PRINCIPI BIOCHIMICA CON SCIENZE TERRA

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PRINCIPI DI BIOCHIMICA con scienze della Terra

S. PASSANNANTI C. SBRIZIOLO R. LOMBARDO, A. MAGGIO

BIOCHIMICA,

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Anche la sezione Test e Verifiche è una miniera di risorse: gli studenti vi trovano materiali per esercitarsi, mentre i docenti possono attingere a vasti database e creare test per ogni materia e grado scolastico.

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Sito libro

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Test e Verifiche

Un ampio database di quesiti ed esercizi per creare verifiche e allenarsi.

Ogni Tema si apre con una grande immagine che propone un contesto di realtà accompagnato da un breve testo di avvio della lezione in classe.

La teoria Atlante del corso

Dal QR si accede alle presentazioni LIM delle unità appartenenti al Tema.

In apertura è proposto il percorso didattico del tema e la presentazione delle diverse schede di approfondimento.

Collegamenti con le altre discipline allenano in vista del colloquio orale d’esame.

Definizioni e concetti importanti sono messi in evidenza.

Dal QR nel box CLIL si accede alle sintesi delle unità in inglese, francese e spagnolo.

Podcast con accesso immediato da QR sui premi Nobel che hanno cambiato le nostre vite.

catene proteiche

La struttura a β-foglietto 3.32 si ha, invece, quando

diverse zone della stessa catena giacciono una accanto all’altra, unite tra loro da legami a idrogeno e disposte a formare delle pieghe in maniera da poter accomodare gruppi R trasversali al piano del foglietto. La struttura β caratterizza, per esempio, la fibroina della seta, una proteina che può avere notevoli applicazioni in medicina e nel campo dell’ingegneria dei tessuti. La struttura terziaria La catena proteica si ripiega

terziaria è stabilizzata da interazioni chimiche di vario tipo (legami idrogeno, interazioni idrofobiche, ponti disolfuro ecc.) tra residui amminoacidici che possono essere anche molto lontani nella struttura primaria. Variazioni di temperatura o di pH possono modificare profondamente la struttura terziaria delle proteine che, perdendo la loro configurazione (chiamata folding cioè ripiegamento), perdono anche la propria attività biologica e modificano alcune caratteristiche. Tale fenomeno si chiama denaturazione ed è spesso un processo irreversibile.

ché

torna fluido perché l’albumina non è in grado di assumere nuovamente la propria struttura terziaria. La struttura quaternaria La struttura quaternaria è data dall’associazione di due

rende

sodo,

Domande in itinere per esercitarsi all’esposizione orale dei concetti chiave del paragrafo

Indice dei contenuti

Viaggio nelle STEM X

La nuova educazione civica XII

Indice analitico XIII

A La chimica del carbonio

1 Il carbonio e gli idrocarburi

Quattro moduli CLIL completi di audio per studiare chimica, biochimica, biologia e scienze della Terra in lingua inglese

LABORATORIO

Cinque esperienze di laboratorio visuale proposte in digitale in modalità interattiva per sperimentare in classe o da casa

Presentazione LIM

Video Friedrich Wöhler

• Idrocarburi

• Modelli molecolari: il metano • Modelli molecolari: gli alcani superiori • L’isomeria di struttura

• Assegna il nome a un alcano • Modelli molecolari: i cicloalcani • La stereoisomeria • Modelli molecolari: la stereoisomeria • Assegna il nome a un alchene • Gli isomeri ottici • Michael Faraday • Dame Kathleen Lonsdale • Benzene: dalla scoperta all’utilizzo • Gli idrocarburi aromatici

Attività Avogadro Gli isomeri di struttura • Le caratteristiche geometriche dei conformeri del cicloesano • Gli stereoisomeri: un esempio di isomeri geometrici • Gli stereoisomeri: un esempio di isomeri ottici • Alcano, alchene, alchino: una questione di legami

Mappa personalizzabile

Sintesi e audiosintesi Unità

Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad

Hub Test

PER CHIUDERE TEMA A

Storie e idee della chimica

Breve storia del plastica 52

Understanding Our World With STEM Turning the tide with compostable PLA 54

civica

verdi 55

56

Presentazione LIM

Video Modelli molecolari: i gruppi funzionali • La nomenclatura degli alcoli • La nomenclatura delle ammine

Attività Avogadro Gruppi funzionali: aldeidi e chetoni • Gruppi funzionali: acidi organici e derivati

Podcast Giulio Natta

Mappa personalizzabile

Sintesi e audiosintesi Unità

Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad Hub Test

B La chimica della vita

3

Le biomolecole

3.1 La biochimica e le biomolecole

3.2 I carboidrati

3.3 I lipidi

3.4 Gli amminoacidi, i peptidi e le proteine

3.5 Gli enzimi e la catalisi 80

3.6 Le vitamine

COLLEGA STORIA

Pellagra: l’importanza di una vitamina

3.7 Gli acidi nucleici

Presentazione LIM

Video L’isomeria nei monosaccaridi • Allergie vs intolleranze • I legami alfa e beta del glucosio • La nomenclatura degli acidi grassi • Gli acidi grassi cis e trans

Attività Avogadro Monosaccaridi e stereoisomeria • Monosaccaridi e anomeria • Fluidità di membrana: saturi o insaturi? • Fluidità di membrana: cis o trans? • Il legame peptidico: costruisci un tripeptide • Proteine: le strutture • Proteine: alfa elica, beta foglietto e loop • Gli acidi nucleici: DNA e RNA

Podcast Dorothy Crowfoot Hodgkin

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Sintesi e audiosintesi Unità Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad Hub Test

4

Il metabolismo e la fotosintesi

4.1 Il metabolismo cellulare 98

4.2 Il ciclo dell’ATP 101

4.3 Il metabolismo dei carboidrati: una panoramica 102

4.4 Il metabolismo del glicogeno 103

4.5 La glicolisi 105

4.6 Il metabolismo aerobico del glucosio 108

4.7 Il metabolismo anaerobico del glucosio 113

4.8 La resa energetica complessiva del metabolismo del glucosio 115

4.9 Altre vie metaboliche del glucosio 116

4.10 Il metabolismo di lipidi e proteine: una panoramica 117

4.11 Che cos’è la fotosintesi

COLLEGA LETTERATURA ITALIANA Le piante e la vita sugli alberi raccontate da Calvino 122

4.12 La fase luminosa

4.13 La fase oscura: il ciclo di Calvin

4.

Presentazione LIM

Video Il metabolismo • Acetil-CoA: il punto di snodo della respirazione cellulare • La catena respiratoria • La catalisi rotazionale dell’ATP • La fase luminosa della fotosintesi

Podcast Sir Walter Norman Haworth

Educazione civica Proteggersi dall’inquinamento con l’alimentazione 139

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Sintesi e audiosintesi Unità Unit Summary

Sommaire de l’Unité Resumen de la Unidad Hub Test

C Le tecnologie

5

I geni e la loro regolazione

5.1 Organizzazione e replicazione del DNA 142

5.2 L’espressione genica: trascrizione e traduzione 144

5.3 La regolazione dell’espressione genica nei procarioti 146

5.4 La regolazione dell’espressione genica negli eucarioti 149

5.5 I virus 154

5.6 SARS-CoV-2 158

COLLEGA LETTERATURA INGLESE

Resistere al contagio in tempi di pandemia 160

5.7 Il trasferimento genico orizzontale nei procarioti 161

5.8 Gli elementi genetici mobili 164

Ripassa con metodo 166

Esercizi 167

6

Dal DNA ricombinante alle biotecnologie

6.1 Le biotecnologie 172

6.2 Dal DNA ricombinante al clonaggio 173

6.3 La reazione a catena della polimerasi 179

6.4 Estrazione e separazione del DNA 181

6.5 Il DNA e le analisi forensi 183

6.6 Il sequenziamento del DNA 184

6.7 Dalla genomica alle altre scienze omiche 189

6.8 Le piante e gli animali geneticamente modificati 192

6.9 Biotecnologie ambientali e applicazioni industriali 196

6.10 Biotecnologie per la salute umana 199

COLLEGA LETTERATURA

INGLESE

Progresso scientifico e visione del mondo, tra speranze e paure 206

6.11 Editing genomico e CRISPR-Cas9 207

Ripassa con metodo 208 Esercizi 209

PER CHIUDERE TEMA C

Storie e idee della biologia

Breve storia dell'editing genomico 214

Understanding Our World With STEM CRISPR/Cas9 applied to gene therapy 216

Educazione civica

L’impatto delle piante

GM sulla biodiversità 217

Autoverifica 218

CONTENUTI DIGITALI INTEGRATIVI

Presentazione LIM

Video Duplicazione del DNA • Il codice genetico • La regolazione dell’espressione genica • La scoperta degli introni • Viruses (online) • Il ciclo riproduttivo di SARS-CoV-2

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Sintesi e audiosintesi Unità Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad

Hub Test

Presentazione LIM

Video La tecnologia del DNA ricombinante • Clonaggio molecolare • Kary Banks Mullis • La reazione a catena della polimerasi • Il DNA e le scienze forensi, Scienze forensi: applicazioni ed esempi • Il DNA fingerprinting • Il sequenziamento del DNA • I microarray di DNA • Ibridi, chimere e OGM • Molecole organiche: energia dalle biomasse • La terapia genica • Editing genetico con sistema CRISPR/Cas9

Podcast Kary Banks Mullis • Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier

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Sintesi e audiosintesi Unità Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad Hub Test

7

La struttura interna della Terra

7.1 La Terra, un sistema da conservare 220

7.2 Densità e composizione dei materiali terrestri 222

7.3 La struttura interna del Pianeta e la sismologia 224

7.4 Il calore terrestre 232

7.5 Il vulcanismo 236

COLLEGA LETTERATURA

LATINA

Il Vesuvio e la prima eruzione pliniana mai descritta 240

Presentazione LIM

Video I minerali e le rocce • Cosa sono i terremoti • I terremoti • Come difendersi dai terremoti • I vulcani

Approfondimenti I minerali • Le rocce ignee • I fenomeni vulcanici

Mappa personalizzabile

Sintesi e audiosintesi Unità

Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad Hub Test

e risorse del sistema Terra

8

La dinamica terrestre

8.1 La teoria della deriva dei continenti 250

8.2 L’esplorazione degli oceani e la teoria dell’espansione dei fondali 254

8.3 La teoria della tettonica delle placche 259

8.4 Le forze che muovono le placche 268

COLLEGA LETTERATURA FRANCESE

Da esplorazioni geologiche ad avventure letterarie e ritorno 270

Ripassa con metodo 271 Esercizi 272

9 La dinamica dell’atmosfera

9.1 Le caratteristiche dell’atmosfera 276

9.2 Il riscaldamento dell’atmosfera 278

9.3 Tempo e fenomeni meteorologici complessi 280

9.4 I climi della Terra 288

9.5 Il cambiamento climatico 290

COLLEGA LETTERATURA

INGLESE

La natura inviolabile che si ribella all’essere umano 293

9.6 Mitigazione climatica e adattamento 295

Ripassa con metodo 297 Esercizi 298

Presentazione LIM

Video La dinamica terrestre

Approfondimenti La scala cronostratigrafica • Le rocce sedimentarie • Le rocce metamorfiche

Mappa personalizzabile

Sintesi e audiosintesi Unità Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad Hub Test

Presentazione LIM

Video L’effetto serra • Le precipitazioni • Le previsioni del tempo • APPassionati di meteo • Gli ambienti e i biomi • I cambiamenti climatici

Approfondimenti Lo spettro elettromagnetico • I venti

Podcast Mario José Molina Mappa personalizzabile

Sintesi e audiosintesi Unità Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad Hub Test Presentazione LIM

10 Le scienze per la sostenibilità

10.1 L’Antropocene 302

10.2 Le fonti di energia non rinnovabili 303

10.3 Le fonti di energia rinnovabili 306 10.4 Le risorse minerarie 308 10.5 Sviluppo sostenibile e Agenda 2030

309

10.6 Economia circolare e transizione energetica 310

COLLEGA LETTERATURA INGLESE

Tempi difficili per il Pianeta

312 Ripassa con metodo 313 Esercizi 314

PER

CHIUDERE TEMA D

Storie e idee della scienze della Terra Breve storia degli accordi sul clima 316

Understanding Our World With STEM The climate puzzle solved by attribution science 318 Educazione chimica Agire contro il cambiamento climatico 319 Autoverifica 320

Presentazione LIM

Video Le fonti energetiche • Energie non rinnovabili • Energie rinnovabili • La sostenibilità • Ambiente e sviluppo sostenibile • 17 video sugli obiettivi dell’Agenda 2030 • L’economia circolare

Approfondimenti La scala cronostratigrafica • Le rocce sedimentarie • I cicli biogeochimici • Una guida all'energia della Terra Podcast Stanley Whittingham, Akira Yoshino e John Bannister Goodenough • Giorgio Parisi • Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann

Mappa personalizzabile

Sintesi e audiosintesi Unità Unit Summary

Sommaire de l’Unité

Resumen de la Unidad Hub Test

Viaggio nelle STEM

STEM è l’acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), le discipline di ambito tecnico-scientifico. Acquisire conoscenze e competenze nelle STEM dà la possibilità di svolgere tante professioni diverse, molto richieste dal mercato del lavoro, e partecipare in prima persona al progresso scientifico e tecnologico futuro. Parti alla scoperta dei percorsidiformazioneSTEMpiùadattiateperunasceltapost-diploma consapevole e informata.

Scopri chi sei e orientati nelle STEM

Per ognuno dei tre insiemi, Ambizioni, Abilità e competenze e Passioni e interessi, seleziona almeno tre fra le parole o frasi proposte che pensi ti rispecchino di più. Conta i pallini colorati associati alle parole che hai scelto e riporta i conteggi nella griglia a lato.

Qual è il colore che ricorre più spesso?

Segui la freccia del colore più frequente, scansiona il QR ed esplora l’area STEM di riferimento. Puoi esplorarne più di una.

AMBIZIONI

MIGLIORARE LA VITA

DELLE PERSONE

INSEGNARE

DIVULGARE

PROGETTARE NUOVE TECNOLOGIE

ANALISI DATI

REMUNERAZIONE ECONOMICA

ABILITÀ E COMPETENZE

PROBLEM SOLVING TEORICO

PROBLEM SOLVING PRATICO

CREATIVITÀ

PROGRAMMAZIONE INFORMATICA

LOGICA

MANUALITÀ

SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

DIRIGERE E COORDINARE UN GRUPPO

VINCERE UN PREMIO IN UNA COMPETIZIONE

CERCARE SOLUZIONI ATTRAVERSO MODELLI RIPETIBILI

LAVORO IN GRUPPO

CAPACITÀ ANALITICHE

ATTENZIONE AL PROCEDIMENTO, NON SOLO AL RISULTATO PENSIERO ASTRATTO

PASSIONI E INTERESSI

COMUNICARE

FINANZA

CREARE O TROVARE

MODELLI

SFIDE INTELLETTUALI

SFIDE PRATICHE

MONDO NATURALE

MISTERI DELL’UNIVERSO DIMOSTRAZIONI

E CALCOLI COMPLESSI

LABORATORIO

ROBOTICA

PROGRAMMAZIONE

SCIENZE TECNOLOGIA INGEGNERIA MATEMATICA

con per l’orientamento

Viaggio nelle STEM nasce dalla collaborazione tra Rizzoli Education e Generazione Stem. L’obiettivo è supportare le ragazze e i ragazzi nella scelta formativa più adatta a loro e in linea con le richieste del mondo del lavoro.GenerazioneStemèunacommunitysocialdedicataallediscipline STEM e attenta ai temi di uguaglianza di genere (generazionestem.it).

AccediallapaginadelsitodiRizzoliEducationdedicataall’orientamento per trovare spunti, riflessioni e materiali per una efficace didattica orientativa.

Science

Accedi alle videopillole

• Scienze biologiche vs biotecnologie: scopri la differenza!

• Mille sfumature di chimica

• La fisica che non ti aspetti!

Technology

Accedi alle videopillole

• Con l’AI puoi lavorare dove vuoi!

• Ti piacerebbe lavorare nel mondo del digital marketing?

• Biorobotica e bionica: la scienza e la tecnologia superano l’immaginazione

Engineering

Accedi alle videopillole

• Alla scoperta del vasto mondo dell’ingegneria

• Di cosa si occupa un ingegnere energetico?

• Ingegneria informatica o informatica? Scopriamo le differenze!

Mathematics

Accedi alle videopillole

• Matematica? La passione viene studiando!

• Statistica: cosa studierai e dove puoi lavorare?

• Chi è e cosa fa un Data Scientist?

PROGETTO ORIENTAMENTO

La nuova educazione civica

PER EDUCARE AL FUTURO

L’introduzione dell’insegnamento dell’Educazione Civica a partire dal 2020 è un passo molto importante, che va nella direzione della promozione alla partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale della comunità e della formazione di cittadine e cittadini responsabili. I contenuti dell’insegnamento sono stati articolati dalle norme intorno a tre nuclei concettuali, ampliati e integrati nel 2024 da nuove Linee guida, attorno ai quali si sviluppa il processo di formazione di ragazzi e ragazze.

Costituzione

Attraverso l’educazione alle regole e alla legalità e la conoscenza della Costituzione e dei suoi principi, si favorisce il rispetto delle norme per il benessere collettivo, si contrastano discriminazioni, bullismo, criminalità e illegalità e si promuovono comportamenti responsabili e sicuri per sé e per gli altri.

Sostenibilità e sviluppo economico

Lo sviluppo economico deve essere compatibile con la tutela della salute, della dignità umana, dell’ambiente e della biodiversità, in linea con i principi della Costituzione. Rientrano in questo ambito l’educazione alla salute, la protezione della biodiversità e la bioeconomia Questo nucleo aggiornato racchiude i principi dell’Agenda ONU 2030 e del quadro europeo delle competenze per la sostenibilità (GreenComp).

Cittadinanza digitale

Tramite una corretta educazione digitale, che passa attraverso percorsi che includono la sicurezza online, nonché la conoscenza dell’Intelligenza Artificiale (AI), si promuove la padronanza degli strumenti fondamentali per svolgere il proprio ruolo nella società.

Per Principi di biochimica con scienze della Terra

Il volume Principi di biochimica con scienze della Terra prevede un percorso di cittadinanza attraverso: le pagine di approfondimento di educazione civica, alcuni esercizi nella sezione competenze e le tematiche affrontate nelle schede STEM in lingua inglese.

Gli approfondimenti di educazione civica realizzati in collaborazione con Legambiente non sono solo un mezzo per fornire agli studenti spunti che colleghino lo studio delle scienze agli Obiettivi dell’Agenda 2030, ma anche per sottolineare la relazione tra ambiente e salute e stimolare una connessione tra quanto appreso nel libro di testo e la realtà che ci circonda nella vita di tutti i giorni.

Di seguito riportiamo una mappatura dei contenuti dedicati suddivisi per Sezione.

Sezione

Sezione A

La chimica del carbonio

Sezione B

La chimica della vita

Sezione C

Le tecnologie per la vita

Sezione D

Dinamica e risorse del sistema Terra

Contenuti di educazione civica nel volume

Educazione civica Plastiche verdi p. 55

Scheda STEM p. 54

Esercizi di competenza pp. 32, 50

Educazione civica Proteggersi dall’inquinamento con l’alimentazione p. 139

Scheda STEM p. 138

Esercizi di competenza pp. 96, 134

Educazione civica L’impatto delle piante GM sulla biodiversità p. 217

Scheda STEM p. 216

Esercizi di competenza pp. 170, 212

Educazione civica Agire contro il cambiamento climatico p. 319

Scheda STEM p. 318

Esercizi di competenza pp. 248, 274, 300, 315

Obiettivi dell’Agenda 2030

Obiettivo Agenda 2030

ALa chimica del carbonio

Sai che cos’è il polipropilene isotattico? Chi l’ha inventato e in che modo questo materiale ha rivoluzionato la nostra società? Scoprirai che molti oggetti leggeri e colorati di uso comune, come i contenitori ermetici o le insalatiere, hanno questo polimero in comune, e ne conoscerai le caratteristiche chimiche.

Accedi alle presentazioni LIM

Studia l’U1 per capire che cosa sono i composti organici e quali sono le loro caratteristiche e l’U2 per capire come classificare i composti organici in base alla presenza nelle loro molecole di un determinato gruppo funzionale.

Consulta la linea del tempo a pagina 52 e scopri la storia della plastica, dall’invenzione del primo materiale plastico sintetico a opera di Leo Baekeland nel 1907, fino alla costruzione del primo impianto di riciclaggio negli anni Settanta del secolo scorso e all’invenzione delle bioplastiche.

La plastica può essere prodotta solo a partire dal petrolio? Per ridurre l'impatto ambientale della plastica tradizionale, la comunità scientifica ha sviluppato bioplastiche prodotte a partire da materie prime rinnovabili. Rifletti con le proposte a pagina 54.

Esistono diversi tipi di bioplastiche, con un diverso impatto sull’ambiente. Qual è la differenza tra un materiale plastico biodegradabile e uno compostabile? Informati con la scheda a pagina 55.

Leggi una sintesi dei contenuti anche nelle altre lingue che stai studiando

CLIL

1.1 Esempi di molecole organiche sono: (a) la cera delle candele e (b) la carta, formata prevalentemente da cellulosa.

1.1 Il carbonio nei composti organici

Fin dalla preistoria agli esseri umani fu chiara la differenza tra i materiali che derivavano dagli organismi viventi e le rocce o i minerali. I primi potevano costituire nutrimento per gli esseri viventi e per azione del fuoco sembravano scomparire. Il fuoco trasformava anche rocce e minerali, che non erano però commestibili. Nel XVIII secolo gli scienziati ritennero di aver capito in che cosa consistesse questa differenza e nel 1807 J. Jacob Berzelius (1779-1848) propose di distinguere i due tipi di materiali, denominandoli:

 organici, se derivati dagli organismi viventi, che sembravano dotati di una forza vitale non misurabile, l’essenza della vita;

 inorganici, se derivati dai minerali, ritenuti privi della forza vitale. Per questa ragione i chimici credettero a lungo di non poter sintetizzare in laboratorio composti organici. La svolta avvenne nel 1828, quando Friedrich Wöhler (1800-1882), per riscaldamento del cianato d’ammonio, un composto inorganico, ottenne l’urea, un composto organico.

d’ammonio

A partire da quel momento, cominciò a entrare in crisi l’idea dell’esistenza di una forza vitale e, con l’isolamento di un numero sempre maggiore di sostanze, risultò evidente che queste avevano in comune l’atomo di carbonio.

I composti organici sono tutti i composti contenenti carbonio, sia appartenenti a organismi viventi sia ottenuti per sintesi.

A differenza di quelle inorganiche, le sostanze organiche sono formate da pochi elementi, ma sono numerose e costituiscono la maggior parte degli oggetti che utilizziamo quotidianamente 1.1 .

cianato
Friedrich Wöhler

1.2 Il carbonio: un elemento versatile

L’atomo di carbonio (Z = 6) occupa una posizione centrale nella tavola periodica. Gli elementi alla sua sinistra tendono a cedere elettroni, mentre quelli alla sua destra tendono ad acquistare elettroni.

Il carbonio invece non ha una spiccata tendenza né a cedere né ad acquistare elettroni, ma può condividerli con altri atomi di carbonio, formando catene, con l’idrogeno e con atomi di altri elementi, detti eteroatomi.

In questo modo il carbonio è in grado di formare milioni di composti con le più svariate proprietà chimiche.

La chimica organica è la branca della chimica che studia la struttura, le proprietà fisiche e chimiche dei composti organici e i metodi per ottenerli.

Questa straordinaria versatilità dell’atomo di carbonio non è spiegabile con le teorie del legame comunemente impiegate per i composti inorganici. Infatti, la teoria del legame di Lewis o la teoria del legame di valenza (VBT, dall'inglese valence bond theory) non sono sempre in grado di prevedere la struttura di alcune molecole. Questo è vero in particolare per le molecole organiche. La configurazione allo stato fondamentale dell’atomo di carbonio è [He]2s22p2 , come illustrato nella parte sinistra della Figura 1.2 . Secondo la teoria del legame di valenza, il carbonio, avendo due elettroni spaiati nella sua configurazione elettronica, dovrebbe formare due legami covalenti. Sappiamo però che la molecola CH2 è molto instabile e non esiste nelle comuni condizioni di temperatura e pressione.

Una molecola che invece conosciamo molto bene è il metano, CH4 , che viene impiegato per il riscaldamento delle nostre case o per alimentare i fuochi delle nostre cucine. Nel metano un atomo di carbonio si lega a quattro atomi di idrogeno. Questa possibilità può essere spiegata introducendo il modello degli orbitali ibridi. In questo modello, l’orbitale atomico 2s e i tre orbitali atomici 2p del carbonio si combinano per formare quattro nuovi orbitali, detti orbitali ibridi sp3, di uguale energia, ognuno dei quali è occupato da un elettrone, come illustrato nella parte destra della Figura 1.2 . Il carbonio ha quindi quattro elettroni spaiati e può formare quattro legami energeticamente uguali. In questo modo si riescono anche a spiegare gli angoli di legame del metano che sono diretti ai vertici di un tetraedro.

Di seguito analizzeremo i vari tipi di ibridizzazione e come ognuno possa aiutare a spiegare la struttura di alcune molecole organiche.

Ricorda

Nella formula molecolare sono indicati il tipo e, con un numero a pedice, il numero di atomi che compongono la molecola.

 Ibridizzazione sp3 – Si ottiene dalla combinazione di un orbitale s e di tre orbitali p per formare quattro orbitali ibridi identici sp3, contenenti ciascuno un elettrone. Ogni orbitale sp3 può sovrapporsi all’orbitale s di un atomo di idrogeno o a un orbitale sp3 di un altro atomo di carbonio, dando luogo a legami covalenti singoli, i legami sigma (σ), come quelli presenti negli alcani, classe di composti organici che studieremo nel paragrafo 1.4.

 Ibridizzazione sp2 – Dalla combinazione di un orbitale s e due orbitali p si ottengono tre orbitali identici sp2, contenenti ciascuno un elettrone. Due orbitali sp2 di due atomi di carbonio sovrapposti formano un legame σ C C; i rimanenti due orbitali sp2 possono formare legami σ con atomi di idrogeno o altri atomi di carbonio. Gli orbitali p, non coinvolti nell’ibridizzazione, si legano longitudinalmente dando un secondo legame tra i due carboni, il legame pi greco (π), caratteristico degli alcheni (paragrafo 1.7).

 Ibridizzazione sp – Si ottiene dalla combinazione di un orbitale s e di un orbitale p, che fornisce due orbitali ibridi identici sp, contenenti ciascuno un elettrone. Due atomi di carbonio così ibridizzati possono legarsi con un legame σ sovrapponendo una coppia di orbitali sp, e con due legami π, perpendicolari tra loro, ottenuti dalla sovrapposizione delle due coppie di orbitali p non ibridizzati. Si ottiene così un triplo legame, caratteristico degli alchini, (paragrafo 1.8). I restanti due orbitali sp possono formare legami σ con atomi di idrogeno o altri atomi di carbonio.

La rappresentazione delle molecole organiche

Per rappresentare le molecole organiche spesso non è sufficiente la formula molecolare, perché a una stessa formula possono corrispondere più molecole. Per esempio, alla formula molecolare C6H14 corrispondono cinque molecole diverse che differiscono per la sequenza in cui sono legati gli atomi di carbonio. Per distinguerle è più opportuno usare le formule di struttura, o formule di Lewis, in cui sono rappresentate tutte le coppie di elettroni di legame come linee e le eventuali coppie solitarie come punti attorno all’atomo.

Molecole che hanno la stessa formula molecolare, ma diversa formula di struttura, si definiscono isomeri di struttura.

La formula di struttura può essere scritta in modo esteso, ma è più semplice utilizzare le seguenti tipologie di rappresentazione.

 La formula razionale omette i legami carbonio-idrogeno e quindi fornisce una rappresentazione più “compatta”:

 La formula condensata omette anche l’indicazione dei legami carbonio-carbonio:

3(CH2)4CH3

 La formula a linee di legame (o formula topologica) descrive la struttura attraverso una linea spezzata nella quale ogni segmento rappresenta un legame e gli estremi del segmento gli atomi di carbonio. Gli atomi di idrogeno e i relativi legami non vengono indicati:

2 CH2 equivale a

2 CH2 CH3

Oltre che con le formule di struttura, le molecole organiche possono essere rappresentate utilizzando i modelli tridimensionali, che permettono di visualizzare nello spazio i legami tra gli atomi e le loro posizioni reciproche. Per esempio, sono di notevole aiuto i modelli a sferette e bastoncini che utilizzano sferette di colori convenzionali per rappresentare i vari atomi e bastoncini di diversa lunghezza per rappresentare i vari tipi di legame 1.3 .

b

È inoltre possibile rappresentare sul foglio la geometria tetraedrica dell’atomo di carbonio ibridato sp3 utilizzando la struttura a cunei pieni e tratteggiati o formula prospettica

In questo tipo di rappresentazione, molto utilizzata per le molecole organiche, per convenzione si ha che 1.4 :

 i legami disegnati con tratti continui giacciono sul piano del foglio;

 i legami rappresentati con cunei pieni sono diretti verso l’osservatore, e cioè al di sopra del foglio;

 i legami rappresentati con cunei tratteggiati sono diretti lontano dall’osservatore, e cioè al di sotto del piano del foglio.

1.3 Modelli a sferette e bastoncini di due alcani.

In base alla struttura, gli atomi di carbonio possono essere classificati in funzione del numero di legami che ciascuno di essi forma con altri atomi di carbonio. Il carbonio primario è legato a un solo atomo di carbonio, mentre quello secondario, terziario e quaternario sono gli atomi di carbonio legati rispettivamente a 2, 3, 4 atomi di carbonio. Per esempio, nella seguente molecola si possono individuare cinque atomi di carbonio primario, uno secondario, uno terziario e uno quaternario:

1.4 Le convenzioni grafiche delle formule prospettiche.

Risposta breve

1. Come sono detti gli atomi presenti in un composto organico, diversi da carbonio e idrogeno?

2. Quale modello di legame è il più adatto a spiegare la struttura delle molecole organiche?

3. Come si ottengono gli orbitali ibridi sp3?

4. In che cosa consiste la formula topologica?

5. Quando un atomo di carbonio viene detto terziario?

Idrocarburi VIDEO

1.3 Gli idrocarburi

A CATENA APERTA (ACICLICI)

IDROCARBURI

A CATENA CHIUSA (CICLICI)

INSATURI

cicloalcani alcani alchini alcheni

VIDEO

Modelli molecolari: il metano

Ricorda

La teoria VSEPR (Valence Shell Electron-Pair Repulsion) ci permette di ricavare la geometria delle molecole partendo dalle formule di Lewis, tenendo conto del fatto che coppie di elettroni esterni tendono a respingersi reciprocamente.

1.4 Gli alcani

1.5 La molecola del metano, CH4, presenta (a) quattro legami σ con quattro atomi di idrogeno (b) e una struttura tetraedrica con angoli di 109,5°.

cicloalcheni cicloalchini aromatici

Gli alcani sono la più semplice classe di idrocarburi alifatici.

Gli alcani sono composti organici formati esclusivamente da atomi di carbonio e idrogeno legati da legami covalenti singoli.

Il carbonio può formare quattro legami covalenti impiegando quattro orbitali ibridi sp3 contenenti un elettrone ciascuno. In accordo con la geometria prevista dal VSEPR, tali orbitali si dispongono lungo i vertici di un tetraedro regolare per rendere minima la reciproca repulsione.

La molecola del metano (CH4), l’alcano più semplice, deriva dalla sovrapposizione dei quattro orbitali ibridi sp3 del carbonio con l’orbitale s di ciascuno dei quattro atomi di idrogeno, dando luogo a quattro legami semplici, i legami σ, con angoli di legame di 109,5° 1.5a . La sua molecola può essere rappresentata con la formula di struttura o con modelli tridimensionali 1.5b .

a sferette e bastoncini formula di struttura 109,5° H C H H H metano

I composti organici in cui il carbonio si lega solo con se stesso e con l’idrogeno prendono il nome di idrocarburi. Sulla base della loro struttura, gli idrocarburi possono essere classificati in saturi o insaturi e, a loro volta, possono essere a catena aperta o chiusa. Gli idrocarburi saturi sono costituiti da molecole i cui atomi di carbonio sono uniti da legami semplici. Gli idrocarburi insaturi, invece, sono costituiti da molecole che presentano almeno un legame multiplo, doppio o triplo. Alcani, alcheni, alchini, cicloalcani e cicloalcheni, per le loro proprietà fisiche, vengono classificati anche come idrocarburi alifatici (dal greco aleiphar, ἄλειφαρ, “olio, unguento”), perché sono insolubili in acqua. a b

modello

Gli orbitali sp3, oltre a sovrapporsi agli orbitali s di atomi di idrogeno, possono sovrapporsi agli orbitali sp3 di altri atomi di carbonio. In questo modo si ottengono molecole contenenti non solo legami C H, ma anche legami C C.

L’esempio più semplice è dato dall’unione di due atomi di carbonio tetraedrici, legati inoltre a sei atomi di idrogeno: si ottiene così l’etano, C2H6.

Anche in questa molecola, pertanto, ogni atomo di carbonio è legato a quattro atomi come nel metano, ma uno di essi è un atomo di carbonio 1.6 .

formula di struttura etano

H C C H H H H H

1.6 L’etano, C2H6, può essere rappresentato sia con la formula di struttura sia con modelli tridimensionali.

modello a sferette e bastoncini

L’idrocarburo che contiene tre atomi di carbonio e otto di idrogeno legati tra loro (C3H8) è denominato propano ed è rappresentato in Figura 1.7 .

propano

H H H H H H

H C C C H

formula di struttura

modello a sferette e bastoncini

L’idrocarburo che contiene quattro atomi di carbonio e dieci atomi di idrogeno è il butano (C4H10) ed è rappresentato in Figura 1.8 .

butano

H H H H H H H H

H C C C C H

formula di struttura

modello a sferette e bastoncini

Come si può notare, nella serie metano (CH4), etano (C2H6), propano (C3H8) e butano (C4H10), ogni termine differisce dal precedente per un gruppo CH2 in più. Pertanto, estendendo la serie a un numero n di atomi di carbonio, si ottiene la serie omologa degli alcani la cui formula generale è: CnH2n+2

In Tab. 1.1 sono riportati i nomi e le formule molecolari dei primi dieci alcani a catena lineare. 1.8 Il butano, C4H10

Tabella 1.1 Nomi e formule edi primi dieci alcani

Numero atomi di carbonio

1

2

3

4

5

atomi di carbonio

1.7 Il propano, C3H8
Modelli molecolari: gli alcani superiori

Gli isomeri di struttura

Solo ai primi tre termini della serie omologa degli alcani (metano, etano e propano) corrisponde un’unica formula di struttura:

Al quarto termine, il butano, corrispondono invece due modi diversi di concatenare gli atomi di carbonio, ovvero due isomeri di struttura o costituzionali come mostrano i modelli molecolari 1.9 .

Nel primo isomero di struttura la catena degli atomi di carbonio è lineare e questa caratteristica è indicata, nel nome, dal prefisso “normal ” o semplicemente “ n”: si ha quindi il normal-butano (o n-butano).

Nel secondo isomero di struttura la catena è ramificata e a questo idrocarburo è assegnato il nome di isobutano

Per il pentano (C5H12), oltre all’isomero a catena lineare che chiamiamo normal-pentano, si possono scrivere altri due isomeri a catena ramificata, denominati rispettivamente isopentano e neopentano:

1.9 Gli isomeri del butano.
L’isomeria di struttura

Il pentano, C5H12, può esistere in tre forme isomere diverse. Disegnale utilizzando le formule a linee di legame.

Utilizza le conoscenze

Gli alcani con più di quattro atomi di carbonio possiedono isomeri di struttura a catena lineare e a catena ramificata.

Nelle formule a linee di legame, la struttura è descritta da una linea spezzata nella quale ogni segmento rappresenta un legame e gli estremi del segmento gli atomi di carbonio.

Progetta la strategia

Per il composto C5H12 inizia scrivendo la catena lineare composta da cinque atomi di carbonio; poi determina gli isomeri, accorciando la catena centrale prima di un atomo di carbonio e poi di due, in modo da introdurre delle ramificazioni.

Applica la strategia

La prima sequenza che si può scrivere è certamente quella che mette in sequenza tutti e cinque gli atomi di carbonio dando luogo a una catena lineare. Ottieni così la formula del n-pentano:

Oltre alla catena lineare bisogna prendere in considerazione anche le catene ramificate. Accorciando di un’unità la catena centrale possiamo infatti legare il quinto atomo di carbonio a uno degli atomi interni, ottenendo la formula dell’isopentano:

È possibile infine innestare due ramificazioni alla catena ridotta a tre atomi di carbonio. Ovviamente le due ramificazioni dovranno appartenere allo stesso atomo di carbonio centrale. La struttura risultante è quella del neopentano:

Rifletti sul risultato

Alla formula molecolare C5H12 corrispondono tre diverse formule di struttura e cioè tre isomeri, denominati rispettivamente n-pentano, isopentano e neopentano. I tre composti possono essere rappresentati anche con le formule razionali, in questo modo:

isopentano

La nomenclatura degli alcani

Dato l’elevato numero di idrocarburi esistenti, per assegnare un nome a ciascuno di essi è necessario adottare un sistema di nomenclatura che sia allo stesso tempo semplice e preciso, che non dia luogo a equivoci.

Nel 1919 a Ginevra fu concordato un sistema di nomenclatura per tutti i composti organici, da allora costantemente aggiornato dalla International Union of Pure and Applied Chemistry (IUPAC).

Di seguito illustriamo le regole che la IUPAC ha stabilito per assegnare il nome agli alcani. Queste regole permettono di assegnare il nome a tutti i composti organici con semplici adattamenti del nome dello scheletro carbonioso, ovvero la struttura della molecola costituita considerando solo gli atomi di carbonio e idrogeno, che evidenzieremo di volta in volta.

Assegna il nome a un alcano

Tabella 1.2 Radici dei nomi dei primi 10 alcani Numero

1. Dato il composto:

si individua la catena principale ossia la sequenza più lunga e continua di atomi di carbonio (evidenziata di seguito in giallo).

Gli atomi o i gruppi di atomi non inclusi nella catena principale sono detti ramificazioni o sostituenti (evidenziati di seguito in verde).

I sostituenti costituiti solo da atomi di carbonio e idrogeno sono chiamati gruppi alchilici o radicali alchilici e vengono indicati generalmente con la lettera R. Se è possibile individuare più catene di uguale lunghezza come catena principale bisogna scegliere quella con più sostituenti.

2. Si assegna il nome alla catena principale. Questo nome è costituito da una radice e da una desinenza. La radice fa riferimento al numero di atomi di carbonio presenti; tranne che per i primi quattro alcani, per i quali essa è derivata da nomi comuni. A partire dal quinto alcano la radice si basa sulla parola greca indicante il numero (“penta”, “esa” e così via).

In Tab. 1.2 sono riportate le radici per i primi dieci termini della serie. La desinenza del nome dipende dal tipo di composto organico. Per gli alcani si usa la desinenza -ano e per i gruppi alchilici la desinenza -ile Tab. 1.3 . Nell’esempio riportato il composto è chiamato esano.

Tabella 1.3 Nomenclatura dei gruppi alchilici

3. Si numerano gli atomi della catena principale, facendo in modo che i carboni con i sostituenti abbiano i numeri più bassi possibili, tenendo sempre a mente che, se si individuano due catene di pari lunghezza, la catena principale è quella con il maggior numero di sostituenti; nel nostro caso si ha:

a. Nella numerazione in rosso i carboni con i sostituenti sono 2, 4, 4.

b. Nella numerazione in verde i carboni con i sostituenti sono 3, 3, 5. Per le regole IUPAC, la numerazione corretta è quella in rosso.

4. Il nome completo dell’alcano è dato dall’elenco dei nomi dei sostituenti, posti in ordine alfabetico, ciascuno preceduto dal numero dell’atomo di carbonio della catena principale a cui è legato, seguito dal nome della catena principale. Bisogna inoltre tenere presente che:

a. se compaiono più sostituenti uguali se ne indica la molteplicità tramite l’opportuno prefisso (di-, tri-, tetra- e così via);

b. i prefissi non concorrono all’ordine alfabetico dei sostituenti; per esempio, “trietil-” precede “dimetil-”, perché etile precede metile;

c. se sono presenti più sostituenti sullo stesso atomo di carbonio, il numero va ripetuto per ogni sostituente.

5. Nel nome, i numeri sono separati tra loro dalle virgole e sono separati dalle lettere con i trattini. Le parole successive vengono unite in un’unica parola, quindi si deve scrivere “trimetilesano” e non “trimetil esano”.

Il nome IUPAC della struttura precedente è quindi 2,4,4-trimetilesano.

Petrolio, una risorsa contesa

Opera: Killers of the Flower Moon (2023)

Autore: Martin Scorsese

Basandosi sul saggio Gli assassini della terra rossa del giornalista investigativo David Grann, il film Killers of the Flower Moon 1.a ripercorre le vicende della comunità nativa americana degli Osage. In questa comunità tuttora presente nel territorio dello Stato dell’Oklahoma si verificò, negli anni Venti del Novecento, una serie di morti inspiegabili o violente: un episodio rimosso della storia americana.

Gli Osage, originari del territorio corrispondente agli attuali Kansas e Missouri, vivevano di agricoltura e caccia al bisonte. Dal XVII secolo, a contatto con i coloni della Louisiana francese, corrispondente all’intero bacino del Mississippi, impararono a usare le armi da fuoco e prosperarono col commercio di cavalli e pellicce, dominando le tribù circostanti. Quando la Louisiana passò agli Stati Uniti nel 1803, il governo federale cercò di spingere a ovest del Mississippi le tribù dell’est, tra cui gli Osage.

Logorati da guerre con altre tribù e con i coloni, decimati dal vaiolo, controllati da guarnigioni insediate sempre più a Ovest, questi furono infine costretti a migrare sotto la pressione congiunta delle compagnie ferroviarie e dei coloni. Per questo, gli Osage ottennero un’indennità statale annua pagata in natura e in denaro, con l’obbligo però di scolarizzarsi, tramite gesuiti e suore cattoliche, e sedentarizzarsi, pur mantenendo i propri rituali.

Nel 1872 i poco più di duemila Osage superstiti comprarono dalla tribù dei Cherokee un magro territorio collinoso nel nord dell’Oklahoma, in cui nel 1894 fu scoperto un giacimento di petrolio, l’oro nero. Le compagnie estrattive cominciarono a pagare per i diritti di sfruttamento del territorio e questo comportò un salto del tenore di vita del popolo Osage. Il Congresso degli Stati Uniti li aveva tuttavia giudicati incapaci di amministrare denaro e aveva loro imposto dei tutori bianchi. Proprio alcuni di questi tutori, negli anni Venti, riuscirono a sottrarre loro i diritti tramite frodi o imparentandosi e poi eliminando a uno a uno i familiari per ereditare. La polizia locale, corrotta e incapace, non intervenne

1. Qual è la formula generale degli alcani?

2. Qual è la formula molecolare del decano?

3. Qual è il nome IUPAC del n-butano?

4. Che cos’è un gruppo alchilico?

finché gli Osage chiesero l’intervento dell’FBI: molti casi furono risolti, ma non tutti i colpevoli furono puniti.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Educazione civica). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

COLLEGA Storia
Risposta breve
1.a Locandina del film Killers of the Flower Moon

Seguendo le regole della nomenclatura IUPAC, assegna il nome al seguente alcano:

Utilizza le conoscenze

Segui le regole IUPAC indicate nel testo.

Progetta la strategia

Devi individuare la catena più lunga, i sostituenti e assegnare loro la posizione, in modo che i carboni della catena principale a cui sono legati abbiano il numero più basso possibile.

Applica la strategia

Individua la catena di atomi di carbonio più lunga:

Numera gli atomi di carbonio in modo che al sostituente sia attribuito il numero più basso:

Individua i radicali alchilici e la posizione del carbonio a cui sono legati:

Metti i radicali in ordine alfabetico anteponendo il prefisso opportuno.

Scrivi il nome del composto, ricordando di utilizzare le virgole e i trattini: 3-etil-2, 3, 6-trimetilottano

Rifletti sul risultato

La catena è stata numerata in modo che i sostituenti abbiano il numero più basso possibile.

Il nome 6-etil-3,6,7-trimetilottano, che si otterrebbe numerando la catena a partire dal carbonio più a sinistra, è sbagliato. Se avessimo scelto di attribuire il numero 1 al carbonio dell’etile avremmo ottenuto sempre un ottano, ma con un numero minore di sostituenti (vedi regola 3).

La struttura a linee di legame risulta più chiara: questa rappresentazione mostra anche gli angoli di legame, che vengono persi scrivendo la struttura in forma condensata.

PROBLEMA GUIDATO

Scrivi la formula di struttura del 3-etil-2-metilottano e classifica gli atomi di carbonio presenti.

Utilizza le conoscenze

Segui “a ritroso”le regole IUPAC indicate nel testo e ripassa la classificazione degli atomi di carbonio.

Progetta la strategia

Poiché il composto è un ottano, la catena principale deve avere otto atomi di carbonio; i sostituenti sono un gruppo etile e un gruppo metile, legati rispettivamente sull’atomo di carbonio 3 e 2.

Applica la strategia

Scrivi gli otto atomi di carbonio dell’idrocarburo, numerandoli:

Sistema nelle posizioni indicate i gruppi alchilici, cioè un metile sul carbonio 2 e un etile sul carbonio 3:

Completa la formula di struttura aggiungendo gli idrogeni mancanti:

Osservando la struttura che hai appena disegnato puoi classificare gli atomi di carbonio presenti sulla base del numero di legami che ciascuno di essi forma. Troverai quindi: • 4 carboni primari; • 5 carboni secondari; • 2 carboni terziari.

Rifletti sul risultato

La struttura che hai individuato poteva essere rappresentata anche in forma condensata, razionale o a linee di legame.

Formula condensata

3CH(CH3)CH(C2H5)(CH2)4CH3

Formula a linee di legame Formula razionale

3

2H5

VIDEO

Modelli molecolari: i cicloalcani

1.5 I cicloalcani

Gli idrocarburi incontrati finora sono molecole costituite da una catena aperta di atomi di carbonio. Catene che contengono tre o più atomi di carbonio possono formare strutture anulari o cicliche, detti cicloalcani. La chiusura della catena comporta la perdita di due atomi di idrogeno da parte dei due atomi di carbonio che devono unirsi tra loro. La formula generale di questi idrocarburi diventa: CnH2n

Il nome dei cicloalcani si forma facendo precedere il prefisso ciclo- al nome del corrispondente alcano a catena lineare. Se ai carboni dei cicloalcani sono legati uno o più gruppi alchilici si ottengono i cicloalcani sostituiti. Anche i cicloalcani possono essere rappresentati con formule a linee di legame, ma in questo caso la spezzata è chiusa a formare dei poligoni regolari: cicloesano

ciclopropano ciclobutano ciclopentano

AVOGADRO

Le caratteristiche geometriche dei conformeri del cicloesano

Le conformazioni dei cicloalcani

Nei cicloalcani tutti gli atomi di carbonio sono ibridizzati sp3 e dovrebbero quindi formare angoli di legame di 109,5°. In questi composti tuttavia, gli angoli tra i legami si discostano da questo valore: nel ciclopropano, per esempio, sono di 60°, nel ciclobutano di 90°, nel ciclopentano di 108° e nel cicloesano di 120°. Per questa ragione, queste molecole hanno un’elevata energia potenziale, detta tensione d’anello (combinazione tra la tensione angolare e sterica), e, nelle opportune condizioni, reagiscono facilmente oppure distorcono la loro struttura. Le molecole assumono così particolari conformazioni (dette conformeri) che si interconvertono rapidamente, in cui gli atomi di carbonio non sono più complanari. Si parla quindi di isomeria conformazionale. Per il cicloesano le più importanti conformazioni possibili sono le due conformazioni a sedia e la conformazione a barca. Queste conformazioni presentano tutte una tensione angolare pressoché nulla in quanto gli angoli di legame possono mantenere il valore di 109,5° proprio dell’ibridizzazione sp3 dell’atomo di carbonio. Le due conformazioni a sedia sono tuttavia più stabili di quella a barca in quanto i dodici atomi di idrogeno risultano meno ravvicinati nello spazio:

Risposta breve

1. Qual è la formula generale dei cicloalcani?

2. Perché il cicloesano è più stabile del ciclobutano o del ciclopentano?

1.6 La stereoisomeria

In questa Unità abbiamo già descritto un tipo di isomeri detti costituzionali, cioè molecole che, pur avendo la stessa formula molecolare, differiscono per le connessioni tra gli atomi. Esistono anche sostanze che hanno la stessa formula molecolare e la stessa connessione tra gli atomi, ma che si differenziano per la disposizione degli atomi o dei raggruppamenti di atomi nello spazio. Queste sostanze possiedono un tipo di isomeria detta stereoisomeria.

Gli stereoisomeri sono composti che hanno la stessa formula molecolare, la stessa formula di struttura, ma diversa disposizione degli atomi nello spazio.

La stereoisomeria può essere conformazionale, di cui abbiamo già parlato nel paragrafo precedente, o configurazionale. Quest’ultima può essere geometrica oppure ottica.

Esistono due tipi di isomeria ottica:  l’enantiomeria, di cui ci occuperemo di seguito, che si ha quando due isomeri sono uno l’immagine speculare dell’altro e non sono sovrapponibili;  la diastereoisomeria, che si ha quando due stereoisomeri non sono l’uno l’immagine speculare dell’altro.

ISOMERI

COSTITUZIONALI (di struttura)

STEREOISOMERI

CONFIGURAZIONALI

ottici geometrici

CONFORMAZIONALI

enantiomeri diastereoisomeri

Isomeria geometrica

L’isomeria geometrica è un tipo di isomeria configurazionale ed è legata all’impossibilità di rotazione attorno a un determinato legame. Ciò può accadere in presenza strutture cicliche o doppi legami, come vedremo nei paragrafi successivi. Per esempio, l’1,2-dimetilciclopentano può essere raffigurato con due diverse configurazioni spaziali: con i due gruppi metili che si trovano dallo stesso lato rispetto al piano della molecola o si trovano da parti opposte 1.10 Chiamiamo isomeri geometrici tali stereoisomeri. Essi sono denominati rispettivamente cis-1,2-dimetilciclopentano e trans-1,2-dimetilciclopentano.

VIDEO

• La stereoisomeria

• Modelli molecolari: la stereoisomeria

1.10 I modelli molecolari degli isomeri geometrici dell’1,2-dimetilciclopentano: (a) è l’isomero cis mentre (b) è l’isomero trans

Gli stereoisomeri: un esempio di isomeri geometrici

1.11 (a) Una molecola è chirale quando il carbonio è legato a quattro atomi o gruppi atomici diversi. (b) Una molecola chirale non è sovrapponibile alla sua immagine speculare, così come non lo sono tra loro la mano sinistra e la mano destra.

A differenza degli isomeri conformazionali, che sono interconvertibili per rotazione attorno ai legami semplici, gli isomeri geometrici non possono essere interconvertiti l’uno nell’altro senza ricorrere alla rottura di legami. Essi, pertanto, devono essere considerati due diversi composti che, pur avendo proprietà chimiche molto simili, differiscono per le proprietà fisiche. Essi, infatti, presentano diversi punti di fusione e di ebollizione e diversa solubilità.

Gli isomeri geometrici presentano anche attività biologica diversa. Può accadere, per esempio, che l’isomero cis interagisca con un enzima o con un recettore cellulare in modo del tutto diverso rispetto all’isomero trans

Isomeria ottica

Hai mai provato a mettere la scarpa destra al piede sinistro o a indossare il guanto destro nella mano sinistra? Il motivo per cui non riesci a farlo dipende dal fatto che il guanto destro e quello sinistro, come pure la scarpa destra e quella sinistra, non hanno la stessa forma.

Allo stesso modo è possibile osservare che la mano destra è l’immagine speculare della mano sinistra ma non è a essa sovrapponibile.

Si definisce chirale (dal greco cheir, χείρ, “mano”) qualunque oggetto che non sia sovrapponibile alla sua immagine speculare.

Viceversa, un oggetto si definisce achirale quando risulta sovrapponibile alla sua immagine speculare.

Se osserviamo attentamente vari oggetti chirali possiamo concludere che il requisito indispensabile della chiralità è quello di non presentare elementi di simmetria. Questo criterio può essere applicato a qualunque oggetto e quindi anche alle molecole.

La chiralità nelle molecole organiche è data dalla forma a tetraedro dell’atomo di carbonio quando è legato a quattro atomi o gruppi di atomi diversi 1.11a . Un carbonio così fatto è detto stereocentro o centro chirale.

Per evidenziare la chiralità delle molecole è opportuno ricorrere all’uso di modelli molecolari, utilizzando sferette di colore diverso per atomi o gruppi di atomi differenti. Se, dopo avere costruito il modello 1, costruiamo anche quello corrispondente alla sua immagine speculare 2, possiamo verificare che i due modelli non sono sovrapponibili 1.11b .

Per esempio, al 2-clorobutano corrispondono due diverse configurazioni speculari tra loro. Questi due stereoisomeri sono denominati enantiomeri 1.12

Per rappresentare gli stereoisomeri è opportuno usare le formule prospettiche. Per molecole con più centri chirali si ricorre spesso alle proiezioni di Fischer. Le molecole sono rappresentate in modo che il carbonio chirale si trova all’incrocio delle linee dei suoi quattro legami. La molecola tridimensionale è proiettata sul piano del foglio, come se fosse “schiacciata”: i due gruppi disposti verso l’alto si trovano sul segmento orizzontale e quelli disposti verso il basso sono sul segmento verticale 1.13 . Il punto di osservazione è quello del foglio: i sostituenti giallo e blu sono proiettati verso l’osservatore e quindi vengono riportati in orizzontale nella proiezione di Fisher.

1.12 I due isomeri del 2-clorobutano sono immagini speculari non sovrapponibili.

L’attività ottica

Due enantiomeri presentano identiche proprietà “achirali”, quelle cioè indipendenti dalla configurazione come il punto di fusione, la solubilità e la tendenza a reagire con sostanze achirali. Vi sono proprietà, invece, che possiamo chiamare “chirali” e che diversificano i due enantiomeri: ne è un esempio l’attività ottica, la proprietà di far ruotare il piano della luce polarizzata di un certo angolo α detto potere rotatorio. In particolare, l’enantiomero che fa ruotare a destra (cioè, in senso orario) il piano della luce polarizzata è chiamato destrogiro ed è indicato con il simbolo (+), mentre l’altro è definito levogiro ed è indicato con ( ). Una miscela al 50% dei due enantiomeri è chiamata miscela racemica o racemo Tale miscela non presenta più il fenomeno dell’attività ottica in quanto al suo interno si ha una compensazione dei due poteri rotatori opposti dovuti ai due enantiomeri. Ma che cos’è la luce polarizzata? La luce è una radiazione elettromagnetica che oscilla in un numero infinito di piani passanti per la direzione di propagazione. La luce polarizzata, invece, è una luce monocromatica (di una ben determinata lunghezza d’onda) che oscilla in un solo piano, chiamato piano di polarizzazione, e che può essere ottenuta facendo passare un raggio di luce normale attraverso una particolare lente, il filtro polarizzatore 1.14 .

1.13 I sostituenti sono proiettati verso l’osservatore e quindi vengono riportati in orizzontale nella proiezione di Fischer.

1.14 Le lenti da sole o quelle delle macchine fotografiche sono spesso filtri polarizzatori.

Gli isomeri ottici
VIDEO

AVOGADRO

Gli stereoisomeri: un esempio di isomeri ottici

La nomenclatura degli enantiomeri

Poiché due enantiomeri sono rappresentati dalla stessa formula di struttura, le regole IUPAC viste finora non sono in grado di distinguerli. Consideriamo per esempio i due enantiomeri del 2-bromobutano:

Risposta breve

1. Negli enantiomeri, quali proprietà sono identiche e quali diverse?

2. Qual è la nomenclatura IUPAC degli enantiomeri?

Per distinguere le due configurazioni, i chimici R.S. Cahn, C.K. Ingold e V. Prelog hanno proposto un metodo chiamato sistema R,S. Secondo questo sistema, i due enantiomeri sono indicati anteponendo al nome IUPAC la lettera R (dal latino rectus) oppure S (dal latino sinister) sulla base della priorità reciproca degli atomi o del gruppo di atomi legati al carbonio chirale. La priorità è assegnata tenendo conto delle seguenti regole, note come “regole CIP”, dalle iniziali dei loro ideatori.

1. In funzione del numero atomico dell’atomo direttamente legato al centro chirale, si assegna una priorità contrassegnata con i numeri 1, 2, 3 e 4: all’elemento con numero atomico più alto si attribuisce la priorità più alta, 1, mentre all’elemento con numero atomico più basso si assegna la priorità più bassa, 4. Applichiamo questa regola alle due configurazioni del 2-bromobutano:

Per distinguere tra il metile CH3 e l’etile CH2CH3 che legano il carbonio chirale mediante lo stesso atomo occorre applicare una seconda regola per definire le priorità.

2. Nel caso in cui gli atomi legati al centro chirale siano gli stessi (C sia per il metile, sia per l’etile) prendiamo in considerazione i numeri atomici degli atomi successivi. Poiché il carbonio del metile CH3 è seguito da tre idrogeni, mentre quello dell’etile CH2CH3 è seguito da due idrogeni e da un carbonio, la priorità del CH2CH3 (C, H, H) sarà più alta di quella del CH3 (H, H, H). Quindi, all’etile si deve assegnare la priorità 2 e al metile la priorità 3.

3. Si costruisce il modello molecolare (oppure si disegna la corrispondente formula prospettica), orientandolo in maniera che il gruppo con la priorità più bassa (4) sia collocato nella direzione opposta a quella dell’osservatore. La Figura 1.15 mostra l’applicazione di queste regole alla configurazione (b) del punto elenco 1. Congiungiamo idealmente i tre gruppi rimasti con delle frecce, passando da 1 a 2 a 3 e poi tornando a 1. Poiché per fare ciò abbiamo ruotato gli occhi in senso orario, abbiamo individuato l’enantiomero R; se al contrario avessimo mosso gli occhi in senso antiorario, avremmo individuato l’enantiomero S.

1.7 Gli alcheni

Gli alcheni sono idrocarburi che contengono almeno un doppio legame carbonio-carbonio e appartengono quindi alla classe degli idrocarburi insaturi. La loro formula generale è:

CnH(2n 2d) + 2

dove d è il numero di doppi legami.

Nel caso in cui sia presente un solo doppio legame si riduce a:

CnH2n

Struttura e nomenclatura degli alcheni

L’alchene più semplice è l’etene, C2H4, detto anche etilene 1.16 .

Ciascuno degli atomi di carbonio dell’etene forma quattro legami: un doppio legame con l’altro atomo di carbonio e due legami singoli con due atomi di idrogeno. Se, però, ai due atomi di carbonio del doppio legame si legano altri atomi di carbonio, si ottengono gli alcheni superiori, che costituiscono la serie omologa degli alcheni; ne sono due esempi il propene e l’1-butene 1.17 .

1.16 (a) L’etene stimola la maturazione della frutta; (b) modello molecolare dell’etene.

Tornando all’etene, la sua struttura può essere interpretata con la teoria dell’ibridizzazione che può spiegare in che modo l’atomo di carbonio organizzi i propri orbitali s e p per dar luogo a tre orbitali ibridi sp2. Questi orbitali contengono ciascuno un elettrone spaiato, disponibile per formare un legame covalente, e per rendere minima la reciproca repulsione si dispongono a 120° 1.18a . In questo modo, assumono una geometria trigonale planare in accordo con la geometria prevista dalla teoria VSEPR. L’orbitale p non ibridizzato è perpendicolare al piano definito dagli assi degli orbitali sp2 1.18b .

1.17 Formula di struttura e modello molecolare del propene, C3H6, e dell’1-butene, C4H8

1.18 (a) Gli orbitali ibridi sp2 e l’atomo di carbonio trigonale, (b) visto lateralmente e (c) visto dall’alto. Si noti l’orbitale p perpendicolare al piano degli orbitali sp2 .

1.19 Schema di formazione dei legami σ e π con orbitali ibridi sp2

1.20 Schema di formazione della molecola dell’etene.

Se un orbitale sp2 di un atomo di carbonio si sovrappone a un orbitale sp2 di un secondo atomo di carbonio lungo la direzione che congiunge i nuclei dei due atomi, si forma un legame σ 1.19a, b . Inoltre, dalla sovrapposizione laterale dei due orbitali p non ibridizzati (che si dispongono paralleli tra loro per consentire la massima sovrapposizione possibile) si origina un secondo legame tra i due atomi di carbonio, il legame π 1.19c .

Il legame π, però, è meno forte del legame σ. Diremo pertanto che i due atomi di carbonio ibridizzati sp2 sono uniti da un doppio legame: un legame σ, più forte, e un legame π, più debole. I quattro orbitali sp2 ancora disponibili, due per ciascun atomo di carbonio, potranno formare altrettanti legami σ con i quattro orbitali s dei quattro atomi di idrogeno, formando la molecola dell’etene 1.20 .

Nomenclatura degli alcheni

Per gli alcheni rimangono validi i criteri adottati dalla IUPAC per la denominazione degli alcani, ma occorre aggiungere qualche altra regola per assegnare il nome e fissare la posizione del doppio legame nella catena.

 Il nome dell’alchene è determinato dalla catena più lunga di atomi di carbonio che contiene il doppio legame. La desinenza caratteristica degli alcheni è -ene. Così, se la catena più lunga contiene cinque atomi di carbonio il nome dell’alchene è pentene, se ne contiene sei è esene e così via. In genere, la comparsa di -en- nel nome di un qualsiasi composto organico indica la presenza nel composto di un doppio legame.

 La catena più lunga di atomi di carbonio va numerata in modo da attribuire agli atomi di carbonio del doppio legame il valore più basso. La posizione del doppio legame è individuata dal numero del primo atomo di carbonio impegnato nel doppio legame e questo numero è normalmente posto davanti al nome dell’alchene.

Assegna il nome a un alchene
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PROBLEMA GUIDATO

Seguendo le regole della nomenclatura IUPAC, assegna il nome al seguente idrocarburo:

CH2=C CH2 CH3

CH2 CH3

Utilizza le conoscenze

Per assegnare il nome devi ricercare la catena più lunga di atomi di carbonio che contiene il doppio legame e numerarla in modo che il primo atomo di carbonio che partecipa al doppio legame abbia il numero più basso possibile. Ricorda che per gli alcheni la desinenza è -ene.

