Il cloud computing come strumento per rafforzare il business model

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IL CLOUD COMPUTING COME STRUMENTO PER RAFFORZARE IL BUSINESS MODEL

A cura di ROBERTA GAROFALO


UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

SCUOLA DI MANAGEMENT ED ECONOMIA

TESI DI LAUREA IN ECONOMIA E GESTIONE DELL’INNOVAZIONE

IL CLOUD COMPUTING COME STRUMENTO PER RAFFORZARE IL BUSINESS MODEL

Relatore:

Prof. Stefano Bresciani

Correlatore: Prof.ssa Maria Giulia Salvadori

Candidato: Roberta Garofalo

ANNO ACCADEMICO 2012-2013


Un Ringraziamento speciale alla mia famiglia e ai professori che mi hanno seguito durante questo percorso.


INDICE INTRODUZIONE

1

PARTE PRIMA−VERSO L’E-BUSINESS MODEL 1. IL BUSINESS MODEL

5

Introduzione

5

1.1. L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI BUSINESS

7

MODEL 1.2. DEFINIZIONE DEL BUSINESS MODEL

9

1.3. BUSINESS MODEL E STRATEGIA

14

1.4. LE COMPONENTI DEL BUSINESS MODEL

16

1.5. I MODELLI DI CAMBIAMENTO

21

1.6. L’IMPORTANZA DELLA CHIARA DEFINIZIONE

24

DEL CONCETTO 1.7. ESEMPI DI BUSINESS MODEL

26

1.7.1. UNICREDIT BUSINESS MODEL

26

1.7.2. BANCA GENERALI BUSINESS MODEL

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2. L’E-BUSINESS MODEL

29

Introduzione

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2.1. L’EVOLUZIONE VERSO L’E-BUSINESS MODEL

30

2.2. L’ECONOMIA TRADIZIONALE RIVISTA IN CHIAVE

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MODERNA 2.3. GLI STADI DI ADOZIONE DELL’E-BUSINESS

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MODEL 2.4. GLI ASPETTI FONDAMENTALI DI UN E-BUSINESS

40

MODEL 2.5. GLI APPROCCI ALLA CLASSIFICAZIONE DEGLI

42

E-BUSINESS MODELS 2.5.1. L’APPROCCIO DI TIMMERS

i

43


2.5.2. L’APPROCCIO DI RAPPA

46

2.5.3. L’APPROCCIO DI TAPSCOTT

50

2.5.4. L’APPROCCIO DI WEILL E VITALE

51

2.6. IL MODELLO PROPOSTO DA GORDIJN E

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AKKERMANS 2.7. COSTI E BENEFICI DI ADOZIONE

57

PARTE SECONDA−IL CLOUD COMPUTING 3. LE ORIGINI E LA COMPOSIZIONE DEL CLOUD

59

COMPUTING Introduzione

59

3.1. IL BUSINESS MODEL E IL CLOUD COMPUTING

60

3.2. COS’È IL CLOUD COMPUTING?

62

3.3. L’EVOLUZIONE VERSO IL CLOUD COMPUTING

66

3.3.1. IL GRID COMPUTING E IL CLOUD

69

COMPUTING 3.4. I MODELLI DI SERVIZIO DEL CLOUD COMPUTING

72

3.5. GLI ATTORI DEL CLOUD COMPUTING

75

3.6. I MODELLI DI DEPLOYMENT DEL CLOUD

80

COMPUTING 4. L’ADOZIONE DEL CLOUD COMPUTING Introduzione

84 84

4.1. I VANTAGGI DEL CLOUD COMPUTING 4.1.1. RISPARMIO DI COSTI ED ECONOMIE DI

85 85

SCALA 4.1.2. ELASTICITÀ E CAPACITÀ ON-DEMAND

90

4.1.3. SCALABILITÀ

93

4.1.4. ACCESSIBILITÀ E CONDIVISIONE

94

4.1.5. VIRTUALIZZAZIONE

95

4.2. GLI OSTACOLI ALL’ADOZIONE DEL CLOUD

96

COMPUTING 4.3. LO STATO DI ADOZIONE DEL CLOUD COMPUTING

ii

101


4.3.1. LO STATO DI ADOZIONE IN ITALIA 4.4. LO SCENARIO FUTURO

106 112

5. IL PROBLEMA DELLA RISERVATEZZA DEI DATI Introduzione

115 115

5.1. LA PROTEZIONE DEI DATI IN ITALIA

116

5.2. LA PROTEZIONE DEI DATI SULLA NUVOLA

119

5.3. IL PERCORSO NORMATIVO IN MATERIA DI

121

CLOUD COMPUTING 5.3.1. LA DIRETTIVA 95/46/CE

122

5.3.2. IL DECRETO LEGISLATIVO 196/2003

123

5.3.3. LA DIRETTIVA 136/2009

125

5.3.4. LE ULTIME NOVITÀ

126

5.4. LE INDICAZIONE DEL GARANTE PER UNA

127

SCELTA CONSAPEVOLE 5.5. UNO SGUARDO AL FUTURO

129

PARTE TERZA−CASI AZIENDALI 6. I PROVIDER

131

Introduzione

131

6.1. CASO AMAZON: LE ORIGINI

133

6.1.1. LA CLOUD STRATEGY DI AMAZON

134

6.1.2. GLI OBIETTIVI E I RISULTATI DELLA CLOUD

140

STRATEGY 6.2. CASO MICROSOFT: LE ORIGINI

143

6.2.1. LA CLOUD STRATEGY DI MICROSOFT

145

6.2.2. GLI OBIETTIVI E I RISULTATI DELLA CLOUD

151

STRATEGY 6.3. CASO GOOGLE: LE ORIGINI

154

6.3.1. LA CLOUD STRATEGY DI GOOGLE

156

6.3.2. GOOGLE APPS FOR BUSINESS

158

6.3.3. GLI OBIETTIVI E I RISULTATI DELLA CLOUD

163

STRATEGY 6.4. CASO IBM: LE ORIGINI

166

iii


6.4.1. LA CLOUD STRATEGY DI IBM

167

6.4.2. SMARTCLOUD

169

6.4.3. GLI OBIETTIVI E I RISULTATI DELLA CLOUD

173

STRATEGY 7. I CLIENT

177

Introduzione

177

7.1. CASO NASDAQ OMX: LE ORIGINI

178

7.1.1. NASDAQ OMX E IL CLOUD DI AMAZON

179

7.1.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE

181

CON AMAZON 7.2. CASO TOYOTA: LE ORIGINI

183

7.2.1. TOYOTA E IL CLOUD DI MICROSOFT

184

7.2.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE

187

CON MICROSOFT 7.3. CASO YAMAMAY: LE ORIGINI

188

7.3.1. YAMAMAY E IL CLOUD DI GOOGLE

189

7.3.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE

191

CON GOOGLE 7.4. CASO ADOBE SYSTEMS: LE ORIGINI

193

7.4.1. ADOBE SYSTEMS E IL CLOUD DI IBM

194

7.4.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE

196

CON IBM

CONCLUSIONI

198

BIBLIOGRAFIA

203

SITOGRAFIA

218

iv


INTRODUZIONE L’ambiente che circonda l’impresa è per sua definizione in continuo divenire, dando vita ad una relazione sistemica che si manifesta inevitabilmente con un’influenza dell’ambiente stesso sul sistema aziendale, il quale deve rispondere prontamente ai cambiamenti di scenario. Il continuo mutamento dello scenario competitivo in cui le aziende operano e gli anni di turbolenza economica che le stesse stanno affrontando mettono a dura prova la riuscita delle strategie aziendali e talvolta la sopravvivenza delle imprese che non sono in grado di fronteggiare le nuove sfide di mercato con i mezzi adeguati. Ogni realtà aziendale si trova di fronte ad una scelta: rinnovare il proprio business allontanandosi dai tradizionali schemi aziendali, oppure rifiutare di accogliere il cambiamento nelle proprie scelte strategiche rischiando di essere esclusa dal mercato. La decisione di rinnovare il proprio business potrebbe sembrare la più appetibile, se non si tenessero in considerazione i numerosi sforzi e investimenti che le imprese dovrebbero affrontare per dare vita ad un cambiamento sostenibile e vantaggioso nel tempo. A conferma di ciò, vi è il caso, sempre più frequente, in cui tali cambiamenti potrebbero non essere accessibili a molte imprese che non possiedono le risorse necessarie per farvi fronte. Le azioni strategiche messe in atto dalle imprese si concentrano sempre di più attorno al concetto di business model, in quanto esso racchiude in sé l’essenza dell’attività d’impresa, dal quale prendono vita tutte le decisioni volte ai cambiamenti aziendali. L’ampio utilizzo del concetto di business model nasce dalla consapevolezza che la sua

chiara

definizione

è

in

grado

di

dare

origine

all’allineamento

dell’organizzazione, della tecnologia e della strategia aziendale, consentendo di valorizzare al meglio quest’ultima. Grazie alla chiara definizione del proprio business model ogni impresa lo renderà facilmente condivisibile, consentendo ai flussi informativi di viaggiare correttamente sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione.

1


Come tutti gli elementi che compongono l’impresa, anche il business model è soggetto a continue pressioni generate da forze interne ed esterne che ne pregiudicano la stabilità, imponendo all’azienda una sua periodica revisione. Il processo di trasformazione che ha investito i modelli di business negli ultimi anni è stato scatenato dallo straordinario impatto di Internet e dell’ IT sul sistema aziendale, comportando per le imprese il passaggio dal proprio modello tradizionale ad un modello di business basato sulle tecnologie digitali, l’ebusiness model. Una precisione a tale riguardo sembra doverosa, ricordando come spesso il concetto di e-business model venga erroneamente confuso con quello di e-commerce, il quale in realtà ne costituisce solo uno degli aspetti caratterizzanti. Il processo che ha condotto le imprese verso l’e-business model ha confermato l’importanza delle Information Technologies su diversi aspetti aziendali, come la gestione e la comunicazione, rendendole indispensabili per affrontare le continue sfide a cui è sottoposto il panorama aziendale. In considerazione di ciò, risulta essenziale la costituzione di una struttura organizzativa caratterizzata da regole che garantiscano l’allineamento tra le strategie IT e gli obiettivi aziendali. Attraverso il progressivo interesse verso Internet e le Information Technologies, le imprese hanno imparato a riconoscere le potenzialità dei modelli di business basati sulle tecnologie digitali, tra cui il miglioramento dell’efficienza operativa e produttiva, grazie ad una riduzione dei costi di gestione. Tale consapevolezza si è tradotta in nuova tendenza che si riflette nell’aumento degli investimenti dedicati alle soluzioni e-business, nonostante l’incertezza che deriva dall’impossibilità di quantificare a priori l’entità dell’investimento e i benefici che esso sarà in grado di generare sull’organizzazione aziendale. L’avvento di Internet sulla nostra società ha generato numerose novità per le imprese, le quali hanno elaborato nuovi meccanismi aziendali per partecipare al cambiamento in atto, integrandole nei propri modelli di business. Tra le novità prodotte vi è il Cloud Computing, ossia un nuovo paradigma tecnologico che trae origine non solo dalla crescente pervasività di Internet, ma soprattutto dalla continua innovazione delle tecnologie hardware e software. Questo paradigma, in quanto punto di discontinuità tecnologica dell’ultimo decennio, possiede un 2


impatto rilevante sul business model, grazie alla sua capacità di fornire lo strumento ideale attraverso il quale le aziende possono rinnovarsi e ridefinirsi rimanendo in linea con lo scenario in continuo mutamento. Il Cloud Computing viene riconosciuto come la nuova frontiera dell’IT, grazie alla quale le aziende hanno accesso ad una serie di nuovi servizi IT che completano l’infrastruttura tecnologica esistente. L’elevata complessità di gestione dell’infrastruttura IT e dei dati aziendali che essa contribuisce ad elaborare ha creato il fenomeno per il quale le aziende tendono ad affidare tale gestione a grandi organizzazioni specializzate, alimentando la diffusione del concetto di Cloud Computing. Nonostante tale strumento rappresenti una novità, alcune delle tecnologie sottostanti la “nuvola digitale” non sono del tutto nuove, ciò che rende davvero unico tale sistema è la capacità di integrare gli approcci e le tecnologie esistenti per dare vita a qualcosa di straordinariamente innovativo. Alla luce di ciò, il Cloud Computing rappresenta l’evoluzione di una serie di tecnologie, che grazie al loro utilizzo congiunto sono in grado di generare una rivoluzione delle modalità di fruizione delle infrastrutture informatiche. L’adozione del Cloud Computing costituisce una grande opportunità per le imprese, non solo perché consente di ridefinire il proprio modello di business, ma soprattutto grazie ai vantaggi che è in grado di generare. Tra i principali benefici emerge inevitabilmente la riduzione dei costi di gestione dell’infrastruttura tecnologica, grazie alla virtualizzazione dell’infrastruttura tecnologica e allo sfruttamento da parte dei grandi Cloud Provider delle economie di scala. In secondo luogo, i servizi cloud sono in grado di garantire un elevato grado di elasticità alle imprese che li adottano, tale per cui queste ultime possono richiedere in qualsiasi momento di aumentare o diminuire le quantità di risorse fornite dal Cloud Provider in base alle proprie necessità, con un tempo di attesa minimo. Nonostante la natura rilevante dei vantaggi offerti dalle soluzioni cloud, i livelli di adozione non sono ancora pienamente soddisfacenti, in particolar modo in Italia, dove l’adozione presenta ancora un notevole ritardo rispetto agli altri paesi. Il 3


ritardo, in Italia così come negli altri paesi, è imputabile ai rischi legati all’adozione del Cloud Computing, rappresentati in particolar modo dalle preoccupazioni relative alla riservatezza dei dati aziendali. Il presente lavoro mette in luce come diversi studi condotti da importanti istituti di ricerca sostengano che tale rallentamento nell’adozione delle soluzioni cloud sia dovuto in particolar modo alla scarsa conoscenza delle forme di tutela destinate a chi adotta tale strumento. A tale riguardo, è inevitabile fare riferimento al quadro normativo nazionale ed internazionale che regola la riservatezza dei dati in materia di Cloud Computing, attraverso un’analisi del percorso normativo che ha cartterizzato gli anni dal 1995 ad oggi. A seguito dell’analisi sui temi del business model e del Cloud Computing, affrontati rispettivamente nella Prima e nella Seconda Parte del presente lavoro, la Terza Parte è dedicata ai casi concreti di aziende che hanno saputo sfruttare a pieno i benefici delle soluzioni cloud. In quest’ultima parte, l’analisi si concentra dapprima sui Cloud Provider, ossia le aziende che hanno deciso di inserire il Cloud Computing tra le attività della propria offerta, riportando le esperienze di alcuni dei più grandi fornitori al mondo di servizi cloud: Amazon, Microsoft, Google e Ibm. In un secondo momento, l’analisi si sposta sui clienti che hanno adottato tali offerte, attraverso la ricostruzione di quattro casi di successo: il Gruppo NASDAQ, Toyota, Yamamay e Adobe Systems. Alla luce di ciò, quanto segue si propone di analizzare lo scenario attuale, in ambito tecnologico, in cui le imprese operano al fine di comprendere a fondo le forze che spingono al cambiamento continuo, e di come tale cambiamento possa rappresentare la chiave del successo aziendale. Il Cloud Computing viene analizzato come uno dei possibili mezzi attraverso il quale le imprese possono sfruttare l’innovazione tecnologica per concentrare i propri sforzi e le proprie risorse sulle core activities, partendo dall’assunto fondamentale per cui l’innovazione rappresenta, ad oggi, l’unico strumento per affrontare al meglio le difficoltà del contesto odierno.

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PARTE PRIMA − VERSO L’E-BUSINESS MODEL CAPITOLO 1 − IL BUSINESS MODEL Introduzione Il termine “business model” è emerso per la prima volta in un articolo accademico del 19571, ma la sua popolarità è un fenomeno più recente. Infatti, il concetto di business model si è largamente diffuso con l’avvento di Internet a partire dalla metà degli anni ‘90 e da allora ha rappresentato il tema centrale del dibattito di molti studiosi e ricercatori, come documentano le numerose pubblicazioni, tra cui articoli e libri della stampa scientifica ed economica. Diversi studiosi hanno analizzato l’evoluzione di questo concetto nel corso del tempo, prendendo come riferimento diversi periodi temporali e utilizzando diverse fonti di dati. Proprio a questo riguardo, nel 2005 Ghaziani e Ventresca2 hanno svolto una ricerca approfondita riguardo l’uso del termine “business model” negli articoli di management dal 1975 al 2000. La loro ricerca è stata condotta utilizzando il database ABI/INFORM3 ed ha individuato 1.729 pubblicazioni contenenti questo termine. In particolare, di queste 1.729, solo 166 sono state pubblicate nel periodo tra il 1975 ed il 1994, mentre le restanti 1.563 appartengono al periodo tra il 1995 ed il 2000, delineando un notevole incremento dell’incidenza del termine. Una ricerca simile è stata condotta nel 2011 da Zott, Amit e Massa4, che hanno esteso l’intervallo temporale fino al 2009 e si sono basati sul database 1

BELLMAN R., CLARK C., et al. (1957), “On the Construction of a Multi-Stage, Multi-Person Business Game”, Operations Research, vol. 5, pp. 469-503. 2

GHAZIANI A.,VENTRESCA M. J. (2005), “Keywords and cultural change: Frame analysis of business public talk, 1975-2000”, Sociological Forum, vol. 20, pp. 523-559. 3

“Published by ProQuest Information and Learning, ABI/INFORM Complete is the full suite of bibliographic databases. It contains articles apparing in professional pubblications, academic journals and trade magazines published worldwide. Features nearly 4.000 journals offering nearly 3.000 full-text titles taken from leading business and management journals”, OSAKA N. (2007), Online Business Sourcebook, K G Saur Verlag, p.316. 4

ZOTT C., AMIT R., MASSA L. (2011), “ The business model: recent developments and future research”, Journal of Management, vol. 37, pp. 1019–1042.

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EBSCOhost5, ottenendo risultati in linea con la precedente analisi di Ghaziani e Ventresca e contando un totale di 8.062 documenti in cui è presente il termine “business model” tra il 1975 ed il 2009. Inoltre, come mostra la Figura 1.1., tra il 1995 ed il 2010 si è verificato un notevole incremento ed in particolare si riscontra un’evidente prevalenza di articoli pubblicati su giornali non accademici (PnAJ) rispetto agli articoli pubblicati su giornali accademici (PAJ). Figura 1.1. Pubblicazioni relative al Business Model tra il 1975 e il 2005.

Fonte: ZOTT C., AMIT R., MASSA L. (2011), “ The business model: recent developments and future research”, Journal of Management, vol. 37, pp. 1019 – 1042.

I principali fenomeni che, secondo gli studiosi, hanno portato alla diffusione del termine “business model” a partire dalla metà degli anni ’90 sono stati:  l’avvento di Internet (Amit e Zott, 2001)6;

5

“EBSCO offers more than 375 full-text and secondary research databases and over 420.000 ebooks plus subscription management services for 355.000 e-journals and e-journals packages”, disponibile su www.ebsco.com. 6

ZOTT C., AMIT R. (2001), “Value creation in e-business”, Strategic Management Journal, vol. 22, pp.493-520.

6


 la rapida crescita dei mercati emergenti ed il crescente interesse per i processi di bottom-up (Prahalad e Hart, 2002; Seelos e Mair, 2007; Thompson e MacMillan, 2010)7;  l’espansione delle industrie e delle organizzazioni basate sulle tecnologie post-industriali (Perkmann e Spicer, 2010)8. Osterwalder, Pigneur e Tucci9, secondo una ricerca svolta tra il 1998 ed il 2003, hanno individuato in questi anni un legame tra la diffusione del concetto di business model ed il trend del NASDAQ, il principale indice dei titoli tecnologici della borsa americana, concludendo che probabilmente esiste una relazione tra il tema del business model e la tecnologia. Gli stessi autori individuano le radici del business model nell’economia dei costi di transazione, che ha permesso di progettare i business sulla base di tecnologie a basso costo, rendendoli disponibili ad un maggior numero di soggetti. 1.1. L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI BUSINESS MODEL Dall’analisi della letteratura sui business models emerge un’evoluzione del concetto che attraversa sei fasi, come mostra la Figura 1.2., partendo da una semplice definizione del concetto fino a giungere all’elaborazione di modelli di riferimento ed applicazioni, grazie al contributo di diversi autori che hanno visto nel business model un concetto chiave per l’impresa. La prima fase, in cui diversi autori iniziano a suggerire definizioni e classificazioni, ha reso il termine business model sempre più prominente. Tra

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PRAHALAD C. K., HART S. (2002), “The fortune at the bottom of the pyramid”, Strategy and Business, vol.26, pp.2-14; SEELOS C., MAIR J. (2007), “Profitable business models and market creation in the context of deep poverty: A strategic view”, Academy of Management Perspecive, vol.21, pp.49-63; THOMPSON J.D., MACMILLAN I. C. (2010), “Business models: creating new markets and societal wealth”, Long Range Planning, vol.43, pp. 291-307. 8

PERKMANN M., SPICER A. (2010), “What are business models? Developing a theory of performative representation”, Technology and organization: Essays in honour of Woodward, vol.29, pp.265-275. 9

OSTERWALDER A., PIGNEUR Y., TUCCI C. (2005), “Clarifying business models: origins, present, and future of the concept”, Communication of AIS, vol.15, pp. 6-7.

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questi autori si distingue Timmers10 che definisce il business model come un’architettura di prodotto, servizio e flussi informativi, in cui sono incluse le descrizioni di vari attori e dei rispettivi ruoli, nonché quelle dei potenziali benefici per gli attori stessi e delle fonti di ricavo. Nella seconda fase, gli autori propongono descrizioni più complete che comprendono le componenti del business model, a tal proposito Chesbrough e Rosenbloom11 individuano le seguenti componenti: 

la creazione di valore;

il target di mercato;

la struttura interna della catena del valore;

la struttura dei costi e il modello dei ricavi;

il valore delle relazioni;

la strategia competitiva.

Durante la terza fase l’analisi del concetto diventa sempre più profonda e autori come Osterwalder e Pigneur12 individuano veri e propri “blocchi” di elementi, accuratamente descritti, all’interno dei quattro grandi pilastri del business model (Prodotto, Relazione con il cliente, Infrastruttura e Aspetti Finanziari). La quarta fase è caratterizzata dall’impegno di autori, come Gordijn13, che si spinge a definire i meta-models come un insieme di elementi e relazioni che

10

TIMMERS P. (1998), “Business Models for Eletronic Markets”, Journal on Eletronic Markets, vol.8, pp.3-8. 11

CHESBROUGH H., ROSENBLOOM R. S. (2000), The role of business model in capturing value from innovation: Evidence from Xerox Corporation’s Technology Spinoff Companies, Harvard Business School Press, Boston, pp.4-5. 12

OSTERWALDER A., PIGNEUR Y., TUCCI C. (2005), “Clarifying business models: origins, present, and future of the concept”, Communication of AIS, vol.15, pp. 17-18. 13

GORDIJN J. (2005), Comparing Two Business Model Ontologies for Designing e-Business Models and Value Constellations, 18th Bled eConference, pp.1-3.

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riflettono la complessità dei business models, dando la possibilità di formalizzare, analizzare e valutare i modelli in modo più rigoroso. Nella quinta fase, i modelli ipotizzati trovano applicazione nel campo del management attraverso adeguati strumenti. Infine, nell’ultima fase alcuni autori, come Onetti e Zucchella14, individuano per ogni impresa uno specifico business model, al fine di definire la strategia d’impresa. Figura 1.2. Le sei fasi dell’evoluzione del concetto di business model.

Fonte: Elaborazione propria.

1.2. DEFINIZIONE DEL BUSINESS MODEL L’elevato numero di definizioni relative al concetto di business model da parte dei vari autori, può creare confusione nella corretta interpretazione del concetto. Per tale motivo, può essere utile individuare tre categorie generali sulla base degli aspetti su cui è stata posta l’enfasi. In realtà, queste categorie rappresentano i livelli di una gerarchia nella quale la spiegazione del concetto

diventa più

esaustiva man mano che ci si sposta dal primo livello all’ultimo livello.

14

ONETTI A., ZUCCHELLA A. (2012), “Internationalization, innovation and enterpreneurship: Business models for a new technology-based firms”, Journal of Management and Governance, vol.16, pp.337-368.

9


Le suddette categorie/livelli sono:  I livello: Economico;  II livello: Operativo;  III livello: Strategico. Il livello Economico, il più elementare, definisce il business model esclusivamente in termini di modello economico d’impresa, legandolo alla logica di creazione di profitto. In questo livello, le variabili rilevanti includono le fonti di ricavo, i metodi di pricing, la struttura dei costi, i margini ed i volumi attesi. Autori come Stewart e Zhao definiscono il business model come “la rappresentazione del modo in cui un’impresa produce ricchezza e sostiene i profitti nel tempo”. 15 Il livello Operativo si riferisce ad una sorta di configurazione architettonica, in cui l’attenzione si basa sui processi interni e sulla progettazione dell’infrastruttura che consente all’impresa di creare valore. In questo secondo livello, le variabili rilevanti comprendono i metodi di produzione e di consegna, i processi amministrativi ed i flussi logistici. Mayo e Brown si riferiscono a questo tipo di livello quando definiscono il modello di business come “la progettazione di sistemi chiave indipendenti che sono in grado di creare e sostenere un business competitivo”.16 All’interno del livello Strategico ricadono, invece, le definizioni che enfatizzano la direzione generale dell’impresa verso il posizionamento di mercato, le interazioni con l’esterno e le opportunità di crescita. In questo caso, gli elementi decisivi sono rappresentati dall’identificazione degli stakeholder, dalla creazione di valore, dalla differenziazione, dalla visione e dalle alleanze. A questo proposito, Slywotsky si riferisce al business model come “l’insieme delle modalità con cui un’impresa seleziona i suoi clienti, definisce e differenzia la sua offerta, decide 15

STEWART D. W., ZHAO, Q. (2000), “Internet marketing, business models, and public policy”, J Public Policy Mark, vol.19, pp.287-296. 16

MAYO M. C., BROWN G. S. (1999), Bulding a competitive business model, Ivey Buiness Journal, vol.63, pp.18-23.

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quali funzioni mantenere all’interno dell’impresa e quali dare in outsourcing, entra sul mercato, crea utilità e genera profitti”. 17 Tra i vari livelli, quello strategico consente più di ogni altro di individuare le variabili chiave per creare un vantaggio competitivo sostenibile in un mercato ben definito. Infatti, attraverso un’analisi dei modelli di successo (Dell, Ikea, WalMart) si giunge alla conclusione che gli elementi che rendono questi modelli unici trascendono dall’architettura dell’impresa o da come essa genera i profitti. La letteratura inerente al business model appare un po’ confusa, in quanto non esiste una definizione puntuale del termine. A partire dal 1998, accademici e ricercatori hanno iniziato ad interessarsi circa l’impatto di Internet sui modelli di business tradizionali con lo scopo di arrivare a nuovi strumenti e chiavi di lettura. In realtà, i contributi raccolti sono incompleti poiché nessun autore è riuscito a proporre un approccio completo per lo studio del concetto di business model, che ne includa tutti gli aspetti, tra cui la definizione, l’individuazione dei componenti, una tassonomia di riferimento e la rappresentazione grafica. Esistono molteplici definizioni, alcune delle quali sono riportate nella Tabella 1.3., che prendono in considerazione diversi aspetti e racchiudono i punti di vista di alcuni dei maggiori autori di riferimento nella letteratura relativa al business model. Inizialmente, il modello di business è stato definito da diversi autori, che ispirandosi alla catena del valore di Porter, hanno studiato le diverse combinazioni possibili sia tra le attività primarie sia tra quelle secondarie suggerendo che l’insieme delle attività configurate dalle imprese può essere considerato il loro modello di business.

17

SLYWOTZKY A. J. (1996), Value migration, Harvard Business School Press, Boston, pp.5053.

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Un contributo importante all’interno di questo filone è dato da Joan Magretta, che si riferisce al business model come il modo in cui un’impresa lavora, o meglio come “una storia che spiega come le aziende lavorano”. 18 Secondo questa visione, la progettazione di un modello di business può essere paragonata all’invenzione di una storia: in un certo senso, tutte le nuove storie sono costruite sulle vecchie storie e si basano sugli stessi temi che caratterizzano tutte le esperienze umane. Allo stesso modo, tutti i nuovi modelli di business sono basati su una catena del valore che ha dei tratti in comune, almeno a livello generale, in ogni tipo di business. Inoltre, l’autore ipotizza che un nuovo modello di business può essere progettato su un nuovo prodotto che soddisfi un bisogno latente del mercato (innovazione di prodotto), oppure può essere basato su nuove modalità di creare un prodotto o servizio già esistente (innovazione di processo). Il business model, così come i metodi scientifici, deve partire dalla definizione di ipotesi, deve essere testato e tradotto in azioni concrete, ed eventualmente rivisto. Infatti, quando i managers sono chiaramente consapevoli del modo in cui deve funzionare il modello di business, sono in grado di valutare con attenzione eventuali feedback. In questo senso, i profitti sono importanti perché indicano se il modello sta lavorando come dovrebbe e nell’ipotesi in cui non riuscissimo a raggiungere i risultati attesi allora sarà necessario rivedere ed eventualmente ridefinire il modello di business. Magretta sottolinea l’importanza di una chiara definizione di modello di business da parte di ogni impresa, in modo tale che tutte le risorse umane siano allineate sul tipo di valore che l’impresa stessa intende creare. Le storie sono facili da ricordare ed utilizzarle per descrivere il modello aiuta coloro che compongono l’impresa a percepire correttamente il proprio lavoro, tenendo ben presente gli obiettivi che l’impresa intende raggiungere e adattando il proprio comportamento di conseguenza. Attraverso questa visione, un buon business model può diventare un potente strumento per migliorare l’esecuzione della strategia aziendale. 18

MAGRETTA J. (2002), “Why business models matter”, Harvard Business Review, vol.80, pp.86-92.

12


Tabella 1.3. Le definizioni di Business Model.

DEFINITION

PAPERS CITING THE DEFINITION

Timmers, 1998

The business model is “an architecture of the product, service and information flows, including a description of the various business actors and their roles; a description of the potential benefits for the various business actors; a description of the sources of revenues”(p.2).

Hedman & Kalling, 2003

Amit & Zott, 2001; Zott & Amit, 2010

The business model depicts “the content, structure, and governance of transactions designed so as to create value through the exploitation of business opportunities” (2001: 511). Based on the fact that transactions connect activities, the authors further evolved this definition to conceptualize a firm’s business model as a “system of interdependent activities that transcends the focal firm and spans its boundaries” (2010:216).

Hedman & Kalling, 2003; Morris, Schindehutte, & Allen, 2005; Zott & amit, 2007, 2008; Santos, Spector, & Van Der Heyden, 2009; Bock, Opsahl, & George, 2010

Chesbrough Rosenbloom, 2002

The business mode is “the heuristic logic that connects technical potential with the realization of economic value” (p.529).

Chesbrough, Ahern, Finn, & Guerraz, 2006; Chesbrough, 2007°, 2007b; Teece, 2007, 2010

Magretta, 2002

Business models are “stories that explain how enterprise work. A good business model answers Peter Druker’s age old question: Who is the customer? And what does the customer value? It also answers the fundamental questions every manager must ask: How do we make money in this business? What is the underlying economic logic that explains how we can deliver value to customersat an appropriate cost?” (p.4).

Seddon, Lewis, Freeman, & Shanks, 2004; Ojala & Tyrvainene, 2006; Demil & Lecocq, 2010

Johnson, Christensen, & Kagermann, 2008

Business models “consist of four interlocking elements, that, taken together, create and deliver value” (p.52).

Johnson Suskewicz, 2009

Casadesus-Masanell & Ricart, 2010

“A business model is… a reflection of the firm’s realized strategy” (p.195).

Hurt, 2008; BadenFuller & Morgan, 2010

Teece, 2010

“A business model articulates the logic, the data and other evidence that support a value proposition for the customer” (p.179).

Gambardella McGahan, 2010

AUTHORS, YEAR

&

&

&

Fonte: ZOTT C., AMIT R., MASSA L. (2011), “ The business model: recent developments and future research”, Journal of Management, vol. 37, pp. 1019–1042.

13


1.3. BUSINESS MODEL E STRATEGIA L’attenzione al concetto di business model, come già accennato, è un fenomeno recente e proprio per tale motivo il suo ruolo all’interno della struttura aziendale è oggetto di dibattito. Tra le questioni ancora aperte vi è la distinzione tra “business model” e “strategia”. Alcuni autori, tra cui Magretta19, utilizzano i due termini come sinonimi non soffermandosi sulla loro diversa natura. Chesbrough e Rosenbloom20, invece, evidenziano le differenze tra modello di business e strategia, indicando che il modello di business presta maggiore attenzione ai clienti e alle modalità di trasferimento del valore, mentre la strategia pone maggiore enfasi su problematiche quali la remunerazione degli stakeholder e le modalità di gestione della competizione nel settore. Dunque, secondo questa visione il modello di business rappresenta lo sviluppo concettuale e strutturale di una strategia, la quale include l’esecuzione e l’implementazione. Si sottolinea l’importanza della strategia in quanto, un business model forte può fallire nel raggiungimento dei suoi obiettivi, mentre un business model debole può avere successo grazie alle forti capacità di gestione ed implementazione. A supporto di tale distinzione vi è l’esempio secondo cui aziende che rispondono alle stesse esigenze dei clienti e perseguono analoghe strategie di posizionamento del prodotto possono avere modelli di business anche molto differenti tra loro. Il modello di business deve dunque essere integrato con una strategia che ne diviene un elemento costitutivo fondamentale. In questo senso, i due studiosi Ward e Peppard definiscono il modello di business come “l’insieme di strutture organizzative necessarie per implementare le strategie dell’impresa, in particolare esso costituisce una sorta di piano attraverso cui realizzare la struttura del business

19

MAGRETTA J. (2002), ”Why business models matter”, Harvard Business Review, vol.80, pp.86-92. 20

CHESBROUGH H., ROSENBLOOM R. S. (2000), The role of business model in capturing value from innovation: Evidence from Xerox Corporation’s Technology Spinoff Companies, Harvard Business School Press, Boston, pp.535-536.

14


e dei sistemi che costituiscono la forma operativa e fisica, assunta nel tempo dall’impresa”. 21 Secondo questa visione, esiste una relazione tra business model, strategia, organizzazione del business e tecnologia, denominata da Osterwalder, Pigneur e Tucci22 come il “business triangle”. In questa rappresentazione, il modello di business è considerato uno strumento di implementazione della strategia e rappresenta il fondamento per i processi di business e gli information systems. Il business model è in grado di migliorare l’allineamento della strategia, dell’organizzazione e della tecnologia. Figura 1.4. Il business triangle.

Fonte: OSTERWALDER, A., PIGNEUR, Y., TUCCI, C. (2005), “Clarifying business models: origins, present, and future of the concept”, Communication of AIS, vol.15, p.15.

Come mostra la Figura 1.4., queste relazioni sono soggette a pressioni esterne che impongono una continua ridefinizione del modello di business, alcune di queste sono: 

forze competitive presenti sul mercato;

mutamenti sociali e tecnologici;

21

DOMINICI G. (2009), “Modelli di e-business: Ontologia e tassonomica della ricerca”, Annali Facoltà di Economia, Università di Palermo, pp. 5-7. 22

OSTERWALDER A., PIGNEUR Y., TUCCI C. (2005), “Clarifying business models: origins, present, and future of the concept”, Communication of AIS, vol.15, pp. 17-18.

15


la domanda dei consumatori e le loro opinioni;

il contesto giuridico.

In particolare, l’approccio di Onetti e Zucchella23 definisce il business model e la strategia come aspetti complementari che agiscono a livelli aziendali diversi. La strategia definisce gli ambiti di azione dell’impresa mentre il business model delinea le modalità con cui l’impresa attua la sua strategia in modo da creare valore. Secondo questa visione, il business model rappresenta un supporto all’implementazione della strategia aziendale. Essi individuano anche gli elementi fondamentali del business model: Focus (allocazione delle risorse), Locus (localizzazione delle diverse attività) e Modus (sviluppo interno/outsourcing delle attività). 1.4. LE COMPONENTI DEL BUSINESS MODEL Quando parliamo di business model, visto l’ampio utilizzo del termine, potremmo riferirci a tre concetti distinti: le componenti del business model, i veri e propri modelli operativi ed i change models. Un modello di business, in senso stretto, è la logica di base dell’organizzazione per la creazione di valore. Un change model rappresenta invece la base per i cambiamenti che un’impresa affronta nel tempo in modo tale da rendere profittevole il business. Ciò che accade spesso nella letteratura consiste nell’identificare i modelli di business con quelle che dovrebbero essere le sue componenti, quando in realtà esse non sono veri e propri business model, ma solo una parte, seppur importante, di essi. A partire dall’avvento di Internet sul modo in cui le imprese raggiungono i consumatori, stabiliscono i prezzi e personalizzano l’esperienza di consumo, si è posta maggiore attenzione sulle nuove value propositions, sulle nuove

23

ONETTI A., ZUCCHELLA A. (2012), “Internationalization, innovation and enterpreneurship: Business models for a new technology-based firms”, Journal of Management and Governance, vol.16, pp.337-368.

16


configurazione di canale e sui nuovi modelli di ricavo, portando a definirli impropriamente come modelli di business. Esistono diversi approcci per definire le componenti del business model, i principali sono:  scomporre un’iniziativa di business in diversi livelli di analisi, dal più generale al più concreto ed identificare le componenti primarie per ciascun livello di analisi (Weill e Vitale)24;  scomporre il business model in sotto-modelli che riuniti formano un business model (Petrovic, Kittl e Teksten)25;  identificare i principali componenti di un business model e scomporli in sotto-componenti (Osterwalder e Pigneur);  individuare le dimensioni verticali ed orizzontali del business model (Alt e Zimmermann)26. Tra i vari approcci, il più intuitivo ed efficace è stato introdotto da Osterwalder e Pigneur. Secondo tale approccio, esistono quattro pilastri, da cui ne derivano altri nove a loro volta scomponibili in

elementi di dettaglio, i quali possiedono

determinate relazioni. Questi pilastri racchiudono i punti di vista richiamati con maggiore frequenza dagli altri autori tralasciando gli elementi menzionati da un solo autore come il Capital Model ed il Market Model di Petrovic, Kittl e Teksten27. Inoltre, questa scomposizione non tiene conto degli elementi che sono legati all’implementazione 24

WEILL P., VITALE M. R. (2001), Place to space: migrating to eBusiness models, Harvard Business School Press, Boston, pp.55-57. 25

DOMINICI G. (2012), “E-business model: a content based taxonomy of literature”, International Journal of Management and Administrative Sciences, vol.1, pp.5-6. 26

ALT R., ZIMMERMANN H. D. (2001), “ Introduction to special section on business models”, Electronic Market, vol.11, pp.3-9. 27

“Capital Model describes the logic of how financial sourcing occurs to create a debt and equity structure, and how that money is utilized with respect to assets and liabilities, over time.”; “Market Model describes the logic of choosing a relevant environment in which the business operates”. PETROVIC O., KLITT C., TEKSTEN R. D. (2001), “Developing Business models for eBusiness”, International Electronic Commerce Conference, Vienna, Austria, p.2.

17


del modello di business, poiché essi non sono parte integrante di esso, ma fanno parte della sua esecuzione. L’obiettivo di questa scomposizione è quello di creare un linguaggio comune e condiviso all’interno della comunità scientifica da utilizzare nel dibattito sui business model. I quattro pilastri principali sono rappresentati da: 1. Prodotto/Offerta: Il prodotto deve essere tale da offrire al cliente una value proposition adeguata, dando una visione d’insieme del pacchetto di prodotti/servizi offerti dall’impresa. 2. Cliente: La relazione con il cliente deve essere tale da coinvolgere il più possibile il cliente nel processo di acquisto in modo da lasciare un ricordo positivo nella sua mente. Al suo interno possiamo distinguere altri tre sotto-blocchi: a) Il target di mercato: descrive i segmenti di consumatori ai quali l’impresa vuole offrire la propria value proposition; b) I canali della distribuzione: descrivono i vari significati che l’impresa vuole trasmettere quando entra in contatto con i propri clienti; c) La tipologia di legame: che si stabilisce tra l’impresa e i segmenti di consumatori. 3. Infrastruttura: La struttura attraverso cui si diffonde valore è suddivisa al suo interno nei seguenti elementi: a) La configurazione del valore che descrive la combinazione delle attività e delle risorse volta a creare valore;

18


b) Le competenze chiave necessarie per rendere esecutivo un modello di business; c) Le partnership necessarie per offrire maggior valore. 4. Sfera finanziaria: La fattibilità finanziaria ha una posizione trasversale poiché è influenzata dalle scelte operate nelle tre aree precedenti. Al suo interno si distinguono: a) La struttura dei costi: riassume le conseguenze monetarie dei mezzi impiegati nel modello di business; b) La struttura dei ricavi: descrive il modo in cui un’impresa genera flussi di ricavi. Mentre Osterwalder e Pigneur individuano con precisione i blocchi che compongono il modello di business, Alt e Zimmermann28 definiscono due dimensioni: la prima composta dai principali componenti di un business model e la seconda che comprende le componenti sottostanti, costituite dal contesto giuridico e tecnologico. Le dimensioni possono essere rappresentate su un piano cartesiano, nel quale la dimensione orizzontale è costituita dalle componenti primarie, mentre la dimensione verticale si identifica con il contesto tecnologico e giuridico. La dimensione orizzontale è composta da quattro elementi:  La mission, la quale rappesenta uno degli elementi più delicati del business model poiché identifica gli obiettivi strategici;  La struttura che determina i ruoli e gli attori inclusi in una Business Community, i prodotti e i consumatori su cui l’impresa si focalizza;

28

ALT R., ZIMMERMANN H. D. (2001), “ Introduction to special section on business models”, Electronic Market, vol.11, pp.3-9.

19


 I processi, i quali forniscono una visione più dettagliata sulla mission e sulla struttura del business model, mostrando gli elementi del processo di creazione di valore;  I ricavi e l’importanza di analizzare con cura le fonti di ricavo e gli investimenti necessari. La dimensione verticale include:  Il contesto giuridico: deve essere monitorato poiché questioni legali potrebbero influenzare la visione generale d’impresa;  Il contesto tecnologico: può essere un fattore abilitante per cui si deve tener conto delle evoluzioni tecnologiche in corso e del loro impatto sul modello di business. Questo approccio, è semplice ma altrettanto efficace perché individua le variabili chiave da considerare nella progettazione di un modello di business senza tralasciare il contesto in cui opera l’impresa, che deve essere continuamente monitorato in modo tale che il modello risulti allineato con il contesto stesso. Un ulteriore approccio, richiamato da diversi autori, è quello di Petrovic e Klittl, secondo i quali il business model descrive la logica del sistema di business che si trova alla base dei processi ed è finalizzata alla creazione di valore. 29 I due autori individuano sette modelli di business:  Value Model: descrive la logica secondo cui i prodotti, i servizi e le esperienze vengono trasmessi ai consumatori;  Resource Model: descrive in che modo gli elementi sono necessari per i processi di trasformazione e come procurare le quantità richieste;

29

PETROVIC O., KLITT C., TEKSTEN R. D. (2001), “Developing Business models for eBusiness”, International Electronic Commerce Conference, Vienna, Austria, pp.2-3.

20


 Production Model: descrive la logica secondo la quale i vari elementi vengono combinati nei processi di trasformazione dalla materia prima al prodotto finito;  Customer Relation Model: si riferisce alle modalità con cui contattare, servire e mantenere una relazione stabile e duratura con i clienti e si scompone in tre sotto-modelli: Distribution Model, Marketing Model e Service Model;  Revenue Model: descrive come, quando, perché l’impresa ottiene un ritorno dalla vendita di prodotti o servizi;  Capital Model: indica le modalità con cui utilizzare le risorse finanziarie nel rispetto della struttura finanziaria dell’impresa;  Market Model: descrive il metodo di scelta dei mercati in cui l’impresa decide di investire. Alcuni autori, come Kakihara30, non propongono una vera e propria classificazione, ma piuttosto una critica alla mancanza di dinamicità dei business models proposti dalla maggior parte degli autori che hanno studiato questo fenomeno. Kakihara rivolge loro l’accusa di adottare una prospettiva statica che non tiene conto dei cambiamenti cui sono sottoposti i business models, che di fatto operano all’interno di un ambiente competitivo in continuo mutamento. Il business model dovrebbe invece adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente, attraverso l’innovazione tecnologica, la ridefinizione continua della mission, degli obiettivi e delle strategie aziendali. 1.5. I MODELLI DI CAMBIAMENTO Linder e Cantrell introducono il concetto di modello di cambiamento che descrive il modo in cui un’impresa si adatta in un ambiente dinamico. Un modello di cambiamento è la base per i cambiamenti che un’impresa affronta nel tempo in 30

SAVARESE F., PILOTTI L., BELUSSI F. (2012), “Business model emergenti: dalla gestione della complessità alle ecologie del valore”, Dipartimento di scienze economiche aziendali e statistiche, Università degli studi di Milano, Working Paper n. 2012-06, p.27-28.

21


modo tale da rendere profittevole il business. I modelli di business operativi creano asset chiave, competenze, relazioni e conoscenze ed i modelli di cambiamento estendono e sfruttano al meglio queste competenze chiave. I modelli di cambiamento partono dal presupposto che i modelli di business subiscono costantemente forti pressioni dall’esterno che li conducono al cambiamento, per tale ragione sarebbe errato definire il business model come un concetto statico. I cambiamenti legati all’innovazione tecnologica, al contesto giuridico, alle mosse dei competitors oppure ai gusti dei consumatori possono indebolire la redditività di un modello di business operativo. In risposta, le imprese modificano o rinnovano totalmente i loro modelli di business in una diversi modi. Le imprese possono cambiare il loro modello di business in maniera frenetica e senza una direzione ben precisa oppure possono seguire un percorso tracciato accuratamente per dare vita al cambiamento, affidandosi ai modelli di cambiamento. La classificazione introdotta da Linder e Cantrell31 identifica quattro tipi fondamentali di modelli di cambiamento utilizzati dalle imprese: il modello di realizzazione, il modello di rinnovo, il modello di estensione ed il modello di viaggio. I realization models sono utilizzati dalle imprese per massimizzare i ritorni del modello esistente, sfruttandone al meglio le potenzialità, al fine di crescere e trarre profitto. Di tutti i modelli di cambiamento, questo modello rappresenta quello con la minima variazione effettiva. Molte delle aziende Dot-com intervistate da Linder e Cantrell avevano utilizzato i modelli di realizzazione, anticipando l'espansione geografica e la crescita della loro base clienti, senza apportare cambiamenti sostanziali nei loro modelli di business. I cambiamenti relativi a questo modello si possono realizzare attraverso l’estensione della linea di prodotto, l’espansione territoriale, la penetrazione di mercato, canali di vendita e servizi aggiuntivi.

31

LINDER J., CANTRELL S. (2000), Changing Business Models: surveying the landscape, Institute for strategic change, Accenture, pp.10-13.

22


I renewal models consentono alle imprese di rivitalizzare in maniera consistente e consapevole i loro prodotti, servizi, marchi, la struttura dei costi e le basi tecnologiche per contrastare le forze competitive naturali che portano all’erosione dei margini. Questi modelli possono essere attuati attraverso l’offerta di nuovi servizi e nuovi marchi, servendo mercati inesplorati o dando vita a discontinuità tecnologiche in grado di attirare un maggior numero di consumatori. Gli extention models danno vita all’espansione del modello d’impresa per coprire nuove aree ed includere nuovi mercati, nuove funzioni della catena del valore, nuovi prodotti o servizi. Quest’espansione può essere realizzata anche attraverso forme di integrazione, in modo tale che le nuove linee di business non sostituiscano quelle esistenti, ma si sommino ad esse. I journey models, a differenza dei precedenti, conducono l’impresa ad un nuovo modello di business, rappresentando quindi il modello che implica il massimo grado di cambiamento. L’impresa, una volta intrapreso questo percorso di cambiamento non farà più ritorno al vecchio modello, così come le imprese globalizzate non torneranno più alla realtà locale che le aveva caratterizzate prima dell’apertura ai mercati globali. Figura 1.5. I modelli di cambiamento.

Fonte: LINDER J., CANTRELL S. (2000), Changing Business Models: surveying the landscape, Institute for strategic change, Accenture, p.13.

