in tutte le sue valenze di dentro e fuori, sicuro e insicuro, cittadino e rurale, dominante ed obbediente, colto e incolto; e, ancora, attraverso l'esame di aree a fiscalità diversa per il nobile, signore, proprietario di residenzialità stagionale, ecc. oppure di emergenze architettoniche come lo sono le torri. Ed è quest'ultima la chiave di lettura che viene proposta da Caccialanza, sperimentato, attento e colto fotografo, affiancato da due personalità ben note nel campo delle indagini storiche quali la professoressa Mariella Morandi e l'architetto Massimo Terzi, protagonista da più di trent'anni delle vicende urbanistiche della città. È l'occasione per proseguire un pluridecennale filone di indagini caratterizzate da una obiettività scevra da tensioni polemiche, ma finalizzata a consentire alla cittadinanza di vedere e non solo di guardare. L'occasione di una ricerca sulle torri di Cremona è davvero una circostanza che non può essere elusa, in quanto destinata a stimolare il riconoscimento non solo della storia del costruito urbano, ma anche dell'evolversi della sua immagine. I molteplici temi sono destinati a stimolare altrettante occasioni di riflessione, ad esempio a partire anche della "geografia", basti riflettere ai profili della città di

La storia urbana, come storia della forma fisica della città e dei suoi rapporti con i processi sociali realizzata utilizzando ogni forma di lettura dal disegno alla fotografia, alla cinematografia, alla televisione, ecc., appare sempre più nell'epoca attuale come una opportunità importante, verrebbe da dire imprescindibile, per consentire di collocare l'individuo, ogni individuo, all'interno di un ambiente. Nessuno storico urbano può quindi più ignorare nelle sue ricerche, come nelle sue sintesi, la realtà manufatta di una città, e lo stesso avviene nel caso in cui lo studioso sia un economista, un geografo, uno storico dell'architettura, uno storico dell'urbanistica, ecc. La capacità di leggere l'ambiente, sia nel suo complesso come nelle sue parti, come il territorio agricolo, la città, il paese, come ancora più in dettaglio le porzioni di cui ogni organismo è composto, ambisce ad essere, o in altre circostanze deve essere d'aiuto dapprima nel processo di comprensione e poi di conservazione di ciascun territorio, città, paese, ecc. Non si tratta pertanto di un processo solo educativo ma anche propositivo, verrebbe da dire progettuale, di ogni ambiente che non arresta l'azione modificatrice del tempo sulla consistenza materica dei singoli manufatti o degli ambienti più o meno vasti nei quali gli individui vivono, ma che propone la percezione di quella specifica realtà che è entrata a far parte integrante della consistenza culturale del singolo e della comunità, come messaggio originale destinato alle generazioni future. In questa prospettiva, nel passato il taccuino o il diario di viaggio, oggi la fotografia, la ripresa filmica o televisiva, divengono strumenti didattici sia individuali sia collettivi. Il disegno e il diario erano stati (e sono ancora oggi) i luoghi della memoria, si potrebbe dire con Margherita Caputo, il luogo privilegiato della memoria, per la capacità che queste forme di arte avevano (e ora hanno le fotografie e le riprese filmiche) di comprendere, ricevere, sintetizzare le impressioni o le informazioni che provengono dal passato lontano o prossimo, attualizzando in modo propulsivo, cioè proiettando nel futuro le percezioni

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suoni delle singole campane e dei diversi concerti, mai squillanti contemporaneamente, come pure gli occasionali sfasamenti nei tocchi delle ore, i momenti di festa per sponsali, nascite o feste rituali, ma anche di tristezza in occasione di calamità, agonie, morti. Una grande mutazione nella qualità e quantità della percezione visiva dovette rendersi palese nel corso di una generazione, alla fine del XVIII secolo e agli inizi dell'Ottocento, in epoca napoleonica, quando vennero attuate massicciamente le soppressioni religiose. In particolare a Cremona circa la metà delle chiese e dei conventi venne soppressa, ed anche se il numero dei campanili diminuì in percentuale minore, di certo il numero delle parrocchie fu sensibilmente ridotto ed i loro campanili cessarono di essere il riferimento visivo e sonoro delle originarie comunità forzosamente fuse tra di loro. Anche se la chiusura delle chiese non coincise temporalmente con l'inagibilità dei cimiteri urbani annessi (esterni ed interni), anche queste importanti presenze, poste all'ombra dei campanili, scomparvero in breve tempo e furono sostituite dapprima da fosse comuni e poi da cimiteri extra urbani; di conseguenza la correlazione chiesacimitero-sagrato-campanile venne profondamente alterata. Gli studi sulla lettura delle immagini della città e delle raffigurazioni cartografiche, condotti ed approfonditi, ad esempio, dal professor De Seta (che a Napoli ha condotto e concluso decennali ed interessanti ricerche), hanno evidenziato numerosi aspetti di queste presenze architettoniche, tra cui si evidenzia come in epoca contemporanea (18001900) siano divenute traguardi trigonometrici e capisaldi topografici, funzione questa che oggi, per l'uso di altro tipo di rilevamenti, si è quasi totalmente esaurita, come pure si è quasi del tutto estinta la funzione di segnalazione e di scansione dello scorrere del tempo nella quotidianità, sostituita dalla diffusione dell'orologio personale o dal cellulare portatile, alle cui molteplici funzioni di telefono, elaboratore matematico, ricettore e diffusore di musica, esecutore e diffusore di immagini, sia singole sia in sequenza, unisce la funzione di orologio Si potrà accennare al fatto che anche le torri e i campanili, con l'affermarsi delle armi da fuoco, furono sovente capitozzate anche per non costituire dei traguardi e dei bersagli agli artiglieri ma che, a partire dal tardo Settecento, una volta attuato il lento processo di smilitarizzazione delle città trasformate nei secoli precedenti in piazzeforti, i campanili ripresero a crescere di altezza per

Cremona, in epoca medievale, la città turrita per antonomasia, ove ogni torre segnalava la ricchezza, l'aspirazione di una potenza non solo economica, la disponibilità a difendere il proprio ruolo sociale dominando i più vicini ma anche quanti appartenevano al proprio contado, visibile dalla sommità delle altre torri potendo segnalare ai concittadini l'esercizio di una giustizia privata racchiudendo i nemici ed i debitori in gabbie ben visibili non solo dalla via. La casa-torre palesava quindi la disponibilità e la determinazione del singolo torrigiano a difendere non solo se stesso in caso di guerre tra contrade e quartieri ma anche l'integrità della comunità dai nemici forestieri. La stessa visibilità di organismi architettonici dal territorio circostante costituiva quindi di per sé anche un deterrente militare, il segnale di una ricchezza economica facilmente ed immediatamente quantificabile da tutti, non solo i governanti locali e le autorità ducali, reali, imperiali ma anche i militari, verrebbe da dire anche i religiosi. Si segnala, poi, che dopo il Medioevo con l'affermarsi delle signorie e il lento declino di queste architetture, il ruolo di palesare forza, sicurezza e legalità si trasferì ai castelli signorili, che la stessa raffigurazione cartografica elevò da subito a segnacoli dell’importanza degli organismi urbani. E' interessante ricordare che con lo scorrere del tempo le torri urbiche cessano del tutto il loro ruolo e vengono sostituite nel ruolo di rappresentanza della città, in particolare con l'affermarsi delle armi da fuoco, dai campanili delle chiese, architettura già presente nello skyline degli agglomerati urbani ma con diverso ruolo ed immagine. E' davvero interessante l'effetto delle rappresentazioni cinque-seicentesche degli abitati a volo d'uccello, ove la selva dei campanili sostituisce quella delle torri nel segnalare i contrasti nei e dei quartieri, oltre che il valore della fede e la volontà di convivenza delle comunità parrocchiali. Lo skyline della città, che si ripropone turrita all'interno della cortina delle mura urbiche che nel frattempo si sono evolute in organismi più bassi come altezza, più arcigni e compatti per la presenza dei bastioni, vede emergere solo i campanili; le città appaiono allora come dei grandi canestri il cui contenuto è costituito da articolate composizioni di svettanti architetture silenziose nelle raffigurazioni grafiche e cartografiche, ma che nella cultura della convivenza quotidiana manifestano la complessità del vissuto entro spazi ristretti. Gli abitanti potevano riconoscere nelle raffigurazioni grafiche, come nelle prospettive visuali, i campanili delle proprie parrocchie, immaginare la diversità dei

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mensorio, fondamentale per la realizzazione della ben nota carta del Cremonese, concepita e realizzata dal Campi. Per questo uso sono ancora visibili le diottre al livello del piano da cui si eleva la ghirlanda, veri e propri traguardi incisi alla sommità del parapetto da cui spiccano i merli che mirano le torri campanarie delle parrocchie delle principali comunità nel territorio. L’opportunità di misurare gli angoli tra le diverse linee direttrici, in unione con le misurazioni eseguite direttamente sul terreno, finalizzate al rilevamento delle distanze dal Torrazzo alle altre torri in associazione con altre collaterali misurazioni angolari, fu la base per realizzare una delle più precise e più attendibili cartografie del secondo Cinquecento in base ai parametri di accesso non solo italiano ma europeo. Volendo concludere queste sintetiche e parziali considerazioni, pare di dover ricordare come il Torrazzo, per chi lo osservi dal basso e per coloro che sperimentano l'ebbrezza faticosa di una sua ascesa, costituisca un'altra occasione di apprezzamento della sua plurisecolare realizzazione, conclusa ben dentro l'epoca moderna, e rappresenti una rara (e sino ad ora tralasciata) sezione archeologica, che affonda le sue radici negli strati della città romana e che, con continuità temporale, documenta ad esempio le variazioni nelle tecniche di esecuzione, l’eterogeneità dei leganti e dei laterizi, le modalità di finissaggio delle superfici, gli effetti degli accidenti atmosferici ecc., costituendo (per una interessata intelligenza) un affascinante percorso storico-materico.

ospitare concerti di campane di maggiori dimensioni in omaggio ad una -sino ad ora poco indagata- cultura della diffusione sonora del messaggio religioso. In epoca contemporanea, quindi, le emergenze videro quasi contemporaneamente l'abbassamento dei belvedere divenuti altane e l'innalzamento dei campanili e delle architetture tecniche, le ciminiere, in specie a Cremona che, dopo lo splendido esempio (sotto il profilo estetico) di fumaiolo progettato da Voghera per la filanda Bertarelli e di un altro destinato con ogni probabilità a disperdere i miasmi della sottostante stalla (di autore per ora malauguratamente ignoto) nel giardino del palazzo Mina-Bolzesi in forma aggraziata e colta di svettante belvedere, vide emergere nella seconda metà del secolo XIX e la prima metà del XX solo le ciminiere delle due più importanti fornaci della città: la Frazzi e la Lucchini. Da quel momento in poi le emergenze appaiono strettamente finalizzate allo svolgimento di funzioni tecniche senza alcuno sforzo di un impegno formale soddisfacente. Da ultimo resta da fare un accenno, per Cremona, all’architettura emergente -per eccellenza esemplare- che conserva da centinaia di anni e ancora oggi, un primato europeo come torre campanaria in muratura più alta del continente. Si tratta del Torrazzo, ben noto anche per essere inserito in una popolare trilogia di eccellenze cittadine. E' opportuno segnalare alcune peculiarità di questa eccezionale architettura per coloro ai quali, pur cremonesi "d'oro" con quattro quarti di cittadinanza, sono meno note. Quasi tutti gli abitanti ed i visitatori di questa splendida città dal carattere riservato hanno sperimentato come il Torrazzo costituisca il traguardo ottico dei principali assi viari storici che concorrono verso il suo centro, ma la grande torre ha costituito nei secoli il punto di osservazione più agevole per percepire i confini del territorio amministrato, o (con altra definizione) del contado di Cremona, sino a poter controllare non solo i confini, ma anche le collocazioni geografiche di Piacenza, Fidenza, Pizzighettone, Castelleone ecc. e quelle delle comunità lungo l'Oglio, l'Adda, il Po, in modo particolare nelle limpide e fredde giornate dell'inverno, quando lo sguardo, non ostacolato dalla vegetazione della piantata padana o dalle nebbie, liberamente può spaziare in un raggio visuale esteso per diverse decine di chilometri. A questa opportunità è poi legata la singolarità del fatto che questa emergenza architettonica sia stata, per l'epoca (XVI secolo), un sofisticato strumento

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Cremona e la sua tutela celeste Pittore cremonese, XVII secolo (Sistema Museale della Città di Cremona, Museo Civico ‘Ala Ponzone’)

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LA CITTÀ CHE CAMBIA di Massimo Terzi

Premessa Il ricordo di una città si conserva attraverso la parola scritta, la memoria orale, ma anche attraverso le sue immagini. Spesso sono proprio queste ultime quelle che i posteri guarderanno con maggior interesse e si sentiranno liberi di consultare senza troppo dispendio di energie. Una foto può dire tutto, parlare e raccontare. Consapevole di tutto ciò, Roberto Caccialanza ha intrapreso questa paziente e lodevole iniziativa con numerose piacevoli immagini fotografiche fortemente evocative. Io ho cercato di accompagnare la sua ricerca partendo dalla dimensione geografica, per estendermi a quella storico-topografica, consapevole che la città è il risultato di secolari ed incessanti trasformazioni che hanno lasciato il proprio segno più o meno inciso, che spesso gli architetti (o chi per loro) distruggono, ricalcano o sottopongono a successivi interventi di modificazione. Dentro questo testo supponente ed evocativo mi sono crogiolato con le mie riflessioni alla ricerca di un senso di appartenenza. Mi auguro che questo contributo aiuti a ritrovare un senso di identità che ultimamente in città sembra scomparso. Ho sempre pensato che quando altri, dall’esterno, s’interessano alla tua città, alla sua storia, scatta automaticamente un sentimento d’orgoglio di appartenenza che produce benefici effetti. Questa condizione favorevole rimanda alla necessità che ogni territorio abbia un suo osservatorio, un suo continuo monitoraggio, a cui si dovrebbero dedicare solo gli uomini che al territorio guardano con passione ed interesse per i suoi problemi, per la tutela dei suoi riferimenti identitari, per la sua progressiva riqualificazione. Ciò richiede uno studio continuo, come impegno della cultura locale e delle amministrazioni (che dovrebbero esserne la proiezione politica) a tener desta l’attenzione sui problemi della complessità che caratterizza il vivere d’oggi. Nota dell’autore La base di questo scritto è costituita da due testi, preparati rispettivamente per la stesura degli appunti dei quaderni di urbanistica che accompagnavano l’elaborazione del Piano Regolatore Generale durante il mandato 1995-1999, e la conferenza tenuta il 24 novembre 2005 dal titolo L’Università dei Mercanti: il ruolo di un’istituzione nell’economia di una città che cambia.