Applica la strategia

La catena più lunga contenente il doppio legame è di quattro atomi di carbonio (nella formula di struttura è stata evidenziata in verde), pertanto il nome dell’alchene è butene.

Numera la catena in modo che il primo carbonio del doppio legame abbia il numero più basso possibile: il legame è tra gli atomi 1 e 2, quindi il composto è un 1-butene.

Denomina i gruppi alchilici e individua il carbonio a cui sono legati. In questo caso hai un etile legato al carbonio 2:

Infine, scrivi il nome del composto utilizzando i numeri per individuare l’atomo di carbonio a cui è legato il gruppo alchilico e il primo carbonio coinvolto nel doppio legame. Tieni conto che devi utilizzare i trattini per separare i numeri dai nomi, come già visto per gli alcani:

2-etil-1-butene

Rifletti sul risultato

Anche se in apparenza la catena carboniosa più lunga è formata da cinque atomi di carbonio, essa non contiene il doppio legame e quindi non è stata considerata come catena principale e non dà il nome al composto.

L’isomeria geometrica

degli alcheni

I due orbitali p che formano il legame π devono essere paralleli per garantire la massima sovrapposizione, quindi la rotazione attorno al doppio legame non è consentita. Essa comporterebbe la rottura del legame π, ma sarebbero necessarie 263 kJ/mol, non disponibili a temperatura ambiente. Proprio a causa di questa barriera energetica, un alchene come il 2-butene può esistere in due forme distinte: una in cui gli idrogeni legati ai carboni del doppio legame si trovano dalla stessa parte rispetto al doppio legame, e l’altra in cui sono da parti opposte. Si tratta di due stereoisomeri, detti isomeri geometrici. Analogamente a quanto visto per gli isomeri geometrici dei cicloalcani, anche per gli alcheni si ricorre alla denominazione cis- e trans-, rispettivamente quando gli idrogeni sono dalla stessa parte e da parti opposte rispetto al doppio legame 1.21 .

1.21 Gli isomeri geometrici del 2-butene.

Risposta breve

1. Quali tipologie di orbitali sono coinvolte nella formazione del doppio legame?

2. Perché gli alcheni presentano isomeria geometrica?

1.22 (a) L’isomero cis- presenta una repulsione maggiore tra i due gruppi alchilici adiacenti, (b) a differenza di quello trans-.

I due stereoisomeri sono diastereoisomeri e pertanto possiedono proprietà fisiche differenti, come i punti di ebollizione o di fusione: si tratta di due composti diversi separabili l’uno dall’altro. In genere, l’isomero trans- presenta punti di fusione e di ebollizione più elevati a causa di una differente capacità di aggregarsi delle proprie molecole; quest’ultima, a sua volta, è dovuta alla disposizione spaziale dei gruppi, che provoca una minore repulsione 1.22 .

Alcano, alchene, alchino: una questione di legami

1.8 Gli alchini

Gli idrocarburi che contengono almeno un triplo legame carbonio-carbonio sono detti alchini. Nel caso della presenza di un solo triplo legame la loro formula generale è:

CnH2n 2

Anche gli alchini, come gli alcheni, appartengono alla classe degli idrocarburi insaturi

Struttura e nomenclatura degli alchini

L’alchino più semplice è l’etino, C2H2, detto anche acetilene 1.23 .

1.23 (a) La lampada ad acetilene in passato era utilizzata dagli speleologi e dai minatori all’interno di grotte e miniere; (b) formula di struttura e modello molecolare dell’acetilene.

La sua struttura può essere interpretata con la teoria dell’ibridizzazione: l’atomo di carbonio organizza i propri orbitali s e p per dar luogo a due orbitali ibridi sp contenenti ciascuno un elettrone spaiato, disponibile per formare un legame covalente σ. Tali orbitali, per rendere minima la reciproca repulsione, si dispongono a 180° assumendo una geometria lineare in accordo con la geometria prevista dalla teoria VSEPR.

Uno dei due orbitali sp di un atomo di carbonio dell’etino si sovrappone a uno dei due orbitali sp dell’altro atomo di carbonio dando luogo a un legame carbonio-carbonio di tipo σ.

Il rimanente orbitale sp di ciascun atomo di carbonio si sovrappone all’orbitale s di un atomo di idrogeno per formare un legame C H di tipo σ. I due orbitali p rimasti non ibridizzati sono perpendicolari tra loro ed entrambi sono anche perpendicolari alla direzione degli orbitali sp

AVOGADRO
H

Ciascuno di questi due orbitali p puri, per sovrapposizione laterale con l’orbitale p parallelo dell’altro atomo di carbonio, dà luogo a un legame π, con il risultato che in totale abbiamo un legame σ e due legami π, cioè un triplo legame 1.24 . Ai due atomi di carbonio sp del triplo legame possono legarsi altri atomi di carbonio, dando luogo così alla serie omologa degli alchini, lineari o ramificati.

La nomenclatura IUPAC per gli alchini prevede le stesse regole già descritte per gli alcheni. Il triplo legame è indicato dal suffisso -ino:

1.24 Schema di formazione della molecola dell’acetilene.

1.9 Gli idrocarburi aromatici

Gli idrocarburi aromatici sono composti che, per le loro proprietà chimiche, differiscono dagli alcani, dagli alcheni e dagli alchini. Il termine aromatico non ha oggi nulla a che vedere con le loro effettive proprietà organolettiche, ma ha un valore puramente storico in quanto i primi composti aromatici sono stati estratti da piante aromatiche 1.25 : per esempio, dalle mandorle amare è stata estratta la benzaldeide, dal balsamo del tolù il toluene, dalla gomma l’acido benzoico e l’alcol benzilico.

Nell’accezione moderna del termine, l’aggettivo “aromatico” fa riferimento al tipo di struttura di alcune molecole, che determina le loro peculiari proprietà chimiche ed è indipendente dall’eventuale profumo delle sostanze.

L’idrocarburo più importante e rappresentativo di questa classe di composti è il benzene, isolato per la prima volta da Michael Faraday. Assegnare la corretta struttura a questo composto non è stata un’impresa facile per i chimici dell’Ottocento. All’epoca si sapeva soltanto che la sua formula molecolare era C6H6, e che quindi la molecola aveva otto atomi di idrogeno in meno rispetto a quella di un alcano con pari numero di atomi di carbonio, di formula C6H14. Nel 1865 il chimico tedesco Friedrich A. Kekulé, immaginò che il benzene non fosse costituito da un solo composto ma da una miscela di due composti tra loro in equilibrio:

rapido equilibrio

strutture di Kekulé del benzene

2. Qual è l’angolo di legame nell’etino? Risposta breve

1. Che tipo di ibridizzazione consente la formazione di un triplo legame?

1.25 Le erbe aromatiche, come rosmarino, salvia, basilico e altre spezie usate in cucina, devono il loro profumo a molecole organiche aromatiche.

• Michael Faraday

• Dame Kathleen Lonsdale

Benzene: dalla scoperta all’utilizzo

1.26 Strutture di risonanza del benzene.

Kekulé riteneva che l’equilibrio fosse così rapido da non consentire di distinguere e di separare l’uno dall’altro i due composti 1,2-disostituiti:

Br Br Br Br rapido equilibrio

Rimaneva ancora da spiegare l’inusuale stabilità del benzene e la sua incapacità di dare le reazioni tipiche degli alcheni, nonostante la presenza di tre doppi legami. Nel 1925, un secolo dopo la sua scoperta, Dame Kathleen Lonsdale mostrò attraverso la cristallografia a raggi X che la molecola del benzene è planare e che i sei legami C C sono tutti uguali, ovvero hanno tutti la stessa lunghezza, intermedia tra quella di un legame singolo e quella di un legame doppio. Ciò significa che nella molecola del benzene non è presente un’alternanza di legami doppi e singoli, a differenza di quanto era stato ipotizzato. Le proprietà del benzene possono essere spiegate con il modello della risonanza, nel quale più strutture di Lewis (strutture limite di risonanza) contribuiscono simultaneamente alla rappresentazione della molecola che è detta ibrido di risonanza. Non si tratta quindi di un equilibrio chimico ma di un modo di mostrare la distribuzione degli elettroni nella molecola 1.26 .

1.27 L’orbitale molecolare del benzene.

Riepilogando, possiamo affermare che:

 il benzene è una molecola che può essere rappresentata da un esagono regolare;  possiede sei atomi di carbonio ibridizzati sp2 con angoli di legame di 120°, in accordo con l’angolo geometrico di un esagono regolare;

 ogni carbonio utilizza due orbitali sp2 per legarsi ai due carboni adiacenti mentre il terzo orbitale sp2 è impegnato per legarsi a un idrogeno;

 su ogni carbonio rimane un elettrone su un orbitale p orientato a 90° rispetto al piano dei sei atomi di carbonio. Ciascun orbitale p si sovrappone contemporaneamente agli orbitali p dei due carboni adiacenti.

Il risultato della sovrapposizione è la formazione di un orbitale molecolare, una sorta di “ciambella” sopra e sotto il piano dell’anello degli atomi di carbonio, che delimita lo spazio dove è massima la probabilità di trovare gli elettroni 1.27

Il benzene può essere pertanto rappresentato da un esagono regolare, all’interno del quale si traccia un cerchio per indicare la presenza dei sei elettroni delocalizzati; questi ultimi costituiscono il cosiddetto sestetto aromatico. I sei elettroni p, quindi, non sono localizzati a formare tre legami π, ma sono condivisi tra tutti e sei gli atomi di carbonio.

Nomenclatura dei derivati del benzene

Molti composti aromatici hanno la struttura del benzene in cui un atomo di idrogeno è sostituito 1.28 . Questi composti sono per la maggior parte di origine naturale e spesso sono noti con nomi comuni che ne ricordano l’origine:

In genere, i composti aromatici si considerano derivati dal benzene, quindi il loro nome si stabilisce seguendo le regole della nomenclatura IUPAC.

 Il nome è un’unica parola formata dal nome del sostituente a cui si fa seguire la desinenza -benzene: Cl NO2 CH2 CH3

clorobenzene nitrobenzene etilbenzene

Quando il sostituente è un gruppo alifatico, saturo o insaturo, si hanno gli areni, che sono idrocarburi alifatico-aromatici: CH3 CH3 CH — — CH2 CH=CH2

3

3 C CH3

isopropilbenzene 2-propenilbenzene t-butilbenzene

 Nel caso in cui sull’anello siano presenti due sostituenti, è possibile scrivere tre isomeri di posizione, che vengono indicati con i prefissi orto- se i due sostituenti occupano le posizioni 1-2, meta- se si trovano nelle posizioni 1-3, para- se si trovano nelle posizioni 1-4. Questi prefissi possono anche essere abbreviati in o-, m- e p- rispettivamente. Per indicare la posizione reciproca dei sostituenti, la nomenclatura IUPAC usa i numeri:

1.28 Lo stirene è un arene impiegato per la fabbricazione del polistirene o polistirolo.

toluene stirene anilina fenolo

Risposta breve

1. Quante strutture di risonanza ha il benzene?

2. A che cosa fa riferimento il termine "aromatico"?

 Quando i sostituenti sono più di due, si attribuisce il numero più basso al primo di essi in ordine alfabetico; analogamente, se come nome base si utilizza un nome comune (per esempio: fenolo), si assegna la posizione 1 all’atomo di carbonio che porta il gruppo responsabile di tale nome comune (in questo esempio, il gruppo OH) e si assegnano poi i numeri più bassi possibili agli altri sostituenti:

Per brevità i derivati aromatici monosostituiti possono essere genericamente indicati usando il simbolo Ar- (arile) che corrisponde al gruppo C6H5 ottenuto dal benzene, al quale è stato formalmente sottratto un atomo di idrogeno, e denominato anche fenile:

bifenile 1-fenilpropano propilbenzene CH2 CH2 CH3

Oltre ai composti aromatici derivanti dal benzene, esistono altri idrocarburi aromatici policiclici (o IPA) che sono formati da due o più anelli benzenici condensati tra loro 1.29 . I più comuni sono naftalene, antracene e fenantrene:

Anche di questi idrocarburi esistono i relativi derivati sostituiti, la cui posizione è indicata dalla numerazione riportata sulle rispettive formule, per esempio:

Gli IPA in condizioni normali sono tutti sostanze solide, molto stabili, con un’elevata tensione di vapore. Si trovano nel petrolio e nel carbon fossile, la cui combustione incompleta è causa di inquinamento atmosferico.

1.29 (a) La combustione di carbone, petrolio e dei suoi derivati libera nell’ambiente idrocarburi aromatici policiclici (IPA). (b) Composti di questo tipo si generano anche durante la cottura della carne alla griglia.

1.10 Proprietà fisiche e reattività degli

idrocarburi

I primi quattro membri della serie omologa degli alcani sono gas incolori; i tredici che seguono sono liquidi, mentre quelli con più di diciotto atomi di carbonio sono solidi. Dal quinto alcano della serie in poi, i punti di fusione e di ebollizione aumentano con l’aumentare del numero degli atomi di carbonio. Gli alcheni e gli alchini sono invece gassosi fino ai quattro e cinque atomi di carbonio rispettivamente, liquidi fino ai quindici per gli alcheni e sedici per gli alchini, per poi diventare solidi con un numero maggiore di atomi di carbonio.

Tutti i composti appartenenti alla classe degli alcani, così come anche alcheni e alchini, sono insolubili in acqua e in generale sono meno densi. Sono invece solubili in solventi organici, di cui gli alcani liquidi stessi sono un esempio. Gli idrocarburi aromatici a più basso peso molecolare, quindi più leggeri, sono anche estremamente volatili e rientrano nella composizione degli oli essenziali. Un esempio è il limonene, il maggiore costituente delle bucce dei frutti del genere Citrus, che si presenta in due diverse forme enantiomeriche. L’isomero destrogiro è il più abbondante in natura ed è il principale costituente dell’olio essenziale dell’arancia, mentre l’isomero levogiro è presente prevalentemente nelle bucce di limone e bergamotto.

In generale, gli alcani sono molecole poco reattive, contrariamente ad alcheni, alchini e composti aromatici che lo sono grazie alla presenza del doppio o triplo legame o dell’anello aromatico.

La reazione più importante comune a tutti gli idrocarburi è la combustione. Gli idrocarburi bruciano all’aria, ovvero reagiscono con l’ossigeno a dare diossido di carbonio e acqua, sviluppando inoltre una notevole quantità di calore. Tale combustione avviene, per esempio, nei cilindri dell’automobile e nelle centrali termoelettriche, come pure nelle nostre case quando utilizziamo il metano o il GPL sia per cucinare sia per alimentare gli impianti di riscaldamento. Per il metano la reazione di combustione può essere così schematizzata: CH4 + 2O2 ⟶ CO2 + 2H2O + calore

Se la combustione avviene in difetto di aria, può accadere che, oltre al diossido di carbonio, si formi anche una certa quantità di ossido di carbonio (CO) che rende estremamente tossico l’ambiente.

U1 Ripassa con metodo

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COMPOSTI ORGANICI

Dove si trovano?

Appartengono agli organismi viventi oppure sono ottenuti

sono composti contenenti

Come possono essere rappresentati?

Quando il carbonio si lega con se stesso e con l’idrogeno come vengono definiti?

ACICLICI, ovvero a catena

CICLICI, ovvero a catena

Quale branca della chimica si occupa di studiarli?

CHIMICA ORGANICA

Ne studia la struttura, le proprietà e chimiche e i metodi per ottenerli.

include il tipo e il numero di atomi che compongono la molecola

contengono solo legami

contengono almeno un legame carboniocarbonio ne è rappresentativo il

rappresenta le coppie di elettroni di legame come e le coppie come coppie di punti

Quali sono i composti che hanno la stessa formula molecolare, ma diversa formula di struttura?

contengono almeno un carbonio-carbonio

permettono di vedere nello spazio i legami tra gli atomi

U1 Conoscenze e abilità

1.1-1.3 Dal carbonio agli idrocarburi

1 Vero o falso?

a. Da un composto inorganico si può ottenere un composto organico.

b. A differenza dei composti organici, le sostanze inorganiche sono formate da pochi elementi.

F

F

c. I composti organici contengono carbonio. V F

d. Gli idrocarburi saturi includono gli alcheni e gli alchini.

e. Gli idrocarburi alifatici sono insolubili in acqua.

f. Negli idrocarburi insaturi le molecole presentano almeno un legame multiplo.

F

F

F

2 Di quali composti si occupa principalmente la chimica organica?

3 Quali sono gli elementi che costituiscono gli idrocarburi?

4 Come si chiamano le due principali famiglie di idrocarburi?

1.4 Gli alcani

5 Vero o falso?

a. La serie omologa degli alcani è rappresentata dalla formula generale CnH2n+2

b. Per il propano, C3H8, possiamo scrivere due formule di struttura.

F

F

c. La formula molecolare del decano è C4H10. V F

d. Nelle formule a linee di legame si evidenzia solo la catena carboniosa. V F

6 Indica qual è la formula generale degli alcani.

7 Che cosa sono gli isomeri di struttura?

8 Quale tra le seguenti formule molecolari rappresenta un alcano?

C2H6

C2H2 C4H8 C3H6

9 Gli isomeri di struttura presentano:

stessa formula molecolare e uguali proprietà fisiche e chimiche

stessa formula molecolare ma diversa formula di struttura

stessa formula di struttura e diverse proprietà fisiche e chimiche

diversa formula molecolare e stesse proprietà fisiche e chimiche

10 Che differenza c’è tra carbonio primario e carbonio quaternario?

11 Quale criterio occorre usare per assegnare la numerazione alla catena più lunga di un alcano?

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12 Il gruppo alchilico CH3 CH CH2

CH3 viene chiamato: n-butile isobutile sec-butile terz-butile

13 Individua quale tra i seguenti gruppi può essere considerato gruppo alchilico: CH2

14 Problema svolto Attribuisci il nome secondo la nomenclatura IUPAC al seguente idrocarburo:

3 CH2 CH CH2 CH2 CH2 CH2 CH3 CH3 CH CH3

▶ Identifica la catena principale. Ti renderai conto facilmente che la sequenza più lunga che possiamo individuare è di 8 atomi di carbonio. Pertanto, la molecola è un ottano. È possibile, però, individuare due catene a 8 atomi di carbonio, evidenziate qui sotto. La differenza consiste nel fatto che la prima presenta due ramificazioni e la seconda una. Secondo le regole IUPAC, in questi casi devi considerare la catena che presenta più ramificazioni, cioè quella evidenziata in verde.

▶ Le numerazioni possibili sono due, indicate con le cifre in rosso e in blu, a seconda dell’estremità dalla quale si cominciano a contare gli atomi di carbonio:

▶ Secondo le regole IUPAC si sceglie la numerazione in cui i carboni con i sostituenti hanno i numeri più piccoli. Quindi, la numerazione corretta è quella indicata con il colore blu.

▶ Al di fuori della catena principale rimangono un gruppo etilico (due atomi di carbonio) legato al carbonio 3 e un gruppo metilico (un atomo di carbonio) legato al carbonio 2.

▶ Il nome corretto da attribuire a questo composto è quindi: 3-etil-2-metilottano.

15 Qual è il nome IUPAC del seguente idrocarburo?

16

Assegna il nome IUPAC ai seguenti alcani, la cui formula di struttura è:

17 Disegna la formula di struttura e quella a linee di legame del n-esano e del 2,3-dimetileptano.

18 Scrivi le formule di struttura dei seguenti alcani e identifica i carboni primari, secondari, terziari e quaternari.

a. 2,4-dimetilpentano

b. 3,3-dimetilpentano

c. 2,2,4,4-tetrametilottano

d. 4-isopropil-2,2,6,6-tetrametilottano

1.5 I cicloalcani

19 Vero o falso?

a. La formula generale dei cicloalcani è CnH2n V F

b. La molecola del cicloesano presenta una tensione angolare più elevata rispetto a quella del ciclopentano. V F

20 In che cosa differisce la formula generale dei cicloalcani rispetto a quella degli alcani?

21 Scrivi la formula molecolare di un cicloalcano con sette atomi di carbonio.

22 Gli isomeri conformazionali sono molecole che hanno:

la stessa formula molecolare e diversa formula di struttura

la stessa formula molecolare, diversa formula di struttura e la stessa disposizione nello spazio

la stessa formula di struttura ma diversa formula molecolare

la stessa formula molecolare, la stessa formula di struttura ma diversa disposizione nello spazio

23 Attribuisci il nome IUPAC ai seguenti cicloalcani e identifica in ciascuna struttura i carboni di tipo primario, secondario, terziario e quaternario. a. b. c. d.

24 Disegna tutti gli isomeri di struttura dei cicloalcani che hanno formula molecolare C6H12 e per ognuno di essi individua, se possibile, le diverse configurazioni.

25 Problema svolto Scrivi la formula di struttura dell’1,3-dimetilciclopentano.

▶ Per scrivere la struttura partendo dal nome, si comincia con l’individuare la classe di composti. La desinenza -ano del nome è quella che caratterizza gli alcani, in particolare un cicloalcano. La radice del nome, penta-, ci suggerisce che il composto contiene 5 atomi di carbonio legati tra loro da legami singoli a formare un pentagono:

▶ Numera gli atomi di carbonio dell’anello iniziando da un atomo di carbonio qualsiasi:

▶ I due sostituenti, individuati dal prefisso di- nel nome, sono due gruppi metilici legati all’atomo di carbonio 1 e all’atomo di carbonio 3:

▶ Se vuoi scrivere la struttura nella forma condensata esplicita gli atomi di idrogeno e gli atomi di carbonio:

26 Scrivi la formula di struttura dei seguenti cicloalcani:

a. metilciclopentano

b. 1,2-dimetilciclopropano

c. cis-1,3-dimetilcicloesano

d. trans-1,2-dimetilciclopentano

1.6 La stereoisomeria

27 Vero o falso?

a. Le conformazioni sono particolari isomeri ottici. V F

b. Gli isomeri geometrici possono essere separati. V F

c. Gli enantiomeri hanno diverso nome IUPAC. V F

28 Completa la seguente frase.

Due enantiomeri presentano identiche proprietà , quelle cioè indipendenti dalla , come il punto di fusione.

29 Spiega qual è la differenza tra isomeri di struttura, isomeri conformazionali, isomeri geometrici e isomeri ottici.

30 Come puoi stabilire se un atomo di carbonio è chirale?

31 Tra le molecole seguenti indica quella che possiede almeno un atomo di carbonio chirale:

1.7 Gli alcheni

32 Vero o falso?

a. Gli alcheni appartengono alla classe degli idrocarburi insaturi.

b. Gli isomeri geometrici del 2-butene presentano proprietà fisiche differenti.

c. Il propene è un alchene superiore, a differenza dell’1-butene.

33 Quali tipi di stereoisomeri può dare il 2-butene?

34 Qual è la disposizione degli orbitali ibridi degli alcheni?

35 Problema svolto Scrivi tutti i possibili isomeri di struttura degli idrocarburi a catena aperta con formula molecolare C5H10 e stabilisci quali tra questi possono presentare isomeria geometrica.

▶ La formula molecolare C5H10 corrisponde alla formula generale CnH2n degli alcheni e dei cicloalcani. Dovendo tenere conto solo degli idrocarburi non ciclici, dovrai considerare gli isomeri degli alcheni.

▶ Puoi cominciare disponendo in fila cinque atomi di carbonio e posizionando il doppio legame su atomi di carbonio diversi. Otterrai i seguenti isomeri di posizione:

2-pentene

▶ Il 2-pentene, dato che ciascun carbonio del doppio legame è legato a due atomi o gruppi differenti, presenta isomeria geometrica.

▶ Puoi scrivere altri isomeri disponendo in fila solo quattro atomi di carbonio e ponendo il quinto come sostituente metilico. I tre composti possibili sono i seguenti:

37 Indica tra le seguenti qual è l’affermazione corretta riguardante gli alcheni: tutti gli atomi di carbonio hanno orbitali ibridi sp la formula generale degli alcheni è CnH2n attorno al doppio legame è consentita la libera rotazione il doppio legame deriva dall’unione di 2 legami σ

38 Scrivi le formule di struttura dei seguenti alcheni:

a. 3-etil-2-pentene

b. 2,2,4-trimetil-3-eptene

39 Scrivi la formula di struttura dei seguenti cicloalcheni:

a. 1,1-dimetil-2-etilciclopropene

b. 1,2-dimetilcicloesene

c. 5-metil-cicloesene

d. 1,2,3-trimetilciclopropene

40 Quale tra queste formule rappresenta l’isomero geometrico cis e quale quello trans?

a. b. c.

▶ Nessuno dei composti precedenti ha isomeria geometrica. Infatti, una delle condizioni per avere isomeria geometrica è che non ci devono essere sostituenti uguali su nessuno dei due atomi di carbonio del doppio legame.

36 Scrivi la formula di struttura di tutti gli alcheni con sette atomi di carbonio e assegna a ciascuno il nome secondo le regole della nomenclatura IUPAC, mettendo in evidenza le strutture che presentano isomeria geometrica.

1.8 Gli alchini

41 Vero o falso?

a. Gli alchini contengono un doppio legame carbonio-carbonio. V F

b. L’acetilene è l’alchino più semplice. V F

c. Il triplo legame è costituito da due legami σ e da un legame π V F

d. L’angolo di legame nell’etino è di 180°. V F

42 Quale tipo di ibridizzazione hanno i due atomi di carbonio dell’acetilene?

43 Il numero di atomi di idrogeno presenti in un alchino contenente n atomi di carbonio è: n 2 2n 2 2n 2n + 2

44 Qual è il nome corretto del seguente composto?

2-etil-2-butino etil-2-butino 3-etil-1-butino 3-metil-1-pentino

45 Scrivi la formula di struttura dei seguenti alchini:

a. 2,2-dimetil-3-esino

b. 4-etil-4-metil-2-eptino

1.9 Gli idrocarburi aromatici

46 Vero o falso?

a. Il benzene fu isolato per la prima volta da Friedrich A. Kekulé. V F

b. La molecola del benzene è planare e i sei legami C C sono tutti uguali.

V F

47 Quale tipo di ibridizzazione caratterizza gli atomi di carbonio del benzene?

48 Spiega il significato della parola aromaticità.

49 Il naftalene e il fenantrene sono: idrocarburi aromatici policiclici strutture di risonanza strutture di Kekulé del benzene nessuna delle risposte precedenti è corretta

50 La lunghezza dei legami C C nel benzene è: uguale a quella dei legami π uguale a quella dei legami σ intermedia tra quella di un legame σ e quella di un legame π uguale a quella del legame C H

U1 Competenze

56 INGLESE Indicate the two possible structural formulas of the hydrocarbon with molecular formula C4H10.

57 INGLESE Write the molecular formula of:

a. an alkene with 6 carbon atoms. b. an alkene with 8 carbon atoms.

58 INGLESE Explain what is meant by functional group.

59 INGLESE What was the intuition of Friederich A. Kekulé? What was he not able to predict in the structure of the formula of benzene?

60 SOSTENIBILITÀ La principale fonte di idrocarburi in natura è rappresentata dal petrolio. Dopo esserti documentato in Internet, elenca cinque prodotti petrolchimici che possono essere sintetizzati da idrocarburi raffinati. Indica di quali facciamo maggiormente uso nella nostra vita quotidiana e quale impatto essi esercitano sull’ambiente.

61 DIGITALE Nella seguente tabella sono riportate le temperature di ebollizione di alcuni alcani a catena lineare.

Alcano Numero di atomi di C Temperatura di ebollizione (°C) metano 1 161,5 etano 2 89 propano 3 42

n-butano 4 +0,5

n-pentano 5 +36

n-esano 6 +69

n-eptano 7 +98

n-nonano 9 +150

n-decano 10 +174

51 Le strutture limite di risonanza: sono tra loro in equilibrio dinamico rappresentano ciascuna adeguatamente la molecola in questione differiscono unicamente per la posizione dei protoni differiscono unicamente per la posizione degli elettroni

52 Per quanti atomi di idrogeno la formula del benzene differisce da quella del n-esano? 8 6 4 2

1.10

Proprietà fisiche e reattività degli idrocarburi

53 Vero o falso?

a. La principale reazione cui gli idrocarburi vanno incontro è la combustione. V F

b. Quando il metano reagisce con l’ossigeno si libera idrogeno. V F

54 In che cosa consiste la reazione di combustione?

55 Scrivi e bilancia la reazione di combustione di un alcano, un alchene ed un alchino a parità di atomi di carbonio.

Costruisci il grafico delle temperature di ebollizione in funzione del numero di atomi di carbonio. Quali considerazioni puoi fare? Fai una stima della probabile temperatura di ebollizione dell’idrocarburo con otto atomi di carbonio e verifica, cercando in Internet, il valore della temperatura di ebollizione del n-ottano.

62 PROBLEM SOLVING Scrivi tutti i possibili isomeri di struttura che puoi ricavare dalla formula C6H14 utilizzando le formule condensate, razionali e a linee di legame.

63 PROBLEM SOLVING La formula molecolare C5H10 appartiene a un alcano o a un cicloalcano? Disegna tutti i possibili isomeri di struttura assegnando loro la relativa nomenclatura IUPAC.

64 APPRENDIMENTO COOPERATIVO Organizzandovi in piccoli gruppi da due o tre persone create delle “flash card”, cartoncini con un quesito da un lato e la soluzione dall’altro, utili per il ripasso degli argomenti di questa Unità. Ogni gruppo deve preparare tre flash card nelle quali da un lato è disegnata la struttura di un idrocarburo alifatico (un alcano, un alchene o un alchino) e dall’altro sono indicati: classe di appartenenza, nome IUPAC e reazione di combustione con l'ossigeno correttamente bilanciata. Una volta preparate le flash card, mettetele tutte insieme e sfidatevi in classe a chi ne risolve di più.

65 INTELLIGENZA ARTIFICIALE Utilizza un chatbot di intelligenza artificiale generativa come compagno di studio e scrivi questo prompt: Immagina di avere 18 anni, di essere il mio vicino di banco e di star studiando con me la chimica del carbonio e gli idrocarburi (alcani, alcheni, alchini e idrocarburi aromatici). Scrivi un riassunto delle tipologie di isomeria e inserisci apposta cinque errori di concetto e difficili sull'argomento senza dirmi quali sono. Ora cerca di individuare gli errori presenti nel testo. Sei riuscito a trovarli tutti? Ripassa l'Unità e correggi il testo in base a quanto hai studiato.

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Spiega che cosa si intende per attività ottica e come si può misurare utilizzando le seguenti parole chiave: luce polarizzata • angolo α • potere rotatorio • destrogiro • levogiro • racemo

2 Spiega che cosa si intende per serie omologa degli alcani utilizzando le seguenti parole chiave: CH2 • metano • etano • atomi di carbonio • formula generale

3 Spiega che cosa sono gli idrocarburi aromatici e a quando risale la loro scoperta utilizzando le seguenti parole chiave: piante aromatiche • benzene • Michael Faraday • stabilità • addizione • ibrido di risonanza

4 Spiega cosa si intende per isomeria in chimica utilizzando le seguenti parole chiave: alcani • cicloalcani • alcheni • geometria • isomeri geometrici • isomeri ottci • conformazioni

5 Illustra la più importante trasformazione degli idrocarburi usando le seguenti parole: combustione • ossigeno • diossido di carbonio • acqua • energia

Prova a partire così

6 Come si possono rappresentare le molecole organiche? Per le molecole organiche non è sufficiente la , ma è opportuno usare le formule di struttura o formule di Lewis. Queste ultime possono essere scritte in modo esteso oppure con tre tipologie di rappresentazione:

7 Che cosa sono gli alcani?

Gli alcani sono composti organici formati da . L’alcano più semplice è il .

8 Che cosa si intende con “isomeri di struttura”?

Gli isomeri di struttura sono composti che hanno la stessa

9 Dopo aver enunciato la formula generale dei cicloalcani, spiega che cosa comporta la chiusura della catena in questi idrocarburi.

La chiusura della catena nei cicloalcani prevede la perdita di .

10 Quali sono le tipologie di idrocarburi alifatici insaturi?

Gli idrocarburi alifatici aromatici sono composti che Possono essere divisi in alcheni e alchini.

11 Qual è la particolarità nella struttura dei composti aromatici?

Gli idrocarburi aromatici, il cui composto più rappresentativo è , sono caratterizzati da .

Non si tratta di un equilibrio chimico ma di .

Organizza il discorso

12 Descrivi la struttura e le proprietà degli idrocarburi e mettile in relazione con i tipi di legame presenti nelle loro molecole.

Prova a seguire questa scaletta:

Spiegazione del termine “idrocarburi”

Classificazione in base alla struttura (saturi/insaturi; ciclici/aciclici)

Distinzione in base alle loro proprietà fisiche

Descrizione della reazione di combustione

13 Che cos’è l’isomeria geometrica?

Prova a seguire questa scaletta:

Spiegazione del termine “stereoisomeria”

Distinzione della stereoisomeria configurazionale in geometrica e ottica

Definizione dell’isomeria geometrica

Confronto tra isomeri geometrici in termini di proprietà chimiche e fisiche

14 Un passo in più Spiega la struttura dell'anello aromatico del benzene, descrivendo tutte le tappe storiche di come è stata scoperta e citando le scienziate e gli scienziati coinvolti. Costruisci tu la tua scaletta.

Simula un colloquio d’esame

15 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

I derivati degli idrocarburi e i polimeri 2

VIDEO

Modelli molecolari: i gruppi funzionali

2.1 I gruppi funzionali

Considerando l’elevato numero di composti organici e la loro diversità strutturale, per facilitarne lo studio è opportuno classificarli.

I composti organici sono classificati in base alla presenza del gruppo funzionale ovvero un atomo, o un gruppo di atomi, caratteristico di una classe di composti organici e da cui dipendono la proprietà fisiche e chimiche.

Gli alogenoderivati: struttura e nomenclatura

Gli alogenoderivati, chiamati anche alogenuri organici o aloalcani, sono i composti ottenuti per sostituzione di uno o più atomi di idrogeno di un idrocarburo con altrettanti atomi di alogeno: F, Cl, Br o, più raramente, I. La formula generale dei monoalogenoderivati è R X o Ar X, rispettivamente per gli alogenuri alchilici e arilici, dove R è un qualunque gruppo alchilico, Ar un gruppo arilico e X uno degli alogeni.

Gli alogenuri alchilici sono classificati come primari, secondari o terziari a seconda del tipo di atomo di carbonio a cui è legato l’alogeno:

3

3 C Br

alogenuro primario

3 C Br

3

3 alogenuro secondario alogenuro terziario

Il nome IUPAC del composto è derivato da quelli dell’idrocarburo e dell’alogeno e occorre indicare, con il numero più basso possibile, il carbonio a cui quest’ultimo è legato. Alcuni alogenoderivati sono più noti con il nome tradizionale:

2.2 Gli alcoli e i fenoli

Gli alcoli e i fenoli possono essere formalmente considerati come composti derivati dall’acqua H O H per sostituzione di un atomo di idrogeno, rispettivamente, con un gruppo alchilico R o con un gruppo arilico Ar.

La formula generale degli alcoli è R—OH, dove R è un gruppo alchilico o un gruppo alchilico sostituito, che può essere saturo, insaturo o ciclico.

Anche se nella loro formula si trova il gruppo OH, gli alcoli non hanno alcuna caratteristica riconducibile a quelle degli idrossidi metallici, come NaOH. Gli alcoli, infatti, non danno luogo né a dissociazione né a ionizzazione in quanto il gruppo OH è unito all’atomo di carbonio per mezzo di un legame covalente e non di un legame ionico:

OH

gruppo ossidrile

I fenoli sono composti che contengono il gruppo ossidrilico —OH legato direttamente a un anello aromatico.

Il fenolo, o idrossibenzene, è il composto più semplice appartenente a questa classe. Nell’industria chimica è il prodotto di partenza di molte materie plastiche, tra cui la bachelite 2.1 .

OH

I fenoli sono solidi cristallini, solubili in acqua e di odore penetrante.

Nomenclatura e classificazione

Nella nomenclatura tradizionale degli alcoli si utilizza la parola alcol seguita dal nome del gruppo alchilico; secondo la nomenclatura IUPAC, il nome si ottiene da quello del corrispondente idrocarburo, cioè con lo stesso numero di atomi di carbonio, sostituendo all’ultima lettera il suffisso -olo. Pertanto:

 l’alcol etilico, di formula CH3 CH2 OH, prende il nome di etanolo perché proviene dall’etano;

 l’alcol CH2 CH CH2 OH è chiamato 2-propen-1-olo poiché l’alchene da cui deriva è il propene;

 l’alcol HC C CH2OH è chiamato 2-propin-1-olo poiché l’alchino da cui deriva è il propino.

Per gli alcoli a più elevato numero di atomi di carbonio, la nomenclatura IUPAC prevede che si scelga come base la catena più lunga contenente il gruppo OH. La numerazione deve essere assegnata in maniera tale da attribuire al carbonio che lega l’ossidrile il numero più basso possibile:

La nomenclatura degli alcoli

2.1 Il fenolo è il prodotto di partenza per la produzione della bachelite, la materia plastica con cui anni fa venivano fabbricati telefoni, radio, utensili per la casa e bijoux.

fenolo

2.2 La glicerina è un triolo che entra nella composizione di molti saponi e prodotti cosmetici.

Gli alcoli con due gruppi ossidrili sono detti dioli, mentre quelli con tre ossidrili sono detti trioli 2.2

CH2 OH

CH2 OH

1,2-etandiolo o glicole etilenico

CH2 OH

CH OH

CH2 OH

1,2,3-propantriolo o glicerina

I nomi dei fenoli si ottengono in generale indicando, prima della parola “fenolo”, il nome e la posizione dei sostituenti presenti sull’anello benzenico; in alcuni casi, i nomi tradizionali sono stati ammessi ufficialmente dalla IUPAC.

1. Qual è il gruppo funzionale caratteristico degli alcoli?

2. Come si denominano gli alcoli nella nomenclatura IUPAC?

3. Che cosa sono i fenoli? Risposta breve

(p-nitrofenolo)

In base alla loro struttura, gli alcoli possono essere classificati in primari, secondari e terziari a seconda che il gruppo ossidrilico sia legato a un atomo di carbonio primario, secondario o terziario.

2.3 Gli eteri

In analogia con gli alcoli e i fenoli, anche gli eteri possono essere considerati come derivati dall’acqua H O H per sostituzione di entrambi gli atomi di idrogeno con altrettanti gruppi R o Ar. Il nome degli eteri si ottiene dal nome dei due gruppi legati all’ossigeno in ordine alfabetico seguito dalla parola “etere”. Alcuni eteri sono noti più comunemente con i loro nomi tradizionali: per esempio, l’etere aromatico fenil metil etere è chiamato anisolo. dietil etere

isopropil metil etere

fenil metil etere (anisolo)

Nel caso in cui l’atomo di ossigeno faccia parte di un ciclo si ottengono eteri ciclici; se il ciclo è a tre termini sono chiamati epossidi I loro nomi comuni si ricavano dal nome dell’alchene corrispondente, preceduto da “ossido di”.

La nomenclatura IUPAC non prevede per il gruppo funzionale etereo un suffisso caratteristico, pertanto un etere può essere considerato un alcano con un sostituente alcossilico.

I sostituenti alcossi hanno nomi derivati dalla nomenclatura dei gruppi alchilici, sostituendo il suffisso -ile con -ossi Tab. 2.1

Gruppo alchilico Nome Gruppo alcossilico Nome

CH3 metile

CH3 CH2 etile

CH3 CH2 CH2 propile

CH3 CH

CH3 isopropile

CH3 O metossi

CH3 CH2 O etossi

CH3 CH2 CH2 O propossi

CH3 CH O

CH3 isopropossi

Dei gruppi legati all’ossigeno dell’etere, quello con il maggiore numero di atomi di carbonio ha il nome dell’alcano, quello con il numero minore è considerato un sostituente alcossilico. Ogni gruppo su ciascun lato dell’ossigeno è numerato separatamente. La priorità di numerazione è data al carbonio più vicino all’ossigeno.

5 atomi di carbonio nome alcano = pentano

3 atomi di carbonio nome gruppo alcossilico = propossi

CH3 CH2 CH2 CH2 CH2 O CH2 CH2 CH3

propossipentano o pentil propil etere

L’etere più comune è l’etere dietilico, che in commercio è chiamato semplicemente etere. Questo composto è stato usato come anestetico e come solvente in laboratorio, ma il suo impiego è limitato a causa dell’alta pericolosità. Infatti, data la sua elevata volatilità (bolle a 34,6 °C), i suoi vapori sono altamente infiammabili e possono provocare incendi o addirittura esplosioni, se non si osservano le dovute precauzioni.

2.4 Le aldeidi e i chetoni

Un gruppo funzionale molto importante è formato da carbonio e ossigeno.

Le aldeidi e i chetoni sono composti caratterizzati dalla presenza di un gruppo funzionale denominato gruppo carbonilico o carbonile.

Nel carbonile il carbonio è legato all’ossigeno con un doppio legame; per questo motivo aldeidi e chetoni sono noti anche come composti carbonilici:

=O — —

gruppo carbonilico

Le aldeidi portano legato al gruppo carbonilico almeno un atomo di idrogeno, mentre l’altro gruppo può essere un secondo atomo di idrogeno, un gruppo alchilico R oppure un gruppo arilico Ar 2.3

Nei chetoni, invece, il gruppo carbonilico è legato sempre a due gruppi alchilici (R e R′) o a due gruppi arilici (Ar e Ar′) o a un gruppo alchilico e a un gruppo arilico (R e Ar), dove R e R′, Ar e Ar′ possono essere gruppi uguali o diversi tra loro.

Tabella 2.1 Denominazione dei gruppi alcossilici

Risposta breve

1. Da che cosa è caratterizzata la struttura degli eteri?

2. Che cosa sono gli epossidi?

3. Come si denominano gli eteri secondo la nomenclatura IUPAC?

C O H = —

benzaldeide

2.3 Le mandorle amare devono il loro odore caratteristico alla presenza anche di benzaldeide, la più semplice aldeide aromatica.

Gruppi funzionali: aldeidi e chetoni

2.4 L’aldeide salicilica è un componente del castoreo, una sostanza oleosa prodotta dai castori.

Risposta breve

1. Qual è il gruppo funzionale di aldeidi e chetoni?

2. Qual è la desinenza del nome IUPAC per le aldeidi?

3. Qual è il nome comune del chetone più semplice?

Nomenclatura

Per la nomenclatura delle aldeidi e dei chetoni alifatici valgono le stesse regole della nomenclatura IUPAC impiegate per le altre classi di composti.

In particolare:

 il nome delle aldeidi si ottiene sostituendo la desinenza -o finale dell’idrocarburo da cui derivano con il suffisso -ale, come in etanale;

 il nome dei chetoni si ottiene sostituendo la desinenza -o finale con il suffisso -one, per esempio propanone.

La numerazione degli atomi di carbonio dipende dall’atomo di carbonio carbonilico, al quale va attribuito il numero più piccolo possibile, che nel caso delle aldeidi è sempre 1.

Per le aldeidi e i chetoni di uso commerciale si utilizzano anche nomi tradizionali che ricordano la loro provenienza:

3 CH2 C

3 C H C CH3 CH2 CH2 C

metanale o aldeide formica etanale o aldeide acetica

propanale o aldeide propionica butanale o aldeide butirrica

2=CH C

3 CH CH 4 3 2 1 CH3 CH3 C O= H— O= H— O= H— O= H— O= H— O= H

2,3-dimetil butanale propenale

Per i chetoni più semplici il nome può essere ottenuto, in alternativa, indicando il nome dei due gruppi legati al carbonile, al quale si fa seguire la parola chetone:

CH3 C CH3 = O butanone o etil metil chetone

34

CH3 C CH2 CH3 = O 2-pentanone o metil-n-propil chetone

propanone o dimetil chetone o acetone 3-pentanone o dietil chetone

3 CH2 C CH2 CH3 = O

2,5-dimetil-3-esanone CH3 CH C CH2 CH CH3 = O CH3 CH3 1 2 34 5 6

Per le aldeidi e i chetoni aromatici solitamente non si usano nomi IUPAC, ma si preferisce denominarli con i nomi tradizionali 2.4 Ecco alcuni esempi:

3 —

aldeide salicilica o orto-idrossibenzaldeide acetofenone o fenil metil chetone C O=

2.5 Gli acidi carbossilici

Gli acidi carbossilici sono composti caratterizzati dal gruppo funzionale carbossilico o carbossile.

La formula di struttura evidenzia che il carbossile non è altro che un carbonile a cui è legato anche un ossidrile: gruppo carbossilico

C O OH = —

Gli acidi carbossilici sono rappresentati dalla formula generale R COOH, dove R può essere un gruppo alchilico o arilico. Il nome degli acidi carbossilici, secondo le regole della nomenclatura IUPAC, deriva da quello dell’alcano corrispondente alla catena più lunga di atomi di carbonio sostituendo la -o finale con il suffisso -oico e premettendo il termine acido. Per quanto riguarda la numerazione degli atomi di carbonio, si assegna il numero 1 al carbonio del gruppo carbossilico negli acidi carbossilici alifatici, al carbonio legato al gruppo carbossilico nel caso degli aromatici. Una convenzione, che non rientra nelle regole IUPAC, per identificare la posizione di altri gruppi oltre a quello carbossilico, prevede di indicare gli atomi di carbonio della catena con le lettere greche α, β, γ iniziando dal carbonio numero 2 (contiguo al carbossile), che sarà identificato quindi con α. Nella nomenclatura tradizionale, i nomi dei composti si riferiscono invece alla provenienza naturale del composto piuttosto che alla struttura chimica 2.5 . Per esempio, l’acido salicilico, o acido 2-idrossibenzoico, deriva dal nome dell’albero di salice e presenta un gruppo alcolico in posizione β.

H C O OH = —

acido metanoico o formico

CH3 CH2 CH2 C O OH = —

acido n-butanoico o butirrico

CH3 C O OH = —

CH3 CH2 C O OH = — acido etanoico o acetico

acido benzoico C OH = — O

acido propanoico o propionico

acido 2- idrossibenzoico o salicilico OH C OH = Ñ O

Anche gli acidi carbossilici naturali insaturi sono più comunemente noti con i loro nomi tradizionali 2.6

2.5 Alcuni dei principali acidi carbossilici. Per alcuni è segnalato, sia nome IUPAC, sia quello tradizionale: l’acido formico deriva dalle formiche rosse, l’acido acetico dall’odore dell’aceto e l’acido butirrico dall’odore tipico del burro rancido.

2.6 (a) Nell’olio di oliva e di semi di lino sono contenuti rispettivamente acido oleico e linoleico; (b) formula razionale dei due acidi carbossilici.

Risposta breve

1. Qual è il gruppo funzionale caratteristico degli acidi carbossilici?

2. Secondo la nomenclatura IUPAC che numero ha il carbonio a (alpha)?

3. Che cosa sono gli idrossiacidi?

Gruppi funzionali: acidi organici e derivati

Gli acidi che hanno anche un secondo gruppo carbossilico sono detti acidi bicarbossilici, come per esempio gli acidi ossalico, malonico e succinico, per i quali si usa per la IUPAC la desinenza -dioico.

COOH

COOH

acido etandioico o ossalico

COOH

CH2

COOH

acido propandioico o malonico

COOH

(CH2)2

COOH

acido butandioico o succinico

Se nella molecola, oltre ai gruppi carbossilici, sono presenti gruppi ossidrili OH, si hanno gli idrossiacidi, come l’acido lattico e l’acido tartarico:

COOH

CH3 CHOH

COOH

CHOH

COOH CHOH

acido 2-idrossipropionico o lattico acido 2,3-diidrossisuccinico o tartarico

2.6 I derivati degli acidi carbossilici

AVOGADRO R C O= — mentre per i derivati aromatici è: Ar C O= —

Gli acidi carbossilici possono essere trasformati in una serie di loro derivati. Questi composti hanno tutti in comune il gruppo acilico, cioè il gruppo carbossilico senza l’ossidrile OH, che per i derivati alifatici è:

I gruppi acilici sono poi legati a un gruppo funzionale W che varia a seconda del derivato, come illustrato in Tab. 2.2 .

Tabella 2.2

Derivati funzionali degli acidi carbossilici e relativa nomenclatura

acetico o acido etanoico cloruro di

Acidi
Cloruri acilici Anidridi Ammidi Esteri

2.7 Le ammine

L’atomo di azoto caratterizza una ulteriore classe di composti.

Le ammine sono composti in cui uno, due o tre idrogeni dell’ammoniaca sono sostituiti da gruppi alchilici o arilici.

Si classificano in primarie, secondarie o terziarie in base al numero di gruppi alchilici o arilici legati all’azoto: ammoniaca

Possono inoltre essere classificate in alifatiche o aromatiche a seconda che l’atomo di azoto sia legato a un gruppo alchilico o a un anello benzenico.

Nomenclatura

Il nome tradizionale delle ammine deriva da quello dei gruppi alchilici legati all’azoto, scritti in ordine alfabetico e in una sola parola, seguito dal suffisso -ammina:

CH3 CH NH2 CH3 etilmetilammina

CH3 N CH2 CH3 CH3 CH3 NH2 metilammina CH3 CH2 NH2 etilammina isopropilammina

dimetiletilammina

CH3 N CH2 CH3 H

La nomenclatura delle ammine

fenilammina o anilina

fenilmetilammina

Al posto della nomenclatura IUPAC si preferisce in genere utilizzare il sistema proposto dalla Società Chimica Americana, che prevede la sostituzione della -o finale dell’alcano a catena più lunga con il suffisso -ammina; al carbonio legato all’azoto è assegnato il numero più basso possibile:

CH3 CH CH2 CH2 CH3 NH2

CH3 CH2 CH2 CH2 CH2 NH2 2-pentanammina 1-pentanammina

Nelle ammine secondarie e terziarie, gli ulteriori gruppi legati all’atomo di azoto sono preceduti dalla lettera N, così come mostrato dal seguente esempio:

CH3 CH2 CH2 CH2 N CH2 CH3

CH3

N-etil-N-metil-1-butanammina

Le ammine aromatiche sono considerate come derivati dell’anilina, ma molto spesso hanno nomi comuni.

NH2

N(CH3)2

CH3

N,N-dimetilanilina (N,N-dimetilbenzenammina) p-toluidina

NH2

OCH3 p-anisidina (4-metossianilina)

1. Che cosa sono le ammine?

2. Come vengono classificate le ammine?

3. Che cosa è l’anilina? Risposta breve

VIDEO

2.7 L’anello del pirrolo è contenuto nella molecola della clorofilla, il pigmento verde delle cellule vegetali. 100 µm LM

2.8 I composti eterociclici

Una classe di composti molto importante non è caratterizzata dalla presenza di un gruppo funzionale specifico, ma da una struttura particolare.

I composti eterociclici sono composti organici di natura ciclica il cui anello è formato, oltre che da atomi di carbonio, da uno o più atomi diversi dal carbonio (eteroatomi), tra i quali ossigeno, azoto e zolfo

Tutti questi composti vengono denominati composti eterociclici per distinguerli dai cicloalcani, denominati invece composti omociclici.

I composti eterociclici rivestono un’enorme importanza perché svolgono un ruolo rilevante nella fisiologia degli esseri viventi e sono quindi molto diffusi in natura. Alcuni di essi si trovano, per esempio, nelle molecole che costituiscono le proteine, altri nelle molecole degli acidi nucleici; altri, infine, fanno parte di complesse molecole che esercitano un importante ruolo nei processi biologici: gli enzimi e i coenzimi.

I più comuni composti eterociclici possono essere suddivisi in pentatomici ed esatomici in base al numero degli atomi che costituiscono il loro anello. Per quanto riguarda la loro struttura, invece, essi si suddividono in composti eterociclici non aromatici e aromatici. Esempi di composti eterociclici non aromatici sono la pirrolidina, la piperidina e il tetraidrofurano:

pirrolidina tetraidrofurano piperidina

Le proprietà fisiche e chimiche di questi eterocicli non aromatici sono simili a quelle dei corrispondenti composti a catena aperta in cui gli atomi di ossigeno e azoto sono legati a due gruppi alchilici. Pertanto, il tetraidrofurano può essere considerato un etere ciclico, mentre la pirrolidina e la piperidina possono essere considerate ammine cicliche.

Più importanti sono i composti eterociclici aromatici, la cui struttura elettronica richiama molto quella del benzene.

Tra gli eterocicli pentatomici aromatici ricordiamo il furano, il pirrolo 2.7 , il tiofene, il pirazolo.

Tra gli eterocicli esatomici aromatici, invece, ricordiamo la piridina, la pirimidina, la piridazina, la pirazina. piridina piridazina pirimidina pirazina

2.9 I polimeri

Anche i polimeri sono una classe di composti caratterizzata da una particolare struttura, più che dalla presenza di specifici gruppi funzionali.

I polimeri sono macromolecole formate dall’unione di un numero elevato di piccole unità strutturali chiamate monomeri, che si legano covalentemente le une alle altre in modo ripetitivo.

I polimeri sono caratterizzati da una massa molecolare molto elevata e proprietà fisiche e chimiche peculiari. Se il polimero deriva dall’unione dello stesso monomero (A), si definisce omopolimero; se si ottiene dall’unione di due diverse unità monomeriche (A e B), si definisce copolimero:

Un omopolimero si nomina facendo precedere il prefisso poli- al nome del monomero da cui deriva: per esempio, il polietilene è il polimero derivato dall’etilene. I monomeri possono essere nominati usando i nomi IUPAC o quelli tradizionali commercialmente noti.

I polimeri includono un elevato numero di molecole strutturalmente molto diverse. Una possibile classificazione fa riferimento al tipo di gruppo funzionale presente nella struttura del polimero. Distinguiamo così polieteri, poliesteri, poliammidi e così via. A seconda dell’origine della macromolecola, invece, possono essere distinte due classi principali: i polimeri naturali e i polimeri sintetici. I polimeri naturali sono macromolecole che costituiscono gli organismi viventi, formate e degradate attraverso reazioni metaboliche. Essi, a loro volta, possono essere suddivisi in tre classi: polisaccaridi (come l’amido, la cellulosa, il glicogeno), poliammidi (come gli oligopeptidi e le proteine) e polinucleotidi (DNA e RNA).

Oltre a questi tre tipi particolarmente importanti in biochimica, è utile ricordare la gomma naturale o caucciù, un polimero che si ricava dal lattice di alcune piante 2.8 . Dal punto di vista chimico, è il polimero di un particolare alchene noto con il nome di isoprene. 2-metil-1, 3-butadiene

I polimeri sintetici sono prodotti artificialmente a partire, in genere, da derivati del petrolio e sono progettati per avere proprietà tecnologiche specifiche per il loro uso nell’industria e nelle applicazioni della vita quotidiana. Sia i polimeri naturali sia quelli artificiali, si possono formare attraverso due tipologie di reazioni di polimerizzazione: per addizione o per condensazione. Nei polimeri di addizione, si legano tra loro monomeri che presentano insaturazioni, cioè doppi o tripli legami. In questo modo si ottiene, per esempio, il polietilene dall’etene (etilene), secondo lo schema seguente: CH2 CH2 n ( ) nCH2 CH2

La lettera n fa riferimento al numero di unità strutturali CH2 CH2 ripetitive che si legano a formare il polimero. Esempi di polimeri sintetici e di addizione sono il polivinilcloruro (PVC) e il polietilene.

.

2.8 La gomma naturale si ricava dal lattice dell’albero della gomma, Hevea brasiliensis

Risposta breve

1. Che cosa sono i polimeri?

2. Fai un esempio di un polimero naturale e di un polimero sintetico.

Il polietilene può esistere in due forme: ad alta densità (HDPE) e a bassa densità (LDPE). Il primo è composto da catene non ramificate molto lunghe che si impacchettano facilmente. Il materiale risultante, sebbene relativamente forte e rigido, mantiene una certa flessibilità. Al contrario, il polietilene LDPE è composto da catene più piccole e più ramificate. Questo materiale è quindi più morbido, più debole e più facilmente deformabile rispetto all’HDPE. Nei polimeri di condensazione, invece, si forma un legame tra due gruppi funzionali differenti con la perdita di una piccola molecola, che può essere in molti casi l’acqua. Questo tipo di polimerizzazione può avvenire per reazione tra monomeri polifunzionali, cioè che presentano gruppi funzionali diversi, come nel caso del polietilene tereftalato (PET), ottenuto dall’esterificazione del glicole etilenico con l’acido tereftalico e comunemente usato per bottiglie e imballaggi:

glicole etilenico

La condensazione può anche avvenire tra monomeri differenti, come nel caso del nylon 6,6, così chiamato perché deriva da due monomeri a sei atomi di carbonio: l’acido adipico (C6H10O4) e l’esametilendiammina (C6H16N2):

acido adipico nylon 6,6 n esametilendiammina

Moplen, la plastica che partecipò allo sviluppo economico

Spot: Moplen per Carosello (1961) Registi: Edo Cacciari e Mario Fattori

Tra le tante materie plastiche che ci circondano, un posto speciale occupa il polipropilene isotattico (iPP), un polimero del propilene in cui tutti i gruppi CH3 laterali sono sullo stesso lato rispetto alla catena principale.

L’iPP fu creato dal chimico italiano Giulio Natta nel marzo 1953 e brevettato come Moplen dall’azienda chimica Montecatini, che aveva finanziato le ricerche. Natta aveva sfruttato le scoperte sui catalizzatori del polietilene del chimico tedesco Karl Ziegler, con il quale nel 1963 condivise il premio Nobel per la chimica.

L’iPP è prodotto a partire dai residui di lavorazione del petrolio ed è quindi economico

da produrre. Esso presenta diverse caratteristiche favorevoli: è leggero e plasmabile e può, per esempio, essere pressato a caldo, iniettato, colato sotto vuoto, estruso, soffiato; inoltre, è resistente al calore fino a 140 °C e agli acidi, anche senza trattamenti protettivi.

L’invenzione del Moplen accelerò lo sviluppo dell’industria chimica italiana e il boom economico e influenzò altri settori industriali come quelli automobilistico, edile, tessile e agroalimentare.

Il Moplen si diffuse molto in ambito domestico: fu usato per contenitori, stoviglie, attrezzi per il bucato, giocattoli e componenti di elettrodomestici. I prodotti in Moplen risultavano più comodi rispetto a quelli già in uso, di materiali più rigidi (legno o metallo) o fragili o costosi.

Negli anni Sessanta del secolo scorso, furono molto popolari gli spot di Carosello, in cui il comico Gino Bramieri risolveva problemi casalinghi con qualche contenitore

di Moplen, pronunciando trionfante la frase“E mo’, e mo’? - (cioè“E ora?”) - Moplen!”. Per la grande varietà di forme ottenibili, l’iPP stimolò anche il design, ambito in cui l’Italia aveva una consolidata tradizione: gli arredi, colorati e fantasiosi, esprimevano lo spirito del tempo strizzando l’occhio alla Pop-Art. Con la crisi petrolifera del 1973 e con la scoperta nel 1997 del Great Pacific Garbage Patch (un'area in cui le correnti concentrano i rifiuti di plastica galleggianti nell’Oceano Pacifico) si è sviluppata una riflessione critica sulla sostenibilità dell'uso delle plastiche: attualmente infatti, nel mondo, non più del 10% ne viene riciclato. Il Moplen però non ha perso la sua utilità.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Arte). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

COLLEGA Storia

2.10 La reattività dei composti organici

I gruppi funzionali delle molecole organiche ne determinano non solo le proprietà fisiche, ma anche chimiche, come la reattività. Le reazioni prevedono che nella molecola siano rotti dei legami per formarne di nuovi, convertendo un gruppo funzionale in un altro. In particolare, la presenza di una regione ad alta densità elettronica attira a sé altri atomi o gruppi di atomi carenti di densità elettronica e avvia il processo di rottura del legame.

Nei legami covalenti singoli C C e C H, gli elettroni sono distribuiti in modo più o meno uniforme sugli atomi legati, rendendoli forti e poco reattivi. Per questo motivo, gli idrocarburi che contengono solo legami di questo tipo non sono molto reattivi.

Reagiscono invece più facilmente i composti contenenti legami multipli e atomi diversi dal carbonio. I legami doppi e tripli hanno regioni ad alta densità elettronica all’esterno dell’asse del legame atomo-atomo. Gli eteroatomi, invece, esercitano sugli elettroni un’attrazione maggiore o minore di quella del carbonio, rendendo il legame polare.

Le reazioni chimiche che caratterizzano i composti organici possono essere classificate in base alla modalità di trasformazione 2.9 . Quando si rompe un legame multiplo, i due atomi coinvolti possono legare altri atomi di altre molecole con reazioni di addizione. La rottura di un legame covalente polare singolo determina invece la perdita di una parte della molecola con reazioni di eliminazione. Se però l’atomo a cui questa era legata può legarsi ad altre molecole si ha una reazione di sostituzione. Quando la trasformazione comporta una variazione del numero di ossidazione del carbonio si parla invece di razioni di ossidazione o di riduzione. Infine, l’idrolisi è la rottura di un legame per opera di una molecola d’acqua.

REAZIONI

ADDIZIONE

SOSTITUZIONE

OSSIDAZIONE

RIDUZIONE

ELIMINAZIONE

IDROLISI

ALTRO

2.9 Rappresentazione schematica delle principali classi di composti e di alcune delle reazioni che trasformano un composto in un altro, appartenente a una classe differente.

ALCOLI

U2 Ripassa con metodo

Scarica la mappa modificabile. Leggi e ascolta la sintesi dell’Unità.

Completa la mappa con i termini mancanti. Puoi confrontarla con la mappa completa accessibile dal codice QR.

DERIVATI DEGLI IDROCARBURI

sono composti organici contenenti anche atomi di elementi diversi da carbonio e idrogeno

Come possono essere rappresentati?

un atomo o un gruppo di atomi caratteristico del composto da cui dipendono proprietà

In quali classi si suddividono?

ALOGENURI

contengono il gruppo

ALCOLI E FENOLI

contengono il gruppo

contengono il gruppo —O—

Quali classi di composti si distinguono per la presenza, più che di gruppi funzionali, di strutture particolari?