23


Sulla base di quanto riportato precedentemente, il journey model è l’unico a collocarsi completamente tra quei modelli che inducono alla sostituzione del vecchio modello di business, mentre il realization model ed il renewal model comportano solo alcune modifiche del modello di business esistente. Il grado di cambiamento di ciascun modello può essere rappresentato sulla base del cambiamento o meno del business model e della sua logica di base come mostra la Figura 1.5. 1.6. L’IMPORTANZA DELLA CHIARA DEFINIZIONE DEL CONCETTO La diffusione crescente del concetto di business model è legata al suo ruolo, infatti un buon business model può rappresentare un potente strumento per migliorare l’esecuzione della strategia aziendale, aumentando le probabilità di ottenere risultati positivi in termini di profitto e di immagine. Prima ancora di trovare applicazione, un business model deve essere definito in modo chiaro, consentendo a tutta la struttura aziendale di averne una chiara visione, questa rappresenta la condizione essenziale affinché i flussi informativi, esterni ed interni all’organizzazione, viaggino correttamente. Le funzioni attribuite alla chiara definizione del modello di business possono essere ricondotte a cinque categorie: comprensione e condivisione, analisi, gestione, prospettive e protezione del modello di business. La comprensione e la condivisione del modello di business consentono di catturare, rappresentare, conoscere e condividere la logica sottostante il business. In molti casi, gli attori dell’impresa non sono in grado di comunicare in modo chiaro il proprio business model, ma un concetto generale e condiviso è necessario per non perdere di vista gli obiettivi dell’impresa. La rappresentazione grafica del modello di business consente all’impresa di migliorare la comprensione e gestire con successo le situazioni in cui il grado di complessità aumenta, vista la difficoltà dell’uomo nel gestire informazioni complesse come quelle relative al business model.

24


Seguendo quanto appena detto, sarà possibile comunicare e condividere questa conoscenza con gli altri soggetti interessati attraverso la formalizzazione del modello di business, aiutando i managers a comunicare e condividere la loro comprensione del modello. Questo aspetto è particolarmente importante quando si tratta di un dialogo tra persone con diversi background, come managers e architetti di sistemi e ingegneri. Attraverso la chiara definizione del concetto di business model si può dar vita ad un’analisi che consente di migliorare la misurazione, l’osservazione e il confronto dei risultati prodotti dal proprio modello di business. In questo modo, si potranno individuare le misure rilevanti per migliorare il modello e facilitare la scelta degli indicatori in grado di monitorare l’implementazione della strategia. Inoltre, avere una chiara rappresentazione del proprio modello di business consente alle imprese di comparare il proprio modello con quello dei propri competitors, fornendo nuovi spunti per l’innovazione del proprio business. Il concetto di business model aiuta a comprendere la progettazione, il cambiamento e l’implementazione del modello stesso, in modo tale che le imprese possano reagire prontamente ai cambiamenti dell’ambiente che le circonda. In particolare, i managers analizzano l’adeguatezza dell’attuale modello alle pressioni ambientali e lo ridefiniscono, in questo modo il nuovo modello diventa un obiettivo da raggiungere e guida la pianificazione ed il cambiamento. I modelli di business descrivono i possibili scenari futuri dell’impresa, aiutando a promuovere l’innovazione e consentendo ai managers di essere più preparati al futuro grazie alla possibilità di simulare e testare il modello di business. Allen32 suggerisce di creare un portafoglio di modelli di business, in modo tale che l’impresa abbia a disposizione diverse alternative per far fronte ai cambiamenti futuri. Inoltre, avendo una chiara visione del proprio modello di business è possibile proteggerlo attraverso la brevettazione, come ha fatto Priceline.com, la quale ha brevettato il meccanismo di pricing dell'asta inversa, garantendosi di fatto la titolarità esclusiva del suo modello di business.

32

ALLEN P. M. (2001), “ A complex systems approach to learning in adaptive networks”, International Journal of Innovation Management, vol.5, pp. 149-180

25


Osterwalde e Pigneur, riprendendo i punti di vista di altri autori, riassumono in cinque punti fondamentali le ragioni per le quali è necessaria una chiara definizione del proprio business model:  Il processo di modellizzazione aiuta a comprendere e identificare gli elementi rilevanti del modello di business e le loro interrelazioni;  L’uso di modelli di business formalizzati aiuta i managers a comunicare più facilmente e a condividere con gli stakeholdes le proprie intuizioni sul futuro del business;  Il processo di mappatura consente di apportare più facilmente dei cambiamenti al modello adottato;  La formalizzazione può essere uno strumento basilare per individuare le strategie da adottare in un business model;  La modellizzazione aiuta i managers a confrontarsi meglio con possibili scenari,

simulando

scelte

strategiche

senza

per

questo

intaccare

l’organizzazione. 1.7. ESEMPI DI BUSINESS MODEL Di seguito vengono proposti due casi in cui il business model viene chiaramente definito e reso accessibile a tutti coloro che ne fossero interessati attraverso il sito web. 1.7.1. UNICREDIT BUSINESS MODEL Il modello di business di UniCredit è incentrato sui seguenti principi:33 

mantenimento delle Divisioni/ funzioni cd. "globali" (Corporate Investment Banking e Global Banking Service) che consentono al Gruppo di mantenere e accrescere un vantaggio competitivo in termini di costi e competenze, prevedendo comunque per la Divisione CIB una rifocalizzazione su clienti

33

UNICREDIT (2013), disponibile su www.unicredit.it.

26


singolarmente selezionati che hanno elevato fabbisogno di prodotti di "Investment Banking"; 

maggiore responsabilità ai Paesi/Banche locali, rafforzandone l'autonomia e le leve decisionali al fine di garantire maggiore vicinanza al cliente e processi decisionali più rapidi (gestione diretta di attività di marketing e di specifici business);

conferma del ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo della Capogruppo, in particolare per quanto riguarda i controlli interni, la supervisione dei processi chiave per il Gruppo e il coordinamento globale di alcune funzioni (CFO, CRO e Legal & Compliance).

1.7.2. BANCA GENERALI BUSINESS MODEL Il modello di business di Banca Generali si fonda sull'offerta di un'ampia varietà di prodotti finanziari che includono anche quelli di società terze, secondo il modello di architettura aperta. L'offerta internazionale, unita al servizio di consulenza qualificata permette ai clienti di scegliere i prodotti che meglio rispondono alle loro esigenze e caratteristiche.34 Banca Generali ha deciso di introdurre anche in Italia questo modello, saldamente affermato nei mercati finanziari più evoluti al mondo, come gli Stati Uniti. All'interno di questa visione generale, quattro caratteristiche chiave identificano l'approccio al business del Gruppo Banca Generali: 

Offrire, attraverso i propri Financial Planner e Private Banker, servizi di consulenza professionali, che consentano di individuare e anticipare i bisogni finanziari di lungo periodo dei clienti;

Concentrare la distribuzione sul ruolo del Financial Planner/Private Banker, il quale è così in grado di offrire un servizio di consulenza professionale e continuativo su tutto il territorio nazionale;

34

BANCA GENERALI (2013) disponibile su www.bancagenerali.com.

27


Mettere a disposizione un'offerta completa di prodotti e servizi di investimento sia del Gruppo sia delle migliori Case a livello internazionale;

Sfruttare al meglio il potenziale del marchio Generali.

Il Gruppo Banca Generali ha due reti dedicate alle differenti tipologie di clientela, per rispecchiare le diverse esigenze dei propri clienti, superando l'approccio indifferenziato al mercato: 

La rete di Financial Planner di Banca Generali provvede alle esigenze della clientela affluent;

La struttura di Banca Generali Private Banking è al servizio della clientela Private.

Tale modello di business può essere rappresentato come segue: Figura 1.6. Il Business Model di Banca Generali.

Fonte:

BANCA

GENERALI

(2013),

28

disponibile

su

www.bancagenerali.com.


CAPITOLO 2 − L’ E-BUSINESS MODEL Introduzione Nel corso degli ultimi anni, i modelli di business di molte imprese sono stati oggetto di un processo di trasformazione scatenato dall’impatto di internet e delle information technologies sui settori industriali. Tale processo ha condotto le imprese a cambiare il proprio modello tradizionale in un modello di business basato sulle tecnologie digitali, un e-business model. Questa trasformazione genera cambiamenti, spesso irreversibili, ai modelli di business ed è stata avviata dalle imprese con tempistiche e modalità diverse producendo risultati talvolta contrastanti. Dall’analisi di questo processo di trasformazione emerge l’importanza delle information technologies come elemento di supporto essenziale per diversi aspetti dell’impresa, come la gestione, la sostenibilità e la crescita delle attività. Infatti, tali tecnologie possiedono la capacità di rendere più efficienti i processi produttivi, la gestione, lo sviluppo, il trasferimento dei flussi informativi e le relazioni. Queste potenzialità delle information technologies le rendono indispensabili per le imprese, creando una dipendenza che rende più vulnerabile l’impresa quanto più complessa è la tecnologia utilizzata e l’ambiente in cui opera l’impresa. Per tale motivo, è necessario costituire una struttura organizzativa e formulare alcune regole in grado di garantire l’allineamento tra le strategie IT e gli obiettivi aziendali. Prima di entrare nel merito dei e-business models e della loro evoluzione nel tempo può essere utile soffermarsi sulla corretta definizione del tipo di economia nel periodo attuale. Non si discute la certezza del passaggio dalla old economy, basata sulla siderurgia e sul settore automobilistico, alla new economy dove internet diventa acceleratore e promotore del cambiamento conducendo alla nascita delle dot-com, ossia le imprese in cui la maggior parte del giro d’affari si basa sul web. Nonostante il crollo in borsa delle dot-com, avvenuto all’inizio dell’era digitale, sono poche le imprese che successivamente hanno ridotto gli investimenti in nuove tecnologie. Si discute piuttosto sull’ ulteriore passaggio che ha portato all’abbandono della new economy, in quanto il nuovo che aveva

29


caratterizzato la fase inziale delle rivoluzione di internet, oggi, risulta difficile da individuare. Infatti, dalla dot-com bubble si è compreso che il nuovo paradigma non può funzionare senza le solide basi dell’economia tradizionale. Kotler1 suggerisce che oggi le imprese stanno affrontando una situazione ibrida, a metà strada tra la old e la new economy, in cui il mercato online si affianca a quello tradizionale. Il modello attuale potrebbe essere definito come digital economy2, essa comprende le information and communication technologies, l’e-commerce, la distribuzione elettronica dei servizi, di software e di informazioni e le soluzioni di business in genere. L’economia digitale ha prodotto cambiamenti irreversibili, per cui le imprese hanno iniziato un processo di riorganizzazione delle strutture aziendali per la realizzazione di strategie che consentano loro di rimanere competitive sul mercato. L’economia digitale risponde anche alle esigenze di un’economia basata sulla rete, il cui vantaggio si basa sull’importanza del network fra le imprese, valorizzando il livello relazionale della rivoluzione in corso. 2.1. L’EVOLUZIONE VERSO L’ E-BUSINESS MODEL Come già accennato, Internet e le tecnologie di rete hanno modificato in maniera significativa la struttura e le modalità di gestione delle imprese, fermo restando le basi imprescindibili dell’economia tradizionale. Il passaggio verso i modelli di ebusiness si è avviato grazie ai pionieri di internet che hanno rivoluzionato i propri modelli in un ambiente caratterizzato da imprese internet-based (Amazoon, Ebay, Dell) e da imprese che affiancavano internet ai canali di distribuzione tradizionali (Feltrinelli, HP). Questa trasformazione ha dato vita, inizialmente, a numerosi fallimenti, la cui ragione risiede per alcuni nell’elevata rischiosità degli investimenti, per altri nella scarsa chiarezza degli obiettivi e del modello utilizzato. A sostegno di questo secondo filone, vi è il caso Netscape che si è scontrato con il gigante Microsoft, nella cosiddetta “guerra tra browser” che ha caratterizzato gli anni ’90. Inizialmente, Netscape possedeva Netscape Navigator, il browser più utilizzato ed 1

DOMINICI G. (2009), E-Marketing: Analisi dei cambiamenti dai modelli di business al mix operativo, Franco Angeli, Milano, pp. 9-10.

30


in grado perfino di battere Microsoft, rappresentando per diversi anni il browser di riferimento degli utenti di internet, probabilmente anche per la mancanza di valide alternative. Il successo di Netscape ha risvegliato il gigante, rimasto ancorato al vecchio mondo del software, che ha iniziato ad utilizzare tutte le sue armi per riprendere possesso del mercato. Microsoft aveva a disposizione una maggiore possibilità di investimento che le consentiva di investire in nuove tecnologie, oltre alle economie di rete e di apprendimento che aveva sviluppato negli anni. In questo modo la popolarità e la diffusione di Intenet Explorer iniziarono ad aumentare vertiginosamente, ed è proprio qui che Netscape ha compiuto l’errore che l’ha condotta al fallimento, ha infatti posto poca attenzione sulla mancanza di chiarezza del proprio modello di business che non era abbastanza solido da supportare lo sviluppo di nuovi prodotti. Nel 2010, il quotidiano La Repubblica annuncia la chiusura di Netscape e lo definisce come “un software morto da anni” 3

, da quando è entrato sul mercato il prodotto di Microsoft, Internet Explorer.

Weill e Vitale4 stabiliscono che per intraprendere un’iniziativa di e-business occorre considerare due forme di convergenza: una tecnologica e una delle risorse. In un e-business model diverse tecnologie (internet, i browser, gli URL, i personal computer) convergono, consentendo di essere connessi alla rete e di comunicare in rete con un basso investimento iniziale. La convergenza delle risorse si riferisce alle risorse interne ed esterne all’impresa necessarie per concretizzare le relazioni tra imprese, fornitori e clienti. E’ interessante notare come esista una comune tendenza a confondere l’ecommerce con l’e-business model, quando in realtà sono due concetti diversi ma comunque legati l’uno all’altro. Questa confusione è dovuta principalmente al fatto che inizialmente, le imprese che puntavano sull’applicazione delle tecnologie digitali erano incentrate prevalentemente sull’e-commerce. Esso rappresenta però solo uno degli aspetti dell’e-business model, o meglio un suo sottosistema che consente ai clienti di acquistare beni e servizi prodotti dall’impresa tramite 3

CACCAVELLA F. (2010), “Netscape è arrivato al capolinea e i suoi nipotini sono in salute”, La Repubblica. 4

WEILL P., VITALE M. R. (2001), Place to space, migration to e-business models, Harvard Business School Press, Boston, pp.31-32.

31


transazioni on-line. Alla luce di ciò, la relazione tra e-commerce ed e-business può essere rappresentata come segue. Figura 2.1. La relazione tra e-commerce e e-business.

Fonte: DOMINICI G. (2009), “Modelli di e-business: Ontologia e tassonomica della ricerca”, Annali Facoltà di Economia, Università di Palermo, p.14.

L’e-commerce ha rappresentato lo strumento di partenza attraverso il quale molte imprese hanno intrapreso il processo di cambiamento verso l’e-business model. Ciò che ha trasformato l’e-commerce in e-business è l’attenzione al dialogo interattivo con la propria clientela e con i propri fornitori. Con la crescente importanza assunta dall’e-commerce emerge la volontà delle imprese e degli individui di utilizzare internet per le transazioni commerciali, grazie all’introduzione di servizi di pagamento elettronico tramite carta di credito e sistemi di sicurezza che hanno facilitato il trasferimento di denaro e le transazioni finanziarie. 2.2. L’ECONOMIA TRADIZIONALE RIVISTA IN CHIAVE MODERNA Nella digital economy, è necessario integrare due aspetti apparentemente in contrasto, le tecnologie e l’economia tradizionale, in quanto non è possibile prescindere né da un pensiero internet-oriented né dalle capacità manageriali tradizionali. Porter, suggerisce di ritornare ai principi fondamentali delle teoria dell’impresa, come ad esempio il vantaggio competitivo. Il ritorno ai principi dell’economia tradizionale può essere utile ma solo se questi principi vengono 32


rivisti e riadattati sulla base dell’impatto di Intenet sulla struttura dell’impresa e sui concorrenti. Nel 2001, Porter5 fornisce una rappresentazione dell’impatto di internet sulla struttura dell’impresa e della concorrenza, riproponendo il modello delle 5 forze al quale vengono apportate alcune modifiche (Figura 2.2). Internet ha consentito di riconfigurare la struttura delle industrie che si trovano in difficoltà, ad esempio a causa dei costi elevati, mantenendo comunque un rapporto parallelo con uno dei concetti chiave dell’economia tradizionale, il modello delle cinque forze di Porter. Figura 2.2. Come Internet influenza la struttura d’impresa.

Fonte: PORTER M. (2001), “Strategy and the Internet”, Harvard Business Review, p.5.

Con l’avvento delle nuove tecnologie, le imprese possono competere sul mercato creando la propria rete di partners a livello globale e seguire due strategie, entrambe abilitate dall’introduzione di nuove tecnologie e competenze: da un lato, la conquista di nuovi mercati attraverso l’espansione geografica, e dall’altro, la 5

PORTER M. (2001), “Strategy and the Internet”, Harvard Business Review, pp.4-6.

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riduzione dei costi grazie all’adozione delle nuove tecnologie. Questo dimostra il forte impatto delle ICT sulle imprese e sul loro modo di operare. Seguendo questo approccio, un altro pilastro dell’economia tradizionale può essere ridefinito sulla base delle nuove tecnologie. La catena del valore è un concetto chiave per comprendere ed analizzare come l’impresa possa raggiungere un vantaggio competitivo, anche con l’utilizzo di un e-business model. Porter definisce la catena del valore come un insieme di attività economiche interrelate tra loro, che scinde in attività primarie (logistica in entrata, attività operative, logistica in uscita, marketing e vendite, servizi) ed attività di supporto (attività infrastrutturali, gestione delle risorse umane, sviluppo della tecnologia, approvvigionamento). L’e-business impone una ridefinizione della catena in quanto influenza le attività svolte all’interno dell’impresa e le relazioni esterne con i vari portatori di interesse. L’e-business, ad esempio, crea valore per i clienti poiché consente una più rapida interazione tra essi e l’impresa, velocizzando anche le transazioni tra partner ed il trasferimento delle informazioni. Dunque, la catena del valore rappresenta tutt’ora un importante strumento per valutare tutte le attività svolte all’interno dell’impresa e la struttura dei costi e ricavi, ogni attività deve però essere ridefinita alla luce delle information technologies che influenzano sia le attività primarie sia quelle di supporto. Nella Figura 2.3. è rappresentata una riconfigurazione della catena del valore che considera l’impatto delle nuove tecnologie sulle attività dell’impresa. Alcuni cambiamenti importanti riguardano l’attività di marketing, con l’utilizzo di nuove tecniche (vendita on-line e personalizzazione dell’offerta), l’attività di logistica con la possibilità per il cliente di avere accesso online allo stato del suo ordine, l’attività di gestione delle risorse umane con l’utilizzo di training on-line. Attraverso l’adozione delle information technologies si è abbandonata, anche se non del tutto, la logica di successione sequenziale delle attività per la creazione del valore. Ciò si è verificato perché le varie fasi del processo produttivo non sempre avvengono all’interno dell’impresa, poiché le tecnologie hanno facilitato l’outsourcing, attraverso il quale il valore viene creato mediante attività che 34


possono lavorare in parallelo e non necessariamente in modo sequenziale. Si passa così dalla produzione sequenziale alla produzione reticolare, o come definiscono diversi autori dalla catena del valore alla “rete del valore”6, in cui la collaborazione con gli altri attori permette di creare valore. Figura 2.3. La riconfigurazione della catena del valore.

Fonte: Elaborazione propria.

2.3. GLI STADI DI ADOZIONE DELL’ E-BUSINESS MODEL Nonostante la rapida adozione delle information technologies non tutte le imprese sono presenti sul web, esistono infatti diversi stadi di adozione dell’ e-business model sulla base del grado di utilizzo delle nuove tecnologie. 6

BITRAN G., BASSETTI P., ROMANO G. (2003), “Supply Chains and Value Networks: The factors driving change and their implications fo competition in the industrial sector”, MIT Center for e-business, Research Brief n.3, August

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Figura 2.4. I sei stadi di adozione dell’e-business model.

Fonte: Elaborazione propria.

McKay, Marshall e Pranato7 hanno individuato sei diversi stadi:  PRIMO STADIO: Nessuna presenza In questo primo stadio l’elemento caratterizzante è l’assenza del business su internet, anche se in genere si tratta di una strategia “wait and see”, che consiste nell’attesa al fine di monitorare il comportamento dei concorrenti e di ridurre l’incertezza relativa all’adozione dell’e-commerce. Ad oggi, le imprese che si trovano in questo stadio di adozione sono perlopiù le piccole imprese caratterizzate in prevalenza da un mercato locale.  SECONDO STADIO: Presenza online statica Il secondo stadio è caratterizzato da una presenza iniziale sul web in forma statica, in cui prevale un’informazione unidirezionale che mira a comunicare contatti, prodotti e servizi offerti, fornendo una sorta di opuscolo elettronico. In questo caso, la presenza online viene utilizzata semplicemente per presentare prodotti e servizi che vengono scambiati attraverso i canali tradizionali.  TERZO STADIO: Presenza online interattiva 7

McKAY J., MARSHALLP., PRANATO A. (2000), “Stages of maturity for e-business: the SOGe model”, 4th Pacific Australia Conference of Information System (PACIS), Hong Kong, China.

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In questo stadio l’impresa inizia un processo elementare di interazione con i clienti e i fornitori tramite internet. Internet non è solo più un mezzo per comunicare maggiori informazioni ai clienti, ma anche per acquisire informazioni sui bisogni degli utenti, attraverso strumenti come il monitoraggio del loro percorso all’interno del sito, la registrazione online e la possibilità di inviare e-mail direttamente all’impresa. Questi strumenti hanno lo scopo di migliorare l’offerta internet ed avvicinare maggiormente il cliente all’impresa, sfruttando il concetto chiave della digital economy, ossia la rete. Le imprese iniziano ad aprirsi alle transazioni online, consentendo agli utenti l’acquisto online, senza però che la transazione venga conclusa interamente via internet, ad esempio sarà consentito effettuare una prenotazione online ma la transazione economica avverrà attraverso strumenti finanziari tradizionali (bonifico, bollettino postale).  QUARTO STADIO: E-commerce Il quarto stadio è caratterizzato dalla capacità delle imprese di compiere l’intera transazione commerciale su internet, dall’ordine al pagamento. Le transazioni commerciali tramite internet possono essere di quattro tipi in base alla tipologia di venditore ed acquirente: business to consumer (B2C), business to business (B2B), consumer to consumer(C2C) e consumer to business (C2B). Nel B2C la transazione commerciale avviene tra un’impresa e un consumatore tramite internet (Dell, Amazoon). Questa tendenza è emersa grazie alla crescente fiducia nelle transazioni online che a sua volta è dovuta alla maggiore conoscenza dello strumento da parte degli utenti e alla riduzione delle asimmetrie informative. Nel B2B la transazione avviene tra due imprese e spesso comporta la sostituzione dei canali tradizionali con il canale virtuale (Cisco, Intel). Nel C2C la transazione avviene tra due consumatori che vengono messi in contatto da un intermediario, di cui l’esempio più lampante è eBay.

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Infine, nel C2B la transazione avviene tra un consumatore ed una impresa ed è più difficile da applicare poiché si limita ad alcune tipologie di business, che coinvolgono avvocati e consulenti che offrono il proprio servizio alle imprese.  QUINTO STADIO: Integrazione interna Giunti a questo stadio sorge per l’impresa la necessità di integrare l’attività tradizionale con l’attività di e-business. Allineare gli investimenti in information technologies e information systems con le strategie di impresa diventa un requisito fondamentale per le imprese che si affacciano a questo stadio di adozione. La predisposizione di sistemi in grado di supportare l’e-business è fondamentale per evitare che si verifichino eventuali conflitti tra il commercio online e il commercio attraverso i canali tradizionali. L’integrazione comporta, ad esempio che l’impresa che decide di utilizzare un sistema per ricevere gli ordini online può pensare di integrarlo con il sistema di evasione degli ordini per aumentare la propria efficienza. Le soluzioni per l’integrazione interna sono: i sistemi ERP ed il Knowledge Management. I sistemi Enterprise Resource Planning (ERP) integrano diverse attività svolte dall’impresa: i processi produttivi, la logistica, la gestione del magazzino, il trasporto e la fatturazione. Queste applicazioni creano un sistema in grado di integrare ed immagazzinare i flussi informativi prodotti all’interno dell’impresa per renderli poi disponibili attraverso un unico database. L’ostacolo all’utilizzo di questi sistemi è rappresentato dalla loro complessità e dalla difficoltà dell’impresa di creare un corretto bilanciamento tra le nuove tecnologie e quelle esistenti, accanto alla corretta riorganizzazione dei processi esistenti. Il Knowledge Management è un sistema di applicazioni mirate all’individuazione e al trasferimento della conoscenza all’interno dell’impresa, divenendo così uno strumento per raggiungere i propri

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obiettivi, diventare più competitivi, gestire il cambiamento e creare valore per i propri stakeholder.8  SESTO STADIO: Integrazione esterna Il sesto stadio presenta l’information technology come elemento fondamentale per la trasformazione del rapporto con gli stakeholder esterni all’impresa. Si costituiscono reti virtuali partendo dalla riconfigurazione della rete di rapporti con i fornitori, i clienti e i partners. L’integrazione con gli attori esterni è indispensabile poiché nell’economia digitale le attività che compongono la catena del valore possono essere svolte da diversi attori che sono situati in località geograficamente differenti. E’ necessaria la collaborazione dei diversi attori e il mantenimento di continue relazioni collaborative per lo scambio di informazioni e competenze. L’integrazione diviene possibile solo se le imprese che partecipano alla rete condividono le proprie informazioni, ma questo non è semplice per un’impresa che deve veicolare e filtrare correttamente le informazioni da fornire alla rete. Le soluzioni che consentono questo tipo di integrazione sono: il CRM e il SCM. Il Customer Relationship Management (CRM) è un insieme di sistemi finalizzati al miglioramento della conoscenza dei bisogni del consumatore tale da creare maggiore valore. Questi sistemi creano un flusso di informazioni e di dati che passa dal cliente all’impresa e rappresenta uno strumento per fidelizzare il cliente, aumentare le vendite e personalizzare l’offerta attraverso la determinazione corretta del profilo del cliente. Il Supply Chain Management (SCM) ha l’obiettivo di pianificare ed eseguire le varie fasi della catena del valore, migliorandone l’efficienza dei flussi. L’importanza di questo strumento è legata al fenomeno di esternalizzazione che sta caratterizzando sempre più le imprese. A questo riguardo, esistono due approcci del SCM: approccio push e approccio pull.

8

DAVENPORT T., PRUSAK L. (1998), Working Knowledge: how organizations manage what they know, Harvard Business School Press, Boston, pp.144-148.

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L’approccio push prevede che la produzione, l’assemblaggio e la distribuzione siano basati sulle previsioni che consentono di pianificare le giacenze di magazzino. L’approccio pull, invece, prevede che il processo di produzione parta successivamente all’ordine del cliente. 2.4. GLI ASPETTI FONDAMENTALI DI UN E-BUSINESS MODEL Weill e Vitale9 propongono una serie di aspetti sui quali è basato un e-business model, necessari per dare vita ad una corretta iniziativa di e-business che sia in linea con le strategie aziendali. I suddetti aspetti sono:  I soggetti coinvolti nel modello tra cui troviamo i fornitori, i clienti e i partners che influiscono direttamente sul modello di e-business. A questi soggetti se ne aggiungono altri, tra cui i concorrenti, le istituzioni e i gruppi di interesse che, pur essendo difficilmente inseribili all’interno del modello, in quanto l’impresa non ha una relazione diretta con essi, influenzano l’impresa stessa.  Le relazioni tra i soggetti coinvolti nel modello, che nel caso degli e-business models vengono eseguite elettronicamente attraverso internet e/o altre tecnologie ad esso collegate. L’impresa può basare il suo modello di business proprio su tale aspetto, ed in particolare sulla gestione delle relazioni con la clientela, al fine di ottenere un vantaggio competitivo grazie alla relazione esclusiva che instaura con il cliente. Questo controllo consente di avere anche un maggior potere nei confronti delle imprese che volendo interagire con il cliente dovranno necessariamente servirsi dell’impresa che ha instaurato la relazione di esclusività con esso. Inoltre, questo comporta una vantaggio anche nei confronti del cliente che, visto lo stretto rapporto con l’impresa, la considera come unico e migliore soggetto a cui affidarsi.  I flussi di prodotto, di informazione e di capitale che caratterizzano l’impresa. L’impresa potrà decidere di fondare il suo modello di business sul controllo delle informazioni sui clienti, sui prodotti, sui costi, sui prezzi, sulla

9

WEILL P., VITALE M. (2001), Place to space, migration to e-business models, Harvard Business School Press, Boston, pp.55-57.

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tecnologia e su ogni altro elemento che compone l’impresa. La capacità dell’impresa di accesso e di controllo delle informazioni influisce sulla profittabilità del business e può arrivare a costituire uno dei fattori critici di successo. Maggiori saranno i flussi di informazioni sul cliente e maggiore potrà essere la capacità di personalizzazione dell’offerta, offrendo un valore aggiunto al cliente. L’impresa potrebbe anche decidere di strutturare il proprio modello di business sulla ricerca del controllo delle transazioni online. A questo riguardo potrebbe essere necessario per l’impresa dotarsi di un intermediario che consente di effettuare la transazione online (Visa, Paypal) oppure per trovare un acquirente o un venditore (eBay), questa necessità si manifesta soprattutto nei casi in cui le imprese non siano nella condizione di compiere direttamente tutte le fasi necessarie per ultimare la transazione.  I ricavi e le altre fonti di remunerazione dei soggetti coinvolti, che rappresentano uno degli elementi principali del modello di business. In particolare, nel caso degli e-business model le principali fonti di ricavo sono costituite dalla vendita di beni attraverso internet che diventa un nuovo canale distributivo. Tra le fonti di ricavo sono presenti le commissioni per eventuali servizi di intermediazione che vengono commisurate in base all’ammontare della transazione conclusa. Anche la pubblicità può rappresentare una fonte di ricavo, attraverso i banner, i link ed il click through, gli inserzionisti garantiscono una fonte di entrate per i siti aziendali. Molte imprese delle grande distribuzione, come Walmart, fondano i propri ricavi sul mark-up presente tra il costo di acquisto ed il prezzo di vendita dei loro prodotti. L’applicazione delle information technologies nei processi produttivi ha consentito di limitare i costi lasciando margini superiori, grazie al contatto diretto con il cliente ed al coordinamento delle attività della catena del valore e dei soggetti coinvolti. L’importanza della raccolta di informazioni sui clienti fa sì che questo aspetto diventi una fonte di ricavo, in quanto le informazioni raccolte dalle imprese possono essere vendute ad altre imprese che le utilizzano per migliorare la propria offerta. Questa pratica prende il nome di “infomediary”, la quale nasce dall’incontro tra internet e il business, rappresentando il cambiamento che ha portato al passaggio dalla 41


disintermediazione alla re-intermediazione.10 Infine, tra le fonti di ricavo di un e-business model sono presenti anche le sottoscrizioni di abbonamenti o a consumo. Nel primo caso, l’utente sottoscrive un abbonamento con una scadenza ed ha la possibilità di accedere a contenuti speciali del sito aziendale (es: The Economist). Nel secondo caso, la durata della sottoscrizione sarà legata la numero di accessi al sito oppure al tempo di navigazione. In sostanza, secondo l’approccio di Weill e Vitale, la capacità di sopravvivenza del modello di e-business dipende essenzialmente dalla determinazione delle fonti di ricavo, dal controllo delle relazioni, delle informazioni e delle transazioni con i clienti finali. 2.5. GLI APPROCCI ALLA CLASSIFICAZIONE DEGLI E-BUSINESS MODELS Internet e le information technologies consentono di configurare nuovi modelli di business che offrono nuove opportunità e tendono

a modificare la struttura

organizzativa dell’impresa. Già nel 1967, Lawrence e Lorsch11, partendo dalla contingency theory, iniziarono a studiare l’impatto dei fattori contingenti, come la tecnologia, sulla struttura organizzativa. Essi conclusero che tecnologia, ambiente, dimensione, strategia e cultura aziendali hanno un notevole influenza sull’organizzazione d’impresa. Le strutture organizzative si distinguono sulla base del grado di controllo verticale e del coordinamento orizzontale delle imprese. Aumentare il coordinamento orizzontale significa facilitare i processi di apprendimento e di adattamento ai cambiamenti ambientali. Le information technologies hanno permesso di trasformare la struttura organizzativa in modo da creare le strutture orizzontali e a rete. In questa tipologia di strutture si sono sviluppati alcuni aspetti, come le relazioni a rete e la maggiore collaborazione con i clienti, che hanno un ruolo fondamentale per i modelli di e-business, in quanto determinano il raggiungimento del vantaggio competitivo. 10

THE ECONOMIST (1999), “Business and the internet: The rise of infomediary”, The Economist, Special Report from print edition. 11

LAWRENCE P. R., LORSCH J. W. (1967), Organization and Environment: managing differentiation and integration, MIT Press, Cambridge, pp.101-103.

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Allo scopo di formalizzare le modalità di conduzione degli e-business, gli autori hanno individuato differenti classificazioni, incontrando alcune difficoltà legate alla dinamicità di questi modelli. Di seguito vengono esaminate le classificazioni secondo quattro approcci (Timmers, Rappa, Tapscott, Weill e Vitale) che prendono in considerazione diversi aspetti e rappresentano i modelli più richiamati nella letteratura sui business models. 2.5.1. L’APPROCCIO DI TIMMERS Timmers12 adotta un approccio sistematico che si fonda sulla de-construction e reconstruction della catena del valore ed analizza i possibili punti di aggregazione delle informazioni lungo la catena del valore e le interazione con l’utente. L’autore individua dieci tipologie di e-business model in relazione alle internet technologies utilizzate dall’impresa, in particolare in base al grado di innovazione e il grado di integrazione delle attività coinvolte nell’e-business model. Il grado di innovazione varia da applicazioni di base, come l’e-commerce ed applicazioni più innovative. Il grado di integrazione delle attività coinvolte nel modello può variare partendo da una sola attività per modello a più attività. Le tipologie di e-business model proposte da Timmers comprendono alcune forme già in uso o in fase di sperimentazione sulla rete e sono le seguenti: 1. L’E-shop è la forma più elementare di e-business model poiché in questo modello sia il grado di innovazione sia quello di integrazione sono bassi. La presenza dell’impresa sul web può essere statica ed avere una pura funzione informativa, oppure dinamica dando la possibilità al cliente di ordinare e/o acquistare i prodotti e servizi dell’impresa direttamente dal sito internet. Questa forma di e-business model conferisce benefici sia all’impresa, consentendole di raggiungere un maggior numero di utenti e di allargare il mercato potenziale, sia per gli utenti che sono in grado di

12

DOMINICI G. (2009), “Modelli di e-business: Ontologia e tassonomica della ricerca”, Annali Facoltà di Economia, Università di Palermo, pp.15-16.

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superare gli ostacoli di spazio e di tempo e di acquistare ad un prezzo ridotto. 2. L’E-procurement prevede l’acquisto di prodotti e servizi online e consente di raggiungere vantaggi notevoli come la riduzione dei costi e dei tempi di transazione. Gli utilizzatori sono le grandi imprese e le amministrazioni pubbliche che si avvalgono di questa forma di approvvigionamento webbased. Il vantaggio per gli utenti è quello di disporre di un maggior numero di fornitori e di un maggior numero di informazioni sul prodotto o servizio. Questo modello è spesso integrato con quello delle aste al ribasso, consentendo ai fornitori di ridurre i costi di ricerca e di ottenere facilmente economie di scala. 3. L’E-mall è una forma di aggregazione di più e-shop in un unico sito, generalmente sotto lo stesso marchio. L’idea alla base di questo modello è di creare una sorta di centro commerciale virtuale, dove il cliente ha una vasta scelta e potrà soddisfare immediatamente i propri bisogni senza dover effettuare ricerche in altri siti. 4. Le E-auction sono aste online simili a quelle tradizionali e possono essere di due tipi: aste al ribasso e aste al rialzo. Le aste al ribasso, come già accennato, sono utilizzate in coordinazione con i modelli di eprocurement, mettendo in competizione più fornitori, dove si aggiudicherà l’asta chi farà l’offerta più bassa. Le aste al rialzo riprendono il modello delle aste tradizionali, con un quid aggiuntivo che consente di raggiungere un numero di potenziali clienti più elevato. In questo caso, il ritorno dei gestori di questi sistemi è generato dalla vendita dello spazio virtuale, dalle commissioni sulle transazioni e dalla pubblicità attraverso i banner. Un esempio lampante di questo modello di e-business è eBay , il servizio di aste online leader da diversi anni che combina l’incontro tra domanda e offerta con altre soluzioni di e-business come i servizi di pagamento (Paypal), di distribuzione e di assistenza. 5. Le Virtual communities, nelle quali si aprono dialoghi e dibattiti in merito a determinati argomenti, sono finalizzate allo scambio di informazioni. Queste comunità richiedono spesso il pagamento di una commissione di ingresso o, più semplicemente, di registrarsi al sito. Attraverso questo 44


strumento non si trasferiscono solo informazioni ma anche conoscenza, motivo per cui le comunità vengono inserite nelle intranet aziendali. 6. Le Collaboration Platforms costituiscono le piattaforme tecnologiche utilizzate per ottenere una migliore interazione e collaborazione tra individui di imprese differenti e quindi maggiori vantaggi per l’impresa che le adotta. 7. I Marketplace sono mercati virtuali in cui potenziali fornitori ed acquirenti interagiscono, concludendo le transazioni tra di loro. Tale modello offre buona parte dei servizi che garantiscono la buona riuscita della transazione (servizi di pagamento, servizi di logistica). 8. I Value Chian Integrator sono sistemi che svolgono il compito di integrare le varie attività della catena del valore in modo da creare valore per l’impresa attraverso lo sfruttamento dei flussi informativi. 9. I Value Chain Services Provider costituiscono imprese specializzate in attività particolari, come attività di logistica o servizi di pagamento. In genere sono imprese bricks and mortars, come le banche per i servizi di supporto al pagamento. 10. Gli Information Brokerage e i Trust sono modelli che offrono servizi di consulenza specifici per ridurre le asimmetrie informative a fronte del pagamento di un corrispettivo.

Figura 2.5. Classificazione degli e-business models secondo Timmers.

Fonte: DOMINICI G. (2009), “Modelli di e-business: Ontologia e tassonomica della ricerca”, Annali Facoltà di Economia, Università di Palermo, p.15.

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Timmers, attraverso la sua classificazione si propone di dare enfasi a due dimensioni, l’innovazione e l’integrazione, che più di altre caratterizzano la struttura aziendale fornendo informazioni rilevanti sul grado di innovazione e sul grado di integrazione dei diversi modelli di e-business. 2.5.2. L’APPROCCIO DI RAPPA Rappa13 propone una tassonomia relativa ai business models presenti sul web, che egli stesso definisce come non esaustiva e definitiva, in quanto i business models continuano ad evolversi dando vita a numerose varianti. Le categorie principali di e-business individuate dall’autore sono le seguenti: 1. Il Brokerage Model è caratterizzato dall’azione dei broker, i quali si comportano da market makers facilitando l’incontro tra venditori ed acquirenti attraverso la conclusione di transazioni. Il finanziamento del broker avviene attraverso le commissioni che guadagna per ogni transazione conclusa. Questi attori giocano un ruolo importante nelle transazioni

del

tipo

business-to-business,

business-to-consumer

e

consumer-to-consumer. Rappa individua diverse tipologie di modelli di intermediazione: Marketplace Exchange, Buy/Sell Fullfillment, Demand Collection System, Auction Broker, Transaction Broker, Distributor, Search agent e Virtual Marketplace. 2. L’Advertising Model è un'estensione del tradizionale modello di trasmissione dove i media tradizionali vengono sostituiti dai siti web. L'emittente, in questo caso, un sito web, offre contenuti (di solito, ma non necessariamente, a titolo gratuito) e servizi (come e-mail, messaggistica istantanea, blog) nei quali compaiono messaggi pubblicitari sotto forma di banner. I banner possono rappresentare per l’emittente la fonte principale, o addirittura unica, di entrata. Egli stesso può essere il creatore di contenuti pubblicitari o può semplicemente limitarsi a distribuire i

13

RAPPA M. (2001), ”Business models on the web: Managing the digital enterprise”, Managing the digital enterprise, North Carolina State University.

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contenuti creati altrove. All’interno di questo modello si possono individuare diverse tipologie di sotto-modelli, tra cui i Generalized Portal e i Personalize Portal, i Classifieds, le User Registration, gli Infomercial e gli Ultramercial. 3. Gli Infomediary Model nascono dall’esigenza di raccogliere, analizzare e utilizzare i dati relativi ai consumatori e alle loro abitudini di consumo allo scopo di indirizzare le campagne di marketing. Alcune aziende funzionano come infomediary (intermediari di informazioni) assistendo ed aiutando gli acquirenti e i venditori a conoscere meglio un determinato mercato. Questo modello si scompone in quattro tipologie di servizi: Advertising Network, Audience Measurement Services, Incentive Marketing e Metamediary.

4. Il Merchant Model rappresenta il modello in cui operano i grossisti e i dettaglianti di beni e servizi e le vendite possono essere effettuate sulla base di prezzi di listino o tramite asta. Il modello comprende: i Virtual Merchants, o e-tailers, che operano esclusivamente sul web; i Catalog Merchants che combinano ordini tramite mail, telefono e web; i Bit Vendor che operano principalmente con i prodotti e servizi digitali.

5. I Manufacturer Models si basano sulla potenza del web per consentire ad un produttore di raggiungere gli acquirenti direttamente, snellendo il canale di distribuzione. Questo modello può puntare alla maggiore efficienza, al miglioramento del servizio clienti e della comprensione delle preferenze dei clienti. Esso comprende il Purchase, il Lease, il License ed il Brand Integrated Content.

6. Gli Affiliate Models offrono agli utenti la possibilitĂ di acquistare in qualsiasi luogo si trovino grazie ad una stretta sinergia con il Merchant Model. Inoltre, si auto-finanziano attraverso le percentuali sui ricavi dei siti principali con cui sono affiliati. Questo modello presenta al suo interno: i Banner Exchange, i Pay-per-Click e i Revenue Sharing. 47


7. I Community Models possiedono una vitalità basata sulla fidelizzazione degli utenti che investono in questo modello in termini di tempo e di emozioni. I ricavi possono essere basati sulla vendita di prodotti accessori e servizi, o sulla pubblicità contestuale e sugli abbonamenti per i servizi premium. Internet rappresenta uno strumento particolarmente adatto a questi modelli di business. Il modello si scompone in: Open Source, Open Content, Public Broadcasting e Social Networking Services.

8. Nel Subscription Model gli utenti pagano un abbonamento periodico, giornaliero, mensile o annuale, per iscriversi a un servizio. Non è raro per i siti combinare contenuti gratuiti con contenuti "premium" accessibili solo agli abbonati. Le commissioni di sottoscrizione sono sostenute indipendentemente dal tasso di utilizzo dell’utente. Spesso si combinano questi modelli agli Advertising Models per ottenere maggiore efficacia sul cliente. Il modello di abbonamento si suddivide in quattro sotto-categorie: i Content Services, i Person-to-Person Networking Services, i Trust Services e gli Internet Services Provider.

9. Gli Utility Models sono modelli di servizio on-demand, basati su un approccio per cui il pagamento avviene in base all’uso effettivo, a differenza del precedente modello. Questo modello comprende i Metered Usage e le Metered Subscription.

Rappa individua questi nove modelli in un’ottica dinamico-evolutiva e considera elementi come la “natura dei ricavi” e il “posizionamento all’interno della catena del valore”. Un breve riepilogo dei modelli proposti dall’autore e delle relative sotto-categorie è riportato nella tabella seguente (Tabella 2.6.).

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Tabella 2.6. La classificazione degli e-business models secondo Rappa.

Fonte: Elaborazione propria.

49


2.5.3. L’APPROCCIO DI TAPSCOTT Tapscott si sofferma sul concetto di networking che è stato massimizzato attraverso il web ed ha consentito di ridurre, ed in alcuni casi di azzerare, i costi di transazione tra le aziende e gli individui. L’autore sottolinea la necessità di utilizzare la rete nella net economy, in quanto consente di raggiugere numerosi vantaggi. Egli individua cinque categorie di Business-Web sulla base di due dimensioni: il controllo e l’integrazione, come mostrato nella Figura 2.7. Il controllo può essere gerarchico, quando l’impresa dominante guida il network nel processo di creazione del valore, oppure self-organized quando ogni impresa genera autonomamente il valore sul mercato. L’integrazione può essere alta o bassa in base al grado di utilizzo da parte dell’impresa di componenti provenienti da sub-fornitori per creare il prodotto finale. I modelli proposti sono i seguenti: 1. Agorà: rappresenta una vera e propria piazza virtuale che favorisce l’incontro tra domanda e offerta consentendo di negoziare liberamente il prezzo dei beni (pricing dinamico). Nella maggior parte dei casi si identificano con sistemi di aste, come eBay. 2. Aggregation: si pone come un intermediario che gestisce i rapporti tra fornitori e clienti con lo scopo di massimizzare il valore aggiunto per entrambe le parti. Per assolvere al suo ruolo deve selezionare al meglio i prodotti o servizi, individuare i segmenti di mercato in cui competere e prendere accuratamente le decisioni di prezzo. A questo modello si associa il modello utilizzato da Amazon. 3. Value Chain: è un modello in cui il fornitore di contenuti ha la responsabilità di organizzare il network ed indirizzarlo verso processi con elevato valore aggiunto, come Dell. 4. Alliance: presenta un elevato grado di integrazione e un basso controllo gerarchico, dove la collaborazione è finalizzata al raggiungimento di scopi comuni (Linux). 5. Distributive Network: è un modello che fornisce i propri servizi ad altri business web models favorendo il passaggio dei prodotti dal produttore al distributore, per cui un classico esempio è fornito da FedEx.

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Figura 2.7. La classificazione dei business web models secondo Tapscott.

Fonte: SAVARESE F., PILOTTI L., BELUSSI F. (2012), “Business model emergenti: dalla gestione della complessità alle ecologie del valore”, Dipartimento di scienze economiche aziendali e statistiche, Università degli studi di Milano, Working Paper n. 2012-06, p.10.

2.5.4. L’APPROCCIO DI WEILL E VITALE Weill e Vitale14 utilizzano un approccio di classificazione degli e-business models che considera due aspetti in particolare: il ruolo e le relazioni che intercorrono tra impresa,

fornitori, consumatori e partner. In questo modo, gli autori hanno

identificato otto modelli differenti che hanno nominato “atomic e-business models”, in quanto il loro approccio parte da una decomposizione del fenomeno ebusiness in quattro livelli: atomic e-business model, e-business model, e-business initiative, e-business model implementation. Attraverso la scomposizione in quattro livelli è più agevole concentrarsi sulle competenze e sulle capacità necessarie in ogni livello. I modelli proposti dai due autori rimandano per alcuni aspetti agli approcci di Timmers e Rappa, in quanto si concentrano sulle combinazione dei flussi che, regolando i processi aziendali, consentono la creazione di valore.

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WEILL P., VITALE M. R. (2001), Place to space, migration to e-business models, Harvard Business School Press, Boston, pp.50-56.