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Cremona vista dalla sponda piacentina Dipinto attribuito a F. G. Vertua, 1820-1862 (Sistema Museale della Città di Cremona, Museo Civico ‘Ala Ponzone’)

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Urbanistica medievale di una città padana

Luogo di scambi

La struttura della città si presenta con caratteristiche sostanzialmente simili a quelle riscontrabili alla fine del Cinquecento: testimonianza di una inerzia e di una continuità che ancora oggi Cremona conserva nel disegno della città storica. La pianta del Campi del 1582, che rappresenta il punto di riferimento di tutti gli studi che riguardano la città, è praticamente sovrapponibile al centro storico attuale: risalta l’orientamento della città contenuta in una forma ellittica con l’asse maggiore parallelo al fiume. Sono proprio il rapporto con il fiume e le molte possibilità di approdo che determinano le origini e l’originalità dell’insediamento. La continuità dell’impianto urbano è conseguenza di particolari condizioni economiche che hanno comunque determinato continue e profonde trasformazioni all’interno del tessuto urbano e del patrimonio edilizio e monumentale. Queste si sono stratificate progressivamente rendendo non sempre agevole ricostruire l’evoluzione e la fisionomia interna della città. Come conseguenza, inizialmente abbiamo solo ipotesi e prospettazioni. L’aspetto planimetrico può essere infatti ricostruito con sufficiente sicurezza solo dal Cinquecento, mentre per i secoli precedenti abbiamo solo parte dell’edilizia monumentale religiosa e civile medioevale, così che le nostre valutazioni si concentrano per i secoli precedenti sull’assetto strutturale, e ciò è possibile solo per la tendenziale persistenza della viabilità urbana. Nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento, mentre si concludeva il grande cantiere della piazza maggiore su cui si innestavano i primi edifici rinascimentali, la città conservava ancora una struttura medioevale. Pertanto la soglia storica medievale è fondamentale per la determinazione degli elementi generatori della forma urbana. Dall’epoca comunale in poi, infatti, la città assumerà un aspetto che manterrà molto a lungo, per cui possiamo sicuramente affermare che ci sono state resistenze e persistenze molto forti perché solo la rivoluzione industriale saprà incidere pesantemente su questa struttura.

In periodo longobardo il porto cremonese è citato come uno dei più importanti del bacino del Po e sede di riscossione di pedaggi e di attracco per i natanti di Comacchio, che mantenevano i contatti tra la zona costiera adriatica, più sviluppata economicamente in mani bizantine, ed il cuore della padania longobarda. Attualmente ancora incerta è la localizzazione del porto di Cremona denominato Vulpariolo. Forse identificabile con l’attuale Isola Pescaroli, a circa una decina di chilometri a valle di Cremona, proprio di fronte a Pieve Ottoville,1 oppure coadiuvato da un attracco piu domestico vicino alla città, “probabilmente posto sulla riva destra, divenuto un’isola con la separazione della ripa dal luogo di attracco e la formazione dell’isola Meziana”. Certa è invece la rivendicazione di diritti da parte del vescovo dal porto di Vulpariolo e le sue pertinenze fino alla confluenza dell’Adda. La caratterizzazione commerciale dell’area che si estendeva lungo il fiume è confermata dall’esistenza di un importante mercato annuale (quello di S. Nazzaro) e dalla successiva proliferazione di altri. Cremona, quindi, accanto all’economia agraria, comunque prevalente per tutto il medioevo, poteva già contare da quel momento su un rilevante ruolo commerciale. L’importanza del fiume e del porto dovettero aumentare progressivamente all’interno di un più generale sviluppo dell’area padana che, a partire dal X secolo, vide un progressivo aumento della popolazione, la crescita dei propri insediamenti, un incremento delle terre messe a coltura e delle rese agricole e, naturalmente, un intensificarsi dei rapporti commerciali. A quel tempo Cremona era un luogo di scambio con un territorio molto ampio e divenne una tappa obbligata dell’itinerario commerciale dei mercanti italiani e stranieri lungo il Po. I loro commerci si estendevano in città vicine e lontane tramite navi attrezzate per la navigazione fluviale e marittima. Un marcato sviluppo in tale direzione è testimoniato dall’interesse manifestato a lungo ed in svariate occasioni dal vescovo (massima

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“foresti”, cioè di elementi estranei quali erano considerati gli habitatores di più recente data. A questi era riservato il ruolo di semplici lavoranti, ruolo che a loro andava ormai “stretto” in quanto molti si sentivano pronti, per capacità e mezzi ed iniziativa, a svolgere a pieno titolo una completa attività imprenditoriale. Cives e popolus formarono due fazioni dagli interessi contrapposti che, come sempre con il passare del tempo, divennero due società antagoniste con propri statuti e propri rappresentanti. La città fu così per lungo tempo dilaniata da scontri interni (fino al 1334): i cittadini della città nuova tendevano ad organizzarsi in un Comune autonomo e non riconoscevano l’autorità degli organi del Comune della città vecchia; questa, a sua volta, non voleva concedere l’autonomia alla città nuova, né acconsentire alle sue richieste. È evidente la gravità ed il peso di tale durissimo contrasto che caratterizzò gran parte delle vicende mercantili di questi secoli e che ebbe grande ripercussione sull’economia ed influenza nell’organizzazione e nel disegno della forma urbana. Fu proprio alla fine del XII secolo che il Comune ritenne giunto il momento di intervenire, in considerazione del fatto che il rigido monopolio di corporazioni rigorosamente circoscritte a poche famiglie stava, di fatto, producendo un immobilismo che causava il generale deterioramento economico. Strumento per la soluzione del contrasto fu una “provisio” emanata dall’Ufficio Comunale della Gabella Magna che nel 1299 sancì per chiunque il diritto di “facere et exercere artem et ministerium suum... libere et pacifice et quiete”.

autorità civile dell’epoca) sui diritti giurisdizionali ed economici dell’area fluviale e portuale su entrambe le rive. Così il porto era diventato il centro di transito di tutte le merci destinate alla Lombardia ed oltre. I pedaggi di ancoraggio per le navi, gli introiti dei trasporti, i canoni speciali, le tasse sul commercio, tutto servì a rendere floride le finanze della città, ma anche ad aggravare il dissidio tra il vescovo, a cui spettavano i privilegi fiscali, ed il vivace ceto mercantile che reclamava l’esenzione dei dazi e delle imposte inerenti l’uso del porto, arrivando addirittura a minacciare la realizzazione di un altro. Nello scontro con il vescovo, che aveva responsabilità politiche e militari, il ceto mercantile rivendicava inizialmente dei diritti esclusivi di navigazione e delle facilitazioni fiscali; successivamente, dopo aver ottenuta libertà di navigazione, pretenderà il monopolio. Di fatto al vescovo rimasero inizialmente tutti i privilegi delle esazioni doganali. E poiché questo era l’ultimo ostacolo che contrastava un ulteriore sviluppo dei commerci, i mercanti ben presto compresero che soltanto con l’assunzione del potere in ambito cittadino avrebbero potuto modificare i rapporti di forza contrattuale ed incrementare i loro traffici. Sono note le tumultuose vicende che caratterizzarono la mercatura cremonese:2 per tutti i secoli XII e XIII, quando si delineò, e successivamente si inasprì, la lotta fra gli esponenti dei “veteres cives o miles“ (ossia delle famiglie e dei cittadini di antica origine che abitavano entro il perimetro fortificato romano) e i cosiddetti “habitatores o populus” ossia coloro che solo di recente si erano inurbati ed avevano le loro dimore dislocate fuori le fortificazioni, al di là della Cremonella.3 Gli habitatores, che erano prevalentemente artigiani e mercanti, furono fin dall’inizio in maggioranza; quindi pretesero di sottrarsi al sistema politico feudale, e di assicurarsi le condizioni per la loro attività economica: la libertà personale, l’autonomia giudiziaria, l’autonomia amministrativa, un sistema di tasse proporzionate al reddito e destinate soprattutto ad opere di sicurezza e difesa come fortificazioni ed armamenti. Il concreto e fondamentale motivo di discordia fra i cittadini d’acquisto e quelli originari (che avevano il privilegio di abitare all’interno del perimetro) era di natura prettamente economica: l’esercizio dell’attività mercantile e artigianale, articolato in un sistema di corporazioni di origine tardo imperiale (quindi legato strettamente al concetto di famiglia e di gruppo) era appannaggio dei cives originari che, come sempre avviene in circostanze analoghe, si opponevano all’ingresso nelle loro congregazioni di

1 A. Settia, Storia di Cremona, “Dall’alto Medioevo all’età Comunale”, Cremona 2004 2 C. Almansi Sabbioneta, Guida all’archivio storico Camerale, Cremona 1998

3 U. Gualazzini, Il populus di Cremona e l’autonomia del Cremona, Cremona 1940

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Due poli (800-1027): nascita della Città Nova Malgrado le cruente e radicali distruzioni dei secoli precedenti (prima ad opera di Vespasiano e poi dei Longobardi) e le trasformazioni della tarda romanità, del periodo bizantino e di quello longobardo, abbiamo notizia che l’insediamento (alla fine del X secolo) sia caratterizzato da un perimetro di fortificazioni costruite o adattate per difendere il suo nucleo centrale dalle invasioni degli Ungari. Di fatto “le città -come dice L. Mumford- sono come gli alberi: una volta formate bisogna distruggerle sino alle radici perché cessino di vivere; altrimenti anche se si tagliano i rami principali, intorno alla base si formeranno nuovi germogli…”.4 Si ha ragione di credere che quanto restava del presidio romano sia rimasto successivamente identificabile nel sistema a blocchi del centro e nelle eventuali modifiche imposte dalla cittadella vescovile. Del resto, ancora oggi, pur nelle vaste trasformazioni intervenute, si possono ritrovare tracce delle strade che in quell’epoca attraversavano il nucleo di antica formazione e da questo uscivano. Le fondazioni e le strutture della colonia romana, pertanto, erano probabilmente ancora in piedi, e diventano luoghi su cui innestarsi o rifugiarsi; le fortificazioni furono riabilitate e mantenute in efficienza e difesero una parte limitata del nucleo, collegando fra loro i capisaldi più importanti e, secondo alcune tesi, lasciando fuori dal perimetro anche il luogo dove sarebbe sorto il centro monumentale, con la sede del vescovo. Nella società feudale, la città funzionava in parte come centro di produzione e di scambio. Una parte della popolazione che aveva abbandonato le campagne e si era raccolta nei pressi dell’insediamento era composta da gente che viveva ai margini dell’organizzazione feudale. Pertanto le sistemazioni edilizie e l’assetto urbano ebbero un carattere spontaneo e variabile; questo carattere dipese dalla scarsità di mezzi, da uno stato di precarietà e dall’urgenza delle necessità di difesa e di sopravvivenza.

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Patecchio e Sicardo. Il vecchio impianto urbano, ”la città vetera”, invece era pressoché congruente con l’originario perimetro murato romano, mantenne la sua seppur mutata conformazione, ed era un abitato economicamente, politicamente e militarmente dipendente dal potere del vescovo. Si presentava con un tessuto edilizio omogeneo fondato presumibilmente sui pochi servizi che riusciva ad erogare. La probabile crescita dell’importanza delle vie dirette a nord, verso la Lombardia, che stava sviluppandosi ed i passi alpini, accrebbe invece il ruolo della parte di insediamento collocato a settentrione, quello per appunto della “città nova”, ed ebbe la forza attrattiva di “piegare” il cardo verso corso Garibaldi, determinando l’andamento ed il consolidamento “urbano” della strada Magistra e diminuendo così l’importanza di via Palestro. Il nuovo agglomerato, che si collocava a fianco del nucleo centrale, nacque dalla ripresa dei commerci e delle vie di comunicazione, dall’aumento demografico e, soprattutto, in relazione all’affermarsi delle relazioni attraverso il Po con l’area adriatica e la potenza veneziana. La posizione era ideale: più vicino alle strade che si dirigevano verso settentrione e occidente; giaceva su terreno più asciutto e relativamente prossimo al fiume e probabilmente ad approdi più facili; poteva accedere ai magazzini evitando il controllo dei poteri della città vecchia. Una struttura edilizia maggiormente diradata permetteva la realizzazione di depositi più capaci e facilmente difendibili. La struttura insediativa era, per le ragioni sopra esposte, più disordinata e dettata dal caso (rispetto a quella della città vecchia) ma preferibilmente attestata lungo i percorsi di accesso al fiume e verso quelli extraurbani. Ci sembrano in questo caso (oltre a quella di via Palestro ed a quella, sopra richiamata, di corso Matteotti) molto significative le biforcazioni tra corso Garibaldi e via dei Mille e quella immediatamente successiva, di fronte a S. Ilario, tra la medesima via dei Mille e via Garibotti, che propongono la direzione che scende verso il fiume (che scorreva accanto a S. Monica, praticamente lungo l’attuale sede di via Massarotti) ed il percorso lungo il costone che porta verso Pizzighettone o tramite Sesto in direzione Milano. Soprattutto questa localizzazione sembra meglio interpretare lo spirito di chi non vuole freni alla propria iniziativa di commerciare in libertà e percepisce il passato come un intralcio ed un freno. Il contrasto culturale ed economico tra le due parti assunse anche una forte connotazione urbanistica caratterizzata dalla formazione di una evidente