Composti di natura ciclica in cui l’eteroatomo fa parte dell’anello

contengono il gruppo AMMINE

POLIMERI

Macromolecole formate dall’unione di diverse chiamate

contengono il gruppo C=O — —

ACIDI CARBOSSILICI

contengono il gruppo

CLORURI ACILICI

hanno il gruppo —CO—Cl

hanno il gruppo —CO—O—CO—

AMMIDI

hanno il gruppo

ESTERI

hanno il gruppo

Hanno in comune il gruppo acilico, ma si differenziano per il gruppo funzionale al posto del gruppo DERIVATI DEGLI ACIDI CARBOSSILICI

U2 Conoscenze e abilità

2.1 I gruppi funzionali

1 Vero o falso?

a. Il gruppo funzionale è sempre costituito da un gruppo di atomi V F

b. Gli alogenoderivati sono anche chiamati aloalcani V F

c. La formula generale degli alogenuri alchilici

è Ar X V F

2 Che cosa si intende per gruppo funzionale?

3 Un gruppo funzionale conferisce ad un composto: soltanto le proprietà fisiche soltanto le proprietà chimiche le proprietà fisiche e chimiche la stabilità

4 Secondo quale criterio si classificano gli alogenoderivati come primari, secondari o terziari?

5 In quali dei seguenti derivati organici non si trova il gruppo carbonilico?

Nelle ammine

Nelle aldeidi

Negli esteri

Nei chetoni

6 Indica il gruppo funzionale caratteristico di:

a. ammine

b. alogenuri alchilici

c. eteri

d. chetoni

7 Se R, R′ e R″ sono dei generici gruppi alchilici, indica il nome delle seguenti classi di composti:

a. R O H

b. R CO H

c. R CO R′

d. R CO OH

e. R CO OR′

f. R O R′

2.2-3 Gli alcoli, i fenoli e gli eteri

8 Vero o falso?

a. Il nome IUPAC degli alcoli è la parola alcol seguita dal nome del gruppo alchilico V F

b. I fenoli sono composti con il gruppo ossidrilico legato all’anello aromatico V F

9 Completa la seguente frase

Metanolo, etanolo e propanolo hanno in comune il gruppo e appartengono alla classe degli

10 Qual è la differenza strutturale tra alcoli e fenoli?

11 Su quale criterio si basa la classificazione degli alcoli in primari, secondari e terziari?

12 In che senso possiamo considerare gli alcoli e gli eteri formalmente composti derivati dall’acqua?

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

13

Quale di queste molecole è un alcol aromatico?

3-metil-1-butanolo

3-etil-2-pentanolo

1,2-propandiolo fenolo

14 Quale di questi composti è un alcol primario? CH3CH2OH (CH3)3COH (CH3)2CHOH CH3OCH3

15 Indica tra i seguenti composti qual è un alcol secondario: 1-propanolo

2-metil-2-propanolo

1,3-diidrossipropano

2-butanolo

16 Indica se il composto (CH3)3CCH2OH è un alcol primario, secondario o terziario e attribuiscigli il nome.

17 Indica il nome dei seguenti alcoli, specificando per ciascuno se è un alcol primario, secondario o terziario:

a. CH3 CH CH CH2 CH3 CH3 OH

b. CH3 CH2 CH2 CH2 CH2 OH

c. CH3 CH CH2 CH2 CH3 OH

d. CH3 CH2 CH CH2 CH3 OH

18 Assegna i nomi appropriati agli alcoli che hanno le seguenti formule di struttura:

a. CH3 CH CH2 CH2 OH CH3

b. CH3 C OH CH3 CH3

c. CH2=CH CH2 CH OH

CH3

d. HO CH2 CH CH2 CH2 OH

CH3

e. OH

19 Scrivi le formule di struttura dei seguenti composti:

a. 3,3-dimetil-1-butanolo

b. 3,5-dimetil-5-fenil-2-esanolo

c. 2,2-dimetil-ciclopentanolo

d. 6-metil-3-eptanolo

e. etil fenil etere

f. dimetil etere

g. etil metil etere

2.4 Le aldeidi e i chetoni

20 Vero o falso?

a. Nei chetoni, il carbonio che lega il gruppo carbonilico lega anche un gruppo alchilico V F

b. Aldeidi e chetoni aromatici sono più spesso chiamati con i nomi tradizionali V F

21 Qual è il gruppo funzionale comune ad aldeidi e chetoni?

22 Qual è il nome IUPAC dell’aldeide formica e dell’aldeide acetica?

23 Qual è la desinenza utilizzata per denominare le aldeidi e quale quella per denominare i chetoni secondo la nomenclatura IUPAC?

24 Qual è il nome IUPAC dell’aldeide butirrica?

25 Le aldeidi differiscono dai chetoni: per il numero di atomi di idrogeno per il numero di atomi di carbonio per la diversa configurazione per la presenza di un idrogeno sul carbonile

26 Il nome IUPAC della formaldeide è: propanale acetone metanale propanone

27 La formula bruta dell’etanale è:

C2H4O

C2H3O

C3H2O2

C3H2O

28 Assegna il nome IUPAC a ciascuno dei seguenti composti:

a. CH3 CH CH2 C H

CH3 O =

b. CH3 CH CH2 CH2 C H

CH3 O =

c. CH3 CH C CH3

CH3 O =

d. CH3 CH C CH2 CH3

CH3 O =

29 Scrivi le formule di struttura delle seguenti aldeidi:

a. metanale

b. etanale

c. benzaldeide

d. 3,4-dimetil-pentanale

e. 2,2-dimetil-pentanale

f. 2-eptanone

g. 2,4-dimetil-3-esanone

30 Scrivi le formule di struttura delle seguenti aldeidi aromatiche:

a. para-cloro-benzaldeide

b. orto-nitro-benzaldeide

c. meta-cloro-benzaldeide

d. 3-nitro-benzaldeide

e. 2,3 dicloro-benzaldeide

f. 3,5 dinitro-benzaldeide

2.5-6 Gli acidi carbossilici e i loro derivati

31 Vero o falso?

a. Gli eteri sono una classe composti derivati dagli acidi carbossilici V F

b. Le ammidi contengono il gruppo funzionale

NH2 sullo stesso carbonio del gruppo acilico V F

c. Gli acidi carbossilici sono rappresentati dalla formula generale R COOH V F

d. Il carbonio del gruppo carbossilico può essere uno dei carboni dell’anello aromatico V F

32 Qual è la differenza tra il gruppo carbonilico e il gruppo carbossilico?

33 Qual è il nome IUPAC dell’acetammide?

34 Secondo la nomenclatura IUPAC, il nome degli acidi carbossilici termina con il suffisso: -oso -oico -ico -uro

35 Quale dei seguenti acidi carbossilici contiene un doppio legame C C? acido 4-metilesanoico acido 4-esenoico acido ortometilbenzoico acido benzoico

36 La formula dell’acido propionico è:

CH3OH

CH3CHO

CH3CH2COOH

HCOOH

37 Indica quale dei seguenti derivati degli acidi carbossilici rappresenta la formula di un estere:

CH3CH2OCH3

CH3COCl

CH3COOC2H5

CH3CONH2

38 Assegna i nomi IUPAC ai seguenti composti carbonilici:

a. CH3 CH COOH

CH3

b. CH3 CH2 CH2 CH CH2 COOH

CH3

c. CH3 CH2 CH CH2 COOH Cl

39 Individua il gruppo funzionale e indica di quale classe fa parte ciascuno dei seguenti composti: a. CH3 C O C CH3 = O = O

CH3 C O = O

CH3CH2 O CH3

C — O= Cl e. = O CH3 CH2 C NH2

40 L’acido lattico, secondo la nomenclatura IUPAC, è denominato acido 2–idrossipropionico: scrivi la formula.

41 Scrivi le formule di struttura dei seguenti composti:

a. acido 4-metilesanoico

b. acido 4-esenoico

c. acido benzoico

d. acido ortometilbenzoico

2.7 Le ammine

42 Vero o falso?

a. Le ammine secondarie hanno due idrogeni legati all’azoto V F

b. L’anilina è la più semplice ammina aromatica V F

43 Problema svolto Scrivi la formula di struttura di: a. un’ammina primaria; b. un’ammina secondaria; c. un’ammina terziaria; ciascuna con tre atomi di carbonio nella molecola. Per ciascuna ammina indica due possibili nomi secondo i diversi sistemi di nomenclatura.

▶ Ammina primaria

L’atomo di azoto è legato a un solo gruppo e a un solo atomo di idrogeno. Poiché vi devono essere tre atomi di carbonio, il gruppo alchilico sarà n-propilico oppure isopropilico. A questa formula possono corrispondere due diverse ammine primarie:

H N H

CH2CH2CH3 1-amminopropano n-propilammina

▶ Ammina secondaria

H N H

CH3CHCH3 2-amminopropano isopropilammina

L’atomo di azoto è legato a due gruppi alchilici e a un solo atomo di idrogeno. Poiché devono essere presenti tre atomi di carbonio, un gruppo sarà quello metilico e l’altro il gruppo etilico. Si ottiene quindi una sola ammina secondaria:

CH3 N H

CH2CH3 1-metilamminoetano N-metiletanammina

▶ Ammina terziaria

L’atomo di azoto è legato a tre gruppi alchilici e a nessun atomo di idrogeno. Poiché vi devono essere tre atomi di carbonio, tutti e tre i gruppi saranno i gruppi metilici. Si ha quindi una sola ammina terziaria:

CH3 N CH3

CH3

N,N-dimetilamminometano trimetilammina

44 Quale delle seguenti formule corrisponde a una generica ammina:

R—CO—NH2

R—CH2—NH2 R—CO—NHR R—CO—NRR’

45 Scrivi le formule di struttura delle tre ammine isomere di formula C3H9N e classificale come primarie, secondarie o terziarie.

46 Quale di queste strutture rappresenta una ammina terziaria?

CH3—NH—CH3

CH3 CH N CH2 CH3

CH3 CH3

CH3—CH2—CH2—NH2

CH3 CH NH2

CH3

47 Scrivi le formule di struttura delle seguenti ammine:

a. 2-metil-3-eptammina

b. dimetil-propilammina

c. 2,2,3-trimetilpentanammina

d. fenilmetilammina

2.8 I composti eterociclici

48 Vero o falso?

a. I composti eterociclici possono avere anche più di un eteroatomo V F

b. I composti eterociclici non possono essere anche aromatici V F

49 Quali sono i principali eteroatomi contenuti nei composti eterociclici?

50 Riporta un esempio di composto eterociclico aromatico e uno di composto eterociclico non aromatico.

51 Il pirrolo:

è il nome tradizionale della pirrolidina è esatomico è aromatico contiene ossigeno

2.9 I polimeri

52 Vero o falso?

a. I copolimeri si ottengono dall’unione di monomeri differenti V F

b. Le poliammidi sono polimeri artificiali V F

c. L’unione di monomeri polifunzionali avviene per condensazione V F

d. Il nylon è un omopolimero V F

53 Qualè la differenza tra un omopolimero e un copolimero?

54 Che cosa differenzia i polimeri di condensazione da quelli di addizione?

55 Dall’etilene si forma il polietilene. Di quale tipo di reazione si tratta?

56 I polimeri sintetici si ottengono: per condensazione o per sostituzione per addizione o per sostituzione solo per condensazione per addizione o per condensazione

57 Quali tra i seguenti non è uno dei possibili metodi di classificazione dei polimeri?

In base all’origine naturale o sintetica

In base alla reazione di polimerizzazione

A seconda del peso molecolare

In base ai monomeri che lo costituiscono

58 Quale dei seguenti polimeri non è sintetico: poliisoprene polietilene nylon 6,6 polivinilcloruro

2.10 La reattività dei composti organici

59 Vero o falso?

a. La reattività dipende dalla presenza di gruppi di atomi a bassa densità elettronica V F

b. I legami multipli sono molto reattivi V F

c. I legami covalenti sono deboli e poco reattivi V F

U2 Competenze

64 INGLESE Explain what is meant by functional group.

65 INGLESE The compounds

C6H5—OH and C6H5—CH2—OH are: two alcohols two phenols the first a phenol and the second an alcohol the first an alcohol and the second a phenol

66 INGLESE Which functional group is present in both aldehydic and ketonic compounds?

Hydroxyl group

Carboxyl group

Carbonyl group

Ether group

67 SOSTENIBILITÀ Stila un elenco di tutti i materiali polimerici che riesci a identificare attorno a te. Aiutandoti con una ricerca in Internet dividili in una tabella tra polimeri di addizione e di condensazione, e riporta il nome per esteso, l’acronimo e il rispettivo monomero. Gli oggetti costituiti da materiali polimerici devono oggi riportare i “codici di riciclaggio”: di che cosa si tratta? Che cosa prevede la legislazione europea sul riciclaggio delle materie plastiche?

68 PROBLEM SOLVING Il polietilentereftalato, meglio noto con la sigla PET, è un materiale polimerico ottenuto attraverso una reazione di esterificazione tra l’acido tereftalico e il glicole etilenico. L’acido tereftalico è un acido dicarbossilico: puoi ricavare la sua struttura posizionando in posizione 1,4 due carbossili nell’anello benzenico.

a. Scrivi la reazione di polimerizzazione che produce il PET.

b. Per quale motivo è necessario che entrambi i reagenti siano composti bifunzionali, ossia contengano due gruppi funzionali ciascuno?

69 DIGITALE Attraverso una ricerca in Internet riporta il maggior numero possibile di informazioni sull’etanolo. Realizza una breve presentazione ed esponila alla classe. In particolare:

a. in quali ambiti della vita quotidiana e in quali prodotti comuni si trova;

b. attraverso quale processo viene prodotto a livello industriale;

c. in che modo viene prodotto in natura;

d. che cosa si intende per bioetanolo e quali sono i suoi impieghi.

60 Perché la presenza di eteroatomi rende un composto organico reattivo?

61 Quali tra le seguenti non è una classe di reazioni chimiche di composti organici?

Addizione

Eliminazione

Riduzione

Ionizzazione

62 Quali sono le principali tipologie di reazioni che possono coinvolgere un composto organico?

63 Qual è la tipologia di reazione che trasforma un alchene in un alcano? Quale altra molecola è coinvolta come reagente iniziale affinché tale reazione possa avvenire?

70 SOSTENIBILITÀ La sostituzione dei solventi organici con composti ecosostenibili è uno degli obiettivi principali della Green Chemistry. L’evaporazione dei solventi, infatti, rappresenta un problema per la salute e l’inquinamento non solo durante la fase di lavorazione industriale, ma anche durante la permanenza di questi prodotti nelle abitazioni. Il lattato di etile è un composto naturalmente presente in diversi cereali e nella frutta, tanto da essere impiegato come aromatizzante nell’industria alimentare. Grazie alla sua bassa tossicità per l’essere umano e per l’ambiente, il lattato di etile rappresenta un buon solvente ecosostenibile anche in diversi processi industriali come agente sverniciante e sgrassante.

a. Sapendo che il lattato di etile deriva dall’acido lattico, o acido 2-idrossipropanoico, scrivi la sua formula di struttura.

b. A quale classe di composti appartiene?

c. La sua molecola contiene uno stereocentro?

71 PROBLEM SOLVING L’industria alimentare, per aumentare il tempo di conservazione dei cibi, utilizza molte sostanze tra cui antiossidanti, additivi e acidificanti. Negli ultimi tempi i consumatori hanno indotto le industrie a preferire acidificanti naturali, tra i quali l’acido malico, l’acido citrico, l’acido acetico, l’acido oleico. Ricerca su testi di chimica in biblioteca oppure in Internet le formule di questi acidi e indica alcune loro fonti naturali. Per esempio, l’acido malico è presente nelle mele, da cui prende il nome, e nel rabarbaro. Infine, spiega quale caratteristica strutturale accomuna l’acido malico e l’acido citrico.

72 PENSIERO CRITICO Il metanolo è prodotto in natura durante il processo di vinificazione, insieme all’etanolo; è un composto tossico, ma la quantità prodotta è talmente piccola da non causare danni, a meno che non venga aumentata per aggiunta di altro alcol per scopi fraudolenti; è ciò che accadde in Italia nel 1986, quando scoppiò il cosiddetto scandalo del vino al metanolo.

Documentati in Internet ricercando le parole-chiave“vino al metanolo” e poi rispondi alle seguenti domande.

a. Quale fu, nel 1986, lo scopo dell’aggiunta di metanolo al vino?

b. Perché non fu usato un prodotto meno pericoloso, quale etanolo o semplice zucchero, per raggiungere il medesimo scopo?

c. Come si manifesta la tossicità del metanolo?

Quali danni causò nel 1986?

d. Quali furono le ripercussioni economiche di questo scandalo a livello internazionale?

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Definisci che cosa sia un gruppo funzionale e fai alcuni esempi, utilizzando le seguenti parole chiave: atomo • gruppo • proprietà fisiche • proprietà chimiche • alogeno

2 Illustra quali sono i composti organici che possono essere considerati derivati dell’acqua e perché, utilizzando le seguenti parole chiave:

ossidrile • gruppo etere • alchilico • arilico • suffisso • fenolo • diolo

3 Descrivi le caratteristiche di un acido carbossilico e dei suoi derivati funzionali, utilizzando le seguenti parole chiave:

ossigeno • gruppo carbonilico • gruppo carbossilico • gruppo acilico • idrossiacidi • anidride • alogeno • ammide • estere

4 Illustra cosa sono i polimeri, la loro struttura e la loro origine utilizzando le seguenti parole chiave: monomero • omopolimero • copolimero • naturale • sintetico • polifunzionale • addizione • condensazione

5 Spiega la reattività dei composti organici utilizzando le seguenti parole chiave: densità elettronica • legami multipli • eteroatomi • addizione • eliminazione • sostituzione • ossidazione • idrolisi • riduzione

Prova a partire così

6 Quali sono i composti che hanno in comune la presenza del gruppo ossidrilico?

I composti che hanno un comune il solo gruppo ossidrilico sono . Negli l’ossidrile è legato a un gruppo alchilico, mentre nei è legato a un gruppo arilico. Se oltre al gruppo ossidrile è presente anche un gruppo carbonile sullo stesso atomo di carbonio si parla in realtà di , tipico della classe degli

7 Quali sono i composti organici che hanno in comune la presenza del gruppo carbonilico?

I composti carbonilici sono composti contenenti il gruppo C O. Nelle aldeidi il carbonile è legato ad almeno un atomo di , nei chetoni è legato a due gruppi o . Negli acidi carbossilici, il carbonile è legato a un gruppo alchilico o arilico, ma anche a un gruppo .

8 Quali tipi di ammine non possono formare legami a idrogeno e perché?

Le ammine che non possono formare legami a idrogeno sono le ammine , in quanto sono derivate dalla per di tutti e gli atomi di idrogeno con altrettanti . Non ci sono altri atomi di legati all’atomo di , quindi non è possibile instaurare legami a idrogeno.

Organizza il discorso

9 Descrivi le diverse tipologie di composti contenti il gruppo carbonilico.

Prova a seguire questa scaletta:

Spiegazione di cosa è un gruppo carbonilico

Differenza fra aldeidi e chetoni

Differenza fra gruppo carbonile e gruppo carbossile

Illustrazione dei derivati degli acidi carbossilici

10 Come sono classificati gli eterocicli?

Prova a seguire questa scaletta:

Definizione di eteroatomo

Classificazione in base alla aromaticità dell’anello

Classificazione in base al numero di atomi presenti nell’anello

Esempi di eterocicli con più eteroatomi

11 UN PASSO IN PIÙ Spiega la geometria del gruppo carbonilico e mettila in relazione con il tipo di ibridizzazione del carbonio presente nel gruppo funzionale. Fai riferimento alla classificazione dei tipi di ibridizzazione degli orbitali del carbonio e agli angoli caratteristici della ibridizzazione sp2. Costruisci tu la scaletta.

Simula un colloquio di esame

12 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

Tema A Storie e idee della chimica

Breve storia della plastica

Leo Hendrik Baekeland crea la prima plastica sintetica termoindurente, la bachelite; questo materiale, ottenuto per condensazione tra fenolo e formaldeide, una volta liquefatto, colato in uno stampo, modellato e indurito, non può più essere rimodellato.

Jacques Edwin Brandenberger inventa il cellophane, la prima pellicola trasparente a base cellulosica che, essendo flessibile e idrorepellente, è divenuta di uso comune per gli imballaggi.

I chimici Reginald Gibson e Eric William Fawcett scoprono il polietilene, la plastica più comunemente utilizzata al giorno d’oggi.

Il chimico Wallace Hume Carothers, definendola “resistente come l’acciaio, delicata come la ragnatela”, presenta il Nylon, la prima fibra sintetica della storia. Durante la Seconda guerra mondiale questa fibra viene usata soprattutto per costruire i paracadute militari; impiegata in seguito per produrre i collant, apre le porte a una vera rivoluzione nel mondo delle calze da donna.

Otto Bayer sviluppa il poliuretano, il cui impiego aumenta in modo massiccio durante la Seconda guerra mondiale, quando questo materiale inizia a essere utilizzato in sostituzione della gomma per le applicazioni più svariate, dalla fabbricazione delle finiture degli aerei alla produzione di indumenti.

Rex Whinfield e James Tennant Dickson inventano il polietilene tereftalato (PET); questo materiale, inizialmente impiegato per produrre fibre tessili artificiali, oggi è sfruttato soprattutto per confezionare cibi e bevande.

Nathaniel Wyeth brevetta la bottiglia in PET. Trasparente, leggera e resistente agli urti, essa, tuttora in commercio, trova ben presto largo impiego come contenitore per liquidi.

Ray McIntire sviluppa il polistirene espanso, noto anche come polistirolo; questo materiale, traspirante, impermeabile, ignifugo, leggero e duraturo, oggigiorno è impiegato per l’imballaggio e come materiale isolante.

Viene costruito il primo impianto di riciclaggio della plastica a Conshohocken in Pennsylvania.

Giulio Natta (Premio Nobel per la Chimica con Karl Ziegler nel 1963) sintetizza il polipropilene isotattico. Registrata con il nome di Moplen, questa materia plastica dura e resistente trova tutt’oggi largo impiego nell’ambito idrosanitario e casalingo.

Dato l’enorme impatto ambientale della plastica derivante dal petrolio, le bioplastiche secolo e prodotte a partire da risorse rinnovabili) acquisiscono un rinnovato interesse.

Esamina e discuti Negli anni Sessanta del secolo scorso, la plastica ha rappresentato una forma di progresso non solo scientifico, ma anche economico e sociale. In passato come oggi, l’utilizzo della plastica ha infatti avuto un notevole impatto sullo sviluppo economico in Italia, con il boom economico, e nel mondo; ha inoltre modificato le abitudini e lo stile di vita, in particolare delle donne. Più di recente sono diventate note le conseguenze dei rifiuti di plastica dispersi nell’ambiente. Approfondisci l’argomento e allestisci un dibattito in classe. In che modo la plastica ha influito in passato e influisce tuttora sulla vita quotidiana?

Quali sono gli aspetti negativi dell’utilizzo della plastica e come possono essere risolti?

Quali quelli positivi?

Approfondisci con il podcast

Giulio Natta

Tema A Understanding Our World With

Turning the tide with compostable PLA

Many objects that we use in our everyday life are made of plastics, most of which are made from crude oil. While this material is very useful and versatile, its production presents many problems:

• it produces pollutants, such as carbon dioxide, which contribute to climate change;

• when dispersed in the environment, it’s a pollutant itself as it does not degrade;

• crude oil is a prime source in great demand throughout the world and its source is limited and not renewable.

To address all these problems, scientists have been looking for the past two decades for new ways of making more sustainable plastic materials, leading to the development of bioplastics. These new materials could make up 2-3% of the plastics market by 2027.

Bio-based plastics: PLA

An example of bioplastic is polylactide acid (PLA). This material is made by converting the sugar present in plants, most commonly corn, into plastic 1

In PLA, the lactic acid obtained from bacterial fermentation of dextrose constitutes the building monomer. However, lactic acid cannot be directly polymerized into PLA. The chemical reaction that bonds two molecules of lactic acid together also generates water molecules, which prevent the growing chain of lactic acid molecules from staying together; hence this water is later eliminated. Instead of a long chain of lactic acid molecules, many oligomers are formed, which are in turn processed in a chemical reaction that leads to smaller lactide molecules 2 . The lactide molecules act as monomers that are polymerized into PLA in a process similar to the polymerization of ethylene into polyethylene.

Composting bioplastics

A number of bioplastics, including PLA, could be compostable in specific industrial plants: give them enough heat, moisture, and microbes, and the latter will break them down into plant material, carbon dioxide, and water. Despite that, nearly all compostable plastic ends up in a landfill instead of being composted. Like other plastics, in these conditions, bioplastics remain intact, buried in the oxygen-free environment of landfills. Some scientists worry that over many years, bioplastics will slowly decompose instead of composting, giving off methane, a greenhouse gas 20 times more potent than carbon dioxide.

CRITICAL THINKING

■ Plastic pollution is a global problem: we live immersed in plastic, a problem more and more acute. Could bioplastics be the solution to this problem? Read this scientific paper and present its main points to the class.

■ The term plastic covers a wide range of synthetic or semi-synthetic materials that we use in our everyday life, most of which en-

ter the marine environment because of human activity; find online various examples of megaplastics, macroplastics, mesoplastics, microplastics, nanoplastics and enter this information into a table indicating their dimension and source of origin.

■ Polylactic acid (PLA) is considered a promising substitute to petroleum-based poly-

mers. Find online the main applications of this eco-friendly polyester and summarize them to your classmates.

■ Find out on the Internet the details of the processing of lactic acid into PLA, either directly or via its cyclic diester lactide. Pay special attention to the issue of stereoregularity.

2 Chemical reaction that leads to lactide molecules and PLA.
1 Corn-based plastic: close-up of plastic pellets made from corn starch.

Tema A Educazione civica

Plastiche verdi

L’inquinamento causato dal deposito di rifiuti plastici negli ecosistemi ci pone di fronte a una sfida ambientale. La società è ora spinta a ripensare i modelli di consumo e di produzione finora utilizzati e risalenti alla Rivoluzione industriale. Un ruolo fondamentale nella transizione ecologica è quello della chimica verde, la quale mira a convertire processi e prodotti tradizionali, basati su fonti fossili altamente inquinanti, in alternative più sostenibili.

Bioplastiche moderne e riscoperte

Un successo dato dalla chimica verde è dato dalle bioplastiche. Si tratta di materiale plastico composto, interamente o in parte, da biomassa organica anziché dalle molecole derivate dal petrolio utilizzate nella plastica tradizionale. Le bioplastiche non sono un’invenzione recente e più che di scoperta, si dovrebbe parlare di riscoperta. La celluloide può essere definita l’antenata delle moderne bioplastiche. Prodotta a partire da materiale organico (la cellulosa) già a partite dal XIX secolo, la celluloide è stata impiegata per dischi, pellicole cinematografiche e fotografiche, giocattoli e altri oggetti di uso quotidiano 1 . Questo materiale è stato in seguito sostituito da da plastiche prodotte a partire da materie prime fossili. La produzione e l’utilizzo di celluloide è, infatti, meno inquinante ma anche più costosa.

In collaborazione con

Composizione e classificazione delle bioplastiche

Le bioplastiche sono polimeri che presentano caratteristiche di durata e flessibilità simili alle plastiche di origini fossili tradizionali; la differenza risiede nel loro minor impatto ambientale e, in molti casi, nella fonte di materia con cui sono prodotte. La materia di partenza è spesso costituita da biomassa, che può derivare da scarti o da materie prime vergini. Un esempio di bioplastica è il PLA (acido polilattico), prodotto a partire polisaccaridi di origine vegetale come l’amido. Quest’ultimo è degradato per riduzione chimica in glucosio e trasformato poi in acido lattico, il monomero da cui per polimerizzazione si ottiene il PLA. Un’altra fonte tra le più impiegate per produrre bioplastica è la canna da zucchero da cui si ottiene l’etanolo, trasformato in etilene e poi in bio-polietilene (bio-PE). In generale possiamo classificare le plastiche a seconda e del grado di biodegradabilità 2 . È importante, tuttavia, non confondere i termini biodegradabile e compostabile. Un materiale si dice biodegradabile quando, per azione di batteri e agenti fisici, come la luce del Sole e l’erosione, si degrada in diossido di carbonio, acqua e metano. Si parla invece di compostabile nel caso di materiale che si trasforma, per azione di microrganismi, in compost, cioè terriccio ricco di sostanze organiche e minerali nutritive e non tossiche, utile in agricoltura come fertilizzante.

Un rifiuto compostabile è anche biodegradabile, ma non è vero il contrario. La differenza risiede non solo nel prodotto della degradazione, ma anche dal tempo impiegato: i materiali compostabili devono disintegrarsi entro tre mesi, mentre quelli biodegradabili possono metterci anche diversi anni.

1 La pellicola utilizzata nelle macchine fotografiche non digitali è fatta di celluloide.

Plastiche prodotte da biomasse Non biodegradabile Biodegradabile

BIOPLASTICA

bio-polietilene (bio-PE)

PLASTICA TRADIZIONALE

Plastiche di origine fossile

2 Classificazione delle bioplastiche

polipropilene (PP) polietilene (PE) polietilentereftalato (PET)

BIOPLASTICA

acido polilattico (PLA) poliidrossialcanoati (PHA)

PLASTICA TRADIZIONALE polibutirrato (PBAT)

Approfondisci con la sitografia e svolgi l’attività Riconoscere le bioplastiche

Tema A Autoverifica

La chimica del carbonio

1

Svolgi il test in modalità autocorrettiva sul libro digitale

Condizione necessaria affinché una molecola organica possieda isomeria ottica è: la presenza di almeno un atomo di carbonio chirale

la presenza di un doppio legame tra due atomi di carbonio

la diversa posizione di un sostituente lungo la catena di atomi di carbonio la presenza di almeno tre atomi di carbonio asimmetrici

la presenza di un triplo legame tra due atomi di carbonio

(Medicina e chirurgia e Odontoiatria e protesi dentaria, aa 2016-2017)

2 Which of the following pairs of structural formulae represent structural isomers?

1. CH3CH2OH and CH3OCH3

2. CH3CH(CH3)CH2CH2CH3 and CH3CH2CH2CH(CH3)CH3

3. CH(OH)=CHCH2OH and CH3CH2COOH

1 only

2 only 2 and 3 only 1 and 3 only 1,2 and 3

(Medicine and surgery, aa 2019-2020)

3 Quanti isomeri costituzionali sono possibili nella molecola C3H8O?

2 1 4 5 3

(Veterinaria, aa 2019-2020)

4 Quale tra i seguenti composti è un isomero del pentano?

2-pentene

2-pentanone

2-metilpentano

2-metilbutano

ciclopentano

(Medicina e odontoiatria, aa 2022-2023)

5 Una tra le seguenti coppie di molecole è tale per cui i suoi membri sono tra loro isomeri. Quale?

Acetone e propionaldeide

Butano e ciclobutano

2-clorofenolo e o-clorofenolo

Benzene e cicloesano

Propano e propino

(Medicina e odontoiatria, aa 2021-2022)

6 Qual è la formula generale degli alcani? (n = 1, 2, 3, 4…)

CnH2n

CnH2n–2

CnH2n+2

CnH2n–6

CnH4n (Medicina e chirurgia, aa 2006-2007)

7 Affinché un composto sia aromatico è necessario che: i suoi atomi siano ibridizzati sp3 contenga solo atomi di carbonio e idrogeno contenga elettroni π delocalizzati non sia ciclico contenga legami tripli

(Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, aa 2018-2019)

8 I composti con formula CnH2n: possono essere cicloalcheni o alchini possono essere cicloalcani o alcheni sono sicuramente cicloalcani sono sicuramente alcheni sono sicuramente alchini

(Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, aa 2018-2019)

9 Quale delle seguenti proprietà è comune alla molecola del benzene e alla molecola dell’etilene?

La loro struttura ciclica

L’ibridazione sp degli atomi di carbonio

L’ibridazione sp2 degli atomi di carbonio

La loro aromaticità

La capacità di dare reazioni di sostituzione elettrofila (Veterinaria, aa 2020-2021)

10 C5H10 è la formula bruta del:

pentene pentano pentadiene isopentano ciclopentene

(Medicina veterinaria, aa 2010-2011)

11 Quali composti organici contengono sicuramente un doppio legame?

Ammine

Alcoli

Alcani

Eteri

Aldeidi

(Veterinaria, aa 2020-2021)

12 Quale delle seguenti affermazioni riguardanti chetoni e aldeidi è corretta?

Le aldeidi hanno un atomo di ossigeno e uno di idrogeno legati al carbonio carbonilico

Le aldeidi hanno due atomi di ossigeno legati al carbonio carbonilico

Le aldeidi hanno due atomi di carbonio legati al carbonio carbonilico

I chetoni hanno sempre un atomo di idrogeno legato al carbonio carbonilico

I chetoni contengono sempre doppi legami carbonio-carbonio

(Medicina e chirurgia, aa 2019-2020)

BLa chimica della vita

Che cosa sono le vitamine? Perché queste molecole biologiche sono considerate essenziali per il metabolismo? Scoprirai che esistono tante vitamine diverse che partecipano a una vasta gamma di reazioni biochimiche, aiutando a convertire i nutrienti in energia e a sostenere molte funzioni vitali.

Biochimica STEM Storia

Studia l’U3 per capire che cosa sono le biomolecole, in quali classi sono divise e quali sono le loro caratteristiche, e l’U4 per capire come queste interagiscono tra di loro nel metabolismo, fondamentale per il funzionamento della cellula.

Consulta la linea del tempo a pagina 136 e scopri la storia delle vitamine, dalla scoperta nel 1747 di James Lind che gli agrumi prevengono lo scorbuto, ai più recenti studi, negli anni Duemila, sul ruolo delle vitamine nella prevenzione e terapia contro alcuni tumori.

Con quali metodi sono prodotte le vitamine? Sono cambiati oggi rispetto al passato? Esplora tutte le tecniche usate per la produzione industriale di vitamine attraverso l’esempio della vitamina C. Rifletti con le proposte a pagina 138.

Educazione civica

Qual è il collegamento tra l’inquinamento atmosferico e le vitamine? Queste biomolecole hanno proprietà antiossidanti e possono proteggerci dai rischi per la salute provocati dagli inquinanti. Informati con la scheda a pagina 139.

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CLIL

3.1 La caratterizzazione di ormoni come (a) l’insulina, qui rappresentata con un modello 3D, o lo studio del metabolismo di batteri estremofili, come (b) il Deinococcus radiodurans, hanno permesso importanti passi in avanti in campi come la medicina o le scienze ambientali.

Le biomolecole

3.1 La biochimica e le biomolecole

La biochimica, un tempo chiamata chimica biologica, è lo studio delle sostanze chimiche e delle loro interazioni e trasformazioni negli organismi viventi.

La nascita nel XIX secolo di questa disciplina scientifica è stata determinata sia dai progressi della chimica organica, riguardanti la determinazione della struttura e della reattività dei composti del carbonio, sia dai nuovi traguardi della chimica fisica nell’ambito dello studio dell’energia. Le conoscenze e gli strumenti di queste due discipline furono, infatti, presupposti essenziali per lo studio dei complessi fenomeni biologici.

Da allora la biochimica è diventata il comune denominatore di tutte le discipline biomediche e molecolari, un tipico esempio di come nella scienza non esistano confini netti. I campi applicativi delle scoperte biochimiche sono innumerevoli: dalla medicina, con lo sviluppo di nuovi farmaci, alle scienze ambientali, con le tecniche di biorisanamento del suolo 3.1 . Circa un quarto dei 92 elementi chimici presenti in natura è essenziale per la vita biologica. Dei 24 elementi utilizzati dagli organismi viventi, solo sei (carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, calcio e fosforo) rappresentano il 99% circa della massa del corpo umano e sono i costituenti delle principali classi di molecole biologiche, le biomolecole. In questa Unità studieremo la struttura, le proprietà e le reazioni delle quattro classi di biomolecole: i carboidrati, i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici. Questi composti possono contenere più di un gruppo funzionale e presentano una struttura molecolare più articolata rispetto ai composti organici finora studiati. La reattività delle biomolecole è quindi molto più complessa, ma può essere spiegata con le reazioni e i meccanismi già esaminati.

3.2 I carboidrati

La classe di biomolecole più diffusa nella biosfera è quella dei carboidrati. Essi svolgono importanti funzioni biologiche.

 Rappresentano la più importante fonte di energia metabolica. Le foglie, i semi, i frutti, gli steli e le radici delle piante contengono carboidrati (per esempio l’amido) indispensabili al loro metabolismo e nello stesso tempo costituiscono un’importante risorsa per il nutrimento di numerose specie animali, tra cui gli esseri umani 3.2a

 Svolgono un ruolo strutturale per il sostegno delle pareti cellulari (come nel caso della cellulosa) e della matrice extracellulare 3.2b .

 Quando si ritrovano legati covalentemente a proteine (glicoproteine) o a lipidi (glicolipidi), sono coinvolti nei fenomeni di adesione, riconoscimento e scambi di informazioni tra le cellule o tra le cellule e la matrice extracellulare 3.2c

I carboidrati sono composti organici ternari, cioè formati da tre elementi: carbonio, idrogeno e ossigeno.

Nei carboidrati, l’idrogeno e l’ossigeno sono presenti nello stesso rapporto in cui si trovano nell’acqua e, pertanto, possono essere rappresentati dalla formula generale:

Cx(H2O)y

I carboidrati possono anche essere chiamati zuccheri, saccàridi o glucìdi e la loro nomenclatura è spesso caratterizzata dal suffisso -osio; il saccarosio è, per esempio, il comune zucchero da tavola, mentre il fruttosio è lo zucchero presente nella frutta.

Sulla base della loro complessità strutturale, i carboidrati si possono classificare in:

 monosaccaridi o monosi, rappresentano gli zuccheri semplici che non possono essere ulteriormente idrolizzati;

 oligosaccaridi, zuccheri formati da una catena corta di monosaccaridi (da due a venti); quelli formati da due unità monosaccaridiche si chiamano disaccaridi;

 polisaccaridi o glicani, sono lunghi polimeri che contengono più di venti unità monosaccaridiche e possono raggiungere anche le migliaia di unità.

100 μm LM

3.2 (a) Gli zuccheri sono contenuti in diverse tipologie di alimenti e, in particolare quelli complessi, sono alla base di una dieta bilanciata; (b) le cellule vegetali presentano una forma ben definita grazie alla robusta parete costituita da carboidrati; (c) le cellule epiteliali di mammella si riconoscono grazie a una glicoproteina (in verde) che media l’adesione cellulare. a b c

10 μm LM (colorazione fluorescente)

3.3 Il monosaccaride fruttosio possiede tre carboni chirali ed è un composto otticamente attivo. In (a) una soluzione di fruttosio attraversata da luce polarizzata; in (b) la stessa soluzione è osservata attraverso un altro filtro polarizzatore.

Ricorda

Un carbonio si dice chirale, ed è uno stereocentro, quando ha una geometria tetraedrica e lega a sé quattro atomi o gruppi di atomi diversi.

I monosaccaridi sono zuccheri semplici classificabili come poliidrossialdeidi e poliidrossichetoni; infatti contengono due o più funzioni ossidriliche OH oltre a un gruppo carbonilico.

Se il gruppo carbonilico è a una delle estremità della catena carboniosa (è quindi una funzione aldeidica), il monosaccaride è definito aldosio (o aldoso); se il gruppo carbonilico è in altra posizione (è quindi una funzione chetonica) il monosaccaride è detto chetosio (o chetoso).

I monosaccaridi sono classificati anche in base al numero di atomi di carbonio in triosi, tetrosi, pentosi ed esosi se hanno, rispettivamente, tre, quattro, cinque o sei atomi di carbonio.

Per la numerazione della catena di un monosaccaride si assegna il numero 1 al carbonio della funzione aldeidica degli aldosi e il numero più basso possibile (generalmente 2) al carbonio della funzione chetonica dei chetosi.

Un aldotetrosio, per esempio, è un monosaccaride aldosio che contiene quattro atomi di carbonio, di cui uno appartiene alla funzione aldeidica, mentre gli altri tre legano le funzioni ossidriliche (una primaria e due secondarie).

Un chetopentosio, invece, è un monosaccaride chetosio che contiene cinque atomi di carbonio, di cui uno appartiene alla funzione chetonica, mentre gli altri quattro legano le funzioni ossidriliche (due primarie e due secondarie):

gruppo aldeidico gruppo chetonico

aldotetrosio chetopentosio

Analizzando la loro struttura appare chiaro che i monosaccaridi possono presentare uno o più atomi di carbonio chirali (stereocentri), quindi sono composti otticamente attivi 3.3 .

La notazione d e l

Il più semplice degli aldosi è un aldotriosio chiamato aldeide glicerica o gliceraldeide. Osservando la struttura è possibile individuare un carbonio chirale, il C-2 della catena (indicato con un asterisco). La gliceraldeide esiste infatti in due forme enantiomeriche: una destrogira, la (+)-gliceraldeide, e una levogira, la ( )-gliceraldeide. HO 2C H

+)-gliceraldeide

( )-gliceraldeide

Il chimico tedesco Emil Fischer, alla fine del XIX secolo, non disponendo di adeguate tecniche per la determinazione della configurazione dei composti chirali, propose di rappresentare le molecole dei monosaccaridi disponendo la catena degli atomi di carbonio in verticale con il carbonio più ossidato, il carbonio carbonilico, in alto. Gli OH legati agli altri atomi di carbonio possono essere scritti a destra o a sinistra della catena (proiezione di Fischer). Si dice che un carboidrato appartiene alla serie d se il gruppo OH legato al carbonio chirale più distante dal carbonio carbonilico si trova a destra.

L’isomeria nei monosaccaridi VIDEO

Un carboidrato appartiene alla serie l, invece, se il gruppo OH legato al carbonio chirale più distante dal carbonio carbonilico si trova a sinistra:

HO C H

H C OH

AVOGADRO

C OH CH2OH CH2OH a destra a sinistra

C H

C H

H C OH C HO CH2OH — = C=O

aldopentosio della serie D chetoesosio della serie L

Fischer assegnò arbitrariamente la configurazione d all’isomero destrogiro della gliceraldeide e la configurazione l all’isomero levogiro. Le moderne tecniche di analisi hanno confermato che la d-(+)-gliceraldeide corrisponde alla R-(+)-gliceraldeide e la l-( )-gliceraldeide corrisponde alla S-( )-gliceraldeide 3.4a

La notazione d e l è tutt’ora usata per descrivere la configurazione dei carboidrati e degli amminoacidi che studieremo in seguito, così come ancora oggi le proiezioni di Fischer sono un modello efficace per rappresentare gli enantiomeri dei carboidrati. Per convenzione, nella proiezione di Fischer sono rappresentati in orizzontale i legami proiettati verso il lettore, mentre in verticale sono rappresentati i legami proiettati lontano dal lettore 3.4b . Usando le proiezioni di Fischer, la IUPAC suggerisce di indicare esplicitamente tutti gli atomi e tutti i legami, a eccezione dei gruppi sui carboni terminali, anche se per consuetudine il carbonio dello stereocentro non viene esplicitato. La maggior parte degli zuccheri presenti in natura appartiene alla serie d; sono rari, invece, quelli appartenenti alla serie l. È opportuno precisare che le notazioni d e l si riferiscono alla rappresentazione della posizione dei legami nello spazio e nulla hanno a che vedere con il verso della rotazione del piano della luce polarizzata, effetto che viene indicato con i segni + (rotazione verso destra) e (rotazione verso sinistra). Dunque, uno zucchero appartenente alla serie d può anche essere levogiro (d ) e, viceversa, uno zucchero della serie l può essere destrogiro (l+).

Struttura e nomenclatura

All’aumentare del numero di atomi di carbonio della catena, aumenta di conseguenza il numero di carboni chirali e quindi il numero di stereoisomeri. Questi ultimi sono a tutti gli effetti zuccheri differenti, con nomi e proprietà diversi. Tra gli aldoesosi, gli stereoisomeri più comuni sono: glucosio, mannosio e galattosio 3.5a ; mentre tra tutti i possibili chetoesosi isomeri ricordiamo il fruttosio 3.5b . Ribosio e desossiribosio sono invece i più importanti aldopentosi naturali e si trovano rispettivamente nell’RNA e nel DNA; non sono tuttavia isomeri perché il secondo non presenta il gruppo OH legato al C-2 3.5c .

H C OH

HO C H

H C OH

H C OH HO C — = — =

HO C H

HO C H

Monosaccaridi e stereoisomeria

CH2OH a b

OH HOC

CH2OH

H R-(+)-gliceraldeide enantiomero D

2OH

CH2OH S-( )-gliceraldeide enantiomero L

3.4 Rappresentazione della gliceraldeide con (a) le proiezioni di Fischer e (b) le corrispondenti forme prospettiche.

CH2OH

H C OH HO C

H C OH

HO C H

H C OH

HO C H

H C OH

CH2OH — = a b c

CH2OH

D-(+)-glucosio D-(+)-mannosio

D-(+)-galattosio HO C — =

CH2OH

3.5 Principali (a) aldoesosi, (b) chetoesosi e (c) aldopentosi.

CH2OH C=O HO C H H C OH H C OH CH2OH

D-( )-fruttosio

=

H C OH H C OH H C OH C HO

2OH

D-( )-ribosio

D-( )-desossiribosio

PROBLEMA GUIDATO

Individua tra i monosaccaridi sotto rappresentati gli aldosi e i chetosi, i pentosi e gli esosi, i carboidrati della serie d e quelli della serie l.

Utilizza le conoscenze

Gli aldosi sono i monosaccaridi che presentano nella loro struttura la funzione aldeidica, i chetosi sono i monosaccaridi che presentano nella loro struttura una funzione chetonica.

Si definiscono pentosi i monosaccaridi con cinque atomi di carbonio ed esosi quelli con sei atomi di carbonio. Sono carboidrati della serie d quelli che presentano nella loro struttura l’OH legato a destra del carbonio chirale più distante dal carbonio carbonilico.

Progetta la strategia

Puoi immaginare di predisporre una tabella che permetta di avere una visione d’insieme, come la seguente.

aldosi chetosi

pentosi

esosi

serie d serie l

serie d serie l

Applica la strategia

A questo punto hai tutti gli strumenti per collocare le strutture nelle caselle corrette. aldosi chetosi

pentosi

esosi

serie d e. serie l d.

serie d a. f. serie l c. b.

Rifletti sul risultato

La disposizione delle strutture proposte ti permette di evidenziare l’assenza di monosaccaridi nella casella dei chetopentosi.

In effetti riguardando le strutture puoi renderti conto che mancano i monosaccaridi con cinque atomi di carbonio e un gruppo chetonico.

Un monosaccaride come il d-glucosio può esistere nella forma emiacetalica ciclica, che si forma quando un gruppo ossidrilico legato a uno dei carboni della catena si lega al carbonio carbonilico. Si possono formare così anelli a cinque o a sei atomi, molto comuni perché più stabili. Gli anelli pentatomici sono detti furanosici mentre quelli a sei atomi sono chiamati piranosici.

In seguito alla ciclizzazione, il carbonio che nella forma aperta era carbonilico, ibridato sp2 e quindi non chirale, nella forma ciclica è ibridato sp3 ed è diventato un nuovo centro chirale. Il nuovo carbonio chirale, appartenendo a un emiacetale, è l’unico carbonio della molecola a essere legato a due ossigeni ed è chiamato carbonio anomerico.

Nella forma ciclica il d-glucosio esiste in due forme, dette anomeri, che differiscono soltanto per la configurazione di un atomo di carbonio asimmetrico, il carbonio anomerico. Gli anomeri sono quindi tra loro diastereoisomeri.

Rappresentando questi anomeri con le proiezioni di Fischer, si chiama anomero α quello che presenta a destra il gruppo OH legato al carbonio anomerico, mentre l’anomero β presenta a sinistra il gruppo OH legato al carbonio anomerico. Tra la struttura aperta o carbonilica e le strutture cicliche o gli emiacetali anomeri esiste una relazione di equilibrio il cui valore della costante dipende dal tipo di zucchero 3.6a . In soluzione acquosa la forma anomerica β è quella preponderante. Guardando gli anomeri rappresentati con le formule prospettiche di Fischer è possibile notare che sono poco funzionali. Una rappresentazione più efficace e rigorosa di queste strutture cicliche è stata proposta nel 1929 dal chimico inglese Walter Norman Haworth (1883-1950).

Una proiezione di Haworth descrive un piranosio come un esagono mentre i gruppi sostituenti si proiettano sopra o sotto il piano dell’anello 3.6b .

Nelle proiezioni di Haworth, l’ossigeno è posizionato in alto a destra e il C-1 (il carbonio anomerico) è alla sua destra. Inoltre, passando dalla proiezione di Fischer a quella di Haworth, tutti i sostituenti a destra della catena carboniosa in Fischer si trovano sotto il piano dell’anello in Haworth.

Le proiezioni di Haworth sono rappresentazioni utili ma semplificate e non riflettono la forma reale dell’anello. Infatti, in un anello a sei termini gli atomi adottano una conformazione a sedia per ottimizzare gli angoli di legame.

Monosaccaridi e anomeria

3.6 Le strutture cicliche chiuse dei due anomeri del d-glucosio e la struttura aperta sono in equilibrio tra loro. Questa relazione è visibile utilizzando sia (a) le formule prospettiche di Fischer, sia (b) le proiezioni di Haworth.

Risposta breve

1. Che ibridazione ha il carbonio anomerico?

2. Quanti atomi di ossigeno sono legati al cabonio anomerico?

3. Da quanti atomi di carbonio è costituita una struttura ciclica furanosica?

3.8 Il saccarosio è un disaccaride costituito da α-d-glucosio e da β-d-fruttosio.

I disaccaridi

L’ossidrile del carbonio anomerico di un monosaccaride in forma ciclica emiacetalica può reagire con uno dei gruppi alcolici di un altro monosaccaride. Il composto che si forma in seguito alla reazione di condensazione, con perdita di una molecola d’acqua, è un acetale denominato disaccaride. Quando la catena di monosaccaridi è costituita da tre fino a venti monomeri si parla, più in generale, di oligosaccaridi.

Il legame acetalico tra il carbonio anomerico di un monosaccaride e un gruppo ossidrilico di un altro monosaccaride si chiama legame glicosidico. Esso può essere α e β a seconda della posizione dell’atomo di ossigeno coinvolto nel legame. Se nel legame è impegnata una molecola di glucosio si parla più propriamente di legame glucosidico.

I disaccaridi si formano per condensazione di due monosaccaridi legati da un legame glicosidico.

I disaccaridi più comuni sono il saccarosio 3.7 , il maltosio e il lattosio.

Il saccarosio deriva dall’unione tra una molecola di α-d-glucosio a dare il saccarosio, anche detto una di molecola β-d-fruttosio attraverso un legame glicosidico tra l’ossidrile del carbonio anomerico del glucosio (C-1) e il carbonio anomerico del fruttosio (C-2). Dalla condensazione dei due monomeri si forma un legame detto α-1,2-glicosidico a dare il saccarosio, anche detto α-d-glucopiranosil-β-d-fruttofuranoside 3.8 . Il saccarosio non è presente in soluzione nella forma emiacetalica aperta e non ha quindi un gruppo carbonilico ossidabile; per questo è definito zucchero non riducente. La formula molecolare del saccarosio è C12H22O11: si ricava dalla barbabietola e dalla canna da zucchero e, in forma pura, è un solido cristallino bianco, solubile in acqua e di sapore dolce.

3.7 Lo sciroppo d'acero è un esempio di concentrato di saccarosio, uno dei disaccaridi più comuni. a

3.9 Formule di Haworth (a) del maltosio e (b) del lattosio.

legame di tipo α-1,2

Il maltosio, presente in quantità apprezzabili nei semi in germinazione, è il disaccaride formato dalla condensazione di due molecole di α-d-glucosio: il gruppo OH in α, legato al carbonio anomerico del primo glucosio, reagisce con il gruppo OH legato al C-4 del secondo glucosio formando un legame α-1,4-glicosidico (poiché coinvolge unità di glucosio, può essere chiamato glucosidico) 3.9a .

Il lattosio è un disaccaride composto da β-d-galattosio e β-d-glucosio, legati da un legame β-1,4-glicosidico 3.9b . Come il maltosio, anche il lattosio presenta un gruppo emiacetalico libero ed è classificabile come uno zucchero riducente. Questo disaccaride è il principale zucchero del latte, nel quale è presente in quantità compresa tra il 2 e l’8% in peso, a seconda della specie animale considerata.

Allergie vs intolleranze
VIDEO

I

polisaccaridi

La maggior parte dei carboidrati è presente in natura nella forma di polisaccaridi, polimeri con una massa molecolare molto elevata (M r > 20 000).

I polisaccaridi sono polimeri naturali derivati dall’unione di numerose molecole di monosaccaridi aldosi o chetosi, con perdita di una molecola di acqua per ogni legame glicosidico formatosi.

I polisaccaridi più importanti sono l’amido, la cellulosa e il glicogeno e sono tutti polimeri naturali del glucosio.

L’amido è un polimero dell’α-d-glucosio e costituisce la riserva energetica delle piante nelle quali è presente in forma di granuli nei semi, nelle radici e nei tuberi 3.10 . La sua struttura è analoga a quella del maltosio, da cui differisce solo per il numero di unità di glucosio legate tra loro e che possono raggiungere anche le migliaia. L’amido, in realtà, è composto da due diversi polimeri che si differenziano per la loro struttura e la loro dimensione: il polimero lineare è l’amilosio (circa il 20% del totale) mentre quello ramificato è l’amilopectina (circa l’80% del totale).

Le unità di α-d-glucosio nelle catene lineari di amilosio e amilopectina sono legate tra loro da legami α-1,4-glucosidici mentre nei punti di ramificazione dell’amilopectina sono presenti i legami α-1,6-glucosidici 3.11

α(1-4)-glucosio)

300 µm LM

3.10 Granuli di amido colorati con iodio in cellule di tubero di patata (Solanum tuberosum).

3.11 L’amido è un polisaccaride diffuso nel regno delle piante ed è composto da due polimeri: (a, b) l’amilosio è lineare ad andamento elicoidale e (c, d) l’amilopectina è ramificata.

(glucosio-α(1-4)-glucosio) punto di ramificazione (glucosio-α(1-6)-glucosio)

Risposta breve

1. Quale disaccaride si forma dalla unione di una molecola di glucosio e una di fruttosio?

2. Tra quali gruppi si forma il legame glicosidico?

3. Che differenza c'è tra il legame α-1,4-glucosidico e quello α-1,6-glucosidico?

3.12 Il glicogeno è il polisaccaride di riserva degli organismi animali.

(a) Ha una struttura molto ramificata e globulare.

(b) Cellula epatica con granuli di glicogeno colorati in verde.

3.13 La cellulosa è un (a) polimero del glucosio con legami β-1,4-glucosidici che si dispone in (b) catene lineari. Nella formula di struttura i monomeri consecutivi sono ruotati tra loro per evidenziare la linearità della molecola, pur rispettando la chimica del legame.

(c) Struttura delle fibrille di cellulosa in una parete cellulare vegetale.

Il glicogeno è un polisaccaride molto simile all’amido, ma ha un peso molecolare più alto e le sue molecole sono più ramificate 3.12 . È il polisaccaride di riserva del regno animale ed è sintetizzato e accumulato sotto forma di granuli nel fegato e nei muscoli: dalla scissione del glicogeno epatico si può ottenere glucosio, un’indispensabile fonte energetica per organi come il cervello; il glucosio derivante dalla degradazione del glicogeno muscolare, invece, sostiene energeticamente l’attività dei muscoli stessi.

La cellulosa è un polisaccaride di struttura del mondo vegetale e si origina dalla polimerizzazione del β-glucosio il quale, grazie a legami β-1,4- glucosidici, forma catene lineari prive di ramificazioni. Studi ai raggi X hanno rivelato che le catene di cellulosa hanno una forma di nastro piatto in cui i monomeri di glucosio si susseguono ruotati di 180° l’uno rispetto all’altro. Le catene di cellulosa poi si associano in fibrille grazie alla formazione di legami a idrogeno tra le catene parallele 3.13 . Il prodotto di degradazione della cellulosa è il cellobiosio, il disaccaride che rappresenta l’unità strutturale del polisaccaride. Oltre a rappresentare la componente strutturale primaria delle pareti cellulari vegetali, la cellulosa svolge anche una funzione di sostegno negli organismi vegetali di grandi dimensioni; il legno infatti ne contiene circa il 50%.

Sebbene i vertebrati non posseggano gli enzimi in grado di idrolizzare i legami β-1,4-glucosidici della cellulosa e quindi non riescano a sfruttarla come fonte energetica, il tratto digestivo degli erbivori ospita dei microrganismi simbionti in grado di farlo, permettendo loro di cibarsi di materia organica vegetale.

I legami alfa e beta del glucosio

3.3 I lipidi

Il termine lipidi non indica una specifica struttura chimica, ma individua diverse classi di composti che includono sostanze chimicamente diverse come i trigliceridi, i fosfolipidi, i glicolipidi, le vitamine liposolubili e gli steroidi.

I lipidi costituiscono un gruppo di sostanze eterogenee dal punto di vista della struttura chimica, ma tutte accomunate dalla stessa proprietà fisica: sono molecole insolubili in acqua (idrofobe) ed estraibili con solventi non polari (lipofili) quali etere, cloroformio e benzene.

Dal punto di vista chimico, i lipidi possono essere distinti in lipidi saponificabili e insaponificabili. I primi possono subire il processo di saponificazione, che consiste in una idrolisi per riscaldamento in presenza di basi forti. I lipidi saponificabili comprendono i trigliceridi, i fosfolipidi e i glicolipidi. Gli steroidi e le vitamine liposolubili sono invece lipidi insaponificabili.

Dal punto di vista biologico le funzioni dei lipidi sono essenzialmente quattro.

 Provvedono al fabbisogno energetico degli organismi viventi in misura maggiore (circa il doppio) rispetto all’energia rilasciata dai carboidrati. Infatti, la degradazione di 1 g di lipidi produce 9,3 Cal, mentre 1 g di carboidrati produce 4,1 Cal.

 Rappresentano una componente strutturale essenziale delle membrane biologiche.

 Provvedono all’isolamento termico e alla impermeabilizzazione in diverse specie animali.

 Rappresentano degli importanti messaggeri chimici per la comunicazione e la regolazione cellulare.

Gli acidi grassi

Gli acidi grassi, tra i componenti fondamentali dei lipidi, sono acidi carbossilici con una catena idrocarburica contenente da 4 a 36 atomi di carbonio.

Gli acidi grassi più comuni sono lineari e con un numero pari di atomi di carbonio, da 12 a 24. Possono essere classificati in base alla presenza o meno di doppi legami in:

 acidi grassi saturi se nella loro struttura non sono presenti doppi legami;

 acidi grassi insaturi se nella loro struttura sono presenti doppi legami.

Questi ultimi possono essere classificati a loro volta in funzione del numero di doppi legami carbonio-carbonio in: monoinsaturi se la loro struttura presenta un solo doppio legame; polinsaturi se nella loro struttura sono presenti più doppi legami. Negli acidi grassi insaturi gli atomi o gruppi attorno ai doppi legami possono essere disposti sia nella forma isomerica cis sia in quella trans. Gli acidi grassi presenti in natura sono generalmente isomeri cis 3.14 . Il nome sistematico degli acidi grassi segue le regole della nomenclatura IUPAC per gli acidi carbossilici, secondo le quali gli atomi di carbonio in un acido grasso devono essere contati a partire dall’estremità carbossilica ( COOH). Per gli acidi grassi, però, è più usata la nomenclatura tradizionale, che usa nomi comuni di origine storica, e la consuetudine di contare i carboni dall’estremità metilica ( CH3). In quest’ultimo caso la posizione è indicata dalla notazione ω-x (dove ω-1 si riferisce al carbonio metilico).

Ricorda

La caloria alimentare o Grande caloria (Cal) è utilizzata per definire l’apporto calorico di un alimento ed equivale a 1000 calorie (1 Cal = 1000 cal = 1 kcal).

La caloria (cal) è la quantità di energia necessaria per innalzare

1 g di acqua pura da 14,5 °C a 15,5 °C alla pressione di 1 atm e corrisponde a circa 4,18 J.

Risposta breve

1. Quale proprietà accomuna i lipidi?

2. Che cosa si intende per lipidi in saponificabili?

3. Fai almeno due esempi di lipidi saponificabili.

• La nomenclatura

degli acidi grassi

• Gli acidi grassi cis e trans

3.14

Cibi ricchi di acidi grassi, indispensabili per la nostra salute.
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La notazione ω-x è usata quasi esclusivamente per indicare la distanza in atomi di carbonio tra l’ultima insaturazione dell’acido grasso e la sua estremità metilica. Per esempio, la classe di acidi grassi polinsaturi ω-3 (omega-3) è caratterizzata dalla presenza di un doppio legame che lega il terzo e il quarto atomo di carbonio, contando a partire dal CH3 terminale. Gli acidi grassi delle serie ω-3 e ω-6 sono acidi grassi essenziali per la nostra dieta perché non siamo in grado di sintetizzarli e li dobbiamo assumere con gli alimenti 3.15

3.15 L’acido α-linoleico appartiene al gruppo degli acidi detto omega-3. Il suo nome IUPAC è acido ottadeca-9 cis, 12 cis, 15 cis-trienoico, mentre con la notazione ω è detto acido cis ω-3, cis ω-6, cis ω-9 ottadecatrienoico.

Le proprietà degli acidi grassi e dei lipidi da essi costituiti dipendono dalla lunghezza della catena idrocarburica e dal grado di insaturazione. Osservando la struttura dell’acido stearico (o acido ottadecanoico) è possibile notare che l’organizzazione di una molecola di acido grasso saturo è relativamente lineare:

Ricorda

Le forze di London sono le interazioni tra atomi o gruppi di atomi non polari, dovute alla distorsione delle loro nubi elettroniche che ne determina la polarizzazione.

3.16 Strutture (a) dell’acido elaidico (o acido trans-9-ottadecenoico) e (b) del suo isomero cis, l’acido oleico (o acido cis-9-ottadecenoico).

Risposta breve

1. Che lunghezza possono avere le catene degli acidi grassi?

2. Come funziona la nomenclatura ω-x?

3. Come dipende la temperatura di fusione dal grado di insaturazione per un acido grasso? E perché?

Grazie a questa caratteristica gli acidi grassi saturi si possono riunire in un reticolo cristallino, massimizzando l’entità delle forze di dispersione di London che li tengono legati. Ciò determina dei valori di punti fusione elevati che aumentano al crescere della catena idrocarburica. Mentre gli acidi grassi saturi a basso numero di atomi di carbonio sono liquidi a temperatura ambiente (oli), i composti da dieci atomi di carbonio in poi sono invece solidi.