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Gli atomic e-business models sono: 1. Direct to consumer: è un modello che si fonda sulla relazione diretta tra impresa e cliente, secondo cui il bene viene scambiato a fronte del pagamento di un corrispettivo. Tale relazione tra impresa e cliente può essere di due tipi: occasionale o continuativa nel tempo. Un classico esempio è il modello di business di Dell che riceve l’ordine e il pagamento direttamente dal cliente online avviando di conseguenza l’assemblaggio del computer che verrà spedito al cliente. Questo modello richiede tecnologie che forniscano applicazioni, come sistemi di pagamento online, sistemi per ottimizzare le performance e le transazioni (ERP), sistemi di comunicazione di rete, in grado di abilitare l’interazione tra impresa e consumatore fino al termine della transazione. I ricavi derivano dalla vendita diretta e possono essere integrati con le entrate derivanti dalla vendita di informazioni sui clienti e dalla pubblicità sul sito. 2. Full Service Provider: sfrutta la capacità dell’impresa di poter offrire al cliente tutte le informazioni specifiche che richiede. I fattori critici di successo di questo modello sono rappresentati dalla completezza delle informazioni e dalla disponibilità di una gamma di prodotti specifici. I ricavi vengono generati dalla vendita dei prodotti o servizi al cliente e possono essere integrati dai guadagno sui servizi di abbonamento o dal pagamento di commissioni per le attività di intermediazione. Le infrastrutture tecnologiche devono essere costituite dai sistemi di CRM, da sistemi per immagazzinare dati sul cliente e da sistemi di tutela della sicurezza dei dati. 3. Punto di contatto unico: attraverso il contatto unico tra le proprie business units e i clienti, limita la dispersione e la duplicazione delle informazioni che rallenterebbero i processi aziendali. Questo modello ha lo scopo di guidare il cliente verso un punto di contatto che possa permettergli di conoscere l’intera offerta dell’impresa, creando una maggiore chiarezza dell’offerta. 4. Intermediazione: con l’avvento del web la figura dell’intermediario si è trasformata in un intermediario virtuale che conserva il compito di favorire

52


l’incontro tra domanda e offerta. Le fonti di ricavo sono rappresentate dalle commissioni che venditore ed acquirente devono corrispondere all’intermediario. Il fattore critico di successo risiede nella copertura dei costi fissi per cui le imprese si sono poste l’obiettivo di attirare il maggior numero di clienti. Gli intermediari possono essere classificati in diverse tipologie, tra cui i directories che aiutano gli utenti nella ricerca dell’informazione sul web (il motore di ricerca Yahoo). Le virtual malls sono luoghi virtuali dove si incontrano venditori ed acquirenti e richiamano le e-malls di Timmers15. I website evaluators aiutano gli utenti a valutare le offerte presenti sui vari siti, riducendo il rischio nella scelta. I publisher offrono le informazioni online ad utenti più o meno specializzati. Gli auditors sono imprese che grazie allo studio dei percorsi di navigazione intrapresi dagli utenti riescono a definire il profilo e le caratteristiche di ogni singolo utente. Gli spot market sono i mercatini online nei quali avvengono scambi di beni tra privati. Ed infine, gli intermediari finanziari che hanno un ruolo centrale in ogni transazione economica che avviene tramite internet. 5. Condivisione delle infrastrutture: è un modello utilizzato principalmente in settori dove il costo dell’infrastruttura tecnologica è elevato e un’impresa da sola non sarebbe in grado di sopportare l’investimento. Il modello si compone di tre attori principali: l’impresa proprietaria dell’infrastruttura, le imprese che condividono l’infrastruttura e l’impresa coordinatrice dei rapporti tra i due attori precedenti. I ricavi derivano dal pagamento di una commissione per il numero di volte in cui viene utilizzata l’infrastruttura oppure da un abbonamento. I fattori critici di successo del modello sono legati alla interoperabilità del sistema e all’implementazione degli standard che tutelano tutti coloro che hanno accesso all’infrastruttura. 6. Comunità virtuali: richiamano le “virtual communities” di Timmers e sono caratterizzate dalla presenza di un’impresa creatrice della comunità 15

TIMMERS P. (1999), Electronic Commerce: Strategies and models for business to business trading, John Wiley & Sons, New Jersey, pp.47-59.

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virtuale che si posiziona tra i membri della comunità e i fornitori. Il fattore critico di successo di questo modello risiede nel numero di partecipanti e delle interazioni tra loro, in modo tale da accrescere il valore della comunità. Le comunità virtuali sono spesso inserite in altri modelli di business che le offrono come servizio aggiuntivo per i propri clienti (Amazon.com). 7. Value net integrator: è un modello per coordinare la rete di relazioni tra impresa, partner, fornitori e clienti che caratterizza la catena virtuale del valore16. Il value net integrator possiede molte informazioni sulle capacità e sui bisogni degli attori che partecipano alla rete di relazioni. I ricavi sono generati attraverso la vendita di informazioni sui fornitori e sui clienti, le quali rappresentano il fattore critico di successo del modello. 8. Content Provider: i quali creano ed offrono contenuti digitali sulle notizie metereologiche, finanziarie, musicali. Questo modello necessita di infrastrutture in grado di offrire contenuti specializzati e personalizzati per i singolo utenti, che possono essere clientele business o consumer. I ricavi derivano dalla vendita o dalla concessione in licenza dei contenuti ad un terzo. L’obiettivo che si pongono i due autori è di fornire un approccio strutturato che sia in grado di fornire gli strumenti adeguati per valutare le iniziative web-based, ai quali affiancare una serie di domande specifiche che ci consentano di capire se dalla combinazione di più atomic e-business models possano nascere iniziative di business vincenti. 2.6. IL MODELLO PROPOSTO DA GORDIJN E AKKERMANS I business models sono spesso rappresentati da un insieme di rappresentazioni testuali, verbali e grafiche, ciononostante queste rappresentazioni limitano la chiara comprensione del modello di business. Gordijn e Akkermans17 propongono un approccio all’ e-business model, chiamato e-value, che aiuta a definire le 16

PEZZI A. (2007), E-business: Strategie, modelli e governance, Franco Angeli, Milano, pp.7999. 17

GORDIJN J., AKKERMANS H. (2001), “Designing and evaluating e-business models”, Intelligent e-Business, July-August, pp.1-7.

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modalità di creazione del valore economico e del suo scambio all’interno del network di attori (The Value Viewpoint). Il loro approccio parte dal presupposto che diversi attori creano e forniscono prodotti innovativi ed è necessario definire in maniera esplicita “who is doing business whit whom”, al contrario di ciò che considerano approcci come la catena del valore. Secondo i due autori nei progetti di e-business è rilevante mostrare lo scambio di valore tra specifici attori, perché nuovi attori potrebbero essere rimossi o introdotti nella catena, portando a processi di dis-intermediazione e ri-intermediazione che comporterebbero alcuni rischi per i venditori tradizionali. L’obiettivo che si pone questo modello è di fornire un approccio chiaro, semplice e rappresentabile graficamente. Molti progetti per lo sviluppo di un e-business model vengono elaborati in tempi brevi, quindi avere un modello che aiuti rapidamente a definire, esplorare ed eseguire un’idea di business può costituire un vantaggio competitivo. Questo approccio non si ferma alla semplice formalizzazione del modello, ma propone anche alcune esempi pratici, per mostrare la semplicità di applicazione. Il più noto è il progetto di e-business di un giornale, che a titolo esemplificativo, è chiamato Amsterdam Times, il quale vuole offrire ai suoi lettori la possibilità leggere i suoi articoli online, senza pagare costi aggiuntivi. L’idea di fondo è di coprire le spese attraverso la connessione telefonica necessaria per accedere ad internet. In particolare, sulla base del meccanismo di pricing i modelli proposti sono due: the terminating business model e the originating business model. Nel primo caso, mostrato dalla Figura 2.8., vi sono diversi attori:  il lettore corrisponde un pagamento nei confronti sia della testata sia dell’operatore telefonico Last Mile;  l’operatore telefonico Last Mile, il quale riceve la commissione da parte del lettore e la utilizza per pagare la società di telecomunicazioni (Data Runner);  la società di telecomunicazioni Data Runner che riceve la commissione per l’interconnessione da parte dell’operatore telefonico;  l’hoster, ovvero l’Internet Service Provider, che riceve la commissione da parte della testata giornalistica;

55


 la testata giornalistica che riceve una commissione da parte dell’operatore telefonico ed effettua il pagamento per il servizio offerto dall’hoster.

In questa ipotesi il prezzo del servizio offerto dalla testata giornalistica viene in pratica stabilito dall’operatore telefonico, da cui dipenderà il successo del modello utilizzato. Figura 2.8. Il terminating business model di Gordijn e Akkermans.

Fonte: GORDIJN J., AKKERMANS H. (2001), “Designing and evaluating e-business models”, Intelligent e-Business, July-August, p.12.

Il modello The originating e-business model, descritto nella Figura 2.9., prevede che il pricing avvenga in modo diverso e che il prezzo venga stabilito direttamente dalla testata giornalistica in quanto il lettore paga una commissione direttamente al giornale, che la utilizzerà per pagare la commissione all’hoster e alla società di telecomunicazioni, la quale la girerà all’operatore telefonico. In conclusione, le idee complesse alla base della progettazione di un business model possono essere chiaramente rappresentate utilizzando il modello e-value proposto da Gordijn e Akkermans, che consente di esprimere e analizzare 56


meccanismi importanti per l’e-business, come i flussi di ricavo, il valore dei beni scambiati, il pricing e gli attori alternativi.

Figura 2.9. Il modello originating business di Gordijn e Akkermans.

Fonte: GORDIJN J., AKKERMANS H. (2001), “Designing and evaluating e-business models”, Intelligent e-Business, July-August, p.13.

2.7. COSTI E BENEFICI DI ADOZIONE Fino ai primi anni del 2000, gli investimenti in soluzioni e-business orientati alla riduzione dei costi di gestione sono stati inferiori rispetto a quelli orientati alle politiche per ampliare la base clienti. Questa tendenza si è ribaltata negli ultimi anni, quando le imprese hanno iniziato a comprendere l’importanza della riduzione dei costi di transazione tra i soggetti interni ed esterni all’impresa. Papazaglou e Ribbers18 forniscono un elenco di potenziali benefici che le imprese otterrebbero affacciandosi ai modelli di e-business. Innanzitutto, lo sviluppo di una soluzione e-business l’efficienza

operativa

e

produttiva

attraverso

consente di migliorare l’armonizzazione

e

la

standardizzazione dei processi. Inoltre, è in grado di ridurre i costi operativi e di produzione dei beni e servizi, grazie ad alcuni strumenti che permettono l’automazione dei processi di fatturazione e di gestione del magazzino. Anche la possibilità di entrare in nuovi mercati è favorita da una soluzione e-business, con

18

PEZZI A. (2007), E-business: Strategie, modelli e governance, Franco Angeli, Milano, pp.7999.

57


cui si possono raggiungere nuovi mercati fisicamente lontani. Attraverso le soluzioni che favoriscono l’integrazione, come il CRM e il SCM, si possono migliorare i rapporti con i clienti e con i fornitori. Ciò che crea diffidenza verso l’e-business è legato alla difficoltà di valutare i benefici che si otterranno dall’investimento in soluzioni di e-business, in particolare dall’incertezza di valutare a priori l’ammontare dell’investimento e l’impatto della nuove soluzione sull’organizzazione aziendale. Nonostante diversi studi abbiano individuato una relazione positiva tra la riduzione dei costi di gestione e gli investimenti in tecnologia, solo pochi di essi hanno quantificato l’effettivo guadagno monetario, di tempo e di maggiore soddisfazione del cliente che si può ottenere adottando soluzioni di e-business. Una ricerca condotta nel 2002 su un campione di imprese di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania, conosciuta come Net Impact Study, racchiude uno studio sui costi e benefici derivanti dall’adozione delle tecnologie legate ad internet dal quale è risultato che, per le imprese campione, si è verificata una riduzione dei costi operativi del 10%, un aumento di redditività del 20% per ogni addetto con un conseguente aumento del tempo speso nelle attività di vendita del 30%. Ciò che va sottolineato è che l’investimento in tecnologia di per sé non è sufficiente a raggiungere i vantaggi che questi sistemi offrono, in quanto è necessario che l’impresa superi numerosi ostacoli tra cui: l’allineamento degli investimenti in IT con le strategie aziendali, l’integrazione delle nuove tecnologie con

quelle

esistenti,

l’addestramento

58

del

personale.


PARTE SECONDA – IL CLOUD COMPUTING CAPITOLO 3 – LE ORIGINI E LA COMPOSIZIONE DEL CLOUD COMPUTING Introduzione A partire dall’inizio del nostro secolo la tecnologia per la gestione dei dati e delle informazioni aziendali ha assunto un ruolo essenziale per quasi tutti i modelli di business, divenendo una sorta di commodity. L’infrastruttura IT diviene sempre più complessa e per tale ragione viene affidata ad organizzazioni altamente tecnologiche che ne gestiscono l’operatività. I precursori di questa nuova tendenza sono rappresentati da organizzazioni come Amazon, Google, Salesforce, ai quali si sono affiancati i grandi colossi dell’informatica tra cui IBM, Microsoft, Oracle e molti altri. Il vero grande ideatore di questo fenomeno è la continua innovazione delle tecnologie hardware e software e la pervasività di Internet, che ha consentito di eliminare le distanze e di avere accesso alle risorse indipendentemente dal luogo in cui ci si trova. A queste due dinamiche ne vanno sommate altre, come l’inadeguatezza dei modelli IT tradizionali per la crescita dei mercati, la rigidità dei modelli di fornitura dei servizi, la crisi che stiamo vivendo, la forte riduzione dei costi per l’IT e la forte spinta per la crescita dell’IT nei paesi emergenti, che nel complesso hanno condotto al nuovo paradigma del Cloud Computing. Il Cloud Computing viene descritto come la nuova frontiera dell’IT, capace di fornire alle aziende una serie di servizi IT completi e nuovi che sono in grado di aumentare la loro flessibilità e produttività, di accelerare il time-to-market di nuovi prodotti/servizi, di migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e di consentire ai dipendenti di un’impresa di accedere direttamente alle risorse IT. Tale fenomeno sta attirando l'attenzione della comunità delle ICT, grazie alla comparsa di una serie di servizi con caratteristiche comuni, forniti da importanti operatori del settore. Tuttavia, alcune delle tecnologie esistenti sottostanti il concetto della “Nuvola” (come la virtualizzazione, utility computing ed il calcolo distribuito) non sono del tutto nuove. 59


La varietà di queste tecnologie rende il concetto di Cloud Computing ancora più confuso e il dibattito sul Cloud Computing rischia di intorpidirne ulteriormente la natura. Questa tendenza può causare ciò che viene descritto da Gartner1 come “Hype Cycle”, per cui si passa dall’eccessivo entusiasmo verso una tecnologia attraverso un periodo di disillusione per la comprensione della rilevanza della tecnologia e del ruolo in un mercato, portando con sé il rischio di lasciare inutilizzate le potenzialità del Cloud Computing. Tale frontiera è in grado di fornire numerosi e notevoli vantaggi, ma nonostante ciò sono ancora molte le aziende che esitano ad utilizzarla per motivi di affidabilità e di sicurezza dei dati personali. 3.1. IL BUSINESS MODEL E IL CLOUD COMPUTING Il Cloud Computing rappresenta uno degli Strategic Inflection Point del settore IT più importanti dell’ultimo decennio, che si è verificato nel 2010 annunciando un nuovo paradigma tecnologico. Come ogni punto di discontinuità tecnologica è destinato ad aprire nuove strade ai business models delle grandi imprese, dando loro l’opportunità di rinnovarsi e ridefinirsi rimanendo in linea con il contesto in continua evoluzione. Secondo Gartner2 negli ultimi quindici anni si è verificata una tendenza che ci ha condotti verso l’industrializzazione dell’IT, in linea con tre aspetti: la commoditizzazione e la standardizzazione delle tecnologie, la virtualizzazione e l’ascesa di architetture software orientate ai servizi, e, soprattutto, la notevole crescita della popolarità di Internet. Queste tre tendenze, nel loro insieme, costituiscono la base di una discontinuità che creerà una nuova opportunità di modellare la relazione tra coloro che utilizzano servizi IT e coloro che li vendono.

1

BRESCIANI S., EPPLER M. (2008), “Gartner’s magic quadrant and Hype Cycle”, Collaborative Knowledge Visualization Case Study Series, Case n.2, Institute of Marketing & Communication Management, Università della Svizzera Italiana, pp.10-14. 2

GARTNER (2008), Gartner Says Cloud Computing Will Be As Influential As E-business, Gartner Press Release, disponibile su www.gartner.com.

60


Questo nuovo paradigma ha il potere di cambiare radicalmente lo scenario competitivo, fornendo una nuova piattaforma per la creazione e la distribuzione di valore di un business. Per sfruttarne il potenziale le aziende hanno bisogno di costruire l’approccio migliore per aprire il loro business model alle soluzioni Cloud in modo da raggiungere un vantaggio competitivo sostenibile. Se utilizzata in modo efficace, la funzionalità cloud offre numerose opportunità, grazie ai suoi vantaggi di ottimizzazione di costo e di tempo, per guidare l’innovazione aziendale. Inoltre, le recenti tendenze tecnologiche e di “social connectivity” hanno creato terreno fertile per le imprese che intendono abbracciare la potenza del cloud per ottimizzare e innovare i propri modelli di business. Anche il grande colosso IBM ha annunciato, dopo lo studio del fenomeno condotto nel 2012, che il Cloud Computing ridefinirà i modelli di business aziendali, specificando che entro il 2015 raddoppierà il numero di aziende che realizzano innovazione attraverso questo nuovo strumento. 3 L’ipotesi relativa all’importanza crescente del Cloud Computing è sostenuta dal verificarsi di alcuni fenomeni che rappresentano le forze tecnologiche alla base di questo strumento4:  La diffusione e la crescente disponibilità di reti Internet ad alta velocità vengono utilizzate dalle imprese per dare vita a prodotti e servizi tecnologici sempre più sofisticati e specializzati (social network, pagamenti online);  L’ingresso di diversi players nel settore ICT che focalizzano il loro core business sul modello “as a service”, dal quale ha preso vita il Cloud Computing;

3

IBM INSTITUTE FOR BUSINESS VALUE (2012), The power of the cloud. Driving business model innovation, Executive Report, pp.1-2. 4

VIOLA E. (2011), “Un nuovo paradigma tecnologico: Perché le aziende non devono perdere questo treno di innovazione”, Computer Business Review.

61


 L’avvento dei grandi players già esistenti, come Google, Microsoft, IBM, nell’ambiente Cloud e di numerosi nuovi players, tra cui diverse aziende di telecomunicazioni. Il Cloud Computing nasce dall’integrazione di due grandi soluzioni, il web da un lato e il client-server dall’altro, ed è in grado di rivoluzionare aspetti come la struttura delle operazioni interne, le relazioni con i clienti e la catena del valore dell’azienda che decide di adottarlo. Questi aspetti sono solo alcuni di quelli che compongono e definiscono il business model, quindi il loro mutamento porta inevitabilmente ad una riconfigurazione del business model aziendale e al tempo stesso allo sfruttamento dei vantaggi ormai universalmente riconosciuti del Cloud Computing. 3.2. COS’È IL CLOUD COMPUTING? Il termine Cloud Computing viene utilizzato in diversi contesti, talvolta discordanti, in riferimento a diversi servizi offerti dai grandi colossi, come Google con Gmail oppure Amazon con la sua Elastic Compute Cloud. L’utilizzo del termine è talvolta inappropriato, in quanto, nonostante la sua crescente popolarità, le sue innumerevoli definizioni sono fonte di confusione e non consentono un completo sfruttamento dei vantaggi che ne derivano. Ciò su cui è utile soffermarsi prima di procedere con la definizione del concetto nel suo insieme, è il significato dei due termini che lo compongono. Tradizionalmente,

il

termine

“Cloud”5

nel

campo

dell’Ingegneria

dell’Informazione identifica Internet che viene rappresentato come una nuvola, per identificare il suo significato di rete planetaria composta da numerose reti che unite tra di loro garantiscono lo scambio di informazioni da un punto A ad un punto B, in modo da rendere interconnessi tutti gli elementi. In realtà, la nuvola è qualcosa di più, essa ci consente di utilizzare la tecnologia solo per il tempo che ci serve e senza che sia necessario installare nulla sul desktop e pagare per ciò che non stiamo utilizzando. Essa può essere un software, un hardware oppure un’applicazione a cui si accede tramite Internet. Quindi, tutte le volte che ci 5

DINI A., “Le parole chiave del Sole 24ore”, Il Sole 24Ore.

62


sediamo in un bar o in una biblioteca in cui sono disponibili Internet, un computer con un sistema operativo e un browser, il servizio che ci viene offerto è basato sulla cosiddetta nuvola. Il secondo termine, “Computing” identifica le capacità informatiche dello strumento che vengono fornite sotto forma di servizio attraverso l’accesso ad Internet. Il Cloud Computing consente di trasformare la rete in un complesso di risorse che unite tra di loro producono un effetto generalmente superiore a ciò che si otterrebbe se le risorse venissero gestite localmente sul proprio pc. Figura 3.1. Rappresentazione grafica del Cloud Computing.

Fonte: DARBYSHIRE P., DARBYSHIRE A. (2010), Getting started with Google Apps, Springer, New York, p.25.

Secondo il National Institute of Standards and Technology (NIST)6, il Cloud Computing rappresenta un modello per consentire l’onnipresenza, la comodità, l'accesso on-demand ad una rete condivisa di risorse di calcolo che possono essere rapidamente immagazzinate e rilasciate con il minimo sforzo di gestione o interazione con il fornitore del servizio. L’Istituto evidenzia cinque elementi rilevanti che caratterizzano i Cloud Computing: 

On-demand self-service: un cliente può accedere unilateralmente alle capacità di calcolo, senza che vi sia nessuna interazione con il fornitore del servizio;

Broad network access: indica la disponibilità delle risorse in rete e l’accessibilità attraverso meccanismi standard che promuovono l'uso della

6

MELL P., GRANCE T. (2011), “The NITS Definition of Cloud Computing”, Recommendations of National Institute of Standars and Technology, U.S. Department of Commerce, pp.1-2.

63


banda larga con piattaforme client diversificate (telefoni cellulari, tablet, computer portatili e workstation); 

Resource pooling: le risorse di calcolo del fornitore sono raggruppate in modo tale da servire più clienti attraverso un modello multi-tenant, che sembra comportarsi come se il servizio fosse totalmente dedicato ad un singolo cliente, ma in realtà ne serve molti in parallelo utilizzando lo stesso codice. Le risorse di calcolo sono indipendenti dalla locazione fisica, ma in genere il cliente non ha alcun controllo o conoscenza sull’esatta ubicazione delle risorse;

Rapid elasticity: si traduce nella possibilità di fornire e rilasciare in maniera elastica le risorse e poiché possono essere richieste in qualsiasi momento e quantità agli occhi del cliente le risorse appaiono illimitate;

Measured service: i sistemi cloud sono in grado di controllare e ottimizzare automaticamente l’uso delle risorse, facendo leva sulla capacità di misurazione dell’utilizzo nelle modalità e nelle quantità richieste dal tipo di servizio. L’utilizzo delle risorse può essere monitorato, controllato e segnalato, favorendo la trasparenza sia verso il Provider sia verso il cliente.

In particolare, questo modello si basa sul meccanismo pay-per-use, consentendo di pagare solo in base all’uso effettivo di questo strumento, rappresentando un modello di distribuzione delle risorse di calcolo in tempo reale. In genere, si tratta di risorse altamente scalabili, disponibili a più aziende attraverso Internet, le quali pagano solo per ciò che effettivamente utilizzano. Il Cloud Computing può essere descritto attraverso il punto di vista di due attori principali: 1. Gli utenti finali che utilizzano tale servizio lo considerano un mezzo che gli consente di poter utilizzare le tecnologie e servizi informatici senza preoccuparsi di dover conoscere o capire le infrastrutture tecnologiche sottostanti, trasferendo questo fastidioso compito al fornitore del servizio; 2. Le aziende possono affidarsi al Cloud per facilitare una veloce innovazione dei loro processi e modi di operare, grazie all’assenza di

64


vincoli di scalabilità7 e alla presenza di un’elevata qualità del servizio che consentono agli utenti di prendere decisioni più velocemente. Inoltre, se allineato alla strategia aziendale, consente all’impresa di migliorare le prestazioni di business contenendo i costi. Tutt’ora il Cloud Computing non possiede una definizione stabile, il che contribuisce ad aumentare lo scetticismo e la probabile sottostima del suo impatto sulla tecnologia e sullo scenario aziendale. Alcuni autori, come Boss, Malladi ed altri lo definiscono come “a pool of virtualized computer resources” 8, ossia un insieme di risorse computazionali virtualizzate, che consente la scalabilità delle applicazioni ad esempio attraverso la virtualizzazione ed il monitoraggio delle risorse utilizzate in modo da supportare l’eventuale riallocazione delle stesse. Altri autori, come Lawton, si limitano a descrivere brevemente le applicazioni che vengono eseguite nel Cloud, ossia le Web-based Applications, a cui si accede tramite browser ma con la sensazione di accedere ad un programma del desktop. 9 Weiss, ad esempio non considera in realtà il Cloud Computing un nuovo paradigma in quanto si basa su tecnologie ed approcci esistenti, come l’ Utility Computing, i Saas (software as a service) e i data center centralizzati. 10 Ciò che rende nuovo tale sistema è la capacità di integrare gli approcci già esistenti, in particolare la combinazione tra l’Utility Computing e i data center sembra differenziare il Cloud Computing dal suo predecessore, il Grid Computing.

7

“La scalabilità rappresenta la capacità di aumentare le risorse per ottenere un incremento (idealmente) lineare nella capacità del servizio. La caratteristica principale di un'applicazione scalabile è costituita dal fatto che un carico aggiuntivo richiede solamente risorse aggiuntive anziché un'estesa modifica dell'applicazione stessa.”, disponibile su www.msdn.microsoft.com. 8

BOSS G., MALLADI P., QUAN S., LEGREGNI L., HALL H. (2007), “Cloud Computing”, IBM Technical Report High performance on demand solutions, versione 1.0., p.4. 9

LAWTON G. (2008), “Moving the OS to the web”, Computer,published by IEEE Computer Society, vol.4, pp.16-19. 10

WEISS A. (2007), “Computing in the clouds”, netWorkwer, vol.11, pp.16-25.

65


Secondo Markus Klems la scalabilità immediata e l'ottimizzazione dell'utilizzo delle risorse rappresentano gli elementi chiave del Cloud.

11

Tali elementi sono

accessibili grazie ad un maggior monitoraggio e automazione della gestione delle risorse in un ambiente dinamico. 3.3. L’EVOLUZIONE VERSO IL CLOUD COMPUTING Il Cloud Computing, come il web, nasce dall’evoluzione di una serie di tecnologie, che grazie al loro utilizzo congiunto generano una rivoluzione delle modalità con cui le imprese e le organizzazioni danno vita alle loro infrastrutture informatiche. Come per il web, non ci sono novità inerenti le tecnologie alla base di questo sistema, ciò che cambia è che il loro utilizzo congiunto è stato reso disponibile a tutti. Questa è la posizione di diversi autori che ritengono che il Cloud Computing più che essere un’innovazione dirompente, sia piuttosto un approccio nuovo per utilizzare le tecnologie esistenti.12 Prima di affrontare le diverse modalità di fruizione dei servizi attraverso Internet, è necessario fare un passo indietro nel tempo per verificare ciò che negli anni ha portato all’importanza di un servizio come il Cloud Computing. Tra gli anni ’60 e ‘70 dominava un modello di computing secondo cui le organizzazioni possedevano al loro interno i “data center”, ossia i complessi tecnologici contenti le infrastrutture informatiche in grado di memorizzare e conservare i dati relativi al business aziendale. In questa fase, le applicazioni e le licenze d’uso sono di proprietà dell’impresa, che è quindi costretta a farsi carico di investimenti di tipo CapEx (Capital Expenditure), i quali sostengono le spese per l’acquisto di sistemi informatici e di comunicazione, come server e router, e dei sistemi che ne garantiscono il corretto funzionamento, come gli impianti di condizionamento e i sistemi di sicurezza. Accanto a questi investimenti, le imprese devono anche sostenere quelli per le spese OpEx (Operating Expense) che consentono l’esercizio e la gestione dell’infrastruttura contenuta all’interno del data center e relative al personale che gestisce i sistemi e le applicazioni. 11

GEELAN J. (2009). “Twenty one experts define cloud computing”, Virtualization Journal.

12

REESE G. (2010), Cloud computing. Architettura, infrastruttura, applicazioni, Hops Tecniche Nuove, Milano, p.1.

66


L’elevato costo degli strumenti di calcolo faceva sì che fossero poche le imprese a potersi permettere un investimento di questa entità, per tale motivo esse hanno percepito l’esigenza di ridurre i costi in IT e per farlo si sono affidate ad organizzazioni esterne specializzate nella fornitura di servizi. Tali organizzazioni sono chiamate Inernet Service Providers (ISP) e la loro evoluzione ha condotto alla nascita del Cloud Computing. L’ISP offre agli utenti una serie di servizi legati ad Internet, tra cui l’accesso ad Internet e alla posta elettronica, tramite la stipulazione di un contratto di fornitura. I servizi offerti da queste organizzazioni terze si sono evoluti negli anni dando vita a cinque differenti generazioni di ISP13, come mostra la Figura 3.2. Figura 3.2. I modelli di fruizione dei servizi attraverso internet.

Fonte: LOFRUMENTO G. (2011), “Le applicazioni nel cloud: opportunità e prospettive”, Notiziario Tecnico di Telecom Italia, n. 1, p.82.

La prima generazione di ISP, ISP 1.0, forniva il servizio più elementare, ossia la connessione ad Internet, ma già a partire dalla seconda generazione, ISP 2.0, si ampliano ai servizi di utilità come la posta elettronica. A partire dalla terza generazione, queste organizzazioni si avviano alla fornitura di servizi sempre più complessi e vicini alle imprese. Il modello ISP 3.0., o modello Colocation, fornisce all’impresa uno spazio fisico all’interno dei rack, ossia 13

LOFRUMENTO G. (2011), “Le applicazioni nel cloud: opportunità e prospettive”, Notiziario Tecnico di Telecom Italia, n. 1, pp. 81-91.

67


appositi armadi, nei quali sono riposti i server di proprietà dell’impresa cliente. Tale modello è caratterizzato dalla gestione da parte del Provider degli aspetti infrastrutturali, come l’energia elettrica e la connessione Internet, mentre la gestione dei server e delle applicazioni resta nelle mani dell’impresa client, che li gestisce in remoto e in via diretta. Il vantaggio di tale modello è riscontrabile nell’assenza di spese relative alla gestione dell’infrastruttura che sono a carico del Provider, mentre le spese per l’acquisto dei server e delle licenze d’uso dei software restano a carico dell’impresa cliente. La quarta generazione viene identificata con il modello ASP (Application Service Provider), evoluzione dell’ISP 3.0 in ISP 4.0, e fornisce diversi servizi a valore aggiunto. In tale modello, il Provider è proprietario del server e del software, garantendone il corretto funzionamento. A differenza del modello precedente, l’ASP non solo fornisce le applicazioni come servizio attraverso la rete Internet, ma concede in locazione l’infrastruttura informatica di sua proprietà all’impresa cliente. Tale modello di servizio costituisce l’inizio di un processo di outsourcing attuato dalle imprese clienti che hanno deciso di delegare diverse applicazione ai Provider in modo tale da potersi concentrare pienamente sulle loro core compenteces. Soliman individua due livelli di outsourcers, come mostra la Figura 3.3., in quanto il numero di imprese clienti che si affidano agli Application Provider è sempre maggiore e questi ultimi spesso sono costretti a delegare a loro volta i loro progetti ai global outsourcers. 14 Un aspetto, in particolare, contraddistingue tale modello ed è rappresentato dalla fornitura ad ogni impresa cliente di uno o più server ed applicazioni dedicate, e talvolta anche personalizzate ad hoc per l’impresa cliente, grazie all’utilizzo di un sistema Single-Tenancy, che mette a disposizione di ogni cliente un’infrastruttura separata dedicata. Il vantaggio assoluto di tale modello è dato dal fatto che l’impresa non è più gravata dalle spese legate agli investimenti hardware e software, mentre le spese 14

SOLIMAN S. K. (2003), “A framework for global IS outsourcing by application service provider”, Business Process Management Journal, vol.9, pp. 736-738.

68


operative che consentono l’utilizzo dell’infrastruttura informatica restano a suo carico. Il modello ASP non solo rappresenta l’antenato lontano del Cloud Computing, ma ha anche introdotto un concetto alla base di quest’ultimo, secondo cui si inizia a valutare la possibilità di fornire il software come servizio (software as a service), corrispondendo un pagamento sulla base del consumo effettivo o attraverso una tariffa fissa, sotto forma di abbonamento. Figura 3.3. I due livelli di outsourcers secondo Soliman.

Fonte: SOLIMAN S. K. (2003), “A framework for global IS outsourcing by application service provider”, Business Process Management Journal, vol.9, pp. 738.

3.3.1. IL GRID COMPUTING E IL CLOUD COMPUTING Prima di giungere al Cloud Computing c’è un ulteriore passo da fare, in quanto esso rappresenta l’evoluzione del Grid Computing. Nella metà degli anni ’90, il concetto di Grid Computing derivava dalla rete di alimentazione elettrica per richiamare alcune delle sue caratteristiche, come la pervasività, la semplicità e l’affidabilità. La previsione di una domanda per applicazioni scientifiche su larga scala rese necessaria una maggiore potenza di calcolo. Grazie all’interconnessione veloce via Internet, gli istituti scientifici erano 69


in grado di condividere e aggregare risorse distribuite in diversi luoghi fisici. Si può affermare che lo sviluppo del Grid Computing sia stato guidato principalmente dalla comunità scientifica. I padri fondatori del concetto di Grid Computing,

Foster e Kesselmann, lo

definiscono come: “Un’infrastruttura hardware e software in grado di fornire un accesso differenziale, consistente, pervasivo, ed economico a risorse computazionali di fascia elevata.”15 Secondo Foster, il Grid Computing è caratterizzato da:16 

Controllo decentrato delle risorse: le risorse del Grid sono localmente disperse ed estese su più domini amministrativi;

Standardizzazione: i middleware, ossia i software che collegano due applicazioni differenti e separate, sono basati su protocolli e interfacce aperte e comuni;

Qualità del servizio: in relazione alla latenza, al throughput e all’affidabilità.

La più grande applicazione del Grid Computing è avvenuta attraverso il progetto Data Grid con il CERN di Ginevra, il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, dove vi era la necessità di condividere grandi quantità di risorse di calcolo distribuite sul territorio. Tale progetto ha condotto alla creazione di una Grid, letteralmente “rete”, che collega il CERN con undici centri situati in Europa, Canada e Asia al fine di registrare i dati dell’acceleratore di particelle che simula la creazione dell’universo, il Large Hadron Collider (LHC). Gli ottimi risultati hanno incoraggiato la comunità europea ad effettuare ulteriori investimenti in tale architettura informatica.

15

FOSTER I., KASSELMANN C. (2004), The Grid 2: Blueprint for a new computing infrastructure, Elsiever, UK, p.18. 16

FOSTER I. (2002), “What is the grid? A three point checklist”, GRIDToday, vol.1, pp.22-25.

70


Tale fenomeno ha costruito le basi per lo sviluppo del Cloud Computing, che differisce dal Grid Computing secondo diversi criteri (Figura 3.4.): 

Il grado di virtualizzazione;

Il tipo di applicazione;

Lo sviluppo delle applicazioni;

L’accesso;

Le organizzazioni;

I business models;

La forza dei Service Level Agreements (SLA);

Il controllo;

La trasparenza;

La facilità d’uso;

Gli switching costs.

Figura 3.4. Le principali differenze tra il grid e il cloud computing.

Fonte: WEINHARDT C., ANANDASIVAM W.A., BLAU B., BORISSOV N., MEINL T., MICHALK W.W. (2009), “Cloud Computing. A classification, Business Models and Research Directions”, Business Information System Engineering Journal, vol.5, p.394.

71


3.4. I MODELLI DI SERVIZIO DEL CLOUD COMPUTING Il Cloud Computing può essere classificato in tre modelli differenti, sulla base della tipologia di servizi offerti e del livello al quale sono collocati, a partire dal livello hardware fino al livello applicativo. Di seguito, viene proposta una rappresentazione grafica dell’architettura del Cloud Computing, che può essere suddivisa in quattro livelli: 

Hardware: responsabile della gestione delle risorse fisiche del cloud (server, router, sistemi di alimentazione e di condizionamento);

Infrastructure: detto anche livello di virtualizzazione, crea un pool di risorse di storage e di calcolo utilizzando le tecnologie di virtualizzazione;

Platform: costituito da sistemi operativi e applicazioni con lo scopo di ridurre al minimo l’onere della distribuzione di applicazioni;

Application: il livello più alto è costituito da una “nuvola” di applicazioni che sfruttando la scalabilità del sistema possono migliorare le prestazioni e ridurre i costi di gestione.

Figura 3.5. L’architettura del Cloud Computing.

Fonte: ZHANG Q., CHENG L., BOUTABA R., (2010), “Cloud computing state-of-the-art and research challenges”, Journal of internet services and application, vol.1, p.9.

72


I modelli proposti dal National Institute of Standards and Technology (NIST), in ordine crescente di complessità, sono i seguenti17: 1. Infrastructure as a Service (IaaS): consiste nell’erogazione di servizi infrastrutturali relativi alla capacità di calcolo, storage, rete e altri elementi fondamentali del tutto indipendenti da servizi applicativi di qualsiasi genere. L’infrastruttura, messa a disposizione dal Provider, viene utilizzata dal Client per installare ed eseguire l’applicazione, a fronte di un pagamento in base al consumo dell’infrastruttura. Il Provider lascia sotto la responsabilità dell’utente la gestione del sistema operativo, dell’eventuale middleware18, del runtime19 e dell’applicazione stessa. Quindi, in questo caso, il Client non gestisce l’infrastruttura cloud, ma governa liberamente i sistemi operativi, lo storage, le applicazioni distribuite e, talvolta, può esercitare un controllo limitato sulla selezione di alcuni componenti di rete, come gli host firewalls20. I servizi forniti da Amazon Web Services (Amazon Elastic Compute Cloud e Amazon Simple Storage Service)

forniscono un esempio di

questo modello. Amazon si basa su una virtualizzazione pura, in quanto possiede l’hardware, controlla l’infrastruttura di rete ed è proprietaria del software, consentendo agli utenti di accedere dinamicamente ai server e di lasciarli nel momento in cui non siano più necessari e garantendo quindi una certa flessibilità al Client.

17

LIU F., TONG J., MAO J., BOHN R., MESSINA J., BADGER L., LEAF D. (2011), “NIST Cloud computing reference architecture”, National Institute of Standards and Technology, Special Pubblication 500-292, pp. 2-3. 18

“Software that facilitates exchange of data between two application programs within the same environment, or across different hardware and network environments. Three basic types of middleware are communication middleware, database middleware, and system middleware.” BUSINESS DICTIONARY, disponibile su www.businessdictionary.com. 19

“Runtime is the period of time when a program is running. It begins when a program is opened (or executed) and ends with the program is quit or closed.”, TECHTERMS, disponibile su www.techterms.com. 20

“A system designed to prevent unauthorized access to or from a private network. Firewalls can be implemented in both hardware andsoftware, or a combination of both. Firewalls are frequently used to prevent unauthorized Internet users from accessing private networks connected to the Internet, especially intranets.” , WEBOPEDIA, disponibile su www.webopedia.com.

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2. Platform as a Service (PaaS): il sistema PaaS eroga i servizi applicativi di base tra cui i sistemi operativi, i middleware, linguaggi, tecnologie di base e ambiente runtime, necessari al Client per eseguire l’applicazione. Esso mette a disposizione sia un’infrastruttura che un ambiente operativo e di sviluppo

completo.

Il

Client

è

quindi

in

grado

di

dislocare

sull’infrastruttura ceduta dal Provider alcune applicazioni, le quali possono essere create dall’utente stesso oppure acquisite sul mercato. I linguaggi di programmazione utilizzati e i tools devono essere creati in modo tale da essere supportati dal Provider, correndo il rischio di diventare prigionieri di quest’ultimo. In questo caso, il Client non dovrà gestire l’infrastruttura poiché la sua unica responsabilità sarà l’esecuzione dell’applicazione e la definizione del modello da utilizzare. Google App Engine fornisce un esempio di PaaS puro, che per essere sfruttato necessita che l’applicazione venga scritta in Java o in Python, utilizzando gli strumenti messi a disposizione da Google. 3. Software as a Service (SaaS): I SaaS sono sistemi di erogazione di applicativi di qualsiasi tipo, accessibili indipendentemente dalla posizione o dal tipo di device21 utilizzato. Questo modello permette l’utilizzo delle applicazioni esclusivamente tramite un browser, consentendo di non installare nulla in locale. Il Client, infatti, non diventa proprietario dell’applicazione ma paga per i diritti d’uso dell’applicazione offerta dal Provider. Dal punto di vista degli utenti, vi è la totale trasparenza circa l’ubicazione del software ed il linguaggio di programmazione utilizzato. In questo caso, il Client non si preoccupa del modo in cui l’applicazione venga creata o gestita all’interno del cloud, ma sarà responsabile solamente della scelta di un’applicazione che soddisfi al meglio le sue esigenze e della gestione delle licenze d’uso richieste in funzione del numero di utenti. Un esempio di SaaS è Google Gmail, ossia un programma di posta elettronica utilizzato tramite un browser che fornisce funzionalità analoghe 21

“Internal or external computer peripheral (such as a printer) or subsystem (such as a storage system) which requires a device driver for it to function.”, BUSINESS DICTIONARY, disponibile su www.businessdictionary.com.

74


a quelle di Outlook, ma a differenza di quest’ultimo non necessita di alcun software specifico installato in locale. SalesForce è un sistema di CRM che consente di gestire i clienti potenziali ed effettivi e tutto il ciclo vendita, dal primo contatto al servizio postvendita. Anche SalesForce utilizza la stessa logica di Google, consentendo di creare un account esclusivamente sul suo sito web, per cui l’unico requisito richiesto per accedere a tale servizio è l’utilizzo di un browser. Le caratteristiche distintive dei sistemi SaaS sono: la disponibilità tramite un qualsiasi browser, la disponibilità on-demand, i costi legati all’effettivo utilizzo e i requisiti IT molto ridotti.

3.5. GLI ATTORI DEL CLOUD COMPUTING Il Cloud Computing prende vita grazie all’azione di cinque attori, che operano secondo uno schema ben preciso che è bene conoscere per facilitare la comprensione delle esigenze, degli usi, delle caratteristiche e degli standard di questo servizio. Il Cloud Consumer, ossia il principale stakeholder del servizio di Cloud, può essere rappresentato da una persona fisica o da una organizzazione che usufruisce del servizio offerto dal Cloud Provider, mantenendo i rapporti d’affari con quest’ultimo. Un Consumer sfoglia il catalogo di servizi offerti dal Provider, richiede il servizio più appropriato, imposta il contratto di servizio con il Provider e utilizza il servizio. Il Consumer ha bisogno di un Service Level Agreement (SLA)22, ossia un accordo sul livello di servizio offerto dal Provider. L’applicazione e il monitoraggio degli SLA sono divenuti sempre più importanti in un ambiente caratterizzato dai Web Services in cui si ha accesso a servizi che possono essere sottoscritti on-demand. I termini di questo contratto possono coprire aspetti relativi alla sicurezza, alla qualità del servizio e ad eventuali rimedi in casi di servizio negativo. D’altro canto, il Provider può inserire un insieme di

22

“An important aspect of a contract for IT services is the set of Quality-of-Service (QoS) guarantees. This is commonly referred to as a Service Level Agreement (SLA) “, KELLER, LUDWIG (2003), “The WSLA Framework: Specifying and Monitoring Service Level Agreements for Web Services”, Journal of Network and Systems Management, Vol. 11, pp.57-81.

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obblighi e limiti che il Consumer deve rispettare sulla base della stipulazione del contratto. Il Consumer può scegliere liberamente il Provider a cui affidarsi, sulla base delle condizioni più vantaggiose, però in genere il pricing e lo SLA applicati dal Provider non sono negoziabili, le condizioni contrattuali saranno diverse sulla base dei servizi richiesti, delle attività svolte e delle previsioni di utilizzo. Il Cloud Provider, il fornitore di servizi Cloud, può identificarsi con una persona fisica o una organizzazione e possiede la responsabilità di mettere il servizio a disposizione delle parti interessate. Questa figura acquisisce e gestisce l’infrastruttura informatica necessaria a fornire il servizio, il quale è accessibile ai Consumers grazie la connessione Internet. Questa categoria possiede diverse funzioni sulla base del servizio Cloud in cui si trova ad operare (SaaS, PaaS, IaaS). Nell’ambito dei servizi SaaS, il Provider distribuisce, configura e aggiorna le applicazioni software sulla base di quanto stabilito dal contratto pattuito con il cliente, che, in questo caso, possiede un controllo amministrativo sulle applicazioni limitato. Il Provider che utilizza i servizi PaaS gestisce l’infrastruttura informatica e le componenti della piattaforma, come i database e i middleware, e supporta lo sviluppo dei processi fornendo strumenti quali Integrated Development Environment (IDE), ossia ambienti di sviluppo integrati, Software Development Kit (SDK), ossia un kit per lo sviluppo di applicazioni. Tale sistema consente al Consumer di possedere il controllo sulle applicazioni e su alcuni parametri ambientali, senza però avere accesso, oppure un accesso limitato, alle infrastrutture sottostanti. Nel caso di IaaS, il Provider acquisisce le risorse fisiche di calcolo alla base del servizio offerto, come i server, le reti, lo storage e l’infrastruttura di hosting. Il Provider attiva il software necessario per rendere accessibili le risorse di calcolo al Consumer, che ha un maggiore controllo sull’infrastruttura di sistema rispetto ai due ambiti precedenti. 76


Le principali attività del Cloud Provider possono essere suddivise in base a cinque differenti aree (distribuzione dei servizi, strumentazione dei servizi, gestione dei servizi Cloud, sicurezza, privacy) come mostra la Figura 3.6. Il terzo attore, il Cloud Auditor, è una parte terza che ha la funzione di eseguire un controllo indipendente sul servizio di Cloud offerto, esprimendo un parere a riguardo. Tale soggetto valuta i servizi forniti dal Provider per verificare la conformità degli standard previsti ed effettua controlli in termini di sicurezza, di impatto sulla privacy e sulle prestazioni fornendo una valutazione oggettiva. Figura 3.6. Le principali attività del Cloud Provider.

Fonte: LIU F., TONG J., MAO J., BOHN R., MESSINA J., BADGER L., LEAF D. (2011), “NIST Cloud computing reference architecture”, National Institute of Standards and Technology, Special Pubblication 500-292, p.7.

Per assicurare la riservatezza, l’integrità e la disponibilità di informazioni, il Cloud Auditor svolge controlli di sicurezza sulla gestione e sulle garanzie previste, per determinare l’eventuale implementazione dei sistemi di controllo e per raggiungere il livello di sicurezza desiderato. Il controllo della sicurezza dovrebbe anche verificare il rispetto del regolamento e delle politiche di sicurezza previsti dalla legge. Quindi, l’Auditor, ad esempio, può avere il compito di garantire che nella fornitura del servizio vengano rispettati i criteri corretti previsti dalla legge, garantendo che i requisiti vengano soddisfatti. Con l’evoluzione del Cloud Computing, l’integrazione dei servizi offerti diventa sempre più complessa da gestire per i Consumers, che possono richiedere l’intermediazione di un Cloud Broker, anziché rivolgersi direttamente il Provider.

77


Il Cloud Broker rappresenta un’entità che gestisce l'uso, le prestazioni e la consegna dei servizi Cloud e negozia le relazioni tra Cloud Provider e Cloud Consumer. Tale attore è in grado di fornire tre categorie di servizi: 

Service Intermediation: in quanto si pone come soggetto intermediario tra il Consumer e il Provider, ed è in grado di offrire servizi a valore aggiunto ai clienti attraverso il miglioramento di servizi di accesso al cloud, report sulle prestazioni del servizio e una maggiore sicurezza;

Service Aggregation: secondo cui il Broker è in grado di unire e integrare più servizi in uno o più servizi nuovi, oltre a ciò assicura la trasmissione sicura dei dati tra il Consumer e il Provider;

Service Arbitrage: è un servizio simile al precedente, se non per il fatto che i servizi aggregati non sono fissi, ma possono essere combinati in modi diversi per dare vita a diverse funzioni.

Il Cloud Carrier rappresenta un intermediario responsabile per la fornitura della connettività e della trasmissione dei servizi cloud dal Provider a Consumer, consentendo l’accesso ai clienti attraverso la rete, le telecomunicazioni e altri dispositivi di accesso. Ad esempio, i Consumers hanno la possibilità di accedere ai servizi tramite i dispositivi di accesso alla rete, come computer, telefoni cellulari e dispositivi Internet mobile. In genere, la distribuzione dei servizi è fornita da operatori della rete e delle telecomunicazioni o da agenti di trasporto, i quali consentono il trasporto fisico dei supporti di memorizzazione, come hard disk ad alta capacità. Secondo lo studio condotto dal NIST, esistono tre tipologie di scenari23 in cui cambiano le interazioni tra i diversi attori del Cloud Computing. Il primo scenario (Figura 3.7.) prevede che il Cloud Consumer si interfacci con il Cloud Broker, il quale crea un nuovo servizio integrando i servizi offerti da più Provider o ampliando quelli esistenti.

23

LIU F., TONG J., MAO J., BOHN R., MESSINA J., BADGER L., LEAF D. (2011), “NIST Cloud computing reference architecture”, National Institute of Standards and Technology, Special Pubblication 500-292, pp.3-6.

78


Figura 3.7. Primo scenario.

Fonte: LIU F., TONG J., MAO J., BOHN R., MESSINA J., BADGER L., LEAF D. (2011), “NIST Cloud computing reference architecture”, National Institute of Standards and Technology, Special Pubblication 500-292, p.4.

Nel secondo scenario (Figura 3.8.) il Consumer entra direttamente in contatto con il Provider con cui instaura un primo accordo (SLA1). Il Provider a sua volta si affida al Cloud Carrier con cui stipula un secondo accordo (SLA2) in cui definisce i requisiti di capacità, flessibilità e funzionalità richiesti per poter rispettare il primo accordo con il Consumer. Figura 3.8. Secondo scenario.