Il presidio fortificato esistente, a cui si addice più propriamente il nome di borgo, era troppo piccolo per accoglierli; si formarono pertanto, davanti alle Porte, altri insediamenti che vennero definiti sobborghi e che diventarono, con il tempo, più grandi del nucleo originale. I nuovi insediamenti si adattarono con disinvoltura all’ambiente costruito antico, ma non rispettarono nessuna regola precostituita; seguirono con indifferenza le forme irregolari del terreno e le forme del reticolo romano; alla fine, cancellarono ogni differenza e geometria, cioè deformarono con piccole e grandi irregolarità i percorsi delle strade e le forme del paesaggio urbano originale. In sostanza, a partire dal VIII secolo, assistiamo alla conformazione di tre ambiti mal agglomerati differenziati per condizione sociale, condizione economica e struttura urbana. In un certo senso l’insediamento alto medioevale è policentrico, formato da un insieme di borghi e sobborghi autosufficienti che si suddividono poi in rioni e parrocchie, ognuna con la propria (o le proprie chiese), spesso con il mercato e le fonti di approvvigionamento d’acqua. Ulteriore fortificazione, arroccata all’interno ed ai margini del perimetro romano, la cittadella o munitiuncola a difesa del potere vescovile, è di fatto un borgo più piccolo presidiato dal vescovo. Sull’esatta configurazione dell’area e sull’esatto perimetro della cittadella vescovile gli studiosi dell’argomento presentano opinioni differenti, ma concordi nella localizzazione che corrisponde per lo più con quella del centro monumentale con annessi e connessi, comprensivi dell’attuale piazza del Comune. C’è comunque da segnalare la posizione strategica del luogo collocato in posizione dominante, sia rispetto al nucleo compreso entro le mura, sia rispetto ai sobborghi esterni, con possibilità quindi di controllare le comunicazioni ad oriente ed occidente e quindi le strade di accesso più importanti. La Postumia e la Brixia, per l’appunto, congiungendosi in prossimità delle mura all’inizio di corso Matteotti, là dove oggi siamo soliti intenderci con la denominazione di “due colonne”, formavano una interessante diramazione. La munitiuncola era di fatto caratterizzata da edifici pubblici e religiosi di rappresentanza e si ritiene che fosse pressoché priva di tessuto edilizio. Come un feudatario, il vescovo forniva protezione militare agli abitanti della città vecchia in cambio di tasse e dazi su commerci e prodotti. Le successive trasformazioni comunali hanno in parte cancellato tale struttura, ancora ben visibile nella zona compresa tra via Platina, piazza Duomo e le vie

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bipolarità: due centri politico-religiosi distinti circondati dalla propria zona d’influenza. Solo con il tempo le naturali diffidenze che caratterizzeranno la classe mercantile e artigianale si attenueranno, consentendo il formarsi di un’identità comune assestata su un edificio di rilevanza collettiva come palazzo Cittanova.5 Questa è una soluzione pressoché unica nel panorama nazionale che ha portato a conclusioni urbanistiche particolari, come la forzata creazione di uno spazio assimilabile ad una piazza nel quartiere di S. Agata, proprio di fronte all’omonima chiesa, mediante l’espediente di un’area quadrangolare per supplire all’evidente mancanza di spazio. Anche se il fulcro della città rimase sempre la piazza centrale, ad essa si affiancheranno altri punti di attrazione e richiamo. Il principale fu, senz’altro, il complesso della Cittanova, strutturato in modo tale da poter competere con la piazza maggiore anche dal punto di vista della rappresentanza.

4 L. Mumford, La città nella storia,Vicenza1963 5 W. Montorsi, Dalla città quadrata a Cittanova, Modena 1981

14 ottobre 2004 Piazza S. Agata da abitazione privata (a sinistra palazzo Cittanova, a destra la chiesa)

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I monasteri

17 novembre 2008 La torre campanaria di S. Michele da via S. Maria in Betlem - piazza IV Novembre

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Se trascurassimo l’importanza del monachesimo, ci mancherebbe una delle chiavi di lettura della forma urbana e della probabile influenza che esercitarono. Citando ancora Mumford e La città nella storia: “il monastero era di fatto un nuovo tipo di cittadella: un presidio di nuova cultura religiosa che accettava la povertà come norma di vita e riduceva al minimo l’intero apparato fisico per la sopravvivenza corporale nobilitando il lavoro come obbligo morale...”. Qualunque fosse la confusione del mondo esterno, il monastero era un’isola di serenità e di ordine. Nessuno dubitava che vi si incarnassero tutti i valori essenziali della vita cristiana, anche se non tutti gli uomini erano in grado di vivere ad un tale livello di concentrazione e di dedizione, ”… neppure gli stessi monaci”, come è segnalato in diversi episodi cremonesi. È comunque da ritenersi consolante il constatare che questa lontana ed ininterrotta tradizione di solidarietà umana e di ospitalità trova forse particolari giustificazioni e particolare accoglienza in questa porzione di territorio. Credo che questo fenomeno non sia stato ancora sufficientemente indagato ed evidenziato dai cultori di storia cittadina e comunque non mi


Lorenzo, S. Pietro a Po, S. Salvatore, S. Tommaso e S. Vittore), due clunicensi (S. Gabriele e Ognissanti) e sette conventi di Umiliati. I provvedimenti di soppressione degli ordini religiosi di Giuseppe II del 1782/84 e quelli successivi, napoleonici, portarono alla progressiva riconversione dei monasteri all’uso militare. Ancora durante il Settecento viene documentata una diffusa presenza di complessi conventuali che, pur essendo stati strumento fondamentale nella formazione della città medioevale (costituendone i molti poli di aggregazione), saranno in epoca moderna elementi di condizionamento del funzionamento e della fruizione di alcune parti della città. E’ proprio questa strutturazione ed “organizzazione per parti” che mi induce a ritenere Cremona una città da vivere e scoprire lentamente. Ho più volte segnalato pubblicamente, alludendo proprio a questo, che la ricerca della sua vera identità è sottile e nascosta; il termine ”sottile” sta a significare che le sue qualità non sono prorompenti, solo un paziente lavoro di ricerca può consentirne l’apprezzamento, mentre l’altro segnala che gli immobili di cui ci stiamo occupando non sono inseriti nei percorsi quotidiani e di visita dei cittadini, quindi ai più sono sconosciuti. Solo agli inizi degli anni Settanta, nel tentativo di riconquistare lo sviluppo urbano, l’Amministrazione ha acquisito in pieno centro cittadino l’Ospedale di S. Maria della Pietà con i relativi chiostri, la chiesa di S. Facio, le chiese di S. Francesco, di S. Giuseppe e S. Teresa con annesso convento, nonché i giardini dell’Ospedale Maggiore e dell’Ospedale dei bambini. E, recentemente, con la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio è stata avviata, con un piano di riqualificazione per lo sviluppo sostenibile denominato “Parco dei Monasteri” ed il conseguente piano di recupero, l’acquisizione all’uso pubblico di tutta l’area comprendente il convento di S. Monica, quello di S. Benedetto ed il Corpus Domini.

sembra liquidabile come fenomeno diffuso e comune in molte altre città. Tutta l’area esterna al perimetro dell’originale insediamento romano, e talvolta anche al suo interno, era caratterizzata dalla presenza di conventi che contribuirono a creare diversi poli di attrazione, anche se non tutti della stessa importanza. Al tempo, probabilmente, già molte abitazioni erano sorte intorno ai complessi conventuali. I più importanti, fondati in epoche diverse, furono S. Pietro, S. Tommaso, S. Benedetto, S. Salvatore del mondo (S. Monica), S. Abbondio e S. Lorenzo. Quest’ultimo, fondato dai Benedettini fuori le mura tra il Duomo e la chiesa di S. Michele, risale a pochi anni prima del Mille e costituisce uno dei più importanti di Cremona: posizionato su una altura prospiciente una zona abbandonata dall’antico corso del Po (quindi presumibilmente ancora paludosa), esercitò sicuramente un’opera di bonifica su quest’area e le circostanti Mose della zona meridionale. Come accennato poco fa, posto in fregio alla Postumia successivamente alla costruzione delle mura e della porta di S. Michele, trasse indubbi vantaggi da questa sua localizzazione, che contribuì a produrre lo sviluppo dell’insediamento verso oriente. Altri sono stati fondati ad occidente da comunità benedettine in una zona allora extra murale, in adiacenza del Po: S. Pietro, S. Paolo, S. Salvatore (successivamente S. Monica) e S. Benedetto sorgono invece in prossimità della nascente Città Nova. I monasteri di S. Chiara e del Corpus Domini vennero fondati in epoca successiva: il primo, esistente extra moenia fin dal XIII secolo, viene ricostruito all’interno della cinta alla fine del Trecento; il secondo, fondato nel 1455 da Bianca Maria Visconti per favorire la rinascita della vita religiosa cittadina, sorse ad esso contiguo, aperto verso la città. La localizzazione dei conventi e la rete delle vicinie (assemblea dei vicini) confonde ancor di più la trama urbana. Le aree conventuali tendono ad accorpare delle insulae prima distinte, che consentono una certa permanenza dei tracciati antichi, ma al tempo stesso all’interno dell’area le trasformazioni sono assai pesanti. Ancora sulla pianta del Campi è facilmente riscontrabile come la città nuova sia formata da grossi isolati indipendenti e suddivisi, a loro volta, in isolati assai variabili, non pianificati, che sembrano nascere da una progressiva occupazione interstiziale, con conseguente addensamento dell’edificato circostante. Intorno al 1300, nell’ambito delle sole fondazioni maschili, esistevano in città otto monasteri benedettini (SS. Cosma e Damiano, S. Croce, S.

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Città murata (1169-1187) In realtà nessuno degli agglomerati individuati nelle pagine precedenti, costituisce ancora una città tradizionalmente intesa. Il perimetro, che si sarebbe ampliato nei secoli successivi, non era ancora molto vasto ma, come abbiamo detto, si stavano già delineando le linee del futuro sviluppo: verso oriente, a cavallo della direzione segnata dalle antiche via Brixia e via Postumia, e verso occidente con l’inizio della via Laudensis e la via Urbia, (cioè via Palestro) come prosecuzione extramurale del cardo maximus oltre Porta Pertusia (l’origine etimologica deriva da pertugium perché forse volutamente ristretta per essere più facilmente difendibile). I sobborghi, cresciuti fuori dalla precedente cerchia fortificata e vicino alle Porte (borgo S. Lorenzo, borgo S. Stefano, borgo S. Pietro), erano suddivisi secondo quattro grandi quadranti. Nonostante la scarsità di fonti per quanto riguarda questo periodo, gli studiosi hanno cercato di ricostruirne il perimetro interno, che verrà inglobato dalle costruende mura giungendo a conclusioni non sempre concordi. Secondo l’interpretazione di A. Cavalcabò,6 che ci sembra più attendibile, questo era molto ristretto e percorreva il tratto corrispondente all’attuale via Platina, da via A. Melone a via Ceresole, dove si apriva la Porta dei Canonici (detta poi S. Lorenzo), proseguiva per via Mercatello e via Aselli, piegava per via Pecorari e, continuando in linea retta giungeva a corso Campi, dove si apriva la Porta Pertusio; seguendo la direttrice costituita da via Cadolini raggiungeva poi il corso Vittorio Emanuele fra piazza Stradivari e via Ponchielli, dove sorgeva la Porta Marzia (detta poi Ariberti); infine, attraverso una strada non più esistente, via dei Basolari, tornava all’incrocio fra le vie Platina e Melone, dove si apriva la quarta Porta, detta Natali. Ciascun ingresso aveva come ulteriore ripartizione un comparto che comprendeva una o più strade e faceva per lo più capo, come è riportato nello studio del Cavalcabò, ad un campanile ed alla sua chiesa o casa parrocchiale, cui facevano riferimento un certo numero di vicinie, da cui

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posizionate tra una o due torri scarsamente aggettanti rispetto al filo esterno del perimetro. Le torri qui avevano compiti solo di vedetta o difesa ed erano parte costituente del circuito delle mura. La concentrazione è la legge fondamentale che guida gli insediamenti: il centro della città è il luogo più ricercato; qui vi abitano le classi più agiate, mentre le più povere in zone marginali. Al centro sono in procinto di sorgere strutture molto alte: il Torrazzo, la Cattedrale, il Battistero, le torri del palazzo comunale, quelle delle famiglie più potenti, segnano il punto culminante del profilo della città e unificano il suo scenario anche nella terza dimensione. Visibile dal fiume e da molto lontano, il Torrazzo diventerà un punto di riferimento, il simbolo verticale di una collettività. Nelle strade interne, nella piazza del mercato, sugli spalti delle mura e rispetto a tutte le altre torri è il punto focale che stabilisce: “questo è il centro, … siamo qui”. Gli intensi flussi di immigrazione dal contado, verificatisi a partire dall’XI secolo, fecero aumentare rapidamente il nucleo urbano, tanto che all’allargamento della superficie interna edificata fece seguito lo sviluppo in altezza dell’agglomerato stesso. Alcune antiche rappresentazioni della città fanno vedere un gran numero di torri. La città è dunque tendente alla verticalità, il che obbedisce a molti motivi; non escluso, ritengo, lo sfruttamento del terreno, tanto più redditizio quanto più ridotta è la base e alta è la costruzione. La verticalità dell’edificio aumenta il valore dei terreni e quindi contiene un messaggio “pubblicitario” rappresentativo della rendita urbana.9 Questo fenomeno ha quindi aspetti sociali (le torri vengono innalzate dalle famiglie più ricche, che vogliono mettersi in evidenza e “far sapere che ci sono”), aspetti economici (le torri sono anche granai, veri e propri silos), aspetti militari (le torri sono case fortificate). Tutti tali aspetti nel loro insieme costituiscono il valore reale del suolo urbano, che viene espresso in città immaginarie che sembrano costituite da grattacieli come in una di Ambrogio Lorenzetti che ricordo di aver visto nella Pinacoteca di Siena. Da una nota di Cremona, momenti di storia cittadina di Carla Bertinelli Spotti e Maria Teresa Mantovani rilevo che, dalla sintesi fatta di un manoscritto del Bordigallo relativo alla città agli inizi del XVI secolo, si legge un elenco dettagliato di ben 54 torri difensive che proteggevano la città. A queste sappiamo che andavano aggiunte quelle che si trovavano all’interno del tessuto urbano con funzione civile o privata, utilizzate come abitazioni (casa-torre) o come luoghi di difesa o di richiamo e raccolta o come semplici

prendevano il nome e la giurisdizione. L’elenco più antico di vicinie è quello contenuto nel la Matricola Popolare del 1283, che costituisce un contributo notevole alla storia demografica, economica e sociale della città. Abbiamo così: a nord-est la Porta S. Lorenzo (con 13 vicinie), a meridione la Porta Natali, a occidente la Porta Ariberti (con 16 vicinie), a settentrione la Porta Pertusio (con 20 vicinie) e a oriente Porta S. Lorenzo. L’appartenenza ad una vicinia imponeva agli abitanti oneri e diritti di natura politica e giuridica, fiscaletributario e religiosa. Il borgo più popoloso ed attivo era, come sappiamo, intorno alla chiesa di S. Agata. Nasce probabilmente dalla comune necessità di sicurezza, l’idea di racchiudere i vari poli esterni in una cinta muraria unitaria, che definisce i confini di due popolazioni ancora separate socialmente, ma con comuni interessi. Di fatto la sua costruzione segna la nascita della città. Vivere isolati nella campagna cessava di costituire una prospettiva più attraente dell’abitare in una popolosa città. Una volta erette le mura, la sicurezza era rappresentata dall’unità, dal numero di abitanti, dal vivere gli uni accanto agli altri… Questa felice congiuntura d’intenti si realizzò nella seconda metà del XII secolo e diede origine alla costruzione della cinta muraria che fu edificata fra il 1169 ed il 1187. Una tale decisione annuncia il nascere di un nuovo modo di fruire e vivere la città. Il percorso sugli spalti, sopraelevato rispetto ai terreni circostanti, consentiva prospettive sulla campagna, verso il fiume e verso i tetti della città. Chi ha potuto percorrere i camminamenti delle mura della vicina Pizzighettone o di qualsiasi altra città murata non può non condividere l’emozione di questa esperienza. Ancora oggi possiamo ammirare, seppur sia una fortificazione tipologicamente diversa ed una rappresentazione di molto posticipata rispetto al periodo che stiamo valutando, il fascino che derivava dalla vista all’orizzonte della città murata.7 Pur essendo prioritaria la funzione difensiva, le mura andranno ad assumere il ruolo di simbolo stesso della città, in quanto costituiranno la linea di separazione netta tra città e campagna, che definiva due entità culturalmente ed amministrativamente distinte.8 La posizione delle Porte S. Croce, S. Luca, S. Guglielmo (Tintoria), Ognissanti, S. Michele, S. Maria in Betlem, Mosa e S. Pietro al Po, era probabilmente influenzata, oltre che dai percorsi e dalle direzioni principali verso i centri più importanti del territorio, dalle capacità gravitazionali dei poli cittadini (le Porte nel medioevo non erano a conclusione delle vie importanti, concetto ottocentesco, ma in posizione facilmente difendibile militarmente). Erano munite di ponte levatoio e