Gli acidi grassi insaturi hanno punti di fusione più bassi rispetto agli acidi grassi saturi con lo stesso numero di atomi di carbonio, ma occorre distinguere tra gli isomeri cis e trans. Infatti, se consideriamo l’acido grasso insaturo a 18 atomi di carbonio e confrontiamo l’isomero con il doppio legame in cis (acido oleico) e quello con il doppio legame in trans (acido elaidico), ci accorgiamo che, mentre la catena dell’isomero trans è pressoché lineare, il doppio legame carbonio-carbonio in cis produce un gomito di 30° nella molecola 3.16

Le catene degli acidi grassi insaturi cis si associano con minore efficienza e le interazioni intermolecolari sono quindi più deboli, determinando punti di fusione più bassi. Infatti, la maggior parte degli acidi grassi insaturi in conformazione cis sono liquidi a temperatura ambiente. Ovviamente maggiore è il numero di doppi legami presenti, più pronunciato è l’effetto.

I trigliceridi

I trigliceridi (anche definiti triacilgliceroli) sono biomolecole di dimensioni variabili. Rappresentano la riserva energetica per eccellenza degli organismi viventi. Negli animali si accumulano a livello di cellule specializzate chiamate adipociti; nelle piante, invece, compongono strutture citosoliche chiamate oleosomi. Nel regno animale, inoltre, fungono da isolanti termici (come il tessuto adiposo sottocutaneo) e proteggono gli organi dagli urti (come il grasso che circonda i reni).

I trigliceridi sono costituiti da una molecola di glicerolo, un triolo, i cui gruppi OH sono esterificati da tre acidi grassi.

La reazione di esterificazione che porta alla formazione di molecole di trigliceridi 3.17 è la seguente:

3.17 Modello molecolare di un trigliceride (in viola sono rappresentati i gruppi R)

acidi grassi trigliceride

Se la molecola di glicerolo è esterificata con due acidi grassi si definiscono digliceridi (o diacilgliceroli), mentre in presenza di un solo acido grasso si parla di monogliceridi (o monoacilgliceroli).

I trigliceridi differiscono tra loro per i gruppi acilici R CO , cioè per la struttura degli acidi grassi che li compongono. Le miscele di trigliceridi sono chiamate oli se sono liquide a temperatura ambiente (per esempio l’olio di oliva) o grassi se sono solide a temperatura ambiente (per esempio il burro). I primi sono presenti in prevalenza negli organismi vegetali e sono costituiti essenzialmente da miscele di trigliceridi insaturi, mentre i grassi sono presenti per la maggior parte nel regno animale e sono costituiti da trigliceridi saturi 3.18 . La reazione di idrolisi basica (di solito si usa idrossido di sodio) dei grassi o degli oli è detta saponificazione dal momento che i prodotti più importanti sono i sali sodici degli acidi grassi, comunemente chiamati saponi.

Risposta breve

1. Da che tipo di molecole sono formati i trigliceridi?

2. In che cosa differiscono oli e grassi?

3.18 Composizione in acidi grassi (a) dell’olio di oliva e (b) del burro (ottenuto da crema di latte vaccino). I valori sono riportati in g/100 g di parte edibile.

Scrivi la struttura del trigliceride dell’acido stearico.

Utilizza le conoscenze

Un trigliceride è un triestere, che otteniamo dalla condensazione del glicerolo con tre molecole di acido stearico.

Progetta la strategia

La glicerina o glicerolo è triolo, ossia un alcol con tre funzioni alcoliche. La sua struttura è:

L’acido stearico è un acido grasso saturo a 18 atomi di carbonio. Quindi la struttura è:

Applica la strategia

Eliminando una molecola d’acqua tra ogni gruppo ossidrilico del glicerolo e il gruppo carbossilico di ogni unità dell’acido grasso si ottiene la seguente struttura:

Rifletti sul risultato

Dalla struttura è chiaro che si tratta di una molecola apolare e quindi insolubile in acqua.

Fosfolipidi e glicolipidi

La compartimentazione è la soluzione dei sistemi biologici per separare ambienti che altrimenti interferirebbero tra loro. Questo ruolo è affidato alle membrane biologiche che fungono non solo da barriera fisica, ma consentono anche il trasporto selettivo di ioni e molecole regolando il contenuto dei vari compartimenti cellulari. I fosfolipidi (anche definiti fosfoacilgliceroli) rappresentano i componenti principali delle membrane biologiche, svolgendo quindi una funzione prevalentemente strutturale.

I fosfolipidi sono costituiti da una molecola di glicerolo in cui due gruppi OH sono esterificati da due acidi grassi, mente la terza funzione ossidrilica è esterificata da un gruppo fosfato il quale lega, sempre con un legame estere, un amminoalcol.

Si tratta di composti simili ai trigliceridi dai quali differiscono per avere un gruppo OH terminale del glicerolo esterificato con acido fosforico anziché con un acido grasso, formando un acido fosfatidico 3.19 .

Gli acidi fosfatidici sono i fosfolipidi più semplici; essi sono presenti in piccole quantità nelle membrane biologiche, mentre i più diffusi presentano un secondo legame estereo tra il gruppo fosfato e un amminoalcol.

Gli amminoalcoli più comunemente usati per formare questo secondo legame di tipo estereo sono l’etanolammina (HO CH2 CH2 NH2) e la colina (HO CH2 CH2 N(CH3)3 +).

Le varie fosfatidilcoline si differenziano per la composizione in acidi grassi e si chiamano comunemente lecitine; sono presenti in tutte le cellule in quanto componenti essenziali della membrana cellulare. Esse, inoltre, costituiscono una fonte di colina necessaria per il corretto funzionamento del sistema nervoso e implicata nei processi di coagulazione del sangue e nel trasporto degli ioni sodio e potassio e degli amminoacidi. Nell’industria alimentare le lecitine sono spesso usate come agenti emulsionanti per evitare la separazione di fase acquosa e fase grassa di un preparato. Per esempio, il tuorlo d’uovo è ricco di lecitine indispensabili per la buona riuscita della salsa maionese 3.20 .

La caratteristica che rende i fosfolipidi dei componenti ideali per la formazione delle membrane è la loro proprietà anfifilica: sono molecole dotate sia di una porzione idrofila detta testa (costituita dal gruppo fosfato e dall’amminoalcol) sia di una porzione idrofoba detta coda (costituita dalle lunghe catene idrocarburiche degli acidi grassi). Grazie a questa caratteristica, in ambiente acquoso i fosfolipidi possono disporsi in un monostrato formando una micella 3.21a , oppure si dispongono in un doppio strato, rivolgendo le teste polari verso il comparto acquoso e le code idrofobe specularmente le une contro le altre 3.21b

Per aumentare la sua stabilità il doppio strato si ripiega a formare una struttura chiusa detta liposoma che racchiude una cavità acquosa 3.21c . La formazione di una o dell’altra struttura dipende dalla concentrazione e dalla composizione chimica dei fosfolipidi nell’emulsione e dall’eventuale presenza di altre sostanze nella soluzione.

3.19 La struttura di un fosfolipide (fosfatidilcolina). La porzione idrofoba è costituita dalle code dei due acidi grassi, mentre la porzione idrofila è costituita dal gruppo fosfato e dall’amminoalcol (in questo caso la colina).

3.20 (a) Fase acquosa e grassa sono immiscibili. (b) In presenza di energia meccanica e agenti emulsionanti le due fasi possono trasformarsi in un’emulsione stabile, come la maionese.

3.21 (a) Le micelle sono costituite da monostrati di molecole anfifiliche in cui le code idrofobe sono rivolte verso il nucleo della sfera. (b) Il doppio strato fosfolipidico presenta le teste idrofile orientate verso il mezzo acquoso. Questa conformazione è però instabile e tende a ripiegarsi in (c) una vescicola o liposoma.

acido grasso
fosfolipide liposoma
doppio strato lipidico micella
a b

• Fluidità di membrana: saturi o insaturi?

• Fluidità di membrana: cis o trans?

I saponi sono un esempio di sostanze in grado di formare micelle che solubilizzano al loro interno le goccioline di sostanze grasse (lo sporco) e ne permettono la rimozione con l’acqua, grazie alle loro teste idrofile.

Le membrane biologiche sono costituite da doppi strati lipidici dello spessore di 3 nm in cui, oltre ai fosfolipidi, sono presenti anche altre biomolecole, sia proteine sia altre tipologie di lipidi. La loro struttura non è rigida ma a seconda dei componenti (lipidici o proteici) esistono diversi gradi e modalità di movimento. Per questo motivo la struttura delle membrane è definita a mosaico fluido 3.22 .

ambiente extracellulare

ambiente intracellulare

3.22 Le membrane biologiche sono costituite da un mosaico fluido di diversi componenti lipidici, proteici e (in minima parte) glucidici. Le quantità relative di lipidi e proteine e la loro distribuzione variano a seconda del tipo di membrana.

coda apolare

testa polare

proteina glicosilata

1. Qual è la differenza tra i trigliceridi e i fosfolipidi?

2. Da che cosa sono costituite le membrane cellulari? Risposta breve

proteine integrali

proteine periferiche

La fluidità varia a seconda delle condizioni cui è esposta la cellula e della composizione chimica dei lipidi.

Tra i fattori che favoriscono la fluidità della membrana i più importanti sono:  l’aumento della temperatura;

 la presenza di acidi grassi insaturi in cis (più gomiti possiedono le catene idrocarburiche e meno si impacchetteranno).

Altri fattori, al contrario, possono ridurre la fluidità della membrana:

 la presenza di colesterolo, la cui rigida struttura planare si interpone tra le molecole di fosfolipidi vicine, impedendone il movimento;

 la presenza di acidi grassi saturi e insaturi in trans o a catena acilica molto lunga. Per comprendere il concetto di mosaico fluido si può pensare a una piscina in cui galleggiano in superficie delle palline da ping-pong: esse costituiscono uno strato apparentemente uniforme ma non impediscono l’accesso all’acqua. Il paragone però è valido solo in parte. Nelle membrane, non tutti i movimenti sono permessi. Per esempio, la diffusione laterale nel piano del doppio strato è molto rapida e frequente, mentre la diffusione trasversale (flip-flop) da un lato all’altro del doppio strato avviene molto lentamente, non in tutte le membrane ed è per lo più associata ad altri processi che la facilitano.

Nello strato esterno della membrana plasmatica sono presenti anche i glicolipidi, un gruppo eterogeneo di lipidi strutturali simili ai fosfolipidi, ma la cui testa polare non presenta gruppi fosfato bensì zuccheri semplici o complessi. Oltre alla funzione strutturale, i glicolipidi collaborano all’interazione e alla segnalazione tra cellule.

colesterolo

Gli steroidi

Alla classe dei lipidi appartengono anche gli steroidi, non tanto per affinità strutturali quanto per la proprietà fisica della solubilità in solventi apolari.

Gli steroidi presentano una struttura chiamata ciclopentanoperidrofenantrene o sterano.

Si tratta di un idrocarburo policiclico formato da quattro anelli condensati 3.23

Se il C-3 lega un gruppo OH si parla più propriamente di steroli o alcol steroidei. Questi si trovano naturalmente nelle piante, negli animali e nei funghi e possono essere incorporati da alcuni batteri (ma probabilmente con funzioni diverse). Gli steroli delle piante sono chiamati fitosteroli mentre negli animali sono chiamati zoosteroli. I fitosteroli degni di nota sono il campesterolo, il sitosterolo e lo stigmasterolo. L’ergosterolo è uno sterolo presente nella membrana cellulare dei funghi, dove svolge un ruolo simile al colesterolo nelle cellule animali.

Il più importante zoosterolo è il colesterolo, uno steroide costituito dal ciclopentanoperidrofenantrene con un gruppo OH legato al carbonio 3, due gruppi CH3 legati ai carboni 10 e 13 e una catena laterale alchilica sul carbonio 17 3.24 .

Il colesterolo svolge diversi ruoli essenziali per la vita animale:

 è un costituente importante delle membrane cellulari;

 è il precursore degli acidi biliari (detergenti intestinali);

 è il precursore degli ormoni steroidei (regolatori dell’espressione genica).

3.23 Formula a linee di legame del ciclopentanoperidrofenantrene, o sterano, composto da quindici atomi di carbonio a che formano quattro anelli condensati (A-D).

3.24 La molecola del colesterolo presenta una piccola testa polare costituita dal gruppo OH legato al C-3.

Il colesterolo è sintetizzato principalmente nel fegato, ma circa il 20% di quello presente nel nostro organismo proviene dalla dieta. Alimenti ricchi in colesterolo sono il tuorlo d’uovo, la carne grassa e il fegato. Il nostro organismo elimina il colesterolo in eccesso per escrezione o convertendolo in acidi biliari. Quando il colesterolo totale (di sintesi e ottenuto dalla dieta) supera le necessità fisiologiche, può accumularsi nelle pareti delle arterie formando depositi (placche) che possono determinare aterosclerosi e sviluppare patologie cardiovascolari anche molto gravi 3.25 . Una dieta ricca di grassi animali e carboidrati associata a uno stile di vita sedentario sono seri fattori di rischio per l’ipercolesterolemia e l’aterosclerosi.

Sono steroidi anche gli ormoni steroidei sintetizzati a partire dal colesterolo Tab. 3.1 .

Tabella 3.1 I principali ormoni steroidei e le loro funzioni

Testosterone Ormone della riproduzione; anabolizzante

Progesterone Ormone della gravidanza

Estrogeni Ormoni della riproduzione

Aldosterone Regola il riassorbimento di sodio e acqua nei reni

Cortisolo Riduce i processi infiammatori; aumenta la glicemia

3.25 Sezione di un’arteria coronarica. In arancione è evidente la placca di colesterolo e tessuto fibroso che ha ridotto il lume (in marrone-rosso) dell’arteria.

1 mm LM (falsi colori)

Funzione Proteina

Catalitica glucosammina transferasi

Strutturale collagene

Trasporto trasportatore della carnitina

Cinetica miosina

Difesa immunoglobulina G1

Regolazione insulina

Ricorda

Il carbonio α è il carbonio adiacente al gruppo carbossilico.

3.4 Gli amminoacidi, i peptidi e le proteine

Il termine proteine deriva dal greco próteios, “di primaria importanza”, e indica il loro ruolo fondamentale per la vita.

Le proteine sono composti organici quaternari, cioè formati da quattro elementi: carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto (alcune contengono anche zolfo).

Sono molecole organiche molto complesse, che svolgono diverse funzioni fondamentali Tab. 3.2 .

 Funzione catalitica: molte proteine sono enzimi, cioè catalizzatori biologici.

 Funzione strutturale: alcune proteine danno forma a cellule e tessuti, conferendo loro specifiche proprietà; per esempio, il tessuto connettivo è ricco di collagene, una proteina che lo rende robusto e resistente.

 Funzione di trasporto e di deposito: alcune proteine legano determinate molecole per permetterne il movimento all’interno dell’organismo oppure per conservarle.

 Funzione cinetica: mutando la propria conformazione tridimensionale, alcune proteine, come la miosina, permettono il movimento.

 Funzione di difesa: le immunoglobuline (o anticorpi) sono proteine importantissime per la risposta adattativa del nostro sistema immunitario.

 Funzione di regolazione: alcuni ormoni, come l’insulina e il glucagone, sono di origine proteica e permettono la comunicazione tra cellule anche distanti tra loro.

Gli amminoacidi

Nonostante l’impressionante varietà di forme, dimensioni e funzioni, tutte le proteine hanno una caratteristica strutturale comune: sono delle poliammidi costituite da una sequenza di unità monomeriche dette α-amminoacidi.

Gli amminoacidi sono composti organici bifunzionali: contengono, infatti, sia il gruppo carbossilico sia il gruppo amminico.

Le loro proprietà fisiche e chimiche dipendono proprio dai gruppi funzionali che li caratterizzano.

Rispettando l’ordine di priorità dei gruppi funzionali, gli amminoacidi sono descritti dal punto di vista chimico come acidi carbossilici e sono classificati in α, β, γ ecc. a seconda dell’atomo di carbonio a cui è legato il gruppo amminico. Tra questi, i più importanti sono gli α-amminoacidi, in cui entrambi i gruppi funzionali sono legati allo stesso carbonio (per l’appunto, il carbonio α).

La formula generale di un α-amminoacido è quindi:

NH2 O R CH C OH = α

dove R indica la catena laterale caratteristica dell’amminoacido. Dalla struttura è evidente che gli α-amminoacidi presentano uno stereocentro e sono pertanto dei composti chirali; fa eccezione la glicina, la cui catena laterale è costituita unicamente da un atomo di idrogeno 3.26 . La notazione d e l utilizzata per i monosaccaridi è quindi valida anche per gli amminoacidi.

Tabella 3.2 Le proteine

Se disegniamo le strutture degli α-amminoacidi secondo la convenzione proposta da Fischer, sono amminoacidi della serie d quelli che presentano il gruppo amminico a destra, mentre quelli con il gruppo amminico a sinistra appartengono alla serie l:

H C NH2

H2N C H

serie d serie l

Tutte le proteine presenti in natura sono costituite da l-amminoacidi. Gli amminoacidi che compongono le proteine sono venti 3.26 . Essi si distinguono per le loro catene laterali R, che possono contenere diversi gruppi funzionali; i più ricorrenti sono i gruppi ossidrili, quelli fenolici e, talvolta, anche gruppi contenenti atomi di zolfo (SH). In base al gruppo R, è possibile dividere gli amminoacidi in: polari, apolari, acidi e basici.

Amminoacidi apolari

H3N + C H

H3N + C H

3

glicina, Gly

alanina, Ala

H3N + C H

H3CCH3 — —

fenilalanina, Phe valina, Val COO

H3N + C H

CH2

CH

H3CCH3 — —

leucina, Leu

COO

H3N + C H

CH2OH

H3N + C H H C

isoleucina, Ile prolina, Pro

Amminoacidi polari

H3N + C H

H C OH

H3N + C H

2

serina, Ser treonina, Thr cisteina, Cys

H3N + C H

CH2

CH2

CH3 S

2N H3N + C H

metionina, Met asparagina, Asn glutammina, Gln

H3N + C H

2 CH2 CH2 CH2 +NH3

lisina, Lys

3.26 I venti α-amminoacidi che costituiscono le proteine (accanto al nome è riportato il codice identificativo a tre lettere). Le catene laterali R sono evidenziate in colore.

H3N + C H

2 OH

H3N + C H — —

=

tirosina, Tyr triptofano, Trp

Amminoacidi basici

H3N + C H

CH2 CH2 CH2 NH C=N + H2 NH

istidina, His arginina, Arg

aspartato, Asp

glutammato, Glu

3.27 I modelli molecolari delle forme zwitterioniche di glicina (a), alanina (b) e metionina (c)

Risposta breve

1. Che cosa distingue un amminoacido della serie l da uno della serie d?

2. Cosa è uno zwitterione?

Gli amminoacidi acidi possiedono due gruppi carbossilici, mentre quelli basici hanno due gruppi amminici; alcuni amminoacidi sono invece detti polari o apolari a seconda del comportamento in acqua delle loro catene laterali. Per quanto riguarda le proprietà chimiche e fisiche, possiamo dire che gli amminoacidi sono solidi cristallini con elevati punti di fusione, poco solubili nei solventi apolari mentre si solubilizzano facilmente in acqua.

Il punto isoelettrico

Le formule degli amminoacidi in Figura 3.26 (pagina precedente) sono rappresentazioni che mostrano lo stato ionizzato che prevale a pH 7,0. Queste strutture, pur mettendo bene in evidenza i diversi gruppi funzionali, non descrivono pienamente le proprietà di questi composti. Se confrontiamo, infatti, le proprietà fisiche di un amminoacido con quello dell’acido carbossilico con lo stesso numero di atomi di carbonio, l’amminoacido è meno solubile in acqua, ha un punto di fusione molto elevato ed è più debole del corrispondente acido carbossilico. Questo perché gli amminoacidi sono composti bifunzionali che possiedono sia un gruppo acido sia un gruppo basico; grazie a questa caratteristica essi formano un sale interno per trasferimento di un protone dalla funzione carbossilica acida al gruppo amminico basico. Gli amminoacidi mostrano quindi proprietà anfotere: in presenza di basi si comportano da acidi, formando il corrispondente anione; in presenza di acidi si comportano da basi formando il corrispondente catione. Per ogni amminoacido esiste uno valore specifico di pH, in cui esso si trova sotto forma di ione dipolare (o zwitterione 3.27 ) caratterizzato da una carica positiva sul gruppo amminico e una negativa su quello carbossilico:

forma cationica acida forma zwitterionica neutra forma anionica basica

Il valore di pH in cui l’amminoacido si trova in forma zwitterionica prende il nome di punto isoelettrico, pI, ed è caratteristico per ogni amminoacido.

A pH maggiori del punto isoelettrico, l’amminoacido si trova in forma basica, ossia anionica e quindi, se una sua soluzione viene posta in un campo elettrico, esso migrerà verso il polo positivo. A pH minori del punto isoelettrico, l’amminoacido è presente nella forma acida, ossia cationica, e quindi all’interno di un campo elettrico migrerà verso il polo negativo.

I peptidi

La caratteristica più importante degli amminoacidi è quella di formare dei polimeri detti peptidi, che sono delle ammidi, caratterizzate da un particolare tipo di legame covalente.

La reazione di condensazione tra il gruppo carbossilico di un amminoacido e il gruppo amminico di un altro porta alla formazione di un legame ammidico

CO NH detto legame peptidico 3.28

3.28 Il legame peptidico.

In base al numero di monomeri che li compongono, i peptidi si distinguono in dipeptidi, tripeptidi e oligopeptidi (formati rispettivamente da due, tre o pochi amminoacidi); quando, invece, le unità legate sono numerose si ha un polipeptide. Inoltre, anche se i termini proteine e polipeptidi sono spesso considerati sinonimi, in realtà i polipeptidi sono molecole con masse molecolari inferiori a 10 000; solo per valori superiori si parla di proteine. Tutte le proteine sono costituite dallo stesso corredo di venti amminoacidi e differiscono tra loro per la diversa sequenza con cui questi si dispongono nelle catene peptidiche, la lunghezza e la composizione amminoacidica delle catene e la loro disposizione spaziale. Sottoponendo un peptide a idrolisi, in genere in ambiente acido, si ottengono tutti gli amminoacidi costituenti il polimero. Dall’analisi della miscela ottenuta dopo l’idrolisi è possibile conoscere quali amminoacidi sono presenti in un peptide e in che rapporto quantitativo.

La struttura delle proteine

La conformazione delle proteine è data da quattro diversi livelli di organizzazione che prendono il nome di struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

La struttura primaria

La struttura primaria di una proteina è data dalla sequenza ordinata degli amminoacidi che la compongono.

All’interno della catena polipeptidica, tutti gli amminoacidi, chiamati residui amminoacidici, impegnano entrambi i gruppi NH2 e COOH nei legami con i residui adiacenti. Solo i due amminoacidi che si trovano alle estremità della catena presentano uno un gruppo NH2 libero e l’altro un gruppo COOH libero. Questi due amminoacidi sono chiamati, rispettivamente, amminoacido N-terminale (per convenzione posto a sinistra nella raffigurazione di un polipeptide) e amminoacido C-terminale (a destra) 3.29

AVOGADRO

L’informazione necessaria per la costituzione della corretta sequenza amminoacidica è contenuta nei geni e tutte le proprietà e funzioni specifiche delle proteine derivano prevalentemente da tale sequenza, unica per ogni proteina. La sostituzione di un solo amminoacido, infatti, può avere notevoli ripercussioni sul suo funzionamento, fino a comprometterlo totalmente. Un esempio è dato dall’anemia falciforme, una patologia in cui la mutazione puntiforme nel gene che codifica per l’emoglobina ne determina l’inattivazione. La sostituzione di un amminoacido acido (acido glutamminico) con uno apolare (valina) modifica, infatti, la struttura proteica inibendone l’attività e provocando una malformazione dell’eritrocita 3.30 .

Il legame peptidico: costruisci un tripeptide

AVOGADRO

• Proteine: le strutture

• Proteine: alfa elica, beta foglietto e loop

3.29 Formula e rappresentazione della struttura primaria di una catena polipeptidica.

3.30 Nel sangue di persone affette da anemia falciforme è possibile notare eritrociti sani (in rosso) ed eritrociti a forma di falce perché possiedono l’emoglobina mutata (in giallo).

12,5 μm SEM (falsi colori)

3.31 Struttura di una proteina con disposizione a elica della catena peptidica.

3.32 Struttura β, o a β-foglietto ripiegato, di una proteina.

3.33 Struttura 3D della transferrina che trasporta il ferro nel sangue (le frecce rappresentano le porzioni ripiegate a β-foglietto, le eliche rappresentano le α-eliche).

La struttura secondaria

Per conoscere il modo in cui una proteina svolge le proprie funzioni, occorre sapere anche come le catene peptidiche si dispongono nello spazio.

La struttura secondaria delle proteine è data dalla disposizione che porzioni della catena peptidica assumono nello spazio grazie ai legami idrogeno che si instaurano tra i vari residui amminoacidici.

Le strutture secondarie che una proteina può assumere sono principalmente due.

 La struttura a α-elica 3.31 si ha quando la catena si avvolge su se stessa a forma di elica destrorsa con i gruppi R rivolti verso l’esterno. La disposizione a elica è mantenuta da legami a idrogeno tra gruppi C=O e NH di due amminoacidi distanti circa 3-4 residui amminoacidici. L’α-elica consente il maggior numero di legami, quindi la massima stabilità della molecola.

 La struttura a β-foglietto 3.32 si ha, invece, quando le catene proteiche o diverse zone della stessa catena giacciono una accanto all’altra, unite tra loro da legami a idrogeno e disposte a formare delle pieghe in maniera da poter accomodare i gruppi R trasversali al piano del foglietto. La struttura β caratterizza, per esempio, la fibroina della seta, una proteina che può avere notevoli applicazioni in medicina e nel campo dell’ingegneria dei tessuti.

gruppi R

legami a idrogeno

La struttura terziaria

La catena proteica si ripiega nello spazio assumendo una forma tridimensionale che varia da proteina a proteina 3.33

La struttura terziaria è data dalla conformazione tridimensionale della catena polipeptidica.

La struttura terziaria è stabilizzata da interazioni chimiche di vario tipo (legami idrogeno, interazioni idrofobiche, ponti disolfuro ecc.) tra residui amminoacidici che possono essere anche molto lontani nella struttura primaria. Variazioni di temperatura o di pH possono modificare profondamente la struttura terziaria delle proteine che, perdendo la loro configurazione (chiamata folding, cioè ripiegamento), perdono anche la propria attività biologica e modificano alcune caratteristiche. Tale fenomeno si chiama denaturazione ed è spesso un processo irreversibile. Per esempio, la cottura rende sode le uova perché causa la denaturazione della proteina albumina presente nell’albume; anche se raffreddiamo un uovo sodo, questo non torna fluido perché l’albumina non è in grado di assumere nuovamente la propria struttura terziaria.

La struttura quaternaria

La struttura quaternaria è data dall’associazione di due o più catene polipeptidiche.

Non tutte le proteine possiedono una struttura quaternaria, ma solo quelle formate da più subunità, che si aggregano grazie a legami a idrogeno o legami ionici, formando strutture più complesse 3.34 .

primaria

struttura terziaria

struttura quaternaria

Alcuni enzimi, per esempio, contengono due subunità proteiche identiche che sono inattive se considerate individualmente, ma diventano enzimaticamente attive sotto forma di dimero.

L’emoglobina è un esempio di struttura quaternaria costituita da quattro subunità legate tra loro. Si tratta anche di una proteina coniugata, cioè legata a un gruppo non proteico (il gruppo eme) che è detto gruppo prostetico. Nel caso dell’emoglobina ogni subunità è legata a un gruppo eme 3.35 .

Le strutture terziaria e quaternaria conferiscono alle proteine proprietà specifiche in accordo con la loro funzione; in base a tale struttura, esse possono essere classificate più genericamente in proteine fibrose e proteine globulari.

 Le proteine fibrose sono di origine animale, sono insolubili in acqua e si dividono in: cheratine, che formano strutture protettive come l’epidermide, i capelli, le piume e le unghie, ma anche fibre come le ragnatele e i bozzoli dei bachi da seta; e collageni, che formano i tessuti connettivi.

 Le proteine globulari sono solubili in acqua e hanno una forma quasi sferica; a questa categoria appartengono gli enzimi, gli ormoni, le proteine di trasporto (emoglobina) e le proteine di deposito (caseina, albumina ecc.).

3.34 Schema riassuntivo delle strutture delle proteine.

PODCAST

Dorothy Crowfoot Hodgkin è una tra le sette donne ad aver ricevuto il premio Nobel per la Chimica nonché, ad oggi, l'unica donna britannica ad averlo conseguito in una disciplina scientifica. Ascolta il podcast e scopri come questa scienziata è riuscita a scoprire tutti i segreti custoditi da alcune complicatissime molecole come le proteine.

1. Quali sono le differenze tra proteine fibrose e proteine globulari?

2. Tutte le proteine posseggono una struttura quaternaria? Risposta breve

3.35 Raffigurazione tridimensionale di una molecola di emoglobina. Le quattro subunità sono rappresentate in verde chiaro, verde scuro, azzurro e viola. In rosso, invece, i gruppi eme (i due di quattro visibili da questa prospettiva).

3.4 Gli amminoacidi, i peptidi e le proteine

Ricorda

Un catalizzatore è una sostanza in grado di aumentare la velocità di una reazione chimica, senza però alterare la condizione di equilibrio chimico e non venendo consumato nel corso del processo di catalisi.

3.36 Profilo energetico di una reazione catalizzata e di una non catalizzata. La reazione catalizzata è facilitata e procede più velocemente perché richiede un’energia di attivazione minore.

3.37 Una catena enzimatica funziona in modo analogo a una catena di montaggio.

Tabella 3.3 Le sette classi di enzimi

Classe di enzimi

Ossidoreduttasi

Transferasi

Idrolasi

Liasi

Isomerasi

Ligasi

Traslocasi

3.5 Gli enzimi e la catalisi

Alcune proteine svolgono un compito importante nella cellula.

Gli enzimi sono macromolecole di natura proteica che funzionano da catalizzatori e sono quindi in grado di aumentare notevolmente la velocità delle reazioni biochimiche nelle condizioni di temperatura e pH dell’organismo 3.36

Senza l’effetto catalitico degli enzimi, la maggior parte delle reazioni chimiche che compongono i processi metabolici sarebbero troppo lente per mantenere le normali funzioni cellulari. Per esempio, il saccarosio disciolto in acqua potrebbe rimanervi per anni senza trasformarsi nei prodotti di idrolisi. Se alla soluzione aggiungiamo l’opportuno enzima, la velocità di reazione aumenta di milioni di volte e tutto il saccarosio è scisso in pochi secondi. Si tratta di catalizzatori biologici estremamente efficienti, la cui azione non differisce da quella di qualsiasi altro catalizzatore:

reagenti

prodotti coordinata di reazione catalizzata

Nella maggior parte dei processi metabolici, il prodotto di una reazione chimica è a sua volta il reagente per una successiva reazione. Si parla in questo caso di catene enzimatiche. Nella cellula, spesso prendono parte a queste catene enzimatiche decine di enzimi diversi, che lavorano come in una catena di montaggio per arrivare al prodotto finale 3.37

Solo una piccola parte delle decine di migliaia di enzimi diversi è stata identificata e studiata. Questo grande numero di enzimi ha sollevato il problema della loro classificazione e nomenclatura.

La classificazione internazionale divide gli enzimi in sette classi Tab. 3.3 .

Reazione catalizzata

Catalizzano reazioni di ossidoriduzione con aggiunta o rimozione di idrogeno, ossigeno o di elettroni da una molecola a un’altra.

Catalizzano il trasferimento di un gruppo funzionale da un substrato a un altro. Le chinasi, in particolare, trasferiscono un gruppo fosfato.

Nome comune

deidrogenasi, ossidasi, catalasi, perossidasi

transaminasi, chinasi

Catalizzano le reazioni di idrolisi su substrati quali esteri o proteine. lipasi, esterasi, proteasi

Catalizzano le reazioni di addizione al doppio legame o la sua rimozione.decarbossilasi

Catalizzano le reazioni di isomerizzazione nelle quali una molecola si trasforma in un suo isomero. isomerasi, mutasi

Catalizzano le reazioni in cui si forma un legame covalente con contestuale rottura di un legame fosforico ad alta energia in una molecola di ATP.

Catalizzano il passaggio di molecole e ioni tra due lati delle membrane biologiche e la loro rottura all'interno delle membrane.

sintetasi, polimerasi

trasportatore di membrana

Ogni classe è articolata a sua volta in sottoclassi e sotto-sottoclassi. A ogni enzima è attribuito un codice numerico che lo identifica in base a classe e sottoclasse di appartenenza, al tipo di reagente (detto anche substrato) e all’ordine di scoperta. Oltre al codice numerico è attribuito un nome comune che solitamente termina con la desinenza -asi.

Meccanismo di azione degli enzimi

Per svolgere la funzione catalitica, l’enzima si lega a una o più molecole di substrato, in genere con legami non covalenti, e forma il complesso enzima-substrato 3.38 Questi legami, di natura transitoria perché deboli, permettono ai prodotti di sganciarsi facilmente dall’enzima una volta avvenuta la reazione.

L’enzima presenta un’elevata specificità del legame con il proprio substrato. Il legame avviene, infatti, su una porzione dell’enzima, detta sito attivo, che ha una forma tridimensionale complementare a quella della molecola da legare, come una chiave con la sua specifica serratura.

Il modello “chiave-serratura”, proposto dal chimico Emil Fischer, è in realtà una semplificazione; ed è quindi più corretto parlare di modello dell’adattamento indotto: nel momento in cui il sito attivo e il substrato entrano in contatto sono in grado di adattarsi reciprocamente, in modo da rendere massime le loro interazioni chimiche. Quando il substrato si lega al sito attivo, l’enzima cambia conformazione e inizia la sua attività catalitica. Una volta che i prodotti sono stati formati, vengono rilasciati dall’enzima che è ora in grado di accettare un altro substrato e ricominciare il processo, in un ciclo catalitico

il legame del substrato induce una modificazione della conformazione dell’enzima

substrato sito attivo prodotti

ingresso del substrato nel sito attivo dell’enzima

complesso enzima-substrato

complesso enzima-prodotti

uscita dei prodotti dal sito attivo dell’enzima

Gli enzimi si differenziano dai catalizzatori inorganici per la loro elevata specificità, che è dovuta alla forma strettamente complementare tra il sito attivo dell’enzima e il suo substrato. In questo modo ogni enzima è in grado di discriminare con grande efficienza tra i diversi tipi di substrato, interagendo solamente con alcune molecole e non con altre.

Cinetica enzimatica

La velocità di una reazione enzimatica dipende da molti fattori, quali la concentrazione dell’enzima, la concentrazione del substrato, la temperatura, il pH, la presenza di altre molecole e così via. Per studiare le reazioni enzimatiche dal punto di vista cinetico è necessario osservare l’andamento della velocità iniziale (v0) in funzione di uno o più di questi parametri. Molto spesso si osserva che, a parità di concentrazione di enzima [E], la velocità iniziale della reazione enzimatica in funzione della concentrazione di substrato [S] ha un andamento caratteristico, come quello riportato in Figura 3.39 , a pagina seguente.

La velocità di una reazione è pari alla variazione di concentrazione di un prodotto nell’intervallo di tempo, v = Δ[P] Δt

3.38 Schema del meccanismo con cui il substrato si lega all’enzima.

3.39 Aumento della velocità iniziale di una reazione catalizzata da un enzima, in funzione della concentrazione del suo substrato.

3.40 La saturazione dell’enzima è simile al sistema di casse di un supermercato, dove il numero di casse rappresenta la quantità di enzima e quello di clienti la concentrazione di substrato.

Osservando il grafico di 3.39 , si nota che è possibile distinguere tre zone differenti, nelle quali cambia la dipendenza della velocità iniziale dalla concentrazione di substrato.

prima zona

seconda zona terza zona v max saturazione

concentrazione substrato [S] velocità iniziale v 0

1. Prima zona. Quando la concentrazione di substrato è bassa, la velocità della reazione aumenta all’aumentare del substrato. La relazione tra velocità iniziale e concentrazione di substrato è di proporzionalità diretta; il tratto di curva corrispondente è una retta.

2. Seconda zona. Quando la concentrazione del substrato ha un valore intermedio, l’aumento di concentrazione di substrato porta comunque a un aumento della velocità iniziale, ma tale aumento non è più direttamente proporzionale.

3. Terza zona. Quando la concentrazione di substrato è molto alta, una sua variazione non ha più alcun effetto sulla velocità iniziale, che rimane costante al valore massimo possibile, v max. Questa condizione si dice saturazione: l’unico modo per aumentare la velocità è aumentare la concentrazione dell’enzima.

Riassumendo, possiamo dire che a basse concentrazioni di substrato la velocità iniziale è controllata principalmente dalla sua quantità, mentre ad alte concentrazioni è controllata dalla quantità di enzima. A concentrazioni intermedie, entrambi questi parametri influenzano significativamente la velocità iniziale. Il meccanismo descritto è detto meccanismo di Michaelis-Menten, dal nome de due scienziati che lo proposero. Un’analogia in grado di spiegare la dipendenza della velocità iniziale dalle concentrazioni di enzima e di substrato è quella del supermercato 3.40 .

Prima della saturazione

substratoenzima

per aumentare il guadagno, basta aumentare la quantità di substrato

Dopo la saturazione

per aumentare il guadagno, bisogna aumentare la quantità di enzima

In questa analogia la quantità di enzima è rappresentata dal numero di casse aperte e la quantità di substrato dal numero di clienti che si apprestano a pagare. La velocità, invece, è rappresentata dalla quantità di denaro incassata dal supermercato in un certo tempo.

 Quando ci sono pochi clienti, la maggior parte delle casse aperte sono libere e ogni cliente che si avvicina per pagare trova una cassa disponibile e può pagare immediatamente. A un aumento dei clienti corrisponde un aumento proporzionale dell’incasso.

 Quando il supermercato è molto affollato, invece, tutte le casse sono piene e un aumento dei clienti porta solo ad allungare le file alle casse. L’unico modo per sveltire la procedura è aprire altre casse.

Principi di regolazione enzimatica

Il funzionamento della cellula richiede che l’attività degli enzimi sia regolata in maniera molto precisa. In condizioni normali, le reazioni biochimiche nella cellula non funzionano quasi mai al massimo delle loro possibilità. Alcune sono in genere inattive e sono “accese” solo in determinati casi e per specifiche necessità. In questo modo, l’organismo evita che ci siano sprechi di energia e accumulo di prodotti inutili.

Solitamente, in ogni catena enzimatica esistono degli enzimi chiave sui quali intervengono i meccanismi di regolazione. In questo modo la regolazione può essere svolta in maniera efficiente, dato che riguarda solo alcuni stadi, ma anche efficace, perché il principio di Le Châtelier ci assicura che inibendo anche un solo stadio di una catena, gli effetti vengono trasmessi a tutti gli altri.

L’attività delle reazioni biochimiche può essere controllata dalla cellula:

 variando la quantità di enzima presente;

 intervenendo sull’attività dell’enzima, cioè sulla sua capacità di catalizzare la reazione.

Nel primo caso si deve considerare che gli enzimi, come tutti gli altri componenti della cellula, sono sottoposti a un continuo ricambio, con il quale si sopperisce alla loro naturale degradazione nel tempo. La concentrazione di enzima nella cellula dipende quindi dal bilancio tra la velocità con cui è sintetizzato e quella con cui è degradato. La cellula può intervenire sulla quantità presente di un certo enzima attivando o inibendo la sua sintesi mediante meccanismi di regolazione dell’espressione genica (come vedremo nell’Unità 5); oppure, degradando l’enzima non più necessario.

Spesso la cellula mantiene una quota di enzima in una forma di precursore inattivo (proenzima), che viene poi trasformato nell’enzima attivo all’occorrenza. Un caso particolare di regolazione della concentrazione di enzima negli eucarioti è quello della compartimentazione, nella quale la concentrazione dell’enzima varia per rilascio o assorbimento di quest’ultimo in differenti compartimenti cellulari che fungono da riserve. Intervenire sulla concentrazione di enzima è tuttavia un processo piuttosto lento ed energeticamente dispendioso. Per questo motivo la maggior parte della regolazione dell’attività enzimatica avviene per azione diretta sulla capacità catalitica degli enzimi, spesso grazie all’intervento di particolari molecole dette inibitori e attivatori.

Gli inibitori sono ioni o molecole, in genere di piccole dimensioni, in grado di legare in modo specifico e alterare le capacità dell’enzima. Oltre a quelli prodotti dall’organismo, anche molti farmaci, veleni e insetticidi sono inibitori dell’attività di particolari enzimi 3.41

Risposta breve

1. Qual è la funzione degli enzimi?

2. Che cosa si intende per adattamento indotto?

3. Come varia la velocità di reazione in funzione della concentrazione di substrato secondo il meccanismo di Michaelis-Menten?

Ricorda

Per il principio di Le Châtelier, ogni sistema tende a reagire a una perturbazione imposta dall’esterno minimizzandone gli effetti.

3.41 Molti inibitori enzimatici sono impiegati come insetticidi in campo agricolo.

3.42 Schema di funzionamento dell’inibizione competitiva.

3.43 Schema di funzionamento dell’inibizione non competitiva.

A seconda delle interazioni con l’enzima, possiamo distinguere due tipi principali di inibitori.

 Negli inibitori irreversibili il cui legame con l’enzima è di tipo covalente, caratterizzato da interazioni forti. Il complesso enzima-inibitore si dissocia molto lentamente. I gas nervini, per esempio, si legano irreversibilmente all'enzima acetilcolinesterasi compromettendone l’attività.

 Negli inibitori reversibili il legame con l’enzima è di tipo non covalente piuttosto debole. Il complesso enzima-inibitore si dissocia facilmente. Il farmaco Tipranivir, usato per trattare l’HIV, è un inibitore reversibile e agisce bloccando l’attività di un enzima virale.

I meccanismi di azione degli inibitori reversibili si dividono in due categorie.

 Inibitori competitivi: si tratta di molecole con una struttura molto simile a quella del substrato, che legano al sito attivo dell’enzima. Quest’ultimo non è quindi più disponibile per il substrato. Il complesso enzima-inibitore che si forma, però, non è in grado di dar corso ad alcuna reazione 3.42 .

inibitore sito attivo

l’enzima lega l’inibitore l’inibitore compete con il substrato

 Inibitori non competitivi: si legano all’enzima in corrispondenza di porzioni diverse della molecola rispetto al sito attivo. L’effetto di inibizione è dovuto al fatto che la formazione del complesso enzima-inibitore altera la struttura complessiva dell’enzima, rendendo il sito attivo non più adeguato a ospitare il substrato 3.43 .

il cambiamento della conformazione del sito attivo inibisce l’ingresso del substrato

substrato

1. Quali tipi di inibitori enzimatici conosci?

2. Qual è la differenza tra l’inibizione reversibile e quella irreversibile?

3. Qual è la differenza tra gli inibitori competitivi e quelli non competitivi?

inibitore

l’enzima lega prima l’inibitore

l’enzima lega prima il substrato enzima

l’enzima lega l’inibitore, il sito attivo cambia conformazione e il substrato viene espulso

Nel caso dell’inibizione competitiva, inibitore e substrato competono per il sito attivo dell’enzima; in presenza di una grande concentrazione di substrato, l’effetto dell’inibitore è trascurabile perché il sito attivo dell’enzima si troverà quasi sempre impegnato in un complesso con il substrato. Nel caso dell’inibizione non competitiva, invece, l’effetto dell’inibitore è indipendente dalla concentrazione di substrato. Gli attivatori funzionano con un meccanismo simile a quello degli inibitori non competitivi. Al contrario di questi ultimi, tuttavia, il loro legame con l’enzima rende il sito attivo più ricettivo verso il substrato.

Risposta breve
substrato
enzima

Enzimi allosterici

Il meccanismo degli inibitori non competitivi e degli attivatori è un esempio di regolazione allosterica.

Sono chiamati, in generale, effettori allosterici tutte quelle molecole che, quando si legano a un enzima in una regione diversa dal sito attivo, ne cambiano la conformazione e ne regolano la funzione. Gli enzimi regolati allostericamente sono detti enzimi allosterici

Gli enzimi allosterici hanno proprietà particolari che li differenziano da quelli che seguono la cinetica di Michaelis-Menten. Questo tipo di enzimi è quasi sempre costituito da più subunità proteiche che si aggregano in una struttura quaternaria. Quando un effettore si lega a una subunità, la transizione conformazionale che ne consegue si trasmette anche alle altre subunità, attraverso le interazioni deboli che le tengono unite. Il risultato è che tutti i siti attivi risentono dell’azione dell’effettore.

In molti casi, anche il substrato può comportarsi come un attivatore attraverso un processo di legame cooperativo: il legame di una molecola di substrato a uno dei siti attivi presenti sull’enzima promuove, a sua volta, il legame di una seconda molecola in un altro dei siti restanti, la presenza della seconda molecola promuove ulteriormente il legame sui restanti siti attivi e così via.

L’effetto cooperativo determina un andamento della velocità iniziale in funzione della concentrazione di substrato differente da quello di enzimi che seguono il meccanismo di Michaelis-Menten. Per gli enzimi allosterici la curva ha la forma sigmoide, simile alla lettera S 3.44 . 3.44 L’andamento sigmoide tipico del comportamento degli enzimi allosterici.

3.6 Le vitamine

Le vitamine comprendono un gruppo di composti eterogenei; infatti, non appartengono a una stessa tipologia di struttura come i carboidrati, gli acidi grassi, gli amminoacidi o i nucleotidi.

Le vitamine sono un insieme di composti organici indispensabili per la vita.

L’essere umano e la gran parte del regno animale le assumono dagli alimenti e non sono in grado di sintetizzarle in autonomia. Infatti, un determinato composto può essere una vitamina per una specie e non avere tale proprietà per altre specie.

Per esempio, la vitamina C 3.45 è una vitamina per l’essere umano e i primati, che non sono in grado di sintetizzarla, mentre per altre specie animali, capaci di sintetizzarla, non può essere considerata tale.

Il termine vitamina, cioè “ammina della vita”, fu impiegato per la prima volta nel 1911 dallo scopritore della vitamina B1 (la tiamina), Casimir Funk. Da allora lo si impiega più in generale anche per molecole che non sono ammine.

Tutte le vitamine presentano delle caratteristiche comuni:

 sono sostanze prive di valore energetico, al contrario di glucidi e lipidi;

 agiscono in dosi minime, il loro fabbisogno giornaliero è nell’ordine di qualche milligrammo;

 sono essenziali, poiché il nostro organismo non è in grado di produrle o le produce in quantità insufficiente, e dobbiamo quindi introdurle con la dieta.

Le funzioni svolte dalle vitamine sono numerose:

 favoriscono l’utilizzazione dei cibi e la produzione dell’energia;

 svolgono attività antiossidante mediante la quale neutralizzano i radicali liberi (sostanze tossiche prodotte dal nostro metabolismo);

 intervengono nel corretto sviluppo e accrescimento corporeo;

 intervengono nella contrazione muscolare e nella trasmissione degli impulsi nervosi;

 intervengono nella funzionalità del sistema immunitario.

Tutte le vitamine, tranne la vitamina B12, sono sintetizzate dalle piante e le assumiamo, principalmente, mangiando ortaggi e verdure 3.46 . Anche molti alimenti di origine animale, comunque, hanno un significativo contenuto vitaminico. La vitamina B12, invece, può essere sintetizzata solo da alcuni microorganismi. Essa, però, è presente in tutti gli alimenti di origine animale, che la accumulano consumando cibi contaminati da questi microorganismi. Ne consegue che, per introdurla nel nostro organismo dobbiamo assumere cibi di derivazione animale. Persone che seguono una dieta che escluda del tutto alimenti di origine animale devono ricorrere a integratori alimentari di B12. Sia l’assenza (avitaminosi) sia la carenza (ipovitaminosi) di vitamine può essere causa di gravi patologie, così come l’eccesso di vitamine (ipervitaminosi) può arrecare seri danni alla salute. Le vitamine sono suddivise in base alla loro solubilità in liposolubili e idrosolubili. Le vitamine liposolubili non si sciolgono bene in acqua ma vengono accumulate nei tessuti grassi. Appartengono a questa categoria le vitamine A, E, D e K. La loro natura lipofila le rende insolubili in acqua e queste vitamine sono quindi eliminate con difficoltà attraverso i liquidi fisiologici. Le vitamine idrosolubili, al contrario, si sciolgono bene in acqua; rientrano in questa categoria tutte le vitamine del gruppo B e la vitamina C. Grazie alla loro natura idrofila, le vitamine idrosolubili sono facilmente eliminate attraverso le urine.

Pellagra: l’importanza di una vitamina

Periodo storico: dall’Ottocento alla seconda metà del Novecento Località: Italia settentrionale, in particolare Lombardia e Veneto

Descritta per la prima volta dallo spagnolo Gaspar Casal nel 1735, la pellagra si diffuse in particolare fra i contadini dell’Italia settentrionale nell’Ottocento. Il nome della malattia deriva da “pelle agra” e ne descrive il sintomo principale, una progressiva dermatite soprattutto su arti e collo, accompagnata da diarrea, disturbi sensoriali e demenza fino alla morte. La causa della malattia, a lungo ignota, è la carenza di vitamina B3, chiamata anche acido nicotinico, niacina o vitamina PP (pellagra preventing).

All’epoca i contadini si nutrivano quasi esclusivamente di granoturco (o mais), proveniente dall’America, importato dagli

Spagnoli e diffusosi nella Pianura Padana dopo la peste del 1630. All’inizio questa pianta era coltivata dai coloni per uso personale, poi, data la resa, la borghesia del primo Ottocento la impose in campo aperto, fino a creare zone di monocoltura che modificarono il tessuto socio-economico del territorio e impoverirono la dieta della popolazione locale.

Il granoturco contiene vitamina B3, che però non è biodisponibile, cioè non è assorbibile dall’essere umano. Gli Spagnoli non avevano importato, con la pianta, anche la tecnica di lavorazione indigena nota come nixtamalizzazione che, come oggi sappiamo, rende biodisponibile sia la vitamina B3 sia il triptofano. In Messico e sulle Ande, i chicchi di mais venivano bolliti in acqua e calce (idrossido di sodio), alcalinizzante, e lasciati riposare per una notte finché si gonfiavano e fermentavano; poi venivano decorticati, sciacquati e macinati. La pellagra quindi non è causata da povertà economica, bensì da una dieta

povera in contesti contadini dove la polenta di mais era mangiata insieme a latte, formaggio o verdure, la pellagra non era diffusa. A lungo si credette che la causa della malattia fossero tossine date da una cattiva conservazione del mais in ambienti umidi, tanto che, dopo l'Unità d'Italia, il governo fece costruire granai moderni e aerati. Solo nel Novecento, il medico americano Joseph Goldberger dimostrò l’importanza di agire sulla dieta per prevenire e guarire dalla pellagra. Il ruolo della vitamina B3 fu però scoperto solo nel 1937 dal biochimico americano Conrad Elvehjem.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Educazione fisica). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

COLLEGA Storia
3.46 La mappa delle vitamine.

Coenzimi e vitamine

Oltre alla porzione proteica, molti enzimi contengono anche una parte non proteica detta cofattore, che può essere formata da ioni metallici (quali Zn2+ , Mg2+, Ca2+ ecc.) oppure da molecole organiche piuttosto complesse dette coenzimi. Cofattori e coenzimi hanno spesso un ruolo cruciale perché l’enzima possa svolgere il ruolo di catalizzatore. Molte vitamine sono parti di coenzimi 3.47 . Tra i coenzimi più importanti ricordiamo i seguenti.

 Flavina-adenina dinucleotide (FAD) è un trasportatore di elettroni. La sua forma ossidata è il FAD, quella ridotta è il FADH2 3.48 .

 Nicotinammide-adenina dinucleotide (NAD) e nicotinammide-adenina dinucleotide fosfato (NADP). Sono entrambi trasportatori di elettroni e differiscono per un gruppo fosfato. Esistono nella forma ossidata NAD+/NADP+ e in quella ridotta

3.47 Le arachidi sono una fonte di vitamina B3, da cui deriva il coenzima NAD.

3.48 Struttura del FAD (a sinistra). Il FAD viene impiegato nelle reazioni di ossidoriduzione. La sua forma ridotta è il FADH2 (a destra).

1. Quali sono le vitamine liposolubili e quali le idrosolubili?

2. Qual è la differenza tra cofattore e coenzima? Risposta breve

3.49 Struttura del NAD e del NADP (a sinistra). Le loro forme ridotte sono il NADH e il NADPH (a destra).

3.7 Gli acidi nucleici

Ogni singola cellula contiene tutte le informazioni e gli strumenti necessari alla produzione dei suoi componenti e alla sua riproduzione. L’insieme di queste istruzioni è detto genoma ed è costituito dall’acido nucleico DNA; la trasmissione delle istruzioni è invece a carico dell’RNA. Poiché il genoma delle cellule eucariotiche è contenuto nel nucleo, il DNA e l’RNA sono chiamati acidi nucleici.

La struttura chimica del DNA

Il DNA è una molecola formata da due filamenti avvolti a elica di natura polimerica. Ogni filamento è costituito da una sequenza lineare di monomeri, chiamati nucleotidi.

Un nucleotide è formato da tre componenti: una base azotata; uno zucchero a cinque atomi di carbonio, che per il DNA è il desossiribosio, simile al ribosio, a meno di un gruppo OH; uno o più gruppi fosfato.

Un nucleotide può avere da uno a tre gruppi fosfato. Si definisce, invece, con il nome di nucleoside la molecola composta dallo zucchero pentoso e dalla base azotata, senza gruppi fosfato:

nucleoside

nucleotide monofosfato

nucleotide difosfato

nucleotide trifosfato

I nucleotidi si differenziano per il tipo di base azotata, che può essere una purina o una pirimidina. Le purine hanno una struttura eterociclica in cui sono presenti un anello a cinque e uno a sei atomi, tra i quali, in totale, quattro sono di azoto. Le pirimidine hanno invece una struttura ciclica a sei atomi, di cui due di azoto. Per ciascun tipo di base esistono due varianti, a seconda della presenza di diversi gruppi sostituenti sulla molecola. In totale, quindi, le basi azotate presenti nel DNA sono quattro 3.50 : adenina (A), guanina (G), citosina (C), timina (T).

basi puriniche

basi pirimidiniche

3.50 Struttura dei nucleotidi del DNA e delle rispettive basi azotate. R è un H se la base azotata non è legata allo zucchero.

I nucleotidi sono legati uno all’altro tramite legami covalenti, chiamati legami fosfodiesterici, che si formano tra un gruppo fosfato di un nucleotide e uno zucchero del successivo 3.51 . In questo modo si crea la struttura polimerica, con uno scheletro costituito da un alternarsi di molecole di desossiribosio e di gruppi fosfato. Le basi azotate, legate anch’esse allo zucchero, sporgono all’esterno dello scheletro carbonioso. È opportuno sottolineare che i nucleotidi all’interno della sequenza impegnano sia l’ossidrile sul carbonio 5′ sia quello sul carbonio 3′. Dei nucleotidi alle estremità della catena, uno avrà libero il gruppo fosfato legato al carbonio 5′ (estremità 5′) e l’altro ossidrile legato al carbonio 3′ (estremità 3′).

estremità 5′

estremità 3′

Molti nucleotidi hanno ruoli importanti anche in altre vie metaboliche; per esempio, l’adenosina trifosfato (o ATP) è coinvolto nel metabolismo energetico della cellula, come vedremo nella prossima Unità.

La struttura chimica dell’RNA

L’RNA ha una struttura molto simile a quella del DNA; infatti, è anch’esso un polimero risultante dall’unione di più nucleotidi. L’RNA e il DNA, però, differiscono dal punto di vista chimico per due aspetti molto importanti:  lo zucchero presente nel DNA è il desossiribosio, nell’RNA è invece il ribosio;  nel DNA è presente la base pirimidinica timina, mentre nell’RNA si trova al suo posto un’altra base pirimidinica, l’uracile 3.52

Inoltre, mentre le molecole di DNA sono costituite da due filamenti avvolti a elica, quelle di RNA sono a filamento singolo.

3.51 Il legame tra i nucleotidi avviene tramite un gruppo fosfato legato alla posizione 3' di una unità di desossiribosio e quella 5' dell’altra.

3.52 L’uracile è la base azotata pirimidinica presente nell’RNA al posto della timina presente nel DNA.

guanina
citosina

le coppie di basi formano legami orizzontali tra le due catene i nastri lilla rappresentano le due catene di gruppi fosfato e desossiribosio, alternati

Nonostante le somiglianze nella loro composizione chimica, il DNA e l’RNA hanno funzioni molto diverse: il DNA è responsabile della conservazione e della trasmissione dell’informazione genetica; l’RNA svolge, invece, molti ruoli diversi (per esempio di trasmissione e di regolazione dell’espressione genica, ma può avere anche una funzione strutturale). Nelle cellule sono presenti diversi tipi di RNA. L’mRNA (RNA messaggero) convoglia ai ribosomi l’informazione contenuta in un gene, con le istruzioni per sintetizzare un polipeptide. La sequenza di basi azotate dell’mRNA è tradotta in una sequenza di amminoacidi grazie al ruolo svolto dal tRNA (RNA transfer), che permette di tradurre il “linguaggio” delle basi azotate in quello degli amminoacidi. Al processo di traduzione (sintesi delle proteine) partecipa anche l’rRNA (RNA ribosomiale) che ha invece una funzione strutturale poiché è un componente essenziale dei ribosomi. Esistono poi altri tipi di RNA non codificanti (per esempio, i miRNA e i siRNA) che svolgono un ruolo importante nella regolazione dell’espressione genica (vedi Unità 5).

La struttura tridimensionale del DNA

Fino a metà del secolo scorso, nonostante si fosse a conoscenza della struttura chimica del DNA e del tipo di legami tra i suoi componenti, non era ancora chiaro il meccanismo con il quale era conservata e replicata l’informazione genetica contenuta all’interno della sua molecola.

La soluzione al problema arrivò nel 1953, quando la prestigiosa rivista Nature pubblicò un articolo in cui era proposto un nuovo modello per il DNA. Gli autori dell’articolo erano James Watson e Francis Crick, che da quel momento sono noti come gli scopritori della struttura a doppia elica del DNA.

La doppia elica del DNA

La scoperta di Watson e Crick, frutto di una geniale intuizione e di un’attenta analisi dei dati, sarebbe però stata impossibile senza il contributo di molti altri scienziati. Precedenti studi avevano già indicato che il DNA doveva avere una struttura elicoidale. Inoltre, era stato osservato che in qualunque porzione di DNA, la timina e l’adenina erano sempre presenti nella stessa quantità. Lo stesso valeva per la citosina e la guanina. Questa caratteristica, oggi nota come complementarietà tra le basi azotate, risponde alle regole di Chargaff ed è una diretta conseguenza dell’appaiamento selettivo tra le basi:

le due catene si sviluppano in versi opposti

3.53 La doppia elica del DNA rappresentata come schema.

Partendo da queste osservazioni, Watson e Crick costruirono un modello compatibile con tutte le informazioni che fino a quel momento erano disponibili sulla struttura chimica del DNA (gruppi chimici presenti, distanze e angoli di legame ecc.) che teneva conto delle osservazioni fatte sulla distribuzione dei nucleotidi nella molecola. Il modello da loro proposto, e che si è poi rivelato corretto, è quello della doppia elica 3.53 . Le caratteristiche della struttura della doppia elica del DNA sono le seguenti.

 La molecola è formata da due filamenti di nucleotidi collegati tra loro e avvolti a spirale. Per indicarne l’orientamento, l’estremità che presenta un ossidrile libero è detta estremità 3′ mentre quella opposta, contenente il gruppo fosfato, è detta 5′ .

 I due filamenti sono antiparalleli: se il primo è orientato dall’estremità 3′ all’estremità 5′, il secondo è orientato in senso opposto.

 I due filamenti sono uniti da legami a ponte di idrogeno che si instaurano tra le coppie di basi opposte 3.54

 Il legame tra le basi è altamente specifico: una timina lega (con due legami) esclusivamente un’adenina, mentre una guanina lega (con tre legami) esclusivamente una citosina. Si parla di appaiamento delle basi

 L’appaiamento delle basi implica che, qualsiasi sia la sequenza di basi di un filamento, il filamento corrispondente deve avere una sequenza che è complementare a quella del primo; per esempio, alla sequenza AAGCGT su un filamento corrisponde la sequenza TTCGCA sull’altro.

 Le lunghezze e gli angoli di legame coinvolti impongono che l’avvolgimento dei due filamenti abbia la struttura di una doppia elica caratterizzata da un solco maggiore e da un solco minore 3.55 . La doppia elica ha un passo di lunghezza pari a 3,4 nm.

Il premio Nobel per la medicina del 1962 fu assegnato, oltre che a Watson e Crick, anche a Maurice Wilkins, che si era occupato dello studio del DNA per mezzo della diffrazione dei raggi X. Molto del lavoro in questo campo, però, venne fatto anche da una giovane scienziata, Rosalind Franklin. Purtroppo, Franklin morì nel 1958 a soli 37 anni, per un tumore forse sviluppatosi proprio per l’eccessiva esposizione ai raggi X. Sono in molti a ritenere che il suo lavoro sia stato di importanza cruciale per la scoperta della struttura del DNA. Poiché il premio Nobel può essere assegnato solo a persone in vita, non fu possibile dare riconoscimento ufficiale al suo contributo.

3.54 Doppia elica di DNA rappresentata con le formule di struttura.

Un legame a ponte di idrogeno, o semplicemente legame a idrogeno, è un tipo di interazione non covalente che si instaura tra un atomo molto elettronegativo, come l’ossigeno, e l'idrogeno

3.55 La doppia elica del DNA presenta un solco maggiore e un solco minore.

1. Da che cosa è formato un nucleotide?

2. Quali tipi di RNA conosci?

3. Come sono accoppiate le basi azotate? Risposta breve

Solco minore (1,2 nm)
Solco maggiore (2,2 nm)

U3 Ripassa con metodo

Completa la mappa con i termini mancanti.

Scarica la mappa modificabile. Leggi e ascolta la sintesi dell’Unità.

Puoi confrontarla con la mappa completa accessibile dal codice QR.

BIOMOLECOLE

sono oggetto di studio della biochimica e alla base dei processi biologici

In quali classi si suddividono?

CARBOIDRATI

sono composti organici , formati da tre elementi: carbonio, idrogeno e ossigeno

Come sono classificati?

Si classificano in base alla complessità strutturale in

sono un gruppo eterogeneo di sostanze insolubili in acqua

Quali composti ne fanno parte?