Fonte: LIU F., TONG J., MAO J., BOHN R., MESSINA J., BADGER L., LEAF D. (2011), “NIST Cloud computing reference architecture”, National Institute of Standards and Technology, Special Pubblication 500-292, p.5.

Il terzo scenario (Figura 3.9.) prevede l’introduzione del Cloud Auditor nella relazione intercorrente tra Provider e Consumer. L’auditor, in questo caso, condurrà verifiche indipendenti sulle operazioni e la sicurezza del Cloud, interfacciandosi sia con il Consumer sia con il Provider.

79


Figura 3.9. Terzo scenario.

Fonte: LIU F., TONG J., MAO J., BOHN R., MESSINA J., BADGER L., LEAF D. (2011), “NIST Cloud computing reference architecture”, National Institute of Standards and Technology, Special Pubblication 500-292, p.5.

3.6. I MODELLI DI DEPLOYMENT DEL CLOUD COMPUTING Le modalità con cui i Cloud Providers erogano i servizi di loro competenza ai Cloud Consumers possono differire sulla base della tipologia di rete su cui sono connessi i Consumers. In particolare, secondo il National Institute of Standards and Technology (NIST), esistono quattro tipologie di modelli di deployement (o dispiegamento): Private Cloud, Public Cloud, Community Cloud e Hybrid Cloud. Il Private Cloud è un modello secondo il quale le infrastrutture informatiche sono di proprietà dell’organizzazione che le condivide al suo interno, in pratica si tratta di infrastrutture dedicate alle esigenze di una singola organizzazione. Questa tipologia di Cloud può essere gestita direttamente dall’organizzazione, oppure da parti terze in veste di hosting24 dei server, ma la posizione geografica delle risorse resta sempre ben definita. In questo modello sono presenti due vantaggi: un maggior livello di trasparenza e di controllo sui dati da parte del titolare. Tali vantaggi aumentano l’affidabilità grazie a tre funzionalità chiave: la visibilità, l’attendibilità e la protezione delle risorse. Secondo una ricerca svolta nel 2010 da EMC Corporation sulle tecniche di implementazione del Cloud, il Private Cloud 24

“Providing 'website housing' service to other firms or persons. The hosting service provider rents disk or storage space on its server(s), and usually complements it with backup and maintenance services and full software suites that handle traffic and transaction management functions.”, BUSINESS DICTIONARY, disponibile su www.businessdictionary.com.

80


rappresenta, ad oggi, la migliore opzione di implementazione per garantire elevati livelli di efficienza e sicurezza dei sistemi informativi, superando l’affidabilità dei tradizionali sistemi IT. 25 Il Public Cloud prevede che l’infrastruttura venga resa disponibile al pubblico attraverso Internet, per cui in questo caso la proprietà dell’infrastruttura è del fornitore specializzato, il Provider. Il modello Public implica il trasferimento dei dati presso il fornitore, il quale li condivide con il titolare, a differenza del modello Private. Per tale motivo, l’assenza di totale controllo da parte del cliente sui suoi dati rappresenta uno svantaggio, soprattutto quando i fornitori non forniscono informazioni circa la posizione delle infrastrutture tecnologiche su cui vengono processati e memorizzati i dati. Inoltre, il cliente non possiede la totale libertà di definire una propria politica di sicurezza, ma deve spesso adattarsi a quella dichiarata dal fornitore, fidandosi di quest’ultimo. Il Public Cloud però possiede anche il vantaggio di dare la possibilità al cliente di richiedere l’utilizzo dei servizi cloud nel momento in cui ne ha effettivamente bisogno e solo per il periodo di tempo necessario, consentendogli di ridurre gli investimenti in IT. Questa soluzione può essere più appropriata per le piccole aziende che hanno una capacità IT interna limitata, mentre per le imprese di grandi dimensioni potrebbe non rappresentare un’opzione competitiva. L’ Hybrid Cloud, combinando i due modelli precedenti, consente alle aziende che lo adottano di sfruttare i vantaggi di entrambi i modelli. Il modello “misto” può essere utile quando il cliente che dispone di un Private Cloud si avvale di un Public Cloud per gestire improvvisi picchi di lavoro a cui non potrebbe far fronte un Private Cloud. In questo modello, nonostante si integrino il Private e il Public Cloud, resta ferma la loro separata entità. Lo scambio di dati tra l’uno e l’altro modello creano situazioni di complessità che devono essere attentamente valutate dalle singole imprese. Oltre all’Hybrid Cloud esiste un altro modello di deployment che presenta caratteri dei due modelli principali, il Virtual Cloud. In tale modello,

25

EMC CORPORATION (2010), Creare un cloud affidabile: strategie di implementazione per Private e Hybrid Cloud, Special Report, Stati Uniti, pp.5-7.

81


l’infrastruttura viene condivisa da diverse organizzazioni, operanti nel medesimo contesto, che perseguono gli stessi obiettivi operativi e strategici e possiedono le stesse esigenze nei confronti dei fornitori di servizi cloud, come ad esempio i vari soggetti della pubblica amministrazione Il modello può essere gestito da soggetti terzi che governano la comunità oppure dagli stessi membri della comunità che dispongano di appropriate risorse. Di seguito (Figura 3.6.), per ogni tipologia di Cloud appena vista vengono messe a confronto le tre variabili (posizione fisica e proprietà, segregazione fisica delle risorse, controllo operativo) che secondo EMC Corporation devono essere considerate per implementare l’affidabilità del Cloud Computing. Figura 3.10. I profili di ogni opzione cloud per le tre variabili illustrate.

Fonte: EMC CORPORATION, (2010), Creare un cloud affidabile: strategie di implementazione per Private e Hybrid Cloud, Special Report, Stati Uniti, p.5.

Oggi la sfida principale di molti CIO è focalizzata sul Cloud Computing, allo scopo di decidere quale delle opzioni disponibili sia la migliore per il proprio business. L’opzione Private consente alle aziende di installare e personalizzare il software sui propri computer che si trovano in sede, all’interno di un data center privato. L’opzione Public, in alternativa, permette all'impresa di ricevere i servizi informatici da parte di terzi tramite il cloud. Utilizzando questa seconda opzione, il computing ora si comporta come un programma di utilità. Allo stesso modo in cui le persone si sono spostate dai generatori alla rete per l'energia elettrica più di un secolo fa, ora le persone pagano per i servizi cloud in base all’effettivo utilizzo che ne fanno.

82


Il consumo di servizi attraverso il cloud può fornire alle imprese le economie di scala e consentire loro di focalizzarsi al meglio sulle competenze chiave. Nonostante l’utilizzo dei server in loco richieda maggiori investimenti e competenze specialistiche che ne consentano il funzionamento, fornisce alle aziende un controllo diretto sulle risorse e sulle informazioni. Per tali motivi, considerati i vantaggi di entrambi i modelli, i CIO si sono resi conto che la risposta non risiede in uno o nell'altro modello, ma piuttosto in un’integrazione dei due. Come risultato, la maggior parte dei CIO opta per un approccio ibrido in grado di combinare l'adozione di servizi cloud alle loro esistenti infrastrutture. In realtà, non esiste una soluzione che calzi perfettamente al modello di business dell’impresa, per tale ragione i CIO svolgono l’importante compito di estrarre gli aspetti positivi di entrambe le opzioni integrando la flessibilità consentita dal Cloud Computing. In un ambiente dinamico come quello odierno, il CIO più che mai esercita una notevole influenza quando arriva il momento di implementare il business attraverso la trasformazione tecnologica.26

26

JOHNSTON J. (2013), “Public, Private or Hybrid Cloud?”, The Guardian.

83


CAPITOLO 4 − L’ADOZIONE DEL CLOUD COMPUTING Introduzione Negli ultimi anni la “nuvola digitale” ha rappresentato un concetto al centro dell’attenzione internazionale, in quanto nonostante la diffidenza in termini di affidabilità, viene riconosciuta come un’opportunità per le imprese, grazie ai suoi numerosi vantaggi. I principali sono riconducibili ai benefici di costo, grazie alla riduzione dei costi fissi che garantisce un impatto notevole sui costi totali d’impresa. In particolare, si stima che la nuvola comporterebbe un risparmio cumulato di circa 450 milioni di euro entro il 2015, che potrebbero crescere raggiungendo un miliardo se l’Italia raggiungesse lo stato di adozione dei paesi leader in questo ambito, come gli Stati Uniti1. Inoltre, il Cloud Computing gode di vantaggi quali l’elasticità, la scalabilità, la semplicità di condivisione e la virtualizzazione. I benefici forniti dall’adozione del Cloud costituiscono un’opportunità che non viene sfruttata ancora pienamente, poiché nello scenario internazionale, ed in particolare in quello italiano, si presentano una serie di fattori frenanti che ne ostacolano l’adozione. Infatti, se da un lato la nuvola è in grado di ridurre i costi di gestione dell’infrastruttura tecnologica, dall’altro comporta una serie di “costi nascosti” se non si valutano attentamente i rischi legati al passaggio dei propri dati nelle mani di un soggetto terzo. La preoccupazione più rilevante è sicuramente la paura legata all’incapacità di gestire l’inserimento di questo nuovo paradigma all’interno del panorama aziendale, con la consapevolezza che una scelta sbagliata potrebbe significare la perdita di dati aziendali. Alla luce di ciò, lo stato di adozione in Italia presenta livelli di gran lunga inferiori al resto del mondo, anche per la mancanza di un quadro normativo non ancora completo a riguardo, nonostante ciò il fenomeno della nuvola digitale sembra essere pronto ad esplodere da un momento all’altro in tutta la sua completezza, in quanto i vantaggi sono troppo rilevanti per essere trascurati, in particolare il risparmio dei costi rappresenta una grande opportunità per l’Italia che le 1

LONGO A. (2012), “Il cloud computing varrà 443 milioni di euro nel 2012, una stima che deluderà molti”, Il Sole24Ore.

84


consentirebbe di utilizzare le risorse risparmiate per alimentare l’innovazione, ossia uno dei principali motori per la crescita economica. 4.1. I VANTAGGI DEL CLOUD COMPUTING Il Cloud Computing fornisce alle imprese gli strumenti per accedere alla rivoluzione digitale che sta interessando il nostro secolo, sfruttando i vantaggi che ne derivano in modo tale da soddisfare al meglio le esigenze dei propri clienti e guidare la crescita futura. I benefici offerti dai servizi Cloud consentono alle imprese di focalizzarsi sulle core competences, in termini di tempo e risorse, evitando gli sprechi, concentrandosi sull’innovazione dei prodotti e dei processi aziendali. 4.1.1. RISPARMIO DI COSTI ED ECONOMIE DI SCALA Il principale vantaggio per le imprese che ricorrono al Cloud Computing è di tipo economico e consiste nella riduzione dei costi in Information Technologies, in quanto consente di sostenere gli investimenti necessari in maniera graduale. In genere, le infrastrutture IT interne costituiscono un costo in conto capitale, che deve essere necessariamente sostenuto prima di avere la disponibilità del bene, quindi se ad esempio comprassimo un server, l’acquisto risulterebbe in conto capitale in quanto pagheremmo in anticipo la macchina, prima ancora di poter usufruire dei suoi benefici. In sostanza, queste tecnologie determinano esborsi oggi a fronte di benefici che verranno ottenuti solo con il passare del tempo.2 Grazie alla virtualizzazione e alla standardizzazione, il Cloud Computing è in grado di abbattere i costi in conto capitale sgravando così i CIO dal pagamento di costi anticipati e azzerando eventuali costi di attivazione e start up. Da un lato, l’elevato grado di standardizzazione è in grado di ridurre sensibilmente il costo del lavoro e le altre spese di esercizio relative all’IT, dall’altro la virtualizzazione consente di evitare ulteriori investimenti in hardware e attingere ad un insieme di risorse scalabili, oltre i confini del data center aziendale.

2

REESE G. (2010), Cloud computing. Architettura, infrastruttura, applicazioni, Hops Tecniche Nuove, Milano, pp. 16-17.

85


Secondo un’indagine condotta da IBM nel 2012 su 572 dirigenti di imprese in tutto il mondo, il 31% degli intervistati indica tra i benefici principali del Cloud Computing la capacità di ridurre i costi fissi e di condurre l’impresa verso una struttura variabile dei costi, in cui domina il principio “pay as you go”. 3 Quest’ultimo rappresenta uno dei pilastri del Cloud Computing, consentendo agli utenti di pagare esclusivamente in base all’utilizzo effettivo dell’infrastruttura, evitando sprechi di denaro per risorse rimaste inutilizzate e consentendo di ridurre o espandere il budget IT in base alle esigenze effettive. Grazie alla riduzione dei costi fissi in IT all’interno dell’azienda si può promuovere il passaggio dalle spese capitali (CapEx) alle spese operative (OpEx), dove le prime includono le licenze relative ai software e la manutenzione dei server, presentando maggiori difficoltà di previsione con il rischio che i managers effettuino una sovrastima o una sottostima delle stesse. Tale cambiamento avviene poiché attraverso il Cloud Computing si riduce il numero di server in azienda e il carico di lavoro è in grado di migrare verso altri data center, anche in altri Paesi, dove le risorse siano accessibili, meno costose e più efficienti, riducendo non solo i costi fissi in hardware e software, ma soprattutto i costi di manutenzione di tali strumenti ai quali, ancora oggi, viene dedicata un’elevata percentuale del budget aziendale. Considerando tali aspetti, non sarà più necessario costruire un hardware, installare un software e pagare le licenze per utilizzarlo, poiché tali compiti vengono trasferiti in capo al Provider del servizio, che si occuperà anche della manutenzione e talvolta della gestione delle risorse di calcolo. Il risultato consiste in un risparmio non solo di risorse monetarie, ma anche di tempo necessario

a

svolgere

attività

quali

la

manutenzione,

l’installazione,

l’aggiornamento e la risoluzione di problemi, che in questo modo l’impresa può dedicare alle core competences. Considerando i principi fondamentali della microeconomia, il passaggio dai costi fissi ai costi variabili può essere rappresentato attraverso le curve di costo, partendo dalla situazione classica di un’impresa con costo variabile e prezzo di vendita costante, in cui è possibile individuare la quantità prodotta dall’impresa, 3

IBM INSTITUTE FOR BUSINESS VALUE (2012), “The power of the cloud. Driving business model innovation”, IBM Executive Report, pp.2-3.

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attraverso il break-even point (BEP)4, dato dall’incontro tra la retta dei costi totali (somma di costi fissi e costi variabili) e quella dei ricavi (Figura 4.1.). Figura 4.1. I costi fissi di impresa e il break-even point.

Fonte: ASTRID, RESPUBLICA in collaborazione con MICROSOFT (2011), L’impatto del cloud computing sull’economia italiana, Roma, p.16.

In questo caso, il break-even point è dato dalla quantità q1 che consente di ottenere il pareggio di bilancio, mentre per quantità inferiori e al di sotto del BEP l’impresa subirà una perdita, rappresentata dall’area rossa. Grazie al passaggio da infrastruttura a servizio, i costi fissi sostenuti per gli investimenti in IT, come l’acquisto di hardware e software, diventano costi operativi, in quanto l’impresa acquisterà un servizio dal Provider sostenendo costi variabili in base alla domanda di mercato. Come mostrato nella Figura 4.2., grazie all’introduzione del Cloud Computing, i costi fissi complessivi diminuiscono grazie al minor impatto dei costi fissi in IT e lasciano spazio ai costi variabili, che attraverso il modello pay-as-you-go generano uno spostamento verso il basso della curva dei costi totali. Tale

4

“ Il BEP indica, in sostanza, la quantità a partire dalla quale l’impresa dovrebbe iniziare coprire a produrre utili e quindi superare la fase d criticità del mercato.” CARLESI A. (2002), Finanza per l’innovazione, Franco Angeli, Milano, p.96.

87


cambiamento genera un vantaggio per l’impresa, grazie alla riduzione della quantità necessaria, che si sposta da q1 a q2, per raggiungere il BEP. Queste rappresentazioni mostrano l’effetto del Cloud Computing sui costi d’impresa, ed in particolare sui costi fissi, i quali riducono la flessibilità dell’impresa, costituendo un elevato onere per i managers. Il vantaggio che risiede nella riduzione di tali costi è tanto più elevato quanto maggiore è l’incidenza dei costi fissi in IT sul budget predisposto dall’impresa e quanto più elevata è la variabilità della produzione nel tempo. Figura 4.2. L’effetto sul break-even point della riduzione del costo fisso dell’IT.

Fonte: ASTRID, RESPUBLICA in collaborazione con MICROSOFT (2011), L’impatto del cloud computing sull’economia italiana, Roma, p.17.

I benefici economici derivanti dall’introduzione di soluzioni Cloud non si limitano alla riduzione dei soli costi fissi, ma anche di quelli variabili, in quanto grazie alla diffusione del Cloud Computing il Provider può beneficiare di economie di scala. Le economie di scala di cui gode il Cloud Provider traggono origine da quattro fattori principali: il costo dell’energia, i costi del lavoro per l’infrastruttura, la sicurezza, l’affidabilità e il potere d’acquisto.5

5

MICROSOFT CORPORATE STRATEGY GROUP (2010), “The economics of the cloud”, Microsoft Research, pp.3-4.

88


Il costo dell’energia elettrica è in continuo aumento e la riduzione del consumo di energia potrebbe rappresentare un cost saving rilevante per le imprese. Un Provider di grandi dimensioni è in grado di assicurarsi una tariffa più vantaggiosa rispetto agli operatori dei piccoli data center, grazie alla sua capacità di collocare i propri data center in luoghi dove il costo dell’energia è inferiore. Uno studio condotto da Nucleus Research nel 2010 sul caso SalesForce.com sostiene che attraverso i servizi di Cloud è possibile abbattere il consumo energetico fino al 91% portando benefici anche all’ambiente, considerando che l’ICT è responsabile per il 2% delle emissioni di carbonio in Europa. 6 I costi del lavoro necessario per svolgere compiti spesso ripetitivi possono essere ridotto grazie al Cloud Computing che consente di automatizzare molte attività, quindi se in caso di assenza di servizi Cloud, il gestore di un sistema può seguire solo uno o pochi server, in presenza di Cloud Computing un unico gestore può controllare migliaia server. Considerata l’esigenza di aumentare la sicurezza e l’affidabilità, e soprattutto di ridurre i costi fissi legati a questi due aspetti, vi è la necessità di creare economie di scala, in modo tale che i grandi Provider siano in grado di offrire maggiore competenza in tale ambito. Inoltre, le economie di scala derivano dalla capacità del Cloud Computing di ridurre le spese sostenute per le infrastrutture informatiche, grazie al potere di acquisto dei Provider di grandi dimensioni, in grado di ottenere sconti sull’elevato volume di acquisti effettuati. In assenza di servizi Cloud, se si considera che l’acquisizione di nuove macchinari in grado di far fronte alla crescente domanda di servizio potrebbe richiedere settimane, l’unico modo per prevenire i picchi di domanda è prevederli con il dovuto anticipo. Un ulteriore risparmio nei costi è dato dal principio di multi-tenancy che caratterizza il Cloud Computing. Il sistema multi-tenancy, letteralmente multi locazione, prevede che una singola istanza di un’applicazione server sia sfruttata 6

NUCLEUS RESEARCH (2010), Cloud computing: It is easy being green, Report K52, pp.8-9.

89


da più organizzazioni clienti (tenant). In questo modo, come mostra la Figura 4.3., vi è la condivisione di una stessa applicazione fra più organizzazioni, consentendo di offrire servizi più economici e riducendo il numero di istanze necessarie. Tale principio rappresenta una fonte importante delle economie di scala grazie al quale l’impresa è in grado di spalmare i costi fissi di manutenzione su un numero più ampio di clienti. Figura 4.3. Confronto tra i modelli di Single-Tenancy e Multi-Tenancy.

Fonte: LOFRUMENTO G. (2011), “Le applicazioni nel cloud: opportunità e prospettive”, Notiziario Tecnico di Telecom Italia, n. 1, pp. 86.

4.1.2. ELASTICITÀ E CAPACITÀ ON-DEMAND I concetti di elasticità e di capacità on-demand viaggiano insieme, in quanto la forza del Cloud Computing è riconducibile all’elasticità, grazie alla quale l’impresa è in grado di far fronte alla maggiore o minore capacità richiesta dalle esigenze del business. I servizi di Cloud offrono un elevato grado di elasticità, che consente ai clienti che utilizzano determinate quantità di risorse di aumentarle o ridurle liberamente lasciando immutate le condizioni contrattuali, il tutto con un tempo di attesa di qualche minuto e non più di settimane come avviene nei data center in-house. L’elasticità fornita dalle soluzioni Cloud presenta notevoli vantaggi nel caso in cui la domanda del servizio raggiunga picchi durante l’arco della giornata, che altrimenti condurrebbero a sprechi di risorse sia nel caso in cui l’azienda abbia previsto correttamente i picchi di domanda, sia nei casi più gravi di overprovisioning e underprovisioning.

90


Ad esempio7, la Figura 4.4. rappresenta la situazione in cui la domanda è stata adeguatamente prevista, in particolare durante i momenti di picco della giornata, generalmente le ore diurne, i server necessari ammontano a 500, mentre nei momenti di minore intensità, in genere le ore notturne, ne servono solo 100. In media l’utilizzo sarà dato da: 300 server x 24 ore = 7.200 ore di server In realtà, prevedendo i picchi e volendo scongiurare il rischio di non riuscire a far fronte alla domanda, pagheremo per: 500 server x 24 ore= 12.000 ore di server Figura 4.4. Rappresentazione degli sprechi anche a fronte di una corretta previsione.

Fonte: ARMBRUST M., FOX A., GRIFFITH R., JOSEPH A., KATZ R., KONWINSKI A., LEE G., PATTERSON D., RABKIN A., STOICA I., ZAHARIA M. (2009), “Above the Clouds: a Berkeley view of cloud computing”, Technical Report, Electrical Engeneering and computer sciences University of California at Berkeley, p.11.

In questo caso, nonostante la corretta stima di previsione, l’azienda andrà ugualmente incontro a sprechi (aree grigie) non essendo in grado di seguire in maniera elastica l’andamento della domanda di servizio. Grazie all’elevata elasticità e flessibilità dei servizi Cloud è possibile trasferire questo rischio, evitando lo spreco di risorse nel caso di sovrastima delle risorse necessarie (overprovisioning) oppure l’impossibilità di far fronte alla domanda a causa di una sottostima delle risorse (underprovisioning). 7

ARMBRUST M., FOX A., GRIFFITH R., JOSEPH A., KATZ R., KONWINSKI A., LEE G., PATTERSON D., RABKIN A., STOICA I., ZAHARIA M. (2009), “Above the Clouds: a Berkeley view of cloud computing”, Technical Report, Electrical Engeneering and computer sciences University of California at Berkeley, pp.10-11.

91


Si può verificare anche il caso in cui l’impresa non stimi correttamente la domanda futura, generando così i rischi di underprovisioning e overprovisioning. Nel

caso

in

cui

l’impresa

sottostimi

i

picchi

futuri

di

domanda

(underprovisioning), la capacità a sua disposizione non sarà abbastanza da soddisfare tutti i clienti come mostra l’area grigia delle curve nella Figura 4.5.. In questo caso, il costo di sottostima è difficile da quantificare poiché si genera un effetto negativo doppio: da un lato, l’impresa non sarà in grado di soddisfare i clienti in eccedenza perdendo le entrate che ne sarebbero derivate, dall’altro, questi clienti difficilmente torneranno dall’impresa vista la scarsità del servizio. Figura 4.5. Primo caso di underprovisioning.

Fonte: ARMBRUST M., FOX A., GRIFFITH R., JOSEPH A., KATZ R., KONWINSKI A., LEE G., PATTERSON D., RABKIN A., STOICA I., ZAHARIA M. (2009), “Above the Clouds: a Berkeley view of cloud computing”, Technical Report, Electrical Engeneering and computer sciences University of California at Berkeley, p.11.

A questo punto, si verificherà la situazione in cui i clienti non saranno più soddisfatti del servizio offerto e per tale ragione decideranno di abbandonare l’impresa, generando una riduzione dei picchi di richieste del servizio. In particolare, tale riduzione avrà luogo fino al punto in cui i picchi di richieste da parte degli utenti si uguaglieranno alla capacità offerta dall’impresa, come mostra la Figura 4.6.. Alla luce di ciò, si origineranno due effetti: i clienti rimasti otterranno nuovamente un buon livello di servizio, mentre l’impresa registrerà una perdita di capacità e un’erosione dei ricavi.

92


Figura 4.6. Secondo caso di underprovisioning.

Fonte: ARMBRUST M., FOX A., GRIFFITH R., JOSEPH A., KATZ R., KONWINSKI A., LEE G., PATTERSON D., RABKIN A., STOICA I., ZAHARIA M. (2009), “Above the Clouds: a Berkeley view of cloud computing”, Technical Report, Electrical Engeneering and computer sciences University of California at Berkeley, p.11.

4.1.3. SCALABILITÀ Il Cloud Computing fornisce soluzioni scalabili, ossia in grado di espandersi e contrarsi,

grazie

alla

capacità

del

sistema

adattandosi

all’eventuale

aumento/riduzione di carico elaborativo o di storage. Questo concetto è strettamente legato all’elasticità, ma è importante sottolineare che l’elasticità non garantisce la scalabilità, in questo senso se servizi non scalabili vengono trasferiti sulla “nuvola”, ciò non conferirà loro la scalabilità, che dipenderà esclusivamente dall’architettura delle applicazioni che realizzano i sevizi posti all’interno del Cloud. Secondo una ricerca svolta da IBM nel 2012, la scalabilità delle risorse concessa dal Cloud Computing consente anche la scalabilità del business. Lo studio riporta l’esempio di Netflix, un servizio di sottoscrizione tramite Internet di film e programmi televisivi, che ha deciso di migrare verso la nuvola. Tale cambiamento ha generato un aumento della base clienti senza il bisogno di costruire e gestire un data center di maggiori dimensioni che fosse in grado di accogliere la domanda della nuova base clienti. 8

8

IBM INSTITUTE FOR BUSINESS VALUE (2012), “The power of the cloud. Driving business model innovation”, IBM Executive Report, p.5.

93


La possibilità di scalare la nuvola modificando manualmente la capacità è sicuramente un grande vantaggio rispetto alle infrastrutture tradizionali, ma la vera potenza risiede nel poter scalare automaticamente. La modifica manuale delle capacità avviene eseguendo un comando di shell9 di sistema o tramite un’interfaccia web di amministrazione, invece la modifica automatica viene eseguita tramite uno script in grado di rispondere ad allarmi predefiniti oppure attraverso un altro software in grado di aggiungere risorse dinamicamente. Esistono diverse modalità per scalare la nuvola, tra cui lo scaling dinamico che si scinde in scaling proattivo e scaling reattivo.10 Lo scaling dinamico consente di modificare le risorse allocate ad un sistema di Cloud via software, senza alcun intervento interattivo. In particolare, nello scaling proattivo si configura una scaletta secondo cui modificare le risorse in base alla domanda attesa, mentre nello scaling reattivo il sistema reagisce automaticamente aggiungendo o togliendo risorse in base alla domanda effettiva. 4.1.4. ACCESSIBILITÀ E CONDIVISIONE Grazie al Cloud Computing l’accesso ai dati e ai programmi in remoto è reso possibile in qualunque momento e in qualunque luogo, attraverso un computer connesso alla rete oppure attraverso gli apparecchi portatili come smartphone e tablet. Tutto ciò che serve per avere un accesso illimitato è quindi una connessione web in banda larga sempre attiva e bidirezionale, ossia in grado di garantire prestazioni equivalenti sia nella ricezione dei dati che nell’invio degli stessi. In questo modo, la nuvola è liberamente accessibile in qualsiasi momento, ottimizzando anche il tempo necessario per l’accesso ai dati. In Italia, purtroppo le connessioni a banda a larga non sono ancora molto diffuse e questo rappresenta un

9

“ La shell è un programma di sistema che agisce da interfaccia tra utente e sistema, eseguendo le istruzioni di comando per la creazione e l’avvio di processi , per la gestione della memoria di massa e della memoria principale (RAM), oppure per definire le politiche di protezione dei file e della comunicazione di rete.” DIZIONARIO INFORMATICO disponibile su www.dizionarioinformatico.com. 10

REESE G. (2010), Cloud computing. Architettura, infrastruttura, applicazioni, Hops Tecniche Nuove, Milano, pp. 174-175.

94


ostacolo per lo sviluppo del Cloud Computing, dato che laddove non vi è questo tipo di connessione è inutile parlare di soluzioni Cloud.11 L’accesso facilitato garantisce anche la condivisione delle informazioni e dei dati, consentendo al personale di un’impresa di lavorare da casa o da qualsiasi luogo, favorendo la mobilità e migliorando la produttività delle imprese. 4.1.5. VIRTUALIZZAZIONE La dematerializzazione consentita dalle soluzioni Cloud introduce diversi vantaggi come:  La riduzione di spazio per ospitare i server fisici, in quanto il server viene esternalizzato in base all’offerta del Provider;  La

riduzione

del

consumo

di

energia

elettrica

destinata

all’alimentazione e al condizionamento poiché tanti server fisici vengono concentrati in un unico server del Provider;  La riduzione dei costi di gestione e di manutenzione che viene affidata al Provider del servizio Cloud;  Il rapido provisioning12 effettuato dal Provider, che utilizzando risorse virtuali riduce i tempi del processo da settimane a pochi minuti. In particolare, secondo uno studio condotto nel 2013 dalla società North Bridge, i principali driver di adozione del Cloud Computing sono rappresentati dalla scalabilità per il 54,5% degli intervistati, dall’agilità per il 54,3% e dai costi per il 48,1%, riconosciuti come i principali vantaggi associati alla nuvola. 13

11

BEVILACQUA D. (2011), “Cloud Revolution: le innovazioni tecnologiche che semplificano il tuo business”, MediaPlanet Special Report, p.9. 12

“ Il provisionig rappresenta il processo, spesso complesso, per la preparazione e l’allestimento delle risorse necessarie a rendere disponibili nuovi servizi ai clienti”, LOFRUMENTO G. (2011), “Le applicazioni nel cloud: opportunità e prospettive”, Notiziario Tecnico di Telecom Italia, n. 1, p.86. 13

NORTH BRIDGE VENTURE PARTNERS (2013), “The future of Cloud Computing, 3rd annual survey 2013”, North Bridge in partnership with GigaOM Research, slideshow: slide 37, campione pari a 855 CIO intervistati.

95


In sostanza, la nuvola digitale rappresenta un volano di produttività per le imprese, consentendo non solo la riduzione dei costi di gestione informatici, ma anche l’archiviazione ovunque ci si trovi attraverso una connessione Internet. Inoltre, è in grado di dare vita a modelli di business innovativi che consentono la nascita di start-up favorendo il sostegno e la crescita economica. 4.2. GLI OSTACOLI ALL’ADOZIONE DEL CLOUD COMPUTING Il Cloud Computing, come abbiamo visto, gode di numerosi vantaggi che spingono le imprese verso nuove posizioni competitive e innovazione, nonostante ciò le imprese europee vivono ancora una situazione di arretratezza rispetto a quelle statunitensi. Tale condizione è da attribuire alla presenza di preoccupazioni ancora radicate riguardanti questa nuova gamma di servizi. Secondo lo studio condotto dalla società di analisi Research in Action, la maggior parte dei responsabili IT intervistati sarebbe preoccupata per i costi nascosti associati alla nuvola, legati ad una end user experience ancora scarsa. 14 Come mostra la Figura 4.7., alla domanda “Sei preoccupato dai costi nascosti associati ai servizi Cloud?” posta ai 468 CIO intervistati, il 79% risponde positivamente. Figura 4.7. La preoccupazione sui costi nascosti del Cloud Computing.

Fonte: RESEARCH IN ACTION (2013), “The hidden cost of managing applications in the cloud”, Reaserch In Action, p.4, campione pari a 468 responsabili IT di aziende medio grandi di USA, Europa e Asia. 14

RESEARCH IN ACTION (2013), “The hidden cost of managing applications in the cloud”, Reasearch In Action, p.4, campione pari a 468 responsabili IT di aziende medio grandi di USA, Europa e Asia.

96


Inoltre, la nuvola non è uno strumento facile da governare poiché è necessario monitorare a distanza i servizi che non vengono più consegnati direttamente dall’azienda al cliente. Con l’aumento dei servizi offerti dalle soluzioni Cloud aumenta anche tale complessità, che se non gestita correttamente può rendere molto più complicata la risoluzione dei problemi. Le preoccupazioni più elementari sono dovute alla virtualizzazione dei servizi associati alla nuvola, per cui le aziende si chiedono:15 

Dove sono i nostri dati?

Chi ha l’accesso?

La diffidenza verso la nuvola aumenta quando si contempla la possibilità di un disaster recovery, ossia l’insieme di tecnologie finalizzate a ripristinare il sistema che genera un servizio in caso di emergenze che ne interrompano o ne pregiudichino il regolare funzionamento, che possono essere dovute a qualsiasi evento imprevedibile (blackout, catastrofi naturali, ecc). La concentrazione e la centralizzazione dei dati legata alla nuvola aumenta il rischio di un malfunzionamento in massa, causando nei casi più estremi anche la chiusura dell’attività d’impresa. Un caso meno estremo, riguarda Microsoft che nel 2011 ha registrato un’interruzione dei servizi legato al Cloud Computing per circa mezz’ora a causa di un malfunzionamento del sistema.16 Riprendendo lo studio di Research in Action, le principali preoccupazioni, come mostra la Figura 4.8., emerse dalle interviste di 468 CIO di imprese sparse in Asia, Europa e Stati Uniti sono: 17 1. Una end user experience molto bassa causata da colli di bottiglia (64%); 15

GREGG M. (2010), “10 Security concerns for cloud computing”, Global Knowledge’s Paper, pp.2-5. 16

BBC (2011), “Microsoft online services hit by major failure”, BBC News Technology, disponibile su www.bbc.com. 17

RESEARCH IN ACTION (2013), “The hidden cost of managing applications in the cloud”, Reasearch In Action, p.4, campione pari a 468 responsabili IT di aziende medio grandi di USA, Europa e Asia.

97


2. Lo scarso impatto sulla reputazione del marchio e/o sulla fedeltà del cliente in termini di rendimento (51%); 3. La perdita di ricavi legata alla disponibilità e alle performance (44%). Figura 4.8. Le principali preoccupazioni sul Cloud Computing.

Poor end-user experience due to perfomance bottlenecks

Impact of poor performance on brand reputation and/or customer loyalty

Loss of revenues due to availability, performance or troubleshooting cloud services 0%

10%

20% 30% 40% 50%

60% 70%

Fonte: RESEARCH IN ACTION, (2013), “The hidden cost of managing applications in the cloud”, Reasearch In Action, p.5, campione pari a 468 responsabili IT di aziende medio grandi di USA, Europa e Asia.

Nonostante tali preoccupazioni, oggi la maggior parte delle imprese (73%) continuano a monitorare le performance delle loro applicazioni Cloud attraverso metodi obsoleti, basandosi su elementi quali la disponibilità e il tempo di attività e/o di risposta del servizio, anziché monitorare direttamente la qualità della enduser experience, attraverso metodi più raffinati come il tempo di interattività con l’utente o il tempo di rendering di una pagina. Per le imprese è necessario superare al più presto queste preoccupazioni, che potrebbero riflettersi sul servizio offerto ai clienti finali rendendoli poco soddisfatti e conducendoli verso la scelta di imprese concorrenti.18 La nuvola viene riconosciuta come un fattore chiave per il business, ma il suo impatto sull’attività aziendale deve essere attentamente valutato, in quanto si rileva la presenza di costi nascosti (“hidden costs”), come la perdita di entrate, il 18

MCKENDRICK J. (2013),” Hidden costs of cloud computing, Revealed”, Forbes.

98


danno alla reputazione, l’indebolimento delle relazioni con i clienti ed una conseguente perdita di produttività. A tal fine le imprese devono garantire la qualità dei servizi offerti dal Provider attraverso la sottoscrizione di contratti che presentino particolari tipologie di documenti, i Service Level Agreement, che assicurano un livello minimo di qualità. Lo studio condotto dalla società North Bridge ha rilevato i principali ostacoli all’adozione del Cloud Computing, individuando le preoccupazioni circa: 19 

l’affidabilità, la necessità di una banda larga e la complessità per il 65%;

la normativa ancora incompleta e il problema della riservatezza dei dati aziendali per il 63%.

Secondo quanto affermato da Andrew Jaquith, CTO di SilverSky20, la sicurezza resta la principale preoccupazione per le imprese che sono riluttanti a trasferire i dati sensibili sulla nuvola, non potendo controllare le azioni e la legalità d’uso dei propri dati da parte dei Provider. Egli propone una soluzione per accelerare l’adozione di questi servizi: una maggiore trasparenza e chiarezza da parte dei fornitori di servizi Cloud accompagnata da una migliore assicurazione relativa ai controlli di sicurezza. L’aspetto che preoccupa le aziende è la perdita di controllo sui dati sensibili, che vengono messi a disposizione di parti terze, con il rischio di compromettere la riservatezza di tali dati, come è avvenuto nel 200721 quando il governo britannico perse due compact disk contenenti informazioni sensibili di circa 25 milioni di contribuenti, causando uno scandalo rilevante.

19

NORTH BRIDGE VENTURE PARTNERS (2013), “The future of Cloud Computing, 3rd annual survey 2013”, North Bridge in partnership with GigaOM Research, slideshow: slide 44, campione pari a 855 CIO intervistati. 20

“SilverSky rappresenta un fornitore di soluzioni relative alla sicurezza del Cloud Computing, esperto nella fornitura di servizi legati alle piattaforme Software as A Service”, disponibile su www.silversky.com. 21

GREENBERG A. (2008), “Cloud computing stormy’s side”, Forbes.

99


Dopo la sicurezza, l’aspetto che crea maggiori preoccupazioni è il rischio di lockin, come risultava già dalla precedente ricerca di North Bridge22 (Figura 4.9.) e confermato dallo studio della stessa società nel 2013, dal quale risulta che il 35% degli intervistati sarebbe preoccupato per il rischio di lock-in.23 Figura 4.9. Il rischio di lock-in tra le principali preoccupazioni secondo North Bridge.

Fonte: NORTH BRIDGE VENTURE PARTNERS (2012), “The future of Cloud Computing”, North Bridge, slide 55, campione pari a 785 CIO intervistati.

Il vendor lock-in rappresenta una sorta di “ingabbiamento” dell’utente esercitato dal fornitore, il quale applica questa strategia attraverso azioni, come l’applicazione di prezzi vantaggiosi, che rendono difficile per l’utente la conclusione del rapporto o il passaggio ad un concorrente. Secondo Gartner più che un problema, il vendor lock-in rappresenta un fattore di rischio da considerare con cautela nell’analisi dei costi/benefici dei servizi offerti da un Cloud Provider. Il lock-in, insieme ad altri 34 rischi, è stato individuato individuato dal report redatto dall’agenzia ENISA24, nel quale emerge anche il rischio di loss of governance, dal momento in cui le aziende che si affidano alla nuvola cedono al 22

NORTH BRIDGE VENTURE PARTNERS (2012), “The future of Cloud Computing”, North Bridge, slideshow: slide 55, campione pari a 785 CIO intervistati. 23

COLUMBUS L. (2013), “North Bridge Venture Partners, Future of cloud computing survey: SaaS still the dominant cloud platform”, Forbes. 24

ENISA, (2009), “Cloud Computing Security Risk Assessment”, ENISA, pp. 23-52.

100


fornitore dei servizi Cloud il controllo di una serie di aspetti che hanno un forte impatto sulla difesa della sicurezza. 4.3. LO STATO DI ADOZIONE DEL CLOUD COMPUTING Il Cloud Computing deriva da una trasformazione epocale dei sistemi client/server, proprio come è avvenuto negli anni precedenti con il passaggio dal mainframe25 al client-server26. L’aspetto economico di tali mutamenti costituisce un elemento molto potente in grado di trasformare i vari settori e di decretare l’affermazione o la scomparsa dell’oggetto del cambiamento. Durante il periodo di affermazione dei mainframe, il client-server era visto come una sistema che non sarebbe mai stato capace di dominare, eppure questo modello è riuscito a farsi strada nelle imprese e a crescere d’importanza. Allo stesso modo, la virtualizzazione proposta inizialmente dai servizi di Cloud Computing ha incontrato diversi ostacoli, giungendo poi a rappresentare un passaggio importante nell’aspetto economico dell’IT. L’interesse verso il Cloud Computing nasce perché si crea una corrispondenza diretta tra i suoi vantaggi e le priorità aziendali, le quali secondo uno studio svolto da InformationWeek nel 2010 possono essere raggruppate in cinque categorie principali (Figura 4.10): aumentare l’efficienza dei costi interni, sviluppare e vendere prodotti e servizi innovativi, aumentare la soddisfazione dei clienti, adattare il business ai veloci cambiamenti del mercato, aumentare la qualità dei prodotti e dei servizi offerti. 27 Su 485 professionisti intervistati nel 2010, il 37% ha dichiarato che l’obiettivo prioritario della propria organizzazione è il miglioramento dell’efficienza per

25

“Computer di notevoli dimensioni per il trattamento di grandi quantità di dati”, Dizionario Italiano del Corriere Della Sera. 26

“Modello di comunicazione e di suddivisione dei compiti tra gli utenti (client) di una rete di calcolatori e uno o più calcolatori (server) che distribuiscono informazioni o offrono servizi applicativi”, Dizionario Italiano del Corriere Della Sera. 27

INFORMATION WEEK (2010-2011), “Analytics Enterprise Applications Survey”, InformationWeek, pp.9-10, campione intervistato pari a 485 professionisti.

101


ridurre i costi interni ed il 22% afferma che la priorità consiste nello sviluppo e distribuzione di prodotti e servizi innovativi. Sulla base dei vantaggi analizzati nei paragrafi precedenti, tali priorità aziendali sono in linea con l’adozione del Cloud Computing, che è in grado di ridurre l’incidenza dei costi totali sulla gestione dell’impresa, spiegandone il motivo di interesse. Figura 4.10. Le priorità aziendali secondo InformationWeek.

Fonte: INFORMATION WEEK (2010), “Analytics Enterprise InformationWeek, campione intervistato pari a 485 professionisti.

Applications

Survey”,

Nel 2012, IBM ha svolto un’indagine tra 572 dirigenti di business e tecnologia situati in tutto il mondo, suggerendo che nonostante il Cloud Computing sia ampiamente riconosciuto come una tecnologia importante, non è ancora pienamente condiviso dalle imprese come driver per l’innovazione del business model. 28 Lo studio dimostra, però, che questa tendenza è destinata a cambiare nei prossimi anni, durante i quali sempre più imprese abbracceranno le soluzioni offerte dal Cloud Computing. Dall’analisi dei dati di questo studio è emerso che il 72% degli intervistati utilizza già soluzioni Cloud per ridurre la complessità e i costi associati agli approcci IT tradizionali, tale percentuale si appresta a raggiungere il 90% di utilizzatori entro il 2015 (Figura 4.11.), con un incremento sostanziale delle imprese che lo adotteranno e implementeranno.

28

IBM INSTITUTE FOR BUSINESS VALUE (2012), “The power of the cloud. Driving business model innovation”, IBM Executive Report, p.2-4.

102


Inoltre, circa la metà dei dirigenti intervistati dichiara di valutare le soluzioni Cloud prima ancora dei tradizionali approcci IT ogni volta che deve prendere una decisione circa un nuovo investimento. Figura 4.11. Lo scenario futuro del Cloud Computing secondo IBM.

Fonte: IBM INSTITUTE FOR BUSINESS VALUE (2012), The power of the cloud. Driving business model innovation, Executive Report, p.2.

IBM sottolinea come solo il 31% prevede che l’efficienza per ridurre i costi continuerà a essere una sfida nei prossimi tre anni, invece in futuro l’attenzione si sposterà verso la crescita e le iniziative competitive basate sull’innovazione, che potranno essere raggiunte attraverso il vantaggio competitivo fornito dalle soluzioni Cloud. Le imprese non si affacciano al Cloud Computing solo per guadagnare una maggiore efficienza interna, ma anche per acquisire maggiori capacità strategiche. Infatti, lo studio dimostra che il principale obiettivo dell’adozione di soluzioni Cloud risiede nelle capacità esterne,

riflettendosi nei sei dei sette obiettivi

evidenziati, mentre solo uno dei sette principali obiettivi, consistente nel vantaggio di costo attraverso l’integrazione verticale, si riferisce all’efficienza interna. La Figura 4.12. mostra l’importanza attribuita dagli intervistati a ciascuno dei sette obiettivi raggiungibili attraverso il Cloud Computing, su una scala composta da “important” e “very important”. 103


Figura 4.12. L’importanza degli obiettivi raggiungibili attraverso il Cloud Computing.

Fonte: IBM INSTITUTE FOR BUSINESS VALUE (2012), The power of the cloud. Driving business model innovation, Executive Report, p.3.

Ciò che risulta evidente è che il fenomeno del Cloud Computing è destinato a crescere nei prossimi anni, e con esso anche gli investimenti ad esso dedicati. La società di ricerca Research In Action ha svolto una ricerca nel Dicembre del 2012 per verificare quali sarebbero stati gli andamenti del Cloud Compuitng nei successivi 12 mesi. Da tale studio è emerso che la maggior parte degli intervistati ha identificato come principale area di investimento per l’IT nell’anno 2013 quella relativa all’adozione di soluzioni Cloud. In particolare, il 12,5% delle aziende intervistate pianifica investimenti in infrastrutture Cloud nel 2013 ed il 9,6% si focalizza sulla rinegoziazione dei contratti di outsourcing. La previsione per i prossimi cinque anni conferma il Cloud Computing come la principale area di investimento per il 16,5% delle imprese intervistate. 29 Tra le motivazioni di adozione del Cloud Computing vi è anche la facilitazione di accesso al mercato per le nuove imprese, infatti abbattendo i costi fissi aumentano gli incentivi di ingresso sul mercato. Nell’arco di cinque anni a partire dal 2011, si è stimato che l’introduzione di soluzioni Cloud consenta l’aumento di alcuni punti percentuali del PIL, con la creazione di circa un milione di posti di lavoro grazie allo sviluppo di alcune

29

RESEARCH IN ACTION (2013), “The hidden cost of managing applications in the cloud”, Research In Action, p.3, campione pari a 468 responsabili IT di aziende medio grandi di USA, Europa e Asia.

104


centinaia di migliaia di imprese all’interno del contesto europeo30. Si prevede che il processo di creazione di nuove imprese continui nel tempo determinando un impatto notevole sull’economia, in particolare in quei paesi, come l’Italia, dove sono maggiormente diffuse le piccole e medie imprese (PMI). Secondo lo studio condotto dal Professor Etro dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, tra i paesi dell’Unione Europea sarà proprio l’Italia ad emergere per il maggior numero di nuove imprese, oltre 15.000 nell’ipotesi di lenta adozione della tecnologia e oltre 81.000 nell’ipotesi di rapida adozione, per un totale di quasi 431.000 nuove imprese in tutta Europa (Figura 4.13.). Figura 4.13. La nascita di nuove imprese grazie al Cloud Computing.

Fonte: ETRO F., (2011), “Cloud power. Cloud computing e sviluppo economico”, Brochure Microsoft, p.1.

Il Cloud Computing appare una proposta allettante, soprattutto per le piccole imprese che effettuano il loro ingresso sul mercato, che possono noleggiare una moderna infrastruttura IT ad un canone mensile di meno di 10.000 dollari, 30

ETRO F. (2011), “Cloud power. Cloud computing e sviluppo economico”, Brochure Microsoft, p.1.

105


piuttosto che investire decine di milioni di dollari in anticipo per costruire data center sicuri. Nel settore bancario sono molte le banche nascenti che adottano soluzioni Cloud, come la Reinassance Credit, la quale ha abbracciato quasi totalmente il Cloud Computing riuscendo a tagliare i costi di start-up. Le grandi banche ricorrono in via minore a queste soluzioni a causa delle preoccupazioni sulla sicurezza dei dati e sulla privacy, ma con il passare degli anni divengono sempre più consapevoli sulle potenzialità della nuvola. Come dichiara il banking analyst di Barclays, Simon Samuels, i ricavi delle grandi banche europee sono cresciuti in media del 18% l’anno, prima della crisi finanziaria, riducendosi negli ultimi anni, ma il Cloud Computing potrebbe essere in grado di risollevare la situazione, migliorando il rapporto tra costi e ricavi.31 Dal punto di vista dell’occupazione, l’impatto di questa adozione sarà molto forte, con la creazione di 1,7 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo legati al Cloud solo nel 2012 e si stima che arrivino a sfiorare i 7 milioni nel corso del 2013. Un dato preoccupante che emerge dallo studio di IDC consiste nel fatto che la maggior parte di questi posti di lavoro verranno creati al di fuori dei paesi sviluppati, causando uno scarso impatto sulla struttura economica del nostro paese.32 4.3.1. LO STATO DI ADOZIONE IN ITALIA L’Italia ha accolto positivamente il Cloud Computing, ma continua ad essere in ritardo nell’adozione rispetto agli altri paesi. In particolare, la spesa delle grandi imprese è salita del 12%, mentre nelle PMI ha raggiunto una crescita del 16%. In relazione ai paesi più sviluppati, cresciamo l’8% in meno, dove paesi come Indonesia, Argentina, Messico e Turchia presentano tassi di sviluppo nella spesa Cloud dell’ordine del 25-30%, ossia quasi il triplo rispetto all’Italia.