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simboli del prestigio delle casate nobiliari. Sempre nella stessa nota è riportata un’ulteriore considerazione per cui se a quelle fossero state aggiunte quelle delle 74 chiese che allora erano aperte…, Cremona si sarebbe giustamente meritata l’appellativo di ”turrita”. Quasi tutte sono state mozzate o distrutte tranne, naturalmente, quelle comunali, la torre del Capitano (inglobata in edifici recenti) ed i residui delle altre in via Gerolamo da Cremona, in via Cadolini e in corso Garibaldi. Diversa, ma probabilmente -in molti casisovrapponibile, è la motivazione spaziale della torre con funzioni campanarie. Non risiede solo negli scopi religiosi, ma per la sua possibilità di adunare, trova piena giustificazione anche nella funzione laica svolta spesso allora dalla chiesa. Un primo riferimento diretto e significativo al Torrazzo, che ne rappresenta una simbolica e felice coniugazione, risale al 31 marzo 1267; si tratta di una bolla, approvata da Clemente IV, relativa al costituirsi del Consorzio di fede e pace che si proponeva di perseguitare gli eretici e di mantenere lo stato nella devozione della Chiesa. Una direttiva di questo statuto recita: “Suonando la campana grossa del Torrazzo tre volte a corda, dovranno venire tutti disarmati in piazza; armati ogni qualvolta suonasse a martello”. Quindi è ipotizzabile che già prima di quella data il Torrazzo, ma anche le altre torri campanarie, fossero un riferimento importante sia per il clero che per la società civile. È perciò ipotizzabile che, con la loro forma a torre, nello sfruttare la componente verticale per propagare il suono a distanza, potessero svolgere una funzione di richiamo all’interno del quartiere, oltre ad assumere un ruolo significativo di osservazione non che di distinzione, in quanto costituivano con la loro visibilità, una sorta di icona, una presenza attiva come riferimento per la comunità. E’ quindi comprensibile che nella rappresentazione dell’immagine della città, accanto a tante torri, se ne mescolino e si confondano altre con funzioni di servizio, più legate alla chiesa come ancora ben rappresentato fantasticamente e successivamente in una acquaforte di M. Enghelbrecht (1684-1756) o nella puntasecca di G. Albuzzi (1740-1760). Del resto deve essere rimasta a lungo impressa questa idea di città se ancora nel XVI secolo veniva rappresentata da Carlo Mainardi detto fra Massimo con il tracciato delle mura viste da Porta S. Luca.10 Nel dipinto, tra l’altro, si riconoscono numerose chiese e campanili di Cremona: S. Luca, S. Vincenzo, S. Agata, S. Domenico, S. Agostino, S. Pietro ed al centro il duomo con il Torrazzo, il Battistero e le due torri del palazzo Comunale. Ma in proposito segnalerei il grande sforzo creativo di

rappresentazione che l’amico A. Bergonzi, attraverso l’interpretazione della pianta del Campi ed il compendio di varie letture, sta compiendo nel rappresentare, in scala adeguata, su un modello di legno, una ipotetica Cremona medioevale delle settantadue chiese, delle torri, dei chiostri: la città vescovile e popolare. Le mura percorrevano l’odierno viale Trento e Trieste in tutta la sua lunghezza e, raggiunta via Tofane, piegavano verso meridione lungo via Cadore fino a piazza Cadorna; dopo aver percorso via Massarotti, si ricongiungevano nel punto in cui più tardi sarà costruito il castello di S. Croce. Il circuito resta individuabile, ora, solo attraverso il percorso interrato della Fossa civica. Nella topografia urbana attuale, infatti, le mura sono materialmente rintracciabili soltanto nella zona del Castello e di Porta Mosa, anche se alcuni resti sono visibili in via Massarotti, via Cadore, via Tofane, porta Mosa ed nel baluardo Caracena. La costruzione di questa grande cerchia esterna, sovradimensionata rispetto all’insediamento esistente ed alle sue esigenze difensive, è il frutto di un disegno politico che prefigurava un aumento demografico che peraltro era stato notevole negli anni precedenti. Inoltre prevedeva, soprattutto nel quadrante sud-orientale della città (corrispondente ai Prati del Vescovo), vaste aree libere che potevano essere coltivate o usate come pascolo in caso di assedio. Anche se può essere considerato un appunto anche marginale rispetto al quadro generale che stiamo trattando, ritengo utile segnalare che molti orti e spazi verdi che le mura avevano trattenuto nelle aree marginali, hanno avuto una importanza straordinaria perchè hanno permesso la sopravvivenza di famiglie povere grazie alla coltivazione di veri e propri fazzoletti di terra. Gli spazi lungo il perimetro interno vennero progressivamente occupati da nuove abitazioni. L’edilizia in legno era ancora prevalente, come dimostrano gli sporadici elementi documentari, ma venne gradualmente affiancata da quella mista che prevedeva l’utilizzo combinato di pietra, mattone e legno, oltre che la messa in opera di materiali di riuso. La tipologia edilizia più diffusa in epoca comunale era rappresentata da edifici che si affacciavano sulla via e si estendevano in profondità in un’area vuota adibita a diversi usi (cortile, orto); le abitazioni erano in genere addossate l’una all’atra a formare delle cortine con un fronte unico sulla strada, ma articolato sia in altezza che in profondità; gli spazi abitabili a disposizione riflettevano la classe sociale di appartenenza. La città per lo più si adattava al luogo in cui sorgeva e presentava dislivelli sia nelle strade che nelle piazze che saranno eliminati solo più

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I prodotti che provenivano da città e paesi lontani erano importati dai mercanti i quali, riuniti nella più attiva ed influente corporazione cittadina, per esercitare il commercio dovevano essere iscritti alla matricola cioè elencati nel registro della loro associazione. Sulla qualità del prodotto finito i mercanti esercitavano un controllo serio e molto severo per non compromettere il marchio cremonese con prodotti di cattiva qualità. Solo i lavori eseguiti a regola d’arte venivano contrassegnati con il bollo del mercante e con il bollo dell’aquila, proprio dell’università dei mercanti.12 Si commerciavano tante qualità di vino, carni secche, carni bovine e suine, pesce fresco, pesce salato e secco, polli, uova, selvaggina, formaggi, frumento, farina, biada, legumi, pelli, pellicce, ferramenta, vasellame, panni nostrani e tessuti di lusso. Una delle più importanti merci controllate dall’ufficio della ”magna gabella” era il sale, che costituiva una delle maggiori entrate comunali. Arrivava da Venezia via fiume e da qui era smistato anche alle città vicine alle quali erano imposti dazi speciali per l’utilizzo del porto cremonese e per il transito sulle strade della città e del contado. I magazzini del sale più importanti erano due: quello della città vecchia situato nella zona della Pescheria, così chiamata perché vi si teneva il mercato del pesce (oggi S. Antonio Maria Zaccaria), quello della città nuova nella zona di S. Agata. Il nucleo civico, quello cioè in cui si svolgeva la vita sociale e politica della comunità, era costituito da un complesso di edifici che spiccavano sugli altri per la loro imponenza e per la funzione che dovevano assolvere. La platea maior, la platea parva e i dintorni di quell’enorme cantiere che ruotava intorno all’erigenda Cattedrale erano fiancheggiati da portici che formavano la parte anteriore della bottega, e riparavano i banchi degli artigiani e dei mercanti che lavoravano sovente all’aperto. I luoghi deputati al mercato, nel tempo, cambiarono sede per localizzazione e tipologia di merci. Il mercato principale si svolgeva nelle aree centrali della città, adiacenti alla canonica e intorno al nucleo monumentale, forse per non intralciare i lavori in corso. Si ha notizia che i venditori ambulanti potevano sostare vicino alla porta settentrionale della Cattedrale o nello spazio tra la cattedrale ed il Torrazzo non ancora uniti dalla Bertazzola. Verso la fine del ’300 i banchi dei rivenditori si spostarono sotto i portici in legno che, partendo dal Torrazzo, proseguivano lungo la facciata principale della Cattedrale e giravano fin sulla facciata del Battistero: i “fruttaroli” fra il Torrazzo e la Cattedrale, i ”formaggiari” verso il Battistero ed i ”limonari” all’inizio di via Sicardo. Divennero poi botteghe, in

tardi, in parte nel Cinquecento e poi soprattutto nell’Ottocento, sotto il regime austro-ungarico, con l’incanalamento delle acque e la politica dei rettifili. Le strade sono strette, sinuose; vicoli e viuzze si snodano con curve a gomito, presentando angoli caratteristici e sboccando in improvvisi ed imprevisti slarghi o davanti a sagrati di chiese, ingressi di palazzi o prati erbosi. La tortuosità dei percorsi e l’ampiezza limitata servono anche a proteggere gli abitanti dalle forti escursioni termiche tra estate ed inverno prodotte dal nostro clima. Piazzette come quelle di S. Abbondio, Padella e Antonella dovevano essere la consuetudine. Come felicemente descrive W. Benjamin a proposito di San Gimignano, “anche le piazze sono cortili ed in tutte ci si sente al riparo”.11 L’uomo medioevale non conosceva il sentimento di patria intesa come “nazione”. Allora il senso di appartenenza si limitava al senso di identità con l’immagine della città, con il legame religioso, con l’altezza del proprio campanile. La propria città riempiva di orgoglio i cittadini che prima di tutto si riconoscevano nell’immagine che veniva percepita della loro città. Questa era costituita dalle mura costellate di torri simbolo di protezione e di sicurezza, poi dalla Cattedrale e dalla piazza, dal mercato dove si trattavano gli affari, si ascoltavano i predicatori, dove convergevano le processioni solenni o si svolgevano i giochi. La Cattedrale doveva esprimere un concetto di potenza tale per cui doveva essere colossale. A sponsorizzare questa impresa furono soprattutto le corporazioni, le quali profusero fiumi di denaro pur di essere rappresentate. Oggi la vediamo come un luogo di raccoglimento; la gente, allora, invece la viveva in tutt’altro modo. Quando vi si svolgeva la messa, i mercanti ci andavano per trattare gli affari, le donne per pettegolare e tutti si portavano dietro bambini e animali che, del resto, erano abituati a vivere di notte all’interno delle case e di giorno a razzolare per la città. Accanto si impiccava o si tenevano rappresentazioni sacre, oppure si svolgevano giochi e tornei. Gli addetti alle attività commerciali importavano materie prime e rare da lavorare ed esportavano sui mercati i prodotti dell’artigianato locale. Attorno ai commerci, perno dell’economia locale, operavano artigiani, spedizionieri, trasportatori in larga misura di tessuti in lino ed in cotone, oltre e soprattutto il fustagno che serviva per gli abiti invernali. Gli artigiani tessili producevano fasi della lavorazione ed erano riuniti in associazioni che sottostavano, per le norme di lavorazione, ai disposti della corporazione del fustagno (gli addetti alle varie fasi di lavorazione: cernita, cardatura, pettinatura, filatura, tessitura, cimatura fino alla tintura).