Ne fanno parte acidi grassi, trigliceridi, e steroidi

sono polimeri di , composti quaternari formati da PROTEINE

sono composti essenziali, assumibili con la dieta ma non sintetizzabili

ACIDI NUCLEICI

sono composti da nucleotidi e si dividono in

Quali proteine svolgono attività catalitica?

Di quali molecole possono essere precursori?

Quali funzioni svolgono?

Hanno funzione di dell’informazione genetica

Quali molecole di natura non proteica si associano all’enzima per permetterne l’attività catalitica?

la loro attività è finemente regolata possono essere o piccole molecole organiche piuttosto complesse COFATTORI

Come sono anche chiamate queste ultime?

U3 Conoscenze e abilità

3.1-2 Le biomolecole e i carboidrati

1 Vero o falso?

a. I carboidrati sono composti organici quaternari V F

b. La maggior parte degli zuccheri in natura appartiene alla serie d V F

c. Due zuccheri sono anomeri quando differiscono per la configurazione del carbonio asimmetrico, detto anomerico V F

2 Spiega che cosa s’intende per biomolecole e riporta alcuni esempi.

3 Qual è la differenza tra un aldoesosio e un chetoesosio?

4 Qual è la differenza tra uno zucchero della serie l e uno zucchero della serie d?

5 Definisci il legame glicosidico.

6 Il saccarosio è costituito da: una molecola di β-glucosio e una molecola di α-fruttosio due molecole di β-glucosio due molecole di α-glucosio una molecola di α-glucosio e una molecola di β-fruttosio

7 I carboidrati sono così chiamati perché: contengono acqua di cristallizzazione contengono atomi di idrogeno e di ossigeno nello stesso rapporto che hanno nell’acqua sono insolubili in acqua sono facilmente idrolizzabili

8 Indica quale dei seguenti carboidrati è un chetoesoso: glucosio mannosio galattosio fruttosio

9 Un aldoesosio è uno zucchero con:

5 atomi di C e un gruppo chetonico

5 atomi di C e un gruppo aldeidico

6 atomi di C e un gruppo chetonico

6 atomi di C e un gruppo aldeidico

10 La struttura ciclica di un monosaccaride si forma: per eliminazione di acqua tra due gruppi ossidrilici per addizione di uno degli atomi di idrogeno legati agli atomi di carbonio della catena al gruppo carbonilico per addizione di uno dei gruppi ossidrilici legati agli atomi di carbonio della catena al gruppo carbonilico per eliminazione di acqua tra il gruppo carbonilico e gli atomi di idrogeno, legati agli atomi della catena

11 L’ α-glucosio è diverso dal β-glucosio: per la diversa disposizione spaziale dell’atomo di carbonio adiacente al gruppo carbonilico perché il primo appartiene alla serie d e l’altro alla serie l per la diversa disposizione spaziale dell’OH del carbonio anomerico perché il primo è destrogiro e il secondo levogiro

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

12 Scrivi la formula di un generico aldoesosio e di un chetosio. Hanno lo stesso numero di carboni chirali?

13 Scrivi la formula di struttura prima a catena aperta e poi a catena chiusa di:

a. ribosio

b. glucosio c. fruttosio d. galattosio

14 Utilizzando le formule di struttura ciclica indica i carboni anomerici di:

a. saccarosio

b. maltosio

15 Calcola il numero massimo di stereoisomeri di un aldoesosio e quelli di un chetoesosio.

16 Facendo riferimento alla struttura e alle proprietà, metti a confronto l’amido e la cellulosa. Per quale motivo le molecole dell’amido assumono forma elicoidale mentre le molecole della cellulosa assumono forma lineare?

17 Scrivi la formula del d (+) glucosio a catena aperta, e quella dei due anomeri e specifica che tipo di reazione avviene e quali atomi partecipano alla reazione.

3.3 I lipidi

18 Vero o falso?

a. I trigliceridi sono costituiti da una molecola di glicerolo i cui gruppi OH sono esterificati da due acidi grassi e un gruppo fosfato V F

b. I saponi sono sostanze in grado di formare micelle V F

c. I fosfolipidi hanno proprietà anfifilica V F

d. La fluidità delle membrane non è influenzata dalla presenza di colesterolo V F

19 Che cosa sono i lipidi?

20 Qual è la differenza tra un acido carbossilico e un acido grasso?

21 Che cosa è il colesterolo e in quali tipi di tessuti si trova?

22 Quali sono le differenze e le analogie tra oli e grassi?

23 Gli acidi grassi insaturi: non presentano doppi legami hanno un punto di fusione più basso rispetto agli acidi grassi saturi non hanno mai più di 14 atomi di carbonio presentano sempre almeno 2 doppi legami

24 Gli oli: sono miscele solide di trigliceridi sono costituiti da trigliceridi con acidi grassi saturi ad alto peso molecolare sono miscele liquide di trigliceridi sono costituiti da trigliceridi con acidi grassi insaturi ad alto peso molecolare

25 Nei fosfolipidi, il terzo ossidrile del glicerolo lega: un gruppo fosfato la colina l’etanolammina un acido grasso

Il colesterolo è presente:

nei tessuti animali e vegetali

nei tessuti animali

nei tessuti vegetali

nessuna delle risposte precedenti

27 Quale tra i seguenti non è un ormone steroideo?

Testosterone

Insulina

Cortisolo

Progesterone

28 Quale tra i seguenti NON è un acido grasso essenziale?

Acido oleico

Acido linoleico

Acido linolenico

ω-3 e ω-6

29 Quale tra i seguenti lipidi NON contiene unità glicerolo nella sua struttura?

Un grasso

Un fosfolipide

Un glicolipide

Un olio

30 Scrivi la formula di struttura di un trigliceride che contenga una unità di acido linoleico, una di acido stearico e una di acido oleico.

31 A quale composto fa riferimento la formula rappresentata qui di seguito? Completala con i giusti sostituenti per ottenere il colesterolo.

32 Facendo riferimento alle strutture molecolari, spiega perché i grassi e gli oli sono insolubili in acqua sebbene i loro componenti (glicerolo e acidi grassi) contengano gruppi funzionali polari.

33 Scrivi la formula a linee di legame di:

a. acido stearico

b. acido trans-9-ottandecenoico

c. acido cis-9-ottandecenoico

d. acido linolenico

3.4 Gli amminoacidi, i peptidi e le proteine

34 Vero o falso?

a. Le proteine sono composti organici ternari V F

b. Gli amminoacidi che costituiscono proteine sono quasi tutti della serie d V F

35 Che cosa si intende per legame peptidico?

36 Gli α-amminoacidi, tranne uno, presentano isomeria: di struttura di posizione geometrica ottica

37 Il legame peptidico si forma per eliminazione di H2O tra: due ossidrili alcolici un gruppo amminico e un gruppo carbossilico un gruppo alcolico e un gruppo acido due gruppi acidi

38 Un α-amminoacido contiene sempre: un gruppo amminico sull’atomo di carbonio adiacente al gruppo carbossilico un gruppo carbossilico a ciascuna estremità della molecola due gruppi amminici gruppi amminici e carbossilici alternati

39 Quale dei seguenti amminoacidi contiene zolfo?

Alanina

Istidina

Cisteina

Glicina

40 Scrivi la formula di un dipeptide e di un tripeptide.

41 Problema svolto Scrivi i dipeptidi costituiti da fenilalanina e glutammina nella forma zwitterionica.

▶ Scrivi la struttura dei due amminoacidi:

fenilalanina glutammina

▶ Scrivi il dipeptide con la convenzione dall’N-terminale al C-terminale. Il dipeptide in forma zwitterionica può essere di due tipi: 1. fenilalanina-glutammina

2. glutammina-fenilalanina

42 Scrivi la struttura dei due possibili dipeptidi che contengono glicina e alanina.

43 Scrivi le strutture di:

a. glicilglicina

b. glicilglicilalanina

44 Usando le formule abbreviate degli amminoacidi scrivi tutti i possibili tripeptidi che contengono una unità di glicina, una di fenilalanina e una di leucina.

45 Spiega come è possibile generare milioni di proteine differenti a partire da venti amminoacidi.

46 Scrivi la reazione di formazione di un tripeptide legando insieme glicina, alanina, e valina. La glicina deve essere l’amminoacido N-terminale e la valina quello C-terminale.

47 La struttura primaria di una proteina riguarda: la sequenza degli amminoacidi l’avvitamento a elica della molecola il ripiegamento su loro stesse delle eliche l’aggregazione di più subunità

48 Che tipo di fenomeno è la denaturazione delle proteine?

49 Quali sono le strutture secondarie delle proteine che conosci?

3.5 Gli enzimi e la catalisi

50 Vero o falso?

a. Gli enzimi si dividono in sette classi V F

b. Tutti gli enzimi contengono un sito catalitico V F

c. La cinetica enzimatica segue sempre il grafico di Michaelis-Menten

d. Il proenzima è un precursore inattivo V F

51 Quale delle seguenti affermazioni sugli enzimi è falsa?

Sono caratterizzati da un’altissima specificità, che li differenzia dai catalizzatori inorganici

Come i catalizzatori inorganici non discriminano i diversi tipi di substrato

Agiscono da catalizzatori aumentando la velocità delle reazioni biochimiche

Si ritrovano inalterati alla fine della reazione biochimica

52 Quali necessità delle reazioni biochimiche sono risolte dai viventi con l’impiego degli enzimi?

53 Qual è la differenza tra un inibitore competitivo e uno non competitivo?

54 Che tipi di legame con l’enzima formano gli inibitori irreversibili e quelli reversibili?

55 Quali caratteristiche strutturali deve possedere un inibitore competitivo? Per quale motivo?

56 L’inibizione competitiva: è irreversibile

è data da molecole che legano il sito attivo

è data da molecole molto diverse dal substrato richiede la formazione di legami covalenti

57 Gli inibitori non competitivi si legano: solo al sito attivo dell’enzima, impedendo il legame del substrato

a un sito allosterico dell’enzima, in presenza o in assenza del substrato

solo al complesso enzima-substrato all’enzima e ne bloccano permanentemente l’attività catalitica

58 Che cosa si intende per adattamento indotto?

59 Quale caratteristica della curva cinetica permette di riconoscere un enzima allosterico?

3.6 Le vitamine

60 Vero o falso?

a. Alcune vitamine sono precursori di cofattori metallici V F

b. Sia il NAD sia il FAD esistono in forma ridotta e in forma ossidata V F

c. Un composto può essere una vitamina o meno a seconda della specie considerata V F

d. Le vitamine devono essere assunte con la dieta in grandi dosi perché poco assimilabili V F

61 I coenzimi sono: molecole di natura proteica molecole di natura glicosidica molecole organiche derivate da vitamine ioni metallici bivalenti

62 Le vitamine: sono composti chimicamente molto simili si dividono in idrosolubili e liposolubili sono dotate di valore energetico e nutrizionale sono pericolose se assunte in basse quantità ma non in eccesso

63 Guarda lo schema, identifica le vitamine liposolubili e idrosolubili e per ciascuna di esse indica almeno una fonte nutrizionale.

3.7 Gli acidi nucleici

64 Vero o falso?

a. Gli acidi nucleici si dividono in DNA e RNA V F

b. Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi V F

c. Il DNA contiene ribosio V F

d. DNA e RNA contengono le stesse basi puriniche ma non pirimidiniche V F

65 Quali sono le differenti unità di uno zucchero che possono essere presenti in un nucleotide?

66 In che cosa differiscono il DNA e l’RNA?

67 Che tipo di legami uniscono le basi azotate di due filamenti complementari del DNA?

68 Un nucleoside è formato da:

una base e uno zucchero esoso una base e il ribosio o il desossiribosio una base, un qualsiasi zucchero e un gruppo fosfato una base, il ribosio o il desossiribosio e un gruppo fosfato

69 Lo zucchero presente nella molecola del DNA è: glucosio ribosio desossiribosio saccarosio

70 Lo zucchero presente nell’RNA è il: desossiribosio glucosio ribosio fruttosio

71 I due filamenti di DNA sono uniti da legami a idrogeno tra: lo zucchero e l’acido fosforico lo zucchero e le basi azotate le basi azotate le basi azotate e l’acido fosforico

72 Nella molecola del DNA i due filamenti sono: identici complementari per quanto riguarda le basi azotate diversi per lo zucchero legati in modo covalente

73 Un nucleotide del DNA è costituito da: una base azotata, un gruppo amminico e uno zucchero a sei atomi di carbonio una base azotata, un gruppo fosfato e uno zucchero a cinque atomi di carbonio una base azotata, un gruppo fosfato e uno zucchero a sei atomi di carbonio una base azotata, un gruppo amminico e uno zucchero a cinque atomi di carbonio

U3 Competenze

81 INGLESE Draw an aldopentose and a ketotriose.

82 INGLESE Write the palmitic acid formula: what type of fatty acid is it? How many carbon atoms and unsaturations does it have?

83 INGLESE Draw the arginine and asparagine structural formula. What kind of amino acids are they?

84 PROBLEM SOLVING In un esperimento condotto in un laboratorio di biologia alcune molecole di DNA sono state estratte e completamente idrolizzate nei loro componenti nucleotidici. Questi ultimi sono stati analizzati e si è trovato che il numero di basi di adenina era lo stesso di quello della timina, mentre il numero delle citosine corrispondeva a quello delle guanine. Basandoti su questi risultati, quali conclusioni puoi trarre sulla struttura del DNA?

85 PROBLEM SOLVING In questa Unità hai studiato la struttura a elica di tre polimeri naturali: carboidrati, proteine e acidi nucleici. Per tutti e tre i polimeri metti a confronto:

a. i gruppi funzionali dei loro monomeri

b. i tipi di interazioni coinvolte

c. le proprietà e la funzione di ciascun polimero

86 PENSIERO CRITICO Quando prepariamo dei vegetali freschi per poi congelarli è consigliabile immergerli per pochi minuti in acqua bollente. Questo processo blocca ulteriori processi mediati da enzimi. Fornisci una spiegazione a livello molecolare del successo di questa tecnica.

74 Uno dei costituenti del DNA è: l’alanina il d-ribosio l’uracile la timina

75 Nei nucleotidi degli acidi nucleici il gruppo fosfato è legato a un atomo di: ossigeno azoto carbonio fosforo

76 In una doppia elica della molecola del DNA la quantità di timina è uguale alla quantità di: adenina uracile guanina citosina

77 Nell’RNA l’adenina è complementare: all’uracile alla citosina alla timina alla guanina

78 Scrivi le formule chimiche delle cinque basi azotate presenti negli acidi nucleici.

79 Disegna un nucleotide trifosfato contenente l’adenina come base azotata.

80 Interpreta il ruolo del legame a idrogeno nella struttura di:

a. un filamento singolo di DNA

b. una doppia elica

87 PENSIERO CRITICO Il reparto di cardiologia di un ospedale deve predisporre un opuscolo da distribuire ai pazienti sul regime alimentare da seguire dopo le dimissioni. Pensi che sia corretto suggerire l’uso dell’olio di oliva rispetto al burro? Motiva la tua scelta.

88 PENSIERO CRITICO Quando un alimento che contiene amido, come per esempio una patata bollita, è tenuto in bocca per un certo tempo, comincia ad assumere un sapore dolce anche se non abbiamo ingerito dello zucchero.

a. Spiega per quale motivo avviene questo fenomeno. b. Pensi che l’erba, che contiene soprattutto cellulosa, possa assumere in bocca lo stesso sapore dolce? Motiva la risposta.

89 PENSIERO CRITICO La chitina è il principale componente dell’esoscheletro degli insetti, dei granchi, e degli altri artropodi. È strutturalmente simile alla cellulosa con la sola differenza che uno dei gruppi ossidrilici della cellulosa è sostituito da un gruppo amminico acetilato. Dopo aver valutato l’influenza esercitata da questo gruppo sulle forze attrattive nella molecola della chitina, aiutandoti anche con una ricerca in Internet, analizzane il ruolo a livello dell’esoscheletro degli artropodi.

90 DIGITALE VMD (Visual Molecular Dynamics) è un programma che consente la visualizzazione, l’animazione e l’analisi di numerose strutture biomolecolari in 3D. È stato sviluppato da un gruppo di ricerca dell’Università dell’Illinois e del Beckman Institute ed è distribuito in modalità open source. Documentati sull’uso di questo programma e applicalo per visualizzare alcune proteine che sono riportate nel testo.

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Descrivi le principali funzioni delle classi di biomolecole usando le seguenti parole chiave: carboidrati • lipidi • proteine • vitamine • acidi nucleici • fonte di energia • funzione catalitica • ruolo strutturale • ruolo informazionale • comunicazione • regolazione • trasporto

2 Illustra cosa sia il legame glicosidico, facendo alcuni esempi e usando le seguenti parole chiave: monosaccaride • disaccaride • anomero • ossidrile • proiezione di Haworth

3 Spiega quali sono le strutture formate da fosfolipidi e glicolipidi, in riferimento alla loro funzione, usando le seguenti parole chiave: compartimentazione • micelle • proprietà anfifilica • liposoma • membrana cellulare • fluidità • acidi grassi insaturi

4 Descrivi la struttura di una proteina facendo riferimento ai diversi livelli di struttura, usando le seguenti parole chiave: amminoacido • legame peptidico • legame a idrogeno • α-elica • β-foglietto • folding • denaturazione • gruppo prostetico

5 Descrivi la struttura del DNA usando le seguenti parole chiave: polimero • nucleotide • nuceloside • purine • pirimidine • complementarietà • legame fosfodiesterico • legame a idrogeno

Prova a partire così

6 Qual è la differenza tra oli e grassi?

Gli oli e i grassi sono entrambi miscele di , ma differiscono nella composizione degli acidi grassi (i gruppi dei trigliceridi). Gli sono liquidi a temperatura ambiente e contengono principalmente trigliceridi . I , invece, sono solidi a temperatura ambiente e costituiti principalmente da trigliceridi

7 Che tipo di composti sono le proteine? Quali sono le unità strutturali di base da cui originano?

Le proteine sono costituite da semplici unità di base chiamate . Si tratta di piccole molecole organiche , cioè dotate di un gruppo e un gruppo . Ogni amminoacido si distingue per la specifica che può essere: , , o .

8 Come funziona il meccanismo di azione degli enzimi?

Gli enzimi sono catalizzatori biologici che esplicano la loro attività formando un complesso , processo che può essere spiegato dal modello dello . Il substrato si lega al ed essi cambiano conformazione per rendere le loro interazioni chimiche.

Organizza il discorso

9 Descrivi le diverse tipologie di carboidrati.

Prova a seguire questa scaletta:

Illustrazione della formula molecolare e del rapporto tra i diversi elementi

Classificazione in funzione della complessità strutturale

Classificazione dei monosaccaridi in base ai gruppi funzionali presenti

Illustrazione della differenza tra isomeri d e l

10 Descrivi la regolazione enzimatica

Prova a seguire questa scaletta:

Spiegazione della necessità della regolazione

Regolazione per compartimentazione

Illustrazione della differenza tra inibitori irreversibili e reversibili

Illustrazione della differenza tra inibitori competitivi e non competitivi

11 UN PASSO IN PIÙ Spiega la struttura del glucosio mettendo a confronto la rappresentazione tramite la proiezione di Fischer e quella di Haworth. Costruisci tu la scaletta.

Simula un colloquio d’esame

12 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

Il metabolismo

La variazione di energia libera di un sistema è la differenza tra l’energia libera Gf dello stato finale (i prodotti, in una reazione chimica) e l’energia libera Gi dello stato iniziale (i reagenti):

DG = Gf – Gi

Il metabolismo e la fotosintesi

4.1 Il metabolismo cellulare

All’interno di ogni cellula di un organismo vivente avviene simultaneamente e in maniera coordinata un numero incalcolabile di trasformazioni chimiche.

Il metabolismo è l’insieme delle vie metaboliche, ossia la sequenza di reazioni interconnesse che, a partire da una o più molecole di substrato (precursori), attraverso una serie di intermedi, producono uno o più prodotti finali (metaboliti).

Le reazioni metaboliche hanno alcune caratteristiche peculiari:

 sono veloci e plastiche, in modo che il metabolismo possa rispondere prontamente alle necessità dell’organismo e agli stimoli esterni imprevisti;

 la loro resa è massima, con minimi sprechi e ridotto accumulo di sostanze indesiderate e con il consumo della più piccola quantità di energia possibile;

 sono modulabili qualitativamente o quantitativamente, per far fronte alle variazioni ambientali;

 sono strettamente integrate, per garantire l’omeostasi cellulare.

L’evoluzione biologica ha permesso di soddisfare tutti i requisiti elencati e di risolvere il problema della regolazione del metabolismo. Ogni via metabolica utilizza infatti enzimi specifici e avviene in appropriati compartimenti della cellula. Per capire i processi metabolici è importante quindi avere chiaro come avviene il flusso energetico nella cellula.

Energia libera e metabolismo

Nelle reazioni chimiche (e biochimiche), per prevedere la spontaneità di un processo è conveniente impiegare il concetto di energia libera di Gibbs, G.

 Se ΔG ha un valore negativo, significa che il sistema ha rilasciato energia libera: il processo viene detto esoergonico ed è spontaneo (il che non implica che sia per forza esotermico, cioè che rilasci calore).

 Se ΔG ha un valore positivo, significa che il sistema ha acquisito energia libera: il processo viene detto endoergonico e non è spontaneo.

In effetti, si osserva che è possibile far avvenire una reazione endoergonica se essa viene accoppiata con un’altra sufficientemente esoergonica. L’accoppiamento avviene, per esempio, se due processi condividono una o più specie chimiche. In questo caso, la variazione di energia di Gibbs complessiva è la somma di quelle dei due singoli processi. Affinché si realizzi l’accoppiamento, non basta che i due processi avvengano in contemporanea: deve esistere un meccanismo tale per cui l’energia libera resa disponibile da un processo possa essere sfruttata per compiere l’altro. Bruciare la benzina all’esterno di un motore non produrrebbe alcun movimento; farlo, invece, all’interno della camera di combustione permette di muovere un’automobile.

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La complessità delle reazioni biochimiche deriva in gran parte proprio dalla necessità di accoppiare le reazioni chimiche in modo opportuno, allo scopo di ottenere energia libera da impiegare per i processi non spontanei. Oltre alla sintesi di molecole complesse, anche tutti i processi di trasmissione di segnali (come quelli che hanno luogo nel sistema nervoso), di trasporto attivo (cioè contro un gradiente di concentrazione, da regioni a concentrazione minore verso quelle a concentrazione maggiore, come avviene per la pompa sodio potassio) e di movimento (come quello dei flagelli batterici; 4.1 ) sono processi non spontanei, che richiedono molta energia libera disponibile per poter essere realizzati.

Il network metabolico cellulare

Le migliaia di reazioni chimiche necessarie per far funzionare una cellula o un organismo nel suo insieme sono collegate tra loro in catene o vie. Nelle vie metaboliche, il prodotto di una reazione attiva quella successiva fino ad arrivare al prodotto finale. Può capitare che substrato e prodotto di un percorso siano lo stesso tipo di molecola, in questo caso si parla di ciclo metabolico Con il termine catabolismo si indica l’insieme delle vie metaboliche in cui le molecole di nutrienti (come carboidrati o lipidi) sono demolite in sostanze più semplici (come CO2 o NH3), con la liberazione di energia. L’anabolismo comprende invece le vie metaboliche di sintesi, nelle quali da precursori semplici sono formate biomolecole più complesse, con dispendio di energia. L’insieme delle vie metaboliche, degradative e biosintetiche, costituisce una rete intricata nella quale molti metaboliti partecipano a più vie, fungendo da snodo tra esse. Un’occhiata d’insieme alla mappa metabolica di una cellula eucariotica ci permette di avere chiara la complessità di questa rete o network. In questo tipo di schematizzazione, ogni nodo rappresenta un metabolita, mentre ogni linea che congiunge due nodi rappresenta una reazione chimica che coinvolge quei metaboliti, formando una rete intricata di connessioni. I diversi colori indicano le diverse vie metaboliche e le ombreggiature grigie rappresentano i compartimenti cellulari in cui avvengono 4.2 .

1 μm TEM (falsi colori)

4.1 Le cellule dotate di uno o più flagelli, come Helicobacter pilori, richiedono energia per il suo movimento

cloroplasto

luce perossisoma

ATP e calore citoplasma

mitocondrio

4.2 Mappa delle principali vie metaboliche nelle cellule eucariotiche. Ogni linea è una reazione e ogni cerchio è un metabolita.

lisosoma/proteasoma apparato di Golgi apparato di Golgi plastide

nucleo reticolo endoplasmatico

mitocondrio

perossisoma
ribosoma

Acetil-CoA: il punto di snodo della respirazione cellulare

4.3 Nell’acetil-CoA il gruppo tiolico del coenzima A forma un legame tioestere con il gruppo carbonilico dell’acetile.

1. Come è legata la variazione di energia di Gibbs con la spontaneità di un processo?

2. Come avviene l’accoppiamento tra reazioni chimiche?

3. Che cosa si intende per network metabolico?

4. In quali vie metaboliche è coinvolto l’acetil-CoA?

4.4 Le vie cataboliche di carboidrati, lipidi e proteine convergono nell’acetil-CoA.

Il ruolo dell’acetil-Coenzima A

Nelle vie cataboliche, i carboidrati, i trigliceridi e le proteine sono “smontati” e trasformati nel gruppo acetilico (COCH3). Questo interagisce con un importante coenzima (in aggiunta a quelli già visti nell’Unità 3), il coenzima A (CoA). La molecola di CoA contiene una adenosina e un “braccio” che deriva dalla vitamina B5 e termina con un gruppo SH. Quest’ultimo forma un legame tioestere con il gruppo acetilico a dare l’acetil-Coenzima A (acetil-CoA) 4.3 .

5

Nelle cellule, l’acetil-CoA è un punto di snodo tra le vie di degradazione delle principali biomolecole e una via metabolica ciclica chiamata ciclo di Krebs. Come vedremo, l’insieme di queste vie metaboliche produce anche una serie di coenzimi ridotti che si riossidano e portano alla sintesi di ATP in un processo chiamato fosforilazione ossidativa

L’acetil-CoA è anche un intermedio fondamentale di molte vie anaboliche come le biosintesi di acidi grassi, amminoacidi e basi azotate. Vie cataboliche e anaboliche funzionano quindi in sinergia: le biomolecole, assunte con il cibo o mobilizzate dalle riserve endogene, sono degradate per fornire non solo energia, ma anche precursori per la sintesi di nuove biomolecole 4.4

degradazione delle proteine muscolari

reazioni anaboliche reazione cataboliche sintesi e degradazione del glicogeno * *

sintesi delle proteine NADH e FADH2

fosforilazione ossidativa ATP ciclo di Krebs CO2 acetil-CoA glucosio glicerolo e acidi grassi

sintesi dei lipidi

mobilizzazione e degradazione dei lipidi

Risposta breve
legame tioestere
derivato della vitamina B
adenosina
coenzima A (CoA)

4.2 Il ciclo dell’ATP

Tra le reazioni esoergoniche accoppiate a processi endoergonici, rivestono un ruolo predominante quelle che coinvolgono la molecola di adenosina trifosfato, o ATP, composta da uno zucchero (il ribosio), una base azotata (l’adenina) e tre gruppi fosfato 4.5 . Come abbiamo visto nell’Unità 3, si tratta quindi di un nucleotide.

legami fosfoanidridici

4.5 (a) Modello molecolare dell’ATP e (b) la struttura della sua molecola.

adenina adenosina

Quando uno dei legami anidridici viene rotto nella reazione di idrolisi, l’allontanamento delle cariche negative sprigiona una grande quantità di energia libera, cioè si ha un ∆ r G°´ fortemente negativo.

La reazione di idrolisi dell’ATP viene spesso scritta nella forma:

ATP ADP + Pi ∆rG°´ = 30,5 kJ/mol

dove Pi rappresenta un gruppo fosfato e l’ADP è l’adenosina difosfato

Un’altra reazione di idrolisi dell’ATP di grande importanza biologica conduce alla formazione di AMP e dello ione pirofosfato inorganico (P2O7 4– , PPi):

ATP AMP + PPi ∆rG°´ = 45 kJ/mol

Nelle cellule eucariote esistono due vie principali di sintesi dell’ATP:

 la fosforilazione a livello di substrato, nella quale si sfrutta una reazione in grado di fornire direttamente energia sufficiente per la sintesi di una molecola di ATP;

 la fosforilazione ossidativa, una serie di reazioni redox che liberano l’energia necessaria alla sintesi dell’ATP.

Gli organismi autotrofi che compiono la fotosintesi clorofilliana (le piante verdi e alcuni tipi di alghe e di batteri) sono in grado di sintetizzare ATP con un meccanismo di fotofosforilazione, simile a quello della fosforilazione ossidativa, ma con l’importante differenza che l’energia è ricavata direttamente dalla luce solare anziché da processi di degradazione del glucosio (come vedremo in seguito in questa Unità).

La cellula impiega l’ATP solo come sistema per rendere l’energia immediatamente disponibile, e non allo scopo di conservarla. Ne consegue che l’ATP viene continuamente consumato e prodotto in un ciclo ben regolato, noto come ciclo dell’ATP. Una cellula in piena attività può consumare e produrre fino a dieci milioni di molecole di ATP in un secondo.

Ricorda

Per una reazione chimica, solitamente, i valori di ΔG sono riportati come variazione di energia libera standard, ΔrG°, cioè la variazione di energia libera quando reagenti e prodotti si trovano in condizioni standard. Si usa invece ΔrG°΄ con l’apice per la variazione di energia libera standard nelle reazioni biochimiche.

1. Che ruolo ha l’ATP?

2. Quali sono i due meccanismi di sintesi dell’ATP negli eucarioti? Risposta breve

4.3 Il metabolismo dei carboidrati: una panoramica

Quasi tutti gli organismi eterotrofi ricavano gran parte dell’energia loro necessaria attraverso l’ossidazione dei carboidrati in presenza di ossigeno. Proprio grazie al loro elevato contenuto energetico e alla loro biodisponibilità (sono i costituenti principali del regno vegetale), i carboidrati rappresentano una fonte energetica molto importante anche per la nutrizione umana 4.6 : alcuni come l’amido della pasta e il glicogeno delle nostre riserve muscolari ed epatiche sono polisaccaridi; altri, invece, sono disaccaridi come il saccarosio e il lattosio. Durante la digestione o uno sforzo fisico, queste molecole sono degradate da enzimi specifici nei monosaccaridi che le costituiscono, principalmente glucosio, galattosio e fruttosio. Fruttosio e galattosio sono poi convertiti a loro volta in glucosio.

Nelle cellule il glucosio è ossidato per produrre energia. Se l’ossidazione è completa, il processo produce CO2 e H2O:

In questo caso, per ogni mole di glucosio ossidata si ha una ∆rG°´ pari a –2840 kJ/mol. Si tratta di un processo fortemente esoergonico che non avviene in un’unica reazione ma attraverso una serie di tappe intermedie, ciascuna catalizzata da uno o più enzimi specifici. Una volta ottenuto il glucosio, il processo può essere suddiviso nelle seguenti vie metaboliche.

 Glicolisi. La molecola di glucosio, con i suoi sei atomi di carbonio, viene degradata in due molecole di piruvato, ognuna contenente tre atomi di carbonio. Nel corso di questo processo sono prodotte due molecole di ATP e due molecole di NADH.

 Sintesi dell’acetil-CoA. Il piruvato reagisce con il coenzima A per formare l’acetil-CoA. Nel corso del processo, catalizzato dal complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi, è prodotta una molecola di NADH mentre viene eliminata una molecola di CO2.

 Ciclo di Krebs. Il gruppo acetile dell’acetil-CoA è ossidato completamente a CO2 e H2O. Nel corso di questo ciclo metabolico si sintetizza una molecola di ATP, oltre a tre molecole di NADH e una di FADH2.

 Fosforilazione ossidativa. Le molecole di NADH e di FADH2 ottenute nelle tappe precedenti sono ossidate a NAD+ e FAD producendo ATP. È in questo stadio che viene prodotta la maggior parte di ATP 4.7 .

ambiente extracellulare

membrana cellulare

citoplasma

membrana mitocondriale esterna

membrana mitocondriale interna matrice

spazio intermembrana

glucosio

piruvato piruvato glicolisi ciclo di Krebs

fosforilazione ossidativa

mitocondrio

4.6 Etichetta nutrizionale.
4.7 Sintesi di ATP da glucosio.
glucosio

Le ragioni di questo frazionamento sono essenzialmente due.

 Se l’ossidazione completa del glucosio avvenisse in un unico stadio sarebbe meno efficiente e riuscirebbe a recuperare una frazione minore dell’energia contenuta nei legami del glucosio. Molti degli stadi intermedi, infatti, servono proprio ad accoppiare termodinamicamente la degradazione di alcuni metaboliti con la sintesi di ATP.

 La presenza di diverse vie metaboliche permette di regolare finemente le varie tappe in modo da rispondere efficacemente alle necessità della cellula.

4.4 Il metabolismo del glicogeno

In generale, nel nostro organismo il glucosio può provenire dagli alimenti che ingeriamo o ancora dalla demolizione del glicogeno, il polisaccaride di riserva presente a livello di muscoli scheletrici e fegato, attraverso un processo noto come glicogenolisi.

La glicogenolisi è il processo di degradazione del glicogeno utile a mantenere costanti i livelli ematici di glucosio o a fornire glucosio durante uno sforzo fisico breve ma intenso.

Il glucosio costituisce il monosaccaride più comune nel nostro organismo. La sua concentrazione nel sangue, la glicemia, si aggira intorno ai 100 mg/dL (livello basale). In condizioni normali questo valore si mantiene costante nonostante il fatto che il nostro organismo consumi continuamente glucosio per produrre energia o ne assuma con il cibo. Infatti, anche se dopo i pasti si può osservare un leggero incremento dovuto all’ingestione di carboidrati (in genere non supera i 140 mg/dL), già dopo poche ore la glicemia torna al suo livello basale. La stabilità della concentrazione di glucosio nel sangue è necessaria per il buon funzionamento dell’organismo ed è mantenuta non solo grazie alla glicogenolisi, ma anche grazie al contributo di un processo anabolico chiamato glicogenesi (o glicogenosintesi).

La glicogenesi è il processo di sintesi del glicogeno utile a mantenere costanti i livelli ematici di glucosio grazie alla trasformazione del glucosio in eccesso in glicogeno epatico o muscolare.

Entrambe queste vie sono costituite da diverse reazioni enzimatiche regolate da due ormoni: l’insulina e il glucagone. L’insulina è un ormone proteico ipoglicemizzante che promuove l’abbassamento della glicemia inducendo la glicogenesi; il glucagone è invece un ormone proteico iperglicemizzante, che stimola il rilascio di glucosio nel sangue promuovendo la glicogenolisi 4.8 .

L’organismo utilizza il metabolismo del glicogeno come un conto corrente: quando il glucosio è in eccesso viene “depositato” nella riserva di glicogeno; quando il consumo di glucosio riduce la glicemia, allora il glicogeno viene degradato e il glucosio “ritirato” e impiegato per il fabbisogno energetico dell’organismo. Un’alterazione nel sistema di regolazione della concentrazione del glucosio nel sangue porta a malattie quali il diabete mellito. Il diabete mellito è di tipo I se l’alterazione è congenita, altrimenti se l’alterazione metabolica è indotta da uno stile di vita sbagliato (cattiva alimentazione e sedentarietà) si parla di diabete mellito di tipo II.

Risposta breve

1. Che tipo di reazione chimica conduce da glucosio a CO2 e acqua?

2. In quale fase del metabolismo dei carboidrati viene prodotta la maggior parte delle molecole di ATP?

pancreas

4.8 L’insulina e il glucagone regolano i livelli di glicemia.

insulina

fegato

glucosio glicogeno

aumento della glicemia (dopo i pasti)

stimolazione dell’assorbimento del glucosio nelle cellule

glucosiovaso sanguigno

fegato

glucosio glicogeno

riduzione della glicemia (digiuno) glicemia normale

pancreas

glucagone

Risposta breve

1. Che cosa indica la glicemia?

2. Quali sono gli ormoni che regolano il metabolismo del glucosio?

3. Qual è il ruolo dell’enzima ramificante?

4.9 L’inserimento di una ramificazione nella catena del glicogeno.

estremità non riducenti

La glicogenesi

La glicogenesi è un processo anabolico che richiede energia libera per poter avvenire. Come per quasi tutti i processi biochimici, tale energia è fornita dalla conversione di ATP in ADP e Pi Il primo stadio della glicogenesi consiste nella fosforilazione di una molecola di glucosio sul carbonio 6 da parte di una molecola di ATP, che viene quindi consumata nel processo trasformandosi in ADP. Successivamente, il gruppo fosfato è spostato sul carbonio 1, dando origine al glucosio 1-fosfato che reagisce con una molecola di uridintrifosfato (UTP, un nucleotide trifosfato simile all’ATP) per formare un complesso UDP-glucosio, liberando un gruppo difosfato (PPi). Il complesso UDP-glucosio è impiegato dall’enzima glicogeno sintasi per allungare di un’unità l’estremità non riducente di una catena di glicogeno, formando legami di tipo α-1,4 glicosidici. La glicogeno sintasi può solo catalizzare l’allungamento di una catena di glicogeno già esistente. Un altro enzima, la glicogenina, ha il compito di iniziare la catena unendo le prime unità di glucosio. L’enzima ramificante può utilizzare piccole catene di sei o sette residui glucosidici per creare punti di ramificazione nella catena lineare di glicogeno attraverso la formazione di legami α-1,6 glicosidici 4.9

Una struttura ramificata rende possibile una rapida degradazione del glicogeno: infatti, il processo può avvenire solo a partire dalle unità di glucosio che si trovano alle estremità non riducenti della catena. Pertanto, in un sistema ramificato è possibile che una stessa molecola di glicogeno venga degradata contemporaneamente a partire da diverse estremità.

enzima ramificante

4.10 La glicogenolisi. glucosio 1-fosfato

legame α-1,4

glicosidico

legame α-1,6 glicosidico

La glicogenolisi

Per ottenere glucosio a partire da glicogeno, il metabolismo non può percorrere la via di sintesi al contrario, perché la prima reazione della glicogenesi non è reversibile. È necessario, quindi, impiegare la via metabolica della glicogenolisi nella quale l’enzima glicogeno fosforilasi provvede a staccare una unità di glucosio, sotto forma di glucosio 1-fosfato, dall’estremità non riducente della molecola di glicogeno. Il glucosio 1-fosfato è poi convertito dall’enzima fosfomutasi in glucosio 6-fosfato, il quale avrà un diverso destino a seconda del tipo di cellula in cui avviene la glicogenolisi:

enzima deramificante

enzima deramificante

glicogeno glicogeno fosforilasi glicogenina glucosio

 nel muscolo scheletrico è impiegato direttamente nella glicolisi;  nel fegato è trasformato in glucosio e riversato nel circolo sanguigno. Infatti, mentre il glicogeno presente nel muscolo è una riserva locale che viene usata direttamente per produrre energia necessaria alla contrazione, quello presente nel fegato serve invece per equilibrare la glicemia.

La fosforilasi è capace di svolgere il suo compito solo se i legami tra le molecole di glucosio sono del tipo α-1,4. Quando incontra una ramificazione nella catena (cioè legami α-1,6) essa non può proseguire ed è necessario l’intervento dell’enzima deramificante, dotato di attività transferasica, per rimuoverla 4.10 .

4.

5 La glicolisi

La glicolisi è stata una delle prime vie metaboliche a essersi sviluppata nei procarioti, circa 3,5 miliardi di anni fa. Nel corso dell’evoluzione la glicolisi si è poi conservata pressoché intatta in quasi tutti gli organismi viventi, dai semplici procarioti fino agli esseri umani.

La glicolisi si svolge nel citoplasma e prevede dieci tappe enzimatiche durante le quali una molecola di glucosio è ossidata a due molecole di piruvato con formazione di ATP e NADH.

Il processo è anaerobico perché ogni tappa viene svolta senza il contributo dell’ossigeno e può essere schematizzato attraverso la seguente reazione globale:

glucosio + 2 ADP + 2 NAD+ + 2 Pi 2 piruvato + 2 ATP + 2 NADH + 2 H++ 2 H2O

Da un punto di vista energetico la glicolisi può essere suddivisa in due grandi fasi: la fase preparatoria (endoergonica) e la fase di produzione di energia (esoergonica) 4.11

4.11 Schema riassuntivo della glicolisi. glucosio

esochinasi fosfoglucosio isomerasi

glucosio 6-fosfato

fruttosio 6-fosfato

fosfofruttochinasi

fruttosio 1,6-bisfosfato

aldolasi

trioso fosfato isomerasi

diidrossiacetone fosfato

Fase di produzione di energia

gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi ATP ADP

Fase preparatoria

gliceraldeide (2) 3-fosfato

NAD + 2 Pi

NADH + H+

1,3-bisfosfoglicerato (2)

fosfoglicerato chinasi

3-fosfoglicerato (2)

fosfogliceromutasi

2-fosfoglicerato (2) enolasi

fosfoenolpiruvato (2)

piruvato (2) piruvato chinasi

4.12 La fase preparatoria della glicolisi.

Fase preparatoria

La fase preparatoria della glicolisi comprende le prime cinque tappe in cui:  la molecola di glucosio subisce due fosforilazioni successive e una trasformazione che conducono alla formazione di fruttosio 1,6-bisfosfato;  la molecola di fruttosio 1,6-bisfosfato viene divisa in due molecole a tre atomi di carbonio: la gliceraldeide 3-fosfato (G3P) e il diidrossiacetone fosfato;  la molecola di diidrossiacetone fosfato viene convertita in G3P, ottenendo la produzione di due molecole di G3P a partire da una di glucosio 4.12

glucosio

glucosio 6-fosfato

2 fosfoglucoisomerasi

Nel citoplasma, I’enzima esochinasi catalizza il trasferimento di un gruppo fosfato da una molecola di ATP a una molecola di glucosio producendo il glucosio 6-fosfato

L’enzima fosfoglucoisomerasi catalizza I’isomerizzazione del glucosio 6-fosfato a fruttosio 6-fosfato

fruttosio 6-fosfato

3 fosfofruttochinasi

fruttosio 1,6-bisfosfato

fruttosio bisfosfato aldolasi

trioso fosfato isomerasi

diidrossiacetone fosfato gliceraldeide 3-fosfato

L’enzima fosfofruttochinasi catalizza il trasferimento di un ulteriore gruppo fosfato da una molecola di ATP a una molecola di fruttosio 6-fosfato producendo fruttosio 1,6-bisfosfato

L’enzima aldolasi catalizza la trasformazione del fruttosio 1,6-bisfosfato (con sei atomi di carbonio) in diidrossiacetone fosfato e G3P, entrambi con tre atomi di carbonio

L’enzima trioso fosfato isomerasi catalizza la rapida conversione del diidrossiacetone fosfato in G3P

La fase preparatoria è un processo endoergonico nel quale l’energia è consumata per produrre un composto attivato, la G3P, che sarà impiegato nella fase successiva. In ognuna delle reazioni di fosforilazione, infatti, è consumata una molecola di ATP. Questa fase è simile all’avvio di un motore: c’è bisogno di impiegare un po’ di energia per metterlo in moto. Il controllo della glicolisi avviene proprio durante la fase preparatoria, a livello dell’enzima allosterico fosfofruttochinasi che catalizza la formazione del composto fruttosio 1,6-isfosfato. Questo enzima è regolato in base alle concentrazioni citoplasmatiche di ATP e di AMP, tra loro inversamente proporzionali poiché l’AMP è prodotto dall’idrolisi dell’ATP stesso. L’enzima è attivato in condizioni di carenza energetica, in cui aumenta la concentrazione di AMP nel citoplasma e diminuisce quella di ATP; è invece inibito in condizioni di abbondanza energetica, in cui è alta la concentrazione di ATP e bassa quella di AMP.

Fase di produzione di energia

Nella seconda fase della glicolisi viene prodotta energia in cinque tappe, sintetizzando una quantità di ATP che compensa e supera quella consumata nella fase preparatoria. In questa fase:

 le molecole di G3P sono convertite in intermedi ad alta energia, che cedono i propri gruppi fosfato all’ADP grazie a reazioni catalizzate da enzimi appartenenti alla classe delle chinasi;

 il prodotto finale è il piruvato, un composto a tre atomi di carbonio che in condizioni fisiologiche rappresenta la forma ionizzata dell’acido piruvico 4.13 .

La fase di produzione di energia avviene dopo che il glucosio è stato scisso in due molecole di G3P, pertanto il coefficiente 2 precede tutte le specie presenti nelle reazioni

(2) gliceraldeide 3-fosfato

(2) NAD+ (2) P

(2) NADH + (2) H+

gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi

(2) H C OH OPO3

(2) ADP

6

1,3-bisfosfoglicerato

(2) ATP fosfoglicerato chinasi

(2) HCOH 3-fosfoglicerato

(2) ADP (2) ATP piruvato chinasi fosfoglicerato mutasi enolasi

(2) HCOPO3 2 2-fosfoglicerato

(2) H2O

(2) C O PO3 2

fosfoenolpiruvato piruvato

7

L’enzima gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi svolge un duplice compito: trasferisce un idrogeno dalla G3P a una molecola di NAD+ , riducendola a NADH, e aggiunge un fosfato del citosol alla G3P ossidata per formare 1,3-bisfosfoglicerato Questo passaggio coinvolge entrambe le molecole di G3P prodotte nei passaggi 4 e 5

L’enzima fosfoglicerato chinasi catalizza il trasferimento di un gruppo fosfato da 1,3-bisfosfoglicerato a una molecola di ADP producendo ATP e 3-fosfoglicerato

8

9

L’enzima fosfoglicerato mutasi sposta il gruppo fosfato del 3-fosfoglicerato dal carbonio in posizione 3 al carbonio in posizione 2 per produrre 2-fosfoglicerato

L’enzima enolasi catalizza la rimozione di una molecola d’acqua dal 2-fosfoglicerato per produrre fosfoenolpiruvato

10

L’enzima piruvato chinasi catalizza il trasferimento di un gruppo fosfato dal fosfoenolpiruvato a una molecola di ADP per formare ATP e piruvato

4.13 La fase di produzione di energia della glicolisi.

La sintesi dell’ATP durante la glicolisi a opera delle chinasi prende il nome di fosforilazione a livello del substrato poiché il gruppo fosfato viene trasferito da una molecola ad alta energia (l’1,3-bisfosfoglicerato e il fosfoenlopiruvato) direttamente all’ADP, per formare ATP. In questa fase si ottengono quindi due molecole di ATP da ogni molecola di G3P. Poiché da una molecola di glucosio si ricavano due molecole di G3P, la produzione totale di energia è pari a quattro molecole di ATP. A queste vanno sottratte le due molecole consumate nella fase preparatoria per un totale, quindi, di due molecole di ATP prodotte per ogni molecola di glucosio consumata. Durante la fase di produzione di energia, oltre all’ATP, viene prodotto anche NADH, un coenzima che, in presenza di ossigeno, potrà poi essere sfruttato in altri processi per produrre ulteriore ATP.

Risposta breve

1. Quale molecola della glicolisi funge da inizio della fase di produzione di energia?

2. Quante molecole di piruvato sono prodotte per ogni molecola di glucosio avviata alla glicolisi?

4.14 Micrografia di un mitocondrio (azzurro) di una cellula muscolare.

4.15 Alcune proteine del complesso della piruvato deidrogenasi.

4.6 Il metabolismo aerobico del glucosio

Il piruvato, il prodotto finale della glicolisi, è un composto che presenta un contenuto energetico ancora molto alto. La sua ossidazione, se fatta avvenire nelle giuste condizioni, è in grado di produrre un numero di molecole di ATP più consistente rispetto a quelle ottenute dalla sola glicolisi. Pertanto, nel corso del tempo, alcuni organismi hanno sviluppato delle vie metaboliche in grado di estrarre questa energia tramite l’ossidazione completa della molecola di piruvato fino alla produzione di diossido di carbonio e acqua.

Per rendere possibile la degradazione completa del piruvato è necessaria la presenza di ossigeno. La sua molecola, infatti, è caratterizzata da un elevato potenziale di riduzione cioè da una elevata tendenza ad acquisire elettroni. È quindi un ottimo ossidante, in grado di accettare gli elettroni derivati dall’ossidazione degli zuccheri in maniera più efficiente rispetto ad altri possibili accettori (che vengono utilizzati da alcuni batteri, come il nitrato o il solfato).

L’ossidazione completa del piruvato a CO2 e H2O avviene nei mitocondri, gli organuli considerati le centrali energetiche della cellula. Ogni mitocondrio è costituito da una matrice mitocondriale, ricca di enzimi, circondata da un sistema di due membrane concentriche separate tra loro dallo spazio intermembrana 4.14 . La membrana esterna è permeabile alle piccole molecole e ricopre la membrana interna ripiegata a formare numerose creste. Quest’ultima è selettivamente permeabile. Come vedremo, questo aspetto è della massima importanza per la sintesi dell’ATP che descriveremo di seguito.

Il ciclo di Krebs

Per avviare l’ossidazione del piruvato, questo deve essere trasportato attivamente nella matrice mitocondriale attraverso una specifica proteina carrier collocata nella membrana mitocondriale interna. Giunto nella matrice, il piruvato diventa il substrato di un complesso multienzimatico (costituito da tre enzimi e cinque coenzimi) chiamato piruvato deidrogenasi 4.15 .

Il complesso della piruvato deidrogenasi è in grado di catalizzare la reazione di decarbossilazione ossidativa del piruvato, ossidandolo ad acetil-CoA e liberando CO2 e NADH.

Durante la reazione, il NAD+ ossida il piruvato riducendosi a NADH e contemporaneamente viene eliminato un atomo di carbonio sotto forma di CO2 (reazione di decarbossilazione). Il gruppo acetilico rimanente è trasferito sul coenzima A e si forma l’acetil-CoA:

piruvato + NAD+ + CoA

acetil-CoA + NADH + H+ + CO2

A questo punto, l’acetil-CoA può entrare in una complessa via metabolica chiamata ciclo di Krebs, dal nome dello scienziato Hans Krebs che fu uno dei primi a studiarla e descriverla nel 1937.

Questa via metabolica è anche detta ciclo dell’acido citrico, per la presenza di questo acido tricarbossilico fra i suoi metaboliti.

Il ciclo di Krebs coinvolge in totale nove reazioni 4.16 e il processo complessivo è il seguente:

acetil-CoA + GDP + Pi + 3 NAD+ + FAD + 2 H2O

CoA + 2 CO2 + 3 NADH + 3 H+ + FADH2 + GTP

250 nm TEM (falsi colori)

Il GTP prodotto cede subito all’ADP un gruppo fosfato e, sempre attraverso una fosforilazione a livello di substrato, si forma ATP. Inoltre, il ciclo di Krebs genera coenzimi ridotti ad alta energia, come il NADH e il FADH2, che verranno impiegati per la produzione di ATP nella successiva fase della fosforilazione ossidativa. La via ciclica di degradazione dell’acetil-CoA prevede otto tappe enzimatiche che potremmo così riassumere:

 l’ossalacetato (composto a quattro atomi di C) reagisce con il gruppo acetile dell’acetil-CoA (composto a due atomi di C) per produrre citrato (un acido tricarbossilico a sei atomi di C);

 a partire dal citrato, attraverso una serie di reazioni di ossidoriduzione, sono prodotte tre molecole di NADH (che si aggiungono a quella prodotta durante l’ossidazione del piruvato), una di FADH2 e una di GTP (convertita in ATP);

 nel corso del processo sono eliminati due atomi di carbonio, sotto forma di CO2, e vengono ripristinati sia il coenzima A sia l’ossalacetato, che possono quindi essere impiegati per un nuovo giro del ciclo.

CH3

CoA + NAD+ NADH

C=O COO piruvato

acetil-CoA piruvato deidrogenasi

H2O

NADH + H+

malato deidrogenasi

CH3 C S CoA O = malato COO CH2 COO HO CH

citrato sintetasi

C=O

CH2 COO

CoA + H+

HO C COO CH2 COO COO CH2 citrato

aconitasi

ossalacetato COO

HO C H

isocitrato CH2 COO COO H C COO

NAD+ NAD+ CO2 + NADH

isocitrato deidrogenasi

α-chetoglutarato

fumarasi

H2O

fumarato

CH CH COO COO = succinil-CoA

succinato

CH2

CH2 COO COO

FADH2 succinato deidrogenasi FAD GTP + CoA

CH2

CH2

C S CoA O = COO

succinil-CoA sintetasi GDP + Pi

C=O

CH2 COO COO CH2

NAD+ + CoA

α-chetoglutarato deidrogenasi

CO2 + NADH

4.16 Il ciclo di Krebs.

Nel complesso 4.17 , il ciclo di Krebs consente di ossidare gli atomi di carbonio dell’acetil-CoA (e quindi del piruvato) a CO2 e di produrre NADH e FADH2 che avranno un ruolo fondamentale nella produzione di ATP. Grazie a una fosforilazione a livello del substrato, viene prodotta anche una molecola di ATP (per conversione del GTP).

In base alle necessità metaboliche della cellula, gli intermedi del ciclo di Krebs possono essere impiegati come precursori di altre molecole organiche, per esempio gli amminoacidi. Il ciclo di Krebs ha un ruolo nel metabolismo sia energetico sia biosintetico ed è quindi detto anfibolico (sia catabolico sia anabolico). Considerato il suo ruolo centrale nel metabolismo, anche il ciclo di Krebs è regolato finemente. In generale, un eccesso di acetil-CoA attiva alcuni enzimi del ciclo stimolando il suo consumo, mentre un eccesso di NADH ne inibisce il funzionamento evitando l’accumularsi di prodotti non necessari e un eccessivo consumo di acetil-CoA.

La fosforilazione ossidativa

L’ultima via metabolica che conclude la lunga catena di degradazione del glucosio in presenza di ossigeno è la fosforilazione ossidativa.

La fosforilazione ossidativa è un processo metabolico mitocondriale grazie al quale i coenzimi NADH e FADH2 sono impiegati per produrre ATP.

Essa si compone di due processi strettamente correlati: la catena respiratoria e la catalisi rotazionale dell’ATP.

Durante la catena respiratoria, una serie di complessi proteici, localizzati nelle creste della membrana interna mitocondriale, formano una vera e propria catena di trasporto degli elettroni che libera l’energia immagazzinata nel NADH e nel FADH2 per utilizzarla nella sintesi mitocondriale dell’ATP.

Questo processo avviene secondo una successione di reazioni redox catalizzate a livello dei vari complessi, e può essere rappresentato come una scala in cui ogni gradino è un passaggio successivo. In ognuno dei passaggi, gli elettroni che inizialmente si trovavano sul NADH o sul FADH2 vengono ceduti a molecole che hanno per essi un’affinità via via maggiore (cioè molecole che hanno un potenziale di riduzione maggiore), chiamate trasportatori. Ogni volta che un trasportatore riceve uno o più elettroni si riduce per riossidarsi cedendoli al trasportatore successivo. L’ultimo gradino della scala è costituito dall’ossigeno, il quale, reagendo con gli ioni H+ presenti nell’ambiente circostante, forma acqua 4.18 .

4.18 Il passaggio di elettroni nella catena respiratoria. potenziale di riduzione

acetil-CoA (2 C)
ossalacetato (4 C)
4.17 Schema riassuntivo del ciclo di Krebs.

I trasportatori di elettroni della catena respiratoria sono di diversi tipi.

 Le flavoproteine sono proteine coniugate il cui gruppo prostetico è uno dei nucleotidi flavinici, FAD o FMN. Sono trasportatori in grado di legare reversibilmente due elettroni.

 Le proteine ferro-zolfo possiedono raggruppamenti atomici di ferro e zolfo (Fe-S). Sono trasportatori in grado di legare reversibilmente un elettrone alla volta.

 Il coenzima Q , anche chiamato ubichinone data la sua presenza ubiquitaria nell’organismo (cioè si trova ovunque), è un altro importante coenzima che, come il NAD+ e il FAD, è in grado di ridursi legando in modo reversibile due elettroni.

 I citocromi (cyt) sono proteine il cui gruppo prostetico è simile a quello dell’emoglobina poiché presenta uno ione ferro che può ridursi reversibilmente da Fe3+ a Fe2+ legando un elettrone alla volta.

 Le proteine contenenti ioni Cu presentano raggruppamenti atomici rame-rame o ferro-rame (CuA e CuB) che funzionano come i centri Fe-S legando reversibilmente elettroni.

Tutti questi trasportatori sono localizzati nella membrana mitocondriale interna e sono in genere organizzati in grandi complessi proteici:

 complesso I (NADH-coenzima Q ossidoreduttasi);

 complesso II (succinato-coenzima Q ossidoreduttasi);

 complesso III (coenzima Q-citocromo c ossidoreduttasi);

 complesso IV (citrocromo c ossidasi).

Completano il trasporto il coenzima Q e il citocromo c, che non fanno parte di nessun complesso ancorato alla membrana mitocondriale interna, ma diffondono liberamente nel suo spessore.

Il processo di trasporto può essere schematizzato come segue 4.19 :

 il NADH si riossida a NAD+ trasferendo i suoi elettroni al complesso I, costituito da una serie di proteine Fe-S e da un centro FMN attraverso cui “fluiscono” gli elettroni fino a raggiungere il coenzima Q ;

 il FADH2 non è un buon donatore di elettroni come il NADH e quindi, non potendo trasferire i suoi elettroni direttamente al complesso I, li trasferisce al complesso II e da qui ai trasportatori che lo costituiscono finché raggiungono anch’essi il coenzima Q ;

 il coenzima Q , ridotto dagli elettroni del complesso I o del complesso II, cede gli elettroni al complesso III che a sua volta li trasferisce sul citocromo c;

 dal citocromo c gli elettroni passano sul complesso IV, costituito da diversi citocromi e centri Cu. Questo a sua volta cede gli elettroni a una molecola di ossigeno che viene ridotta per formare acqua, reagendo con ioni H+

mitocondriale interna

4.19 L’organizzazione della catena respiratoria.

La catena respiratoria

4.20 Complessi coinvolti nel processo di fosforilazione ossidativa.

4.21 Il meccanismo di chemiosmosi è analogo a quello di una pompa che solleva acqua (gli ioni H+) e la fa ricadere su una ruota a pale (l’ATP sintasi).

La maggior parte delle ossidoriduzioni, responsabili del trasporto di elettroni lungo la catena respiratoria, libera energia sufficiente per permettere il pompaggio di protoni dalla matrice verso lo spazio intermembrana. In particolare, il trasporto attivo di ioni H+ avviene a livello dei complessi I (4 H+), III (4 H+) e IV (2 H+), mentre il complesso II non libera energia sufficiente per questo scopo. Quindi l’ossidazione di un NADH determina il trasporto attivo di dieci protoni, mentre il trasferimento di due elettroni del FADH2 pompa attivamente solo sei protoni 4.20 .

4.22 Struttura dell’ATP sintasi.

Il gradiente di concentrazione di ioni H+ che si viene a creare a cavallo della membrana mitocondriale interna è sia chimico (generato dalla diversa concentrazione di ioni H+ ai due lati della membrana), sia elettrico (dovuto alla diversa distribuzione di carica tra spazio intermembrana e matrice). Si tratta quindi di gradiente elettrochimico 4.21

Secondo la teoria chemiosmotica, formulata dal biochimico britannico Peter Mitchell nel 1961, il gradiente elettrochimico generato dalla catena respiratoria ai due lati della membrana mitocondriale interna rappresenta la forza protonmotrice per la sintesi di ATP.

Questa teoria è stata confermata dalla definizione della funzione e della struttura del complesso enzimatico dell’ATP sintasi (o complesso V) responsabile della sintesi mitocondriale di ATP e localizzato a livello della membrana mitocondriale interna.

Il gradiente elettrochimico che si crea tra lo spazio intermembrana, dove i protoni sono in concentrazione maggiore, e la matrice, dove sono in concentrazione minore, fa sì che essi tendano a diffondere nuovamente verso la matrice. Tuttavia, la membrana interna è impermeabile alle specie ioniche e l’unico modo per i protoni di rientrare è passare attraverso il canale dell’ATP sintasi tramite un meccanismo noto come chemiosmosi. Durante il passaggio degli ioni H+ secondo gradiente il complesso enzimatico cambia conformazione e questo lo induce a legare un gruppo fosfato all’ADP, per formare ATP. Più in dettaglio, la sintesi dell’ATP avviene per catalisi rotazionale: il movimento e i cambiamenti conformazionali di una parte dell’ATP sintasi (rotore) permettono la funzione catalitica della parte associata (statore). Il dominio proteico transmembrana dell’ATP sintasi (chiamato Fo) forma il canale per il transito degli ioni H+ e rappresenta il rotore del sistema, mentre il dominio che sporge nella matrice (F1) è costituito dalle subunità catalitiche e rappresenta lo statore 4.22 .

La catalisi rotazionale dell’ATP
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Il bilancio quantitativo di questo processo di sintesi di ATP a partire da NADH e FADH2 porta alla formazione di:

 2,5 molecole di ATP per molecola di NADH ossidato a livello della catena respiratoria;

 1,5 molecole di ATP per molecola di FADH2 ossidato a livello della catena respiratoria.

La minore quantità di ATP prodotta da FADH2 è dovuta al fatto che questo coenzima “salta” il complesso I, cedendo i suoi elettroni al complesso II. Il meccanismo della chemiosmosi è indispensabile nel metabolismo aerobico, anche se a volte può essere utile farne a meno. È questo il caso degli animali che vanno in letargo, i quali sono spesso caratterizzati dalla presenza di un particolare tessuto adiposo detto tessuto adiposo bruno. Al contrario del tessuto adiposo bianco, il più comune, lo scopo del tessuto bruno non è di immagazzinare energia chimica sotto forma di trigliceridi ma di produrre calore in risposta al freddo (termogenesi). Nelle sue cellule, infatti, l’attività della catena respiratoria è disaccoppiata dalla sintesi di ATP; ciò significa che il gradiente elettrochimico non è sfruttato per produrre ATP ma per produrre calore. Questa funzione è molto importante per il riscaldamento corporeo durante un lungo letargo. Il tessuto adiposo bruno è presente anche negli esseri umani ma in quantità decisamente inferiori; la sua funzione è ancora oggetto di studio negli adulti mentre nei neonati esso viene impiegato per scaldarsi 4.23 .