31

THE ECONOMIST (2013), “Silver linings. Banks big and small are embracing cloud computing”, The Economist. 32

CUSHING A., GANTZ J.F. (2011), “Climate change: Cloud’s impact on ITorganizations and staffing”, IDC Research sponsored by Microsoft, pp.2-5.

106


Il futuro del Cloud in Italia, però, è promettente, in quanto oggi questo mercato vale 493 milioni di euro, con un progresso dell’11% rispetto al 2012. Secondo lo studio effettuato nel 2013 dall’ Osservatorio Cloud & ICT as a Service del Politecnico di Milano su un campione composto da 201 grandi imprese (oltre 250 dipendenti) e 507 PMI, la spesa delle grandi imprese sarebbe cresciuta del 50% per il Private Computing e del 54% per il Public Computing, contro un aumento del solo 16% della spesa in IT. 33 In particolare, la spesa è cresciuta di circa sei milioni di euro per i sistemi IaaS sia nel Public sia nel Private Cloud, non manca però anche la crescita di investimenti per i sistemi PaaS e SaaS rispetto al 2012. Nelle PMI, la situazione è analoga con un aumento della spesa per il Cloud pari al 40%, contro un aumento del solo 16% per IT, con investimenti pressoché invariati per i sistemi PaaS e SaaS. Figura 4.14. Il mercato del Cloud Computing in Italia.

Fonte: Osservatorio Cloud & ICT As a Service, School of Management, Politecnico Milano (2013).

La Figura 4.14. mostra chiaramente lo scenario, appena descritto, degli investimenti dedicati al Cloud Computing in Italia tra il 2012 e il 2013. Tale studio sottolinea come le imprese italiane stiano gradualmente prendendo coscienza dei vantaggi raggiungibili attraverso le soluzioni Cloud, dedicando una 33

TREMOLADA L. (2013), “L’Italia crede nel cloud computing il mercato vale 493 milioni di euro”, Il Sole24Ore.

107


quota sempre crescente degli investimenti in queste soluzioni rispetto alla spesa dedicata alle Information Technologies che nel complesso si riducono, lasciando spazio all’adozione del Cloud Computing. Tuttavia, oggi, il Cloud Computing non rappresenta ancora pienamente un aspetto caratterizzante delle strategie adottate dalle aziende italiane, infatti secondo lo studio condotto dal blog italiano di informazione Enter the Cloud, solo il 29% degli intervistati adotterà strategie Cloud nel corso del 2013, in particolare il 22% utilizza già le soluzioni Cloud mentre il 7% si dichiara pronto ad utilizzarla nei mesi successivi.

34

La Figura 4.15 mostra come ben il 43% dei professionisti

intervistati dichiara di non avere ancora preso in considerazione l’adozione di soluzioni Cloud, delineando l’arretratezza dell’Italia rispetto agli altri paesi europei. Nonostante ciò, il sondaggio rivela una riduzione della percentuale di coloro che escludono il Cloud Computing dalle proprie strategie aziendali nel 2013 rispetto allo scorso anno, dando un segnale positivo per lo scenario futuro. Figura 4.15. Lo stato di adozione del Cloud Computing in Italia.

Stiamo ideando una strategia

Non abbiamo piani in merito Abbiamo già adottato una strategia cloud

Adotteremo una strategia cloud nel 2013

Fonte: ENTER THE CLOUD, (2013), “Cloud Survey 2013: lo stato del Cloud Computing in Italia”, Enter The Cloud, p.4. 34

ENTER THE CLOUD (2013), “Cloud Survey 2013: lo stato del Cloud Computing in Italia”, Enter The Cloud, p.4, campione pari a 1.000 professionisti IT, con una distribuzione geografica dei rispondenti così suddivisa: 42% al Nord, 33% al Centro, 25% al Sud e isole.

108


Tale aspetto è sostenuto dalla percezione delle potenzialità del Cloud Computing, in quanto tra le principali motivazioni per le quale è vantaggioso adottare questi servizi vi sono l’accesso alle risorse in remoto per il 56% degli intervistati, il risparmio dei costi legati all’infrastruttura informatica per il 45% e i vantaggi legati alla flessibilità e alla scalabilità per il 44%. La lenta adozione che caratterizza l’Italia può essere spiegata analizzando le principali fonti di preoccupazione delle imprese verso le soluzioni Cloud: il 49% degli intervistati si dichiara preoccupato circa la sicurezza ed il 44% circa la privacy. Per tale motivo, il 50% delle imprese italiane intervistate dichiara l’importanza della scelta di Cloud Provider con server situati sul territorio nazionale e regolati quindi dalla normativa nazionale e comunitaria, che conferiscono un maggior senso di sicurezza a coloro che abbracciano queste soluzioni. I Cloud Provider italiani più conosciuti sono Aruba per il 44% dei rispondenti all’indagine, che supera Telecom (23%), insieme ad altri Provider meno conosciuti come Seeweb, Register, Cloud Italia, Hosting Solutions, Tiscali, Vodafone e Cloudup. Come si può notare è possibile suddividere i principali Cloud

Provider

individuati

in

due

macro

categorie:

le

aziende

di

telecomunicazioni e gli Internet Service Provider. Inoltre, l’indagine rivela la propensione delle imprese italiane a preferire:  Modelli di Private Cloud per il 56% degli intervistati;  Soluzioni Software as a Service (SaaS) per il 43%;  Utilizzo del Cloud prevalentemente per servizi di storage (56%). A testimonianza del successo dell’adozione di soluzioni Cloud vi sono diversi casi aziendali nello scenario italiano, uno dei quali combina due storie, quella di un’azienda umbra, Solgenia, e di una start-up torinese, Xteque35. Solgenia è riuscita ad espandersi oltre i confini nazionali con l’acquisto di due aziende, emFast negli Stati Uniti e Microset Systems in Canada, perché ha creduto nelle

35

DELLO IACOVO L. (2011), “Storia di un’azienda umbra e di una start-up torinese che vince all’estero con il cloud computing”, Il Sole24ore.

109


potenzialità della nuvola, fino a creare una piattaforma informatica, Powua, aperta alle imprese e il cui pagamento avviene a consumo. Lo sviluppo di quest’ultima è avvenuto grazie agli studi accurati in materia di Cloud svolti dalla start-up torinese Xteque che è giunta a progettare un sistema di fatturazione e provisioning che consente il pagamento a consumo. Da questo progetto, ha avuto origine la piattaforma che ha condotto Solgenia ad effettuare un investimento di oltre quattro milioni di dollari per acquisire l’azienda statunitense e quella canadese, consentendole di liberare la sua attività oltre i confini nazionali. La figura del CIO detiene la sua importanza anche in Italia, soprattutto come stimolo all’adozione delle soluzioni associate alla nuvola. Secondo il CIO Survey condotto da Netconsulting36 nel corso del 2013, tra le priorità ICT cresce la necessità di digitalizzare i processi e virtualizzare le infrastrutture IT, in ottica di adozione del Cloud Computing (Figura 4.16.), privilegiando il modello Private in particolare per la gestione delle infrastrutture (IaaS). Figura 4.16. La crescita di interesse verso il Cloud Computing.

Valori % su totale aziende Risposta multipla

Social enterprise

Unified Communication&Collaboration

Big Data

Cloud Computing

Mobile

Internet of Things

Fonte: NETCONSULTING (2013), “CIO Survey 2013”, Netconsulting Group, slideshow: slide 12, ricerca sponsorizzata da HP, MCROSOFT, TELECOM ITALIA. 36

NETCONSULTING (2013), “CIO Survey 2013”, Netconsulting Group, slideshow: slide 12-13, ricerca sponsorizzata da HP, MCROSOFT, TELECOM ITALIA, campione pari a 70 CIO di grandi e medio-grandi imprese italiane.

110


Anche l’Italia sarà interessata da un aumento dell’occupazione grazie all’introduzione delle tecnologie legate alla nuvola, secondo lo studio di Microsoft realizzato da Idc, si registrerà una crescita del 125% con la generazione di 80.000 nuovi posti di lavoro entro il 2015, passando da 67.500 a 152.000 addetti al Cloud. 37 In particolare, l’impatto sull’occupazione sarà equamente ripartito sulle piccole e grandi imprese italiane, nonostante si rilevi che le imprese di piccole dimensioni adottino più rapidamente il Cloud rispetto alle grandi imprese che sono spesso vincolate da investimenti già effettuati. Considerando ciò, in alcuni settori la prevalenza di aziende di piccole dimensioni favorirà la diffusione delle soluzioni legate alla nuvola, consentendo di beneficiare dei vantaggi prodotti dal Cloud sull’occupazione. In particolare, i principali settori in cui verrà ceato il maggior numero di posti di lavoro sono: il settore Comunicazione e Media, il settore bancario e il settore del manufacuring. Inoltre, secondo tale studio, al contrario di quanto è avvenuto con il passaggio all’outsourcing tradizionale, la migrazione verso la nuvola non distruggerà posti di lavoro nei reparti IT delle aziende italiane esternalizzando le loro funzioni altrove, ma al contrario costituisce uno strumento per liberare la forza lavoro esistente attraverso l’allocazione a progetti nuovi e più strategici, grazie ai quali si otterrà un arricchimento delle competenze. Un’ulteriore previsione da parte dello studio condotto da Idc riguarda i paesi nei quali l’impatto della nuvola in termini di occupazione sarà maggiore, ossia i paesi emergenti ed in particolare Cina e India, che insieme dovrebbero arrivare a generare circa 6,8 milioni di posti di lavoro legati alla nuvola tra il 2011 e il 2015, grazie all’assenza di vincoli di massicci investimenti già effettuati in IT.38 Secondo uno ricerca condotta dallo studio di consulenza Busacca & Associati39, su 160 imprese italiane con più di 100 dipendenti, è possibile tracciare la fase 37

GANTZ J. F., MINTON S., TONCHEVA A., (2012), “Cloud computing’s role in job creation”, IDC for MICROSOFT, pp. 2-10. 38

SANTONOCITO R. (2012), “L’occupazione sulla nuvola: 80 mila nuovi posti entro il 2015 grazie al cloud computing”, Il Sole24ore, Job24. 39

BUSACCA & ASSOCIATI (2012), Cloud computing: opportunità da maneggiare con cura, pp.7-8, campione pari a 160 imprese italiane.

111


inziale del ciclo di vita del Cloud Computing per rappresentare il suo stato di adozione, come mostra la Figura 4.17. In particolare, nella fase embrionale e prossima allo sviluppo troviamo le imprese che stanno ancora valutando l’adozione (28%) e quelle che non hanno intenzione di affidarsi alla nuvola nel breve periodo (25%). Inoltre, lo studio individua come preoccupazione principale delle imprese intervistate la necessità di ridefinire i ruoli e i processi all’interno dell’azienda per accedere alla nuvola che genera un cambio organizzativo radicale difficilmente quantificabile ex ante. Le preoccupazioni in tema organizzativo sono seguite dai rischi sulla sicurezza e sulla riservatezza dei dati, che a causa dell’assenza di una normativa dedicata, risulta un ostacolo ancora difficile da superare. Figura 4.17. Il ciclo di vita del Cloud Computing.

Fonte: BUSACCA & ASSOCIATI (2012), Cloud computing: opportunità da maneggiare con cura, pp.7-8, campione pari a 160 imprese italiane.

4.4. LO SCENARIO FUTURO “Every business is a digital business” è ciò che sostiene Accenture nel suo report 2013, riferendosi all’insieme di tecnologie che oggi rappresenta un asset a cui le imprese non possono rinunciare per azionare il motore dell’innovazione.40

40

ACCENTURE (2013), “Accenture Technology Vision, Every business is a digital business”, Accenture, p.1.

112


Partendo da questo presupposto, Accenture delinea sette tendenze che caratterizzano il 2013 e si consolideranno nei prossimi anni, tra cui emerge il Cloud Computing in testa, insieme a social media, mobile e analytics. Il Cloud non è più solo un trend emergente e nemmeno un concetto a sé, è una consapevolezza diffusa tra le aziende che si confrontano con le sue potenzialità e coinvolge l’intera realtà aziendale, integrandosi in ogni suo aspetto. “The cloud is here. Now it’s time to prepare the enterprise”41. Il cloud c’è, ora l’interrogativo principale delle aziende è capire come migrare verso la nuvola e come utilizzare al meglio i servizi offerti. Infatti, rendendo il Cloud parte integrante della strategia aziendale, sarà possibile rendere il business più reattivo, scalabile, flessibile e competitivo, la difficoltà risiede nel comprendere quale sia la modalità migliore per incorporare la nuvola nel business aziendale in modo tale che possa rappresentare un elemento di differenziazione rispetto al resto del mercato. Accenture sostiene che entro il 2016 le imprese dedicheranno il 14% dei loro prodotti e servizi IT alla nuvola rispetto al 5% registrato nel 2011. Il futuro riserva mutamenti anche per quanto riguarda i fattori che hanno da sempre spinto le imprese all’adozione delle soluzioni Cloud. Scalabilità e agilità rappresentano, ad oggi, i drivers principali per l’adozione di soluzioni Cloud, entrambe per circa il 54% delle imprese, ma in futuro la necessità per i servizi Cloud di contribuire alla mobilità e alla continua innovazione prenderà il sopravvento, divenendo il nuovo driver di adozione. Infatti, la mobilità e la capacità di innovazione saranno in grado di costruire un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo attraverso una maggiore integrazione dei processi aziendali. Tra i modelli di servizio, il SaaS continuerà ad essere il modello predominante, oggi utilizzato dal 63% delle organizzazioni, tuttavia si prevede una crescita veloce del modello IaaS, che sarà in grado di aprire la strada al modello Platform as a Service che raggiungerà livelli di crescita importanti nell’arco dei prossimi cinque anni, grazie al 72% del campione intervistato dal 2013 Survey of Cloud

41

RUSCONI G. (2013), “Il futuro in azienda è digitale . Ecco i sette trend da seguire”, Il Sole24ore.

113


Computing condotto da North Bridge, una società statunitense di venture capital specializzata nel sostegno delle start-up e nel finanziamento per la crescita aziendale. 42 La crescente importanza del Cloud Computing deriva in buona parte dalla vastità di informazioni digitali che abbiamo a disposizione oggi e dalla sua capacità di consentire all’impresa di svolgere nuove attività, dando accesso a nuove fonti di valore economico, a patto che siano gestite correttamente. Proprio questa necessità di gestione favorisce l’incontro tra le aziende e le soluzioni di Cloud Computing.43 Lo scenario futuro sarà costituito non più da pochi fornitori di servizi Cloud, bensì da un numero crescente di fornitori di servizi specifici del settore e costruiti di volta in volta sulla tipologia del singolo business. Una nuova opportunità per l’ambiente Cloud nascerà dalla creazione di un ecosistema di nuvole (“federated cloud”)44,

caratterizzate

dall’interoperabilità

tra

fornitori

concorrenti

e

dall’utilizzo di piattaforme basate su misure standard condivise. Tale aspetto sarà favorito dal concetto di Global Web Scale, in base al quale tutte le componenti distribuite, tra cui servizi, applicazioni e utenti, si uniscono per formare un unico grande ambiente globale. La continua transizione verso il Cloud sta alimentando una massiccia nuvola di infrastrutture, che raggiungeranno un valore di circa 82,9 miliardi di dollari entro il 201645. Questo nuovo mercato sarà caratterizzato da migliaia di nuvole focalizzate verticalmente su tutte le forme e dimensioni di servizi, dalle offerte commerciali, ai servizi di consumo, servizi mobili e di gioco.

42

NORTH BRIDGE VENTURE PARTNERS (2013), “The future of Cloud Computing, 3rd annual survey 2013”, North Bridge in partnership with GigaOM Research, slideshow: slide 13, campione pari a 855 CIO intervistati. 43

THE ECONOMIST (2010), “Data, data everywhere”, The Economist, Special Report from the print edition. 44

COHEN R. (2012), “Intel technology Journal 2012: The past, the present and the future of cloud computing”, Forbes. 45

Ibidem.

114


CAPITOLO 5 − IL PROBLEMA DELLA RISERVATEZZA DEI DATI Introduzione Il Cloud Computing rappresenta uno strumento di enorme valore per le imprese, che grazie ad esso riescono a sfruttare le nuove tecnologie, o meglio le nuove modalità di utilizzo delle tecnologie, per ricavarne i vantaggi di costo e di semplificazione della gestione aziendale. A tali vantaggi si affiancano anche alcuni fattori ostacolanti legati all’affidabilità di questo strumento, al quale si affida la gestione di dati aziendali riservati, generando numerose preoccupazioni circa la perdita di controllo sui dati sensibili. Per dati sensibili, secondo quanto disposto dal Decreto legislativo 196/2003, noto anche come Codice della Privacy, si intendono: “ I dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.1 La nuvola utilizza la rete per gestire al meglio le elevate quantità di dati posseduti dalle aziende, ciò comporta che i dati viaggino in rete ed in funzione di ciò possono essere manipolati ed utilizzati per finalità diverse, se non si sceglie con cura il Provider dei servizi Cloud. A tal fine, è necessario stipulare contratti in grado di tutelare le parti, che presentino documenti aggiuntivi, come i Service Level Agreement (SLA), attraverso i quali è possibile formalizzare tutti gli aspetti relativi ai livello di qualità del servizio offerto dal Provider tutelandosi da eventuali inefficienze e malfunzionamenti del servizio. Nonostante le elevate potenzialità dei nuovi servizi basati sulla nuvola, manca ancora un quadro normativo completo e aggiornato, in linea con le nuove tecnologie, sulla base della considerazione che le tecnologie si evolvono attraverso un processo rapido, ed in particolare, più rapido dell’attività del

1

CODICE DELLA PRIVACY, Dlgs 196/2003, Parte I, Titolo I, Art.4, comma 1, lettera d).

115


legislatore.2 Alla luce di ciò, la tutela nei riguardi di coloro che considerano in modo favorevole l’adozione del Cloud Computing viene ridotta, aumentando le perplessità verso questo nuovo strumento. 5.1. LA PROTEZIONE DEI DATI IN ITALIA La protezione dei dati in Italia, così come negli altri paesi industrializzati, ha assunto un ruolo centrale all’interno del quadro giuridico, al fine di garantire una tutela completa ai soggetti la cui privacy può essere messa a rischio. In Italia, una svolta in questo ambito si è verificata nel 1996, quando è stata istituita l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, ossia un’autorità amministrativa indipendente che lavora in tutti gli ambiti, sia pubblici sia privati, in cui è necessario assicurare il corretto trattamento dei dati al fine di garantire il rispetto dei diritti delle persone in materia di informazioni personali. Nello specifico, l’Autorità svolge le seguenti funzioni3: 

controllare che i trattamenti di dati personali siano conformi a leggi e regolamenti ed, eventualmente, prescrivere ai titolari o ai responsabili dei trattamenti le misure da adottare per svolgere correttamente il trattamento;

esaminare reclami e segnalazioni nonché decidere i ricorsi presentati ai sensi dell'articolo 145 del Codice in materia di protezione dei dati personali;

vietare in tutto o in parte, ovvero disporre il blocco del trattamento di dati personali che per la loro natura, per le modalità o per gli effetti del loro trattamento

possano

rappresentare

un

rilevante

pregiudizio

per

l'interessato; 

adottare i provvedimenti previsti dalla normativa in materia di dati personali, tra cui, in particolare, le autorizzazioni generali per il trattamento dei dati sensibili;

2

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, (2012), “Cloud Computing, proteggere i dati per non cadere dalle nuvole”, Mini guida per imprese e pubblica amministrazione, Garante per la protezione dei dati personali, p.13. 3

Disponibile su www.garanteprivacy.it.

116


promuovere la sottoscrizione dei codici di deontologia e di buona condotta in vari ambiti (credito al consumo, attività giornalistica, ecc.);

segnalare, quando ritenuto opportuno, al Governo la necessità di adottare provvedimenti normativi specifici in ambito economico e sociale;

partecipare alla discussione su iniziative normative con audizioni presso il Parlamento;

formulare i pareri richiesti dal Presidente del Consiglio o da ciascun ministro in ordine a regolamenti ed atti amministrativi suscettibili di incidere sulle materie disciplinate dal Codice;

predisporre una relazione annuale sull'attività svolta e sullo stato di attuazione della normativa sulla privacy da trasmettere al Parlamento e al Governo;

partecipare alle attività comunitarie ed internazionali di settore, anche quale componente delle Autorità comuni di controllo previste da convenzioni internazionali;

curare la tenuta del registro dei trattamenti, formato sulla base delle notificazioni di cui all'articolo 37 del Codice in materia di protezione dei dati personali;

curare l'informazione e la sensibilizzazione dei cittadini in materia di trattamento dei dati personali, nonché sulle misure di sicurezza dei dati;

coinvolgere i cittadini e tutti i soggetti interessati con consultazioni pubbliche dei cui risultati si tiene conto per la predisposizione di provvedimenti a carattere generale.

L’istituzione di tale Autorità ha avuto origine dalla legge n.675 del 1996, che è stata successivamente abrogata dall’attuale Codice in materia della protezione dei dati personali (Codice della privacy) approvato con il Dlgs 196 del 2006.

117


Tale percorso normativo si è reso necessario per rendere più armonico e bilanciato il rapporto tra l’uomo e la tecnologia, allineando il contesto normativo alla rapidità con cui si sviluppano le nuove tecnologie, delineando una società “a cambiamento velocissimo”4. L’Autorità si pone quindi come obiettivo quello di governare, per quanto possibile, il cambiamento tecnologico in corso, intensificando le attività di disciplina, di verifica e di accertamento, tra le quali si ricorda l’iniziativa adottata nei confronti di Google affinché le regole della privacy vengano rispettate da motori di ricerca che sfruttano Internet, anche nel caso in cui il gestore abbia sede al di fuori del territorio italiano. Attraverso questa visione, la protezione dei dati può divenire una fonte di valore aggiunto e di garanzia per la qualità dei prodotti offerti dalle imprese, ampliando questo aspetto anche alle Pubbliche Amministrazioni, che a partire dal 2005 hanno assistito all’ingresso della privacy sotto l’obbligo di adottare i regolamenti per il trattamento dei dati sensibili. Un ulteriore passo avanti è stato effettuato nel 2005, quando l’Autorità è intervenuta in materia di libertà di informazione e di pubblicazione dei contenuti delle intercettazioni telefoniche, toccando due punti delicati, quali la libertà di informazione e il diritto alla riservatezza e alla dignità, sanciti rispettivamente dagli articoli 21 e 2 della Costituzione. Tra il 2006 e il 2007, il Garante ha proseguito con i provvedimenti in tema di privacy relative alla pubblicazione di intercettazioni telefoniche, che hanno fatto molto discutere, mettendo in luce due problematiche principali: l’individuazione dei soggetti a cui affidare la tutela della riservatezza e della dignità personale e la tipologia di provvedimenti da adottare e delle relative sanzioni da applicare. Nel corso del 2007, l’attività giuridica ha rafforzato il suo impegno per la sicurezza degli utenti che navigano in Internet, aprendo un’istruttoria per il caso della società discografica Peppermint5 che aveva attuato un monitoraggio 4

PIZZETTI F., (2012), Sette anni di protezione dati in Italia: Un bilancio e uno sguardo sul futuro, Giappichelli, Torino, pp.30-31. 5

LA STAMPA, (2008), “Illecito “spiare” utenti che scambiano file via web”, La Stampa.

118


sistematico delle reti peer-to-peer, imponendo il divieto per le società private di svolgere un monitoraggio sistematico su di essi. 5.2. LA PROTEZIONE DEI DATI SULLA NUVOLA Il Cloud Computing per sua natura comporta la migrazione dei dati sensibili dai sistemi aziendali sotto il controllo diretto dell’utente ai sistemi remoti del fornitore, che diviene un attore di primo piano nello scenario dominato dalla nuvola. Il Provider, o fornitore, deve possedere alcune caratteristiche fondamentali necessarie a creare un clima di fiducia intorno ai servizi Cloud offerti ai propri clienti, in quanto possiedono un’elevata responsabilità nell’adozione delle misure necessarie per garantire la sicurezza dei dati. Alla luce dell’elevato numero di Provider che oggi si prestano a fornire servizi basati sulla nuvola, sarà compito del cliente effettuare un’accurata ricerca del fornitore al quale affidare i propri dati, sulla base di alcuni requisiti basilari in grado di garantire una corretta manipolazione dei dati sensibili. In ogni caso, è opportuno considerare che il trattamento dei dati sensibili comporta in ogni caso un’attenta ponderazione dei rischi legati alla fruibilità e all’utilizzo delle informazioni, indipendentemente dalle modalità di trattamento. Nell’ambito del Cloud Computing, in particolare, tale aspetto diventa ancora più rilevante, considerando che una delle principali funzioni dei servizi basati sulla nuvola è proprio quella di gestire in modo più efficiente e semplificato elevate quantità di dati, che nella maggior parte dei casi rappresentano dati sensibili che racchiudono informazioni aziendali strategiche, o comunque confidenziali. Dunque, si crea una situazione in cui diventa inevitabile la perdita, quantomeno parziale, del potere di controllo su tali dati. Il processo di migrazione rappresentato dal trasferimento dei dati verso sistemi remoti in cui il controllo è esercitato da un terzo fornitore del servizio comporta alcuni aspetti critici, sui quali vale la pena riflettere per prendere consapevolezza

119


di quali siano i rischi di questo processo e quali possano essere le eventuali misure di prevenzione: 6 1. Affidando i propri dati ad un soggetto terzo, l’utente perde il controllo diretto ed esclusivo, che passa nelle mani del Provider, da cui dipenderanno la riservatezza e la disponibilità delle informazioni; 2.

Lo scenario diventa più complesso nel caso in cui il servizio venga erogato da un Provider diverso da colui con il quale è stato stipulato il contratto di Cloud Computing, generando una filiera di responsabilità, tale da confondere l’utente senza consentirgli di capire quale fornitore avrà effettivamente accesso ai suoi dati;

3. La connessione ad internet potrebbe essere soggetta a cali di prestazioni e qualità rendendo indisponibile il servizio e causando l’inaccessibilità ai dati da parte dell’utente per un determinato lasso di tempo, come si è verificato per Amazon nel Giugno 20137 quando il servizio Cloud, Amazon EC2, ha smesso di funzionare per venti minuti; 4. I Provider dei servizi Cloud grazie all’utilizzo di infrastrutture condivise custodiscono i dati e le informazioni di una molteplicità di utenti, che spesso hanno interessi ed esigenze differenti, o addirittura obiettivi concorrenti; 5. La conservazione dei dati viene effettuata mediante centri che hanno sedi in luoghi geografici differenti, sfruttando i costi ridotti accessibili in paesi terzi e rendendo, di conseguenza, ancora più complessa l’applicazione della normativa in tema di protezione dei dati, in particolare qualora si verifichi un contenzioso tra l’utente e il Provider;

6

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, (2012), Cloud computing: indicazioni per l’ utilizzo consapevole dei servizi, pp.11-13. 7 DANNA S., (2013), “Da Amazon a Google: cosa succede quando un sito va ko”, Il Corriere Della Sera.

120


6. L’utilizzo di proprie tecnologie da parte del fornitore può rendere difficile per l’utente il passaggio ad un altro fornitore e quindi la migrazione dei dati e documenti da un sistema Cloud ad un altro. Un traguardo importante per l’attività svolta attraverso i servizi Cloud è stato raggiunto nel 2008 attraverso il provvedimento sugli amministratori di sistema 8 in materia di sicurezza dei dati trattati con sistemi informatici. Tali figure svolgono un ruolo delicato e discusso, in quanto hanno accesso in qualunque momento ai dati presenti nel sistema, avendo quindi la possibilità di modificarli, aggiornarli e cancellarli. Tale provvedimento assicura la tracciabilità dei loro accessi e della loro attività in modo tale da consentire agli utenti di possedere informazioni adeguate su queste figure. Il provvedimento fornisce una serie di misure e accorgimenti,

tra

cui

la

valutazione

delle

caratteristiche

soggettive

dell’amministratore, la necessità di fornire un documento con gli estremi identificativi delle persone fisiche che costituiscono gli amministratori di sistema, la verifica dell’operato di tali figure e la registrazione degli accessi logici ai sistemi e archivi elettronici. 5.3.

IL

PERCORSO

NORMATIVO

IN

MATERIA

DI

CLOUD

COMPUTING Il quadro giuridico attuale in materia di Cloud Computing presenta diverse novità che si sono sviluppate da un processo normativo iniziato ormai da diversi anni, arrivando a costituire il punto di partenza per la nascita di un sistema di norme specifiche finalizzate alla tutela dei rischi che possono sorgere durante l’adozione dei servizi basati sulla nuvola. Nonostante ciò, il processo di sviluppo verso un quadro normativo completo e condiviso è ancora lungo e richiede l’attenzione delle Autorità nazionali e internazionali per evitare che le opportunità offerte dalle nuove tecnologie non vengano sfruttate adeguatamente. Di seguito sono riportate alcune tappe normative che hanno caratterizzato lo scenario giuridico del Cloud Computing.

8

Provvedimento 27 Novembre 2008, Misure e accorgimenti prescritti ai titolari dei trattamenti effettuati con strumenti elettronici relativamente alle attribuzioni delle funzioni di amministratore di sistema, disponibile su www.interlex.it.

121


5.3.1. LA DIRETTIVA 95/46/CE La normativa europea in tema di protezione dei dati risale al 1995 con la Direttiva Comunitaria volta ad offrire tutela giuridica in materia di privacy per i Paesi appartenenti all’Unione Europea stabilendo che: “per essere lecito, il trattamento dei dati personali, deve essere inoltre basato sul consenso della persona interessata oppure deve essere necessario ai fini della conclusione di un contratto vincolante per la persona interessata, oppure deve essere previsto dalla legge […]”9 Applicando tale Direttiva in materia di Cloud Computing si giustificava pertanto l’accesso del fornitore del servizio ai dati e alle informazioni aziendali, al fine di rispettare il contratto stipulato con la controparte. Tale aspetto risulta lecito purché il fornitore non abusi di questa libertà concessagli per necessità e non per compromettere il contenuto o la riservatezza dei dati ai quali ha accesso. Già a partire dal 2010, la Commissione Europea, attraverso una comunicazione al Parlamento10, aveva posto il fenomeno emergente del Cloud Computing al centro dell’attenzione europea come conferma della necessità di una radicale revisione del quadro normativo comunitario in tema di privacy, in modo tale da rendere le regole e le normative esistenti in linea con i nuovi modelli di condivisione e gestione dei dati personali. Nel 2012, la Commissione Europea ha presentato una Proposta di Revisione della Normativa Comunitaria sulla Protezione dei dati e della privacy online11 che comporta diverse modifiche alla suddetta Direttiva comunitaria con l’obiettivo di rafforzare i diritti individuali e affrontare prontamente le sfide derivanti dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie. Il Regolamento che, una volta adottato, andrà a sostituire la Direttiva 95/46/CE mostra alcune importati novità, tra le quali 9

DIRETTIVA 95/46/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 24 Ottobre 1995, Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, considerazione (30). 10

COMMISSIONE EUROPEA, (2010),“A comprehensive approach on personal data protection in the European Union”, Brussels. 11

Disponibile su www.garanteprivacy.it.

122


l’introduzione del principio relativo all’applicazione del diritto UE anche ai trattamenti dei dati personali non svolti nell’UE, se relativi all’offerta di beni o servizi a cittadini UE o tali da consentire il monitoraggio dei comportamenti di cittadini UE. Tale principio si instaura per evitare che si verifichino: 

diversi livelli di protezione negli Stati membri dell’Unione Europea;

restrizione nei flussi transfrontalieri di dati personali tra gli Stati membri.

In tal modo, si garantisce una corretta gestione dei dati personali trasferiti attraverso le frontiere nazionali in modo sempre crescente da un lato e una maggiore tutela delle persone fisiche i cui dati sono traferiti in paesi terzi. Infatti, prima della Proposta di Revisione l’individuazione della legge applicabile era determinata sulla base di criteri essenzialmente territoriali entrando così in contrasto con i principi chiave della nuvola, tanto che il semplice spostamento di sede del Provider poteva consentirgli di sottrarsi ai vincoli previsti dalla normativa comunitaria in materia di privacy, anche nel caso in cui i servizi erogati fossero destinati a clienti europei.12 Attraverso quest’ultimo aspetto della Proposta di Revisione, la cui adozione è prevista per il 2014, si avrà un impatto notevole sul mondo del Cloud, infatti offrendo una maggiore tutela si ridurrà la diffidenza verso tale tecnologia, consentendo di aumentare considerevolmente il grado di adozione. Inoltre, attraverso l’adozione di tale Proposta saranno fissati più specificatamente i poteri e requisiti di indipendenza delle autorità nazionali di controllo che saranno chiamate ad esprimere un parere indispensabile nell’ambito di adozione di strumenti normativi con impatto sulla protezione dei dati personali. 5.3.2. IL DECRETO LEGISLATIVO 196/2003 Il Decreto 196 costituisce una tappa importante del percorso normativo italiano in materia di protezione dei dati personali, in quanto con esso si è approvato il

12

PAPPALARDO M., (2011), “La protezione dei dati al tempo del Cloud Computing”, Il Sole24Ore.

123


Codice della Privacy, entrato in vigore a partire dal 2004. Grazie all’introduzione del diritto alla riservatezza si amplia il significato del diritto assoluto che ciascuno possiede sui propri dati, rappresentato dall’articolo 1 del Codice secondo cui: “Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”, inglobando la necessità di tutelare qualsiasi informazione relativa ad una persona. Il Codice, noto anche come Testo Unico della Privacy, si articola in tre parti:13 

le disposizioni generali (Art.1-45) che riportano le regole applicabili a tutti i trattamenti, salvo alcune eccezioni previste dal Codice;

le disposizioni particolari per specifici trattamenti (Art.46-140), ad integrazione o eccezione della prima parte;

le disposizioni (Art. 141-186) riportanti le azioni di tutela dell’interessato e le norme relative al sistema sanzionatorio.

Sulla base di tale Codice, il Garante italiano ha predisposto una serie di adempimenti14 che le aziende devono rispettare nel momento in cui decidono di affidarsi ai fornitori di servizi di Cloud Computing. L’azienda deve innanzitutto nominare il Provider prescelto per la fornitura dei servizi Cloud come “Responsabile esterno del trattamento”, avvalendosi anche della stipulazione di contratti che ne vincoli l’operato tutelando la riservatezza dei dati personali. Il Codice prevede l’obbligo, da parte dell’azienda, di vigilanza sull’operato del fornitore, attraverso verifiche periodiche, evitando così il rischio di esser chiamata a rispondere all’illecito in solido con il fornitore in caso di violazioni commesse da quest’ultimo.

13

Disponibile su www.altalex.com.

14

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, (2012), “Cloud Computing, proteggere i dati per non cadere dalle nuvole”, Mini guida per imprese e pubblica amministrazione, Garante per la protezione dei dati personali, pp.15-17.

124


Le disposizioni del suddetto Codice prevedono anche il trasferimento dei dati personali al di fuori dell’Unione Europea, dettando specifiche regole in merito. In particolare, vieta, in linea generale, il trasferimento di dati verso Paesi Extraeuropei, laddove l’ordinamento giuridico del Paese di destinazione o di transito non sia in grado di assicurare un livello di tutela adeguato per i dati oggetto del trasferimento. Il Garante sottolinea l’importanza del rispetto delle regole per il trasferimento dei dati personali da parte del fornitore, assicurandosi che vengano adottate le misure tecniche e organizzative necessarie per ridurre al minimo eventuali rischi di violazione dei dati personali. Infine, il Codice riconosce precisi diritti ai clienti delle aziende che decidono di affidare i dati di questi ultimi ai servizi di Cloud Computing, tra cui il diritto dell’interessato di richiedere una copia dei dati personali che lo riguardano, il loro aggiornamento, la rettifica o l’integrazione. Alla luce di ciò, il cliente del servizio Cloud, in qualità di titolare del trattamento dei dati, per soddisfare queste eventuali richieste dell’utente, deve essere in grado di mantenere il controllo sia sulle attività del fornitore sia su quelle di eventuali subfornitori, in modo tale da garantire il rispetto dei diritti riconosciuti agli utenti. Il Dlgs 196, in seguito al 2003, ha subito numerose modifiche che lo hanno condotto ad avvicinarsi maggiormente alle nuove esigenze in materia di privacy, contemplando anche le nuove tecnologie, come il Cloud Computing, al quale le aziende si devono poter affidare in modo del tutto sicuro per sfruttarne al meglio i vantaggi che ne derivano. 5.3.3. LA DIRETTIVA 136/2009 Nell’anno 2009 sono state introdotte novità rilevanti per il settore delle telecomunicazioni che hanno generato

un notevole impatto anche sul Cloud

Computing. Tali novità sono state apportate dalla Direttiva 136, nota anche come “Pacchetto Telecom”, che comporta la modifica della direttiva sulla privacy nelle

125


comunicazioni elettroniche del 200215, la quale prevede prescrizioni specifiche per garantire il rispetto della vita privata

in ambito di tecnologie

dell’informazione e della comunicazione. Il recepimento di tale direttiva ha condotto alla pubblicazione di due decreti legislativi16, entrati in vigore a partire dal primo giugno 2012, che modificano anche il Codice in materia di protezione dei dati personali. Tali decreti sono stati introdotti per tutelare maggiormente i consumatori contro le violazioni dei dati personali e lo “spam”, garantendo che nomi, indirizzi di posta elettronica e informazioni bancarie dei clienti, oltre ai dati su ogni telefonata e sessione di rete restino al sicuro da un eventuale uso indesiderato. Inoltre, per la prima volta in Europa si è assistito ad un rafforzamento della normativa che prevede la responsabilità diretta degli operatori che deriva dalla loro elaborazione e memorizzazione di informazioni confidenziali sull’utente, attraverso le notifiche obbligatorie per la violazione dei dati personali. Le nuove misure previste comportano, infatti, specifici impegni dei fornitori di servizi verso i clienti e le Autorità, ad esempio prevedendo l’obbligo per le società telefoniche e gli Internet Provider di notificare alle Autorità competenti tutte le violazioni di sicurezza che conducano alla distruzione, la perdita o la diffusione indebita dei dati personali che sono oggetto del servizio fornito. Attraverso l’obbligo di notifica per la violazione dei dati personali si aumentano gli incentivi per una maggiore protezione dei dati da parte dei fornitori, garantendo quindi un maggiore livello di sicurezza per i clienti. 5.3.4. LE ULTIME NOVITÀ Nel 2013, sulla base dell’attualità e della crescente rilevanza del fenomeno legato alla nuvola, la Commissione Europea ha adottato una comunicazione che ha l’obiettivo di sfruttare i vantaggi e le opportunità derivanti dai servizi Cloud, agevolando una più rapida espansione di questo fenomeno, in grado di aumentare 15

COMMISSIONE EUROPEA, (2002), Direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche. 16

Decreto legislativo 28 maggio 2012, n. 69 e Decreto legislativo 28 maggio 2012, n. 70.

126


la produttività, la crescita e l’occupazione. A tale scopo, è stato istituito un gruppo di esperti sui contratti di Cloud Computing, volto a garantire clausole eque e sicure in tali contratti rafforzando così la posizione dei clienti ai quali vengono offerti i servizi basati sulla nuvola. 17 Un ulteriore riferimento al paradigma tecnologico rappresentato dal Cloud Computing è stato fatto recentemente attraverso il Comunicato del 24 Luglio 2013, dove si fa riferimento all’esternalizzazione del sistema informativo in ambito di vigilanza prudenziale per le banche. 5.4.

LE

INDICAZIONI

DEL

GARANTE

PER

UNA

SCELTA

CONSAPEVOLE Il Garante consiglia, prima della stipulazione di un contratto di Cloud Computing, di valutare scrupolosamente il rapporto tra rischi e benefici che deriverebbe dall’utilizzo di tali servizi, in modo tale da scegliere, fra tutti, il fornitore che è in grado di soddisfare le proprie esigenze e garantire un soddisfacente grado di affidabilità, minimizzando il più possibile i rischi. A tal proposito, l’Autorità Garante ha predisposto una serie di indicazioni18 per l’utilizzo consapevole del Cloud Computing: 1. Effettuare una verifica sull’affidabilità del fornitore tale da accertare la sua esperienza e le sue capacità prima di affidare i propri dati, valutando l’adeguatezza del livello qualitativo di servizio offerto, il quale dipenderà in buona parte dall’impiego da parte del fornitore di risorse qualificate, di infrastrutture informatiche adeguate e dalla sua disponibilità ad assumersi una responsabilità risarcitoria in caso di guasti o interruzioni del servizio offerto;

17

COMMISSIONE EUROPEA, (2013), “Decisione della Commissione del 18 Giugno 2013 con istituzione del gruppo di esperti della Commissione sui contratti di cloud computing”, Decisione 2013/C/174. 18

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, (2012), “Cloud Computing, proteggere i dati per non cadere dalle nuvole”, Mini guida per imprese e pubblica amministrazione, Garante per la protezione dei dati personali, pp.25-13.

127


2. Privilegiare i servizi che favoriscono la portabilità dei dati scegliendo quelli basati su standard aperti, che rendano agevole il passaggio da un sistema Cloud ad un altro, gestito anche da fornitori diversi, senza rischiare di dover affrontare spese ingenti in caso di recesso dal servizio; 3. Assicurarsi la disponibilità dei dati in caso di necessità attraverso la stipulazione di un contratto che preveda adeguate garanzie da parte del fornitore sulla disponibilità del servizio di Cloud Computing, stabilendo la possibilità di conservare una copia dei dati dei soggetti interessati che sono stati allocati sulla nuvola, in modo tale da consentirne l’accesso in qualsiasi situazione; 4. Selezionare i dati da inserire nella nuvola evitando di coinvolgere le informazioni più confidenziali, come quelle coperte da segreto industriale, considerata la perdita di controllo che si avrebbe allocandole sulla nuvola; 5. Non perdere di vista i dati verificando costantemente se è previsto che i dati rimangano per tutta la durata del contratto nella disponibilità dell’operatore con cui esso è stato stipulato, informandosi sulle prestazioni offerte da tutti i soggetti che sono coinvolti nella fornitura del servizio; 6. Informarsi su dove risiederanno concretamente i dati per essere consapevoli della tutela giuridica di cui godono e di quale giurisdizione verrà applicata in caso di controversie; 7. Attenzione alle clausole contrattuali che possono rappresentare un ottimo strumento per definire gli obblighi e le responsabilità in caso di perdita o di diffusione illecita dei dati trasferiti sulla nuvola; 8. Verificare tempi e modalità di conservazione dei dati da parte del fornitore attraverso il contratto, definendo, laddove non sia prevista per legge la cancellazione dei dati del titolare al termine del contratto, il termine ultimo oltre il quale il fornitore sia obbligato a cancellare i dati;

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9. Esigere adeguate misure di sicurezza scegliendo fornitori che utilizzano modalità di gestione dei dati sicure, attraverso tecniche crittografiche e rigidi sistemi di accesso autenticato; 10. Formare adeguatamente il personale, sia del cliente sia del fornitore per limitare il più possibile i rischi di accessi illeciti o l’eventuale perdita dei dati sensibili che potrebbero essere causati da negligenza o da eventuali comportamenti fraudolenti. Alla luce di tali indicazioni emerge che è necessario evitare di fidarsi ciecamente del Provider, analizzando bene le sue caratteristiche e le sue capacità non solo prima della stipulazione del contratto, ma anche durante l’adempimento di quest’ultimo, attraverso un’azione di monitoraggio costante sull’operato del fornitore, sui dati, sulla loro posizione e integrità. 5.5. UNO SGUARDO AL FUTURO L’esplosione delle nuove tecnologie che consentono trasferimenti sempre più massicci di dati e l’utilizzo di una quantità quasi infinita di questi ultimi grazie alla loro archiviazione in remoto, sta favorendo un netto cambiamento del panorama giuridico in materia di riservatezza dei dati personali. L’avanzata del Cloud Computing, così come anche di altre nuove tecnologie, non deve essere ostacolata, ma anzi incentivata a patto che sia regolata a garanzia di tutti i possibili utenti. A tal fine, deve essere predisposto un quadro normativo più specifico in materia, in grado di rafforzare e promuovere l’adozione delle nuove tecnologie. Attraverso la Proposta di Revisione della Normativa Comunitaria sulla Protezione dei dati e della privacy online che entrerà in vigore nel corso del prossimo anno si procederà verso un maggiore riconoscimento del Cloud Computing come tema centrale per le future sfide normative. A livello europeo, il 2013 può essere definito come l’anno della svolta per la nuvola, grazie alla proposta di una strategia comune in materia di Cloud Computing che prevede alcune azioni importanti, tra cui: 

il sostenimento di sistemi di certificazione a livello europeo destinati a Cloud Provider affidabili; 129


l’elaborazione di clausole contrattuali standard in grado di garantire sicurezza ed equità nell’adempimento del contratto di Cloud;

la creazione di una partnership europea per la nuvola informatica.

L’Agenda Digitale origina un’altra importante svolta, in particolare nella Pubblica Amministrazione, dichiarando di dedicare un’attenzione particolare all’adozione del Cloud nella PA, creando così la più grande piattaforma Cloud based per il settore pubblico.19 L’attività del legislatore, però, da sola non basta a garantire una buona prospettiva per il futuro, è sempre necessario che gli utenti siano informati sui rischi connessi ai servizi offerti, generando una vera e propria “informativa del rischio”. Inoltre, in questo scenario è necessario stabilire gli obblighi e le responsabilità attraverso specifiche clausole presenti nei contratti di Cloud, i quali hanno natura mista, in quanto si riferiscono a due schemi giuridici diversi, l’appalto di servizi e il contratto di licenza. Allo scopo di garantire livelli di qualità del servizio efficaci è consigliabile allegare un documento, noto come Service Level Agreement (SLA), che stabilisce la visione e le aspettative del cliente, definendo le modalità di trasmissione dei dati, le tecnologie utilizzate per accedere a tali dati e tutte le possibili precauzioni che è necessario prendere per garantire la sicurezza e la riservatezza delle informazioni alle quali ha accesso il Provider del servizio.20 Lo scenario attuale ci suggerisce che solo se gli individui saranno certi del fatto che verranno loro richieste solo le informazioni e i dati strettamente necessari e che questi saranno protetti e resi inaccessibili a chi non ne ha il diritto, si potranno sfruttare pienamente e senza alcun timore le nuove tecnologie. La protezione dei dati non dovrebbe essere considerata come un’attività opzionale alla quale è possibile rinunciare, ma piuttosto come una condizione necessaria per la crescita e lo sviluppo economico, e talvolta per la sopravvivenza delle imprese. 19

LONGO A., (2012), “Agenda digitale, il Piano UE 2013-2014: Kroes: “3,8 milioni di posti, +5% di Pil””, Il Sole24Ore. 20

TETI A., (2011), “Cloud Computing: riduzione dei costi per le aziende e accesso a risorse di calcolo infinite, ma attenti alla sicurezza”, Il Sole24Ore.