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luogo compatto e munito. Oppure il dipinto che si ammira in Cattedrale che rappresenta una veduta fantastica, da parte di autore del XVII secolo, in cui sono rappresentate le mura della città bagnate dalle acque del fiume. Questo per segnalare come la rappresentazione unita e compatta di questa città rimase e rimarrà a lungo tempo impressa nell’immaginario collettivo. L’epoca comunale fu un periodo di grandi opere pubbliche, che sono la testimonianza del progressivo affermarsi e svilupparsi del libero Comune ma anche di una prosperità economica collegata anche alla posizione geografica della città, al commercio ed all’agricoltura, resa al tempo più fiorente dalla costruzione di canali e di opere irrigue. La città doveva essere in quel periodo un enorme e concentrato cantiere edilizio di opere che venivano realizzate in spazi contigui pressoché sovrapposti. Oltre all’erezione della cerchia delle mura (tra il 1169-1187), della Cattedrale (1107 inizio lavori, durata circa 200 anni), del Battistero (1167), del nuovo Palazzo del Comune fronteggiante la Cattedrale (a simboleggiare l’autonomia raggiunta nei confronti del potere vescovile, 1206), del Palazzo Cittanova (1256), del Torrazzo, della Loggia dei Militi (1292), di palazzi e nuove chiese, si ha notizia di miglioramenti apportati al porto, alle strade ed alle case nell’intento di abbellire e migliorare la città. Per questo si comprende come la costruzione delle mura sia stato uno sforzo ed un atto di grande rilievo politico, giuridico ed economico. L’operazione, infatti, richiedeva oltre a grandi disponibilità di capitali, l’intesa e la sinergia di tutte le istituzioni diventando, quindi, un momento di verifica e di definitiva affermazione della ricercata coesione comunale.

legno o muratura, che raggiunsero il pieno sviluppo nel XV secolo, come appare nella riproduzione della piazza maggiore di Cremona eseguita dal Plàtina in uno stallo del coro della Cattedrale (1491). Nell’attuale piazza Stradivari, nei pressi delle case dei Dovara, c’era il mercato coperto. Davanti alla chiesa di S. Gallo, all’incrocio di via Ceresole, si teneva il mercato del filo. I mercati, che si svolgevano nel centro cittadino divenuto polo sociale ed economico di primaria importanza oltre che politico e religioso, erano aperti a tutti, a differenza di quelli delle singole vicinie, che erano solitamente riservati agli abitanti delle medesime. Nei pressi della zona a settentrione del viridarium del convento dei Francescani (vecchio ospedale), tra viale Trento e Trieste e via Aselli, c’era il forum boarium (il mercato dei buoi). A porta Mosa c’era il mercato dei porci per cui è plausibile che l’area fosse già stata bonificata. Le mura, come abbiamo anticipato, sono sempre state considerate il simbolo principale della iconografia cittadina. Ancora nel Seicento, quando le vedute di Cremona si fecero più frequenti, la città fu presentata secondo questo schema: le mura, visibili da lontano, le torri gentilizie che svettavano dietro di esse, poi la cattedrale ed il battistero, il palazzo comunale; tutti elementi che erano sostanzialmente il simbolo stesso del potere. La stessa iconografia urbana ne risultò fortemente influenzata, tant’è che così anche Cremona venne rappresentata in una pergamena del 1440 di Giovanni Pisato che raffigura la pianura padana fino al mare, attualmente custodita presso la Biblioteca di Treviso. In essa Cremona, in una rappresentazione ancora di tipo medioevale, è racchiusa da una cerchia di mura merlate e turrite che si prolungano verso il Po, che non permettono di vedere altri edifici all’interno se non la torre del Comune ed uno svettante Torrazzo. Ancora nel Cinquecento la città venne rappresentata con elementi difficilmente riconoscibili rispetto ad altri centri. La veduta di Cremona, come di altre città, è frequentemente simbolica, tanto che molto spesso la stessa immagine viene utilizzata per città diverse. Ne è esempio l’incisione di Cremona città degnissima che illustra il Supplementum supplementi delle croniche del venerando Padre Frate Jacopo Philippo. L’immagine rappresentava Fiesole ma fu poi utilizzata per Cremona. Mancano, infatti, i monumenti distintivi della città. Più efficace, anche se datata 1653, è l’incisione situata sul frontespizio del volume La via lattea delle glorie della famiglia Punzona di F. Bressiani che, con precisione, rappresenta il Torrazzo, le torri medioevali, l’aggregazione fitta delle case che dà il senso del

6 A. Cavalcabò, Le vicende dei nomi delle contrade di Cremona, Cremona 1933 7 G. P. Bagetti, Vue de la ville de Cremone, 1796 8 M. Morandi, Cremona e le sue mura, Cremona 1991

9 Da un seminario Temi e problemi di storia urbana e di storia cittadina, Jacques Le Goff, 1986 10 Cremona e la sua tutela celeste, Museo Civico ‘Ala Ponzone’, Cremona

11W. Benjamin, Immagini di città, 1955 12 C. Almansi Sabbioneta, Marchi ed insegne degli antichi mercanti cremonesi (1395-1626), Cremona 2003

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Dal Torrazzo Per chi si è formato su letture storiche e conoscenze archeologiche e possiede anche sole modeste nozioni di topografia cittadina, “la promenade” con sosta sul punto più alto del Torrazzo suscita sempre una singolare capacità evocativa della storia più antica ed una stimolante ricerca di ipotesi sulla evoluzione della struttura urbana. Assolve adeguatamente e piacevolmente a quell’insopprimibile esigenza dell’uomo di pianura di poter osservare l’orizzonte: nelle giornate limpide, ad occhio nudo, lo sguardo può vagare oltre Casalbuttano e Sospiro e Isola Pescaroli oppure oltre il fiume fino a Polesine, alla confluenza dell’Adda o a Caorso. Ad oriente e a meridione campi coltivati fino alla riva. Il Po s’intravvede, a tratti, tra la vegetazione a nord-ovest o a sud-est. Lontano dal fiume, talvolta, la geometria dei campi ricalca ancora la centuriazione romana. Ai bordi filari di pioppi sottolineano l’ordine della tessitura parcellare dei campi. Rare piantate di salici orlano i fossi e le cavedagne. Cremona veduta dall’alto mostra ancora la sua struttura. L’ossatura è la stessa che abbiamo cercato di spiegare. L’asse portante intorno al quale si articolano le varie parti urbane è l’antica strada maestra, da cui si diramano le strade più importanti; via Palestro verso Bergamo, via Gerolamo da Cremona verso Brescia e corso Vittorio Emanuele verso il Po. Il grande semicerchio di largo Boccaccino e via Platina è ancora perfettamente leggibile, al di sotto quanto è rimasto del “centro storico“. Nel cuore della città, nella sua splendida piazza (mai sufficientemente apprezzata e rispettata nella sua raffinatezza), la Cattedrale ed il palazzo Comunale raccontano una vicenda iniziata in età comunale, e si ritrova la dimensione più piena della civiltà urbana. Essa sembra essere rimasta quella di sempre che si è perpetuata attraverso l’identica secolare frequentazione di questa piazza. Sui tetti si scorgono, spiccano e risaltano emergenze di ogni varia natura. A nord-est, in direzione S. Michele, spunta il Minareto, forse ultimo esempio di decoro urbano in verticale.

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in altezza con quella di palazzo Zaccaria in Piazza Lodi. Altri, maliziosamente, sostennero che la torre servisse per sbirciare le educande del vicino collegio. Di fatto, avendo avuto personalmente la possibilità di salire in punta di piedi fin sul ridottissimo luogo di sosta esistente sulla cima, posso assicurare che dalla torre e dalla sottostante terrazza si gode un panorama unico ed emozionante del complesso del Duomo e della città, forse secondo solo alla veduta che si ha dal Torrazzo. Il Voghera era solito conferire agli edifici industriali la rispettabilità di una architettura civile. Questi caratteri stilistici, furono indirizzati e supportati dal consenso della deputazione d’ornato e della Congregazione municipale, come si deduce dalla maggior parte

Accostandosi alla tradizione medioevale quando, come abbiamo visto, il panorama cittadino appariva sormontato da innumerevoli torri e torrette, la famiglia Bertarelli commissionò all’architetto L. Voghera, oltre al progetto di riattamento dell’intero complesso edilizio ad uso filanda, anche una torre detta appunto il “Minareto”. Eretto nel 1834 andò ad affiancarsi alle 14 torri rimaste all’inizio di quel secolo, emergendo fra queste per originalità strutturale e stilistica. In una città dove i pettegolezzi erano all’ordine del giorno, non rimase a lungo esente dalle più disparate dicerie che ne confezionarono ben presto il bizzarro appellativo di “torre dell’invidia”, perché era opinione comune che quella torre fosse voluta dal Bertarelli per competere

25 maggio 1903 Panoramica sulla città ripresa da Alessandro Novaresi che data e firma la lastra, in alto a sinistra In primo piano le ex Ceramiche Eredi Frazzi (Archivio della Biblioteca Statale di Cremona)

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realizzata a suo tempo per la costruzione del delle richieste degli autori di interventi analoghi, Torrazzo e della vicina Cattedrale. L’operazione “che si sentivano in dovere di sottolineare sconvolse le aree centrali per sostituire l’immagine di l’opportunità di programmi edilizi che, in alcuni casi, una città di provincia, evidentemente troppo legata avrebbero potuto migliorare sensibilmente il decoro nella forma e nel costume ad una condizione rurale, dei luoghi, facendo quindi della fabbrica non solo un con quella più aggiornata di città moderna e catalizzatore di energie economiche, ma anche “fascista”. un’occasione di abbellimento urbano”. Ma questo è Saranno questi gli interventi che per estensione, stato forse l’ultimo episodio di manufatto edilizio forma, volume e caratteri stilistici si confronteranno emergente, inteso nel suo primitivo significato, di con gli edifici monumentali riducendone la forza torre-richiamo che, in realtà ha trasformato la d’immagine e la capacità di evocazione alterandone povertà utilitaria di una ciminiera nella ricchezza e le connessioni al contorno. Purtroppo, al gravissimo gradevolezza di un osservatorio panoramico decorato in stile arabo. Con il finire del secolo e l’inizio del Novecento, quando ancora la Frazzi delimita il confine ultimo tra l’abitato, la campagna ed il fiume, spuntano le ciminiere in cotto delle filande e delle fornaci Hoffmann che connotano qua e là, con i primi elementi tecnologici, il profilo della città adattandosi al paesaggio urbano con la forma elementare dell’impianto ed il rosseggiare più o meno intenso del mattone. Analogamente alle fornaci, circa nello stesso periodo nel sobborgo di porta Venezia, l’industria molitoria dei Mulini Rapuzzi con le torri di stoccaggio si interponeva tra la campagna ed il Torrazzo, segnando il passaggio dalla produzione agricola artigianale a quella industriale. Successivamente sono ormai note le vicende che hanno condotto alla realizzazione, nelle zone centrali, dei primi tozzi edifici pluripiano con le simboliche torri littorie guarnite sulla sommità da moderne reinterpretazioni delle altane che con arguzia i locali definirono “tavolini”. Per ambizioni distorte, alimentate da sproporzionate aspirazioni, con il pretesto del risanamento igienico, il centro Torre campanaria inserita nell’abside del Duomo prima dell’isolamento fu sconvolto da una Fotografia di Aurelio Betri e figlio operazione simile per (Archivio della Biblioteca Statale di Cremona, lastra Betri 70) concentrazione a quella

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soluzioni, è finita col diventare un intralcio, un’inutile ed oppressiva barriera daziaria che frenava lo sviluppo. Scomparsa l’originaria funzione difensiva, le mura divennero un intoppo all’espansione della città verso la campagna. In altre città questo non è accaduto e le cinta murarie sono divenute un elemento del paesaggio, valorizzato anche dal punto turistico (Lucca, ad esempio). Le uniche zone che si sono potute salvare ottenendo il vincolo di tutela sono Porta Mosa ed il baluardo Caracena. Ma anche oggi, nonostante sia cresciuta una nuova sensibilità, le mura sono state aggredite e coperte, anche recentemente, da nuovi insediamenti, per cui è ancora attuale e necessario un lavoro di sensibilizzazione che cerchi di salvare il salvabile.

guasto prodotto da quelle grandi trasformazioni introdotte dal fascismo, si aggiungevano i molti precedenti errori commessi, a partire dalla metà dell’Ottocento, con la demolizione del convento e della chiesa di S. Domenico e l’isolamento del Duomo, per poi proseguire con quell’imperdonabile, grave e ripetuto errore che è stato l’abbattimento per parti delle mura, e continuare con una capillare opera di demolizioni e ricostruzioni per tutto il dopoguerra. Non si è mai pensato di valorizzare le antiche mura, ma si sono utilizzati i baluardi difensivi come comode sottofondazioni per edifici moderni. Tale risultato è conseguenza della perdita di significato di una struttura che, anziché costituire stimolo per nuove

Anni 1935/1940: la demolizione dell’isolato fra le attuali piazza Roma - via A. Gramsci - via G. Baldesio svela una eccezionale vista sul Torrazzo Fotografia di Ernesto Fazioli (Archivio del Movimento Operaio di Persico Dosimo)

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riferimento e da questo artificiale e domestico “ermo colle” non sia mai stata sufficientemente tutelata. Si sta infatti verificando, soprattutto a settentrione, il rischio di alterazione delle relazioni percettive di parti significative del paesaggio urbano, inserendo in modo progressivo elementi che ne abbassano la qualità paesistica. Ad esempio alcuni edifici in costruzione sull’area dell’ex Consorzio Agrario si stanno frapponendo alla vista del Torrazzo, interrompendo così le relazioni simboliche che da questo si diffondono. E’ auspicabile una maggior unità d’intenti nella verifica degli effetti che i progetti producono sullo skyline e sul contesto paesistico di riferimento.13 La forma urbana di oggi è frammentaria e non è facilmente leggibile. La difficoltà di comprensione e la mancanza di chiarezza derivano da molti fattori urbanistici ed ambientali, ma anche dall’indifferenza di comportamento nei confronti di sottili relazioni visive. La città, ancora carica di memorie e stratificazioni storiche preziose per la sua identità, ha perso nel tempo la sua unitarietà ed è dilagata nella campagna circostante. L’arco settentrionale, da occidente ad oriente, è una grigia periferia che dilaga ovunque e incomincia ad assumere quei caratteri di dispersione che gli urbanisti chiamano “città diffusa”. Come una metastasi, alimentata da logiche immobiliari ed immobiliariste, un inutile reticolo di quartieri residenziali senza acquirenti cresce intorno ad un centro storico che si sta svilendo, sempre più privo della necessaria manutenzione. Questa condizione rimanda alla necessità di una continua attenzione cui si dovrebbero dedicare coloro che guardano con passione alla città, per la tutela dei suoi riferimenti identitari e per la sua progressiva riqualificazione.