4.7 Il metabolismo anaerobico del glucosio

Il metabolismo di alcuni microrganismi, detti organismi anaerobi, funziona basandosi solo sull’energia prodotta tramite la glicolisi, senza utilizzare l’ossigeno. La sintesi di ATP in questo caso si ottiene per fosforilazione a livello del substrato senza che ci sia un accettore terminale di elettroni. Infatti, il NADH prodotto nella glicolisi è un trasportatore di elettroni che, in assenza di ossigeno, viene usato per ridurre il piruvato nel citoplasma.

Si chiamano fermentazioni le trasformazioni anaerobiche dei carboidrati (o di altre molecole organiche) per ottenere energia.

Tra le fermentazioni sono particolarmente importanti la fermentazione alcolica, a opera di Saccharomyces cerevisiae, il comune lievito impiegato per la lievitazione del pane e la produzione di bevande alcoliche, e la fermentazione lattica, a opera dei batteri lattici impiegati per la produzione di yogurt e formaggi 4.24 .

4.23 Il termogramma di un neonato evidenzia la localizzazione del tessuto adiposo bruno molto attivo nella produzione di calore.

Risposta breve

1. In quale parte della cellula eucariotica avviene il ciclo di Krebs?

2. Quali tipologie di trasportatori di elettroni prendono parte alla catena respiratoria?

3. In che cosa consiste la catalisi rotazionale?

4.24 (a) Cellule di Saccharomyces cerevisiae e di (b) Lactobacillus casei.

4.25 Durante la vinificazione la fermentazione alcolica produce etanolo.

Risposta breve

1. In quali condizioni si verificano le fermentazioni?

2. Quali sono i prodotti della fermentazione lattica?

La fermentazione alcolica

In assenza di ossigeno, o in presenza di elevate concentrazioni di zucchero, il lievito Saccharomyces cerevisiae converte il piruvato proveniente dalla glicolisi in etanolo e diossido di carbonio mediante un processo noto complessivamente come fermentazione alcolica:  il piruvato è decarbossilato ad acetaldeide liberando diossido di carbonio;  l’acetaldeide è ridotta a etanolo con contemporanea ossidazione del NADH formato durante la glicolisi, rigenerando NAD+ che torna a essere disponibile per il processo della glicolisi.

decarbossilasi

piruvato

deidrogenasi acetaldeide

etanolo

L’ulteriore ossidazione dell’etanolo potrebbe essere sfruttata per liberare ancora più energia. Tuttavia, durante la fermentazione il lievito si limita a utilizzare le molecole di ATP prodotte nella glicolisi, eventualmente aumentando il consumo di glucosio per soddisfare il proprio fabbisogno energetico. L’etanolo, inoltre, risulta tossico per Saccharomyces cerevisiae, e la fermentazione alcolica si arresta dopo che la sua concentrazione supera il 14-15% in volume della miscela di reazione. È per questo motivo che non è possibile ottenere una bevanda alcolica che superi questa gradazione per semplice fermentazione 4.25

La fermentazione lattica

Nella fermentazione lattica il piruvato è ridotto a lattato a opera dell’enzima lattato deidrogenasi che riossida il NADH formatosi durante la glicolisi:

= piruvato

deidrogenasi

Anche in questo tipo di fermentazione il prodotto finale, il lattato, contiene ancora energia che però non può essere sfruttata in assenza di ossigeno. L’acido lattico è responsabile del sapore acidulo dello yogurt. La fermentazione lattica avviene anche nei muscoli scheletrici se sottoposti a sforzo breve e intenso. In tali condizioni, infatti, il rapido consumo di glucosio richiede una quantità di ossigeno maggiore di quella garantita dalla circolazione sanguigna; diviene perciò impossibile ossidare completamente il glucosio. In difetto di ossigeno, la degradazione conduce allora alla formazione di lattato, il quale è recuperato dal fegato e trasformato nuovamente in glucosio. Contrariamente a una diffusa opinione, l’accumulo di lattato (acido lattico) nei muscoli non è il responsabile del dolore muscolare che si avverte nei giorni successivi a un intenso sforzo fisico. La ragione di questi sintomi non è ancora del tutto nota, anche se molti scienziati ritengono che sia dovuta al danneggiamento delle cellule del tessuto muscolare con il rilascio di elevate quantità di metaboliti che provocano una risposta infiammatoria.

4.8 La resa energetica complessiva del metabolismo del glucosio

L’insieme dei passaggi di degradazione del glucosio può condurre in media alla sintesi di 32 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio ossidata Tab. 4.1 .

Tabella 4.1 Il bilancio energetico dell’ossidazione del glucosio

Processo

Glicolisi (glucosio 2 piruvato)

Trasportatori di elettroni

Fosforilazione ossidativa

Fosforilazione a livello del substrato

Questo valore corrisponde a circa il 40% dell’energia conservata nei legami del glucosio in condizioni standard. La percentuale può apparire bassa, ma si deve considerare che, come sappiamo dalla termodinamica, ogni passaggio richiede che una porzione dell’energia venga dispersa sotto forma di calore. Il rendimento complessivo è comunque ben al di sopra di molte delle macchine artificiali: un motore a scoppio, per esempio, ha un rendimento nell’uso reale ben inferiore al 30% 4.26 .

PROBLEMA GUIDATO

Determina qual è la massima energia libera ottenibile dall’ossidazione completa di 18 g di glucosio.

Utilizza le conoscenze

Da ogni mole di glucosio si possono ottenere complessivamente un massimo di 32 moli di ATP. L’idrolisi dell’ATP ha ∆rG0’ = –30,5 kJ/mol. La massa molare del glucosio è

Mglucosio = 180 g/mol

Progetta la strategia

Il numero di moli di glucosio è:

n m M = glucosio glucosio

Il numero di moli di ATP ottenibili è:

nATP = 32 · nglucosio

L’energia libera complessiva sarà quindi:

∆rG = nATP · nglucosio

Applica la strategia

Il numero di moli di glucosio contenute in 180 g è:

n = 18 g 180 g/mol = 0,1 mol glucosio

Il numero di moli di ATP:

nATP = 32 · 0,1 mol = 3,2 mol

L’energia libera complessiva è quindi:

∆rG = 3,2 mol · (–30,5 kJ/mol) = 97,6 kJ

Rifletti sul risultato

Una lattina di una tipica bevanda gassata può contenere circa 30 g di zuccheri, trasformabili in glucosio. L’energia libera totale corrisponde quindi a ben 195 kJ pari a 47 kcal.

4.26 Il sistema interno di combustione di un motore a scoppio.

Risposta breve

1. Quante molecole di ATP sono prodotte durante l’ossidazione completa di una molecola di glucosio?

2. Perché il meccanismo aerobio è più efficiente di quello anaerobio?

4.27 La via del pentosio fosfato.

Confrontando la resa energetica calcolata come numero di molecole di ATP prodotte per molecola di glucosio consumato, è evidente che la resa energetica del metabolismo aerobico è molto più elevata di quella del metabolismo anaerobico. In assenza di ossigeno, infatti, il ciclo di Krebs non avviene e la catena di trasporto degli elettroni non funziona perché i trasportatori di elettroni NAD+ e FAD non possono scaricare gli elettroni sull’accettore finale. Nonostante sia energeticamente sfavorevole, alcuni organismi usano le fermentazioni perché si sono adattati a vivere in ambienti senza ossigeno.

4.9 Altre vie metaboliche del glucosio

Lo scheletro carbonioso dei carboidrati può essere impiegato anche per la sintesi di molecole necessarie per il funzionamento della cellula, come il ribosio che fa parte dei nucleotidi. In questo caso, una molecola di glucosio 6-fosfato entra nella via del pentosio fosfato invece che nella glicolisi. In questo processo si forma un pentosio e NADPH, ma non viene né consumata né prodotta alcuna molecola di ATP.

Questo processo avviene in genere nel citoplasma delle cellule in attiva replicazione (cellule del midollo osseo o cellule tumorali) o nelle cellule dove è particolarmente attiva la sintesi dei lipidi (epatociti, adipociti e cellule della ghiandola mammaria).

La via del pentosio fosfato è una via metabolica citoplasmatica che produce il ribosio per la sintesi dei nucleotidi e il NADPH per le sintesi dei lipidi e per i meccanismi di rimozione delle specie radicaliche.

Questa via metabolica può essere suddivisa in due fasi 4.27

 Nella fase ossidativa avviene l’ossidazione del glucosio 6-fosfato per produrre il 6-fosfogluconato e NADPH. Successivamente, per decarbossilazione, si forma una molecola a cinque atomi di carbonio, il ribulosio 5-fosfato.

 Nella fase non ossidativa il ribulosio 5-fosfato è convertito in ribosio 5-fosfato, substrato per la sintesi dei nucleotidi; nel caso in cui il ribulosio 5-fosfato prodotto sia in eccesso, ulteriori vie metaboliche lo convertono nuovamente in intermedi della glicolisi, evitandone l’accumulo.

Uno dei prodotti principali di questa via metabolica è il NADPH, da non confondere con il NADH poiché queste molecole hanno un diverso ruolo biologico. Nelle cellule il NAD+ è mille volte più abbondante del NADH, mentre il NADPH è dieci volte più abbondante rispetto al NADP+. Questo perché il NAD+ è impiegato nei processi ossidativi, come la glicolisi. Il NADPH, al contrario, tenderà a donare elettroni e verrà impiegato nei processi di riduzione, ovvero nei processi anabolici, come la sintesi di acidi grassi. Inoltre, essendo una specie riducente, il NADPH è utile come antiossidante, perché rende inattive le specie reattive dell’ossigeno.

6-fosfato 6-fosfogluconato acidi grassi, steroli, ecc.

transchetolasi, transaldolasi Fase non ossidativa Fase ossidativa

nucleotidi, coenzimi, DNA, RNA precursori

5-fosfato

5-fosfato

2

NADP+ NADPH NADP+ NADPH

4.10 Il metabolismo di lipidi e proteine: una panoramica

Oltre ai carboidrati, esistono anche altri composti che vengono impiegati a questo scopo. Infatti, fra il 30% e il 40% dell’energia richiesta giornalmente da un essere umano adulto sano e in forma è fornita dai trigliceridi della dieta.

Il metabolismo dei lipidi

Una volta assunti con la dieta, i trigliceridi sono trasportati attraverso il sistema linfatico dalle cellule intestinali nel circolo ematico sotto forma di lipoproteine, complessi costituiti da lipidi e proteine, solubili nel sangue (chilomicroni).

Da qui, i trigliceridi sono avviati nei vari tessuti per produrre energia (muscoli scheletrici e muscolo cardiaco), mentre l’eccesso raggiunge il tessuto adiposo e il fegato 4.28 . Gli adipociti accumulano riserve energetiche di lipidi sotto forma di trigliceridi 4.29 , mentre il fegato immagazzina trigliceridi e colesterolo in eccesso sotto forma di altre classi di lipoproteine reimmesse poi nel circolo sanguigno a disposizione dei diversi tessuti.

Le riserve di glicogeno in un essere umano adulto ammontano a circa 600 kcal, mentre quelle di lipidi possono superare le 100 000 kcal. Rispetto al glicogeno, i trigliceridi sono un modo molto più efficiente di accumulare energia per due motivi.

 La loro natura idrofoba fa sì che le goccioline di grasso presenti nel tessuto adiposo siano estremamente compatte, senza che alcuna parte del loro volume sia “sprecato” per molecole di acqua che non hanno alcun contenuto energetico (al contrario, le riserve polisaccaridiche contengono sempre acqua di solvatazione).

 Il loro grado di riduzione chimica è maggiore rispetto ai carboidrati; di conseguenza, l’ossidazione della catena idrocarburica degli acidi grassi a formare CO2 comporta il trasferimento di un maggior numero di elettroni e quindi una maggior energia che può essere sfruttata per produrre ATP.

4.28 Uno schema del metabolismo lipidico.
4.29 Sezione di un adipocita: in giallo è evidenziata la goccia lipidica, circondata da un sottile strato di citoplasma (in fucsia) che contiene il nucleo (in arancio).
50 μm TEM (falsi colori)

Un essere umano adulto peserebbe in media 40 kg in più se le riserve energetiche accumulate sotto forma di lipidi fossero invece accumulate sotto forma di glicogeno. Le riserve di glicogeno sono tuttavia essenziali poiché il nostro organismo può utilizzarle molto rapidamente, per esempio rendendole disponibili per uno sforzo improvviso. Le riserve contenute nel tessuto adiposo, invece, seppur cospicue e più energetiche, sono più lente da mobilizzare. Inoltre, il cervello non è in grado di metabolizzare i lipidi per produrre energia, dato che la barriera ematoencefalica è permeabile solo al glucosio.

In caso di necessità, per esempio un digiuno prolungato o un’attività fisica sostenuta come una maratona, l’organismo ricorre alle riserve energetiche conservate negli adipociti stimolando il rilascio dei trigliceridi e indirizzandoli ai tessuti in grado di degradarli per generare ATP (muscolo scheletrico e cardiaco). Quando un segnale di carenza energetica raggiunge l’adipocita, si avvia un processo che può essere suddiviso in tre tappe.

1. L’idrolisi delle molecole di trigliceridi in glicerolo e acidi grassi. Questa tappa è nota anche come lipolisi. Il glicerolo può raggiungere il fegato, mentre gli acidi grassi raggiungono i tessuti bersaglio, come i muscoli.

2. Il glicerolo è ossidato a diidrossiacetone fosfato ed entra nella glicolisi.

3. Nei tessuti bersaglio avviene l’ossidazione degli acidi grassi. Questa tappa è nota anche come β-ossidazione.

Se ingeriamo carboidrati in eccesso, questi sono convertiti in minima parte in glicogeno, e per la maggior parte in acidi grassi nel fegato e nel tessuto adiposo, per poi accumularsi sotto forma di trigliceridi. La sintesi degli acidi grassi, infatti, è attivata da un alto livello di zuccheri o di ATP nell’organismo, segnali di una grande disponibilità energetica 4.30

Il metabolismo dei carboidrati e quello dei lipidi sono fortemente interconnessi grazie ad alcuni intermedi comuni nella sintesi e nella degradazione di queste biomolecole. Questi intermedi, a seconda delle necessità dell’organismo, possono confluire da una via metabolica all’altra e viceversa. Il principale punto di contatto tra le due vie metaboliche è costituito dall’acetil-CoA, che è il punto di partenza per la sintesi degli acidi grassi o lipogenesi. Le molecole di acido grasso possono poi essere sottoposte a esterificazione per formare trigliceridi o fosfolipidi a seconda delle necessità metaboliche 4.31 . Un altro lipide importante la cui sintesi dipende dell’acetil-CoA è il colesterolo. Il 30% circa del colesterolo nel nostro organismo è introdotto con l’alimentazione, mentre la restante quota è sintetizzata nel fegato. Il colesterolo è utilizzato per avviare la sintesi di nuove membrane o come precursore di acidi biliari, ormoni steroidei e della vitamina D. Una dieta sbilanciata, ricca di carboidrati, può stimolare la sintesi epatica del colesterolo.

4.31 Un eccessivo apporto di lipidi ne provoca l’accumulo nel fegato (steatosi) con la trasformazione delle cellule epatiche in steatosiche. 80 μm LM

4.30 Un’alimentazione ricca di zuccheri e lipidi, assieme a uno stile di vita sedentario, induce la sintesi di altri lipidi.

Il metabolismo delle proteine

Per poter essere assorbite, le proteine che assumiamo con il cibo devono prima essere degradate. Questo processo inizia nello stomaco, dove l’ambiente estremamente acido (il pH è intorno a 1-2) e la presenza dell’enzima pepsina (il cui nome deriva dal greco pépsis, che significa proprio digestione) permettono di frazionare le lunghe catene proteiche in porzioni più piccole, gli oligopeptidi. Queste molecole subiscono un ulteriore processo di degradazione nell’intestino, dove il pH è invece basico (intorno a 7-9), grazie alla presenza di enzimi quali tripsina e chimotripsina.

Il prodotto finale della degradazione proteica sono i singoli amminoacidi che, dopo essere stati assorbiti dai villi intestinali, vengono riversati nel circolo sanguigno. Una volta entrati in circolo, possono servire per produrre nuove proteine o andare incontro ad altri destini.

Esistono vari sistemi di trasporto che si occupano di trasferire gli amminoacidi nel circolo sanguigno in base alle dimensioni, alla carica o all’acidità. Il sistema di trasporto per un amminoacido piccolo e privo di carica come la glicina, per esempio, è diverso da quello per un amminoacido basico come la lisina. L’assorbimento di un amminoacido può essere influenzato da quello di un altro, per esempio alti livelli di leucina riducono l’assorbimento di valina e isoleucina. Nei lattanti, la cui mucosa intestinale è più permeabile, è possibile l’assorbimento di proteine completamente o parzialmente non degradate. Questo fenomeno può portare allo sviluppo di allergie alimentari 4.32 .

Sintesi e turnover delle proteine

Oltre a digerire le proteine che assumiamo con la dieta, digeriamo anche le proteine che compongono i nostri tessuti e quelle che svolgono altre funzioni, quali gli enzimi, sottoponendole a un continuo ricambio. In ogni istante alcune molecole proteiche vengono degradate nei loro componenti amminoacidici, con un processo del tutto analogo a quello che si svolge per la digestione delle proteine degli alimenti. La vita media di una proteina dipende sia dal tipo di molecola, sia dalle condizioni e dalle necessità dell’organismo.

La velocità con cui una proteina è sintetizzata e poi degradata è detta indice di ricambio della proteina o turnover

Tale tempo può essere molto lungo, come nel caso del collagene (fino a tre anni) o molto breve, come nel caso di alcuni enzimi e ormoni. La differenza di durata è dovuta al ruolo svolto da queste proteine: mentre il collagene è una proteina strutturale che forma l’impalcatura dei tessuti molti enzimi sono invece necessari solamente per un periodo molto breve (si parla di ore o addirittura minuti) e vengono rapidamente eliminati quando non servono più.

Gli amminoacidi derivanti dalla degradazione delle proteine vengono in parte riutilizzati in nuovi polipeptidi, in parte trasformati negli intermedi necessari alla sintesi di altre sostanze. Un’ulteriore frazione è degradata fino a produrre prodotti di scarto eliminati dall’organismo, come l’urea.

Per produrre le proteine, il nostro organismo si procura i venti amminoacidi necessari in quantità sufficienti a sopperire alle necessità metaboliche. Quando ingeriamo proteine con il cibo, però, il miscuglio di amminoacidi che otteniamo dall’alimentazione può non avere la composizione di cui abbiamo bisogno per la sintesi delle nostre proteine.

Il metabolismo sopperisce a questo problema sintetizzando gli amminoacidi dei quali vi è scarsità in quel particolare momento.

4.32 Alcune allergie alimentari, come quella alle fragole, possono essere determinate dall’assorbimento di peptidi nei primi mesi di vita.

4.33 La gluconeogenesi a confronto con la glicolisi.

Risposta breve

1. Dove operano gli enzimi pepsina, chimotripsina e tripsina?

2. Perché i trigliceridi costituiscono la riserva energetica più importante dell’organismo?

3. Che cosa si intende per turnover di una proteina?

I meccanismi di sintesi all’interno del corpo umano, tuttavia, non sono in grado di produrre alcuni amminoacidi necessari, che vengono per questo detti amminoacidi essenziali: fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano, valina. Tali amminoacidi devono essere obbligatoriamente assunti con la dieta e la loro mancanza può provocare gravi disfunzioni metaboliche.

Per ovviare, invece, a un’improvvisa carenza di glucosio nel flusso ematico, composti non glucidici, tra cui gli amminoacidi, possono essere convertiti in glucosio attraverso un processo metabolico, detto gluconeogenesi. La gluconeogenesi è, a grandi linee, il processo contrario alla glicolisi ma con alcune importanti differenze. Infatti, nella glicolisi ci sono tre equilibri altamente esoergonici. Per poter spostare questi equilibri nella direzione opposta, sarebbe necessario fornire l’energia rilasciata quando la reazione procede in senso inverso. Pertanto, se la gluconeogenesi dovesse semplicemente verificarsi al contrario rispetto alla glicolisi, il processo richiederebbe troppa energia per essere utile. Per ovviare a questo problema, nella gluconeogenesi gli enzimi glicolitici esochinasi, fosfofruttochinasi e piruvato chinasi sono sostituiti da altri, in tre reazioni denominate reazioni di deviazione 4.33 . Negli animali superiori la gluconeogenesi avviene nel fegato, nella corticale del rene e nelle cellule epiteliali dell’intestino tenue, gli enterociti. Il fegato, di dimensioni maggiori, produce circa il 90% di tutto il glucosio necessario a mantenere la corretta concentrazione di glucosio nel sangue. Il ruolo del rene nella produzione di glucosio diviene più importante durante il digiuno prolungato e in caso di insufficienza epatica.

glucosio

esochinasi

glucosio 6-fosfatasi

glucosio 6-fosfato

fruttosio 6-fosfato

fosfofruttochinasi

fruttosio 1,6-bisfosfatasi

fruttosio 1,6-bisfosfato

piruvato chinasi

fosfoenolpiruvato (2)

piruvato (2) PEP carbossichinasi

ossalacetato (2)

piruvato carbossilasi

Gluconeogenesi
Glicolisi

4.11 Che cos’è la fotosintesi

Da dove proviene il carbonio di tutte le molecole complesse su cui si basa la vita? Gli atomi di carbonio delle molecole organiche derivano dal diossido di carbonio, CO2, presente nell’aria e trasformato attraverso la fotosintesi.

La fotosintesi ha consentito lo sviluppo della vita così come la conosciamo. Attraverso la fotosintesi gli organismi autotrofi, come piante, alghe, cianobatteri e batteri fotosintetici, utilizzano l’energia fornita dal Sole per trasformare il diossido di carbonio in glucosio. Gli autotrofi, chiamati anche produttori, formano quindi la base della catena alimentare per tutte le comunità di eterotrofi, che devono cibarsene per ottenere nutrienti 4.34

Il processo fotosintetico può essere complessivamente rappresentato dalla seguente equazione:

dove hν rappresenta l’energia della radiazione elettromagnetica assorbita.

La fotosintesi permette, quindi, la fissazione del carbonio:

 dal punto di vista chimico, consiste nella reazione di riduzione dell’atomo di carbonio dallo stato di ossidazione massimo nel diossido di carbonio a uno stato di ossidazione inferiore nel glucosio;

 dal punto di vista biologico, è il meccanismo con cui il carbonio di una molecola inorganica, il diossido di carbonio, è assimilato in una molecola organica ed entra nei processi biologici.

L’altro prodotto importante del processo di fotosintesi è l’ossigeno, uno dei gas che compongono l’atmosfera, fondamentale per i processi metabolici di gran parte degli esseri viventi, primo tra tutti il processo aerobico della respirazione cellulare.

L’equazione complessiva della fotosintesi è esattamente l’opposto di quella della respirazione cellulare: questo, però, non significa che le reazioni seguano il percorso a ritroso. La fotosintesi avviene infatti attraverso stadi intermedi diversi da quelli che costituiscono la respirazione cellulare.

Possiamo suddividere il processo della fotosintesi in due parti:

 fase foto in cui l’energia solare è convertita in energia chimica;

 fase sintesi in cui l’energia chimica è impiegata per la sintesi del glucosio.

Le reazioni della prima fase richiedono luce e costituiscono la fase luminosa (dipendente dalla luce). Le reazioni di sintesi della seconda fase non richiedono luce e costituiscono invece la fase oscura (indipendente dalla luce).

4.34 Autotrofi ed eterotrofi.
Gli animali consumano ossigeno e rilasciano diossido di carbonio
Le piante consumano diossido di carbonio e rilasciano ossigeno

4.35 La struttura del cloroplasto.

Risposta breve

1. Che cosa si intende per fissazione del carbonio da parte delle piante?

2. Dove avvengono le reazioni della fase luminosa della fotosintesi?

Quando la luce colpisce la foglia di una pianta, l’energia luminosa è catturata dai pigmenti presenti in alcuni organuli cellulari detti cloroplasti che si trovano prevalentemente nelle cellule del mesofillo. I cloroplasti contengono al loro interno delle strutture, dotate di membrana, dette tilacoidi che sono impilate in grani. Questi, a loro volta, sono immersi nello stroma, un fluido ricco di enzimi che riempie l’interno dei cloroplasti 4.35 . Le reazioni della fase luminosa si svolgono sulla membrana dei tilacoidi, mentre le reazioni della fase oscura si svolgono nello stroma.

parenchima a palizzata

parenchima lacunoso cloroplasti

membrana del tilacoide

COLLEGA Letteratura italiana

Le piante e la vita sugli alberi raccontate da Calvino

Opera: Il barone rampante (1957), secondo romanzo della trilogia I nostri antenati

Autore: Italo Calvino

Il rapporto di Italo Calvino con le scienze fu intenso e fecondo, soprattutto dagli anni Sessanta del Novecento. I suoi romanzi e racconti traggono spunto, per esempio, dalla matematica combinatoria, dalla cosmologia e dalla teoria dell’evoluzione. Il mondo con cui Calvino ebbe più dimestichezza fin da giovane fu però quello delle piante, perché il padre, agronomo, e la madre, botanica, coltivavano e sperimentavano nel parco della loro villa di Sanremo, in Liguria.

Su questa esperienza si basa il romanzo Il barone rampante 4.a, ambientato negli anni dal 1767 al 1820. Il protagonista del racconto, il dodicenne Cosimo Piovasco di Rondò, si ribella alle assurde regole familiari e decide di passare la vita sugli alberi. Innumerevoli sono le specie arboree e arbustive, selvatiche e coltivate, tipiche

dell’ambiente mediterraneo, che Calvino presenta al lettore. Cosimo, infatti, impara a sfruttare le piante per le necessità quotidiane come riposare, lavarsi e costruire oggetti, e a spostarsi per lunghi tratti nei boschi e negli abitati, distinguendo quali rami possano reggerlo e quali siano i percorsi più brevi entro la “mappa” arborea che man mano acquisisce. Cosimo partecipa tuttavia anche alla vita sociale: baratta coi contadini cibo e servizi, come la potatura, funge da tramite fra le comunità, organizza squadre antincendio, fa cessare le scorrerie dei pirati, guida le truppe francesi nel costruire una strada salvaguardando il più possibile gli alberi, ingaggia duelli e legge libri, gazzette e persino l’Encyclopédie (l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, pubblicata da un gruppo di intellettuali sotto la direzione di Denis Diderot). Il suo vivere sugli alberi non è quindi un rifiuto della civiltà, ma anzi un raffinamento della sensibilità, delle capacità, delle conoscenze umane; è un partecipare al miglioramento della comunità col vantaggio di una visione “dall’alto”. Questo approccio ben si inquadra nel razionalismo di Calvino

e del periodo in cui la vicenda si svolge. A noi però, che lo leggiamo oggi, il romanzo appare come una riflessione sul rispetto dell’ambiente e sulla possibilità del suo sfruttamento sostenibile.

4.a Copertina del romanzo Il barone rampante, di Italo Calvino

Un passo in più Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Arte). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

mesofillo
cellule di guardia
stoma
xilema floema
stroma grani granulo di amido
tilacoidi
fotosistema

4.12 La fase luminosa

Durante la fase luminosa l’energia della radiazione elettromagnetica è assorbita da una rete di molecole di clorofille e di altri pigmenti che la trasformano in energia chimica e la cedono ad altre molecole.

Le clorofille sono molecole dotate di un anello porfirinico che al centro ha uno ione Mg2+, in grado di assorbire la luce.

Tutte le clorofille hanno una struttura formata da una testa, dove è presente un anello porfirinico, con al centro lo ione magnesio, e una coda (fitolo), legata alla testa da un legame estereo 4.36 . I due tipi più importanti di clorofilla sono la clorofilla a e la clorofilla b.

4.36 La struttura delle clorofille. Nella clorofilla a R equivale al gruppo CH3, nella clorofilla b al gruppo CHO.

Le clorofille assorbono varie lunghezze d’onda della luce visibile in particolare nella regione blu e rossa dello spettro e appaiono quindi di colore verde, poiché riflettono la luce in questa zona dello spettro.

La clorofilla a e la clorofilla b presentano ognuna due massimi di assorbimento: il primo tra 600 nm e 700 nm e il secondo tra 400 nm e 500 nm 4.37 . Per questa ragione la fotosintesi è più attiva a queste lunghezze d’onda.

b

lunghezza d’onda (nm) assorbimento della luce

I cloroplasti contengono anche altri pigmenti accessori, i carotenoidi, che assorbono le lunghezze d’onda del blu e del verde e che appaiono per questo motivo di colore giallo intenso-arancione. I carotenoidi ampliano così lo spettro di lunghezze d’onda utili alla fotosintesi e convogliano l’energia assorbita sulla clorofilla a. Nei cianobatteri e nelle alghe rosse sono infine presenti le ficobiline, pigmenti simili alle clorofille, che assorbono varie lunghezze d’onda.

4.37 L’assorbimento delle clorofille avviene nelle zone dello spettro del blu e del rosso. clorofilla a

clorofilla
La fase luminosa della fotosintesi
VIDEO
testa coda

4.38 Un fotosistema funziona trasmettendo energia da una serie di molecole antenna a una molecola di clorofilla e da questa a una molecola accettore di elettroni.

I sistemi antenna e i fotosistemi

Nelle piante, le molecole di clorofilla e quelle degli altri pigmenti si trovano nei tilacoidi dei cloroplasti e insieme ad alcune proteine formano delle strutture con un’organizzazione complessa chiamate fotosistemi

Ogni fotosistema è formato da un sistema antenna che serve ad assorbire l’energia luminosa e da un centro di reazione che trasforma l’energia luminosa assorbita in energia chimica 4.38 . Il processo che avviene nei fotosistemi può essere schematizzato nel modo seguente.

 La radiazione elettromagnetica viene assorbita dai pigmenti del sistema antenna e provoca l’eccitazione di alcuni elettroni che passano a un livello energetico superiore. Ogni tipo di pigmento è in grado di assorbire una particolare lunghezza d’onda della luce per passare a uno stato eccitato. In questo modo ogni pigmento fotosintetico si comporta come un’antenna chimica in grado di assorbire solo certe radiazioni luminose.

 Lo stato di eccitazione è instabile e l’energia assorbita viene successivamente trasferita a una serie di altre molecole in grado di accettarla, come altre clorofille o pigmenti accessori, quali ficobiline e carotenoidi.

 L’energia viene trasferita da un pigmento all’altro finché non raggiunge il centro di reazione, una molecola di clorofilla specifica. Solo una molecola di clorofilla su 250 svolge il ruolo di centro di reazione. Il gran numero di molecole di pigmento presenti nel sistema antenna in ogni unità fotosintetica consente al centro di reazione di essere rifornito con la massima quantità possibile di energia.

 Una volta che l’energia ha raggiunto il centro di reazione, la clorofilla cede gli elettroni eccitati a una molecola chiamata accettore primario e il loro destino dipende dal tipo di fotosistema coinvolto.

fotone

trasferimento di energia

complessi per la cattura della luce centro di reazione accettore primario di elettroni

fotosistema coppia di molecole di clorofilla a pigmenti

Nelle reazioni della fase luminosa vengono coinvolti due tipi di fotosistemi.

 Fotosistema I (PSI): contiene una clorofilla che ha il picco di assorbimento della luce alla lunghezza d’onda di 700 nm e per questo motivo viene anche chiamato P700

 Fotosistema II (PSII): la clorofilla di questo sistema ha il picco di assorbimento alla lunghezza d’onda di 680 nm ed è detto P680.

La catena di trasporto degli elettroni e la fotofosforilazione

Nella maggior parte degli organismi fotosintetici, il P700 e il P680 operano in maniera integrata. I fotosistemi agiscono insieme ad altri trasportatori di elettroni, come il plastochinone, la plastocianina, il complesso del citocromo (cytb6 f) e la ferredossina per generare una catena di trasporto degli elettroni. Alla catena di trasporto è associata anche il complesso enzimatico dell’ATP sintasi, analogo a quello incontrato nel processo di respirazione cellulare nei mitocondri 4.39 .

Analizzando in dettaglio la catena di trasporto degli elettroni, è possibile illustrarne gli aspetti energetici attraverso lo schema Z 4.40 . Gli elettroni eccitati provenienti dal P680 vengono assorbiti da un accettore primario e avviati a una catena di trasporto di elettroni che conduce alla sintesi di ATP nel complesso del citocromo. Da qui, gli elettroni raggiungono il P700 dove vengono nuovamente eccitati dalla radiazione elettromagnetica e avviati a un’ulteriore catena di trasporto di elettroni che questa volta conduce alla NADP+ reduttasi dove gli elettroni vengono impiegati per ridurre NADP+ a NADPH.

4.39 Schema della catena di trasporto degli elettroni e del complesso ATP sintasi presenti sulla membrana dei telacoidi.

Risposta breve

1. A che cosa è dovuto il colore verde delle foglie delle piante?

2. In che cosa consiste lo schema Z?

4.41 Il collegamento tra fase luminosa e fase oscura.

Gli elettroni che hanno lasciato il P680 devono essere reintegrati. Il processo che permette di ripristinare gli elettroni utilizzati è la fotolisi dell’acqua: H2O2H + 1 2 O2 + 2e + →

Un prodotto di questa reazione è l’ossigeno: quello presente nell’atmosfera terrestre è stato generato proprio attraverso la fotolisi dell’acqua attuata dai primi organismi fotosintetici.

La fotolisi dell’acqua genera anche un gran numero di ioni H+ , che si sommano a quelli trasportati dal complesso del citocromo nel lume del tilacoide, dove si accumulano. Questi ioni H+ in parte sono impiegati nella riduzione del NADP+e in parte contribuiscono a instaurare un gradiente protonico tra il lume dei tilacoidi e lo stroma del cloroplasto. Tale gradiente è ulteriormente incrementato dal funzionamento dei trasportatori di elettroni, che pompano protoni dallo stroma del cloroplasto, attraverso la membrana, verso il lume del tilacoide. La presenza del gradiente protonico è sfruttata dal complesso enzimatico dell’ATP sintasi per produrre ATP, con un meccanismo analogo a quanto già visto nel processo di fosforilazione ossidativa nei mitocondri. Poiché però, in questo caso, l’energia necessaria per la produzione di ATP deriva dalla luce, si parla di fotofosforilazione.

A seconda delle condizioni di luce, e quindi della disponibilità di energia, gli organismi fotosintetici possono utilizzare un processo “completo” di passaggio degli elettroni che sfrutta sia il P700 sia il P680 oppure una sua versione più limitata in cui gli elettroni si muovono nel solo P680.

4.13 La fase oscura: il ciclo di Calvin

Gli atomi di carbonio contenuti nel diossido di carbonio vengono impiegati per la sintesi delle biomolecole grazie al secondo stadio della fotosintesi, noto come ciclo di Calvin che avviene nello stroma del cloroplasto. Nel ciclo di Calvin, gli atomi di carbonio del CO2 sono “fissati”, cioè incorporati in molecole organiche e utilizzati per costruire carboidrati a tre atomi di carbonio. Questo processo è dipendente dalle molecole di ATP e NADPH che sono state prodotte nella fase luminosa della fotosintesi 4.41 .

della fase luminosa

Il ciclo di Calvin può essere suddiviso in tre fasi 4.42 :

 la fissazione del carbonio;

 la riduzione a gliceraldeide-3-fosfato (G3P);

 la rigenerazione del ribulosio bisfosfato (RuBP).

CH2O P C=O H C OH

CICLO DI CALVIN

RuBP fissazione del carbonio riduzione a G3P

rigenerazione di RuBP

G3P

CO2 amido e altri composti del carbonio zuccheri

ADP 6 ATP 6 ADP

1,3-bisfosfoglicerato

Pi

La fissazione del carbonio

Nelle piante, il diossido di carbonio dall’atmosfera entra nello strato mesofillico delle foglie passando attraverso i pori sulla superficie fogliare chiamati stomi (vedi Figura 4.35 ). Può quindi diffondere nelle cellule del mesofillo e nello stroma dei cloroplasti.

In questa fase l’enzima RuBisCO (ribulosio 1,5-bisfosfatocarbossilasi-ossigenasi) catalizza la carbossilazione di uno zucchero a cinque atomi di carbonio, il ribulosio 1,5-bisfosfato (RuBP). La risultante molecola a sei atomi di carbonio è instabile e si spezza in due molecole di un composto a tre atomi di carbonio, il 3-fosfoglicerato (3-PGA).

Per ogni molecola di CO2 che entra nel ciclo, vengono prodotte due molecole di 3-PGA 4.43 .

diossido di carbonio CH2O P C=O

ribulosio 1,5-bisfosfato (RuBP)

scheletro carbonioso a sei elementi dell’intermedio di reazione 2 molecole di 3-fosfoglicerato (3-PGA)

Il ciclo di Calvin.
La reazione della RuBisCO.

4.44 La riduzione del 3-PGA a G3P.

Risposta breve

1. Quali sono le tre fasi del ciclo di Calvin?

2. Qual è il ruolo dell’enzima RuBisCO?

3. Quante molecole di G3P si ottengono complessivamente dal ciclo di Calvin?

4. Per cosa potranno essere impiegate le molecole di gliceraldeide-3-fosfato ottenute dal ciclo di Calvin?

La riduzione a gliceraldeide-3-fosfato

Nella seconda fase, ATP e NADPH vengono utilizzati per convertire le molecole di 3-PGA in molecole di un carboidrato a tre atomi di carbonio, la gliceraldeide-3-fosfato.

Una molecola di 3-PGA reagisce con l’ATP e viene introdotto un secondo gruppo fosfato, generando ADP. Quindi, la molecola doppiamente fosforilata riceve elettroni dal NADPH ed è ridotta per formare G3P. Questa reazione genera NADP+ e rilascia anche un fosfato inorganico 4.44 .

4.45 Schema riassuntivo delle vie meataboliche in cui è coinvolta la gliceraldeide 3-fosfato.

L’ATP e il NADPH utilizzati in questi passaggi sono entrambi prodotti nella prima fase della fotosintesi. L’energia chimica dell’ATP e il potere riducente del NADPH, entrambi generati dall’energia luminosa, mantengono attivo il ciclo di Calvin. Inoltre, il ciclo di Calvin rigenera ADP e NADP+ fornendo i substrati necessari per le reazioni dipendenti dalla luce.

La rigenerazione del RuBP

Il ciclo di Calvin si chiude con la rigenerazione di RuBP. Per ottenere sei molecole di RuBP ne servono dieci di G3P, che attraverso una serie di reazioni vengono convertite a ribulosio monofosfato (RuMP) e infine a RuBP. Considerando che, a partire da sei molecole di CO2, si ottengono dodici molecole di G3P, di cui solo dieci sono necessarie per chiudere il ciclo di Calvin, due molecole di G3P vengono ottenute come prodotto netto del ciclo.

Le due molecole di gliceraldeide-3-fosfato possono essere trasformate in piruvato ed entrare nella via metabolica della respirazione cellulare. In alternativa le molecole di G3P possono essere utilizzate per sintetizzare glucosio, entrando nella via della gluconeogenesi, processo inverso alla glicolisi 4.45 Il glucosio può essere poi impiegato per formare polisaccaridi strutturali o di riserva energetica, come la cellulosa o l’amido, o sintetizzare dei disaccaridi come il saccarosio o il maltosio.

In base alle necessità della pianta in uno specifico momento, le molecole di gliceraldeide-3-fosfato possono anche essere impiegate per formare acidi grassi oppure per la sintesi di amminoacidi (aggiungendo un gruppo amminico nella struttura). I prodotti finali della fotosintesi, quindi, svolgono un ruolo di fondamentale importanza nei processi dell’anabolismo degli organismi autotrofi.

3-fosfato (G3P)

gliceraldeide
glucosio
amido cellulosa disaccaridi energia piruvato

4.14 Gli adattamenti delle piante

Il processo di fotosintesi può variare da pianta a pianta, a seconda della condizione in cui esse si trovano. Circa l’83% delle piante sulla Terra sono organismi fotosintetici che iniziano il ciclo di Calvin, così come abbiamo appena descritto, producendo G3P. Da questo composto a tre atomi di carbonio deriva l’appellativo di metabolismo C3 per questo tipo di fotosintesi. Tuttavia, il metabolismo C3 non è l’unico tipo di fotosintesi realizzato dalle piante.

La fotorespirazione

La fotorespirazione è una via metabolica competitiva con il ciclo di Calvin 4.46 , in cui la RuBisCO fissa l’ossigeno anziché il diossido di carbonio. In questo processo si ha la perdita del carbonio già fissato, si spreca energia e diminuisce la sintesi del glucosio. Quindi, quando la RuBisCO inizia questo processo, commette un grave “passo falso molecolare”.

bassa temperatura alto rapporto CO2 /O2

ciclo di Calvin

alta temperatura basso rapporto CO2 /O2

fotorespirazione

+ PG

2 PGA

glucosio

La RuBisCO è in grado di addizionare sia CO2 sia O2 al RuBP, intermedio a cinque atomi di carbonio del ciclo di Calvin. La scelta del substrato è determinata da due fattori: le concentrazioni relative di O2 e CO2 e la temperatura. Quando una pianta ha gli stomi aperti il CO2 entra, mentre l’O2 e il vapore acqueo fuoriescono. In queste condizioni la fotorespirazione è ridotta al minimo. Tuttavia, quando una pianta chiude i propri stomi, per esempio per ridurre la perdita d’acqua per evaporazione nei periodi caldi, il rapporto O2/CO2 aumenta: si accumula, all’interno della foglia, l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi, mentre si riduce l’ingresso di CO2. In queste condizioni, la fotorespirazione diventa il processo di elezione. Alcune piante sono riuscite, grazie all’evoluzione e alla selezione naturale, a evitare gli effetti negativi della fotorespirazione, sviluppando vie alternative dette fotosintesi C4 e CAM.

La fotosintesi C4 , sfruttata da piante come il mais e la canna da zucchero, utilizza una via differente per la fissazione del CO2. L’enzima PEP-carbossilasi catalizza una reazione nella quale dal CO2 si origina ossalacetato, un composto a quattro atomi di carbonio (da cui la sigla C4).

La fotosintesi CAM è impiegata soprattutto da cactus e altre piante desertiche 4.47 . Queste piante di giorno assorbono l’energia della luce solare e chiudono gli stomi per resistere alla disidratazione, mentre di notte assorbono il CO2 e lo fissano in ossalacetato come nelle piante C4, attraverso il ciclo di Calvin.

CO2 O2
RuBisCO
PGA
4.46 Il ruolo della RuBisCO.
4.47 Molte piante, come i cactus, hanno sviluppato la fotosintesi CAM.

U4 Ripassa con metodo

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METABOLISMO

è l’insieme delle reazioni biochimiche che, a partire da un insieme di e attraverso una serie di , producono finali

In quali categorie si suddividono le vie metaboliche?

CATABOLISMO

reazioni che liberano energia, utilizzata per

CARBOIDRATI

Quali sono le principali classi coinvolte in reazioni metaboliche?

sono soggette a e quindi periodicamente ridotte ad , a loro volta prodotti per biosintesi

LIPIDI

sono accumulati sotto forma di reazioni che consumano energia data dall’idrolisi di ATP

Qual è la via anabolica più importante per la vita?

permette di produrre composti organici a partire da carbonio inorganico (diossido di carbonio) e luce

sono scomposti in monosaccaridi, in genere poi convertiti in glucosio

In quali vie metaboliche è coinvolto il glucosio?

GLICOGENESI

GLICOGENOLISI

GLUCONEOGENESI

il glucosio è ossidato a piruvato con formazione di GLICOLISI

In quali vie metaboliche è coinvolto il piruvato?

In quali vie metaboliche sono coinvolti?

LIPOLISI

ossidazione completa del piruvato in diossido di carbonio e acqua in condizioni aerobiche vie metaboliche che riossidano il NADH prodotto dalla glicolisi in condizioni anaerobiche; le due vie principali sono la e la FERMENTAZIONI

U4 Conoscenze e abilità

4.1 Il metabolismo cellulare

1 Vero o falso?

a. Il metabolismo è un insieme di reazioni biochimiche integrate e modulabili V F

b. Una reazione anabolica è esoergonica V F

c. L’acetil-CoA svolge un ruolo fondamentale in diverse vie metaboliche V F

2 Spiega che cosa si intende per catabolismo e anabolismo e quali sono i requisiti principali che le reazioni metaboliche devono soddisfare.

3 Che cosa si intende per accoppiamento di reazioni biochimiche?

4 È comune che un metabolita appartenga a più vie metaboliche?

5 Negli organismi che non sono in grado di sfruttare direttamente l’energia solare, l’energia per la sintesi dell’ATP è ricavata: dal metabolismo dal catabolismo dalla fotosintesi dall’anabolismo

6 L’acetil-Coenzima A è coinvolto: nelle vie cataboliche nelle vie anaboliche nelle vie anaboliche e in quelle cataboliche in nessuna delle precedenti

7 Il ruolo principale del coenzima A è quello di: ridurre gruppi amminici nella biosintesi di amminoacidi ossidare gruppi tiolici nella biosintesi di amminoacidi legare gruppi acetile a dare acetil-CoA conservare energia libera tramite i legami tra l’adenosina e gruppi fosfato

8 Considera queste due reazioni accoppiate:

a. A + B C + D; ΔrG = 22,7 kJ/mol

b. D + E F; ΔrG = +41,5 kJ/mol

Il processo A + B + E C + F è spontaneo?

9 Considera queste due reazioni accoppiate:

c. A + B C; ΔrG = 11,5 kJ/mol

d. C D; ΔrG = 1,5 kJ/mol

Il processo A + B D è spontaneo?

10 Vero o falso?

a. L’ATP contiene tre gruppi fosfato

b. L’idrolisi di ATP in ADP + Pi ha un ΔrG°’=−45 kJ/mol

c. L’ATP è sempre prodotta tramite fotofosforilazione

11 Quali sono le vie principali con cui è sintetizzata l’ATP nelle cellule eucariotiche?

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

12 La molecola di ATP è costituita da: un’unità di adenina, una di ribosio e tre gruppi fosforici un’unità di adenina, una di ribosio e un gruppo fosforico un’unità di tirosina, una di ribosio e un gruppo fosforico

un’unità di adenina, una di glucosio e tre gruppi fosforici

13 Quale tra le seguenti affermazioni riferite all’ATP non è corretta?

È un nucleotide trifosfato

È responsabile del trasferimento di energia nell’organismo

È un enzima

È continuamente consumato e prodotto

4.3-4 Il metabolismo dei carboidrati e del glicogeno

14 Vero o falso?

a. L’ossidazione completa del glucosio è un processo fortemente esoergonico V F

b. Il livello di glicogeno nel sangue

è detto glicemia V F

c. Il metabolismo del glicogeno è regolato da insulina e glucagone V F

15 Quali sono i principali carboidrati contenuti negli alimenti e in quali monosaccaridi devono essere scissi per poter essere utilizzati dal nostro organismo?

16 Qual è il ruolo del glucagone?

17 L’ossidazione dei carboidrati avviene attraverso una serie molto complessa di reazioni chimiche per: recuperare l’energia contenuta nei legami del glucosio in modo più efficiente digerire meglio i carboidrati poter sintetizzare glicogeno velocemente limitare lo sviluppo di CO2

18 La glicogenolisi è il processo attraverso il quale: si forma ATP si forma glucosio dalla degradazione del glicogeno si forma glicogeno a partire dal glucosio si ottiene glucosio dalla degradazione dell’amido

19 Identifica la sequenza corretta degli stadi di degradazione dei carboidrati: fosforilazione ossidativa – glicogenolisi –glicolisi – ciclo di Krebs glicolisi – ciclo di Krebs – fosforilazione ossidativa – glicogenolisi glicolisi – glicogenolisi – ciclo di Krebs –fosforilazione ossidativa glicogenolisi – glicolisi – ciclo di Krebs –fosforilazione ossidativa

4.2 Il ciclo dell’ATP

4.5

20 Vero o falso?

a. La glicolisi avviene solo in presenza di ossigeno V F

b. La fase di produzione di energia si ripete due volte per ogni molecola di glucosio V F

21 Indica uno stadio chiave della regolazione della glicolisi e spiegane l’importanza a livello metabolico.

22 Descrivi le tappe salienti della glicolisi e, per ognuna, il bilancio energetico.

23 Durante la glicolisi, il piruvato è prodotto: nella fase preparatoria nella fase di produzione di energia durante entrambe le fasi in nessuna delle due fasi

24 Alla fine della fase preparatoria della glicolisi si ottengono: la gliceraldeide 3-fosfato e il diidrossiacetone fosfato il fruttosio 1,6-bisfosfato e il piruvato due molecole di gliceraldeide 3-fosfato due molecole di piruvato

25 Che cosa NON viene prodotto durante la glicolisi?

Ossalacetato ATP NADH Piruvato

26 Problema svolto Quante moli di ATP si producono a partire da 5,6 g di glucosio, tramite il solo processo glicolitico?

Scriviamo la reazione complessiva della glicolisi:

C6H12O6 + 2 ADP + 2 NAD+ + 2 Pi

2 CH3COCOOH + 2 ATP + 2 NADH + 2 H+ + 2 H2O

▶ È necessario conoscere il numero di moli contenute in 5,6 g di glucosio. Pertanto calcoliamo prima la massa molare del glucosio:

Mglucosio= 180 g · mol–1

▶ La quantità di glucosio in moli è quindi:

n = 5,6 g / 180 g· mol–1 = 0,031 mol

▶ Tenendo conto dei coefficienti stechiometrici della reazione, le moli di ATP che si formano sono il doppio di quelle di glucosio, quindi 0,062 mol.

27 Nella degradazione di 8 ∙ 10–6 mol di glucosio, quante moli di ATP sono consumate nella fase preparatoria della glicolisi?

28 Quanti grammi di piruvato si producono a partire da 0,05 mol di glucosio, tramite la glicolisi?

4.6-8 Il metabolismo aerobio e anaerobio del glucosio

29 Vero o falso?

a. L’acido piruvico è completamente ossidato a CO2 nel ciclo di Krebs V F

b. La piruvato deidrogenasi è un singolo enzima V F

30 Che cosa è la fosforilazione a livello del substrato?

31 Attraverso quali passaggi il piruvato può entrare nel ciclo di Krebs?

32 Quali sono i passaggi fondamentali della fosforilazione ossidativa?

33 Perché il FADH2 contribuisce in maniera minore alla formazione del gradiente di H+?

34 Che cos’è la chemiosmosi?

35 Quali microrganismi dotati di metabolismo anaerobico conosci e in che modo questi producono l’ATP?

36 In termini di resa energetica, quali sono le differenze tra metabolismo aerobico e anaerobico?

37 L’ATP sintasi mette in comunicazione: la matrice mitocondriale con il citosol lo spazio intermembrana con il citosol lo spazio intermembrana con la matrice mitocondriale la membrana mitocondriale esterna con la membrana mitocondriale interna

38 Il piruvato NON è coinvolto: nella fermentazione nella decarbossilazione del piruvato nella glicolisi nella glicogenolisi

39 Il ciclo di Krebs consente di produrre: ATP GTP, NADH e FADH2 ATP, NADH e FADH2 NADH e FADH2

40 Sia la fermentazione lattica sia la fermentazione alcolica: producono lattato producono etanolo avvengono negli organismi anaerobi avvengono solo in condizioni di aerobiosi

41 L’enzima responsabile della conversione del piruvato in acetaldeide è: piruvato decarbossilasi alcol deidrogenasi lattato deidrogenasi gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi

42 La degradazione aerobica del glucosio: produce più ATP della fermentazione produce meno ATP della fermentazione produce un ugual numero di molecole di ATP non produce ATP

43 La degradazione di una mole di glucosio in aerobiosi può condurre alla sintesi di: nessuna mole di ATP 4 moli di ATP 22 moli di ATP 32 moli di ATP

44 Quante moli di NADH si producono nel ciclo di Krebs a partire dai prodotti di degradazione di 4 ∙ 10–3 mol di glucosio?

45 Quante moli di H+ sono trasferite nello spazio intermembrana quando 1,6 ∙ 10–5 mol di NADH cedono i loro elettroni al complesso I?

46 Quante moli di ATP si ricavano dall’ossidazione di 2,3 ∙ 10–3 mol di NADH nella fosforilazione ossidativa?

4.9-10 Altre vie metaboliche del glucosio, dei lipidi e delle proteine

47 Vero o falso?

a. La via del pentosio fosfato produce ribosio e NADH a partire dal glucosio

b. I lipidi sono più energetici dei carboidrati perché più ossidati

c. I prodotti della degradazione proteica sono gli amminoacidi

d. Le proteine sono prima assorbite e poi degradate

48 Perché i trigliceridi sono un ottimo sistema per accumulare energia rispetto al glicogeno?

49 Che cosa si intende per amminoacidi glucogenici e amminoacidi chetogenici?

50 Le riserve energetiche contenute nel tessuto adiposo: possono essere mobilitate molto velocemente sono minori di quelle di carboidrati sono maggiori di quelle di carboidrati sono assenti negli esseri umani

51 Il punto di contatto tra le vie metaboliche dei carboidrati e dei lipidi è: il malonil-CoA il piruvato il NADP l ’acetil-CoA

52 Durante la via del pentosio fosfato sono prodotti: ribosio per la sintesi dei nucleotidi e NADPH per la sintesi dei lipidi ribosio per la sintesi dei nucleotidi e NADH per la sintesi dei lipidi pentosio per la sintesi dei glucidi e NADPH per la sintesi dei lipidi pentosio per la sintesi dei nucleotidi e NADH per la sintesi di ATP

4.11-14 La fotosintesi

53 Vero o falso?

a. La fotosintesi percorre a ritroso gli stadi della respirazione

b. Il complesso ATP sintasi nella membrana dei tilacoidi funziona in modo simile a quello dei mitocondri

c. Il ciclo di Calvin produce ATP

54 Quali sono le fasi della fotosintesi?

55 Che cosa sono i cloroplasti?

61 Dove avviene il ciclo di Calvin nelle piante che sfruttano il meccanismo C4?

62 Come funziona il meccanismo CAM?

63 Dalla fotosintesi si ottengono: amminoacidi e proteine O2 e CO2 glucosio e CO2 glucosio e O2

64 All’interno dei cloroplasti si trovano: i mitocondri i lipociti i tilacoidi le cellule della guaina del fascio

65 Il pigmento che si trova nel centro di reazione è: clorofilla carotenoide ficobilina cianidrina

66 Un fotosistema contiene: un centro di reazione e un grano un centro di reazione e un sistema antenna un carotenoide e un accettore di elettroni un sistema antenna e due centri di reazione

67 Nello schema Z: è assorbita luce sul P700 è assorbita luce sul P680 è assorbita luce sia sul P700 sia sul P680 non viene assorbita luce

68 Gli elettroni che hanno lasciato il P680 sono reintegrati attraverso: l’assorbimento di un fotone nel P700 l’assorbimento di un fotone nel P680 la fotolisi dell’acqua la riduzione del carbonio del CO2

F

56 Quali sono le più importanti clorofille presenti nelle piante e in cosa differiscono le loro strutture?

57 Da dove deriva il nome dei due fotosistemi P700 e P680?

58 Dove avviene il ciclo di Calvin?

59 Qual è il ruolo dell’enzima RuBisCO?

60 Perché in alcune piante si sono evoluti meccanismi di fotosintesi alternativi?

69 Nella fase di rigenerazione del RuBP: due molecole di 3-PGA sono utilizzate per sintetizzare glucosio e gli intermedi sono gli stessi della glicolisi due molecole di 3-PGA sono utilizzate per sintetizzare glucosio e gli intermedi non sono gli stessi della glicolisi due molecole di G3P sono utilizzate per sintetizzare glucosio e gli intermedi sono gli stessi della glicolisi due molecole di G3P sono utilizzate per sintetizzare glucosio e gli intermedi non sono gli stessi della glicolisi

70 Quale delle seguenti non è una fase del ciclo di Calvin? Fotolisi dell’acqua Fissazione del carbonio Riduzione a gliceraldeide-3-fosfato

Rigenerazione del RuBP

71 Quali molecole sono impiegate per ridurre 3-PGA?

ATP e NADPH ATP e NADH

72 La fotorespirazione:

è una fase del ciclo di Calvin avviene solamente di giorno è un meccanismo competitivo del ciclo di Calvin avviene solamente in poche piante

73 Nelle piante C4, la fissazione del CO2 è catalizzata da: RuBisCO

C4 carbossilasi

PEP carbossilasi

RuBP carbossilasi

74 Nelle piante che fanno la fotosintesi CAM: gli stomi sono chiusi di notte per resistere alla disidratazione

il CO2 è fissato a dare ossalacetato come nelle piante C4 svolgono la fase luminosa e la fase oscura della fotosintesi in contemporanea gli stomi sono aperti di giorno per permettere la traspirazione

U4 Competenze

77 INGLESE Which molecules produced in the Krebs cycle are essential for oxidative phosphorylation?

Citrate and oxaloacetate

Acetyl-CoA Fumarate and succinate NADH and FADH2

78 INGLESE What is the role of water in photosynthesis?

79 METODO INDUTTIVO L’indice glicemico (IG) è un indicatore qualitativo dell’effetto che ha una determinata quantità di un cibo sull’andamento della glicemia. A ogni alimento è associata una curva glicemica, che descrive la variazione di glicemia nel tempo, e l’IG è proporzionale all’area sotto tale curva. Le aree sotto la curva glicemica dei diversi alimenti possono essere espresse in percentuale con riferimento all’area relativa al glucosio, che corrisponde al 100%. Osserva le curve glicemiche riportate nel seguente grafico: qual è l’alimento con il più alto IG e quale quello con il più basso? Descrivi l’andamento delle rispettive curve glicemiche.

indice glicemico per alimenti

glicemia (mmol/L)

tempo (ore)

75 Problema svolto Quanti grammi di glucosio sono prodotti fissando 12 moli di CO2?

▶ L’equazione bilanciata per la fotosintesi è: 6 CO2 + 6 H2O C6H12O6 + 6 O2

Pertanto il rapporto tra moli di CO2 e moli di glucosio è 6:1.

▶ Il numero di moli di glucosio è:

nn=· 1 6 = 12mol 6 =2mol glucosio CO2

▶ La massa in grammi di glucosio si ottiene moltiplicando il numero di moli per la massa molare del glucosio (180,156 g/mol):

mglucosio = nglucosio · Mglucosio = = 2 mol · 180,156 g/mol = = 360,312 g

76 Quante moli di glucosio si ottengono quando sono assorbiti 12,5 g di CO2?

Frutta

Pasta

Burro e oli

80 PROBLEM SOLVING Per studiare il processo della fotosintesi, alcuni ricercatori decidono di impiegare delle sostanze marcate con isotopi, cioè delle sostanze le cui molecole contengono una proporzione maggiore dell’isotopo meno comune di un determinato atomo. In particolare impiegano 18O. In quali prodotti della fotosintesi ritroverebbero questo isotopo se impiegassero:

a. acqua marcata isotopicamente, H2 18O?

b. diossido di carbonio marcato isotopicamente, C18O2?

81 PROGETTARE Il diabete mellito di tipo II è una patologia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterazione della concentrazione ematica o della funzione dell’insulina. Fai una ricerca sulle cause d’insorgenza di questa patologia e sulla sua incidenza nella popolazione. Quali sono le diverse terapie proposte? Prepara una campagna di sensibilizzazione su diabete mellito di tipo II e stile di vita.

82 DIGITALE Realizza una ricerca in Internet sulla classe di composti definita inibitori della catena respiratoria. In particolare, approfondisci l’attività biochimica di: cianuro, rotenone, antimicina A, valinomicina e oligomicina. Utilizzando la Figura 4.20 del testo prepara una presentazione che metta in evidenza il ruolo di ciascun inibitore e i suoi effetti sulla catena respiratoria e la sintesi di ATP.

83 SOSTENIBILITÀ Quale potrebbe essere il ruolo delle piante nel contrastare l’inquinamento delle città? Fai una ricerca in Internet e realizza una puntata podcast per sensibilizzare la cittadinanza su questo tema.

84 DIGITALE Imposta un foglio di calcolo che, a partire dalla quantità in g di CO2 fissata, fornisca la corrispondente quantità in grammi dei seguenti metaboliti della fotosintesi: O2, NADPH, ATP, G3P, glucosio.

85 INTELLIGENZA ARTIFICIALE Chiedi a un chatbot di intelligenza artificiale di fingere di essere il ciclo di Krebs di una cellula epatica umana e domanda quali sono i substrati che può utilizzare provenienti da altri metabolismi, oltre al piruvato derivante dalla glicolisi. Controlla l’accuratezza delle informazioni con il libro di testo e nel caso di informazioni aggiuntive chiedi al tuo insegnante.

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Descrivi le caratteristiche le network delle vie metaboliche usando le seguenti parole chiave: energia libera di Gibbs • spontaneità • reazioni endoergoniche • reazioni esoergoniche • anabolismo • catabolismo • reazioni accoppiate • ATP

2 Descrivi le fasi della glicolisi usando le seguenti parole: glucosio • produzione di ATP • citoplasma • processo anaerobico • fosfofruttochinasi • fosforilazione a livello del substrato • G3P • piruvato

3 Illustra il metabolismo dei lipidi usando le seguenti parole chiave: chilomicroni • lipolisi • lipogenesi • β-ossidazione • trigliceridi • colesterolo • acidi grassi • fegato • adipociti

4 Spiega il funzionamento dei sistemi antenna usando le seguenti parole chiave: pigmenti • clorofilla • fotosistema • fotone • centro di reazione • accettore primario • PSI • PSII

5 Illustra gli adattamenti delle piante alla fotorespirazione usando le seguenti parole chiave: C3 • C4 • CAM • RuBisCO • PEP carbossilasi • mesofillo • guaina del fascio

Prova a partire così

6 Qual è il destino del piruvato, dopo la glicolisi, in condizioni aerobiche?

Innanzitutto, il piruvato è ossidato da con la conseguente perdita del gruppo carbossile sotto forma di CO2. così formato entra nella via metabolica del , detta anche ciclo dell’acido citrico. Questa via metabolica avviene nei , consiste in reazioni e genera molecole ad alta energia come , NADH e . Queste ultime due molecole entreranno in una via metabolica chiamata e produrranno ulteriore ATP.

7 Che cos’è il gradiente elettrochimico nei mitocondri?

Il gradiente elettrochimico è dovuto alla diversa concentrazione di protoni tra la e lo dei mitocondri. Secondo la teoria , esso è generato dalla e si genera così una forza , sfruttata dal complesso enzimatico .

8 Che cos’è e come avviene la fissazione del carbonio?

La fissazione è il processo biochimico attraverso il quale il diossido di carbonio è trasformato in molecole complesse che costituiscono il nutrimento degli organismi . Questo processo è svolto dagli organismi attraverso la in cui da molecole di CO2 e sei molecole di acqua si ottengono molecole di ossigeno e una di .