130


PARTE TERZA − CASI AZIENDALI CAPITOLO 6 – I PROVIDER Introduzione Il fenomeno del Cloud Computing sta investendo gli interessi di un numero sempre crescente di aziende, comportando la nascita di numerosi fornitori di tali servizi che si affiancano ai grandi colossi dell’informatica che hanno deciso di ampliare la propria attività aziendale verso la nuvola digitale. L’arena competitiva che si è sviluppata attorno a questa nuova forma di business è costituita da aziende fornitrici di tutte le dimensioni, dalle aziende di telecomunicazioni, come Telecom, alle aziende di informatica, come Microsoft, a quelle nate propriamente per svolgere la funzione di Cloud Provider, come Aruba. Alla luce del numero sempre maggiore di fornitori che si affollano all’interno dell’arena competitiva per sfruttare al meglio il fenomeno del Cloud Computing, la figura del Provider assume un ruolo fondamentale in grado di influenzare significativamente la scelta, sempre più complessa, per l’adozione dei servizi Cloud. All’interno dello scenario mondiale sono diversi i fornitori che si distinguono per l’offerta completa di servizi e per la loro precedente esperienza nel campo della tecnologia, tra questi Amazon, nata come libreria digitale e sbarcata sulla nuvola grazie ai suoi Amazon Web Services che l’hanno portata a detenere una posizione di dominio sul mercato del Cloud Comuting, grazie non solo alla qualità del servizio, ma anche al continuo taglio dei prezzi che le consente di avere un’offerta completa di Cloud services a prezzi altamente competitivi. Dopo circa tre anni dall’ingresso di Amazon nel settore dei Cloud services, anche il grande colosso dell’informatica Microsoft ha deciso di aprire la propria strada a questo nuovo fenomeno, proponendo una serie di soluzioni, che vanno dal Public al Private Cloud. Inizia così la rincorsa di Microsoft verso il leader nel settore dei servizi Cloud, Amazon, che ha visto il susseguirsi di diverse mosse strategiche, tra le quali l’aggressiva politica di pricing messa in atto da Microsoft durante il 2013 in risposta alla continua minaccia di Amazon. “La guerra di prezzo con Amazon

131


continuerà fino a che Microsoft non arriverà a corrispondere con Amazon”1 ha affermato Bill Hilf, General Manager di Azure, aggiungendo che per le aziende che già utilizzano i normali servizi Windows, sarà più facile affidarsi alla stessa azienda per l’offerta relativa al Cloud Computing. Alla guerra dei prezzi per i servizi basati sulla nuvola ha partecipato anche Google, con le sue Apps for Business, un pacchetto completo di applicazioni in grado di ricoprire le più svariate funzioni, disponibili attraverso la modalità Cloud. L’applicazione con cui Google minaccia i propri concorrenti è rappresentata in particolare da Google Drive, che grazie alla sua semplicità d’uso e alla sua integrazione con altre Apps di Google, come Docs, ha raggiunto la posizione come servizio di archiviazione più noto in Italia dopo Box e Dropbox, 2 sfidando SkyDrive di Microsoft e S3 di Amazon. L’ingresso più recente nel settore dei servizi Cloud di un altro colosso dell’informatica come IBM merita un’attenta riflessione sulle modalità che hanno condotto quest’azienda in soli sei anni a raggiungere risultati significativi, anche grazie ai continui investimenti strategici come l’acquisizione di SoftLayer, ossia il più grande fornitore al mondo di infrastrutture destinate al Cloud Computing, che ha consentito a IBM di rafforzare enormemente i propri servizi basati sulla nuvola. Alla luce della complessità e della molteplicità dei figure che caratterizzano l’arena competitiva dei fornitori di Cloud services, il futuro non garantisce la continua leadership di una sola azienda, bensì riserverà continui colpi di scena, costringendo i vari concorrenti ad attuare nuove mosse strategiche per mantenere o migliorare la propria posizione sul mercato del Cloud Computing.

1

DARROW B. (2013), “At long last, Microsoft is ready to compete head on with Amazon Web Services”, Gigaom. 2

ENTER THE CLOUD (2013), “Cloud Survey 2013: lo stato del Cloud Computing in Italia”, Enter The Cloud, p.12, campione pari a 1.000 professionisti IT, con una distribuzione geografica dei rispondenti così suddivisa: 42% al Nord, 33% al Centro, 25% al Sud e isole.

132


6.1. CASO AMAZON: LE ORIGINI Come spesso si verifica in casi aziendali di successo, alle spalle di Amazon vi è una figura chiave, in questo caso il fondatore Jeff Bezos, nonché suo attuale CEO, che ha puntato sull’e-commerce per il successo della sua azienda. Amazon nasce nel 1995 come libreria online, sotto l’intuizione del suo fondatore che aveva a lungo studiato le potenzialità ed il successo che presto avrebbe acquisito l’e-commerce, spingendolo a creare un business esclusivamente internetbased. Inizialmente, decise di focalizzarsi su una categoria di prodotto, i libri, fino ad arrivare ad una libreria virtuale che nel 2012 ha raggiunto circa 2,5 milioni di titoli3 nel proprio catalogo. Successivamente, Bezos decise di espandere il proprio business online andando oltre la vendita esclusiva di libri e aggiungendo una lunga serie di prodotti, infatti al catalogo libri nel 1997 si affiancarono CD e film, e nel 1998 software, videogame, elettronica di consumo, giocattoli ed utensili per la casa. Egli era consapevole del fatto che non sarebbe mai riuscito a fornire lo stesso servizio offerto dai negozi fisici, senza la possibilità di garantire un rapporto personale con il venditore. Nonostante ciò, attraverso i suoi prodotti è riuscito a creare un’esperienza online di alto livello che richiedesse poche interazioni interpersonali, offrendo una vasta quantità di prodotti a prezzi contenuti e consegnati velocemente. In pratica, il servizio doveva essere quasi impeccabile, in quanto Amazon dava agli acquirenti la possibilità di rilasciare un feedback sul proprio ordine quindi se un cliente fosse rimasto insoddisfatto si sarebbe creato un passaparola negativo e Bezos conosce perfettamente il potere del passaparola sul web. Nel 1998 Amazon sbarca anche in Germania e Regno Unito, con nuove sedi, iniziando ad espandersi al di fuori dei confini statunitensi. Arriviamo al 1999, quando Jeff Bezos fu definito dalla rivista Time “the person of the year”4 grazie

3

ZEITHAML V. A., BITNER M. J., GREMLER D. D. (2012), Marketing dei servizi, The McGraw-Hill Companies, p.14. 4

TIME (1999), “Amazon.com Jeff Bezos: e-commerce is changing the way the world shop”, Copertina Time Magazine.

133


all’ottimo lavoro svolto nella diffusione dell’e-commerce e alla capacità di essersi trasformato in electronic retailer. Nonostante i momenti di difficoltà, Jeff Bezos ha sempre creduto nella sua intuizione, continuando ad investire per allargare il catalogo dei prodotti e per creare idee innovative, come il lancio del Kindle, il primo lettore ebook di Amazon, avvenuto nel 2007. Questa strada lo ha condotto ad essere il più grande retailer online al mondo, fino a giungere nel 2011 a 9,8 miliardi di dollari di ricavi per il primo trimestre. 5 Amazon non si è fermata alla vendita di prodotti elettronici, ai quali ha affiancato negli anni nuove categorie di prodotto, dall’abbigliamento all’alimentare, e proprio per quest’ultimo è stata costruita una sezione apposita per il cibo fresco, AmazonFresh, che viene consegnato direttamente a casa e che secondo le ultime fonti si estenderà al servizio fuori città.6 6.1.1. LA CLOUD STRATEGY DI AMAZON Amazon è sempre stata consapevole della necessità di avere a disposizione un’infrastruttura informatica affidabile, continuativa nei servizi e scalabile in qualsiasi momento in modo tale da assecondare le crescenti performance del commercio elettronico, rendendo la capacità di storage pressoché illimitata ed in particolare eliminando i costi superflui non legati ad un utilizzo diretto delle risorse. Dopo oltre un decennio, in cui ha continuato a costruire e gestire applicazioni web altamente scalabili, Amazon si è resa conto di aver sviluppato le competenze di base per la gestione di un’infrastruttura massiccia che fosse in grado di soddisfare le esigenze di un segmento di clienti molto più ampio, gli sviluppatori e le imprese, con una piattaforma di servizi web che i clienti possono utilizzare per costruire applicazioni scalabili e sofisticate. Bezos, dunque, consapevole delle competenze acquisite, è andato oltre la costruzione della piattaforma di e-commerce più grande al mondo, ascoltando le esigenze del 5

KOPYTOFF V. G. (2011), “Amazon Earnigs hurt by spending as revenue increases 38%”, The New York Times. 6

LA REPUBBLICA (2013), “Amazon punta su frutta e verdura: in arrivo un grande e-shop per i vegetali”, La Repubblica.

134


mercato ha deciso di affacciarsi ai servizi associati alla nuvola a partire dal 2006, con il lancio di Amazon Web Services, ossia una gamma completa di servizi informatici offerti sul web attraverso l’apposita piattaforma di Cloud Computing creata e gestita dall’azienda. Gli Amazon Web Services (AWS) raggruppano tutti i servizi in tecnologia web offerti da Amazon, comprendendone una gran varietà, dove tutti sono riconducibili al concetto di Cloud Computing. Con gli AWS, Amazon rappresenta il principale fornitore dei servizi Infrastructure As a Service, i quali sono basati sulla virtualizzazione pura, ossia Amazon possiede l’hardware, controlla l’infrastruttura di rete e ha la proprietà diretta su tutto il software. Tra gli aspetti prioritari considerati da Amazon vi è la possibilità di non dover allocare alle esigenze di virtualizzazione più risorse fisiche di quanto non sia effettivamente necessario, infatti gli AWS sono caratterizzati da processi di richiesta dinamici, per cui un utente richiede un’istanza di server virtuale con la possibilità di lasciarlo non appena non gli servirà più. La nuvola di Amazon offre alle imprese la flessibilità di scegliere la soluzione più adatta per risolvere i propri problemi, riducendo i tempi e i costi per rispondere alle proprie esigenze. Inoltre, per garantire un elevato livello di sicurezza del servizio, attraverso il quale le aziende rilasciano dati aziendali di estrema importanza, Amazon offre un servizio chiamato Amazon VPC, il quale rappresenta la Virtual Private Cloud su cui sono posizionate le istanze, con la possibilità per gli utenti di scegliere quali istanze sono esposte ad Internet e quali invece rimangono private, optando per un Cloud privato o pubblico. Le funzionalità di questo insieme di servizi, come riportato da Amazon7, sono riconducibili a: 

7

Potenziare le applicazioni Web, Mobile e Social;

Disponibile su www.aws.amazon.com.

135


Memorizzare ed elaborare grandi quantità di dati a sostegno del proprio business;

Archiviare e recuperare i dati in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento;

Acquisire, conservare, codificare, proteggere e trasmettere i file multimediali;

Eseguire le applicazioni aziendali.

Gli AWS al momento del lancio consistevano in due servizi, ossia Elastic Compute Cloud (EC2) e Simple Storage Services (S3), ai quali se ne sono aggiunti altri successivamente, introducendo più di trenta servizi dedicati alla nuvola dal 2006 ad oggi.8 Amazon può contare oggi anche su un numero consistente di data center in grado di supportare i servizi legati alla nuvola, i quali ammontavano a sei nel 2012, tra cui uno in Irlanda, tre negli Stati Uniti, uno in Europa e uno in Asia.9 Oggi i servizi principali offerti da AWS sono rappresentati da: EC2, S3 e CloudFront, Simple DB. 1. Amazon EC2: Amazon EC2 rappresenta un servizio web-based che offre grandi capacità di calcolo sulla nuvola, attraverso i server virtuali online in affitto, all’interno della struttura Cloud creata da Amazon, che grazie alla semplice interfaccia ne semplifica la configurazione e l’utilizzo. Grazie alla sua struttura innovativa, consente ai clienti di avere il controllo completo sulle proprie risorse, riducendo inoltre i tempi necessari per ottenere ed avviare nuove istanze permettendo di scalare rapidamente la capacità sulla base delle esigenze. EC2 rappresenta il cuore della nuvola di Amazon ed è in grado, attraverso qualsiasi applicazione di creare un server virtuale nel Cloud di Amazon grazie ad una singola chiamata ad un web service. I server virtuali vengono creati partendo dall’infrastruttura fisica basandosi sull’utilizzo di 8

SRIKANTH RP (2013), “Cloud computing is influencing a tremendous rise entepreneurial activities across the world”, Information Week. 9

BAXTER-REYNOLDS M. (2012), An introduction to Amazon Web Services (AWS, EC2, S3, etc), @mbrit Technical Briefings.

136


una versione altamente personalizzata dell’hypervisor Xen10 attraverso la para-virtualizzazione. Gli utenti del servizio pagano solo per la capacità che utilizzano, generando così un ulteriore vantaggio legato all’efficienza di costo dei servizi, aiutando le imprese a sostituire i costi per le infrastrutture con costi variabili bassi. Molti utenti hanno sostenuto pubblicamente tale servizio, tra cui emerge per importanza il Laboratorio di Propulsione della NASA.11 Le macchine virtuali vengono create a partire da un nodo basato su un’immagine, denominata Amazon Machine Image (AMI) che può essere predefinita oppure personalizzata, in genere gli utenti partono da un’AMI standard e successivamente la personalizzano creando una nuova immagine sulla quale creano i propri server. Tale immagine contiene il sistema operativo ed eventuali applicazioni aggiuntive. Tale servizio consente di aumentare o ridurre la capacità in pochi minuti, senza dover aspettare ore o giorni grazie alla sua elasticità e con la possibilità di emettere anche più istanze contemporaneamente. Inoltre, garantisce un controllo completo sulle istanze, dando anche consentendo di interromperle e poi successivamente riavviarle attraverso le API, ossia le interfacce di programmazione di un’applicazione. EC2 gode anche di un’elevata flessibilità offrendo diversi tipi di istanze e consentendo di selezionare la configurazione della memoria, come la CPU o instance storage, che meglio si combina con la scelta del sistema operativo e delle applicazioni12. Ciò che contraddistingue i servizi Cloud di Amazon è anche il costo molto basso per accedere a tali servizi, oltre che una semplificata modalità di accesso alla nuvola. EC2 è stato creato per essere utilizzato congiuntamente 10

“L’ambiente Xen permette la creazione e il rilascio dinamico di server virtuali e tutte le altre funzionalità necessarie per offrire ambienti di lavoro completamente isolati l’uno dall’altro”, REESE G. (2010), Cloud Computin: architettura, infrastrutture, applicazioni, Hops Tecniche Nuove, Milano, p.25. 11

TREFIS TEAM (2012), “Web services to drive future growth for Amazon”, Forbes.

12

WANG G., EUGENE NG T. S. (2010), “The impact of virtualization on network perfomance of Amazon EC2data center”, Proceedings IEEE 2010, p.3.

137


agli altri servizi offerti da Amazon, tra cui Amazon Simple Storage e Amazon SimpleDB, per offrire una gamma di soluzioni complete. 2. Amazon S3 e CloudFront: Amazon S3 costituisce il servizio di storage online offerto da Amazon Web Services che mette a disposizione spazio su un disco virtuale accessibile in tempo reale attraverso Internet grazie alla semplice chiamata verso web services. Le principali modalità di utilizzo di tale servizio sono rappresentate dal web hosting, image hosting e sistemi di back-up. Come primo servizio Cloud offerto da Amazon, il Simple Storage Service, è stato lanciato con l’obiettivo di soddisfare il bisogno basilare di capacità di memoria, consentendo di raggiungere i 400.000 sviluppatori a soli due anni dal lancio.13 Attraverso tale servizio, Amazon offre una semplice interfaccia di servizi web che può essere utilizzata per archiviare e recuperare qualsiasi quantità di dati, in qualsiasi momento ed ovunque si trovino sul web, mirando a massimizzare i benefici di scala e trasmettendoli agli sviluppatori. Tra gli usi più comuni di S3 vi è sicuramente la memorizzazione e la distribuzione di contenuti, fornendo un’elevata varietà di contenuti, a partire dalle applicazioni web fino ai file multimediali. Amazon S3 consente di scaricare l’intera infrastruttura per lo storage sulla nuvola, che è dotata di elevata scalabilità e del sistema pay-as-you-go in modo tale da gestire crescenti esigenze di archiviazione. Per la distribuzione ed in particolare per la condivisione dei contenuti, Amazon fornisce la Reduced Redundancy Storage (RRS) che fornisce adeguate soluzioni nel caso in cui, ad esempio, l’utente memorizzando una serie di contenuti in-house, necessiti di renderli accessibili ai clienti, ai dipendenti o a determinati fornitori, in questo caso il sistema RRS consente di archiviare e condividere tali contenuti con un lieve impatto sui costi, partendo da 10 centesimi di dollaro per ogni gigabyte, che diminuiscono man mano che i gigabyte crescono.14

13

NUTTALL C. (2008), “Amazon wins over sceptics about web services”, Financial Times.

14

DI MARTILE F. (2010), “Da Amazon 10 centesimi per un gigabyte”, IctBusiness.

138


Accanto ad Amazon S3 esiste un sistema per la distribuzione dei contenuti, Amazon CloudFront, ossia un network per la distribuzione dei contenuti agli utenti finali, che consente di inserire i contenuti che si intendono distribuire ai confini della nuvola. Esso costituisce un altro livello di storage della nuvola di Amazon dove le richieste degli utenti effettuate attraverso CloudFront sono riferite alla località geografica più vicina, grazie alla presenza di edge locations15 (letteralmente “località ai margini” della nuvola) sparse in tutto il mondo (Europa, Asia e Stati Uniti). CloudFront è un servizio globale, a differenza di Amazon S3 che rappresenta un servizio regionale, in particolare il primo lavora come servizio di distribuzione ed il secondo come buckets, ossia come servizio di raccolta dei contenuti. Una volta

memorizzati

i

contenuti

in

S3,

questi

verranno

spostati

automaticamente in modo da ottimizzare i tempi di caricamento e distribuendoli quindi agli utenti finali in maniera più rapida. Amazon S3 e Amazon CloudFront costituiscono due servizi complementari tra di loro, infatti CloudFront lavora congiuntamente a S3, ma copia i file presenti in S3 nei suoi server localizzati nelle città più importanti consentendo un download dei contenuti più rapido. Inoltre, CloudFront può essere utilizzato per integrare ed ottimizzare l’attività degli altri AWS, come Elastic Compute Cloud (EC2), e non solo, infatti, può essere utilizzato anche con i server che non si basano sui servizi AWS venendo incontro alle esigenze di qualsiasi tipo di cliente. 3. Amazon Simple DB: All’interno della gamma di AWS Amazon offre diverse tipologie di servizi di database, tra i quali emerge per importanza il SimpleDB. Il SimpleDB rappresenta un sistema di tipo non relazionale per l’archiviazione dei dati in modo tale da ridurre l’onere amministrativo ed è dotato di elevata flessibilità e disponibilità. Tale strumento consente agli utenti di concentrarsi sullo sviluppo delle applicazioni e non sulla 15

VLIET V. J., PAGANELLI F. (2011), Programming Amazon EC2, O’ Reilly, United States of America, pp.40-42.

139


manutenzione e gestione dei software o sulla gestione dell’indice, in quanto i dati in SimpleDB sono automaticamente indicizzati, per cui l’utente archivia i dati e li richiede quando necessario e SimpleDB si occupa di fare tutto il resto.16 6.1.2. GLI OBIETTIVI E I RISULATI DELLA CLOUD STRATEGY Amazon rappresenta un’azienda con una storia diversa dagli altri grandi nomi dell’elettronica moderna, nata per il commercio elettronico di libri, si è man mano allargata ad altre categorie merceologiche, passando poi ai beni digitali, ai servizi di Cloud fino ad arrivare a produrre i propri device.17 In generale, la strategia dell’azienda è sempre stata quella di non fermarsi mai per creare continuamente nuovi successi, motivo per il quale è passata dall’essere un gigante della logistica ad una media company di grande successo, dimostrando come da un business sia possibile farne nascere un altro. Il successo del Cloud di Amazon è da attribuire alla sua capacità di essere stato tra i primi a capire le potenzialità della nuvola come fattore abilitante per l’evoluzione del business model aziendale. Inoltre, Amazon ha sempre lavorato in modo tale da ridurre i costi per i propri clienti, generando una fonte di risparmio, proprio come è avvenuto per Amazon EC2, Amazon S3 ed Amazon CloudFront, dei quali sono stati abbassati i prezzi a prescindere dalla pressione competitiva. Negli ultimi anni, la competizione sulla nuvola si è intensificata, con l’ingresso di nuovi competitors come IBM e Google, causando una continua guerra dei prezzi da parte delle imprese per attirare il maggior numero di clienti e rendere vincente la propria nuvola. L’ultima riduzione di prezzo dei servizi Cloud offerti da Amazon è avvenuta nel Giugno 2013 e rappresenta il trentasettesimo taglio dei prezzi registrato dall’introduzione degli AWS, riguardante i prezzi dei server dedicati ed effettuato

16

SOSINSKY B. (2011), Cloud Computing Bible, Wiley Publishing, Stati Uniti, pp.200-202.

17

TREMOLADA L. (2012), “Amazon-Apple: la sfida è nel cloud”, Il Sole24Ore.

140


in particolare per contrastare la minaccia rappresentata da nuovi competitors come IBM.18 Gli AWS in partenza erano nati per essere dedicati alle start-up e agli sviluppatori che si erano affidati da subito ad Amazon EC2, ma con il tempo la base clienti si sta allargando sempre più anche fra le imprese, facendo prevedere andamenti al rialzo dei servizi offerti da Amazon. Secondo uno studio condotto da Gartner nel 2012 gli Amazon Web Services si posizionano all’interno del quadrante Laeders della matrice denominata “Magic Quadrant for Cloud Infrastructure As a Service”.19

ABILITY OF EXECUTE

Figura 6.1. Matrice Magic Quadrant for Cloud Infrastructure As a Service.

COMPLETENESS OF VISION Fonte: LEONG L., TOOMBS D., GILL B., PETRI G., HAYNES T. (2012), “Magic Quadrant for cloud infrastructure as a service”, Gartner Research, p.2.

Tale matrice rappresenta il cuore della metodologia in base alla quale Gartner costruisce una mappa in cui si posizionano i technology players di uno specifico

18

BABCOCK C. (2013), “ Amazon cut price again”, Information Week.

19

LEONG L., TOOMBS D., GILL B., PETRI G., HAYNES T. (2012), “Magic Quadrant for cloud infrastructure as a service”, Gartner Research, p.2.

141


mercato, rappresentato in questo caso del Cloud Computing. Il Magic Quadrant si compone di quattro quadranti dove si posizionano i fornitori della tecnologia sulla base di due dimensioni: la capacità di esecuzione del servizio Cloud e la completezza di visione offerta dal modello. Il quadrante in cui si posiziona Amazon è quello dei Leaders, come mostra la Figura 6.1., ossia hanno una buona capacità di esecuzione ed un elevato posizionamento nelle previsioni future. La rilevanza della posizione assunta da Amazon risiede nel significato dello studio condotto da Gartner, che mira a fornire un primo strumento attraverso il quale i clienti valutano i servizi Cloud offerti dai Provider per considerare un eventuale investimento, quindi grazie alla posizione assunta, Amazon è in grado di generare maggiore interesse nel pubblico di utenti verso i propri Web Services. La ricerca condotta dagli analisti di Macquarie Capital sostiene che gli Amazon Web Services non solo siano redditizi, ma valgano 19 miliardi di dollari se considerati come un business autonomo. Gli analisti di Macquarie Capital prevedono che entro il 2015 il mercato del Cloud arriverà a valere 71 miliardi di dollari e che la parte attribuibile ai servizi Cloud di Amazon potrebbe essere di 38 miliardi di dollari20, grazie alla focalizzazione di Amazon sull’offerta dedicata non solo alle start-up e alle PMI, le quali continueranno comunque a guidare in maniera significativa la crescita di questo business, ma anche grazie alle imprese di grandi dimensioni. Nel 2012 si è stimato che le entrate relative agli AWS siano arrivate a 2.1 miliardi di dollari e cresceranno fino a 3.8 miliardi di dollari entro 2013, fino ad arrivare a 6.2 miliardi di dollari nel 2014, come mostra la Figura 6.2.. In ogni caso, tali cifre rappresentano solo una stima dovuta alla difficoltà di previsione di questa voce di entrate, in quanto le entrate relative alla nuvola di Amazon rientrano nella voce “Altre entrate” dove sono comprese anche le spese

20

DARROW B. (2013), “Amazon’s cloud is bigger , more profitable than we think, report says”, Gigaom.

142


per le attività promozionali e di marketing, non consentendo di conoscere la percentuale precisa delle entrate derivanti dagli AWS.21 Figura 6.2. Previsione delle entrate degli AWS.

Fonte: GOTTFRIED M. (2013), “Answer to Amazon’s low margins may be found in the cloud”, The Wall Street Journal.

Amazon ha dichiarato che il Cloud Computing si trova ancora in una fase inziale ed è caratterizzato da un lungo processo di adozione dalla durata decennale, ma Jeff Bezos afferma che ha le potenzialità per divenire un’attività di dimensioni pari alla core activity di Amazon, la vendita al dettaglio. I margini operativi derivanti dai servizi AWS possono raggiungere nel lungo termine il 25%, sollevando il margine complessivo dell’azienda, ragione per cui rappresenta un business su cui Amazon continuerà a focalizzare i propri sforzi. 22 6.2. CASO MICROSOFT: LE ORIGINI Microsoft è stata fondata da Bill Gates e Paul Allen nel 1975 sotto il nome di Micro-soft Company, divenendo Microsoft Corporation nel 1983. Inizialmente, ha sviluppato il linguaggio BASIC per il primo personal computer americano, Altair, ma il primo grande successo è arrivato con il Disk Operating System (DOS) per i personal computer, dopo che IBM assegnò alla Microsoft il contratto per produrre una versione di sistema operativo compatibile con i suoi personal computer. Microsoft decide di acquistare un sistema operativo chiamato QDOS, su cui 21

GAUN C. (2013), “Amazon’s cloud revenues is important information for potential customers”, Gartner. 22

GOTTFRIED M. (2013), “Answer to Amazon’s low margins may be found in the cloud”, The Wall Street Journal.

143


costruire quello che si chiamerà il MS-DOS, compatibile con i personal computer di IBM. I termini del contratto con IBM consentono comunque alla Microsoft di avvalersi dei diritti sui derivati di MS-DOS, errore grave commesso da IBM che consentirà così a Microsoft di diventare il maggior player nel settore dei personal computer. Infatti, il sistema di licenze relative ai software obbligava IBM a pagare una licenza per ogni singolo computer venduto. A partire dal 1983, l’azienda inizia a lavorare sulle applicazioni come Word, che diventerà il più importante “word processing package”23. Nel 1985 uscirà la prima versione di Windows 1.0, seguita dalla versione del 1987 che otterrà maggiore successo grazie alle applicazioni Word ed Excel. Ma è a partire dagli anni '90 che inizierà ad affermarsi Windows, il quale è costato alla Microsoft cinque anni di cause legali con Apple che l’aveva accusata di aver infranto i suoi copyright, utilizzando elementi della sua interfaccia grafica nel sistema operativo Windows. La battaglia legale si conclude solo nel 1993 e vede Microsoft come vincitore. In questi anni, Windows raggiunge importanti traguardi, come l’uscita di Windows 98 che comprende il browser Internet Explorer per la navigazione e l’uscita del pacchetto Office, contente Word, Excel e Power Point. Da allora, i nuovi sistemi operativi si susseguono fino ad arrivare all’attuale Windows 8, che propone una nuova interfaccia simile a quella degli smartphone, compatibile sia con l’utilizzo di apparecchi muniti di touch screen sia di apparecchi tradizionali dotati di mouse e tastiera. Microsoft ha costruito la sua popolarità sui sistemi operativi, a partire dal sistema MS-DOS degli anni '80 e passando attraverso tutte le successive versioni di Windows, ma il suo successo non è imputabile solo a questo aspetto, bensì anche all’introduzione del browser Internet Explorer24, che venne integrato nei sistemi operativi Windows. Tale strumento scatenò quella che si definisce la prima “guerra tra browser”25, dalla quale Microsoft uscì vincitrice, spodestando il potente Netscape verso la fine degli anni '90. Successivamente, si susseguirono 23

O’REGAN G. (2012), A brief history of computing, Springer-Verlag, London, pp.217-218.

24

TRYHORN C. (2008), “Microsoft and Yahoo, potted stories”, The Guardian.

25

MCINTOSH N. (2000), “Netscape unveils new browser”, The Guardian.

144


ulteriori browser war, dovute all’ingresso di nuovi competitors, come Google Chrome e Mozilla Firefox, che minacciano tutt’ora la posizione di dominio di Microsoft. Inoltre, Microsoft è stata capace di sfruttare le potenzialità di Internet a partire dalla metà degli anni '90, creando il network di MSN, introducendo servizi come la posta di Hotmail e il portale msn.com. 6.2.1. LA CLOUD STRATEGY DI MICROSOFT Oggi Microsoft fornisce una vasta gamma di prodotti in linea con le esigenze delle imprese, senza tralasciare i nuovi trend e le nuove tecnologie. Non poteva quindi mancare l’allineamento di Microsoft con la svolta tecnologica rappresentata dal Cloud Computing. L’impegno dell’azienda per queste soluzioni è completo attraverso l’evoluzione dei prodotti esistenti e rendendo la maggior parte dei prodotti più utilizzati disponibili sulla nuvola, come nel caso di Microsoft Office 365, “lanciato sulla nuvola” in Italia due anni fa, con la collaborazione di Vodafone. 26 Il Cloud Computing non rappresenta una novità per Microsoft, che vanta un’esperienza nell’ambiente Cloud di circa 17 anni, infatti già nel 1996 introduceva Windows Live Hotmail, una forma elementare di Cloud, che alla fine del 2012 è arrivata a contare 267 milioni di utenti27, e che oggi ha lasciato il posto ad Outlook, raggiungendo i 400 milioni di utenti28. Allo stesso modo anche le soluzioni Xbox Live e Bing, sfruttano le potenzialità del Cloud Computing servendo gli utenti attraverso i data center di Microsoft. Microsoft ha sempre creduto fortemente nelle soluzioni Cloud, tanto che già nel 2011 dedicava oltre la metà degli investimenti effettuati in ricerca e sviluppo, pari a circa 9.5 miliardi di dollari l’anno, all’ambiente Cloud, impegnando il 70% degli

26

RUSCONI G. (2011), “Microsoft manda l’ufficio sulle nuvola: Office 365 arriva in Italia (con Vodafone)”, Il Sole24Ore. 27

DELLO IACOVO L. (2013), “Addio hotmail, arriva Outlook. Com. Ecco cosa cambia”, Il Sole24Ore. 28

MACCARI V. (2013), “Windows 8, dopo il flop si cambia”, La Repubblica.

145


sviluppatori Microsoft nello studio e nella creazione di servizi e prodotti legati alla nuvola.29 L’obiettivo di Microsoft è coprire tutte le possibili aree di attività di un’ azienda con i propri servizi Cloud, a partire dalla comunicazione, come il servizio della posta elettronica, passando poi alle attività di collaborazione con soluzioni che semplifichino l’archiviazione, la condivisione, la gestione dei dati e giungendo infine alle applicazioni aziendali in grado di monitorare la Customer Relationship Management (CRM) e la produttività del business. La fornitura di questi servizi è supportata dalla presenza dei numerosi data center che Microsoft continua ad implementare attraverso l’apertura di nuovi centri, come l’annuncio della prossima apertura di un data center per lo smaltimento dei calcoli in Cloud in Iowa (Stati Uniti). Microsoft offre un pacchetto di servizi Cloud completo, che include Soluzioni Private e Public. 1. Soluzioni Private: Il Private Cloud di Microsoft offre soluzioni che si basano su Windows Server 2012 e System Center 2012. Windows Server 2012 è l’attuale sistema operativo per data center di Microsoft che attraverso un’innovativa interfaccia e potenti strumenti a servizio del management arricchisce l’offerta di Microsoft in ambito di networking, storage e virtualizzazione. Questo strumento consente non solo all’IT di raggiungere risultati migliori riducendo costi, ma anche di avere accesso alle capacità per distribuire e gestire correttamente il Private Cloud.30 Le potenzialità di Windows Server 2012 sono attribuibili proprio alla possibilità di usufruire dei servizi di Private Cloud, che, come esposto nel Capitolo 3 del presente lavoro, rappresenta un modello in cui le risorse sono

di

proprietà

dell’organizzazione e sono

ad

essa dedicate,

contrariamente a quanto avviene nel modello Public dove le risorse sono di 29

MICROSOFT (2011), “Microsoft e il cloud Computing”, Cloud Power, p.1.

30

TULLOCH M. (2012), Introducing Windows Server 2012, Microsoft Press, Redmond, pp.8-12.

146


proprietà del Provider che le condivide tra più clienti. Nel Private Cloud vige un maggior livello di trasparenza e controllo per le imprese che godono comunque di rilevanti economie di scala, anche se non equiparabili a quelle che si ottengono attraverso il modello Public. Windows Server 2012 mette a disposizione delle aziende una piattaforma completamente virtualizzata che include applicazioni multi-tenant in grado di garantire l’isolamento su un’infrastruttura condivisa dei carichi di lavoro appartenenti a diverse business unit, dipartimenti o clienti. Attraverso la virtualizzazione integrata di Windows Server le imprese possono risparmiare sull’hardware e sui costi di gestione e alimentazione, utilizzando il sistema di virtualizzazione Hiper-V offerto da Microsoft che è in grado di eseguire più sistemi operativi in parallelo (Microsoft Windows, Linux e altri) su un unico server. I nuovi strumenti, integrati nell’offerta di Microsoft, consentono all’impresa di godere di una maggiore flessibilità, posizionando e spostando i server in base alle necessità ed in maniera semplice.31 Windows Server 2012 fornisce anche servizi di storage che consentono il riutilizzo di storage esistenti o di scegliere storage più economici producendo un risparmio sui costi. System Center consiste in una piattaforma di gestione completa, in grado di ottimizzare l’infrastruttura IT aziendale e di gestire i data center tradizionali, ambienti Cloud , dispositivi e computer client attraverso un unico prodotto. Tale piattaforma sfrutta i benefici derivanti dalla virtualizzazione che consente ai dipartimenti IT delle aziende di costruire una sorta di libreria di risorse riutilizzabili messe a disposizione del business. In questo modo l’automazione, il controllo della qualità e la flessibilità vengono sfruttate da System Center per costruire la nuvola privata di Microsoft, che per fare ciò si avvale di diversi prodotti ognuno dei quali ha un ruolo specifico e vitale 31

MICROSOFT (2012), “Server Virtualization: Windows server 2012”, Microsoft Whitepaper, pp.8-10.

147


per le soluzioni offerte dal colosso dell’informatica. Tali prodotti non rappresentano software a parte, infatti grazie al modello adottato da System Center attraverso un’unica licenza è possibile installare tutti i prodotti disponibili. Di seguito, si riportano i tre prodotti principali:32 

Virtual Machine Manager: il sistema che lega insieme le componenti dell’infrastruttura e le risorse che compongono la nuvola privata, consentendo la gestione delle macchine virtuali e di distribuzione dei servizi basandosi su più hypevisor, ossia i software che a loro volta sono in grado di eseguire più sistemi operativi detti “guest” su un computer detto ”host”;

App Controller: un portale Web basato su Silverlight33 che consente di creare istanze e successivamente distribuirle sia in Private che in Public Cloud attraverso Windows Azure, la piattaforma Microsoft di sviluppo di applicazioni Cloud. Questo strumento consente di sfruttare i servizi e le virtual machine configurate in Virtual Machine Manager (VMM) e di conoscerne lo stato, la composizione, la quota di utilizzo, ed inoltre di fermare o avviare le virtual machine;

Operations Manager: una soluzione per il monitoraggio della qualità dell’insieme dei servizi IT, in questo modo l’impresa è in grado di controllare tutto ciò che accade sulla nuvola privata, migliorando le performance e la disponibilità dei servizi critici per il business.

2. Soluzioni Public: Microsoft offre servizi in grado di sfruttare anche le potenzialità del Public Cloud, che consente di raggiungere maggiori economie di scala grazie alla condivisione dell’infrastruttura, di proprietà del Provider, tra più clienti.

32

FINN A., VREDEVOORT H., LOWNDS P., FLYNN D. (2012), Microsoft private cloud computing, Wiley & Sons Ltd, Stati Uniti, pp. 17-23. 33

“Microsoft Silverlight è un plug-in utilizzabile su più piattaforme e browser per la fornitura di contenuti e servizi multimediali di ultima generazione” disponibile su www.microsoft.com.

148


La soluzione offerta per l’ambiente public è Windows Azure, la piattaforma dedicata al modello PaaS, la cui uscita è stata annunciata nel 2008 a Los Angeles durante un incontro per la Professional Developer’s Conference, la conferenza mondiale per sviluppatori di software. Il suo ingresso sul mercato è avvenuto durante il 2010, in risposta alla minaccia rappresentata dal rivale Google e della crescente smaterializzazione dei prodotti, arrivando ad essere definita da Ray Ozzie, presidente di Microsoft, come segue: "Windows Azure non è un programma che voi fate funzionare sui vostri server, ma un servizio che funziona su un gran numero di computer, installato nei centri dati di Microsoft, negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo."34 Tale piattaforma rappresenta una componente chiave della Cloud Strategy di Microsoft, dove sono disponibili risorse illimitate per sviluppare e distribuire qualsiasi tipo di applicazione in pochi minuti. Azure è stato progettato come sistema operativo dedicato ai data center, in modo tale che non ci sia più il bisogno di provvedere alla creazione di un hardware o server e successivamente di un sistema operativo per eseguire le proprie applicazioni, riducendo in tal modo il tempo che intercorre dall’idea alla produzione attraverso l’eliminazione degli step relativi alla ricerca di sistemi operativi e hardware. Windows Azure garantisce vantaggi adatti a tutte le realtà aziendali in termini di flessibilità, affidabilità, scalabilità e focus sui servizi anziché sui prodotti. Infatti, la piattaforma può essere utilizzata dalle start-up e dai professionisti per concentrarsi al meglio sul proprio core business tralasciando la gestione operativa della piattaforma. Inoltre, le aziende di piccole e medie dimensioni possono avvalersi della piattaforma in modo tale da estendere il proprio reparto IT, sfruttandone i 34

IL SOLE24ORE (2009), “Cloud computing: Microsoft Azure arriverà a gennaio”, Il Sole24Ore, sezione Tecnologia&Business.

149


relativi vantaggi, dati ad esempio dalla possibilità di sfruttare i picchi di utilizzo pagando per la piattaforma solo qualora ve ne sia bisogno. La piattaforma Windows Azure si compone di tre elementi fondamentali (Figura 6.3.):35 

Windows Azure: il sistema operativo per i data center che fornisce qualsiasi tipo di strumento per trasferire i servizi aziendali sulla nuvola, creando un ambiente in grado di offrire tre soluzioni chiave, ossia i servizi di calcolo, di storage e di gestione;

SQL Azure: un database relazionale basato sul Server SQL, che rappresenta la scelta ideale per le aziende che cercano soluzioni database a costi bassi, grazie all’utilizzo di un’infrastruttura condivisa ed ospitata;

AppFabric: la componente middleware, ossia l’insieme dei programmi che si comportano da intermediari tra le diverse componenti e applicazioni software. Figura 6.3. La piattaforma Windows Azure. Windows Azure Platform

Fonte: REDKAR T., GUIDICI T. (2011), Windows Azure Platform, APress, USA, p.12.

Inoltre, Microsoft offre SkyDrive, un servizio dedicato di Cloud storage, lanciato nel 2007, che è arrivato a contare 250 milioni di utenti, raggiungendo un grande traguardo e scontrandosi con un'altra figura autorevole nel campo dei servizi di condivisione e archiviazione di documenti sulla nuvola, Dropbox.36

35

REDKAR T., GUIDICI T. (2011), Windows Azure Platform, APress, USA, pp.9-16.

36

RUSCONI G. (2012), “Dropbox si evolve per il file sharing, Skydrive con i servizi premium e per Windows 8”, Il Sole24Ore.

150


6.2.2. GLI OBIETTIVI E I RISULATI DELLA CLOUD STRATEGY La Cloud Strategy di Microsoft nasce dalla volontà di sfruttare le potenzialità di Internet, infatti, come spiega Kirill Tatarinov37, il vicepresidente del gruppo Microsoft Business Solutions, oggi le statistiche mostrano come ci siano più dispositivi connessi ad Internet di quanti non siano gli esseri umani su questo pianeta. Microsoft ha da sempre focalizzato buona parte dei suoi sforzi nella costruzione di data center altamente automatizzati, efficienti e ben connessi che potessero essere sfruttati dai propri clienti, tanto che già nel 2010, 4 dei 10 data center più grandi al mondo appartenevano a Microsoft.38 L’obiettivo è fornire ai propri clienti tutte le soluzioni Cloud possibili in modo tale da personalizzare al meglio l’offerta sulla base delle loro esigenze, è per questo che dopo aver lanciato Window Azure, Microsoft ha deciso di chiudere il cerchio con l’offerta di Windows Server nel 2012, come afferma Luca Venturelli, Direttore della Divisione Server&Cloud di Microsoft Italia: “Con questo annuncio chiudiamo un cerchio che abbiamo iniziato a tracciare oltre un anno e mezzo fa con il rilascio di Azure”.39 In questo modo, Microsoft cerca di dare una risposta concreta alla tendenza che più di tutte interessa i CIO delle grandi aziende, ossia l’accessibilità ai dati in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, puntando su quello che Microsoft chiama il “Cloud Os” che sottolinea l’impegno dell’azienda verso il rinnovamento dell’intera offerta di soluzioni dedicate al settore enterprise basato sulla nuvola. Attraverso il lancio delle soluzioni di Cloud privato, Microsoft intende condividere la convinzione secondo cui il futuro sarà fatto di soluzioni Hybrid, che combinano Windows Server 2012, Windows Azure e System Center 2012.

37

COLUMBUS L. (2013), “Microsoft’s Cloud Computing Strategy and Roadmap evident at Convergence 2013”, Forbes. 38

MILLER R. (2010), “Special Report :The world’s largest data center”, Data Center Knowledge.

39

RUSCONI G. (2012), “Windows Server 2012: Microsoft chiude il cerchio sul cloud”, Il Sole24Ore.

151


Venturelli afferma anche che la penetrazione in Italia delle soluzioni Cloud offerta da Microsoft ha ottenuto buoni livelli, superando le aspettative. Gli obiettivi della Cloud Strategy di Microsoft si possono riassumere in alcuni punti principali, dove il primo è quello di costruire un network di data center sparsi in tutto il mondo che rappresenti una grande piattaforma software del futuro. In secondo luogo, Microsoft intende sfruttare tali data center per offrire soluzioni PaaS, Iaas, Saas, dove le soluzioni PaaS sono già state create, mentre le altre due rappresentano la sfida per il futuro. Attraverso le soluzioni Cloud proposte, Microsoft non solo si è fatta largo tra i principali concorrenti, come Google e Amazon, ma ha raggiunto risultati sorprendenti grazie all’impegno e alla fiducia riposta nella nuvola. La piattaforma Windows Azure rappresenta il pilastro portante della Cloud Strategy di Microsoft e a confermarlo vi è la recente pubblicazione di Fortune 500. Secondo Fortune 500, la lista annuale delle 500 principali aziende statunitensi pubblicata dalla rivista Fortune, oltre il 50% delle imprese iscritte a Fortune 500 utilizza Windows Azure, la piattaforma di Cloud pubblico offerta da Microsoft. Il risultato è impressionante, visto il lancio, avvenuto da soli tre anni, e la potenza di concorrenti come Amazon. Microsoft comunica che la base clienti ha raggiunto i 250.000 utenti, con una media di 1.000 nuovi clienti al giorno. Il successo sarebbe dovuto alla qualità e all’affidabilità dei servizi offerti, ma soprattutto all’impegno di Microsoft nel raddoppiare la capacità di calcolo e di storage ogni 6/9 mesi, in modo tale da riuscire ad ospitare un numero sempre maggiore di oggetti, oltre 9 miliardi, con circa 270.000 richieste al secondo, garantendo sempre la stessa qualità di servizio ai clienti, grazie al supporto di 18 data center. 40 Il trend registrato da Windows Azure va ben oltre quanto predetto dalla ricerca condotta da Gartner, secondo cui nel 2013 il mercato dei servizi legati al Cloud

40

MARTIN S. (2013), “50 per cent of Fortune 500 using Windows Azure”, Microsoft Team Blog.

152


pubblico crescerà del 18,5%, quando Microsoft ha raggiunto gli oltre 200 servizi per le sue piattaforme Cloud nel corso di un anno.41 A confermarlo, vi sono anche le vendite di Azure che nell’anno 2012 hanno superato un miliardo di dollari per la prima volta, un segnale di progresso nel costante impegno di sfidare il colosso Amazon. L’aumento delle vendite è legato all’incremento delle sottoscrizioni relative a Windows Azure, aumentate del 48% nei sei mesi precedenti al 30 Aprile 2013, come afferma Takeshi Numoto, il vicepresidente marketing della Divisione Server and Tools di Microsoft.42 Microsoft ha annunciato un fatturato trimestrale di oltre 19 miliardi di dollari per il trimestre che si è concluso nel Giugno 2013, con un utile netto di quasi 5 miliardi di dollari. Secondo il report trimestrale i risultati hanno subito un impatto negativo dal declino del mercato dei personal computer, mentre la forte domanda per le soluzioni Cloud di Microsoft consente di controbilanciare il trend negativo del mercato dei PC.43 Inoltre, vista la crescente domanda di servizi come Skype, Office 365 e Xbox Live, Microsoft si impegna a continuare ad investire sui servizi Cloud. Il colosso di Redmond, sede storica di Microsoft, sembra credere nel futuro del Cloud tanto da annunciare la collaborazione con uno dei suoi più grandi rivali, Oracle. Nonostante l’accesa rivalità in campo di database, esplosa negli anni '90 quando Oracle iniziò a promuovere un prodotto alternativo ai personal computer di Microsoft e quest’ultima rispose iniziando a competere nel campo dei database, ossia il core business di Oracle, oggi le due aziende hanno compreso che i loro prodotti possono lavorare insieme producendo risultati positivi per la nuvola. L’accordo consisterà nell’impegno da parte di Oracle di rendere compatibili i suoi prodotti con la piattaforma Azure di Microsoft, in cambio quest’ultima promuoverà il database e gli altri prodotti Cloud di Oracle ai propri clienti. La 41

GARTNER (2012), “Forecast overview: Public cloud services, worldwide, 2011-2016”, Gartner, p.14-15. 42

BASS D. (2013), “Microsoft Azure sales top $ 1 billion challenging Amazon”, Bloomberg.

43

MICROSOFT (2013), “Microsoft reports fourth-quarter and full year results”, Microsoft News Center.

153


spinta di questo sodalizio arriva proprio dalla crescita del Cloud Computing, come afferma la rivista economica The Economist44, e dalla paura dei due nuovi alleati di rimanere indietro rispetto ai grandi leader in questo campo (Amazon e Google). Microsoft e Oracle puntano ad assumere una posizione di primo piano nel Cloud ed in particolare, nell’ambito dei sistemi ibridi, tanto da convincere le due aziende ad intraprendere la strada di un accordo e di una conseguente maggiore compatibilità fra i rispettivi prodotti.45 Anche in Italia, Microsoft continua la sua scalata attraverso nuove intese che mirano a far conoscere velocemente il proprio prodotto, come quella annunciata a Giugno con Poste Italiane. L’accordo prevede che Poste Italiane e Microsoft offrano a professionisti, imprese, amministrazioni centrali e locali, l’integrazione dei servizi Poste con Office 365.46 In questo modo, Microsoft si appresta a diventare una figura importante nel processo di digitalizzazione dell’Italia, grazie alla semplificazione di accesso ai servizi della nuvola. In conclusione, Microsoft è fortemente motivata a continuare ad investire nella nuvola e a non lasciarsi scappare questa opportunità di new business, in particolare per quanto riguarda il modello Hybrid, che secondo Gartner raggiungerà un giro di affari di 30 miliardi di dollari entro il 2017, rispetto ai 6 miliardi del 2012,

47

consentendo al colosso statunitense di cavalcare questa

crescita, grazie alla quale sarà in grado di superare la crisi che sta subendo nel mercato dei personal computer. 6.3. CASO GOOGLE: LE ORIGINI Google nasce dall’incontro di due giovani studenti di informatica presso la Stanford University, Larry Page e Sergey Brin nel 1996 lavorano insieme per dare vita ad un motore di ricerca chiamato BackRub che verrà utilizzato sui server 44

THE ECONOMIST (2013), “Ascending to the cloud: The rise of cloud computing is forcing old adversaries to work together”, The Economist, Print Version. 45

RUSCONI G. (2013), “Oracle e Microsoft a braccetto nel Cloud”, Il Sole24Ore.

46

LA STAMPA (2013), “Intesa Poste-Microsoft per nuovi servizi “Cloud””, La Stampa.it.

47

GARTNER (2012), “2013 Cloud Computing Planning Guide: Rising Expectations”, Gartner, p.20.