L’elenco prosegue con una serie di demolizioni inconsulte (il convento di S. Angelo, il rettifilo di corso Vittorio Emanuele, corso Campi) e ricostruzioni spesso speculative, dettate da grossolanità e poca cultura. Ne sono esempio il centro scolastico realizzato in via Palestro, che ha sostituito il convento di S. Vincenzo, e il complesso residenziale sull’area del demolito convento di S. Vittore, tra viale Trento e Trieste e largo Sarpi. Nel compiacimento, tutto provinciale, di una Cremona più moderna, tra il ’56 ed il ’65 si tollera la diffusione nel centro delle nuove “torri condominiali”, dei “grattacieli” simboli dello sforzo di ricostruzione salutato come simbolo di una nuova condizione sociale. Abbiamo così uno stillicidio d’interventi nonché alcune disastrose demolizioniricostruzioni con torri multipiano come quelli, per citarne qualcuno, di via Magenta, di via Cesari, di piazza Vida (in sostituzione del convento di S. Agostino), o quello di via Mazzini oppure quello in piazza Roma angolo via Filodrammatici. Quest’ultimo ebbe addirittura l’onore della copertina su un numero di “Life”, che mi è passato per le mani, come clamoroso esempio di deturpazione delle città europee. Infine, al termine di questo sintetico elenco di doglianze, l’edificio multipiano di via del Giordano, sul margine meridionale della città. Segnalo questo episodio significativo perché questa cortina, rivolta verso il Po, è comunque quella più delicata e che pone problemi di tutela dell’immagine dell’area monumentale per chi osserva la città da meridione (come nell’acquatinta di Rimoldi, 1836, che riprende il profilo della città con i suoi campanili dagli argini). Non è facile un’identificazione con queste “torri condominiali”. Sono consapevole delle osservazioni di chi sostiene che la concentrazione di edifici alti è benefica perché risparmia territorio, ma nella valutazione dei costi e benefici questo non è sempre vero. Non aggiungono molto alla vita di una cittadina di dimensioni mediopiccole, se non uno sguardo frettoloso e distratto. Ma il prezzo che per loro la città deve subire è molto elevato: le torri condominiali nascondono il sole e la vista, opprimono il profilo delle emergenze storiche della città, isolano i loro occupanti dall’effetto urbano che si svolge a livello terreno. Invece di distribuire le persone lungo una strada per favorirne il contatto con la realtà urbana, con queste tipologie si finisce con il concentrare le persone in pochi punti nei quali non si può passeggiare. Non è certo la formula giusta per una città che aspira a realizzarsi con criteri sostenibili. Considerate le relazioni percettive che il Torrazzo intrattiene con un intorno molto ampio, è un vero peccato che la fruizione visiva di questo nostro storico

13 Norme per esame paesistico dell’8 novembre 2002, N. 7/11045, ai sensi delle norme di attuazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale Altri cenni bibliografici: U. Gualazzini, Ricerche sulla formazione della Cittanova dall’età bizantina a Federico II, Milano 1982 D. Romagnoli, Storia e storie della città, Roma 1989 C. Bertinelli Spotti, M. T. Mantovani, Momenti di storia cittadina, Cremona 1996 C. Almansi, L’Università dei mercanti e le corporazioni d’arte a Cremona dal Medioevo all’età moderna, Cremona 1998 G. Cullen, Il paesaggio urbano, Londra 1961 B. Loffi, G. Voltini, La Cremonella ed il Marchionis nella storia della città, Cremona 2002

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13 maggio 2002 Veduta panoramica con la Cattedrale e il Torrazzo dalla cupola del Foppone durante i lavori di rifacimento delle coperture

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I C A M PA N I L I di Cremona di Mariella Morandi


Ricostruzione virtuale della panoramica sulla chiesa di S. Domenico nell’anno 1869, poco prima della demolizione L’immagine, inedita, è stata ottenuta dall’unione delle lastre Betri 190 e 192 utilizzando apposito software Fotografie di Aurelio Betri e figlio (Archivio della Biblioteca Statale di Cremona), elaborazione di Roberto Caccialanza

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Premessa Sono 40 i campanili che oggi svettano sopra i cieli della città e che contribuiscono a definirne il profilo anche se la crescita urbanistica, non solo in orizzontale ma anche in verticale, non sempre consente di vederli da lontano. Si tratta, nella quasi totalità dei casi, dei campanili sopravvissuti alle demolizioni operate tra la fine del Settecento e l'Ottocento, quando oltre la metà di chiese e oratori venne soppressa. Secondo il conteggio che Lorenzo Manini fece nel 1820, la città con i suoi sobborghi nel XVIII secolo contava ben 128 chiese e quindi altrettanti campanili. Fra la fine del secolo e l'inizio del successivo ne vennero soppresse ben 78, di cui 20 con cura d'anime, 32 fra chiese semplici ed oratori, 26 di corporazioni religiose. Ne rimasero quindi 50.1 Con qualche ulteriore perdita -la più illustre e clamorosa fu quella di S. Domenico- e qualche aggiunta, come la recentissima chiesa di S. Giuseppe al Cambonino, si arriva alle 40 attuali, ciascuna dotata di un proprio campanile, imponente come quello di S. Agata, forse il più antico della città, o modesta come quella di Cristo Re o della chiesa di Borgo Loreto, semplici tralicci che innalzano l'altoparlante per diffondere il suono registrato delle campane. Alcuni di questi campanili sono stati oggetto di studio da parte di storici dell'arte e di architetti che ne hanno analizzato i caratteri strutturali, ma i più non hanno mai beneficiato di alcuna attenzione, se non marginale. Pochi sono anche i documenti e le testimonianze che li riguardano e quindi risulta per lo più problematico definirne con precisione i dati cronologici, sia di costruzione sia di successivi interventi. Con queste prudenziali e doverose premesse si cercherà comunque di esplorare l'articolato complesso formato dai campanili cremonesi, simboli -primo fra tutti il Torrazzo- non solo di una fede religiosa che per secoli ha connotato il vivere della città, ma anche di un' identità locale e dei valori nei quali per secoli i suoi cittadini si sono riconosciuti. 1 L. Manini, Memorie storiche della città di Cremona, Cremona 1819-20, vol. II, pp. 157-158

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Le torri medioevali

19 gennaio 2005 S. Agata dalla terrazzina di palazzo Barbò-Mainardi in via Ugolani Dati 7

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La torre campanaria che viene ritenuta -ma la questione è ancora controversa- la più antica della città, è quella della chiesa di S. Agata. La questione ruota attorno ad una lastra fittile con un'iscrizione datata 1177 che si riferisce alla realizzazione di una non meglio identificata "opus". Poiché la lastra non è conservata nel sito originario in cui era allogata, non la si può far risalire con certezza a nessun lavoro in particolare, ma Puerari, appoggiandosi ad elementi di ordine cronologico e stilistico, la riferisce alla torre campanaria, che quindi verrebbe ad assumere il ruolo di prototipo per le altre torri medioevali della città.2 D'altro canto anche Franco Voltini, pur senza accennare alla questione dell'iscrizione, opta per una datazione che porta alla fine del XII secolo, indicando come possibile termine di riferimento post quem l'anno 1184 quando, durante un assedio, la chiesa che era stata fondata nel 1077 venne seriamente danneggiata. Forse, ipotizza Voltini, dopo tale data tutta la chiesa, compresa la torre, venne ricostruita.3 In ogni caso quest'ultima, così come si presenta ora, è il risultato di distinte e successive fasi costruttive. La prima arrivò fino a comprendere il doppio ordine di aperture binate,


ma anche la tessitura muraria, dove elementi separate da una piccola semicolonna che sono strutturali, come i contrafforti angolari, diventano ancora presenti nel lato sud e che dovevano essere anche fattori decorativi mediante il leggero aggetto, relative alla cella campanaria. La copertura della e dove le sei cornici marcapiano ad archetti torre in questa prima e piÚ antica versione consisteva interrompono la verticalità , creando delle forse in una merlatura o in un tetto a spioventi specchiature divise centralmente da sottili lesene e ribassati (come ancora si vede nei campanili di S. un susseguirsi di minute zone d'ombra. La parete Salvatore, Sospiro e Pieve Gurata) oppure in una della torre termina con un fregio a dente di sega terminazione conica. Successivamente parte delle bifore venne trasformata in trifore ed il campanile venne sovralzato, nella muratura trovò posto un ulteriore ordine di aperture a trifora ed il tutto venne coronato da una guglia. I lavori si protrassero almeno fino al XIII secolo, anche se le date 1435 e 1531 rinvenute sui muri interni all'altezza delle aperture, indica che lavori vennero compiuti anche molto tempo dopo.4 Nella parte inferiore della costruzione la struttura architettonica chiusa e massiccia impostata su uno zoccolo di pietra è quella tipica del campanile gotico lombardo, che si presenta spesso robusto come una torre difensiva. Non a caso il vescovo cremonese Sicardo (1155 ca-1215) dando, nel Mitrale, un'interpretazione simbolica di ogni parte architettonica della chiesa, paragonava il campanile sia al predicatore, che deve essere costante ed inespugnabile per difendere l'edificio della fede, sia alla torre di Davide, dalla quale si vedono i nemici che vengono da lontano.5 Al di sopra la progressiva ampiezza delle finestre che svuotano ed alleggeriscono la muratura, nonchÊ la copertura a cono rinfiancato da piccole cuspidi di grande slancio verticale, suggeriscono una variazione del gusto in senso gotico. A rendere 15 settembre 1994 sensibile la superficie ai giochi Scorcio sul Torrazzo della luce sono le profonde da palazzo Salomoni-Negroni al civico 22-24 di via Bonomelli zone d'ombra delle finestre,

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lombardo e non si può romanticamente pensare che una delle due torri sia la "matrice" alla quale le successive della stessa tipologia, costruite -come si vedrà- in un arco di tempo molto lungo, si sono ispirate. Del resto anche la determinazione cronologica delle fasi costruttive del Torrazzo può essere solo approssimata. Non esistono infatti documenti d'archivio che comprovino la data di fondazione e le fasi del lavoro, ma si pensa che l'inizio della costruzione sia prossima (se non addirittura coordinata come ipotizza Piva) a quella del Palazzo Comunale, quindi da situarsi attorno al 1206. La seconda fase interessò la parte soprastante del fusto quadrangolare fino al cornicione posto sotto la quadrifora e dovrebbe essersi conclusa entro il 1267. La terza fase comprese la costruzione dell'ultimo piano del fusto e della ghirlanda ottagonale a due piani con la cuspide che la sormonta e dovrebbe collocarsi attorno al 1297, quando vennero raccolte offerte "pro elevatione toracii".6 Secondo un modulo ricorrente nelle torri campanarie romaniche della Lombardia, il fusto quadrangolare si imposta su un alto zoccolo rivestito di lastre marmoree, è suddiviso esternamente in ripiani delimitati verticalmente dal leggero risalto delle lesene angolari e in orizzontale da cornici ad archetti, che variano progressivamente man mano che si sale verso forme di gusto più accentuatamente gotico sia nell'uso del profilo ad ogiva sia nella disposizione, prima ad archetti semplici poi intrecciati. Fino all'altezza della sesta cornice ogni ripiano, la cui altezza aumenta progressivamente, è tripartito da sottili semicolonne in cotto. Anche le aperture, mano a mano che si sale, aumentano

arrotondato inframmezzato da uno di punta, la cui vibrazione chiaroscurale prepara la corrugata tessitura muraria della cuspide. Come s'è visto, la questione della primogenitura fra i campanili cremonesi è ancora sospesa fra la torre di S. Agata e la turris maior, il Torrazzo. Di certo vi è il fatto che entrambe si collocano all'interno della tradizione costruttiva del campanile medievale

21 febbraio 2005 Il campanile di S. Lucia

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realizzato nell'estate dell'anno 1900, in seguito alla richiesta avanzata al Comune dalla Fabbriceria della parrocchia dei SS. Giorgio e Pietro, che chiese il permesso di aumentare l’altezza della torre e riformare le aperture. Mediante un rialzo del fusto, venne così costruita l'attuale cella campanaria, aperta da un'ariosa finestra ad arco verso nord e verso sud e da due finestre binate verso est e verso ovest, in sostituzione delle finestrelle quadrate preesistenti. Altre piccole aperture vennero praticate lungo il fusto per dare luce alle scale.9 Anche la torre di S. Bassano fu interessata nel tempo da successivi interventi. Di un edificio sacro dedicato a questo santo si ha notizia fin dal 1123,10 ma incerte sono le sue vicende architettoniche, se si eccettua un intervento nel 1529 che Manini qualifica come "rifacimento", il quale comunque conservò ed inglobò le strutture preesistenti ancora parzialmente individuabili.11 La torre presenta la parte inferiore compatta, senza alcun elemento decorativo, nella quale si apre una monofora architettonicamente assai curata. La parte soprastante è invece qualificata da risalti angolari che salgono fino al tetto inquadrando le aperture della cella campanaria parzialmente ricavate in rottura di muro. In essa si aprono strette finestrelle dalla definizione formale molto semplice. Il diverso trattamento della muratura corrisponde a due diverse fasi costruttive, la seconda delle quali è forse da mettere in relazione con la riparazione resasi necessaria dopo che un bombardamento subìto dalla città durante l'assedio del 1648 l'aveva semidistrutta. Stessa sorte toccò, nella medesima occasione, anche ai campanili di S. Lucia, S. Apollinare, S. Monica, S. Luca.12 Anche se quest’ultimo, come si vedrà in seguito, ha la cella campanaria di epoca più tarda rispetto al fusto sottostante. Rispetto ai due campanili precedentemente citati, la torre di S. Vincenzo presenta all'esterno una definizione formale assai più accurata, che ricerca effetti di eleganza e decorativismo. Il fusto -al quale si appoggia l'absidiola destra- presenta infatti tre diverse elaborazioni formali. Su uno zoccolo di muratura compatta si imposta un piano definito ai lati dal rilievo dei contrafforti angolari e in alto da una cornice ad archetti romanici. Una nervatura la percorre in verticale dividendola in due. E' questa la parte più antica della torre, di impronta romanica. Le si sovrappone una seconda parte che presenta un doppio riquadro con risalti angolari e cornici lisce, al centro del quale si apre una feritoia. Essa costituisce, insieme alla cella campanaria con le aperture inquadrate da una coppia di lesene classicheggianti, il risultato di un

di dimensione e acquistano respiro dai grandi archi di scarico. L'ultimo ripiano si distingue dai precedenti, ai quali è pure intimamente connesso per scelte cromatiche e formali: la progressione degli effetti chiaroscurali, ottenuto alternando il vuoto delle finestre col pieno delle murature giunge qui al culmine con l'apertura di una quadrifora e di una galleria a otto archi per lato, ed è preparato dall'ispessimento degli archetti che lo delimitano inferiormente e superiormente. Il fusto quadrangolare è concluso dalla merlatura che circonda la base del coronamento, la cosiddetta "ghirlanda". La costituiscono due tamburi ottangolari rastremati verso l'alto aperti da due gallerie continue, inframmezzate da cornici ad archetti. Lo slancio verso l'alto della cuspide che conclude la costruzione è preparato dal coronamento di gugliette che sormontano entrambi i tamburi ottagonali ed è accentuato dalle nervature della copertura, confluenti verso la palla sommitale. La ricercatezza formale, insita nella ricerca delle forme e del colore, pur restando all'interno di una concezione estetica profondamente unitaria anche se realizzata in tempi e da maestranze diverse, distingue il Torrazzo dalle altre torri coeve della città e del suo territorio e ne fa, insieme alle dimensioni imponenti, il segno dell'orgoglio civico e della potenza economica della Cremona medioevale. La tipologia del campanile romanico lombardo caratterizzato da un fusto quadrangolare chiuso e compatto e quello della successiva evoluzione gotica in cui la muratura è alleggerita da finestrature sempre più ampie e ariose, di cui il Torrazzo è riuscita sintesi, è riconoscibile in diversi altri campanili cremonesi. Quasi nessuno di essi, però, può essere considerato opera di un solo gruppo di maestranze e spesso neanche di un'unica generazione. Molti infatti vennero costruiti in tappe successive e in tempi lunghi. Molti portano evidenti tracce di successivi interventi effettuati anche a distanza di secoli. La torre di S. Lucia, ad esempio, si compone di un fusto liscio, compatto, privo di elementi decorativi, frutto di un unico intervento fino a parte della cella campanaria. Della chiesa si ha notizia fin dal 1035 e si sa che venne più volte rimaneggiata.7 In particolare, per quanto riguarda il campanile, durante l'ampliamento della chiesa operato nel 1611-14 esso venne inglobato parzialmente nel tetto e la sua base fu consolidata rettificando all'esterno l'absidiola destra della chiesa.8 Il fusto venne fortemente danneggiato -come si dirà più avanti- durante l’assedio del 1648 e fu successivamente riparato. La parte superiore, corrispondente alla cella campanaria, è invece il risultato di un intervento