Organizza il discorso

9 Illustra il processo di ossidazione completa del glucosio in condizioni aerobiche.

Prova a seguire questa scaletta:

Descrizione della glicolisi, con tutti i suoi passaggi dal glucosio al piruvato

Spiegazione di come si forma l’acetil-CoA

Illustrazione del ciclo di Krebs, dall’entrata dell’acetil-CoA ai composti ridotti prodotti

Descrizione del processo di fosforilazione ossidativa e relativa resa energetica

10 Descrivi il ciclo di Calvin.

Prova a seguire questa scaletta:

Illustrazione delle fasi in cui è diviso il ciclo di Calvin partendo dall’ingresso del CO2

Descrizione del ruolo dell’enzima RuBisCO

Descrizione della riduzione del 3-PGA in G3P

Spiegazione di come si rigenera il RuBP

11 UN PASSO IN PIÙ Spiega il funzionamento del complesso molecolare dell’ATP sintasi a partire da come è generata la forza protonmotrice, facendo riferimento ad analogie e differenze tra la catena respiratoria nei mitocondri e la catena di trasporto degli elettroni nei cloroplasti.

Simula un colloquio di esame

12 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

Tema B Storie e idee della

Breve storia delle e

James Lind scopre che gli alimenti agrumati, come limoni e lime, aiutano a prevenire lo scorbuto, una malattia caratterizzata da diversi sintomi, tra cui emorragie, anemia, eruzioni cutanee, cambiamenti di umore e depressione.

Il medico Christiaan Eijkman scopre che una dieta con riso integrale è capace di prevenire il beriberi, una malattia che comporta paralisi, disturbi cardiaci e respiratori, diffusa soprattutto nelle popolazioni con alimentazione a base di riso bianco. Per tale scoperta, lo scienziato vinse il premio Nobel nel 1929, insieme a Frederick Gowland Hopkins

Umetaro Suzuki isola dalla crusca di riso un complesso di micronutrienti idrosolubili che chiamerà acido aberico, efficace nella cura del beriberi. Oggi l'acido aberico è conosciuto come tiamina o vitamina B1.

Elmer McCollum e Marguerite Davis isolano la vitamina A dall’olio di fegato di merluzzo. Si tratta della prima vitamina liposolubile che, contrariamente all'ipotesi di Funk, non contiene gruppi amminici. Resta tuttavia il nome di vitamine per questi composti essenziali, non sintetizzati dall’essere umano. McCollum fu in seguito anche coinvolto nella scoperta della vitamina D.

Il biochimico Casimir Funk conia il termine vitamina, da “vitale” e “ammina”, per riferirsi a tutti quei composti chimici che devono essere assunti con la dieta e che sono essenziali per la vita e la salute umana. Poiché le prime vitamine scoperte avevano molti gruppi amminici, Funk era convinto che tutte le vitamine fossero ammine.

Albert Szent-Györgyi isola una sostanza antiossidante dai peperoni e in seguito dalle arance e dalle ghiandole surrenali di alcuni animali. Chiama tale sostanza dapprima acido esuronico, per poi rinominarla acido ascorbico (vitamina C) quando scopre che la sua carenza è la causa dello scorbuto. Vince per questa scoperta il premio Nobel per la medicina nel 1937

Edward Adelbert Doisy isola e sintetizza la vitamina K, scoperta dieci anni prima dal collega Henrik Dam, con cui condivide il premio Nobel per la medicina nel 1943. Gli studi di Doisy sulla vitamina K permisero di capire la sua importanza per la coagulazione del sangue e il suo uso come farmaco in alcune patologie che interessano tale processo.

I gruppi di ricerca guidati da Karl Folkers e Alexander Todd scoprono l’ultima tra le vitamine a oggi conosciute, la vitamina B12. La particolarità di questa vitamina è di essere l’unica a contenere ioni di cobalto. Si trova principalmente in alimenti di origine animale come carne, pesce, uova e latticini

Linus Pauling ed Ewan Cameron pubblicano uno studio secondo cui assumere alte dosi di vitamina C può aumentare l’aspettativa di vita di pazienti affetti da cancro terminale. Lo studio fu criticato per difetti di metodologia, ma poi ripreso da diversi altri gruppi di ricerca che dimostrarono gli effetti della vitamina C nel trattamento di tumori.

Il gruppo di ricerca guidato da Wafaie Fawzi conduce alcuni studi sul trattamento dell’AIDS con vitamine, scoprendo che la progressione della malattia può essere rallentata con l’uso di integratori vitaminici, in particolare con la vitamina A e altri multivitaminici con vitamine del gruppo B, C ed E

Sir Walter Norman Haworth (premio Nobel per la chimica nel 1937) risale alla struttura molecolare dell’acido ascorbico. In seguito ai suoi studi, fu possibile sintetizzare artificialmente per la prima volta una vitamina con il processo chimico ideato da Tadeus Reichstein, che Haworth contribuì a perfezionare.

Esamina e discuti La vitamina C è la prima vitamina mai prodotta in laboratorio anziché essere estratta dalle piante o dagli animali. Sintetizzare una vitamina artificialmente permette di produrla in quantità maggiori con costi minori. Questo ha avuto grandi impatti in ambito medico e sociale per l’aumentata disponibilità di integratori alimentari e conseguente diminuzione di patologie legate all’ipovitaminosi. L’utilizzo eccessivo e indiscriminato di integratori può, però, causare rischi per la salute. Approfondisci l’argomento e allestisci un dibattito in classe. Qual è il consumo medio di integratori vitaminici nel mondo? E in Italia? Quali sono i rischi legati all’ipervitaminosi?

Approfondisci con il podcast

Sir Walter Norman Haworth

Tema B Understanding Our World With

How to industrially produce a vitamin

During history, industrial vitamin production has been carried out with many methods: starting by extraction from animal and plant sources to fermentation and chemical synthesis. To better understand how industrial vitamin production has changed, a significant example is given by vitamin C, also known as ascorbic acid.

First attempts to scaling-up vitamin production

Vitamin C was first isolated in 1931 by extraction from plant tissues or, in few cases, animals, but the extraction process was still too expensive for scaled-up production. In 1933 the British chemist Sir Norman Haworth developed the first chemical synthesis process, for which he won the Nobel prize in Chemistry in 1937. This method, however, never gained commercial interest due to high costs and low yield. The following year, the Swiss chemist Tadeus Reichstein developed a multi-step process combining microbial fermentation with chemical synthesis 1a : the oxidation of glucose by bacteria followed by chemical reactions enabled high yields, low costs and made the process scalable for industries. In the 1970s, a new production method based almost entirely on microbial fermentation and less chemical steps was patented by a pharmaceutical company.

Biological factories for vitamin production

In recent years, scientists’goal was to produce vitamin C from glucose with high yield, low cost and using only biological synthesis, without chemical reactions afterwords.

The drive to further optimize vitamin C production and overcome this limitation, together with the need to use renewable raw materials, led more recently to develop new optimized microorganisms using new technologies like genetic engineering. Scientists has inserted the genetic instruction to perform the ascorbic acid biosynthetic pathway of the plant Arabidopsis thaliana, which is able to produce vitamin C directly from glucose, inside Escherichia coli bacteria. This modified microorganism can then be cultivated in large-scale plants to produce the desired compound 1b . Although this technology is still experimental and does not guarantee high yields yet, it has since proven to be effective, overcoming the disadvantages of traditional methods.

It’s worth mentioning that these new technologies have inuenced the industrial production of many other biomolecules, useful for medical applications; not only vitamins but proteins and lipids.

CRITICAL THINKING

■ Large-scale availability of vitamins produced industrially has had a significant impact on public health. People can easily access to vitamin supplements that could help prevent diseases like scurvy, pellagra and rickets when a balanced nutrition is not an option. In groups, search information online using reliable sources and write a podcast episode about therapeutical use of a vitamin of your choice.

■ World Health Organization (WHO) perform nutritional surveillance programmes focusing on vitamin A deficiency, which causes about 500 000 cases of blindness in children worldwide. In groups of two to three members, prepare a brief presentation describing the history of vitamin A industrial production, then present it to the class. Search for information online using reliable sources.

■ Vitamins are commonly used as food supplements to make up for deficiencies in the diet. However, these molecules are also useful in other industrial sectors, not only for health and biomedical purposes. Search online, using reliable sources, in which industrial processes vitamins are involved. Prepare a brief presentation to show the information you found and then present it to the class.

1 Ascorbic acid (or vitamin C) production methods: (a) in the past, the Reichstein method was used, which combined chemical reactions and fermentation; (b) nowadays, genetically engineered bacteria are used for direct production via fermentation only.
a)
b) chemical reactions to obtain glucose genetic engineering: insertion of a gene from A. thanliana into E.coli

Tema B Educazione civica

Proteggersi dall’inquinamento con l’alimentazione

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’inquinamento atmosferico determina rischi per la salute umana anche quando una persona è sottoposta a basse concentrazioni di inquinanti. Le polveri sottili e le sostanze nocive presenti nell’aria, oltre ad alcuni comportamenti a rischio come l’assunzione di alcol e fumare, sono tra i principali responsabili della maggior presenza nelle nostre cellule di alcune molecole altamente instabili, i composti reattivi dell’ossigeno (ROS).

Radicali liberi: i nemici invisibili del nostro corpo

I ROS sono molecole che si generano anche fisiologicamente nel nostro organismo come sottoprodotti dei processi di respirazione cellulare. Da un punto di vista chimico, i ROS possono essere di due categorie:

• radicali liberi, cioè composti che possiedono uno o più elettroni di legame spaiati, come il radicale superossido O2 o il radicale idrossilico OH ;

• specie non radicaliche, come ozono e perossido di idrogeno, che non hanno elettroni spaiati ma possono reagire con altre molecole a dare radicali liberi.

I radicali liberi sono molecole molto instabili poiché tendono a reagire con molti composti diversi nel tentativo di recuperare l’elettrone mancante. Di conseguenza, i radicali potrebbero attaccare biomolecole fondamentali per la struttura e le funzioni cellulari, come gli acidi grassi, le proteine e gli acidi nucleici. Inoltre, i radicali liberi provocano reazioni a catena poiché, quando recuperano un elettrone da altre molecole, queste ultime diventano a loro volta instabili e si trasformano

ROS derivanti da processi metabolici cellulari o da inquinanti ambientali e comportamenti a rischio

1 Lo stress ossidativo è il risultato della presenza di maggiori fonti di ROS rispetto alle fonti di antiossidanti, con conseguenti danni alle cellule.

In collaborazione con

in nuovi radicali liberi. La cellula possiede meccanismi di difesa contro piccole quantità di radicali, basati sulle molecole cosiddette antiossidanti; tuttavia, se questo processo a catena non viene arrestato in breve tempo, le difese non sono sufficienti a evitare il danneggiamento delle strutture cellulari. Quando una cellula si trova in questa situazione si parla di “stress ossidativo”, che può portare alla morte cellulare per apoptosi. Lo stress ossidativo è quindi una condizione che deriva dallo squilibrio tra i ROS prodotti e gli antiossidanti capaci di contrastarli all’interno di una cellula 1

L’alimentazione contro lo stress ossidativo

Per proteggerci dall’azione dei radicali liberi causati dall’inquinamento, possiamo aiutare le difese cellulari attraverso l’alimentazione. In particolare, possiamo rafforzare le difese cellulari garantendo un giusto apporto di molecole antiossidanti con la dieta. Alcuni tra gli antiossidanti più noti e comuni sono alcune vitamine: gli alimenti più ricchi di queste sostanze sono la frutta e la verdura.

La vitamina più celebre per le sue proprietà antiossidanti, e non solo, è la vitamina C, la quale svolge un ruolo chiave nella protezione data dal sistema immunitario e nella produzione di collagene, oltre a combattere lo stress ossidativo. Un altro importante antiossidante è la vitamina A (o retinolo), che può essere introdotta nel nostro organismo da alimenti sia di origine animale (fegato, uova, latte e formaggi) sia vegetale (carote e verdura a foglia verde). Infine, ci sono anche altre sostanze che proteggono dallo stress ossidativo come l’acido alfa lipoico o minerali come il selenio e il manganese, anch’essi assumibili con la dieta.

Antiossidanti come vitamine, acido alfa lipoico e minerali da assumere con la dieta

Approfondisci con la sitografia e svolgi l’attività Vitamine in aiuto contro i radicali liberi

STRESS OSSIDATIVO
Danni a strutture e funzioni cellulari come acidi nucleici (mutazioni genetiche), acidi grassi e proteine

Tema B Autoverifica

La chimica della vita

1 Dati i seguenti processi:

1. Fermentazione alcolica

2. Glicolisi

3. Fosforilazione ossidativa

4. Ciclo di Krebs

Quali avvengono esclusivamente all’interno di organelli di cellule eucariote, come per esempio il lievito? solo 1 e 2 solo 1, 3 e 4 solo 1 e 4 solo 2, 3 e 4 solo 3 e 4

(Medicina e odontoiatria, aa 2015-2016)

2 Amido, cellulosa e glicogeno sono: molecole con funzione strutturale e di sostegno costituiti da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto sostanze di riserva presenti nelle cellule animali polimeri del glucosio con diversi livelli di ramificazione sostanze di riserva contenute nelle cellule vegetali

(Veterinaria, aa 2020-2021)

3 Quale tra le seguenti affermazioni sui trigliceridi è corretta?

Possono contenere acidi grassi saturi e insaturi nella stessa molecola

Quelli che contengono solo acidi grassi polinsaturi a catena corta sono generalmente solidi a temperatura ambiente

Si formano per idrolisi da una molecola di glicerolo e tre molecole di acido grasso

Quelli che contengono solo acidi grassi saturi, a parità di lunghezza delle catene carboniose, hanno un punto di fusione più basso di quelli che contengono solo acidi grassi polinsaturi

Gli acidi grassi di uno stesso trigliceride hanno sempre catene carboniose tutte della stessa lunghezza

(Medicina e odontoiatria, aa 2019-2020)

4 Which one of the following is a correct outline of some main events in photosynthesis in a healthy wheat plant?

Light splits water and the resulting hydroxyl group combines with a compound which has reacted with carbon dioxide

Light splits carbon dioxide and the resulting carbon then combines with oxygen and hydrogen obtained from water

Light joins carbon dioxide to an acceptor compound which is then reduced by hydrogen obtained from water

Carbon dioxide combines with an acceptor compound which breaks into two and each is reduced by hydrogen split from water by light

In the presence of light, oxygen reacts with a carbohydrate to produce water and carbon dioxide

(Medicine and surgery, aa 2017-2018)

Svolgi il test in modalità autocorrettiva sul libro digitale

5 La molecola di un trigliceride è costituita da:

tre molecole di glicerolo

tre molecole di glicerolo e tre molecole di un acido grasso

tre molecole di glicerolo e una molecola di acido grasso

una molecola di glicerolo e tre molecole di un acido grasso

una molecola di glicerolo e due di un acido grasso (Veterinaria, aa 2011-2012)

6 Una proteina è dotata di una struttura quaternaria quando:

ha attività catalitica

è formata da due o più catene polipeptidiche associate possiede una struttura quadrimensionale contiene alcuni ponti disolfuro intramolecolari

è formata da almeno quattro catene polipeptidiche associate

(Veterinaria, aa 2009-2010)

7 Quale delle seguenti affermazioni NON è corretta riguardo al glicogeno?

È presente nelle cellule del fegato

È composto da amilosio e amilopectina

È una molecola ramificata

Può essere idrolizzato

Contiene legami glicosidici

8 Durante la glicolisi:

(Medicina e chirurgia, aa 2013-2014)

quattro molecole di ADP sono fosforilate per formare ATP da ogni molecola di glucosio si producono due molecole di fruttosio-1,6-difosfato il fosfoenolpiruvato è convertito in piruvato dall’enzima isomerasi sono necessarie due molecole di glucosio per ottenere una molecola di acido piruvico per ogni molecola di glucosio si produce una molecola di gliceraldeide-3-fosfato

(Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, aa 2019-2020)

9 Quale dei processi elencati non porta alla sintesi di ATP?

Glicolisi

Catena di trasporto degli elettroni

Ciclo di Calvin

Fermentazione lattica del glucosio

Ciclo di Krebs

(Medicina e chirurgia, aa 2020-2021)

10 Nella fosforilazione ossidativa qual è l’accettore finale degli elettroni della catena respiratoria?

(Veterinaria, aa 2019-2020)

CLe tecnologie per la vita

Hai mai sentito parlare di Golden rice e di ingegneria genetica? Scoprirai che attraverso le moderne tecniche di biologia molecolare è possibile modificare il DNA e creare organismi geneticamente modificati. Queste tecniche sono alla base delle biotecnologie.

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Studia nell’U5 i meccanismi di regolazione dell’espressione genica e l’U6 per capire come queste conoscenze sono state sfruttate per sviluppare le moderne tecniche biologia molecolare e le biotecnologie.

Consulta la linea del tempo a pagina 214 e scopri la storia del genome editing, dalla scoperta del primo enzima di restrizione nel 1968, allo sviluppo del sistema CRISPR/Cas9 nel 2012 e alla sua prima applicazione in ambito medico nel 2024.

Lo sviluppo di tecniche come la terapia genica e l’ingegneria genetica ha permesso di trovare la cura ad alcune malattie geniche. Nel tempo sono state sviluppate tecniche sempre più precise e terapie sempre più avanzate. Rifletti con le proposte a pagina 216.

Che cosa sono le piante GM? Qual è il loro impatto sulla biodiversità? Esplora quali sono le principali piante GM e quali conseguenze ha la loro coltivazione sull’ambiente. Informati con la scheda a pagina 217.

Leggi una sintesi dei contenuti anche nelle altre lingue che stai studiando

CLIL

I geni e la loro regolazione 5

5.1 Due gemelli omozigoti hanno lo stesso genoma e sono detti identici. Tuttavia anche i gemelli differiscono per alcune caratteristiche, come le impronte digitali, perché dipendono anche dall’interazione con l’ambiente.

5.1 Organizzazione e replicazione del DNA

Come abbiamo visto nell’Unità 3, l’informazione genetica è conservata nel genoma. In particolare, una parte del DNA di ogni organismo è organizzata in unità discrete dette geni.

Un gene è un tratto di DNA che contiene le informazioni per sintetizzare un polipeptide (come una proteina o una sua parte) o un filamento di RNA.

Uno stesso gene può presentarsi in diverse forme dette varianti alleliche. L’insieme degli alleli di un individuo è detto genotipo. Sulla base delle informazioni fornite dal genotipo sono create tutte le strutture caratteristiche di un vivente, come le proteine che costituiscono i tessuti e gli enzimi che regolano il metabolismo. Le caratteristiche fisiche osservabili in un organismo costituiscono, invece, il fenotipo. Il fenotipo non è il semplice prodotto del genotipo, ma è influenzato da altri fattori, come l’interazione tra più geni, le influenze dell’ambiente esterno e anche eventi casuali avvenuti durante lo sviluppo 5.1 . Nelle cellule procariotiche, come i batteri, il genoma consiste in un’unica molecola circolare dispersa nel citoplasma, detta nucleoide perché svolge una funzione analoga al nucleo degli eucarioti ma non è circoscritta da membrana. In alcuni batteri sono presenti anche piccole molecole di DNA circolare, chiamate plasmidi, che conferiscono determinate caratteristiche aggiuntive. Negli eucarioti, la lunghezza e la complessità del genoma richiedono degli accorgimenti ulteriori. Il DNA non è presente sotto forma di un’unica molecola, ma è suddiviso in più molecole lineari, i cromosomi. Ogni cromosoma è costituito, oltre che dal DNA, anche da alcune proteine dette istoni; Il DNA si avvolge intorno agli istoni formando i nucleosomi. DNA e istoni, nel loro insieme, costituiscono la cromatina. La cromatina si avvolge a formare filamenti a diverso grado di impacchettamento, che nel complesso costituiscono i cromosomi 5.2 .

5.2 La cromatina può avvolgersi su se stessa dando origine a strutture più compatte come le fibre da 10 nm e da 30 nm, fino ad arrivare a fibre da 500-700 nm.

Risposta breve

1. Che cosa si intende per fenotipo?

2. Che tipo di molecole sono gli istoni?

3. Che cosa sono i plasmidi?

La conservazione della memoria genetica passa anche attraverso la replicazione (o duplicazione) del DNA, processo che si verifica prima della riproduzione cellulare.

Per poter originare delle cellule figlie, tutto il DNA deve essere duplicato in maniera completa (non deve essere tralasciata alcuna parte) e fedele (la copia deve essere identica all’originale). Per farlo, la cellula ricorre al meccanismo descritto dal modello semiconservativo: a ogni nuova sintesi, ognuno dei due filamenti originali funge da stampo per la produzione di un filamento complementare.

Questo modello di replicazione permette di tramandare, di generazione in generazione, le informazioni contenute nel DNA nella maniera più fedele possibile limitando al minimo gli errori di copiatura.

Un tratto di DNA in cui si innesca, procede e termina la replicazione è detto replicone

Durante la replicazione, i due filamenti stampo sono separati, originando la forcella di replicazione. I due nuovi filamenti sono poi sintetizzati dall’enzima DNA polimerasi, che legge la sequenza di basi del filamento stampo e inserisce i nucleotidi complementari.

La DNA polimerasi presenta due caratteristiche importanti: necessita di un breve innesco di RNA detto primer per poter iniziare la sintesi e sintetizza il nuovo filamento sempre in direzione 5′ → 3′ .

Il modello semiconservativo prevede che la replicazione del DNA proceda in contemporanea su entrambi i filamenti stampo. Tuttavia, i due filamenti sono antiparalleli e questo impone delle differenze nella loro replicazione 5.3

 Su un filamento, la DNA polimerasi si muove nella stessa direzione della forcella di replicazione; la sintesi del filamento complementare (detto filamento veloce o leading strand) avviene quindi in modo continuativo.

 Sull’altro filamento, la direzione di sintesi è opposta rispetto a quella della forcella e il filamento nascente (detto filamento lento o lagging strand) è sintetizzato in maniera discontinua. I frammenti di DNA complementare prodotti dalla DNA polimerasi sono chiamati frammenti di Okazaki, dal nome dello scopritore. In una fase successiva, i primer a RNA sono sostituiti da DNA e i frammenti di Okazaki sono saldati in un unico pezzo.

Duplicazione del DNA

Risposta breve

1. Che cos’è un primer?

2. Qual è la differenza tra la sintesi del filamento lento e del filamento veloce?

DNA polimerasi

lento filamento veloce frammento di Okazaki

5.3 Replicazione del DNA.

5.4 Schema del trasferimento dell’informazione genetica in una cellula eucariotica.

In quale ordine sono aggiunti i nucleotidi durante la replicazione della seguente porzione di DNA?

5′ – A-G-T-T-A-G – 3′ 3′ – T-C-A-A-T-C – 5′

Utilizza le conoscenze

La replicazione del DNA avviene in modo semiconservativo. Ognuno dei due filamenti funge da stampo per un nuovo filamento. La replicazione, inoltre, procede sempre dall’estremità 5′ del nuovo filamento verso quella 3′ .

Progetta la strategia

Per ogni nucleotide di ciascun filamento, dovrai trovare il nucleotide complementare. La DNA polimerasi aggiunge i nuovi nucleotidi in direzione 5′ → 3′, quindi si muove in direzione contraria sul filamento stampo.

Applica la strategia

Per il primo filamento, la replicazione procede da destra verso sinistra, a partire dalla guanina, il cui nucleotide complementare è la citosina (C) che è quindi la prima a essere aggiunta. Poi è aggiunto il nucleotide complementare della adenina, cioè la timina (T). Si continua così per produrre il filamento complementare: 5′ – C-T-A-A-C-T – 3′ . Lo stesso avviene per il secondo filamento, ma procedendo da sinistra verso destra. Alla timina iniziale corrisponde una adenina (A), alla citosina una guanina (G) e così via, fino a produrre il filamento complementare 5′ – A-G-T-T-A-G – 3′ .

Rifletti sul risultato

Ogni filamento di nuova sintesi è complementare al filamento che ha fatto da stampo. Così le due nuove doppie eliche sono identiche all’originale.

5.2 L’espressione genica: trascrizione e traduzione

L’informazione genetica codificata dal DNA sotto forma di sequenza di basi azotate serve a produrre RNA e proteine. Il processo che porta alla formazione di questi prodotti è detto nel suo complesso espressione genica 5.4 . La sintesi di un filamento di RNA avviene attraverso la trascrizione, durante la quale l’informazione contenuta in una porzione di DNA è ricopiata in un filamento complementare di RNA a opera dell’enzima RNA polimerasi. A una sequenza ACGAGT sul DNA corrisponderà quindi una sequenza complementare UGCUCA sul filamento di RNA, poiché in questo acido nucleico la base azotata complementare all’adenina non è la timina ma l’uracile. Come la replicazione del DNA, anche la trascrizione procede in direzione di sintesi 5′ → 3′ . Il processo di trascrizione dà origine a diversi tipi di RNA. Alcuni, come il tRNA e l’RNA ribosomiale (rRNA), hanno un impiego diretto nella cellula. La sintesi di un filamento di RNA messaggero (mRNA) è invece il primo passo per la sintesi di un polipeptide. Durante la traduzione, infatti, la sequenza di basi dell’mRNA è convertita in una corrispondente sequenza di amminoacidi. La traduzione avviene grazie a strutture subcellulari dette ribosomi, costituite da proteine e rRNA, ed è coadiuvata dal tRNA; procede lungo l’RNA messaggero in direzione 5′ → 3′. Negli eucarioti, la traduzione non può utilizzare direttamente il filamento di mRNA appena sintetizzato (detto pre-mRNA); prima, questo deve andare incontro a una serie di modificazioni che lo trasformano in mRNA maturo.

La traduzione si basa sul codice genetico per la corrispondenza tra la sequenza di basi del DNA (e dell’RNA) e la sequenza di amminoacidi di un polipeptide. Dato che esistono solo quattro tipi di nucleotidi a fronte di venti amminoacidi, è necessario impiegare più nucleotidi per codificare un singolo amminoacido. Infatti, ogni amminoacido è codificato da una sequenza di tre nucleotidi, detta tripletta o codone 5.5 . L’utilizzo di quattro basi in sequenze di tre elementi fornisce 64 (43) possibili combinazioni differenti. Gli amminoacidi presenti nelle proteine sono solo venti: esistono quindi più codoni che codificano per lo stesso amminoacido. Solo la metionina e il triptofano sono specificati da un solo codone, rispettivamente AUG (che è anche il più comune codone di inizio della traduzione) e UCG. I codoni UAA, UAG e UGA non codificano per alcun amminoacido ma indicano la fine della traduzione e sono quindi detti codoni di stop.

PROBLEMA GUIDATO

Qual è la sequenza amminoacidica prodotta a partire dal seguente filamento di DNA?

3′–G-A-T-T-G-T-C-T-G-T-T-A–5′

Utilizza le conoscenze

La sintesi di un polipeptide a partire dall’informazione genetica nel DNA passa prima per la trascrizione di un mRNA e poi per la traduzione in amminoacidi.

Progetta la strategia

La trascrizione comincia dal terminale 3′ del filamento stampo per produrre un filamento complementare nel quale, però, al posto della timina si ritrova l’uracile (U).

Per trovare la corrispondenza dei codoni in amminoacidi dovrai consultare la 5.5 .

Applica la strategia

La trascrizione procede da sinistra verso destra. Alla guanina iniziale corrisponde una citosina (C), alla adenina un uracile (U), continuando così per produrre il filamento di RNA complementare 5′–C-U-A-A-C-A-G-A-C-A-A-U–3′

Consultando il codice descritto in 5.5 , troverai che il primo codone, CUA, corrisponde all’amminoacido leucina (Leu); il secondo codone, ACA, corrisponde invece all’amminoacido treonina (Thr); il terzo codone, GAC, all’acido aspartico (Asp); il quarto, AAU, alla asparagina (Asn). La sequenza amminoacidica ottenuta sarà quindi: Leu-Thr-Asp-Asn.

Rifletti sul risultato

Il filamento di DNA originale contiene dodici nucleotidi (così come anche il filamento di RNA). La sequenza amminoacidica corrispondente, invece, è composta da quattro amminoacidi.

Affinché il codice sia rispettato, una porzione di DNA codificante deve contenere un numero di nucleotidi divisibile per tre (la lunghezza di un codone), solo in questo modo il numero di nucleotidi corrisponderà a un numero intero di amminoacidi nel polipeptide prodotto. Infatti: 12/3 = 4.

La regolazione dell’espressione genica

Ogni passo del processo di espressione genica è sottoposto a una regolazione molto fine da parte della cellula. Ciò permette di differenziare, come forma e funzioni, le cellule appartenenti a tessuti diversi ma caratterizzate dallo stesso identico genoma. Inoltre, questa strategia consente alla cellula di risparmiare energia, evitando di produrre proteine che non sono necessarie 5.6 Alcuni geni sono espressi in maniera costante da tutte le cellule di un organismo per garantire il corretto funzionamento cellulare (geni costitutivi); altri, invece, possono essere più o meno espressi a seconda degli stimoli ricevuti dalla cellula. Questi geni possono essere classificati in:  inducibili se la loro espressione è stimolata da un segnale molecolare;  reprimibili se, al contrario, la loro espressione può essere inibita.

Le modalità specifiche differiscono tra procarioti ed eucarioti.

5.5 Procedendo dall’interno all’esterno del cerchio, è possibile scegliere le tre basi che costituiscono un codone e individuare l’amminoacido corrispondente.

1. Che tipo di molecola è sintetizzata durante la trascrizione?

2. Come è codificata l’informazione in un codone? Risposta breve

5.6 La variazione della colorazione delle piume delle pernici (a) in estate e (b) in inverno è il risultato di una differente espressione genica in risposta all’ambiente.

Il codice genetico
VIDEO

La regolazione dell’espressione genica

Ricorda

Il lattosio è un disaccaride mentre il glucosio è un monosaccaride. Hai già incontrato questa classificazione dei carboidrati nell’Unità 3.

5.3 La regolazione dell’espressione genica nei procarioti

Nei procarioti, la regolazione dell’espressione genica avviene a vari livelli.

 Controllo trascrizionale: regola la frequenza con cui un gene è trascritto in un filamento di RNA.

 Controllo post-trascrizionale: sono apportate modifiche al filamento di RNA sintetizzato.

 Controllo traduzionale: regola la traduzione dell’mRNA in polipeptide.

 Controllo post-traduzionale: esercita il suo effetto sul polipeptide sintetizzato modificandolo in alcuni punti o eliminandolo prima che diventi una proteina funzionale.

Tutti i meccanismi possono cooperare nella regolazione complessiva, ma quello più importante è senza dubbio il controllo della trascrizione. Infatti, è l’unico che garantisce che la cellula non sintetizzi molecole superflue ed è pertanto il sistema di controllo più efficiente dal punto di vista energetico, nonché il più studiato dalla comunità scientifica.

Il modello dell’operone

La regolazione della trascrizione nei procarioti si basa sul modello dell’operone. Un operone è una porzione di DNA che presenta sempre i seguenti elementi.

 Un promotore, sul quale si lega la RNA polimerasi. Nella maggior parte dei promotori batterici sono presenti due sequenze specifiche di sei nucleotidi, dette rispettivamente sequenza -10 e sequenza -35 poiché si trovano a circa 10 e 35 nucleotidi a monte del punto di inizio della trascrizione.

 Un operatore, cioè una sequenza di DNA in grado di legare una proteina, detta repressore, che impedisce l’interazione della RNA polimerasi con il promotore. L’operatore è spesso posizionato all’interno del promotore.

 Uno o più geni strutturali, che codificano per enzimi coinvolti in un particolare aspetto del metabolismo.

 Un terminatore, che segnala alla RNA polimerasi di interrompere la propria attività e di distaccarsi dal filamento di DNA stampo.

L’operone lac

La struttura dell’operone permette di regolare contemporaneamente più geni che sono coinvolti nello stesso processo metabolico. L’operone lac (dall’inglese lactose), per esempio, determina la capacità di metabolizzare il lattosio nel batterio Escherichia coli 5.7

L’operone lac è costituito da:

 una regione di controllo, che serve per la regolazione dell’espressione genica e dove sono presenti il promotore (P) e l’operatore (O);

 una regione di codifica, contenente i geni lacZ, lacY e lacA che codificano rispettivamente per gli enzimi β-galattosidasi, permeasi e trans-acetilasi necessari per metabolizzare il lattosio al fine di ricavarne energia.

5.7 Struttura dell’operone lac

Quando non vi è lattosio disponibile nell’ambiente, E. coli evita di sintetizzare gli enzimi necessari per il suo metabolismo: una proteina specifica, detta repressore, si lega all’operatore impedendo il legame della RNA polimerasi al promotore 5.8a , con il risultato che non è possibile avviare la trascrizione dei geni presenti nell’operone. Questo è un esempio di regolazione negativa, nella quale una proteina interagisce direttamente con il genoma per spegnere l’espressione di uno o più geni.

Se nell’ambiente sono presenti molecole di lattosio, queste, una volta entrate nella cellula, sono trasformate in allolattosio, che lega il repressore. La formazione di questo legame fa distaccare il repressore dall’operatore rendendo possibile l’aggancio della RNA polimerasi al promotore 5.8b . L’allolattosio è detto induttore, perché è in grado di indurre l’espressione genica.

Un secondo meccanismo di regolazione della trascrizione dell’operone lac agisce sulla velocità di trascrizione in presenza di lattosio, rallentandola o accelerandola a seconda dei casi. In E. coli, il metabolismo del glucosio è preferito a quello del lattosio, dato che è più rapido ed efficiente. Infatti, il glucosio è assorbito più velocemente attraverso la parete cellulare e inoltre può essere impiegato direttamente, mentre il lattosio, essendo un disaccaride, deve prima essere scisso nei suoi componenti, glucosio e galattosio. Pertanto, l’espressione dell’operone lac deve essere accelerata solo quando il glucosio scarseggia. In assenza di glucosio da metabolizzare, nella cellula si accumula AMP ciclico (cAMP), una molecola che funge da segnale di carenza energetica. Questa molecola si lega a un’ulteriore proteina detta attivatore promuovendone il legame con una porzione del DNA vicino al promotore. La presenza dell’attivatore facilita l’attacco della RNA polimerasi e quindi la trascrizione decorre a velocità maggiore 5.8c . Si parla in questo caso di regolazione positiva.

polimerasi

(allolattosio)

5.8 (a) Il repressore impedisce l’attacco della RNA polimerasi al promotore, inibendo così la trascrizione. (b) Il legame dell’allolattosio al repressore ne favorisce il distacco dall’operatore e permette l’attacco della RNA polimerasi sul promotore. (c) L’interazione del cAMP con l’attivatore ne favorisce il legame vicino al promotore, facilitando così l’attacco della RNA polimerasi.

5.9 Possiamo paragonare i due meccanismi di regolazione dell'operone lac al tasto di accensione/spegnimento di un computer e a quelli di regolazione del volume.

5.10 (a) In assenza di triptofano, il repressore non lega l’operatore e i geni sono trascritti. (b) Il legame del triptofano al repressore ne favorisce l’attacco all’operatore e inibisce la trascrizione.

La combinazione di questi due meccanismi permette una regolazione davvero fine dell’espressione dell’operone lac 5.9

 La regolazione negativa a opera del repressore/induttore attiva l’espressione solo in presenza di lattosio. Si comporta come il tasto power di un computer che può essere acceso o spento.

 La regolazione positiva a opera dell’attivatore/cAMP accelera l’espressione solo in assenza di glucosio. Si comporta come il controllo del volume: può aumentare o diminuire, ma per funzionare il computer deve essere acceso.

accensione/spegnimento regolazione negativa

volume regolazione positiva

1. Che cos’è un operone?

2. Qual è il ruolo del lattosio nel meccanismo di regolazione dell’operone lac in E. coli?

3. Qual è la differenza tra un operone inducibile e uno reprimibile?

L’operone trp

L’operone lac è detto inducibile, perché in condizioni normali la sua attività è repressa e solo la presenza di un induttore (l’allolattosio) ne determina la trascrizione. Quando invece un operone è normalmente espresso ma la presenza di una determinata sostanza ne blocca la trascrizione, allora si parla di un operone reprimibile. Un esempio di operone reprimibile è l’operone trp, che regola la produzione di enzimi per la sintesi del triptofano. Analogamente all’operone lac, anche questo operone presenta una regione di codifica (dove sono presenti cinque geni che codificano per altrettanti enzimi) e una regione di controllo (contenente il promotore e l’operatore). In condizioni normali, il repressore non è in grado di legare l’operatore e la trascrizione procede senza impedimenti, permettendo la sintesi del triptofano 5.10a . Quando c’è abbondanza di questo amminoacido, però, la sua sintesi costituisce un inutile dispendio di energia. Perciò, quando è presente ad alte concentrazioni, il triptofano si lega al repressore, inducendo una transizione conformazionale che facilita il suo legame sull’operatore 5.10b . Si dice in questo caso che il triptofano si comporta da co-repressore.

Risposta breve

5.4 La regolazione dell’espressione genica negli eucarioti

Gli eucarioti pluricellulari sono costituiti da cellule e tessuti diversi che svolgono funzioni differenti, ma in cui tutte le cellule hanno lo stesso genoma, in quanto provenienti da un’unica cellula iniziale: lo zigote 5.11 . Da quest’unica cellula si generano per mitosi cellule che, nelle prime divisioni, risultano morfologicamente uguali; in seguito, in fasi successive dello sviluppo embrionale, le cellule iniziano a specializzarsi.

La regolazione dell’espressione genica è una buona spiegazione, anche se non esaustiva, del fenomeno del differenziamento cellulare: l’espressione di alcuni geni rispetto ad altri fa sì che una cellula acquisisca le caratteristiche di un particolare tipo rispetto a un altro.

La maggiore complessità del processo dell’espressione genica negli eucarioti porta anche a più possibilità di regolazione da parte della cellula 5.12 .

1. Controllo pre-trascrizionale: regola la capacità del DNA di essere trascritto alterando lo stato di impacchettamento della cromatina.

2. Controllo trascrizionale: per mezzo dei fattori di trascrizione, è stimolata o inibita la sintesi dell’RNA.

3. Controllo della maturazione dell’RNA: regola la velocità e le modalità con le quali si forma l’mRNA maturo a partire dal pre-mRNA.

4. Controllo del trasporto: regola il processo di trasferimento dell’mRNA dal nucleo, dove è stato sintetizzato, al citoplasma, dove si trovano i ribosomi.

5. Controllo traduzionale: regola la traduzione dell’mRNA nel citoplasma.

6. Controllo post-traduzionale: regola la modificazione o l’eliminazione del polipeptide.

Come nelle cellule procariotiche, anche nelle cellule eucariotiche la regolazione più efficiente dal punto di vista energetico avviene a monte della trascrizione. Tuttavia, negli eucarioti anche gli altri metodi di regolazione rivestono un ruolo importante. Una delle ragioni è che nei procarioti un filamento di mRNA è degradato molto velocemente, se non è impiegato. Negli eucarioti, invece, l’mRNA può essere accumulato per essere poi tradotto solo successivamente, quando è necessaria la sintesi della specifica proteina.

5.12 La regolazione dell’espressione genica negli eucarioti avviene in diversi punti.

5.11 Embrione umano ai primissimi stadi di sviluppo.
30 μm SEM (falsi colori)

Controllo pre-trascrizionale

Come abbiamo visto, negli eucarioti il DNA si trova avvolto con gli istoni a formare la cromatina. Quando la cromatina è impacchettata molto densamente, il filamento di DNA non è accessibile e non può quindi essere trascritto. Al contrario, le porzioni di DNA meno condensate sono più accessibili e sono quindi trascritte più facilmente. È possibile distinguere:

 eucromatina, a basso grado di impacchettamento, in cui i geni presenti sono accessibili e possono essere espressi con relativa facilità;

 eterocromatina, ad alto grado di impacchettamento, in cui i geni presenti non possono essere espressi.

Le cellule possono modulare il grado di condensazione della cromatina ricorrendo a due processi: la modificazione delle proteine istoniche e la metilazione del DNA 5.13 . Questi processi sono oggetto di studio dell’epigenetica, che si occupa di come i fattori ambientali possano influenzare l’espressione genica senza però modificare la sequenza del DNA.

5.13 Il controllo epigenetico dell’espressione genica sfrutta la modificazione degli istoni (acetilazione e metilazione) e la metilazione del DNA.

La modificazione degli istoni Alcuni enzimi possono modificare chimicamente gli istoni, aggiungendo (o eliminando) gruppi acetile o metile.

L’acetilazione avviene a livello dei residui di lisina presenti all’estremità N-terminale degli istoni. In questo modo, è diminuita l’affinità tra la lisina (carica positivamente) e i gruppi fosfato del DNA (carichi negativamente) e la cromatina assume quindi una conformazione più rilassata. Ne consegue che un tratto di cromatina i cui gli istoni sono acetilati è meno compatto; viceversa, un segmento di DNA con gli istoni deacetilati è più chiuso e meno accessibile alla RNA polimerasi. La quantità di gruppi acetile legati agli istoni è regolata dagli enzimi istone acetiltransferasi e istone deacetilasi. In modo analogo, la metilazione degli istoni è promossa da una specifica famiglia di enzimi, noti come istone metiltransferasi. L’effetto della metilazione dipende dal contesto in cui avviene e il risultato può essere sia la promozione sia l’inibizione dell’espressione di uno o più geni. I gruppi metile possono essere rimossi dagli enzimi istone demetilasi.

acetilazione dell’istone istone cromosoma
metilazione dell’istone
metilazione della citosina

La metilazione del DNA

Un’ulteriore forma di regolazione pre-trascrizionale è rappresentata dalla metilazione del DNA e, in particolare, della citosina a dare 5-metilcitosina 5.14 .

Questa modificazione epigenetica regola l’espressione genica inibendo l’interazione tra il DNA e le proteine che favoriscono la trascrizione e stimolando il legame di alcuni repressori. Generalmente, la metilazione si verifica in porzioni di DNA ricche di doppiette CG, note con il nome di isole CpG.

Controllo trascrizionale

Contrariamente a quanto ritenuto fino a pochi anni fa, il modello dell’operone è presente anche negli eucarioti. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la regolazione della trascrizione non funziona seguendo questo modello. Infatti, i geni coinvolti negli stessi aspetti del metabolismo possono trovarsi anche a grande distanza tra loro, persino su cromosomi differenti. Ciononostante, tutti i geni impiegati in una particolare via metabolica sono regolati in maniera concertata dallo stesso insieme di proteine, dette fattori di trascrizione.

I fattori di trascrizione sono un gruppo di proteine che interagiscono con il DNA e regolano la trascrizione.

I fattori di trascrizione possono legare diverse porzioni del genoma, regolando l’espressione di più geni in contemporanea. Lo stesso fattore può avere effetti differenti (stimolando o inibendo la trascrizione) a seconda del gene. Un tipico gene eucariotico è dotato di un promotore nel quale è presente una sequenza nota come TATA box (ricca di timina e adenina), posizionata circa 25 nucleotidi a monte del punto di inizio della trascrizione. La trascrizione inizia con il legame della proteina TBP (TATA binding protein) alla TATA box. Successivamente, altri fattori di trascrizione si legano al DNA adiacente alla TATA box e infine la RNA polimerasi si lega al complesso di trascrizione così creato.

A differenza dei procarioti, negli eucarioti esistono spesso delle sequenze regolatrici che possono essere molto distanti dal punto di inizio della trascrizione (promotore “esteso”).

Queste sequenze, che sono coinvolte nella regolazione delle prime fasi della trascrizione, sono dette enhancer o silencer a seconda del ruolo svolto: le prime interagiscono con delle proteine dette attivatori e promuovono l’espressione del gene; le seconde legano delle proteine dette repressori e lo silenziano. Le sequenze regolatrici possono esplicare la loro funzione anche a grande distanza dal promotore grazie al ripiegamento del DNA, che è in grado di formare delle anse e portare queste sequenze in prossimità del promotore stabilizzando il legame delle proteine che formano il complesso di trascrizione 5.15 .

Controllo della maturazione e del trasporto

Negli eucarioti, l’RNA prodotto dalla trascrizione (trascritto primario o pre-mRNA) non è pronto per essere tradotto in un polipeptide, ma deve andare incontro a un processo detto maturazione. Una peculiarità dei geni eucariotici è di essere geni “interrotti”: ogni gene presenta delle sequenze codificanti, chiamate esoni, e delle sequenze non codificanti, chiamate introni. Dato che la trascrizione non distingue tra esoni e introni, il filamento di pre-mRNA contiene sia gli uni sia gli altri. Successivamente, il pre-mRNA va incontro al processo di splicing durante il quale gli introni sono rimossi e gli esoni sono saldati insieme in un filamento di mRNA continuo e codificante.

5.14 5-metilcitosina.

promotore esteso TATA box

DNA

fattori di trascrizione

RNA polimerasi

5.15 Il funzionamento di un promotore esteso è reso possibile dalla formazione di anse che permettono l’avvicinamento delle sequenze regolatrici.

Risposta breve

1. Quali sono i principali metodi di controllo pre-trascrizionale negli eucarioti?

2. In che cosa consiste una TATA box e qual è il suo ruolo?

3. Dove può trovarsi una sequenza regolatrice, rispetto al gene?

La scoperta degli introni

5.16 La formazione dello spliceosoma permette la rimozione degli introni dal pre-RNA.

Lo splicing avviene grazie all’azione di alcuni complessi di proteine e RNA detti snRNP (small nuclear ribonucleoproteins). Le snRNP riconoscono le sequenze di RNA alle estremità di un introne e si legano, formando una struttura detta spliceosoma, che taglia le estremità degli introni unendole agli esoni rimasti 5.16 . L’introne separato dal pre-RNA è poi degradato.

1

5.17 Splicing alternativo di uno stesso trascritto primario. Da questo pre-mRNA a tre esoni e due introni è possibile ottenere sei diversi mRNA (e di conseguenza, sei polipeptidi).

Il processo di splicing è un altro importante punto di regolazione dell’espressione genica a opera di specifiche proteine regolatrici. Inoltre, esistono diversi tipi di snRNP in grado di riconoscere sequenze differenti sui diversi introni. Di conseguenza, a seconda di quanti e quali introni sono rimossi e di quali esoni sono considerati, da un solo gene possono originare diversi mRNA maturi.

Il processo di splicing che da un solo pre-mRNA porta a più trascritti maturi si chiama splicing alternativo 5.17 .

1

2 esone 3

Quale tipo di splicing sia effettuato in una cellula dipende dal particolare stadio di sviluppo in cui si trova o dal tipo di cellula o tessuto. Un esempio di splicing alternativo si osserva nella sintesi della fibronectina, una proteina presente sia nella matrice extracellulare sia nel plasma sanguigno. La fibronectina prodotta dai fibroblasti e destinata alla matrice cellulare è sintetizzata a partire da un mRNA che contiene due esoni in più rispetto a quello della fibronectina prodotta dalle cellule del fegato e rilasciata nel sangue. Il gene è lo stesso, così come il trascritto primario, ma nel primo caso durante lo splicing sono mantenuti due esoni che invece sono eliminati nel secondo caso.

Prima che l’mRNA sia considerato maturo deve essere sottoposto a due ulteriori modificazioni volte ad aumentare la stabilità del trascritto, ovvero l’aggiunta di:  una guanosina trifosfato metilata all’estremità 5′ (cappuccio 5′ o 5′ cap);  una lunga sequenza di adenosine all’estremità 3′ (coda poliadenilata). Un’ulteriore azione regolatrice riguarda il trasporto dell’mRNA dal nucleo al citoplasma. L’aggiunta della coda poliadenilata è necessaria affinché l’mRNA esca dal nucleo per poi raggiungere i ribosomi nel citoplasma ed essere tradotto. La presenza della coda poliadenilata è importante anche per la stabilità dell’mRNA. Quando quest’ultimo lascia il nucleo, in genere comprende una coda di circa 200 residui di adenosina. Tuttavia, nel citoplasma la coda è continuamente accorciata dall’enzima deadenilasi. Quando la coda diventa molto corta, l’mRNA viene degradato. Un mRNA con una coda poliadenilata più lunga rimane quindi più a lungo nel citoplasma ed è tradotto più volte.

Controllo traduzionale e post-traduzionale

La regolazione della traduzione è affidata a proteine che si legano agli mRNA e ne impediscono il legame con i ribosomi, funzionando così da repressori traduzionali. In alcuni casi, come per esempio nella sintesi della tubulina, è la proteina stessa che, se prodotta in eccesso, va a legarsi al suo stesso mRNA impedendone l’ulteriore traduzione.

miRNA

Le proteine non sono le uniche molecole in grado di interagire con l’RNA messaggero per regolarne la traduzione. Dei corti filamenti di RNA detti microRNA (miRNA) sono in grado di legarsi a porzioni di mRNA con sequenza complementare: quando si verifica l’appaiamento delle basi, la traduzione è impedita e in genere l’RNA è degradato 5.18 . I miRNA sono prodotti a partire da un filamento di RNA più lungo, dotato di due porzioni complementari che, appaiandosi, conducono alla formazione di una struttura a “forcina”. Questo RNA è tagliato una prima volta nel nucleo e in seguito è trasferito nel citoplasma, dove una ribonucleasi detta Dicer taglia la forcina lasciando un pezzetto di RNA a singolo filamento (tipicamente costituito da 21-23 nucleotidi) che costituisce il miRNA maturo. Questo si associa a varie proteine, tra cui una nota come argonauta, per formare un complesso chiamato RISC (RNA-induced silencing complex) 5.19 .

5.18 Per la scoperta dei microRNA (o miRNA) e le loro applicazioni in ambito biomedico, gli scienziati Victor Ambros e Gary Ruvkun hanno vinto il premio Nobel per la medicina nel 2024.

Ricorda

Le ribonucleasi sono un gruppo di enzimi che hanno la funzione di degradare l’RNA.

5.19 La sintesi e l’azione dei miRNA.

Risposta breve

1. Di che cosa si occupa l’epigenetica?

2. A che cosa serve lo splicing alternativo?

3. Che cosa sono i miRNA?

5.20 Il virus del mosaico del tabacco causa la formazione di macchie gialle sulle foglie delle piante di tabacco ma anche di altre piante come il pomodoro e la vite. È stato tra i primi virus a essere studiati.

siRNA

Molte delle proteine impiegate nella regolazione tramite miRNA possono anche essere utilizzate come meccanismo di difesa contro molecole di RNA a doppio filamento, in genere provenienti da virus. La presenza di RNA a doppio filamento attiva Dicer, che taglia l’RNA esogeno in piccoli frammenti di RNA a singolo filamento detti siRNA (short interfering RNA), di lunghezza simile a quella dei miRNA. Tramite il complesso RISC, il siRNA lega l’mRNA virale inibendone la traduzione e promuovendone la degradazione.

Modificazioni post-traduzionali e degradazione

Una volta sintetizzato il polipeptide, questo può subire altre modificazioni, prima di diventare una proteina funzionale, come l’aggiunta di gruppi fosforici o di glucidi. La presenza di ulteriori molecole regolatrici nella cellula può impedire o ritardare questi processi regolando l’attività dei relativi enzimi. Infine, un ulteriore livello di regolazione riguarda la stabilità delle proteine stesse. Esistono proteine, come quelle coinvolte nella glicolisi, molto longeve e che permangono intatte per settimane o mesi. Altre proteine, invece, come quelle con scopi di regolazione, possono sopravvivere per pochi minuti. Uno dei fattori determinanti sembra essere la natura dell’amminoacido N-terminale: polipeptidi che terminano con arginina o lisina hanno tipicamente una vita piuttosto breve. Inoltre, la fosforilazione di certi particolari residui può essere un segnale per la cellula che quella proteina va degradata. Un altro segnale importante è costituito dalla ubiquitina, una proteina altamente conservata che ricopre vari ruoli nei processi metabolici. Quando è necessario rimuovere una proteina, l’enzima ubiquitina ligasi lega una coda di poliubiquitina a un residuo di lisina presente sulla catena polipeptidica. In questo modo essa è riconosciuta dagli enzimi preposti alla sua distruzione.

5.5 I virus

A volte, il metabolismo di una cellula può essere “dirottato” affinché esprima dei geni che non le appartengono; questo succede quando la cellula è infettata da un virus. I virus costituiscono un caso speciale nel panorama della biologia: essi sono considerati “al limite della vita”, poiché non possiedono tutte le caratteristiche che contraddistinguono gli esseri viventi (non sono costituiti da cellule, non hanno un metabolismo proprio, non sono in grado di riprodursi autonomamente). Proprio perché non sono in grado di riprodursi in maniera indipendente, i virus devono sfruttare la macchina metabolica di una cellula ospite per portare a termine la loro riproduzione. Per questo motivo i virus sono dei parassiti endocellulari obbligati.

I virus sono microscopici agenti infettivi costituiti da un involucro proteico contenente un acido nucleico.

Nonostante la loro semplicità, i virus hanno effetti molto importanti dal punto di vista biologico e medico, dato che essi sono presenti praticamente in ogni ambito ecologico e possono presentarsi all’interno di ogni tipo di organismo 5.20 . Molti sono all’origine di malattie anche gravi. Ogni virus può riprodursi solamente in alcuni tipi di cellule. Quelli che infettano i batteri sono detti batteriofagi, o anche semplicemente fagi, mentre quelli che infettano le cellule eucariotiche sono detti virus eucariotici

Struttura dei virus

Una singola particella virale è detta virione. A seconda del tipo di virus, i virioni hanno dimensioni e forme molto diverse: i più piccoli possono avere diametri di poche decine di nanometri, mentre i più grandi, come nel caso del virus ebola, arrivano quasi a 1 μm.

Pur nella loro varietà, i virus hanno tutti la stessa struttura di base.

 Un genoma di piccole dimensioni costituito da un acido nucleico. Esistono virus che contengono DNA e virus che contengono RNA, ma non esistono virus che li contengano entrambi. Sia il DNA sia l’RNA, a seconda dei casi, possono essere a singolo o a doppio filamento, lineari o circolari.

 Una struttura proteica che racchiude l’acido nucleico, detta capside, formata dall’assemblaggio di diverse copie di una stessa unità detta capsomero. In molti casi, i capsomeri sono costituiti da un solo tipo di proteina o al più da pochi tipi differenti.

 Alcuni virus sono dotati di un ulteriore involucro, il pericapside, che avvolge il capside. Il pericapside è strutturalmente simile alla membrana cellulare, dal momento che consiste in un doppio strato lipidico ricco di glicoproteine.

La forma del capside è determinata dai capsomeri che lo formano; i virus hanno una struttura geometrica riconducibile a una delle seguenti categorie 5.21 .

 Virus elicoidali: i capsomeri si avvolgono a spirale a formare una struttura cilindrica cava nella quale risiede l’acido nucleico. Un esempio è il virus del tabacco.

 Virus isometrici: caratterizzati da una struttura grossomodo sferica. A una attenta analisi al microscopio, questi virus presentano la forma di un icosaedro, un solido con venti lati formati da triangoli equilateri. Questa è la forma geometrica simmetrica più efficiente per la disposizione di unità lineari, come molti capsomeri. Il poliovirus, che causa la poliomielite nell’essere umano, è un virus isometrico, così come il virus SARS-CoV-2 responsabile della pandemia da COVID-19.

 Virus complessi: la cui struttura non è direttamente riconducibile a una delle due precedenti, ma spesso è costituita da porzioni con entrambe le caratteristiche, come il fago lambda.

Risposta breve

1. Come è conservata l’informazione genetica in un virus?

2. Che cos’è un virione?

3. Da che cosa è formato il capside?

I batteriofagi

I batteriofagi sono diversi in struttura e funzionalità e sono accomunati solamente dall’essere parassiti dei batteri. Un esempio è il fago T4, che fa parte di un più ampio insieme di batteriofagi in grado di infettare E. coli: è caratterizzato da una “testa” icosaedrica dove è racchiuso un filamento di DNA e una “coda” dotata di una piastra basale e di una serie di fibre 5.22

5.21 Tre fotografie al microscopio elettronico di virus: (a) virus del tabacco; (b) poliovirus; (c) fago lambda.

5.22 Struttura di un fago T4

testa
DNA piastra basale
fibra della coda coda

5.23 Il ciclo litico e lisogeno dei batteriofagi. In particolari condizioni è possibile che si passi dal ciclo lisogeno a quello litico.

Risposta breve

1. Quali sono i principali elementi della struttura di un fago T4?

2. Quando si formano i virioni?

3. Che cosa avviene durante il ciclo lisogeno?

La Figura 5.23 mostra gli stadi più importanti dell’infezione di un batteriofago. Il fago si lega a specifiche molecole bersaglio presenti sulla membrana della cellula ospite 1 . Una volta che la placca basale entra in contatto con la superficie della cellula, gli enzimi litici contenuti nella coda forano la parete cellulare batterica e la contrazione della coda permette di iniettare il filamento di DNA al suo interno 2 . A questo punto, il virione in quanto tale non esiste più ed è solo il DNA del virus a penetrare nella cellula. Il destino al quale può andare incontro è duplice e dipende dal tipo di virus considerato.

Nel ciclo litico, a questo stadio segue la cosiddetta fase vegetativa e si assiste alla distruzione delle cellule (lisi) a causa della rapida produzione di particelle virali. Il processo complessivo può essere suddiviso in due fasi.

 Nella fase precoce, tramite i meccanismi di trascrizione e traduzione della cellula ospite, sono prodotti enzimi virali specifici che dirottano il sistema di replicazione della cellula stessa, inibendo la trascrizione e promuovendo invece la replicazione del genoma virale 3 . Il DNA della cellula è distrutto da nucleasi virali.

 Durante la fase tardiva sono espressi i geni virali che codificano per le proteine del capside, permettendo l’assemblaggio di nuovi virioni 4 , e per gli enzimi che permettono ai virioni di fuoriuscire dalla cellula distruggendola 5 .

Nel ciclo lisogeno, il genoma del virione si integra nel cromosoma della cellula ospite e prende il nome di profago 6 . Durante questa fase, il DNA del profago è replicato insieme a quello dell’ospite durante la riproduzione cellulare 7 , senza però essere espresso e senza quindi formare le proteine necessarie ad assemblare i virioni. A seconda del tipo di virus e delle condizioni della cellula, a un certo punto il profago può attivarsi, entrando nel ciclo litico e uccidendo la cellula ospite. Questo è dovuto all’accumulo di proteine virali con ruolo di inibitori o attivatori dell’espressione del genoma virale. Un fago in grado riprodursi con ciclo litico o lisogeno è detto fago temperato, per esempio il fago lambda; un fago che può solo impiegare il ciclo litico è detto fago virulento, per esempio il fago T4.

I virus eucariotici

Alcuni virus eucariotici possiedono un involucro formato dal solo capside. Come nei batteriofagi, le proteine che lo formano sono codificate dal genoma virale. Tuttavia, molti virus animali sono ricoperti anche da un altro involucro, il pericapside, formato da una membrana lipidica.

In genere, la membrana è acquisita dal virus al momento della sua fuoriuscita dalla cellula ospite; ed è quindi formata da proteine e lipidi sintetizzati dalla cellula. Nel pericapside sono presenti anche delle proteine sintetizzate a partire dal genoma virale.

Il pericapside favorisce l’attacco del virus alla cellula ospite per mezzo di strutture specifiche e la penetrazione del virus nella cellula tramite la fusione con la membra cellulare 5.24a . L’ingresso nella cellula può avvenire anche per endocitosi, che può riguardare sia i virus dotati di pericapside sia quelli che ne sono privi 5.24b .

Dato che i doppi strati lipidici sono facilmente disgregati dagli emulsionanti, i virioni dotati di pericapside sono inattivati dai saponi o dai sali biliari prodotti nel nostro apparato digerente. Al contrario, i virioni “nudi”, cioè dotati solamente di capside proteico, sono molto più resistenti. Non tutte le infezioni virali conducono alla lisi cellulare; alcuni virus eucariotici si replicano senza portare alla morte della cellula. Essa continuerà a funzionare normalmente ma impegnerà parte delle sue risorse per la produzione di nuovi virioni, che fuoriusciranno dalla membrana cellulare senza danneggiarla. Una volta che il genoma virale è penetrato nella cellula, la modalità di replicazione dipende dal tipo di virus considerato.

 Nei virus con DNA a doppio filamento (dsDNA, double-stranded DNA), il genoma virale raggiunge il nucleo della cellula ospite dove va incontro alla espressione genica insieme al genoma dell’ospite.

 Nei virus con DNA a singolo filamento (ssDNA, single-stranded DNA), questo deve essere prima convertito in dsDNA impiegando la DNA polimerasi dell’ospite.

 In alcuni virus a singolo filamento di RNA (ssRNA), il genoma virale è funzionalmente analogo a un mRNA ed è quindi tradotto direttamente dai ribosomi della cellula ospite. In altri casi, l’RNA virale deve essere prima replicato da un apposito enzima, originando così un filamento complementare che è poi tradotto. Esempi di questo tipo di virus sono quelli dell’influenza, del morbillo, di COVID-19 ed ebola.

 Nei retrovirus (dotati anch’essi di un genoma a RNA a singolo filamento), l’RNA virale è usato come stampo per produrre una molecola di dsDNA, in un processo noto come trascrizione inversa. Poiché la cellula ospite non è in grado di sintetizzare DNA a partire da una molecola di RNA, il virione deve contenere, oltre al proprio genoma, anche l’enzima in grado di svolgere questa funzione. Una volta prodotto, il DNA migra nel nucleo e assume la forma di provirus, integrandosi all’interno di un cromosoma cellulare. A questo punto, il genoma virale è trascritto come se fosse un normale gene della cellula.