154


della Stanford University.48 L’anno successivo i due studenti modificano il nome del motore di ricerca dando vita poi nel Settembre del 1998 a quello che ancora oggi rappresenta il motore di ricerca più utilizzato nel mondo, Google. Già nel Giugno del 2000 diviene il motore di ricerca più grande al mondo con un indice formato da un miliardo di indirizzi URL, che diverranno tre miliardi l’anno successivo. A partire da questo momento Google inizia a lanciare una serie di servizi che rivoluzioneranno le modalità di ricerca online, dando accesso a qualsiasi tipo di informazione utile per l’utente, attraverso l’introduzione iniziale di Google Immagini, seguita da Google Scholar, Earth, Libri, Maps, per citarne alcuni dei più importanti, raggiungendo già nel 2004 otto miliardi di pagine web49. Nello stesso anno, la società annuncia l’uscita di Gmail, il servizio gratuito di posta elettronica che diventa una vera e propria mania del web 50, inizialmente disponibile solo per i dipendenti, mentre a partire dal 2007 viene reso disponibile a tutti, lanciando un chiaro messaggio di sfida ai suoi principali concorrenti, Microsoft e Yahoo!.51 In questi anni, Google intuisce anche l’importanza dei dispositivi mobili, che culmina con l’introduzione nel 2006 delle funzioni mobile di Gmail, Google News e iGoogle. Nel 2008 si ha un altro colpo di scena che cambia lo scenario del web con il lancio di Chrome, il nuovo browser open source di Google che ha l’obiettivo da un lato di combinare un’interfaccia utente semplice da utilizzare e dall’altro fornire una tecnologia sviluppata. Questo nuovo strumento è subito stato concepito dal pubblico come innovativo e in grado di sfruttare la nuova tendenza secondo cui “è cambiato il modo in cui si intende e si utilizza il web”52, in quanto è stato creato per il web della fine del primo decennio degli anni 2000 ma pensato per le applicazioni del futuro. 48

MOREL M., CADET P., ALVES M., LEMBERGER P. (2011), Google Apps: Mastering integration and customization, Packt, Birmingham. 49

GOOGLE (2012), “La nostra storia nei dettagli”, Google disponibile su www.google.com.

50

BALBI A. (2004), “Il mio regno per un e-mail. Tutti pazzi per la posta di Google”, La Repubblica. 51

TEATHER D. (2004), “Google sends a message to its rivals: Gmail”, The Guardian.

52

RUSCONI G. (2008), “Google Chrome: il web cambierà faccia?”, Il Sole24 Ore.

155


Google ha continuato a lanciare nuove funzioni e applicazioni in linea con le nuove tendenze del web, partendo da una semplice attività, ossia quella di organizzare le informazioni provenienti da tutto il mondo e rendendole disponibili attraverso internet, creando in tal modo una storia di grande successo in tutto il mondo. Sin dai primi anni si è focalizzata sul volume di informazioni da rendere disponibili per gli utenti e come ogni web-based company ha puntato molto sulla tecnologie e sulle sue nuove applicazioni. 6.3.1. LA CLOUD STRATEGY DI GOOGLE Le origini del Cloud Computing di Google risalgono al 2004, quando fu introdotto sul mercato Gmail, che rappresenta un servizio elementare legato alla nuvola, in quanto consente di usufruire di tutti i servizi legati alla posta elettronica senza che sia necessario scaricare un programma apposito sul pc, essendo necessaria solo la connessione ad internet. La vera svolta in termini di Cloud Computing avviene nel 2007 con l’introduzione di Google Apps for Business che mette a disposizione delle aziende il Cloud Computing, diffondendo già da subito la grande fiducia della società nel potenziale della nuvola. A partire dall’avvio di questi nuovi servizi, Google inizia ad intraprendere un percorso di espansione delle funzioni già esistenti nell’ambiente Cloud, una sorta di “conversione alla nuvola”, come avviene per Google Maps Navigatore, Google Documenti, Google Music e così via. La nuvola di Google rappresenta un network composto da centinaia di migliaia di server che memorizzano quantità impressionanti di dati, tra cui numerose pagine web, rendendo la ricerca più veloce e dando risposta a miliardi di richieste provenienti da tutto il mondo in una frazione di secondo. L’evoluzione verso la nuvola rappresenta un importante cambiamento nella gestione delle informazioni, per tale ragione i vertici di Google hanno valutato e immaginato a lungo tale possibilità. Google ha da sempre focalizzato la sua attenzione sui servizi dedicati alla ricerca di informazioni, essendo nato come motore di ricerca, avendo a che fare con un’enorme quantità di dati, con la consapevolezza, sempre maggiore, che sono

156


necessari capacità di calcolo e di storage in grado di supportare questa mole di dati. Per tale ragione, Google, più di altre media company, sostiene con forza la causa del Cloud Computing e delle potenzialità derivanti per le imprese. Nel 2006, l’allora CEO di Google, Eric Schimdt, dichiarava il cambiamento che stava avvenendo, ossia lo spostamento verso la nuvola, dove le informazioni e le applicazioni sono ospitate nel cyberspazio anziché su un specifico processore. La direzione del cambiamento era già molto chiara, la semplicità avrebbe governato sulla complessità, l’accessibilità sull’esclusività, rendendo accessibile a molti il potere di calcolo delle nuove tecnologie.53 Secondo Eric Schimdt, le potenzialità di crescita del Cloud Computing sono illimitate, portando la società ad investire alcuni miliardi di dollari, già nel 2007, per la costruzione dei suoi data center, con l’obiettivo di divenire una società che detiene una vasta porzione dei servizi offerti sulla nuvola, sfruttando così la sua capacità di elevata velocità di elaborazione di dati.54 Qualche anno dopo, nel 2011, il pensiero dell’ex CEO di Google, non sembra essere cambiato, anzi semmai rafforzato. Infatti, egli non solo sottolinea la continua evoluzione in atto che ha permesso di giungere a soluzioni innovative come la nuvola, ma prospetta un futuro ancora più straordinario, dove la rete diventerà accessibile anche a quei due miliardi di persone che nel 2011 non avevano ancora visto internet. Secondo Schimdt:55 ”Grazie ai computer costruiremo un mondo migliore, risolvendo i grandi problemi che stiamo affrontando, come il surriscaldamento del pianeta, il terrorismo, l’assenza di trasparenza dei governi e della finanza.”

53

THE ECONOMIST (2006), “ Don’t bet against the internet: it’s simply the best, argues Eric Schmidt, CEO of Google”, The Economist from the print edition. 54

BAKER S. (2007), “Google and the wisdom of Clouds”, Business Week.

55

D’ALESSANDRO J. (2011), “L’ottimismo di Mr Google: La Nuvola ci renderà felici”, La Repubblica.

157


Oggi, Google offre diversi servizi in grado di soddisfare le esigenze degli utenti, attraverso una gamma completa di prodotti, racchiusi in un unico soluzione: Google Apps for Business. 6.3.2. GOOGLE APPS FOR BUSINESS Tra gli strumenti Cloud messi a disposizione da Google e dedicati alle aziende è presente Google Apps for Business che non rappresenta solo una singola applicazione o servizio, ma un pacchetto completo di strumenti basati sulla nuvola che consente di unificare in un unico prodotto diversi servizi, come la posta elettronica, il calendario, i documenti e l’archiviazione online. Questa suite di applicazioni online consente agli utenti di creare, condividere e pubblicare documenti, fogli elettronici, presentazioni ed altri documenti da qualsiasi computer attraverso la semplice connessione ad internet. Grazie alla creazione delle Apps, Google ha costruito un modo radicalmente nuovo di lavorare, in grado di rivoluzionare i metodi correnti ed offrendo inoltre molte delle applicazioni in via del tutto gratuita o pari ad una frazione del costo dei software tradizionali, garantendo alle imprese un risparmio di costi. Le applicazioni web su cui si basa tale servizio, essendo state ideate sul concetto di Cloud Computing, sono memorizzate in modo sicuro in potenti server collocati all’interno di appositi data center della società che sono ubicati in tutto il mondo. In questo modo, gli utenti possono condividere le informazioni e collaborare con i colleghi del proprio team su progetti che richiedono risposte tempestive, in quanto i file sono presenti sulla nuvola grazie alla quale sono sempre disponibili attraverso un browser, infatti basterà mandare una e-mail con il link a colui con il quale si vuole condividere l’informazione e quest’ultimo dovrà solo cliccare sul link ricevuto per accedere al file in questione. La Figura 6.4. mostra il flusso di informazioni e dati che vengono rese disponibili su qualsiasi dispositivo connesso ad Internet grazie all’utilizzo delle applicazioni Cloud offerte da Google.

158


Figura 6.4. Il Cloud Computing di Google Apps.

Fonte: TEETER R., BARKSDALE K. (2008), Google Apps for Dummies, Wiley Publishing, USA, p.11.

Le applicazioni di Google dedicate alle aziende sono molte e con varie funzionalità per soddisfare al meglio le esigenze di ogni business, di seguito sono riportate le principali: 1. Gmail 2. Calendar 3. Drive 4. Hangouts 5. Sites Oltre a queste funzioni, Google ne propone molte altre che sono facoltative e non fanno parte della suite principale di Google Apps, pertanto sono caratterizzate da condizioni differenti, relative all’assistenza ed alla garanzia di disponibilità del servizio. 1. Gmail: Gmail costituisce il servizio gratuito di posta elettronica fornito da Google ed è accessibile da qualsiasi computer o dispositivo mobile che sia dotato di una connessione dati, consentendo agli utenti di avere sempre a portata di mano la propria posta. Oltre a possedere le normali caratteristiche offerte dagli altri servizi di posta elettronica, come Hotmail e Thunderbird, fornisce

159


servizi unici come la “conversation view”56 delle e-mail, ossia il servizio in grado di organizzare tutte le e-mail in base all’oggetto, indipendentemente dal mittente o dal ricevente. Tale funzione può essere molto utile nel caso in cui sia necessario rintracciare una sequenza di conversazioni avvenute tramite e-mail per avere conferma del soggetto che ha spedito un determinato messaggio. Attraverso la ricerca dell’oggetto della e-mail verranno visualizzate in ordine cronologico tutte le e-mail con quel determinato

oggetto,

in

modo

tale

da

poter

ricostruire

l’intera

conversazione. Inoltre, vista la crescente necessità delle aziende di conservare una buona percentuale delle e-mail scambiate all’interno dell’azienda e con i soggetti esterni, Gmail offre la possibilità di accedere a quote aggiuntive di spazio oltre ai 30 GB, disponibile in totale tra tutte le Google Apps, pagando una piccola quota, in tal modo non sarà più necessario eliminare nulla. 2. Calendar: Google Calendar è l’applicazione gratuita e web-based lanciata dalla società nel 200657, che consente agli utenti di tenere traccia di date, eventi ed informazioni importanti, rappresentando una funzione indispensabile per organizzare la propria giornata, senza dimenticare nessun appuntamento grazie alla ricezione dei promemoria di eventi sul telefono o sulla casella di posta. Calendar è in grado di visualizzare simultaneamente più calendari che vengono condivisi tra più utenti, consentendo, ad esempio, in azienda di essere allineati circa gli appuntamenti e le riunioni dei propri colleghi per organizzare al meglio il tempo di lavoro. Inoltre, offre la possibilità di pubblicare i propri calendari sul web, in modo tale che un’azienda possa pubblicare sul proprio sito web il suo calendario, dando visibilità agli eventi aziendali oppure impostando spazi per gli appuntamenti, che consentano ai clienti di scegliere il momento migliore per loro.

56

DARBYSHIRE P., DARBYSHIRE A. (2010), Getting startED with Google Apps, Apress, Stati Uniti, pp. 60-63. 57

ELGIN B. (2006), “Google pins hopes on Calendar”, Business Week.

160


Gli amministratori di Calendar possono decidere quale opzione di condivisione impostare tra quelle offerte dal servizio per controllare il flusso delle informazioni condivise, sia all’interno sia all’esterno del proprio dominio. Grazie alla continua evoluzione di questa applicazione, Google rende disponibili una molteplicità di funzioni aggiuntive, che si sommano alla classica funzione di agenda. 3. Drive: Google Drive è stato lanciato nel 2012 e rappresenta l’ingresso del gigante di Mountain View, sede storica di Google, nel mondo dei servizi di archiviazione che si appoggiano alla nuvola. Drive costituisce uno spazio virtuale in cui si possono archiviare, condividere e creare i propri file, i quali saranno accessibili attraverso il Web, sia con dispositivi mobili sia con PC e Mac. Inoltre, le modalità per avere accesso a questo servizio sono molto semplici, in quanto è solo necessario scaricare Drive sul proprio dispositivo per sincronizzare i propri file sulla nuvola, che saranno in tal modo sempre disponibili all’utente. Al fine di distinguere il suo prodotto dalla concorrenza (Dropbox e Microsoft Skydrive), Google ha deciso di integrare Drive alla suite di Google Docs58, ossia il programma di produttività di Google che compete direttamente con Microsoft Office, in modo tale da semplificare il lavoro collaborativo tra più utenti su un documento, un foglio di lavoro o una presentazione. Oltre a Docs, Drive integra anche Google+, consentendo di condividere foto ed altro da un servizio all’altro, e Gmail, grazie al quale

58

“Google Docs, also knows as GoogleDocuments, is a free web based office suite that could be used by anyone from everywhere, if they had an Internet connection. Google Docs allows its users to create, edit and save documents both online and even offline, as well as share and collaborate work with others in real time”, TAPRIAL V., KANWAR P. (2011), Google beyond Google, Ventus Publishing, E-Book, p.69.

161


sarà possibile allegare file da Drive direttamente nei messaggi di posta elettronica inviati tramite Gmail.59 Nel 2012, all’interno di Docs è stata inserita anche la funzione di ricerca in grado di trovare immagini, citazioni e mappe senza allontanarsi dal documento che si sta scrivendo.60 Attraverso questo nuovo strumento, Google continua l’evoluzione dell’offerta sulla nuvola, che si affianca ai circa 200 miglioramenti che la società californiana ha apportato negli ultimi anni per Google Docs, tra cui l’aggiunta di 450 nuovi font e i 5 Gigabyte gratuiti di spazio di archiviazione. 4. Hangouts: Google Hangouts costituisce uno strumento di grande aiuto per le grandi imprese, in cui le riunioni e le videoconferenze sono all’ordine del giorno. Tale strumento consente di partecipare alle riunioni in videoconferenza direttamente dal portatile, smartphone o tablet, con più di otto persone allo stesso tempo concedendo una grande flessibilità sul posto di lavoro.61 Infatti, grazie alla perfetta integrazione di Hangouts con le altre applicazioni offerte da Google è possibile lavorare con maggiore rapidità ed efficienza, in modo da adattare perfettamente questi strumenti al modalità di lavoro degli utenti. Anche il risparmio di tempo rappresenta un grande vantaggio di questo servizio, offrendo la possibilità di essere presenti, anche se non fisicamente, ad ogni riunione o conferenza, senza perdere fasi di lavoro importanti per l’azienda. 5. Sites: Google Sites debutta nel 200862 come strumento di supporto al business aziendale, grazie alla sua funzione per la creazione di siti senza che sia necessario conoscere il linguaggio Html, potendo scegliere tra centinaia di 59

RUSCONI G. (2012), “L’ufficio nella nuvola, ecco come funziona Google Drive (e quanto costa)”, Il Sole24Ore. 60

RUSCONI G. (2012), “Google Docs si evolve nel segno del search”, Il Sole24Ore.

61

DEMBOSKY A. (2012) , “Gives and takes enables flexible working”, Financial Times.

62

LA STAMPA (2008), “Nasce Google Sites, dall’idea al sito internet in un click”, La Stampa.

162


modelli preimpostati offerti da Google. In questo modo, sarà semplice integrare contenuti di ogni tipo, come testi, immagini e calendari, in modo tale da organizzare al meglio il lavoro aziendale. Inoltre, il sito potrà essere condiviso con il proprio team di lavoro, oppure con un cliente o con l’intera azienda, grazie alla funzione che consente di impostare chi può visualizzare il sito. Tale funzione, come le precedenti conferma la tendenza delle grandi media company di avviare un processo di semplificazione tale da mettere nelle mani di tutti gli strumenti per lavorare al meglio all’interno della realtà aziendale. 6.3.3. GLI OBIETTIVI E I RISULTATI DELLA CLOUD STRATEGY Google, inizialmente, ha creato un business che aveva l’obiettivo di offrire soluzioni dedicate alla ricerca facile e veloce sul web, successivamente ha allargato i propri orizzonti verso nuove soluzioni arrivando oggi ad offrire una nuvola di servizi che pervade ogni aspetto della nostra vita. Il colosso californiano ha sempre riposto un’incredibile fiducia nel Cloud Computing, non solo per la propensione dell’azienda ad investire in innovazione, ma anche grazie a figure professionali come Eric Schmidt, amministratore delegato di Google fino al 2011. Schmidt quando era ancora CEO della Sun Microsystem, prospettava un futuro in cui la rete sarebbe divenuta più veloce dei processori, in modo che tutto ciò che un singolo computer poteva fare si sarebbe diffuso attraverso la rete.63 Proprio sulla base di tale principio si è sviluppato il paradigma del nuvola che si è diffuso in questi anni superando i vari ostacoli legati alla riservatezza dei dati e vincendo lentamente la “trust war”64, causata dallo scetticismo che si è diffuso intorno a questo concetto. Per sviluppare al meglio i servizi dedicati alla nuvola, Google ha investito milioni di dollari nella ricerca, delegata ad alcuni dei più noti atenei statunitensi, per nuove soluzioni dedicate ai data center, che ha condotto all’apertura di numerosi data center in giro per il mondo richiedendo ingenti investimenti, come i 300 63

RAYPORT J. F. (2008), “Cloud Computing is no pipe dream”, Business Week.

64

COLUMBUS L. (2013), “Why cloud computing is slowly winning the trust war”, Forbes.

163


milioni di dollari destinati alla costruzione del nuovo data center ad Hong Kong annunciata nel 2011.65 Le Google Apps, ossia il cuore della nuvola di Google, hanno cominciato la loro scalata verso il primato di mercato, strappando clienti business alla suite Office offerta da Microsoft, grazie ai continui miglioramenti che hanno consentito ai prodotti di Google di essere considerati tra i migliori del mercato, come afferma Melissa Webster, analista della società di ricerca Idc.66 In particolare, il servizio di storage legato alla nuvola offerto da Google Drive, sembra essere quello che sta creando maggiori difficoltà per i principali concorrenti come SkyDrive di Microsoft e Amazon S3, portandolo ad essere il più noto servizio di cloud storage in Italia, dopo Box e Dropbox.67 A partire dal loro lancio, le Apps di Google hanno riscosso molto successo grazie alla firma di contratti da parte di grandi aziende, come la banca spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, e le agenzie governative, come il Dipartimento Interno degli Stati Uniti, fino a firmare un accordo alla fine del 2011 con General Motors per fornire i software dedicati alle e-mail e agli altri servizi di collaborazione online. Tale percorso di successo ha generato fiducia nei servizi offerti da Google, tanto che, come afferma la stessa azienda, sarebbero ormai 5 milioni i business che si sono affidati ai servizi offerti dalle Google Apps, raggiungendo nel 2011 un miliardo di dollari68 solo attraverso la vendita delle Apps su un totale ricavi pari ad oltre 37 miliardi di dollari. Secondo uno studio condotto dall’autorevole società di ricerca Gartner nel 2013, la suite cloud-based di Google sta guadagnando ampi spazi di mercato e conquistando sempre maggiori quote di utenti, passando da una situazione in cui,

65

SAVITZ E. (2011), “Google to invest $300M in Hong Kong data center”, Forbes.

66

HARDY Q. (2012), “Google Apps challenging Microsoft in business”, The New York Times.

67

ENTER THE CLOUD (2013), “Cloud Survey 2013: lo stato del Cloud Computing in Italia”, Enter The Cloud, p.12, campione pari a 1.000 professionisti IT, con una distribuzione geografica dei rispondenti così suddivisa: 42% al Nord, 33% al Centro, 25% al Sud e isole. 68

EFRATI A. (2012), “Google to rein in free version of software”, The Wall Street Journal.

164


con Google Apps, possedeva il 10% del mercato cloud-office nel 2007, ad arrivare a percentuali comprese tra il 33% ed il 50% del mercato nel 2012. 69, Lo studio sottolinea come uno dei punti di forza di Google sia dato dal fatto che la sua suite di applicazioni è stata cloud-based sin dall’inizio, grazie alla forte spinta dell’azienda verso le potenzialità della nuvola con la convinzione che quest’ultima avrebbe rappresentato il futuro dei business di tutto il mondo. Google continua ad investire sulla nuvola, annunciando solo pochi mesi fa, che sta attuando una serie di ampliamenti dedicati al Cloud Computing, come ad esempio la duplicazione del numero di uffici e di ingegneri che lavorano sulle tecnologie associate al Cloud a Seattle.70 Secondo Google, il Cloud Computing rappresenta non solo una nuova fonte di profitto, ma anche un modo per migliorare internet, arricchendolo di funzionalità e fornendo l’accesso dei propri servizi ad altre imprese. Oggi, la maggior parte dei ricavi di Google è generato attraverso le fonti legate all’advertising, tanto da farle raggiungere nel secondo trimestre del 2013 oltre 14 miliardi di ricavi totali.71 Nonostante, la scarsa incidenza della nuvola sui ricavi di Google rispetto al core business, il CBO Nikesh Arora afferma che i business dell’impresa non legati alla pubblicità e agli annunci stanno crescendo molto rapidamente, e tra questi soprattutto Google Apps, riportando una crescita complessiva dei ricavi non derivanti dalla pubblicità del 138%, costituendo l’8% dei ricavi totali di Google.72 In conclusione, il Cloud di Google ha sicuramente ancora molta strada da percorrere, ma le prospettive sono molto promettenti grazie alle previsioni di rapida crescita che dovrebbero registrarsi nei prossimi anni consentendogli di dominare il mercato associato alla nuvola. 69

AUSTIN T. (2013), “Choosing a cloud-based Office system: Google vs. Microsoft”, Gartner.

70

MILLER C. C., HARDY Q. (2013), “Google elbows into the cloud”, The New York Times.

71

TREFIS TEAM (2013), “Google earnings: ad revenues jump helped by mobile push”, Forbes.

72

HOF R. (2013), “Google Q2 earnings fall short, shares down as mobile ad prices keep dropping”, Forbes.

165


6.4. CASO IBM: LE ORIGINI L’IBM, International Business Machines Corporation, affonda le sue radici nel 1984 quando venne fondata la Tabulating Machine Company (TMC), con sede a Washington, che aveva come core business la costruzione di macchine tabulatrici, le quali funzionavano attraverso schede perforate. Nel 1911, la TMC decise di espandersi aumentando il proprio potere di azione attraverso la creazione della Computer Tabulating Recording Company (CTRC), derivante dall’unione di due società: la Computing Scale Company of America, specializzata nella produzione di bilance commerciali,

e la International Time-Recording Company,

specializzata nella produzione di orologi.73 Nel 1924 avviene la svolta, la CTRC cambia nome e diventa IBM, denominazione che rifletteva in pieno la filosofia aziendale che ha dato il via all’era dei calcolatori a partire dalla metà del secolo scorso. Pochi anni dopo, nel 1927, nasce IBM Italia con soli 11 dipendenti e sede operativa a Milano, iniziando a cooperare con figure importanti dello scenario finanziario italiano, come la Cassa di Risparmio di Verona nel 1936.74 “Con IBM il computer diventa personal” riporta il Sole 24Ore75 per ricordare il lancio da parte di IBM nel 1981 del primo personal computer, il modello IBM 5150, che sostituirà gli ingombranti e costosi calcolatori che avevano regnato negli anni precedenti, dando origine ad una rivoluzione epocale che cambierà per sempre il rapporto tra individui ed informazione. Nonostante il successo dei primi anni, IBM perse successivamente la propria leadership nel settore dei personal computer a causa dei concorrenti di minori dimensioni che erano più flessibili, arrivando ad annunciare una perdita operativa di 8 miliardi di dollari per l’anno finanziario 1992.76 La ripresa inizia a partire dal 1993 con l’assunzione del nuovo CEO, Lou Gerstner, che per prima cosa decise di ascoltare i clienti per cogliere 73

AQUARO D. (2011), “IBM: cent’anni per 100 miliardi”, Il Sole24Ore.

74

Storia di IBM Italia disponibile su www.ibm.it.

75

CIANFLONE M. (2011), “Con IBM il computer diventò personal”, Il Sole24Ore.

76

SHETH J. N. (2007), “Why good company go bad?”, Financial Times.

166


quali fossero le maggiori preoccupazioni, concludendo che il problema più grande era l’integrazione di tutte le tecnologie di calcolo emergenti in quegli anni e che la soluzione per allontanarsi dall’orlo del fallimento doveva essere continuare ad offrire servizi e prodotti diversificati. 77 Successivamente, con l’avvento di Internet il settore registrò un ulteriore cambiamento, trovando questa volta IBM preparata grazie all’offerta di soluzioni integrate, che le consentiranno di muoversi con fiducia verso il futuro e ristabilire la sua posizione di leader come principale innovatore tecnologico. Il 2005 segna un’altra tappa importante per IBM, che cede la divisione dei personal computer alla società cinese Lenovo per 1,2 miliardi di dollari, segnando così la fine di un’era.78 Dopo questa tappa, IBM si focalizza sul business dei supercomputer, sviluppando Blue Gene che nel 2007 raggiungerà il primato come supercomputer più potente al mondo. IBM ha continuato negli anni a rinnovare il proprio core business, sulla base dell’evoluzione del mercato dell’informatica, utilizzando sempre come principio chiave l’integrazione continua delle innovazioni tecnologiche. 6.4.1. LA CLOUD STRATEGY DI IBM Oggi, IBM continua ad operare attivamente nel settore informatico, espandendo i propri orizzonti di azione verso altre attività, come le energie alternative, per le quali ha aderito all’iniziativa “Project Green Big” nel 2008, con cui si impegna a investire 1 miliardo di dollari ogni anno in tecnologie “pulite”.79 Inoltre, ponendo grande attenzione alle nuove tendenze in ambito tecnologico, IBM non si è lasciata scappare l’opportunità di sviluppare i propri servizi associati alla nuvola, dando vita alla sua Cloud Strategy a partire dal 2007, nata dall’unione delle due tecnologie più influenti di IBM, ossia il mainframe e la virtualizzazione. 77

DENNING S. (2011), “Why did IBM survive?”, Forbes.

78

RUSCONI G. (2013), “Dopo i pc, Lenovo sarebbe pronta a prendersi i server di Ibm”, Il Sole24Ore. 79

IBM PRESS (2008), “Ibm Project Big Green mette un freno alla crisi mondiale di energia dell’IT”, IBM PRESS.

167


Dalle sue origini, la strategia di IBM è stata focalizzata sulla soddisfazione dei bisogni di clienti enterprise ai quali offrire una gamma completa di servizi basati sul Cloud Computing. La visione di Cloud, secondo IBM, continua ad essere in chiave “business to business” con l’obiettivo di semplificare il lavoro dei responsabili IT che decidono di implementare l’infrastruttura aziendale. IBM prevede che entro il 2015 il Cloud Computing arriverà a rappresentare una delle aree più dinamiche del suo business, arrivando a generare un fatturato pari a sette miliardi di dollari, grazie ai continui investimenti dell’azienda in ricerca e sviluppo dedicati alla nuvola, i quali cresceranno maggiormente nei paesi emergenti rispetto a quelli maturi.80 Nel 2009 ha introdotto i primi servizi Cloud dedicati alle imprese, offrendo le soluzioni SmartBusiness, in grado di fornire gli strumenti adeguati per standardizzare le funzioni legate all’IT, le quali stanno divenendo sempre più costose e difficili da utilizzare.81 Con il lancio della propria Cloud Strategy, che rappresenta la fine di un processo che comprende 100 progetti prototipali realizzati in collaborazione con le aziende e le agenzie governative nel corso del 2009, IBM prevede di offrire soluzioni su misura per i carichi di lavoro delle aziende clienti, con un approccio che la stessa IBM chiama di “Hybrid Computing”.82 Secondo IBM il Cloud Computing rappresenta la soluzione alle difficoltà emergenti legate agli elevati carichi di lavoro a cui sono sottoposte le infrastrutture informatiche e la quantità sempre crescente di dati da gestire, favorendo l’organizzazione tecnologica intorno al carico di lavoro a cui le imprese sono sottoposte durante le proprie attività e riducendo il numero di data center necessari per accogliere la quantità elevata di dati aziendali. Nel 2010 IBM annuncia una revisione della propria Cloud Strategy, che coinvolge la vendita di servizi provenienti dai propri data center, in modo tale che vengano 80

RUSCONI G. (2011), “Ibm punta forte sul cloud computing in chiave business to business”, Il Sole24Ore. 81

IBM PRESS (2009), “IBM readies cloud for business. New choices to automate and simplify IT for inefficients business tasks”, IBM Press. 82

LOHR S. (2009), “Ibm to help clients fight costs and complexity”, The New York Times.

168


venduti i servizi Cloud dai propri data center, i quali possono essere integrati nel sistema dell’infrastruttura IT esistente nell’azienda cliente.83 In questo modo, le imprese clienti non perdono il controllo sulle loro tecnologie, ma possono ridurre i costi e aumentare la flessibilità standardizzando parte dei loro processi. IBM tenta quindi di creare un business forte intorno al Cloud Computing, offrendo alle imprese clienti una gamma di servizi diversi rispetto ai suoi principali competitors. Successivamente, ha introdotto SmartCloud, un ecosistema di tecnologie cloudbased dedicate alle imprese e finalizzate alla costruzione della propria nuvola, sia essa pubblica, privata o ibrida, che già nel 2011 vantava ben cinque data center dedicati, rafforzando la visione della nuvola di IBM in chiave business to business. La continua innovazione, porta IBM ad elaborare nuove soluzioni come PureSystems, ossia una nuova categoria di sistemi in grado di offrire un sistema di Cloud privato nel giro di pochi minuti, superando l’ostacolo del Cloud rappresentato dai costi e dalla complessità di progettare da zero l’infrastruttura informatica basata sulla nuvola.84 Oggi, i principali servizi Cloud offerti da IBM sono racchiusi in un’unica soluzione, SmartCloud, che include diversi modelli di Cloud Computing andando incontro alle molteplici esigenze dei propri clienti. 6.4.2. SMARTCLOUD SmartCloud rappresenta la famiglia di tecnologie e servizi Cloud dedicati alla categoria enterprise, che consente di costruire in tutta sicurezza nuvole pubbliche, private o ibride. Il Cloud di IBM non solo soddisfa i requisiti di sicurezza e di economicità, ma consente anche di avere accesso ad una maggiore flessibilità e velocità per lo sviluppo di applicazioni. In particolare, secondo uno studio

83

WATERS R. (2010), “Ibm revamps cloud strategy”, Financial Times.

84

TREMOLADA L. (2012), “Ibm comprime la nuvola in una scatola. Ecco PureSystems, costata 2 miliardi di dollari in ricerca di dollari”, Il Sole24Ore.

169


condotto da IBM, IBM Technology Adoption Program, la sua nuvola sarebbe in grado di85: 

Ridurre i costi operativi e di capitale;

Ridurre i costi IT del 50%;

Ridurre gli errori di oltre il 30%.

L’offerta SmartCloud è sorretta da tre pilastri che forniscono la giusta direzione alle imprese che vogliono iniziare la trasformazione verso la nuvola, accelerando l’innovazione del proprio business: 1. L’architettura per Cloud ibridi e privati gestita attraverso IBM SmartCloud Foundation, un portafoglio di offerte sulle quali basare la propria nuvola; 2. Il Cloud Computing a servizio dell’IT gestito attraverso SmartCloud Services, una gamma di servizi dedicata alla piattaforma e all’infrastruttura Cloud; 3. Le soluzioni di Business Software as a Service (SaaS), gestite grazie a SmartCloud Solutions, costituita da una serie di funzionalità software. Queste tre aree di servizi offrono soluzioni indirizzate a bisogni differenti, ma hanno un denominatore comune, la flessibilità, che secondo IBM è fondamentale per consentire ai CIO delle imprese clienti di gestire al meglio i propri modelli Cloud, basandosi su un’architettura aperta dove è possibile sbagliare e successivamente riutilizzare il lavoro già svolto per costruire qualcosa di nuovo e funzionale per l’impresa. 1. SmartCloud Foundation: Il primo pilastro su cui si basa l’offerta Cloud di IBM è caratterizzato da Foundation, ossia la suite di servizi che ha l’obiettivo di ridurre i tempi per la creazione dei Private e Hybrid Cloud. All’interno di SmartCloud Foundation si distinguono tre tipologie di offerta: 

SmartCloud Entry: una soluzione che, grazie alla sua struttura modulare, altamente flessibile e semplice da utilizzare, consente all’impresa di

85

SINGH A., HUNG E., BALEPIN I., MURAKAMI S. (2009), “Ibm Technology Adoption Program”, IBM Corporation, pp.4-5.

170


costruire il proprio Cloud privato e di implementare, in futuro, la distribuzione dei suoi servizi Cloud in maniera semplice e veloce, usando l’infrastruttura esistente. Tale soluzione garantisce un elevato grado di semplicità d’uso alle imprese che vogliono iniziare il loro percorso sulla nuvola, in quanto è facile da installare, configurare e utilizzare, assicurando anche una gestione trasparente; 86 

SmartCloud Provisioning: un software in grado di aumentare l’agilità dell’impresa e di ottimizzare la virtualizzazione attraverso la nuvola di IBM. Tale soluzione è nata per andare incontro alle esigenze di flessibilità, scalabilità e sicurezza delle imprese, attraverso la creazione e l’assegnazione del tutto dinamica di macchine virtuali, riuscendo a generare centinaia di macchine virtuali in meno di un minuto. Il software SmartCloud Provisioning possiede anche la capacità di ridurre i costi e la complessità

relativa

alla

gestione

della

virtualizzazione

e

all’implementazione della nuvola fornendo funzioni complete per la visibilità, il controllo e l’automazione;87 

SmartCloud Monitoring: una soluzione capace di aumentare la visibilità sulle prestazioni degli ambienti fisici e virtuali costruiti intorno alla nuvola, rappresentando il primo strumento per monitorare la stato e le performance di un’infrastruttura di private Cloud. Tale strumento è utile soprattutto ai responsabili IT per ottimizzare i carichi di lavoro ed utilizzare le analisi delle performance in modo tale da individuare ed affrontare gli aspetti che potrebbero essere causa di problemi nello svolgimento dell’attività aziendale. Inoltre, come SmartCloud Entry, anche questa soluzione non gestisce le infrastrutture Cloud esistenti, ma fornisce anche gli strumenti necessari per valutare la capacità attuale e l’eventuale espansione del modello in futuro.88

86

IBM CORPORATION (2012), “IBM SmartCloud Entry: Beginning your journey to the cloud”, IBM whitepaper, pp.1-4. 87

IBM CORPORATION (2013), “IBM SmartCloud Provisioning”, IBM whitepaper, pp.1-3.

88

IBM CORPORATION (2013), “IBM SmartCloud Monitoring”, IBM whitepaper, pp.1-5.

171


2. SmartCloud Services: SmartCloud Services rappresenta il secondo pilastro dei servizi dedicati al Cloud Computing offerti da IBM, che comprende una serie di funzionalità di piattaforma e infrastruttura fornite come un servizio Cloud. Al suo interno sono presenti tre categorie di servizi: 

SmartCloud Application Services: soluzione Platform as a Service (PaaS), una piattaforma di applicazioni fornita come un servizio che rende le imprese capaci di sviluppare, gestire e integrare le applicazioni all’interno della nuvola, dove è possibile ridurre i costi e le complessità attraverso la condivisione dei servizi;89

SmartCloud Enterprise and Enterprise+: la soluzione Infrastructure as a Service (IaaS) progettata da IBM per rispondere alle esigenze delle aziende che hanno necessità di accedere in tempi rapidi ad un ambiente di server virtuali e di sfruttare al meglio un’infrastruttura integrata e una piattaforma di servizi Cloud. Attraverso questa soluzione, le imprese possono sfruttare l’accesso sia alle soluzioni PaaS sia a quelle IaaS, infatti SmartCloud Application Services rappresenta una parte integrante di tale soluzione, consentendo di implementare in modo automatico le risorse virtuali su SmartCloud Enterprise.90 Enterprise+ fornisce una serie di soluzioni aggiuntive con contratti che prevedono documenti appositi per il controllo del livello di qualità, i Service Level Agreement, allineati ai requisiti del business aziendale;

SmartCloud managed backup services: le soluzioni dedicate alla gestione delle attività di backup e di recovery, in modo tale da fornire un elevato livello di protezione dei dati aziendali, ovunque essi si trovino.

89

IBM CORPORATION (2011), “IBM SmartCloud Application Services: Enabling Enterprise Applications in the Cloud”, IBM whitepaper, pp.6-7. 90

IBM CORPORATION (2013), “IBM SmartCloud Enterprise”, IBM whitepaper, pp.1-3.

172


3. SmartCloud Solutions: SmartCloud Solutions rappresenta una gamma di soluzioni offerte da IBM attraverso funzionalità software all’interno della nuvola, basate sul modello Software as a Service (SaaS), che sono in grado di accelerare l’innovazione dei processi di business. In particolare, le soluzioni SaaS di IBM sono in grado di distribuire valore in tre modi, ognuno dei quali produce benefici unici:91  Accelerare l’innovazione dei processi di business, riducendo le sfide di bilancio e consentendo di restare al passo con i cambiamenti relativi alle esigenze del business aziendale;  Generare e consegnare i dettagli analitici del business e del loro impatto sull’azienda, consentendo di avere una visione completa in tempi ridotti e di favorire la collaborazione attraverso la condivisione delle analisi;  Creare legami tra le persone attraverso network collaborativi di business in modo tale da raggiungere i consumatori connessi all’impresa e la rete di forza vendita. 6.4.3. GLI OBIETTIVI E I RISULTATI DELLA CLOUD STRATEGY IBM ha mosso i primi passi sulla nuvola a partire dal 2007 e da quel momento ha deciso di scommettere molto su un business così promettente grazie al quale Big Blue, soprannome storico dell’azienda statunitense, ha stimato di generare circa sette miliardi di dollari di fatturato nel 2015.92 Pertanto, il Cloud Computing è diventato un business sempre più rilevante per IBM che è passata dalla vendita di personal computer, all’offerta di server in grado di fornire servizi informatici alle grandi aziende e al governo statunitense. Il successo rappresentato dal raggiungimento di risultati tanto ambiziosi non può arrivare senza adeguati investimenti, per tale motivo IBM ha annunciato lo scorso Giugno l’acquisizione di SoftLayer Technologies, la società privata più grande al 91

IBM CORPORATION (2013), “IBM SmartCloud Solutions: Software as a Service, Business Processa as a Service”, IBM whitepaper, pp.1-3. 92

RUSCONI G. (2011), “Ibm punta forte sul cloud computing in chiave business to business”, Il Sole24Ore.

173


mondo che fornisce infrastrutture per il Cloud Computing che conta ben tredici data center ubicati in Europa, Asia e Stati Uniti, costata due miliardi di dollari.93 L’obiettivo di Big Blue consiste nel raggiungere una capacità di adattamento adeguata ad un mercato dove sono sempre di più i clienti che preferiscono affittare i server, i dispositivi di rete e le altre tecnologie, piuttosto che assumersi l’onere di acquistarli. Tale acquisizione potrebbe aiutare IBM a competere in modo più aggressivo per offrire i servizi associati alla nuvola alle piccole e medie imprese e anche a creare una gamma più vasta, rispetto al leader Amazon, di servizi legati al Public Cloud dedicati alle grandi imprese. Attraverso SoftLayer, IBM sarà in grado di rafforzare la divisione dei servizi inclusi in SmartCloud, con una significativa aggiunta alla sua nuvola basata sui modelli IaaS, anche grazie alla possibilità di accedere alla sua solida base clienti che conta circa 23.000 clienti, in cui sono compresi aziende e governi. Si stima che i ricavi di SoftLayer registreranno una crescita elevata ora che avranno accesso alle potenti tecnologie fornite da IBM e che quest’ultima possa accelerare il lancio dei propri servizi di storage basati sulla nuvola, che attualmente generano ricavi per 3,6 miliardi di dollari.94 Inoltre, grazie a tale acquisizione IBM sarà in grado di rafforzare la propria attività nei paesi emergenti vincolati da una ridotta possibilità di spesa, offrendo loro una serie di servizi Cloud ad un prezzo conveniente. La SmartCloud di IBM ha prodotto ottimi risultati nel 2012, come conferma il report annuale dell’azienda statunitense, attraverso la gestione di tredici miliardi di eventi di sicurezza dedicati alla nuvola, registrando oltre 4.000 clienti al giorno, connettendo oltre 300.000 entità commerciali e aiutando i clienti a costruire circa 3.500 Cloud privati. Inoltre, nel 2012 la crescita dei ricavi registrata da IBM per le iniziative strategiche adottate durante l’anno è per l’80% imputabile ai servizi

93

ANTE S. E. (2013), “IBM Pumps up in the cloud computing by buying SoftLayer”, The Wall Street Journal. 94

TREFIS TEAM (2013), “SoftLayer will make IBM a tougher competitor in cloud computing”, Forbes.

174


legati alla nuvola, confermando l’enorme potenziale di questo strumento per la crescita dell’azienda. 95 La strategia di IBM è dedicata alla competizione sul mercato del Cloud pubblico, non attraverso servizi dedicati alla capacità di calcolo, ma attraverso i software per il marketing, l’approvvigionamento e il servizio clienti offerti come servizi Cloud, il tutto supportato dalla spesa pari a 4,5 miliardi di dollari che l’impresa ha effettuato per una dozzina di acquisizioni che consentissero di costruire la sua offerta di servizi e software sulla nuvola.96 Secondo il report aziendale per il primo trimestre 2013, i ricavi relativi al business costruito intorno alla nuvola sono arrivati a rappresentare oltre il 70% del fatturato, sollevando la situazione aziendale che ha registrato cali negli altri settori del proprio business, rimanendo al di sotto delle aspettative di Wall Street.97 L’impegno di IBM nell’implementazione del Cloud Computing è stato recentemente premiato dal Governo statunitense con un contratto avente per oggetto il Cloud Computing federale, che prevede un compenso di un miliardo di dollari all’anno per un totale di dieci anni, con il quale IBM si impegna ad aiutare il governo ad acquisire le nuove tecnologie, come il Cloud, e a farle crescere in modo da accelerare lo spostamento di informazioni verso la nuvola. Il contratto che prevede altri nove Provider vincitori, ha l’obiettivo di rendere accessibili al Dipartimento degli Interni statunitense i servizi Cloud di hosting, in modo tale da avviare il processo di chiusura o consolidamento di centinaia di data center.98 Big Blue è pronta per continuare ad investire sulle potenzialità della nuvola, come conferma l’accordo decennale di joint venture stipulato con la società di servizi globali di Unicredit, la Unicredit Business Integrated Solutions, che prevede una collaborazione per fornire le più avanzate competenze in termini di Cloud 95

IBM, (2012) “Annual Report 2012”, IBM Corporation.

96

LOHR S. (2013), “Ibm buys SoftLayer, a cloud computing firm”, The New York Times.

97

IBM (2013), “IBM Reports 2013 first-quarter results”, IBM Press.

98

MILLER K., STROHM C. (2013), “Ibm wins its largest U.S. cloud computing contract”, Bloomberg.

175


Computing e applicarle al settore bancario.99 L’accordo, del valore di alcuni miliardi di dollari, condurrà alla creazione di un Value Creation Center che avrà l’obiettivo primario di monitorare gli andamenti del settore bancario e dell’IT, per identificare eventuali tecnologie emergenti che possano essere applicate all’infrastruttura bancaria al fine di distribuire un servizio di elevata qualità ai propri clienti. IBM continua ad essere un’azienda di successo che ha raggiunto i 100 anni di attività nel 2011, grazie ad una serie di invenzioni che hanno cambiato la storia dell’informatica e soprattutto grazie allo spirito innovativo che ha accompagnato la filosofia aziendale in tutti questi anni. 100 Tale spirito l’ha condotta nel 2007 ad iniziare un percorso caratterizzato da molti ostacoli ma che le ha fatto guadagnare grandi successi, come dimostrano i dati degli ultimi due anni, e ha rafforzato la visione aziendale che riconosce il

Cloud Computing come leva di crescita

aziendale.

99

LA REPUBBLICA (2013), “Ibm sigla accordo con Unicredit. La banca di Ghizzoni va sulla nuvola”, La Repubblica. 100

LOHR S. (2011), “Lessons in Longevity from IBM”, The New York Times.

176


CAPITOLO 7 − I CLIENT Introduzione L’esplosione del fenomeno legato al Cloud Computing ha comportato la creazione di un scenario complesso, nel quale si affiancano diversi fornitori, ognuno dei quali presenta un’offerta ben precisa, che consente ai clienti di effettuare la scelta del fornitore cui affidarsi, dopo aver realizzato un’attenta valutazione dei vantaggi e dei rischi legati a ciascun fornitore. Le storie dei clienti possono costituire i casi di successo dei loro fornitori e determinare in tal modo un passaparola positivo in grado di ampliare la fiducia e la predisposizione verso quel determinato fornitore. In questo Capitolo, si susseguiranno quattro casi di successo, ognuno dei quali è legato ad uno dei fornitori affrontati nel Capitolo precedente, in modo tale che sia ben visibile la comparazione tra gli obiettivi della Cloud Strategy del fornitore da un lato, e i vantaggi che tale strategia è riuscita ad apportare ai clienti che l’hanno adottata dall’altro. Amazon presenta una lista significativa di clienti, tra cui emerge il Gruppo NASDAQ che ha trovato nelle soluzioni AWS di Amazon un ottimo alleato per far fronte ai crescenti impegni di archiviazione previsti dalla legge in tema di sicurezza dei dati. Microsoft, attraverso l’acquisizione di Toyota come cliente dei propri Cloud services, ha rafforzato l’affermazione del fenomeno che prevede la convergenza tra industria dell’informatica e industria automobilistica, consentendo a Toyota di superare alcuni ostacoli di gestione delle attività aziendali. Google, grazie all’offerta di una gamma completa di applicazioni basate sulla nuvola digitale, ha attirato nella vasta rete di clienti anche un grande azienda del retailing italiano, Yamamay, che può così godere di soluzioni all’avanguardia per la gestione del personale e del punto vendita. Infine, IBM, nonostante il suo ingresso da soli sei anni nel mondo delle soluzioni Cloud, vanta tra i suoi clienti Adobe Systems, l’azienda che ha generato una rivoluzione per il formato dei file multimediali, creando uno tra i formati più

177


utilizzati al mondo, il PDF. Grazie alla soluzione proposta da IBM, Adobe ha sostituito l’elevata quantità di server fisici che possedeva con i server virtuali di IBM, per essere pronta a rispondere alle esigenze dell’azienda e ai cambiamenti di mercato. Tutte queste aziende rappresentano solo alcuni casi della grande famiglia di client che hanno deciso di sfruttare le opportunità fornite dalla nuvola affidandosi ai grandi Cloud Provider, come Amazon, Microsoft, Google e IBM, risolvendo molte delle loro problematiche di gestione e di efficienza, pertanto forniscono un ottimo spunto per comprendere quali possono essere gli effettivi vantaggi derivanti dall’adozione del Cloud Computing. 7.1. CASO NASDAQ OMX: LE ORIGINI Il Gruppo NASDAQ OMX rappresenta una società multinazionale statunitense di servizi finanziari che nel 1971 ha dato origine al NASDAQ, l’indice borsistico dei principali titoli tecnologici della borsa americana. Il NASDAQ nasce dalla National Association of Securities Dealers (NASD), con l’obiettivo di consentire agli investitori di poter comprare e vendere le proprie azioni attraverso un sistema computerizzato, trasparente e veloce. Con l’avvio del National Association of Securities Dealers Automated Quotation (NASDAQ), si assiste al primo esempio al mondo di mercato borsistico elettronico grazie all’aiuto di una rete di computer, che rivoluzionò il mondo delle contrattazioni e transazioni, che avvenivano principalmente per telefono. Le diverse crisi che hanno colpito la borsa americana hanno reso necessario un mezzo elettronico attraverso il quale gli utenti potessero inoltrare le loro richieste in qualsiasi momento, in modo tale da evitare situazioni in cui gli operatori telefonici non fossero disponibili, in maniera volontaria o non, a rispondere alle telefonate. La popolarità del NASDAQ è esplosa nel corso degli anni '80 e '90 grazie al successo di alcuni titoli tecnologici, come Apple, Cisco, Intel, Microsoft e Oracle.1 Il NASDAQ, quindi, non rappresenta solo il sistema di contrattazione elettronico più rilevante degli Stati Uniti, ma anche il mercato elettronico più 1

DEGREGORI I., (2013), La borsa di New York. Analisi del mercato finanziario americano, Edizioni R.E.I., Milano, pp.30-32.