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intervento operato in occasione della riforma voluta dai Chierici di S. Paolo per riunire in un unico organismo le due antiche chiese di S. Vincenzo e S. Giacomo. L'intervento, previsto fin dal 1588 quando Lorenzo Binago inviò i disegni per il rifacimento della chiesa, venne effettuato nel 1594 sotto la direzione di Francesco Laurenzi.13 La nervatura in cotto che divide il primo riquadro della torre è un motivo decorativo che ricorre anche nel campanile di S. Luca. In questo caso a segnare la divisione col piano soprastante è una cornice ad archetti gotici che richiama in modo semplificato quella che orna il sottogronda dell'abside sinistra e la parete di chiusura della navata. Al di sopra si apre un'elegante bifora con pilastrini e capitelli in cotto. La cella campanaria, che si imposta al di sopra di una cornice aggettante come se costituisse un corpo separato, pur riprendendo i risalti angolari sottostanti gode invece di una definizione formale meno accurata, in quanto le finestre ad arco che vi si aprono appaiono sovradimensionate rispetto alla parete, il che induce a riconoscervi la riparazione effettuata dopo il bombardamento subìto durante l'assedio del 1648. La chiesa stessa di S. Luca, fondata nel 1165 è il risultato di ampliamenti succedutisi nel tempo, uno dei quali risale al 1272,14 data che può forse fornire un orientamento cronologico anche per il campanile. Una struttura analoga a questa, ma realizzata in un'unica fase costruttiva a ridosso nel 1370, è quella del campanile della SS. Trinità. In tale anno, infatti, il vescovo concesse l'autorizzazione a celebrare la messa nella chiesa appena costruita e probabilmente non ancora perfezionata, visto che il permesso di erigerla risaliva solo all'anno precedente.15 Anche in questo caso il campanile

presenta esternamente il fusto stretto fra i risalti angolari e diviso in ripiani mediante fasce, in questo caso lisce. La suddivisione però non è regolare, in quanto il secondo piano risulta molto più alto degli altri. Come in molti campanili cremonesi la cella campanaria acquista risalto dalla cornice in aggetto che la introduce. Vi si aprono eleganti bifore con colonnine binate disposte in profondità e la conclude una complessa cornice ad archetti sovrapposti.

2 A. Puerari, Il duomo di Cremona, Milano 1961, p. 69 3 F. Voltini, Le chiese di S. Agata e S. Margherita, Cremona 1985, p. 18 4 S. Bini, La torre di Sant' Agata, con nuove notizie sulla riforma quattro-

cinquecentesca della chiesa, in "Bollettino Storico Cremonese", n.s., VIII (2001), Cremona 2002, pp. 35-77 5 Sicardi cremonensis episcopi mitrale seu de officiis ecclesiastici summa, a cura di J. P. Migne, libro I, Parigi 1855, p. 24 6 P. Piva, Architettura, complementi figurativi, spazio liturgico (secoli XII-XIII), in

"Storia di Cremona. Dall'alto medioevo all'età comunale", a cura di G. Andenna, Cremona 2004, p. 428. A questo saggio si rimanda anche per una bibliografia essenziale sul Torrazzo, della quale Piva offre un'efficace sintesi 7 L. Astegiano, Codex diplomaticum Cremonae, Torino 1894, vol. I, p. 66, n. 67

8 F. Petracco, La chiesa di S. Lucia a Cremona. Fonti per uno studio stratigrafico della fabbrica, in "Bollettino Storico Cremonese", XII (2005), pp. 225-270 9 ASCr, Comune di Cremona, Licenze edilizie 1868-1924, b. 1143

10 L. Astegiano, cit., vol. I, p.103, n. 54 11 M. Morandi, Qualche notizia sull'antica chiesa di S. Bassano, in "Strenna dell'Adafa per l'anno 1999", Cremona 1998, pp.105-108 12 A. Grandi, Descrizione dello stato fisico, politico, statistico, storico, biografico della Provincia e Diocesi di Cremona, vol. I, Cremona 1856 13 G. Mezzanotte, Gli architetti L. Binago e G. A. Mazenta, in "L'Arte", ottobredicembre 1961, p. 237 14 Chiesa di S. Luca. Cremona, a cura dei Padri Barnabiti di Cremona,

Cremona, s.d. 15 G. Politi, Antichi luoghi pii di Cremona, vol. II, Cremona 1985, p. 652

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Il Quattrocento Il persistere, in ambito cremonese, per un tempo molto lungo, del campanile col fusto quadrangolare diviso in piani, la cella campanaria ben individuata e la copertura a spioventi, è testimoniato dalla piccola torre di S. Maria Maddalena costruita nel 1484 insieme alla chiesa da Lazzaro Pozzali, uno dei protagonisti del rinnovamento architettonico della città in epoca sforzesca, il quale cercò di dare maggior leggerezza ed un certo aggiornamento formale al modello edilizio tradizionale con l'aprirvi due ordini di grandi finestre ogivali simili a quelle delle residenze signorili cremonesi dell'epoca.16 Questa stessa ricerca, applicata anche a strutture di notevole dimensione e di slancio verticale, nel frattempo aveva però generato anche un altro tipo di campanile, forse meno diffuso del precedente, stando almeno agli esemplari giunti fino ad oggi. Si tratta del campanile gotico con facciate completamente svuotate da aperture progressivamente più ampie ed ariose e con svettante terminazione a cono cestile affiancata da pinnacoli più piccoli. Il suo utilizzo copre tutto l'arco del XV secolo, in sintonia col perdurare di questo stile in area lombarda e della sua evoluzione in tardo gotico. Se ne ha un elegante esemplare nella chiesa dei SS. Siro e Sepolcro,

22 luglio 2008 S. Maria Maddalena e S. Geroldo dal Centro di Musicologia ‘Walter Stauffer’ di via Realdo Colombo

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edilizia medioevale, la leggiadra eleganza delle bifore a profilo polilobato che, nelle facciate occidentale e settentrionale, svuotano completamente il fusto al di sopra del primo piano, il quale, al contrario, conserva la tradizionale muratura compatta e bipartita in larghezza da un cordolo che sale fino alla base della cella campanaria. Le bifore del primo ordine sono parzialmente tamponate, nei lati nord ed ovest, completamente nei restanti. Al traforo ottenuto col moltiplicarsi delle aperture mediante l'inserimento di un oculo diaframmato nell'arco di scarico delle bifore e delle finte nicchie nei rinforzi angolari, si contrappone il corrugamento della muratura in corrispondenza delle cornici, non più solo i tradizionali archetti, ma anche losanghe, in una ricerca di forme destinata a permanere nell'architettura cremonese anche nei decenni successivi quando gli edifici si faranno più decisamente rinascimentali ma le decorazioni continueranno ad essere concepite come una "pelle" da sovrapporre alla muratura. L'oculo all'interno dell'arco di scarico della bifora e le finestre ad arco rastremato ricorrevano anche nel campanile di S. Domenico, demolito insieme alla chiesa e al convento ne 1869,18 ma noto attraverso una serie di fotografie di Aurelio Betri che ne documentano lo smantellamento. Il campanile era stato costruito nel 1485-87 per volontà del priore dei domenicani padre Sebastiano Maggi, il quale, per riportare il cenobio all'antico splendore, fece restaurare ed abbellire la chiesa ed ampliare il convento.19 Assai vicino per concezione strutturale e per ricerca decorativa al campanile di S. Agostino è quello di S. Abbondio, che si può far risalire ad anni prossimi al 1468 29 maggio 2002 quando vennero eseguiti lavori La chiesa di S. Agostino e il traliccio Telecom in via Cadolini che riformarono radicalmente dalla Camera di Commercio in piazza Stradivari 5 la chiesa.20 Suddiviso in altezza

dove la ricerca di effetti chiaroscurali produce cornici ad archetti gotici intrecciati, grandi archi di scarico intorno alle finestre binate e alla bifora della cella campanaria, impreziosita dalla colonnina di marmo. Ancora più elegante ed ormai virante verso il decorativismo del tardogotico è il campanile di S. Agostino. Costruito nel 146117 unisce alla robustezza della struttura architettonica, ancorata alla tradizione

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in tre scomparti sottolineati da cornici ad archetti pensili incrociati, presenta nei primi due riquadri coppie di finestre ogivali -ora tamponate- entro profonde strombature nervate, intercalate da slanciate semicolonne con capitelli cubici, simili a quelle di S. Agostino. La cella campanaria, aperta da ariose trifore ed il sovrastante cono cestile sono stati oggetto di un pesante intervento nel XIX secolo, forse addirittura di una ricostruzione -essendo in ghisa le colonne ed i capitelli attuali- che comunque non ha alterato, se non con un leggero rialzo della cornice, le forme originarie che compaiono in un disegno di Luigi Voghera del 1837 realizzato quando si decise di inserire un orologio nella torre.21

16 Per le vicende architettoniche della chiesa si veda: M. Morandi, Le vicende storico artistiche della chiesa, M. Morandi, Lazzaro Pozzali, architetto del Quattrocento, in "Santa Maria Maddalena, chiesa in Cremona", Cremona 2003, pp. 29-40 e pp. 41-46 17 M. Monteverdi, La chiesa di S. Agostino a Cremona, Cremona 1953, p. 11 18 La demolizione fu iniziata il 10 luglio 1869 come testimonia L. Clementi, cit., parte III, p. 71. Sulla demolizione dell'intero complesso si veda anche E. Santoro, S. Domenico: storia della sua demolizione. 1859-1879, Cremona 1968 19 P. M. Domaneschi, De rebus coenobii cremonensis ordinis praedicaturum, Cremona 1767, p. 34 20 Per le vicende edilizie della chiesa si veda L. Roncai, Osservazioni sulle vicende architettoniche dell'ex convento e della chiesa di Sant'Abbondio, in "Sant'Abbondio in Cremona. La chiesa, il chiostro, la Santa Casa", Piacenza 1990, p. 21. L'anno 1468 per la realizzazione di questi lavori è indicato dal Manini 21 Il disegno è riprodotto in L. Roncai, cit., p. 37

Demolizione della chiesa di S. Domenico nell’anno 1869 Fotografia di Aurelio Betri e figlio (Archivio della Biblioteca Statale di Cremona, lastra Betri 193)

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I campanili della Controriforma

19 gennaio 2005 S. Margherita dalla terrazzina di palazzo Barbò-Mainardi in via Ugolani Dati 7

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E' solo alla metà del Cinquecento che l'architettura dei campanili cremonesi stando a quanto si è conservato- presenta un sensibile rinnovamento. La ripresa edilizia, incentrata per lo più su edifici religiosi, che si verifica negli anni '40 del secolo con il delinearsi di un preciso impegno politico e religioso in difesa dell'ortodossia cattolica, trova il modello ideale nella chiesa di S. Margherita, fatta costruire nel 1547 da Marco Girolamo Vida e tradizionalmente riferita come progetto a Giulio Campi il quale, nell'idearla, dovette tener conto delle propensioni umanistiche del committente. Al suo interno la chiesa consta di una sola navata, con pareti scandite da pilastri ed archi in corrispondenza delle cappelle, le quali determinano un'articolazione a travata ritmica che fa riferimento a modelli antichi, riletti nel Cinquecento in ambito romano soprattutto raffaellesco-bramantesco.22 Coerentemente con questa scelta stilistica anche il campanile -di cui un'epigrafe posta all'interno ricorda la costruzione per volontà del Vida- presenta una struttura densa di rimandi classici. La decorazione del fusto, dove si aprono grandi finestre sormontate da una conchiglia,


è infatti ottenuta mediante elementi tratti dal repertorio degli ordini architettonici classici, mentre la cella campanaria assume la forma di tempietto poligonale che richiama, appunto, modelli raffaelleschi e bramanteschi, quali l'edificio che compare sullo sfondo dello Sposalizio della Vergine di Raffaello ed il tempietto di S. Pietro in Montorio a Roma. In questo modo, col piccolo ma innovativo campanile di S. Margherita, viene proposto a Cremona un nuovo modello di torre campanaria, destinato ad avere applicazione per lungo tempo, nei secoli successivi, e a dare origine a diverse varianti. La prima, in ordine di tempo e la più diretta, è la torre campanaria della chiesa dei SS. Donnino e Carlo, costruita a partire dal 1611.23 Essa, infatti, ripete in dimensioni maggiori lo stesso schema del tempietto ottagonale, sovrapposto in questo caso ad un fusto ornato col motivo, ricorrente nel Seicento cremonese, delle paraste binate che reggono le travature inquadrando le finestre. L'evoluzione verso il gusto barocco del modello cinquecentesco d'origine è data dall'espansione delle lesene che segnano gli angoli dell’ottagono, estroflesse in modo da formare un accenno di voluta, e dalla varietà delle cornici sovrapposte alle aperture ad arco della stessa che si moltiplicano in altezza fino al cupolino sommitale. Lo stesso gusto, ma declinato in forme più auliche, contraddistingue il campanile di S. Marcellino che può essere considerato coevo al precedente poiché la costruzione della chiesa, iniziata nel 1602, proseguì per oltre un ventennio. In questo caso la parte sommitale del fusto presenta tre aperture da palazzo accostate in modo da

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ricordare le forme di una serliana e richiamare quindi le finestre a tre luci che si aprono sui fianchi della chiesa e in facciata. Le murature si offrono vibranti alla luce grazie al fitto reticolo di cornici, specchiature, tondi, che le occupano interamente assumendo nel cupolino un forte risalto plastico e cromatico. Le superfici infatti rientrano nelle nicchie, emergono nelle membrature,