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antico del mondo che oggi conta migliaia di imprese statunitensi e non, più di qualsiasi altro mercato azionario nel mondo, rappresentando il principale concorrente per la New York Stock Exchange.2 Il Gruppo ha aperto la strada ad un nuovo modo di concepire le transazioni, dando origine a numerosi strumenti che ancora oggi rivestono un ruolo fondamentale all’interno del mondo finanziario, come l’attuale IPO che offre una grande opportunità alle nuove imprese che vogliono crescere e

hanno bisogno di

raccogliere capitali, dando vita a nuove industrie e consentendole di celebrare con orgoglio nel 2011 il suo quarantesimo anno di vita. 7.1.1. NASDAQ OMX E IL CLOUD DI AMAZON Il contesto in cui opera il Gruppo NASDAQ OMX è continuamente soggetto al rispetto di normative legate alla sicurezza dei dati e alla maggiore trasparenza che rendono più complessa l’attività esercitata dal Gruppo, ma sono al tempo stesso necessarie per tutelare i dati legati alle imprese che scambiano una vasta quantità di informazioni con esso. In particolare, la regolamentazione emessa dalla Securities and Exchange Commission (SEC), il cosiddetto Exchange Act, richiede la memorizzazione di determinati dati finanziari relativi alle transazioni concluse e la loro conservazione per un determinato periodo temporale. Tale regola consente da un lato la tracciabilità delle operazioni finanziarie, ma dall’altro costi di archiviazione e gestione sempre crescenti a causa delle elevate quantità di dati. Il Gruppo ha intuito l’elevata onerosità che tale regolamentazione avrebbe prodotto per i suoi clienti sul lungo periodo e ha deciso di affidarsi al Cloud Computing stringendo un accordo con Amazon nel 2012, che ha condotto allo sviluppo di FinQloud, ossia uno strumento eseguito sugli Amazon Web Services, con l’obiettivo di garantire ai propri clienti la memorizzazione e la gestione dei dati finanziari in maniera più efficiente. 3 FinQloud costituisce una piattaforma sicura di Cloud Computing progettata in modo esclusivo per garantire l’accesso alle imprese che operano nel settore dei

2

THE GUARDIAN, (2011), “Nasdaq”, The Guardian.

3

GARA M., (2012), “Nasdaq partners with AWS”, Cloud Computing Journal.

179


servizi finanziari, unendosi all’esperienza di Amazon in tema di sicurezza.4 La piattaforma consente di ridurre significativamente i costi operativi e la complessità associati alla gestione dei dati finanziari e delle infrastrutture, aiutando le imprese a snellire le operazioni di memorizzazione e gestione dei dati che sono richieste dalla normativa, senza che sia necessario effettuare onerosi investimenti per le infrastrutture. Dopo aver accuratamente valutato l’offerta di tutti i grandi Cloud Provider, la scelta del Gruppo è ricaduta sui servizi Cloud offerti da Amazon, in quanto è rimasta colpita dalla sua capacità di offrire soluzioni convenienti in grado di gestire elevate quantità di dati, che devono essere messe tempestivamente a disposizione dei clienti del Gruppo. La decisione di una partnership con Amazon deriva anche dalla volontà del Gruppo di compensare il calo dei ricavi registrato negli ultimi anni attraverso la vendita di più servizi di storage e di gestione dati.5 Oggi, infatti, il mercato dei dati vale il 22% delle entrate nette, raggiungendo i 90 milioni di dollari.6 Il Cloud di Amazon è stato utilizzato per creare due particolari servizi incorporati in FinQloud:7 

Regulatory Record Retention (R3): una soluzione dedicata alla memorizzazione dei dati e progettata per aiutare gli intermediari a soddisfare i requisiti di archiviazione e recupero dei dati in tempi rapidi e a costi significativamente più bassi rispetto alle altre soluzioni non Cloud;

Query: uno strumento per la ricerca e il recupero dei dati memorizzati in FinQloud che completa R3, fornendo una soluzione che soddisfa il bisogno di recuperare rapidamente i dati memorizzati per operare nel più breve tempo possibile.

4

NASDAQ OMX GROUP, (2013), “Tradier chooses NASDAQ OMX FinQloud to build ‘Cloud Brokerage in a box’”, The New York Times. 5

MASSOUDI A., JOPSON B., (2012), “Nasdaq market space in Amazon’s cloud”, Financial Times. 6

MEHTA N., (2012), “Nasdaq Omx, Amazon to partner on the cloud storage of data”, Bloomberg.

180


Entrambi utilizzano macchine virtuali in esecuzione su Amazon Web Services per ospitare le elevate quantità di dati attraverso la soluzione Simple Storage Service (S3) offerta da Amazon, come descritto nel Capitolo precedente. FinQloud offre diverse misure per soddisfare i requisiti di sicurezza richiesti dalla normativa, una delle quali prevede che tutte le connessioni dati riferite a FinQloud prima di essere transitate in AWS, devono passare attraverso un sistema di crittografia situato all’interno di un data center NASDAQ.8 Inoltre, tutti i dati contenuti in FinQloud sono soggetti a continui controlli da parte del Gruppo che ne valuta l’integrità per avere conferma che il sistema lavori adeguatamente e i dati non vengano compromessi. La piattaforma FinQloud combina da un lato la flessibilità, la sicurezza e la convenienza economica dell’infrastruttura Cloud di Amazon e dall’altro l’esperienza del Gruppo NASDAQ OMX nella fornitura di tecnologie e servizi per gli scambi e le transazioni sul mercato finanziario.9 7.1.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE CON AMAZON Grazie alla combinazione dell’esperienza del Gruppo nella fornitura di servizi di consulenza per gli scambi sul mercato finanziario e la comprovata esperienza della nuvola di Amazon, operante da oltre 6 anni, FinQloud riesce a migliorare la sicurezza, la flessibilità e la convenienza economica delle operazioni di ricerca e recupero di dati finanziari. Questa partnership consente al Gruppo di offrire una soluzione su misura per le specifiche esigenze dei suoi clienti in modo sicuro e conforme alla regolamentazione, trasmettendo ai propri clienti anche i requisiti di flessibilità e affidabilità di cui godono gli Amazon Web Services. FinQloud offre ai suoi clienti numerosi vantaggi, tra cui: 

Agilità: le aziende potranno godere di una maggiore agilità e competitività rispetto ai competitors, grazie alla capacità di scalare più facilmente le

8

BROWN A., (2012), “Match made heaven? Nasdaq and Amazon.com hook up in the cloud”, Forbes. 9

HARRIS D., (2012), “With new service, Nasdaq brings Wall Street data on Amazon’s cloud”, Gigaom.

181


risorse di calcolo e di rispondere proattivamente alle nuove opportunità di business, che saranno in grado di guidare la crescita dei ricavi aziendali; 

Riduzione dei costi di archiviazione dei dati: i clienti saranno in grado di ridurre significativamente i costi legati all’archiviazione dei dati, alle tecnologie necessarie per l’archiviazione,

alle strutture e al loro

funzionamento. Grazie alle potenzialità del Cloud Computing sarà possibile soddisfare la maggiore richiesta di calcolo senza la necessità di acquistare

e gestire

infrastrutture aggiuntive, ma semplicemente

richiedendo maggiore capacità di calcolo al fornitore, Amazon. Secondo Eric Noll, vicepresidente di NASDAQ, il passaggio a FinQloud consentirà alle compagnie di intermediazione di risparmiare più dell’80% dei loro costi di archiviazione;10 

Accessibilità: alle aziende verrà garantito un accesso centralizzato, senza che i dati vengano sparsi su più data center, in modo tale da avere un maggiore controllo sulle proprie risorse. In questo modo, le aziende recuperano in fretta i dati su domanda dei propri clienti e ne garantiscono una copia sempre accessibile. L’accessibilità gioca un ruolo fondamentale nel settore finanziario dove i volumi di dati da gestire sono numerosi;

Risparmio sui costi: grazie alla soluzione Cloud si assiste ad un notevole risparmio dei costi, consentendo alle imprese di sostenere la propria crescita senza aggiungere ulteriori infrastrutture, che comporterebbero costi aggiuntivi. Grazie ad Amazon, i costi associati al data storage sono ridotti, in particolare grazie alla sua capacità di restare al di sotto dei costi medi del mercato per questi servizi, che si aggirano intorno ai 15-20 centesimi per un gigabyte.11 Il risparmio dei costi è legato ad una delle più grandi potenzialità del Cloud Computing, ossia il pay-as-you-go, le imprese infatti pagheranno solo per l'uso effettivo che faranno della capacità di calcolo del fornitore.

10

MASSOUDI A., JOPSON B., (2012), “Nasdaq market space in Amazon’s cloud”, Financial Times. 11

BROWN A., (2012), “Match made heaven? Nasdaq and Amazon.com hook up in the cloud”, Forbes.

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Tutti questi vantaggi di cui godono le imprese clienti di FinQloud si riflettono sull’andamento del Gruppo, generando risultati positivi sulle vendite legate ai servizi tecnologici del Gruppo NASDAQ OMX che ha assistito ad un aumento delle entrate del 2,2% registrando 424 milioni di dollari di entrate nel secondo trimestre, un risultato di gran lunga superiore alle previsioni degli analisti. 12 Numerose aziende utilizzano già FinQloud, l’ultimo annuncio è da parte di Tradier13, una società che offre nuove soluzioni per le generazioni future dei servizi finanziari legati alle tecnologie, che utilizzerà l’ambiente FinQloud per costruire gli aspetti più critici della propria offerta, eliminando la necessità di preoccuparsi in anticipo delle quantità di infrastrutture tecnologiche necessarie. In questo modo, Tradier sarà in grado di ridurre il proprio ciclo di sviluppo di nuovi prodotti e il time to market. Questa azienda basa tutta la propria attività sulla nuvola costruita da Amazon e il Gruppo NASDAQ OMX, rappresentando un grande esempio di come gli innovatori nel settore dei servizi finanziari stiano inserendo sul mercato nuove applicazioni che consentano la riduzione degli investimenti iniziali, abbassando i costi e rispettando al tempo stesso gli obblighi regolamentari. 7.2. CASO TOYOTA: LE ORIGINI La casa automobilistica affonda le sue radici in Giappone durante gli anni ’30, quando venne creato il reparto automobilistico dell’azienda sulla scia del sogno dei suoi fondatori, i quali ambivano a produrre la prima auto giapponese. La prima automobile prodotta da Toyota è rappresentata dal modello AA, una berlina facile da guidare ed economica, a partire da questo momento la casa giapponese inizierà un lungo percorso di produzione commerciale di automobili che le consentirà di esportare i propri modelli in tutto il mondo. Oggi, le auto Toyota godono ancora di una notevole fama per le loro prestazioni, grazie alle quali hanno ricevuto numerosi riconoscimenti, come il Premio per il 12

MEHTA N., (2012), “Nasdaq Omx, Amazon to partner on the cloud storage of data”, Bloomberg. 13

NASDAQ OMX GROUP, (2013), “Tradier chooses NASDAQ OMX FinQloud to build ‘Cloud Brokerage in a box’”, The New York Times.

183


“Motore dell’anno” nel 2000, per il secondo anno consecutivo ed il premio conseguito dalla Prius di seconda generazione come “Auto dell’anno” nel 2005.14 Riconosciuta in tutto il mondo anche per essere rimasta sempre al passo con i tempi, Toyota ha sempre cavalcato le ultime tendenze in ambito automobilistico, annunciando una partnership tecnologica con EDF, azienda operante nel settore delle energie rinnovabili, nel 2007 per la creazione di una serie di vetture cosiddette “ibride”, che continua ancora oggi attraverso un progetto dedicato al car-sharing di veicoli ibridi,15 abbracciando completamente l’idea di un futuro più attento all’impatto ambientale. Il successo dei veicoli ibridi arriva presto, quando nei primi mesi del 2010 si registrano un milione di vendite globali, un risultato che incentiva Toyota a continuare il suo percorso nell’ibrido, prevedendo entro il 2020 di dotare tutti i modelli delle linee Toyota e Lexus della tecnologia ibrida. Toyota rappresenta oggi la casa automobilistica più grande al mondo per vendite, che le hanno consentito di raggiungere un fatturato di 58,6 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2013, mostrando come sia stata in grado di superare anche una delle peggiori crisi economiche mai viste nel corso dei suoi 75 anni di storia. 16 7.2.1. TOYOTA E IL CLOUD DI MICROSOFT La casa automobilistica giapponese, consapevole delle potenzialità derivati dal Cloud Computing ha scelto la nuvola di Microsoft per superare alcune difficoltà nella gestione della propria attività aziendale. Toyota gestisce sedici siti web, in particolare offre l’accesso al sito Gazoo.com, ossia un portale web che offre informazioni sui veicoli, news, servizi dedicati all’acquisto online, blog, ma soprattutto crea un vero e proprio social network grazie alla città tridimensionale Gazoo Metropolis, a cui tutti gli utenti hanno accesso e nella quale potranno guidare automobili virtuali e scambiare messaggi 14

LA REPUBBLICA, (2004), “Toyota Prius auto dell’anno, battute Astra e Focus”, La Repubblica. 15

LA REPUBBLICA, (2013), “Accordo fra Toyota e Grenoble. Il car-sharing si fa verde”, La Repubblica. 16

TABUCHI H., (2013), “Toyota bounces back with help from eager American buyers and a weak Yen”, The New York Times.

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con gli utenti. Il servizio offerto da Gazoo.com è rilevante per l’attività di Toyota, poiché riesce ad attrarre nuovi clienti in modo interattivo, basti pensare che nel 2013 il numero di utenti registrati al sito è triplicato rispetto al 2008 arrivando a contare 1,7 milioni di iscritti.17 Il portale Gazoo.com ha origine da un sito Toyota nato nel 1994, che aveva la funzione di aiutare i concessionari Toyota a cercare auto usate, successivamente venne rinominato in Gazoo.com e vennero aggiunte diverse funzionalità che negli anni hanno aumentato il carico di lavoro e il costo per la gestione del sito. Da qui è nata l’esigenza per Toyota di ristrutturare l’architettura del sito, in modo che si potessero ridurre i costi e i tempi di gestione del sito, senza dover rinunciare ad alcune funzionalità. Tra le motivazioni che spingono Toyota a riprogettare la struttura del sito, vi è soprattutto la perdita di interesse verso le auto da parte del giovane pubblico giapponese, che sta dirottando le proprie spese verso i videogames e gli smartphones. Le esigenze di maggiore rapidità d’azione e di riduzione dei costi si sposano perfettamente con il Cloud Computing, per cui Toyota ha deciso di utilizzare questo strumento per rendere il sito più dinamico e facile da gestire. La casa automobilistica dopo aver valutato le offerte di diverse Cloud company, tra cui anche Salesforce.com con cui collabora già per la fornitura di un servizio per auto ibride in grado di rilevare informazioni circa l’efficienza di guida e di avvisare il proprietario dell’auto sullo stato di ricarica del veicolo, ha scelto di affidarsi alla nuvola di Microsoft per migliorare i contenuti del sito, aumentare la scalabilità e ridurre i costi associati alla gestione dello stesso. Per raggiungere tali obiettivi, Toyota ha scelto due prodotti Microsoft: Windows Azure come ambiente di sviluppo per la nuvola e Microsoft SharePoint 2013 per la gestione dei contenuti e dei blog presenti sul sito. Windows Azure consente di ottenere una maggiore flessibilità e una serie di altri vantaggi, come spiegato nel Capitolo precedente, in modo tale che Toyota possa disporre delle risorse del server in modo dinamico senza il rischio di non riuscire a

17

MICROSOFT, (2013), “Toyota redesigns web portal using scalable cloud and content Management Solutions”, Microsoft whitepaper, pp.1-3.

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far fronte all’andamento fluttuante della domanda di servizi disponibili sul sito Gazoo.com. SharePoint18 è uno strumento molto utilizzato dalle aziende per la creazione di siti web e per l’archiviazione, la gestione e soprattutto la condivisione di informazioni, che come tutti gli strumenti Cloud sono accessibili attraverso qualsiasi dispositivo ovunque ci si trovi grazie alla connessione Internet. Le parole chiave di questo servizio sono infatti collaborazione e condivisione del lavoro, per organizzare e coordinare al meglio l’attività aziendale. Secondo Hidehiko Sasaki, manager di Toyota, SharePoint, grazie alle sue funzionalità altamente personalizzabili, consentirà alla società di raggiungere più facilmente i propri obiettivi e soprattutto di migliorare la customer experience degli utenti del portale Gazoo.com e di raccogliere in modo rapido le informazioni richieste dagli utenti.19 Inoltre, lo strumento offerto da Microsoft possiede funzionalità dedicate ai blog, sui quali Toyota sta focalizzando buona parte della sua attenzione in modo tale da personalizzare i contenuti sulla base delle specifiche esigenze dei diversi visitatori del sito. L’accordo tra Toyota e Microsoft per la riprogettazione del sito Gazoo.com non rappresenta il primo incontro strategico tra le due aziende, infatti già nel 2011 era stata annunciata una partnership che vedeva partecipi entrambe, con l’obiettivo di realizzare una piattaforma globale per i servizi telematici di nuova generazione da mettere a disposizione degli automobilisti. Tale progetto ha visto l’investimento di un miliardo di yen, pari a circa 12 milioni di dollari, nella Toyota Media Service, ossia l’azienda che gestisce i servizi informatici del gruppo, al fine di realizzare applicazioni telematiche basate sulla piattaforma Windows Azure a bordo delle vetture ibride Toyota.20

18

SMITH T., (2013), SharePoint 2013 User’s guide, Apress, USA, pp.4-5.

19

MICROSOFT, (2013), “Toyota redesigns web portal using scalable cloud and content Management Solutions”, Microsoft whitepaper, pp.1-3. 20

LA REPUBBLICA, (2011), “Accordo strategico tra Microsoft e Toyota Motor Company”, La Repubblica.

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Attraverso la nuvola, Toyota ha intenzione di sviluppare una serie di servizi disponibili on-board, come un sistema di controllo dell’autovettura attraverso funzionalità di Gps, mapping, controllo dei consumi, comandi vocali ed altri strumenti multimediali, che si appoggeranno sulla piattaforma Cloud di Microsoft. Grazie a Windows Azure, le risorse non risiederanno fisicamente nel computer di bordo ma risiederanno “on the cloud”, con l’obiettivo di creare entro il 2015 una piattaforma Cloud completa che sia in grado di offrire servizi telematici a tutti gli automobilisti Toyota nel mondo.21 Come aveva annunciato Akio Toyoda, il presidente del colosso giapponese, questo accordo consentirà di dotare le auto Toyota dell’ottima infrastruttura informatica offerta da Microsoft aumentando il valore economico delle auto ibride e rappresentando un importante passo per il connubio tra mondo dell’informatica e mondo dell’automobile e per lo sviluppo di una mobilità sostenibile e di una corretta gestione dell’energia per il futuro.22 7.2.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE CON MICROSOFT Toyota, affidandosi alla lunga esperienza di Microsoft nel settore informatico sarà in grado di offrire automobili in linea con le ultime tendenze tecnologiche, creando maggior valore per tutti coloro che acquistano un auto Toyota. Inoltre, grazie

alla

riconfigurazione

del

sito

Gazoo.com

fornirà

informazioni

personalizzate agli utenti del sito e costruirà un ambiente in cui cresceranno le opportunità di interazione sociale sfruttando l’attuale tendenza al social networking, grazie alle funzionalità offerte da SharePoint di Microsoft. I tre benefici principali derivanti dall’utilizzo dei servizi Cloud di Microsoft nella riprogettazione del sito di Toyota saranno:23 

Scalabilità e flessibilità: l’utilizzo congiunto di Windows Azure e SharePoint andrà incontro alle esigenze di Toyota di gestire un’elevata

21

RUSCONI G., (2011), “Microsoft e Toyota insieme per i servizi telematici nella “nuvola””, Il Sole24Ore. 22

STENQUIST P., (2011), “Microsoft to produce telematics system for Toyota”, The New York Times. 23

MICROSOFT, (2013), “Toyota redesigns web portal using scalable cloud and content Management Solutions”, Microsoft whitepaper, pp.1-3.

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quantità di lavoro per coordinare le attività sul sito che oggi registra oltre 1,5 milioni di utenti con oltre 100 milioni di pagine visitate al mese, in modo tale che la casa automobilistica non debba perdere tempo nella gestione dei server e nell’aggiornamento dei software, il cui compito spetterà a Microsoft; 

Riduzione dei costi legati al sito: il sito verrà eseguito in un ambiente Cloud in cui non sarà necessario acquistare e mantenere l’infrastruttura necessaria, riducendo in tal modo i costi e consentendo al tempo stesso di continuare ad ampliare il sito, attraverso nuove funzionalità. In caso di elevata domanda, basterà semplicemente acquistare maggiore capacità di calcolo da Microsoft, senza dover acquistare server fisici, che richiederebbero maggiori quantità di tempo e denaro;

Elevato grado di personalizzazione: talvolta risulta difficile stabilire a priori le modalità con cui offrire un determinato servizio online agli utenti del sito internet, ma grazie alle numerose funzionalità di SharePoint dedicate alla personalizzazione, sarà possibile offrire ai visitatori un’elevata capacità di personalizzazione sulla base delle loro esigenze.

7.3. CASO YAMAMAY: LE ORIGINI Yamamay nasce dall’idea di un imprenditore, Luciano Cimmino, che vanta importanti esperienze precedenti come rappresentante in Bassetti e Stefanel, le quali hanno raggiunto traguardi notevoli grazie al suo lavoro e alla sua dedizione. Ben presto arriva il momento per Cimmino di mettersi in proprio, generando una svolta per sé e per il mondo dell’abbigliamento, fonda la Imap S.p.A. nel 1983, dalla quale avrà origine Original Marines, un marchio di abbigliamento sportivo e giovanile, che oggi è stato ceduto al gruppo Pianoforte. La svolta si presenta nel 2001, quando Cimmino fonda la Inticom S.p.A., passando definitivamente da rappresentante a produttore, consapevole della crescente attenzione verso l’intimo come vero e proprio capo d’abbigliamenti da sfruttare grazie alla sua conoscenza congiunta del mondo dell’intimo da un lato e del retail dall’altro. Il primo negozio viene aperto nel 2001 in provincia di Varese, da quel momento il numero di punti vendita continua a crescere raggiungendo

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tutte le grandi città d’Italia, come il prestigioso punto vendita aperto a Milano nel 2006. Grazie all’intuizione di un imprenditore italiano è nata una catena di intimo che oggi rappresenta la seconda catena di negozi monomarca nel settore intimo e mare in Italia, vantando una rete di oltre 600 punti vendita monomarca realizzati nell’arco di circa dieci anni di attività con un fatturato che a fine 2010 conta 128 milioni di euro e 15 milioni di capi venduti in un anno.24 Un’altra tappa importante per il marchio Yamamay è rappresentata dalla fusione, avvenuta nel 2011, di Inticom, che possiede Yamamay, con Kuvera, di cui fa parte Carpisa, in un unico gruppo, la Pianoforte Holding, costituita ex novo dalla famiglia Cimmino insieme alla famiglia Carlino, proprietaria di Carpisa.25 Alla base di tale operazione vi è l’unione di due marchi rilevanti nel settore dell’abbigliamento che rafforzano la rete distributiva grazie alla loro unione, raggiungendo il traguardo di oltre 1.000 punti vendita che contano 1.200 dipendenti. Il successo raggiunto da Yamamay sarebbe tale da aver catturato l’attenzione del colosso del lusso, il gruppo LVMH, il cui interesse verso la giovane azienda di intimo resta ancora da conformare ufficialmente.26 7.3.1. YAMAMAY E IL CLOUD DI GOOGLE Yamamay possiede una rete di punti vendita molto estesa in Italia con la necessità di gestirla al meglio puntando sulla comunicazione uniforme e sulla condivisione di informazioni, come quelle derivanti dalla clientela che frequenta il negozio, che impattano in modo rilevante sulla gestione del marchio. La decisione di affidarsi ad una soluzione di Cloud Computing nasce dalla consapevolezza delle potenzialità di questo strumento che ben si sposano con i bisogni dell’azienda, costituendo un importante passo per il mondo del retail verso 24

Disponibile sul sito www.yamamay.com.

25

GEREVINI M., (2011), “Il riassetto di Yamamay per la fusione con Carpisa”, Il Corriere della Sera. 26

JADELUCA P., (2013), “Mister Yamamay nel mirino di Lvmh, un matrimonio ancora intimo”, La Repubblica.

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le nuove tecnologie. Inoltre, come afferma il CIO, Paolo Tha, la scelta di questo cambiamento è nata anche dalla necessità di far fronte ad una grande criticità legata alla posta di Yamamay, ossia la possibilità di un disaster recovery che doveva essere presa in seria considerazione, oltre ai problemi di archiviazione, di ricerca e di gestione degli allegati. Google ha subito rappresentato la soluzione ideale, grazie all’attenzione verso i temi della sicurezza e del risparmio dei costi, andando incontro alle esigenze di email continuity e sicurezza, oltre alla familiarità che gli utenti già possedevano nei confronti di Gmail. Accanto alla sicurezza, vi è anche il vantaggio di risparmio dei costi che si è tradotto in una riduzione del 50% dei costi per lo stesso servizio nell’ultimo anno, in particolare si è passati da 109.000 a 47.000 euro di costi, migliorando in modo significativo la propria efficienza.27 Lo stesso Paolo Tha afferma:28 “La struttura tipica dei brand del Retail – fatta di una rete di negozi di proprietà e in franchising distribuita sul territorio – si sposa in modo straordinario con la proposta cloud 100% Web di Google. I 25 gigabyte della versione business di Gmail, uniti a servizi come Google Sites e Google Docs per la creazione e condivisione nella nuvola di mini-siti e documenti di vario tipo ci sono parsi la soluzione più ricca di potenziale.” Nel 2011, Google annuncia l’inizio della collaborazione con il marchio di abbigliamento intimo Yamamay, che prevede la migrazione della vecchia infrastruttura di posta elettronica verso la soluzione Google Apps for Business di tutti i negozi italiani di proprietà insieme alle diverse sedi aziendali collocate in Italia, Spagna e Cina Popolare che condurranno all’attivazione di oltre 520 nuovi account Google. Gli obiettivi che Yamamay intende raggiungere attraverso la sua collaborazione con Google sono molto ambiziosi e in grado di garantirgli una gestione più 27

BAGNATO R., (2012), “L’impresa vola tra le ‘nuvole’, boom per le soluzioni cloud”, La Repubblica. 28

GOOGLE, (2012), “Yamamay migliora la gestione dei negozi con Google Apps”, Google Whitepaper, pp.1-2.

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efficiente e innovativa dei punti vendita presenti nella sua rete. Primo fra tutti, vi è la necessità di modificare l’infrastruttura di posta per generare una cloud-based, grazie alla quale Yamamay sarebbe in grado di creare applicazioni innovative e a supporto di un business in continua crescita ed evoluzione, consentendole di occupare una posizione di primo piano nell’ambito dell’innovazione di gestione del business all’interno del settore retail. Un altro punto delicato che Yamamay ha intenzione di affrontare attraverso l’utilizzo della nuvola di Google è rappresentato dalla comunicazione, un aspetto di grande rilevanza soprattutto se inserito all’interno di un business caratterizzato da una rete estesa di punti vendita. La piattaforma di Google Apps for Business, grazie alle numerose applicazioni che soddisfano i principali bisogni aziendali, sarebbe in grado di migliorare la comunicazione, gestendo in tempi rapidi la condivisione di informazioni tra i numerosi punti vendita del marchio. Le applicazioni offerte da Google non giovano solo al business aziendale nel complesso, ma anche ai singoli punti vendita, nei quali non è presente personale IT al quale viene delegata la gestione delle informazioni. Google Apps for Business è in grado di superare tale ostacolo fornendo gli strumenti adatti alla gestione delle informazioni e delle indicazioni che aiutano il personale del punto vendita a dirigere correttamente il processo relativo alle nuove campagne promozionali del marchio, agli allestimenti del punto vendita e alla presentazione della nuova collezione. Lo sviluppo delle applicazioni dedicate al raggiungimento di questi obiettivi sarà perfettamente integrato ai processi aziendali che continueranno ad essere supportati dalle piattaforme aziendali tradizionali. Il percorso di migrazione verso la nuvola, intrapreso da Yamamay, è iniziato con l’adozione della posta elettronica, attraverso Gmail, che ha interessato la totalità dell’azienda, proseguendo con l’utilizzo di altre Apps per la formazione del personale di vendita a distanza attraverso Google Docs e Google Sites. 7.3.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE CON GOOGLE L’utilizzo da parte dell’azienda delle applicazioni Google offre numerosi vantaggi in grado di ridefinire e rinnovare il processo di comunicazione all’interno della rete di punti vendita e di rinnovare la gestione del business nel suo complesso. 191


I principali benefici derivanti dal processo di migrazione verso le Google Apps, che inizialmente ha interessato solo la posta, ed ora prevede un’estensione verso altre importanti applicazioni come Sites e Maps, sono:29 

Comunicazione più efficiente: grazie alla tecnologia offerta da Google la rete di punti vendita Yamamay sarà in grado di usufruire di una comunicazione istantanea che supporterà nel modo migliore le promozioni, gli allestimenti del punto vendita, il marketing e la formazione del personale. La formazione del personale è uno dei punti sul quale l’azienda pone gran parte della sua attenzione sulla base della consapevolezza che le potenzialità di vendita sono direttamente legate al servizio offerto ai clienti dal personale presente sul punto vendita. A tal proposito, grazie a Google Video, verranno creati e condivisi video che avranno la funzione di supportare la formazione a distanza. Sempre a supporto della formazione vi saranno altri due strumenti offerti da Google: Google Sites, grazie al quale sarà possibile caricare foto e presentazioni aziendali che saranno condivise con tutto il personale per essere allineati su tutte le ultime novità di business, e Google Forms che restituirà i feedback relativi alla formazione attraverso la compilazione di questionari sottoposti al personale al fine di valutare l’efficienza dei programmi di formazione ed eventualmente potenziarli. Inoltre, per la preparazione di materiale multimediale, che successivamente verrà pubblicato attraverso Google Sites, si utilizzeranno le numerose funzionalità di Google Docs;

Strumenti per il controllo della concorrenza: oltre agli strumenti innovativi che supportano la gestione del business, sarà possibile usufruire di strumenti in grado di monitorare la concorrenza, per avere un quadro completo delle mosse strategiche del mercato. Grazie all’utilizzo di Google Forms sarà attiva l’acquisizione di dati strategici per il business aziendale come la presenza dei competitor e il loro andamento;

Sviluppo di applicazioni future: grazie all’integrazione tra Google Sites a Google Maps for Business Yamamay realizzerà applicazioni in grado di

29

GOOGLE, (2012), “Yamamay migliora la gestione dei negozi con Google Apps”, Google Whitepaper, pp.1-2.

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migliorare l’attività aziendale, ad esempio soluzioni per seguire l’andamento delle vendite nei singoli punti vendita in tempo reale, oppure soluzioni dedicate alla gestione del ciclo di vita delle collezioni per garantire un adeguato ingresso nei negozi. Nel futuro di Yamamay è prevista anche l’adozione dei Chromebook, i nuovi computer di Google basati interamente sul sistema operativo Chrome e forniti attraverso formule in abbonamento, che potrebbero arrivare a rappresentare i dispositivi primari per il personale dei 60 punti vendita italiani.30 7.4. CASO ADOBE SYSTEMS: LE ORIGINI Adobe Systems Inc. ha origine dalla volontà di rivoluzionare

il volto

dell’informatica in modo tale che le immagini e i testi visualizzati sul desktop di un computer possano conservare la medesima precisione e qualità anche una volta stampati. Tale progetto ambizioso è stato intrapreso da Chuck Geschke e John Warnock, coloro che nel 1982 fondarono la società per fare in modo che la loro idea si traducesse in un prodotto da immettere sul mercato tecnologico, che in quegli anni era caratterizzato da una forte espansione. 31 La loro visione diede vita, nel 1983, ad prodotto rivoluzionario, il linguaggio Adobe PostScript, grazie al quale per la prima volta nella storia era possibile stampare i file su carta esattamente nel modo in cui venivano visualizzati sul desktop, lasciando inalterate la formattazione, la grafica e i font. La perfetta traduzione da schermo a stampa avveniva a prescindere dal dispositivo di visualizzazione, consentendogli di riscuotere un grande successo nel mondo dell’informatica. Adobe continuò a focalizzarsi sull’implementazione delle tecnologie grafiche, dando vita ad una serie di nuovi programmi come Photoshop e Illustrator, che grazie alla loro capacità di ridefinire e aumentare la qualità delle immagini hanno

30

GUARCO C., (2012), “Le aziende italiane hanno scoperto Google Apps for Business”, disponibile su www.pmi.it. 31

ADOBE SYSTEMS ITALIA, (2007), “Adobe Systems Incorporated. Panoramica aziendale”, Adobe Systems Incorporated Whitepaper, pp.1-2.

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costituito un’importante novità per l’industria della creazione di immagini, rappresentando i prodotti che generano la maggior parte delle entrate per Adobe.32 Il successo riscontrato dai prodotti di Adobe la conduce a rivedere il linguaggio PostScript, sul quale viene realizzato nel 1992 un nuovo formato dedicato ai file, il Portable Document Format, PDF, che consente una maggiore condivisione e collaborazione tra persone in tutto il mondo, con l’obiettivo di diffondere documenti compatibili con la maggior parte dei sistemi operativi, fino a rappresentare oggi il formato più diffuso al mondo. Accanto al PDF, Adobe ha realizzato anche il software per la lettura e la visualizzazione di tale formato, Adobe Reader, scaricabile gratuitamente dal sito della società, che ha favorito ulteriormente la diffusione del formato PDF. Nel corso degli anni Adobe ha adottato una serie di scelte strategiche che l’hanno condotta alla sua graduale trasformazione da società produttrice di applicazioni desktop a società fornitrice di piattaforme per le imprese, culminando nel 2005 con l’acquisizione di Macromedia nel tentativo di fornire funzionalità aggiuntive, che le hanno consentito di offrire un mix di software più ampio.33 Adobe oggi rappresenta un caso di grande successo, risultato della visione rivoluzionaria dei suoi fondatori che hanno cambiato per sempre il modo in cui le persone comunicano e creano a livello digitale, dando vita non solo ad una società ma ad un vero e proprio settore. 7.4.1. ADOBE SYSTEMS E IL CLOUD DI IBM Adobe oltre a sviluppare una serie di prodotti tecnologici di largo consumo in tutto il mondo, rielabora continuamente la direzione futura del business valutando tutte novità che il mercato presenta. A questo riguardo, l’allineamento con le nuove soluzioni tecnologiche offerte dal mercato ha prodotto la migrazione della società da un ambiente tradizionale ad un ambiente Cloud, basato sulle soluzioni

32

BERMAN D. K., BANK D., (2005), “Adobe Systems buys Macromedia in Stock deal”, The Wall Street Journal. 33

TEATHER D., (2005), “Adobe downloads Flash for £1.8bn”, The Guardian.

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offerte da IBM, completamente virtuale che fosse in grado di eliminare alcune criticità che avrebbero compromesso i risultati nel lungo periodo. Infatti, l’infrastruttura esistente nelle sedi aziendali, composta da molti server fisici, rallentava le risposte di Adobe alle nuove esigenze del business e limitava le sue capacità di svolgere l’attività aziendale garantendo l’efficienza dei costi. Tale infrastruttura, basata sull’applicazione SAP ERP, in grado di gestire tutte le informazioni rilevanti di un’azienda garantendo l’accesso rapido e modulare a tutte le sue funzioni, ha registrato la proliferazione di macchine fisiche, tanto che nel 2012 Adobe utilizzava oltre 120 macchine34 L’ostacolo più preoccupante era la mancanza di velocità di Adobe di reagire alle nuove sfide e ai cambiamenti, quali ad esempio la messa a disposizione di un nuovo server richiedeva circa quattro mesi, un periodo di tempo troppo lungo per garantire un adeguato livello di reattività alla società in un settore in così rapida evoluzione. L’espansione del business comporta l’allineamento con l’ambiente SAP, che a sua volta viene ampliato attraverso l’inserimento di nuovi componenti e nuovi server, divenendo una vera e propria sfida per l’adattamento delle componenti aggiuntive al data center esistente. Tale panorama ha prodotto l’utilizzo di numerosi server, di diverse caratteristiche e dimensioni, comportando numerose difficoltà nella loro gestione e nel contenimento dei costi. Di fronte a questo scenario si è reso necessario un nuovo approccio che contemplasse nuove soluzioni in grado di supportare la continua evoluzione del business model e le esigenze di crescita futura, scegliendo la tecnologia che meglio si sposa con tali esigenze, il Cloud Computing. La soluzione proposta da IBM consiste nella sostituzione dei server fisici con server virtuali ad alte prestazioni, gli IBM Power 770, ossia una tipologia dei microprocessori realizzati da IBM per virtualizzare e consolidare i carichi di lavoro più critici per il business, che consentirebbe di ridurre notevolmente il

34

IBM, (2012), “Adobe improves scalability and perfomance with SAP applications and IBM cloud-based solutions”, IBM whitepaper, pp.2-6.

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numero di server semplificando la gestione dei dati.35 Tale sistema si basa sul software IBM PowerVM, caratterizzato da un’elevata capacità di virtualizzazione grazie alla quale è possibile regolare in modo dinamico le risorse in ogni ambiente operativo in modo da ridurre gli sprechi di energia. La virtualizzazione porta con sé altri vantaggi, quali ad esempio la maggiore rapidità di risposta, che aiuta il sistema aziendale a realizzare nuovi servizi in risposta alle esigenze del business, senza più richiedere alcuni mesi ma solo più poche ore, grazie a soluzioni come il Private Cloud. Per semplificare la migrazione verso le sue soluzioni, IBM offre alle aziende clienti come Adobe un approccio innovativo e integrato, IBM Migration Factory, contenente le linee guida per facilitare il processo di migrazione.

36

Il supporto

fornito da questo strumento è stato essenziale per Adobe che è riuscita a concludere la migrazione in sei mesi, iniziando a lavorare con i nuovi server nell’arco di pochi giorni. 7.4.2. I VANTAGGI DELLA COLLABORAZIONE CON IBM I vantaggi raggiunti da Adobe grazie alla migrazione verso le soluzioni offerte da IBM sono molteplici e hanno consentito all’azienda di superare alcune importanti criticità, rilanciando il proprio business basato sull’innovazione. I principali benefici sono: 

Maggiore rapidità di azione: prima della migrazione una delle principali criticità della società era proprio la scarsa agilità con cui l’infrastruttura reagiva ai cambiamenti e alle nuove esigenze del business. Grazie all’utilizzo dei server di IBM, si è realizzato un significativo processo di migrazione che ha ridotto i tempi di risposta da mesi a giorni, anche grazie alla riduzione del numero di server da gestire;

Risparmio di costi: la virtualizzazione permessa dai server IBM ha consentito di raggiungere migliori prestazioni ad un costo inferiore, tanto

35

IBM CORPORATION, (2012), “Server IBM Power 770: Sistemi sicuri e affidabili per le vostre informazioni critiche”, IBM whitepaper, pp.3-4. 36

LEWOTSKY K., (2012), “Migration Factory makes switching to IBM easy”, IBM Systems Magazine.

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che Adobe nel 2012 ha previsto un risparmio di 60 milioni di dollari nell’arco di cinque anni grazie all’infrastruttura IBM.37 Inoltre, il risparmio dei costi si riflette non solo nel risparmio energetico dovuto al passaggio da oltre 100 macchine ad appena 5 server IBM, ma anche nella maggiore efficienza di utilizzo dei server, che prima venivano utilizzati per il 1015%, mentre oggi possono raggiungere una capacità di utilizzo dell’80%. Grazie all’adozione dei server IBM, il futuro di Adobe sarà caratterizzato da una maggiore flessibilità e reattività verso le esigenze del business e del mercato, che le consentiranno di affrontare le nuove sfide e i nuovi competitors in modo più semplice e innovativo.

37

IBM, (2012), “Adobe improves scalability and perfomance with SAP applications and IBM cloud-based solutions”, IBM Corporation, pp.1-6.

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CONCLUSIONI L’analisi svolta ha messo in luce l’importanza di una ridefinizione del business model aziendale, come mezzo grazie al quale le aziende sono in grado di superare la crisi economica attuale. Tale ridefinizione presuppone uno studio accurato delle opportunità di mercato e spesso un cambiamento delle strategie aziendali con l’obiettivo di garantire un rilancio dell’attività d’impresa. Alla base di questo processo di revisione vi è il concetto di cambiamento, non solo interno ma anche esterno all’organizzazione, che deve rappresentare una priorità per l’azienda a cui la stessa deve dedicare gran parte dei propri sforzi e delle proprie risorse. L’errore più grave potrebbe essere, ora più che in passato, di trascurare il cambiamento in corso con la presunzione di possedere gli strumenti adeguati per affrontarlo, senza ricercarne di nuovi. L’ottica d’impresa richiede un’integrazione delle continue novità, in particolare in campo tecnologico, grazie alle quali le imprese di tutto il mondo, come ci insegna la storia, hanno prodotto risultati senza precedenti. In linea con questa riflessione vi è il crescente interesse verso il fenomeno del Cloud Computing, che si propone come un ottimo strumento a sostegno del business model. Il presente lavoro ha constatato, in più parti, come le potenzialità del Cloud Computing, e delle nuove tecnologie in generale, possano rappresentare la chiave per rafforzare il modello di business aziendale, sgravando l’azienda da alcune attività che in questo modo vengono affidate a soggetti esterni. Il Cloud Computing è apparso, inizialmente, come un aspetto derivante dalla semplice evoluzione tecnologica, ma ben presto si è dimostrato come qualcosa di più. Esso rappresenta non tanto l’innovazione delle tecnologie in quanto tali, quanto l’innovazione nello sfruttamento e nell’utilizzo di tecnologie che prevalentemente esistevano già, mettendo in luce come l’innovazione possa generarsi non necessariamente da una nuova tecnologia, ma dalla nuova gestione e integrazione di tecnologie esistenti. Alla luce di ciò, il caso della “nuvola digitale” rappresenta un ottimo spunto per le imprese che vogliono affacciarsi all’innovazione per dare loro una spinta verso

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nuovi approcci per la gestione delle risorse possedute. A conferma di ciò, vi è l’avvio di un processo strutturato per l’adozione del Cloud Computing da parte di molte imprese che lo percepiscono come uno strumento chiave per affrontare al meglio il mercato attuale. Diverse ricerche di mercato dimostrano come l’adozione del Cloud Computing debba ancora entrare nella fase in cui il numero di imprese che lo adotta possa essere definito come rilevante, garantendo a questo nuovo paradigma la condizione di strumento indispensabile per affrontare le sfide future dello scenario imprenditoriale. Attraverso quest’analisi è stato possibile mettere in luce i principali aspetti che non consentono alle imprese di sfruttare a pieno le potenzialità offerte dalla nuvola, producendo un effetto frenante per la sua crescita. I fattori ostacolanti derivano in particolar modo dalla scarsa consapevolezza di ciò che realmente rappresenta il Cloud Computing, sottolineando come siano ancora pochi coloro che hanno un’idea chiara sugli aspetti che lo caratterizzano, come dimostrano le difficoltà incontrate nell’individuare una definizione condivisa del concetto all’interno della letteratura moderna. Sulla base di questo aspetto, si rende necessaria un’azione volta a promuovere quantomeno la chiara conoscenza di tale fenomeno, lasciando poi alla discrezione di ciascun soggetto l’approfondimento e l’integrazione dei concetti primari legati al Cloud Computing. Tale processo sarebbe in grado di generare maggiore curiosità non solo verso i servizi cloud, ma anche verso quelle che potrebbero essere le soluzioni alternative attraverso le quali ridisegnare il proprio modello di business, fornendo un ottimo punto di partenza per il processo evolutivo delle imprese. Alla luce della scarsa consapevolezza, si generano altre difficoltà che ostacolano la diffusione del Cloud Computing. La semplicità con cui vengono gestiti i dati e le informazioni aziendali crea diverse conseguenze sull’affidabilità, dando vita alla paura per l’azienda di una possibile mancanza di riservatezza dei dati più confidenziali. Come emerge dal presente lavoro, la sicurezza dei dati rappresenta oggi la principale preoccupazione verso il Cloud Computing, comportando un

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ritardo nell’adozione, soprattutto a livello nazionale, che ne pregiudica la crescita futura. L’analisi del percorso normativo che ha caratterizzato gli anni intercorsi dal 1995 ad oggi mette in luce l’impegno del legislatore di farsi carico delle novità in materia tecnologica in modo tale che sia possibile aprire il panorama giuridico alle nuove tecnologie, tutelando il rapporto tra l’uomo e la tecnologia. A tale riguardo, il legislatore si è espresso con la presentazione di una serie di indicazioni in grado di guidare i soggetti che per la prima volta si avvicinano al Cloud Computing. Attraverso questa “guida” si alimenta la crescente necessità di assistere le aziende all’interno di un percorso di cambiamento, avvicinandole il più possibile al fenomeno della nuvola. Il presente lavoro mette in luce, come a livello giuridico, la tutela dei soggetti che affidano i propri dati al Cloud Computing sia ancora lieve, o meglio non indirizzata in maniera specifica a tale fenomeno, con il rischio che si generi una confusione tale da alimentare ancor di più le incertezze attorno a questo tema. Il futuro della nuvola all’interno dello scenario giuridico è destinato ad assorbire sempre maggiori attenzioni e sforzi da parte dell’Autorità che si pone come obiettivo quello di governare, nel miglior modo possibile, il cambiamento tecnologico in atto, intensificando la sua attività normativa, per evitare di ostacolare l’innovazione prodotta dal Cloud Computing. Tuttavia, le tecnologie si evolvono attraverso un processo rapido, ed in particolare, più rapido dell’attività del legislatore e ciò comporta la mancanza di un quadro giuridico completamente dedicato al Cloud Computing, le cui controversie vengono rimandate alla normativa in materia di riservatezza dei dati disciplinata dal Codice della Privacy. Il Cloud Computing non genera solo insicurezze e paure, ma anche numerosi vantaggi che se adeguatamente sfruttati possono di gran lunga prevalere sui rischi che la sua adozione comporta. Ciò che emerge è il principio, spesso erroneamente trascurato, alla base di questo fenomeno, ossia la condivisione della conoscenza. Grazie alla nuvola, determinati dati e informazioni vengono messi a disposizione di tutta l’azienda, dando così la possibilità a tutte le risorse di essere allineate circa le novità che caratterizzano il panorama della propria organizzazione. Tale aspetto ricopre un ruolo chiave all’interno della new economy, richiamando il concetto di

200


accessibilità, a conferma di quanto definito come “era dell’accesso”, ossia un’economia dove ciò che conta non è tanto la proprietà dei beni ma l’accesso a questi ultimi, attraverso le relazioni e l’informazione. La condivisione non è solo fine a se stessa, in quanto si articola attraverso relazioni che producono risultati economici, influenzando inevitabilmente la sfera economica di un’organizzazione. La condivisione non costituisce l’unico aspetto che impatta sulle capacità economiche del Cloud Computing, infatti, come dimostra l’analisi dei risultati di studi condotti su questo tema, tra gli aspetti più allettanti dei servizi Cloud vi è l’efficienza. Il risparmio dei costi, in un contesto difficile come quello che le imprese stanno affrontando oggi, fornisce la possibilità di riallocare al meglio le risorse risparmiate, garantendo un fattore a sostegno del rafforzamento della propria posizione sul mercato. La conquista di una posizione competitiva è il frutto di un processo di innovazione continua che richiede l’utilizzo di strumenti adeguati in grado di garantire il successo dei cambiamenti messi in atto. L’innovazione non si configura solo come un’idea nuova ma come un insieme di mezzi attraverso il quale metterla in atto. In questo senso, il Cloud Computing costituisce la chiave per dare vita all’innovazione, mettendola in pratica, purché si effettui un’accurata scelta del Provider a cui affidare i propri dati e si prendano in considerazione tutti gli eventuali rischi attraverso la predisposizione di strumenti di tutela contro eventuali abusi o malfunzionamenti del servizio Cloud. Alla luce del presente lavoro, il Cloud Computing è configurabile come un elemento differenziante in grado di garantire uno strumento di competitività per il tessuto imprenditoriale, pertanto il contesto nazionale ed internazionale dovrebbe realizzare una serie di interventi volti a guidare le imprese verso l’adozione di tale strumento, che in quanto elemento trainante per l’innovazione, sarebbe in grado di risollevare l’economia di diversi paesi. In conclusione, il fenomeno della nuvola digitale deve poter contare sul sostegno delle Autorità di ogni paese per essere riconosciuto come volano della produttività, non solo grazie alla riduzione dei costi di gestione informatici, ma anche al completo sfruttamento delle potenzialità di Internet, su cui poggia 201


l’intero Cloud Computing. Grazie a questi aspetti congiunti, è in grado di dare vita a modelli di business innovativi che, sfruttando le nuove tecnologie, consentono la nascita di start-up con un notevole impatto sulla crescita economica a livello nazionale ed internazionale che si traduce in un continuo ricircolo delle risorse che vengono immesse nel ciclo economico per generarne delle nuove.

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