4 dicembre 2007 SS. Donnino e Carlo adiacente in via Bissolati - via S. Omobono


divise da colonnine o da pilastrelli o presentino altra forma in istile con la costruzione, secondo il parere dell'architetto. [...] La cuspide non sia a triangolo, ma circolare e piramidale".25 Così accanto ai campanili prima ricordati con la terminazione variamente articolata a tempietto si affiancano campanili come quello di S. Maria del Campo, costruito da Francesco Capra nel 1582,26 dalle linee rigorosamente classiche modulate dagli ordini architettonici in modo da richiamare la facciata della chiesa e coperto da un semplicissimo tetto a spioventi, forme che vengono riprese quarant'anni dopo nel campaniletto di S. Girolamo.27 Ed ecco, infine, che nelle chiese dei due importanti ordini religiosi che nei primi anni del Seicento si stabilirono in città, i gesuiti ed i carmelitani scalzi, si trovano due esemplari di campanile totalmente diversi fra loro: imponente nelle misure, elegante e ricercato nel plasticismo delle forme e nei rapporti cromatici quello di S. Marcellino, dimesso ed essenziale quello di S. Imerio. Se poi si tiene conto del fatto che quest'ultimo, eretto ai primi del Seicento (la costruzione della chiesa cominciò nel 1606), fu sovralzato nel 1827 per ospitare un nuovo concerto di campane,28 appare ancora più evidente che anche i due campanili sono espressione di due diversi modi di concepire e di vivere la vita consacrata da parte dei rispettivi ordini religiosi che li hanno commissionati. In ogni caso sempre disattesa fu, nei campanili cremonesi, l'indicazione borromaica del luogo in cui dovevano essere costruiti ovvero "in testa all'atrio o portico che si trova vicino alla porta della chiesa: quando non vi è l'atrio, sia a mano destra di chi entra in chiesa e sia disgiunto da ogni muro così che si possa girargli intorno".29

si estroflettono nei modiglioni, e al rosso dei mattoni si contrappone il bianco degli elementi marmorei. Due ordini di pinnacoli, infine, preparano e sottolineano lo slancio verso l'alto della guglia sovrapposta al cupolino costolonato, al di sopra della quale svetta il simbolo gesuitico del monogramma raggiato di Cristo. Anche nel campanile di S. Bartolomeo di Picenengo, chiesa costruita nella prima metà del Seicento,24 il plasticismo delle membrature è l'elemento qualificante della cella campanaria, dove semicolonne doriche affiancano le aperture e sorreggono la trabeazione mistilinea, al di sopra della quale una sorta di tamburo con pinnacoli regge il cupolino con la croce e la bandiera segnavento. Il barocco, però, non è l'unico stile caratterizzante i campanili cremonesi del Seicento. Negli stessi anni in cui furono costruiti gli esemplari prima ricordati, ne furono eretti altri dalle linee molto più tradizionali e meno appariscenti. Del resto la trattatistica d'arte contemporanea, che orientava le scelte di architetti e capomastri e che è rappresentata in Lombardia essenzialmente dal De fabrica ecclesiae di Carlo Borromeo (la cui prima edizione è del 1577 ma che continuò ad essere stampata ed a costituire un punto di riferimento fondamentale anche nei secoli seguenti) lasciava ampia libertà al gusto estetico, vincolando altresì le scelte funzionali. Com'è noto il trattato nasceva dall'esperienza pastorale di san Carlo il quale, in quanto arcivescovo di Milano, aveva dovuto provvedere alla necessità di restaurare tante chiese fatiscenti anche come segno esteriore del rinnovamento della Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento. Pur ritenendo che le antiche basiliche romane e milanesi fossero i modelli migliori di praticità per lo svolgimento delle funzioni sacre e per lo splendore del culto, non spinse gli artisti a recuperare la classicità nelle forme stilistiche e li lasciò liberi nelle scelte estetiche. Piuttosto diede un insieme di precetti pratici, che indicarono esattamente al costruttore le caratteristiche funzionali dell'edificio che doveva costruire. Così, a proposito dei campanili, Carlo Borromeo dispose quanto segue: "La torre campanaria sia di forma quadrata o di altra forma che, a parere dell'architetto, meglio convenga a quella della chiesa e del luogo. L'altezza della medesima sia, sempre a parere dell'architetto, corrispondente alla mole della chiesa. L'architetto indicherà ancora quanti solai deve avere; quello inferiore sia fatto a volta, quelli intermedi di assi solidi, e il supremo sia parimenti a volta muraria. Ogni ripiano abbia finestre aperte da ogni lato, piuttosto allungate e di forma elegante confacentesi allo stile della costruzione. Ma quelle del piano superiore siano su ogni lato più ampie,

22 A. Scotti, Architetti e cantieri: una traccia per l'architettura cremonese del Cinquecento, in "I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento", Milano 1985, p. 376 23 P. Bonometti, Carlo Borromeo a Cremona, Cremona 1984, p. 20

24 Nella visita pastorale effettuata nel 1601 il vescovo Speciano ordina che la chiesa da lui visitata, essendo molto piccola e in stato di rovina, venga ricostruita più grande. Il vescovo Francesco Visconti nel 1647 visita di nuovo la chiesa e la trova effettivamente riedificata. ASDCr, Visita pastorale Speciano, tomo terzo, c. 557 r; Visita pastorale Visconti, vol. 73, c. 429 r 25 C. Borromeo, De fabrica ecclesiae, Milano 1577, ed. cons., Milano 1952, pp. 81-82 26 S. Tassini, Il santuario di S. Maria del Campo, in "Itinerari d'arte e di fede tra

Adda, Oglio e Po", Cremona 2000, pp. 150-152 27 La chiesa di S. Girolamo fu costruita nelle forme attuali a partire dal 1624 su progetto di Giovanni Francesco Mussi, eseguito da Giovanni Francesco Capra e Rinaldo Cambiaghi. L. Bandera Gregori, La chiesa di S. Girolamo in Cremona, Cremona 1997, p. 11 28 L. Clementi, Memorie raccolte di cose successe in Cremona, ms. del Museo

Civico di Cremona, parte I, 1830, p. 34 29 C. Borromeo, cit., p. 82

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Dal Settecento ad oggi La tradizionale forma a torre quadrangolare utilizzata a Cremona fin dal Medioevo, trova espressione ancora nel XVIII secolo nel campanile della chiesa di S. Omobono. Nel 1722 il vescovo Alessandro Litta, in visita pastorale alla chiesa ebbe a notare che la torre allora esistente era troppo piccola e che due delle campane erano rotte: chiedeva quindi che si provvedesse in qualche modo. I lavori per la costruzione del nuovo campanile iniziarono alcuni anni dopo ed erano ancora in corso nel 1731, quando lo stesso vescovo consacrò la chiesa aggiungendovi il titolo di collegiata.30 In esso un elegante gusto rococò, evidente nei profili mistilinei di finestre, specchiature e gronde, si sovrappone alla tradizionale scansione del fusto in settori mediante fasce marcapiano, fino alla cella campanaria dagli angoli smussati che gli si sovrappone come un corpo distinto ma al tempo stesso intimamente raccordato. Il neoclassicismo fa la sua apparizione nei campanili cremonesi con la costruzione della chiesa di S. Facio, detta del Foppone, iniziata nel 1758.31 Il progetto prevedeva che la cupola venisse inquadrata entro due torrette in forma di edicola poste ai

5 settembre 2004 S. Omobono dal tetto della chiesa di S. Lucia

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costruiti ex novo o ricostruiti quasi integralmente e 25 quelli interessati dal rifacimento della parte terminale per interventi di innalzamento.33 In città queste opere riguardarono 9 campanili, con tre sopralzi e sei nuove costruzioni o ricostruzioni quasi integrali; ad essi sono da aggiungere, nei sobborghi, il sopralzo del campanile di S. Maria del Boschetto (1802) e di quello della chiesa di Cavatigozzi (1903). I motivi che determinarono tutti questi interventi furono diversi: dalla precarietà delle strutture esistenti, che impose radicali ricostruzioni, alla necessità di diffondere meglio il suono delle campane (cosa non possibile nel caso di scarsa elevazione del campanile), al desiderio di inserire un orologio come nel già ricordato caso di S. Abbondio. Nel 1824 Faustino Rodi rialzò il campanile di S. Ilario, di costruzione settecentesca, impostando al di sopra del fusto originario un cupolino eretto su un tiburio ottagonale a sua volta appoggiato su una base di raccordo con la struttura preesistente. E' una soluzione che ha una motivazione esclusivamente estetica, in quanto non rialza la cella campanaria e che ricorre anche in molti campanili del territorio cremonese dello stesso periodo, anche in quelli di nuova costruzione (come il campanile di S. Siro a Soresina, di Luigi Voghera), e che tiene conto delle indicazioni fornite dal più autorevole teorico di architettura neoclassica, Francesco Milizia. Nei Principi d'architettura civile, infatti, egli propone una tipologia di campanile di non eccessiva altezza per evitare il pericolo di crolli "e di forma elegantemente mista di 19 ottobre 2002 quadrato e di mistilineo S. Pietro al Po rastremandosi a misura che da interno di abitazione in vicolo S. Salvatore 9 s'inalza, e inalzandosi quanto

lati della facciata, ma i lavori si protrassero a lungo e solo nel 1822 venne costruita la prima, mentre l'altra non venne mai realizzata.32 Nel XIX secolo, e fino all'inizio del successivo, l'attività edilizia nel campo dell'architettura sacra fu assai intensa in tutta la diocesi cremonese e comprese anche molti interventi riguardanti i campanili. Nella diocesi furono ben 31 quelli

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una trabeazione ed un piccolo timpano, alla ghirlanda, d'ispirazione neogotica ma dal profilo mistilineo e robuste colonne angolari, conclusa da una svettante cuspide costolonata. Il secondo è ancora più vicino al prototipo di S. Michele, in quanto, come in quello, ogni faccia del tamburo è conclusa da una cuspide. Lo circonda un parapetto, che s'imposta sopra la cella campanaria e che è sormontato agli angoli da quattro pinnacoli. Concludono la serie dei campanili cremonesi ottocenteschi due piccole costruzioni: il campaniletto della chiesa del Buon Pastore, costruita nel 1855 su progetto di Vincenzo Marchetti, e quello della chiesa dei francescani di via Brescia (1881), strutture semplici, poco elevate ad sopra del tetto, finalizzate più all'uso interno delle rispettive istituzioni che ad annunciare all'esterno l'inizio delle funzioni. Il XX secolo a Cremona è avaro di campanili, sostituiti per lo più da tralicci, che sostengono l'altoparlante da cui si diffonde il suono registrato delle campane, o risolti quale parte integrante della facciata, come nella chiesa di S. Francesco al quartiere Riposo, progettata da Vito e Laura Sonzogni e consacrata nel 1995. Si distingue da ciò la chiesa del Cambonino, costruita allo scadere del secolo su progetto dell'architetto Paola Morandi, che vanta uno svettante campanile alto 27 metri, dal fusto a sezione triangolare che si allarga in corrispondenza della cella campanaria. Consacrato dal vescovo Giulio Nicolini all'apertura del nuovo secolo, il 13 febbraio 2000, perpetua e rinnova al tempo stesso una tradizione, quale testimonianza di fede e punto di riferimento per la comunità circostante.

basta per fare una comparsa svelta, e leggera con vani grandi, e perciò con colonne isolate le une sulle altre, senza che niuna però posi in falso".34 Nel 1827, come s'è già detto, venne alzato il campanile di S. Ilario, e nel 1841-42 si provvide alla ricostruzione della cella campanaria con cupoletta a sviluppo ovoidale della chiesa di S. Sigismondo.35 Si dava così esecuzione ad un'opera rimasta in sospeso fin dal 1594 quando un fulmine aveva demolito gli ultimi due ripiani del campanile. Ne risultò una torre più bassa di un piano rispetto all'originaria, e quindi piuttosto tozza, ma comunque armonizzata con gli altri elementi del complesso. Contemporaneamente importanti opere venivano eseguite sui campanili di S. Pietro (1840-41) e di S. Michele (1843). Nel primo caso i lavori facevano seguito ad una richiesta inoltrata al Comune dalla Fabbriceria, in cui si chiedeva licenza di "poter restaurare con qualche alzamento la torre" su progetto di Luigi Voghera.36 Di fatto l'intervento non riguardò soltanto il sopralzo con la costruzione della cella campanaria e della cuspide in stile, ma comprese anche il rifacimento di una parte del fusto. L'architetto, che nei campanili di nuova progettazione aveva sempre scelto forme neoclassiche, in questo caso si orientò verso un gusto d'impronta revivalistica rispettoso delle forme originarie della torre, di probabile origine quattrocentesca37 e decise di mantenere, anche nel rifacimento, le forme gotiche della struttura originaria aprendo nella cella campanaria delle trifore con arco di scarico a tutto sesto e ricostruendo la guglia in forme uguali a quella demolita.38 Completamente rinnovato in forme neo-gotiche fu anche il campanile di S. Michele, eretto nel 1844 su progetto dell'ingegner Francesco Fouquet, che raddoppiò abbondantemente l'altezza della torre esistente, dandole una nuova terminazione a cuspide impostata su un alto tiburio ottagonale aperto da una loggia con eleganti colonnine angolari, scelta che anticipa il criterio con cui pochi anni dopo, sotto la direzione di Carlo Brilli, Davide Bergamaschi e Vincenzo Marchetti, si cercò di recuperare le antiche forme gotiche della chiesa, in parte ritrovandole sotto le decorazioni barocche e in parte reinventandole. La formula adottata per questo campanile costituì un esempio al quale si ispirarono sia la torre di S. Bernardo, costruita nel 1886 quando venne ampliata la chiesa,39 sia quella di S. Sebastiano eretta nel 1908 dal capomastro Giuseppe Demicheli insieme alla chiesa. La prima presenta qualche accento di gusto eclettico, in quanto abbina gli elementi classici della cella campanaria, che presenta le aperture inquadrate da lesene reggenti

30 P. Bonometti, Le vicende architettoniche della chiesa dei Santi Egidio e Omobono negli atti delle visite pastorali (1470-1772), in "Omobono. La figura del santo nell'iconografia - secoli XIII-XIX", a cura di P. Bonometti, Milano 1999, p. 150 31 L. Turchetti, La vicenda storica del Foppone, in "La chiesa di S. Facio detta

del Foppone. Elegante scrigno settecentesco" a cura di L. Turchetti-A. Lazzari, Cremona 2000, p. 32 32 L. Clementi, cit., parte I, p. 31

33 F. Voltini, L'architettura sacra nella diocesi di Cremona dal 1815 al 1915, in "Ottocento cremonese", Cremona 1991, vol. I, p. 38 34 F. Milizia, Principi d'architettura civile, Bassano 1813, tomo II, p. 304

35 F. Voltini, cit., p. 92 36 F. Voltini, cit., p. 91 37 F. Voltini, La chiesa di S. Pietro in Cremona, Cremona 1981, p. 14 38 L. Clementi, cit., parte II, p. 47. La torre fu alzata di 11 braccia milanesi

39 C. Brunelli, Cenni storici dell'antica collegiata arcipretale di Pieve GurataCingia de' Botti, Cremona 1951, p. 38

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