Uno dei retrovirus più noti e studiati è il virus HIV, responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita o AIDS, che colpisce i macrofagi e i linfociti T. Grazie a una proteina presente sulla sua superficie, il virus aderisce alla proteina CD4 espressa sulla membrana delle cellule bersaglio. Una volta all’interno della cellula, i virioni perdono il loro rivestimento e liberano il proprio genoma a RNA.

membrana cellulare

5.24 I due meccanismi di penetrazione nella cellula dei virus eucariotici: (a) fusione e (b) endocitosi.

Risposta breve

1. In che cosa consiste l’endocitosi?

2. Che cos’è la trascrizione inversa?

3. Che tipo di virus è l’HIV?

VIDEO

Viruses (online)

L’enzima trascrittasi inversa produce un filamento di DNA a doppio filamento a partire dall’RNA virale e questo si integra nel genoma della cellula ospite grazie all’integrasi, un altro enzima virale. Il pre-RNA sintetizzato a partire dal provirus dovrà poi essere sottoposto a splicing per dare un mRNA maturo in grado di garantire la sintesi delle proteine virali 5.25 .

legame del virione al recettore CD4

5.25 Il ciclo di replicazione del virus HIV.

5.6 SARS-CoV-2

Tra i virus più noti è necessario focalizzare la nostra attenzione su SARS-CoV-2, ripercorrendo le tappe della sua diffusione pandemica. Il 31 dicembre 2019 le autorità sanitarie cinesi informarono la comunità internazionale relativamente a casi di polmonite di origine sconosciuta a Wuhan, nella provincia di Hubei; poco dopo, affermarono di aver individuato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell’essere umano quale agente causale di queste polmoniti. La nuova malattia respiratoria venne chiamata COVID-19 (da COrona VIrus Disease, 2019). L’11 marzo 2020 l’OMS ufficializzava lo stato di pandemia da SARS-CoV-2. Nei mesi successivi la pandemia si è diffusa in tutto il mondo, causando la morte di più di sette milioni di persone (dato della Organizzazione Mondiale della Sanità al 18 ottobre 2023). Nel frattempo la scienza ha messo a disposizione dell’umanità vaccini di nuova generazione, frutto di una ricerca decennale nel campo delle biotecnologie, in grado di contrastare efficacemente la diffusione del SARS-CoV-2 e delle sue varianti e che studieremo nell’Unità successiva.

Anatomia di SARS-CoV-2

SARS-CoV-2 è un virus a RNA a singola elica che condivide circa il 79% del genoma con il virus che causò la pandemia di SARS nel 2002/2003 e circa il 50% con il MERS-CoV identificato nel 2012. Questi ultimi sono entrambi coronavirus responsabili di malattie respiratorie negli esseri umani. SARS-CoV-2 ha forma tondeggiante, di 100-150 nm di diametro; la sua superficie è tempestata di “spine” che circondano il virus come una corona (da cui il suo nome), ben visibili al microscopio elettronico 5.26 .

5.26 Micrografia di un SARS-CoV-2.
60 nm TEM (falsi colori)

Il virione è formato da diversi componenti 5.27 .

 RNA e proteina N: il genoma è costituito da un singolo filamento di RNA di 32 kb che codifica per sette proteine virali ed è associato alla proteina N, che ne aumenta la stabilità.

 Envelope: è il pericapside del virione.

 Proteina M: è una proteina di membrana che attraversa l’envelope interagendo all’interno del virione con il complesso RNA-proteina.

 Glicoproteine S (spike): formano delle protuberanze sulla superficie del virione, lunghe circa 20 nm. Tre glicoproteine S unite compongono un trimero; i trimeri formano le strutture a spina (spike) che, nel loro insieme, assomigliano a una corona che circonda il virione.

 Proteina E: aiuta la glicoproteina S ad attaccarsi alla membrana della cellula bersaglio.

 Dimero emagglutinina-esterasi (HE): è una proteina del rivestimento, più piccola della glicoproteina S, svolge una funzione importante durante la fase di rilascio del virione all’interno della cellula ospite.

La glicoproteina S determina l’affinità del virus per le cellule epiteliali del tratto respiratorio: l’analisi del modello tridimensionale infatti suggerisce come il SARS-CoV-2 sia in grado di legare il recettore ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2), espresso dalle cellule dei capillari dei polmoni, ma anche da quelle di molti altri organi. La replicazione di un coronavirus, e quindi anche del SARS-CoV-2, può essere schematizzata in sette fasi 5.28 . SARS-CoV-2, attraverso la glicoproteina S, si lega al recettore ACE2 sulla cellula bersaglio e il virione è assorbito per endocitosi. La glicoproteina S modifica la propria conformazione per facilitare la fusione della membrana endosomiale e il rilascio del genoma virale nella cellula bersaglio. Dopo la traduzione, le proteine virali e l’RNA genomico sono assemblati in nuovi virioni, che sono successivamente trasportati attraverso le vescicole e rilasciati dalla cellula infetta (esocitosi), diffondendosi e infettando altre cellule nell’organismo ospite. Conoscere come si replica il virus è importante per sviluppare molecole in grado di bloccarne la replicazione e, di conseguenza, impedire la progressione dell’infezione e della malattia.

attacco ad ACE2 e ingresso per endocitosi

della vescicola endocitotica

duplicazione del genoma virale reticolo endoplasmatico assemblaggio dei

virioni

fusione della membrana e rilascio dell’RNA

esocitosi

glicoproteina S (spike)

proteina M (membrana)

proteina E (envelope)

proteina HE (emagglutinina esterasi)

envelope

RNA

proteina N (nucleocapside)

5.27 Rappresentazione schematica dei componenti di SARS-CoV-2.

Il ciclo riproduttivo di SARS-CoV-2 VIDEO

apparato di Golgi

5.28 Schema della replicazione di un coronavirus.

ACE2 formazione

Risposta breve

1. Quante proteine vengono sintetizzare a partire dal genoma virale di SARS-CoV-2?

2. Quali sono le possibili cause per la maggior diffusione di zoonosi?

3. Qual è il ruolo dell’ospite intermedio in una zoonosi?

Zoonosi e origine di SARS-CoV-2

COVID-19 fa parte delle zoonosi, malattie infettive che si trasmettono dagli animali all’essere umano (o viceversa) in modo diretto, per contatto con materiale biologico infetto, o indiretto tramite altri organismi vettori o l’ingestione di alimenti infetti. Due terzi delle nuove malattie infettive che hanno colpito l’essere umano negli ultimi dieci anni è stato trasmesso da animali o da prodotti di origine animale. Collegato alle zoonosi è il concetto di spillover (o salto di specie), cioè il passaggio di un patogeno da una specie ospite all’altra. Le zoonosi sono un fenomeno naturale. Tuttavia, rispetto al passato, il mondo moderno ne ha facilitato lo sviluppo. Tra le possibili cause della diffusione di nuove malattie infettive di origine zoonotica ci sono:

 il sovrappopolamento del nostro Pianeta;

 l’espansione delle aree urbane, che ha alterato gli ecosistemi, per cui l’habitat delle specie selvatiche da cui si originano molti patogeni infettivi (in particolare virus) è sempre più ridotto;

 il cambiamento climatico e l’inquinamento (vedi l’Unità 8);

 la rapidità dei trasporti, che rende possibile il trasporto di un agente patogeno da un capo all’altro del Pianeta in 24-36 ore.

L’evoluzione dei virus e il loro passaggio attraverso diversi ospiti sono possibili perché ogni volta che il virus infetta un ospite, può mescolare il suo patrimonio genetico con quello di altri virus presenti, oppure mutare rapidamente singole basi del proprio RNA. Il virus si ritrova quindi con un corredo genetico diverso che a volte gli permette di infettare nuove specie.

I coronavirus furono identificati per la prima volta a metà degli anni Sessanta del secolo scorso. La trasmissione all’essere umano può essere favorita da un ospite intermedio, per esempio un animale infettato dai pipistrelli che poi trasmette il virus agli esseri umani. Per quanto riguarda SARS-CoV-2, la sua origine non è ancora certa. Recenti studi dimostrano la somiglianza tra SARS-CoV-2 e altri coronavirus simili presenti in alcune specie di pipistrelli del genere Rhinolophus, che potrebbero aver costituito il serbatoio naturale del virus. Secondo una delle teorie predominanti, il salto di specie è avvenuto nel mercato di Wuhan (Cina), dove sono venduti anche mammiferi vivi.

Resistere al contagio in tempi di pandemia

Opera: La peste (1947)

Autore: Albert Camus

La Seconda guerra mondiale era finita da pochi anni quando lo scrittore francese Albert Camus scrisse La peste. L’opera racconta di una improvvisa epidemia di peste bubbonica, avvenuta negli anni Quaranta del Novecento a Orano, in Algeria. Attraverso il punto di vista del protagonista, il dottor Rieux, il romanzo racconta tutte le fasi della diffusione della malattia a partire dalla causa, una strage di ratti, alla reazione della popolazione colpita. Sono così descritte l’angoscia, il terrore, la rassegnazione e il generale senso di solitudine e di impotenza dati dalla consapevolezza della

propria fragilità e, di conseguenza, della fragilità e fugacità della vita di fronte a un evento imprevedibile, come un patogeno. Oggi queste descrizioni ricordano la pandemia da COVID19, che ha immobilizzato il mondo per diversi mesi nel 2020 e costretto al lockdown intere nazioni.

Camus, tuttavia, usa la peste come allegoria dell’occupazione tedesca della Francia nella primavera del 1940. La“peste bruna” nazista provoca in Camus e nella popolazione francese disperazione e impotenza, ma è necessario combatterla. Oltre la disperazione, sono infatti anche descritti, con ammirazione, gli sforzi delle squadre sanitarie, che lottano per arginare la peste e che simboleggiano i movimenti di resistenza.

Quello che accomuna le pandemie e le guerre è il senso di spaesamento generato

nella popolazione. Camus, nel suo romanzo, indaga la filosofia dell’assurdo e la ricerca dell’essere umano di un significato in un universo dominato dal caos e dall’indifferenza, che considera insensata. La malattia porta ad affrontare la possibilità di morire, un sentimento disperato vissuto nella solitudine ma condiviso da tutta la comunità. Sfuggire alla realtà è una necessità che, col progredire del tempo e della storia, diventa rassegnazione all’inevitabilità e all’insensatezza degli eventi. Restano, come via di salvezza, la collaborazione e la solidarietà.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Letteratura italiana). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

COLLEGA Letteratura inglese

5.7 Il trasferimento genico orizzontale nei procarioti

Il genoma di una cellula, sia essa procariotica o eucariotica, è passato da una generazione all’altra attraverso i meccanismi di replicazione del DNA che sono alla base della riproduzione cellulare. Tale modalità di trasmissione dell’informazione genetica è detta trasferimento genico verticale.

Nella maggior parte dei casi, le cellule figlie contengono una copia esatta del genoma della cellula madre.

Tuttavia, nonostante in ogni cellula siano sempre al lavoro enzimi che si occupano di riparare il genoma, durante il processo di replicazione possono insorgere delle mutazioni della sequenza. In questi casi, il genoma trasmesso alle successive generazioni presenta delle differenze rispetto a quello originario. Questi eventi, seppure solitamente molto rari, sono uno dei meccanismi con i quali possono emergere nuovi caratteri che poi sono eventualmente scelti per selezione naturale.

I batteri mostrano una elevata capacità di evolvere e adattarsi alle condizioni ambientali acquisendo, per esempio, la capacità di metabolizzare nuovi substrati o la resistenza agli antibiotici. Affinché il loro genoma possa modificarsi così rapidamente, sono necessari altri meccanismi, oltre alla lenta accumulazione di rare mutazioni casuali.

La ricombinazione genetica è un processo che cambia il genoma di un organismo per mezzo del riarrangiamento di materiale genetico tra due molecole o tra due punti della stessa molecola.

La ricombinazione può avvenire con diversi meccanismi e il suo contributo al cambiamento del genoma è solitamente molto importante. Nei batteri rivestono una particolare importanza i meccanismi che causano il trasferimento dell’informazione genetica tra cellule che non discendono l’una dall’altra (e che possono perfino appartenere a specie diverse). In questo caso si parla di trasferimento genico orizzontale. Per comprendere come questo sia possibile, dobbiamo prima descrivere come è organizzato il genoma dei batteri. La loro semplice struttura si riflette anche in una organizzazione più essenziale del DNA, che è presente sotto forma di un unico cromosoma circolare libero nel citoplasma. In aggiunta al cromosoma, possono trovarsi delle altre molecole di DNA circolare chiamate plasmidi. Solitamente i plasmidi contengono geni che conferiscono specifiche caratteristiche alla cellula come, per esempio, la resistenza agli antibiotici o la capacità di metabolizzare determinati composti. Si stima che circa il 5% del DNA batterico sia sotto forma di plasmidi. Alcuni possono essere molto piccoli, contenendo soltanto pochi geni; altri, invece, hanno una struttura più complessa. I plasmidi possono rimanere come molecole disperse nel citoplasma oppure essere integrati nel cromosoma principale in punti specifici e, allo stesso modo, possono distaccarsene. Sebbene il ruolo del trasferimento genico orizzontale negli organismi più complessi sia ancora molto dibattuto, recenti studi hanno messo in evidenza come questo possa essere importante in molte piante e in particolare nelle graminacee, una famiglia alla quale appartengono alcune delle specie di maggior interesse agricolo come orzo, mais, riso 5.29 , canna da zucchero e bambù. Uno studio del 2019 ha infatti dimostrato come esse siano in grado di acquisire geni anche da specie molto distanti dal punto di vista genetico.

Hai

e

Ricorda
incontrato la selezione naturale
la sua relazione con l’evoluzione degli organismi nel corso di biologia.
5.29 Spighe di riso (Oryza sativa). In molti paesi (soprattutto asiatici), il riso costituisce l’alimento base nella dieta di milioni di persone.

5.30 Il meccanismo

della coniugazione batterica.

La coniugazione

Nel 1946, in un famoso esperimento condotto su E. coli, J. Lederberg e E.L. Tatum descrissero per la prima volta il trasferimento di un particolare plasmide da una cellula all’altra. Per questo motivo, nel 1958 fu assegnato loro il premio Nobel per la medicina o la fisiologia. Il plasmide fu denominato plasmide F (da “fertilità”) e il processo di trasferimento venne detto coniugazione batterica.

La coniugazione è un processo nel quale vi è un trasferimento unidirezionale di materiale genetico da una cellula donatrice, o cellula F+, a una cellula ricevente, o cellula F–

La coniugazione si può riassumere in tre fasi 5.30 .

1. Il citoplasma della cellula F+ entra in contatto con quello della cellula F– tramite un lungo filamento tubulare proteico detto pilo di coniugazione. La cellula F+ è, appunto, quella dotata del plasmide F, sul quale sono presenti i geni responsabili della produzione del pilo.

2. Una volta che le due cellule sono in contatto, uno dei due filamenti del plasmide F è tagliato da un apposito enzima ed è trasferito attraverso il pilo dalla cellula F+ alla cellula F–. Nel frattempo, su entrambi i filamenti ha inizio la sintesi del DNA complementare tramite un modello di replicazione detto “a cerchio rotante”, che ripristina il doppio filamento in entrambe le cellule.

3. Il contatto tra le due cellule si interrompe e la cellula ricevente diventa anch’essa di tipo F+. È importante notare che non sono stati trasferiti solamente i geni che codificano per le proteine del pilo, ma anche tutti gli altri geni che risiedono sul plasmide.

cellula F+

plasmide F

cellula F+

cellula F–cromosoma batterico

pilo di coniugazione

1 2 3

cellula F+

Raramente, il plasmide F può integrarsi nel genoma della cellula ricevente entrando a far parte del suo cromosoma: si ottiene così una cellula ad alta frequenza di ricombinazione o cellula HFR (high frequency of recombination). In questo caso, l’intero cromosoma si comporta come se fosse parte del plasmide F. Durante il trasferimento ne viene duplicata e trasferita una parte prima che il pilo si interrompa. Una volta nella cellula ricevente, questo materiale genetico può poi andare incontro alla ricombinazione omologa, nella quale frammenti simili di DNA sono scambiati tra di loro. È anche possibile che la porzione contenente il plasmide F non sia trasferita e che la cellula ricevente non diventi quindi F+ .

La trasformazione

Un’altra modalità di trasferimento orizzontale di materiale genetico fu osservata per la prima volta nel 1928 in Streptococcus pneumoniae 5.31 .

Nella trasformazione batterica un batterio assorbe un filamento di DNA nudo, cioè del DNA che si trova nell’ambiente esterno alla cellula.

Il processo di trasformazione non richiede alcun contatto cellulare, dal momento che il materiale genetico è libero nell’ambiente (per esempio, proviene da frammenti di cellule morte). L’unico requisito è che il batterio ricevente sia una cellula competente, cioè una cellula in grado di assorbire il materiale genetico attraverso la parete cellulare. Se il DNA assorbito è molto diverso da quello della cellula ricevente, esso è rapidamente degradato dalle nucleasi. Ma se il materiale genetico estraneo è sufficientemente simile a quello della cellula, può essere integrato al suo interno sia sotto forma di plasmide, sia per ricombinazione nel cromosoma circolare.

La trasduzione

Un ulteriore meccanismo di trasferimento genico orizzontale coinvolge l’azione di alcuni batteriofagi, che nel corso del loro ciclo riproduttivo trasportano una porzione di DNA batterico da un batterio donatore a uno ricevente. Questo fenomeno può avvenire con due modalità. Nella trasduzione generalizzata, tipica dei fagi virulenti, sono trasdotte porzioni casuali del materiale genetico del donatore. Nella trasduzione specializzata, tipica dei fagi temperati, sono trasdotte invece solo specifiche sequenze di DNA batterico.

Durante il ciclo litico 5.32 , il DNA dell’ospite è frammentato e degradato, mentre quello virale è espresso e replicato per assemblare i virioni 1 . È possibile che, durante l’assemblaggio, frammenti di DNA batterico siano impacchettati per errore all’interno dei virioni in formazione 2 . Nella successiva infezione, il DNA batterico è iniettato nella nuova cellula ospite 3 e lì può essere integrato nel genoma dell’ospite tramite ricombinazione 4 .

Durante il ciclo lisogeno, il DNA virale è inserito sotto forma di profago nel genoma dell’ospite in corrispondenza di sequenze specifiche. Quando poi il profago si distacca dal cromosoma dell’ospite, può succedere che alcuni geni batterici contigui ai punti di inserzione del profago siano erroneamente incorporati nel DNA del fago e inseriti quindi nei virioni. In questo caso, quindi, il fago ingloba solamente sequenze prossime ai punti dove si inserisce il profago.

5.31 di S. pneumoniae è il batterio responsabile della polmonite. Generalmente si trova sotto forma di due batteri sferici (cocchi) uniti a un’estremità. 0,5 μm TEM (falsi colori)

5.32 La trasduzione generalizzata.

Risposta breve

1. In che tipo di cellule può avvenire la trasformazione?

2. Qual è il ruolo di un fago nella trasduzione?

batterio ricevente

5.33 Il sequenziamento del DNA dello squalo bianco (portato a termine nel 2019) ha rivelato una costante presenza di trasposoni. Ciò potrebbe essere all’origine del successo evolutivo di questo grande predatore.

5.8 Gli elementi genetici mobili

I plasmidi e i genomi fagici affrontati nel Paragrafo precedente fanno parte della classe degli elementi genetici mobili, ossia dei segmenti di materiale genetico in grado di spostarsi da una cellula all’altra, oppure da un punto all’altro del genoma. Non tutti gli elementi genetici mobili sono però esclusiva dei batteri: tutte le cellule, siano esse procariotiche o eucariotiche, presentano delle porzioni di DNA che possono muoversi all’interno del genoma. Questi elementi possono avere dimensioni che vanno da poche centinaia fino a decine di migliaia di paia di basi. Il loro ruolo nell’evoluzione degli organismi è molto importante, dato che è proprio questo movimento a rendere possibile un gran numero di variazioni nei genomi. In molti casi, lo spostamento di una porzione di genoma comporta una serie di problemi, dato che l’inserzione dell’elemento mobile può avvenire in mezzo a una sequenza di DNA con un compito ben preciso (per esempio, un gene codificante per una proteina o una sequenza regolatrice). In questo caso, spesso il risultato è quello di inattivare il gene. A volte, però, l’inserzione di un elemento mobile può determinare la comparsa di caratteri vantaggiosi. Tipicamente, ogni elemento genetico mobile porta anche dei geni che codificano per degli enzimi in grado di promuovere il trasferimento di quello stesso elemento.

La trasposizione

Uno dei meccanismi più comuni con i quali si possono spostare delle sequenze di DNA nel genoma è detto trasposizione e gli elementi in grado di muoversi tramite trasposizione sono detti trasposoni 5.33 . Nella maggior parte dei casi, al loro interno è codificato un enzima (trasposasi) che agisce su specifiche sequenze poste all’inizio e alla fine del trasposone, permettendogli di inserirsi in un sito bersaglio sul DNA. Solitamente, l’inserzione può avvenire in molti punti diversi del genoma e non vi è necessità che il bersaglio e le sequenze terminali del trasposone siano simili.

La maggior parte dei trasposoni si muove solo di rado. Per esempio, nei batteri avviene circa una trasposizione ogni 100 000 divisioni cellulari; un processo più frequente porterebbe molto probabilmente alla distruzione di buona parte del genoma. Sulla base della loro natura possiamo classificare i trasposoni in due classi.

Trasposoni a DNA

Questi elementi si muovono nel genoma con un meccanismo detto “taglia e incolla” 5.34 : il trasposone è rimosso (escisso) da un punto del genoma ed è inserito in un altro. Alle due estremità del trasposone sono presenti delle brevi sequenze ripetute invertite che sono riconosciute dalla trasposasi specifica di quel trasposone. L’enzima lega le due sequenze, avvicinando così le estremità del trasposone, e taglia il DNA per permettere l’escissione dell’elemento. Anche l’inserzione nel DNA bersaglio è catalizzata dallo stesso enzima. Nel caso più semplice, la sequenza compresa fra le estremità codifica solamente per la trasposasi: si parla in questo caso di trasposone semplice. In altri casi, invece, sono presenti anche altri geni (per esempio, nei procarioti si possono trovare dei geni che conferiscono resistenza agli antibiotici) e si dice allora che è un trasposone complesso. Esistono anche altri meccanismi di trasposizione che coinvolgono più enzimi e che si verificano soprattutto negli eucarioti.

trasposasi

Retrotrasposoni

Questi elementi si muovono nel genoma con meccanismo diverso. Essi derivano da precedenti infezioni di retrovirus che hanno portato all’inglobamento del genoma virale all’interno di una cellula ospite anche molte generazioni prima. Una successiva mutazione fa perdere la capacità di produrre virioni funzionanti e il virus rimane quindi sotto forma di provirus. Tuttavia, esso continua a possedere la capacità di codificare per l’enzima trascrittasi inversa e gli altri enzimi necessari per l’inserzione nel genoma 5.35 . Il retrotrasposone presente nel DNA ospite è trascritto dalla RNA polimerasi cellulare in un unico, lungo filamento di RNA, il quale è successivamente copiato in una molecola di DNA a doppio filamento (cDNA, da copy DNA) dalla trascrittasi inversa. A questo punto, il cDNA è inserito in un altro punto del genoma dell’ospite con un meccanismo simile a quello dei trasposoni a DNA. La differenza tra un retrotrasposone e un retrovirus è che il primo non è in grado di assemblare virioni e di indurre il ciclo litico, di conseguenza è confinato all’interno della cellula ospite. Poiché i retrotrasposoni non prevedono alcuna escissione, la loro trasposizione provoca effettivamente una copia della sequenza genica in un altro punto del genoma.

retrotrasposone

cromosoma 1

trascrittasi inversa

cromosoma 2

In organismi differenti predominano diversi tipi di trasposoni. Nei batteri, la grande maggioranza è costituita da trasposoni a DNA, con solamente pochi retrotrasposoni presenti. Negli esseri umani e in molti eucarioti, invece, sono presenti entrambi i tipi in misura comparabile.

5.34 Meccanismo di azione di un trasposone a DNA.

5.35 Meccanismo di azione di un retrotrasposone.

1. Che cos’è un trasposone?

2. Con quale meccanismo si muove un trasposone a DNA?

3. Qual è l’origine dei retrotrasposoni? Risposta breve

cromosoma

U5 Ripassa con metodo

Scarica la mappa modificabile. Leggi e ascolta la sintesi dell’Unità.

Completa la mappa con i termini mancanti. Puoi confrontarla con la mappa completa accessibile dal codice QR.

GENI

unità discrete di DNA che contengono le informazioni genetiche di ogni organismo

In che modo i geni influenzano le caratteristiche di un organismo?

ESPRESSIONE GENICA

Quali processi prevede?

produce RNA complementare a una sequenza di DNA

TRADUZIONE

produce polipeptidi a partire dalla sequenza dell’mRNA. La corrispondenza tra un amminoacido e

è stabilita dal

A che livelli può essere regolata?

PRE-TRASCRIZIONALE

Quali elementi possono causare variabilità genetica?

TRASCRIZIONALE

POST-TRASCRIZIONALE

si replicano per ciclo litico o ciclo lisogeno

In quali entità biologiche sono presenti, oltre agli organismi eucarioti e procarioti?

VIRUS

composti da un capside, un genoma a DNA o RNA e, a volte, un

In quali classi si dividono?

VIRUS EUCARIOTICI

si classificano in base alla tipologia di di cui è fatto il genoma

ELEMENTI GENICI MOBILI

Quale meccanismo utilizzano?

TRASPOSIZIONE

data dai o dai , sia nei procarioti sia negli eucarioti

avviene solo nei procarioti tramite tre possibili meccanismi: coniugazione,

ZOONOSI

malattie infettive che si trasmettono (e viceversa), come avvenuto per

U5 Conoscenze e abilità

5.1 Organizzazione e replicazione del DNA

1 Vero o falso?

a. Il fenotipo non dipende dal genotipo V F

b. Gli istoni sono delle proteine V F

c. I plasmidi sono degli organismi procariotici V F

d. Solo il filamento lento necessita di un primer a RNA

2 Da che cosa è costituito un cromosoma eucariotico?

F

3 Che cos’è la replicazione semiconservativa?

4 Gli istoni sono: proteine che contribuiscono a formare la cromatina il materiale genetico avvolto nella cromatina i contenitori nei quali sono racchiusi i cromosomi i genomi dei batteri

5 Un replicone è: un filamento di RNA mobile dal quale parte la replicazione un tratto di DNA non ancora separato in due filamenti un tratto di DNA in cui si innesca, procede e termina la replicazione una proteina che si lega al DNA durante la replicazione

6 Partendo da una sequenza 3’–TCATCGCATAGTCTTAGA–5’, quale sequenza produce la DNA polimerasi?

5.2 L’espressione genica: trascrizione e traduzione

7 Vero o falso?

a. Durante la trascrizione è sintetizzato un filamento di RNA

b. La RNA polimerasi sintetizza il filamento di RNA in direzione 3’-5’

8 Qual è il prodotto della trascrizione?

9 Da quanti nucleotidi è costituito un codone?

F

10 Che cosa differenzia un gene costitutivo da un gene non costitutivo?

11 Attraverso la sua espressione, un gene corrisponde a: una proteina un polipeptide un polipeptide o un RNA un mRNA

12 Quale di queste affermazioni NON è vera?

Un codone corrisponde a un solo amminoacido

Un amminoacido corrisponde a un solo codone

Vi sono più codoni che amminoacidi

Vi sono codoni che non corrispondo a un amminoacido

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

13 Partendo dalla stessa sequenza dell’esercizio 6, quale sequenza sarebbe prodotta dall’enzima RNA polimerasi?

14 Partendo dalla sequenza ottenuta nell’esercizio 13, quale sequenza sarebbe prodotta durante la traduzione?

15 Una RNA polimerasi sta trascrivendo il seguente segmento di DNA:

5’–GTAACGGATG–3’ 3’–CATTGCCTAC–5’

Se la polimerasi trascrive questa sequenza da sinistra a destra, quale sarà la sequenza dell’RNA? E se invece la polimerasi si muove da destra a sinistra?

5.3 La regolazione dell’espressione genica nei procarioti

16 Vero o falso?

a. L’operone è un componente dell’operatore V F

b. Il lattosio ha il ruolo di attivatore dell’operone lac V F

c. Il triptofano reprime la trascrizione dell’operone trp V F

d. L’operone trp è un esempio di operone sia inducibile sia reprimibile V F

17 Da che cosa è costituito un operone?

18 Perché il principale punto di controllo dell’espressione genica è a livello della trascrizione?

19 In quali condizioni è espresso l’operone lac?

20 In assenza di lattosio: inizia la trascrizione dei geni lacZ, lacY e lacA è prodotta solo la permeasi la trascrizione dei geni lacZ, lacY e lacA è bloccata l’RNA polimerasi lega l’operatore

21 L’operatore:

è una proteina che regola l’espressione genica di un operone

è una porzione di DNA posta nella regione di controllo dell’operone

è il gene espresso quando il metabolismo ha necessità di consumare lattosio

è una porzione di DNA posta nella regione di codifica dell’operone

22 L’allolattosio è: un induttore dell’operone lac un repressore dell’operone lac un co-repressore dell’operone lac un substrato dell’operone lac

23 Nel meccanismo di funzionamento dell’operatore trp, il triptofano si comporta: da repressore, legandosi all’operatore da induttore, legandosi all’operatore da co-repressore, legandosi al repressore che a sua volta si lega all’operatore da co-induttore, legandosi all'induttore che a sua volta si lega all’operatore

24 Problema svolto L’immagine sottostante raffigura in maniera semplificata l’operone ara, che conferisce a E. coli la capacità di metabolizzare l’arabinosio, uno zucchero a cinque atomi di carbonio. In condizioni normali, la proteina araC (repressore) impedisce la trascrizione dell’operone. In presenza di arabinosio, tuttavia, questo lega la proteina araC e favorisce un cambio conformazionale che attiva la trascrizione. Descrivi la struttura dell’operone e il possibile schema di regolazione.

30 Perché i geni eucariotici sono geni “interrotti”?

31 Qual è la differenza tra miRNA e siRNA?

32 Spiega come avviene l’espressione genica negli eucarioti, dove il DNA è confinato nel nucleo e i ribosomi si trovano, invece, nel citoplasma.

▶ Basandoti sui modelli degli operoni lac e trp e sulla figura, puoi individuare i componenti che costituiscono la struttura dell’operone ara: la regione di controllo e la regione di codifica. La regione di controllo è costituita dall’operatore (O), dove è legata la proteina araC, e dal promotore (P). La regione di codifica, invece, è costituita dai geni araB, araA e araD.

▶ L’arabinosio, quando presente, attiva la trascrizione e quindi funge da induttore dell’operone ara. Al contrario di quanto avviene con l’allolattosio, nell’operone lac, tuttavia, il legame dell’induttore al repressore non determina il distacco di quest’ultimo dall’operatore. Invece, il complesso arabinosio-araC favorisce l’aggancio della RNA polimerasi e attiva la trascrizione dei geni araBAD

▶ I geni araBAD codificano per delle proteine necessarie al batterio per metabolizzare l’arabinosio e utilizzarlo quindi come fonte energetica. Quando non è presente arabinosio nel terreno di crescita, E. coli evita di sintetizzare proteine non necessarie grazie a questo meccanismo di regolazione.

25 L’operone ara, analizzato nell’esercizio precedente, è sottoposto a un singolare quanto complesso meccanismo di regolazione. La proteina araC, infatti, interviene nella regolazione trascrizionale sia positivamente sia negativamente. Inoltre, la regolazione coinvolge anche cAMP, così come avviene per l’operone lac. Basandoti su queste considerazioni e aiutandoti con il disegno dell’esercizio 22, descrivi la regolazione negativa dell’operone ara e il meccanismo di regolazione che coinvolge cAMP.

5.4 La regolazione dell’espressione genica negli eucarioti

26 Vero o falso?

a. Alcuni enzimi possono modificare l’avvolgimento del DNA sugli istoni V F

b. Il promotore esteso può comprendere sequenze lontane dal gene V F

c. Lo splicing alternativo permette di sintetizzare lo stesso polipeptide a partire da geni diversi V F

27 Che cos’è un fattore di trascrizione?

28 Quale ruolo svolge la cromatina nella regolazione dell’espressione genica?

29 Perché negli eucarioti il concetto di promotore si può definire esteso? arabinosio araC RNA polimerasi O P araB araA araD

33 L’eterocromatina è: cromatina strettamente impacchettata dove avviene la trascrizione cromatina strettamente impacchettata dove non avviene la trascrizione cromatina lassamente impacchettata dove avviene la trascrizione cromatina lassamente impacchettata dove non avviene la trascrizione

34 Nella sintesi della tubulina: sono coinvolti molti microRNA la tubulina stessa non è in grado di inibire la traduzione la tubulina stessa, se prodotta in eccesso, lega l’mRNA impedendone un’ulteriore traduzione la tubulina stessa, se prodotta in difetto, lega l’mRNA impedendone un’ulteriore traduzione

35 Un esone è una sequenza di:

DNA non codificante

DNA codificante

DNA di controllo

RNA strutturale

36 Un introne è una sequenza di:

DNA non codificante

DNA codificante

DNA di controllo

RNA strutturale

37 L’ubiquitina permette di regolare: la possibilità di trascrivere un gene la possibilità di tradurre un mRNA la vita media di un polipeptide la vita media un filamento di mRNA

38 Lo splicing alternativo consiste nel processo per il quale: da un solo gene possono originare diversi mRNA maturi da un solo mRNA maturo possono orignare diverse proteine da un solo gene possono originare diversi introni da un solo gene possono originare diversi esoni

39 Il promotore esteso degli eucarioti consiste in una sequenza nota come TATA box in una sequenza nota come TBP in un insieme di sequenze dette enhancer o silenceer nell’insieme di RNA polimerasi, TBP e TATA box

40 Per poter svolgere la sua funzione un miRNA deve legarsi alla struttura a forcina a varie proteine fra le quali la proteina argonauta a una polimerasi detta Dicer a un miRNA precursore

41 Vero o falso?

a. Un virus è dotato di un singolo filamento di DNA V F

b. Solo alcuni virus hanno il pericapside V F

c. I capsomeri sono le unità ripetitive che formano il capside V F

d. Durante il ciclo lisogeno si formano virioni V F

42 Come è chiamata una particella virale?

43 Da che cosa è costituito il pericapside?

44 In che cosa consiste la fase vegetativa?

45 Un fago è: un batterio in grado di uccidere i virus un virus non attivo un virus eucariotico un virus in grado di infettare un batterio

46 Un virione: contiene un solo tipo di acido nucleico contiene solamente DNA contiene solamente RNA contiene sia DNA sia RNA

47 I virus eucariotici sono sempre: dotati di capside e di pericapside dotati di pericapside e a volte di capside dotati di capside e a volte di pericapside privi di pericapside

48 Un retrovirus: è dotato di un genoma di ssRNA è dotato di un genoma di ssDNA è dotato di un genoma di dsDNA è privo di un genoma

49 Perché alcuni virus eucariotici possono entrare nella cellula tramite un meccanismo di fusione e altri no?

5.6 SARS-CoV-2

50 Vero o falso?

a. Il genoma virale di SARS-COV-2 codifica per sette proteine

b. Le zoonosi sono un fenomeno antropico

F

F

c. Gli ospiti intermedi trasmettono i virus agli essere umani solo in modo diretto V F

51 Quali sono le caratteristiche genetiche di SARS-CoV-2?

52 Qual è la composizione delle strutture a spina del virus SARS-CoV-2?

53 Quale tipo di interazione determina l’affinità del virus con le cellule bersaglio?

54 Che cos’è una zoonosi e quali fattori ne influenzano la comparsa e diffusione?

55 Con il termine spillover si indica: la trasmissione di una malattia infettiva da un animale all’essere umano il passaggio di un patogeno da una specie all’altra il rimescolamento del patrimonio genetico tra due virus l’insieme delle mutazioni che il virus accumula replicandosi

5.7 Il trasferimento genico orizzontale nei procarioti

56 Vero o falso?

a. La trasformazione può avvenire solamente in cellule competenti V F

b. La trasduzione può avvenire solamente in cellule infettate da un fago V F

57 Che cos’è un plasmide?

58 Dove si trovano i geni che codificano per le proteine del pilo di coniugazione?

59 Che cos’è la trasformazione?

60 Che cosa vuol dire che una cellula è competente?

61 Il trasferimento genico verticale avviene fra batteri: di specie diverse della stessa specie contaminati da virus non in grado di riprodursi

62 La trasformazione batterica richiede che: la cellula ricevente sia infettata da un fago la cellula ricevente sia competente sia la cellula donatrice sia quella ricevente siano infettate da un fago sia la cellula donatrice sia quella ricevente siano competenti

63 La trasduzione batterica richiede che: la cellula ricevente sia infettata da un fago la cellula ricevente sia competente sia la cellula donatrice sia quella ricevente siano infettate da un fago sia la cellula donatrice sia quella ricevente siano competenti

64 Come è possibile che, dopo un evento di coniugazione, a volte la cellula ricevente non diventi una cellula F+?

5.8 Gli elementi genetici mobili

65 Vero o falso?

a. Un trasposone codifica per gli enzimi che promuovono il suo trasferimento V F

b. I retrotrasposoni originano da antichi batteriofagi V F

66 Qual è il ruolo delle sequenze ripetute invertite?

67 Dove si trova la sequenza che codifica per la trasposasi?

68 Perché la trasposizione è un fenomeno infrequente?

69 Qual è la relazione fra i retrotrasposoni e i retrovirus?

70 La trasposizione avviene: nei procarioti negli eucarioti sia nei procarioti sia negli eucarioti nei virus

71 Nel trasferimento di trasposoni a DNA: l’enzima trasposasi è integrato nel trasposone il primo passaggio è un’integrazione il primo passaggio è un’escissione l’ultimo passaggio è un’escissione

U5 Competenze

72 INGLESE Explain how the operator relates to the operon.

73 INGLESE Write a short sentence describing the differences between transcriptional and translational control.

74 INGLESE What is alternative splicing?

75 INGLESE Describe briefly how miRNAs can regulate gene expression.

76 INGLESE LacZ encodes for: lactose permease β-galactosidase acetyltransferase a repressor

77 INGLESE mRNA synthesis occurs at a greater rate in bacterial cells than in eukaryotic cells, however the amount of mRNA present in a bacterial cell is very low, compared to the eukaryotic cells. How do you explain this?

78 PENSIERO CRITICO La proteina codificata dal gene BRCA1 svolge un’azione antitumorale: impedisce, cioè, che le cellule che hanno subito un danno al DNA continuino a proliferare. La proteina BRCA1 agisce legando delle specie di “etichette”ad alcuni residui di lisina delle proteine che devono essere eliminate in quanto coinvolte nella proliferazione cellulare. In questo modo, le molecole così marcate sono riconosciute e prontamente degradate da appositi enzimi cellulari. Secondo te, che cosa sono queste “etichette”? Descrivi il loro meccanismo d’azione.

79 METODO INDUTTIVO Se E. coli è fatto crescere in un mezzo di coltura nel quale è presente una certa quantità di glucosio e una grande quantità di lattosio, si osserva che la dimensione della popolazione di batteri segue l’andamento mostrato nel grafico sottostante. Come puoi spiegare questo fenomeno?

glucosio popolazione di E. Coli

81 DIGITALE La pandemia di COVID-19 ha insegnato al mondo che i virus non devono essere mai sottovalutati. Fai una ricerca in Internet e prepara una presentazione multimediale dove illustri le patologie virali più pericolose per l’essere umano.

82 APPRENDIMENTO COOPERATIVO Lo status dei virus nel panorama della biologia è tuttora dibattuto. I virologi Marc H.V. Van Regenmortel e Brian W.J. Mahy hanno affermato che i virus conducono una“vita in prestito”. La classe si dividerà in due gruppi per approfondire separatamente questo aspetto. Al gruppo sorteggiato per primo sarà assegnato il compito di difendere la tesi che i virus sono degli esseri viventi, all’altro la tesi opposta. Ricordate che più che la conclusione alla quale perverrete, sono importanti le modalità con le quali approfondirete l’argomento.

83 SOSTENIBILITÀ Negli ultimi anni, l’attenzione nei confronti della regolazione epigenetica a opera degli alimenti e dei loro derivati è andata via via crescendo. Diversi studi, infatti, hanno dimostrato che vari nutrienti possono influenzare l’espressione genica, con ripercussioni anche molto importanti per la salute. Inoltre, sembra che l’alimentazione della madre durante la gravidanza possa avere degli effetti duraturi sulla regolazione epigenetica dei figli. Fai una ricerca in Internet sull’argomento e riassumi in un breve testo le informazioni ottenute.

84 PROBLEM SOLVING Immagina che il codice genetico sia un codice binario e che, di conseguenza, il DNA contenga solamente due tipi di nucleotidi (0 e 1). Da quanti nucleotidi dovrebbe essere costituito ogni codone? Secondo te, questo codice genetico sarebbe degenerato?

85 SOSTENIBILITÀ Analizza il piano vaccinale della tua regione fino ai sei anni di età. Quali vaccini riguardano malattie virali? Come puoi classificare i virus in oggetto?

86 PROBLEM SOLVING L’enzima polinucleotide fosforilasi catalizza la formazione di un polimero formato da nucleotidi disposti in modo casuale. Supponendo che nel mezzo di reazione siano presenti solamente CTP e ATP, quanti tipi diversi di codoni si ritroverebbero nel polimero?

87 INTELLIGENZA ARTIFICIALE Guarda la seguente micrografia, identifica di quale tipologia di trasferimento genico orizzontale si stratta e descrivilo in cinque righe. Con l’aiuto dell’insegnante chiedete a una chatbot di intelligenza generativa di descrivere lo stesso organulo, sempre in cinque righe e senza fornirgli l’immagine. Quali sono gli aspetti che tu e il chatbot avete ritenuto importanti nella descrizione? Sono gli stessi o ci sono delle differenze? Commentate il risultato in classe.

Tempo

80 PROBLEM SOLVING Nell’essere umano, il gene della calcitonina è espresso nella tiroide e in alcuni neuroni. La sua trascrizione genera due mRNA di diversa lunghezza: un primo mRNA con quattro esoni (1-2-3-4) e un secondo trascritto più lungo costituito da cinque esoni (1-2-3-5-6). Questi due mRNA maturi genereranno rispettivamente due proteine totalmente differenti: un ormone che regola l’omeostasi del calcio nella tiroide e un neuropeptide vasodilatatore nel sistema nervoso. Quale pensi che sia il meccanismo di regolazione genica che permette di ottenere due peptidi così diversi da un singolo gene? Descrivilo e, con i dati forniti nel testo, prova a disegnare un possibile schema per la regolazione di questo gene. 5 μm TEM (falsi colori)

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Descrivi le fasi della replicazione del DNA usando le seguenti parole chiave:

modello semiconservativo • replicone • forcella di replicazione • DNA polimerasi • primer • filamento veloce • filamento lento • frammenti di Okazaki

2 Descrivi le fasi della trascrizione e traduzione utilizzando le seguenti parole chiave:

RNA polimerasi • mRNA • tRNA • rRNA • ribosomi • codice genetico • codone • anticodone • catena polipeptidica • AUG

3 Spiega il funzionamento degli operoni lac e trp usando le seguenti parole chiave: inducibile • reprimibile • promotore • operatore • terminatore • regione di controllo • regione di codifica• repressore • co-repressore • induttore • allolattosio

4 Spiega il meccanismo di infezione dei batteriofagi utilizzando le seguenti parole chiave: ciclo litico • ciclo lisogeno • fase precoce • fase tardiva • fase vegetativa • profago • fago virulento • fago temperato

Prova a partire così

5 Come avviene la regolazione dell’espressione genica negli eucarioti?

La regolazione dell’espressione genica è alla base del negli organismi pluricellulari. Esistono vari livelli di regolazione con meccanismi differenti. Il controllo regola la capacità del DNA di essere trascritto in alterando lo stato di impacchettamento della . Il controllo avviene per mezzo dei fattori di trascrizione. Il controllo della dell’RNA agisce nei processi di modifica del in mRNA maturo, a cui segui il controllo del . Il controllo traduzionale regola la traduzione dell’mRNA nel . Infine, il controllo regola le modifiche o la degradazione delle catene polipeptidiche.

6 Che cosa sono i virus e come si classificano? I virus sono un caso speciale in biologia poiché sono considerati “al limite della vita”. Sono classificati come perché non hanno un metabolismo proprio e non sono in grado di in assenza di una cellula ospite. A seconda delle cellule che infettano, i virus possono essere distinti in detti anche semplicemente fagi o . Questi ultimi sono ulteriormente classificati in base alla tipologia di che possiedono, che ne determina le modalità di infezione.

Organizza il discorso

7 Illustra il processo di maturazione e trasporto dell’mRNA. Prova a seguire questa scaletta:

Spiega cosa sono esoni e introni

Descrivi la formazione dello spliceosoma

Illustra il meccanismo dello splicing alternativo

Spiega il ruolo della coda poliadenilata e del cappuccio

8 Descrivi il trasferimento genico orizzontale. Prova a seguire questa scaletta:

Prova a seguire questa scaletta: Spiega l’importanza del meccanismo con il quale le cellule si scambiano informazione genetica

Illustra il meccanismo della coniugazione e il ruolo del plasmide F

Descrivi il meccanismo della trasformazione e il concetto di cellula competente

Spiega il meccanismo della trasduzione distinguendo tra generalizzata e specializzata

9 UN PASSO IN PIÙ Spiega quali sono e qual è il meccanismo d’azione degli elementi genetici mobili, facendo riferimento anche al loro ruolo nel processo evolutivo.

Simula un colloquio di esame

10 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

6.1 (a) Gli incroci tra animali sono praticati da secoli per ottenere determinate caratteristiche, come nel caso del pony rispetto al cavallo. (b) Gli antichi egizi erano in grado di sfruttare la fermentazione alcolica dei lieviti per produrre birra. Nella foto, il modellino di una persona intenta a produrre birra rinvenuto in una tomba egizia.

Dal DNA ricombinante alle biotecnologie

6.1 Le biotecnologie

Fin dall’inizio della sua storia, l’umanità ha sempre interagito con le specie viventi che la circondano cercando di ottenere determinati vantaggi pratici, come aumentare la quantità di cibo o migliorarne la conservazione, trovare nuove cure per le malattie o ottenere materiali adatti a vari scopi. Gli agricoltori hanno selezionato i frutti migliori dai quali ottenere i semi per l’annata successiva e gli allevatori hanno creato diverse razze animali attraverso incroci tra individui selezionati in base alle loro caratteristiche 6.1a I prodotti derivati da piante o animali sono da sempre utilizzati, direttamente o previa estrazione e purificazione, per curare malattie o anche come profumi, pigmenti, insetticidi ecc. Seppure in modo non pienamente consapevole, l’umanità ha anche sfruttato organismi microscopici come Saccaromyces cerevisiae per produrre il pane e la birra 6.1b o Lactobacillus bulgaricus per produrre lo yogurt.

Con il termine biotecnologie si indicano tutte quelle applicazioni che impiegano esseri viventi o sostanze da essi prodotte per sviluppare e produrre beni.

In base al loro campo di applicazione, le biotecnologie tradizionali possono essere suddivise in biotecnologie rosse (incentrate sulla medicina, la farmacologia e la salute umana), bianche (industriali e ambientali) e verdi (dedicate all’agricoltura).

Fino a poco tempo fa, i metodi impiegati nelle biotecnologie erano basati solamente sull’osservazione diretta degli effetti che gli incroci e le selezioni avevano sul fenotipo di un organismo, come il colore diverso di un ortaggio 6.2 o la maggiore produzione di latte di una vacca. Negli ultimi decenni, però, questo approccio è andato cambiando. Infatti, la nostra conoscenza dei meccanismi dell’espressione genica è aumentata molto rapidamente a partire dagli ultimi anni del XX secolo.

Le biotecnologie moderne prevedono invece l’applicazione di conoscenze più avanzate e specializzate rispetto a quelle derivate dalla sola esperienza diretta. Sono il risultato di studi scientifici sistematici nell’ambito della biologia cellulare e molecolare, della biochimica e della genetica. La scoperta della struttura e della funzione del DNA ha stimolato una vera e propria esplosione di ricerche e di ulteriori scoperte che in pochi anni hanno fatto aumentare in modo vertiginoso la nostra conoscenza in questo campo. Un esempio sensazionale di come sia progredita la ricerca scientifica negli ultimi anni è fornito dal Progetto Genoma Umano (Human Genome Project, o HGP). Lo HGP è stato una grande collaborazione scientifica internazionale, durata dal 1990 al 2003, che ha permesso di ottenere la sequenza nucleotidica di un genoma umano quasi completo con un’accuratezza del 99,99%. Per dare un’idea dell’immensità dell’opera, è sufficiente pensare che, se volessimo stampare su carta la sequenza degli oltre 3 miliardi di coppie di basi decodificate dallo HGP, riempiremmo una pila di libri alta circa 60 metri. Il tutto è ancora più stupefacente, se pensiamo che questo progetto rivoluzionario si è concluso a soli cinquant’anni di distanza dalla scoperta della struttura del DNA. Tuttavia, la decodifica delle sequenze nucleotidiche è solo il primo passo: queste, infatti, devono anche essere comprese. Inoltre, una nuova frontiera delle biotecnologie moderne consiste nel capire come modificare l’informazione genica e la sua espressione o, addirittura, come crearne di nuova.

6.2 Dal DNA ricombinante al clonaggio

Buona parte delle biotecnologie più avanzate prevede l’impiego della tecnologia del DNA ricombinante.

Con il termine DNA ricombinante si indica una molecola di DNA ottenuta dall’unione del materiale genetico proveniente da due o più organismi diversi. Il DNA ricombinante è oggi alla base dell’ingegneria genetica, cioè l’insieme delle procedure sperimentali che permettono l’inserimento e l’espressione di DNA esogeno all’interno di un organismo ricevente. Questa tecnica fu utilizzata per la prima volta nel 1972 dallo scienziato Paul Berg, che riuscì a unire due porzioni di DNA provenienti da virus diversi. L’anno successivo altri due ricercatori, Stanley Cohen e Herbert Boyer, riuscirono invece a fondere il materiale genetico proveniente da due diversi plasmidi di E. coli, contenenti ciascuno un gene di resistenza agli antibiotici. La molecola di DNA così ottenuta fu poi introdotta all’interno di un batterio, creando di fatto il primo organismo geneticamente modificato.

Oggi, nella maggior parte dei casi, si opera sul genoma di organismi procariotici unicellulari come E. coli oppure organismi eucariotici unicellulari come S. cerevisiae. Sono state comunque sviluppate tecniche per manipolare il genoma anche di organismi più complessi.

La Figura 6.3 a pagina seguente illustra in modo schematico come si possa ottenere una molecola di DNA ricombinante. Un determinato gene di interesse è isolato dal DNA di un organismo ed è incluso all’interno di un plasmide: quest’ultimo permette l’inserimento del gene all’interno di una cellula bersaglio e si dice che svolge la funzione di vettore. Come vedremo più avanti, esistono diverse tipologie di vettori.

6.2 Il colore arancione delle carote è frutto di una selezione operata da coltivatori olandesi intorno al XVI secolo.

1. Che cosa sono le biotecnologie?

2. Quale scoperta è stata fondamentale per lo sviluppo delle biotecnologie moderne? Risposta breve

vettore plasmidico

6.3 La tecnologia del DNA ricombinante.

Ricorda

Un palindromo è una sequenza di caratteri uguale in entrambi i sensi di lettura. Per esempio, la parola “otto” o la frase “i topi non avevano nipoti”.

plasmide aperto dagli enzimi di restrizione

1. Il plasmide (vettore plasmidico) è aperto grazie all’azione degli enzimi di restrizione. Questi sono endonucleasi, cioè enzimi in grado di tagliare il DNA in corrispondenza di specifiche sequenze nucleotidiche.

2. In modo simile si prepara l’inserto, ossia il frammento di DNA che reca il gene di interesse.

3. Il DNA del plasmide è unito a quello dell’inserto usando l’enzima DNA ligasi, che rende nuovamente circolare il plasmide.

4. La molecola di DNA ricombinante così ottenuta può essere inserita all’interno di una cellula ospite, in questo caso un batterio.

Tagliare e cucire il DNA

Per creare una molecola di DNA ricombinante, è necessario che entrambi i filamenti di DNA coinvolti (il plasmide e l’inserto) siano tagliati in punti specifici. Questi tagli sono effettuati dagli enzimi di restrizione. Queste endonucleasi sono in genere prodotte da batteri, che le utilizzano come arma di difesa per distruggere eventuale DNA estraneo (come il genoma di un fago), poiché tagliano il DNA in corrispondenza di una sequenza specifica, di solito composta da 4, 6 o più nucleotidi, e generano così frammenti di restrizione.

Uno degli enzimi di restrizione più noti è EcoRI (“eco­erre­uno”), che si chiama così perché è stato il primo a essere estratto dal ceppo RY13 del batterio E. coli. Questo enzima taglia il DNA a doppio filamento quando incontra la sequenza GAATTC 6.4 . Questa è una sequenza palindromica, poiché la sequenza di nucleotidi nei due filamenti è la stessa quando viene letta nello stesso verso (a una sequenza 5′–GAATTC–3′ corrisponde, sul filamento complementare, la sequenza 3′–CTTAAG–5′).

A oggi, sono state individuate migliaia di endonucleasi diverse e centinaia di sequenze palindromiche sulle quali operano il taglio Tab. 6.1 . Alcuni enzimi, come EcoRI, lasciano le estremità dei due filamenti asimmetriche (sticky ends, estremità appiccicose); altri, invece, operano un taglio simmetrico lasciando le estremità dei due filamenti della stessa lunghezza (blunt ends, estremità spuntate).

6.4 L’azione dell’enzima di restrizione EcoRI su un frammento di DNA.
cromosoma batterico

Enzima Sequenza bersaglio Tipo di taglio

EcoRI

PstI

BamHI

HpaI

SmaI

GAATTC

CTTAAG asimmetrico

CTGCAG

GACGTC asimmetrico

GGATCC

CCTAGG asimmetrico

GTTAAC

CAATTG simmetrico

CCCGGG

GGGCCC simmetrico

Per creare una molecola di DNA ricombinante, l’inserto e il vettore sono trattati con la medesima endonucleasi, in modo che le loro estremità siano complementari e possano essere poi unite tramite l’enzima DNA ligasi. Per unire due frammenti di acido nucleico non è sufficiente l’appaiamento tra le basi dei filamenti complementari, ma è necessario che si formi un legame covalente fosfodiesterico tra due nucleotidi adiacenti 6.5 . È possibile impiegare la DNA ligasi anche per ricucire insieme filamenti con tagli simmetrici. La mancanza di accoppiamento delle estremità rende il processo meno efficiente ma permette maggiore flessibilità perché si possono unire frammenti non complementari tra loro.

6.5 L’enzima DNA ligasi “salda” due frammenti di DNA creando un legame covalente tra due nucleotidi adiacenti.

PROBLEMA GUIDATO

Devi creare una molecola di DNA ricombinante a partire da un plasmide e un inserto dati. Tuttavia, non sai con quale enzima di restrizione è stato trattato l’inserto: analizzane la sequenza per risalire all’enzima impiegato. Tale informazione è necessaria ai fini del tuo esperimento?

5’–GATCCATCTCAAGGCTCAGTTCATCATGCAGAG–3’

3’–GTAGAGTTCCGAGTCAAGTAGTACGTCTCCTAG–5’

Utilizza le conoscenze

Gli enzimi di restrizione tagliano in corrispondenza di sequenze palindromiche specifiche: alcuni lasciano due filamenti della stessa lunghezza (estremità spuntate); altri operano un taglio asimmetrico lasciando le due estremità sporgenti (estremità appiccicose).

Progetta la strategia

Si possono escludere tutti gli enzimi che determinano un taglio simmetrico, poiché l'inserto ha estremità sporgenti. Con l’aiuto della Tab. 6.1 , è possibile analizzare e confrontare i siti di taglio di ciascun enzima di restrizione con la sequenza presente all’estremita del frammento.

Applica la strategia

Procedendo per esclusione, gli enzimi che generano estremità appiccicose sono: EcoRI, PstI o BamHI. Analizzando poi i nucleotidi terminali dell’inserto, si può risalire all’enzima specifico.

Si può notare, infatti, che sul filamento 5’-3’ i primi nucleotidi sono GATCC e l’ultimo nucleotide è una G, mentre la situazione è speculare sul filamento 3’-5’ con il primo nucleotide che è una G e gli ultimi che sono CCTAG. Tutto ciò coincide con la sequenza bersaglio di BamHI.

Rifletti sul risultato

Solo conoscendo la sequenza di un frammento di restrizione è possibile risalire all’enzima con il quale è stato digerito. Si tratta di un’informazione importante poiché, per poter creare una molecola di DNA ricombinante, lo stesso enzima di restrizione con cui è stato trattato l’inserto deve essere impiegato anche per trattare il plasmide.

Solo in questo modo si ottengono, difatti, delle estremità coesive che, grazie alle DNA ligasi, possono poi essere saldate.

6.6 (a)

di un

plasmidico. (b) Il plancton contenuto nella beuta emette una luce blu grazie all’azione dell’enzima luciferasi.

I vettori genici

Affinché il gene isolato dal genoma di una cellula possa essere introdotto all’interno di una cellula bersaglio, questo gene (che è detto esogeno) deve essere incluso all’interno di un vettore.

I vettori sono molecole di DNA che permettono di inserire un frammento di DNA esogeno all’interno di una cellula ospite.

Esistono varie tipologie di vettori, a seconda dell’uso che se ne vuole fare; in generale, però, un vettore deve contenere alcuni elementi caratteristici 6.6a .

 Un’origine di replicazione (ori), cioè un punto in cui può avere inizio la replicazione del DNA, così che il plasmide si possa replicare in maniera indipendente dal cromosoma dell’ospite.

 Un sito di clonaggio multiplo (o polylinker), ossia una porzione di DNA contenente le sequenze bersaglio di diversi enzimi di restrizione. Questa è la regione dove può essere inserito il gene esogeno (inserto).

 Un marcatore di selezione, che permette di selezionare o identificare le cellule che hanno incorporato il vettore, sia quando contiene l’inserto (vettore ricombinante) sia quando non lo contiene (vettore vuoto). Il marcatore che contiene all’interno della propria sequenza il polylinker è invece detto gene reporter e permette di selezionare i soli vettori ricombinanti: se un gene esogeno è clonato nel polylinker, il gene reporter è interrotto e non codifica più per la proteina che consente la selezione. Tipici esempi di marcatori di selezione o geni reporter sono i geni che conferiscono resistenza agli antibiotici (come il gene per la resistenza all’ampicillina, ampR) o che codificano per proteine facilmente identificabili come la luciferasi (luxAB), l’enzima responsabile della bioluminescenza 6.6b

La tipologia di vettore più comune è costituita dai plasmidi, che un tempo erano estratti direttamente dai batteri e oggi sono invece creati in laboratorio. I plasmidi, tuttavia, possono contenere solo porzioni di DNA di piccole dimensioni. Un’altra tipologia di vettori, più capienti, è rappresentata dai vettori virali: questi si ottengono modificando dei virus, rimuovendo o inattivando le porzioni di genoma responsabili per l’attività patogena e inserendo il materiale genetico da trasportare. Solitamente si impiegano vettori derivati da retrovirus, adenovirus o lentivirus. Altri vettori, che possono contenere frammenti di DNA di dimensioni nettamente maggiori rispetto a virus e plasmidi, sono i cromosomi artificiali di lievito (yeast artificial chromosome, YAC) e i cromosomi artificiali batterici (bacterial artificial chromosome, BAC).

Struttura
vettore
HpaI polylinker
marcatore di selezione (ampR)
EcoRI
PstI
BamHI gene reporter (luxAB) ori

Non esiste un vettore adatto per ogni applicazione e, di volta in volta, è necessario scegliere il più opportuno a seconda della cellula bersaglio e delle finalità. Se lo scopo è quello di mantenere il DNA esogeno all’interno della cellula ospite e di farlo replicare insieme al suo genoma, allora si impiegano vettori di clonaggio. Se, invece, si vuole far produrre una determinata proteina alla cellula ospite, allora si utilizzano i vettori di espressione, che contengono le sequenze necessarie per permettere la trascrizione e, in seguito, la traduzione. L’ingresso del DNA ricombinante nella cellula bersaglio può avvenire impiegando diverse metodologie, a seconda del tipo di vettore e di cellula ospite. In generale, si parla di trasformazione quando il vettore è inserito in una cellula procariotica e di trasfezione quando invece la cellula ricevente è eucariotica. Nel caso dei vettori plasmidici, il plasmide ricombinante entra nella cellula in modo del tutto analogo al processo di trasformazione dei procarioti. Ricordiamo, però, che solamente le cellule competenti possono assorbire DNA dall’ambiente esterno. Alcuni batteri sono naturalmente competenti, mentre altri lo possono diventare solo se sottoposti a determinati trattamenti. Per esempio, si può stimolare la cellula con uno shock termico, con l’aggiunta di cloruro di calcio al terreno di crescita o con l’applicazione di un campo elettrico di breve durata che apre dei varchi nella membrana della cellula (una pratica nota come elettroporazione).

Quando si ha a che fare con un vettore virale, invece, si sfrutta la capacità del virus di infettare le cellule e il meccanismo con cui il DNA ricombinante è inserito nella cellula bersaglio è analogo alla trasduzione.

Il clonaggio

Nella tecnica del clonaggio, una molecola di DNA ricombinante contenente un gene di interesse o un suo frammento è inserita all’interno di una cellula ricevente, generalmente un batterio. Poiché i vettori sono dotati di una propria origine di replicazione, ogni volta che la cellula ospite si divide, le cellule figlie ricevono una copia della molecola di DNA ricombinante. In questo modo, tutte le cellule derivate da un’unica cellula madre (dette cloni) contengono lo stesso frammento di DNA esogeno 6.7 Il clonaggio è una tecnica che può essere utilizzata per tre scopi principali.

 Ottenere numerose copie di un frammento di DNA di interesse. Si sfrutta l’apparato biomolecolare della cellula per replicare il DNA esogeno inserito nel vettore.

 Creare delle librerie di DNA, o genoteche, come vedremo più avanti.

 Far produrre grandi quantità di proteine (anche eucariotiche) a popolazioni di batteri. In questo caso si utilizzano i vettori di espressione. La preparazione del DNA esogeno è più complessa, a causa delle differenze nei processi di espressione genica di procarioti ed eucarioti.

Per poter clonare un frammento di DNA di interesse, questo deve essere inserito all’interno del vettore e incorporato in una cellula ospite. In seguito, è necessario verificare quali cellule contengono il vettore ricombinante e per fare ciò si ricorre ai marcatori di selezione e al gene reporter citati in precedenza. Prendiamo come esempio un vettore che contiene il gene ampR come marcatore di selezione e luxAB come gene reporter: aggiungendo ampicillina al terreno di crescita, i batteri che non contengono il vettore sono uccisi e rimangono solo le cellule in cui la trasformazione è avvenuta con successo; inoltre le cellule contenenti il vettore vuoto saranno bioluminescenti, mentre quelle con il vettore ricombinante no.

Ricorda

La trasformazione e la trasduzione sono state affrontate nel paragrafo sul trasferimento genico orizzontale dei procarioti nell’Unità 5.

1. Che cos’è un vettore plasmidico?

2. Qual è il ruolo degli enzimi di restrizione?

3. Come agisce EcoRI? Risposta breve

6.7 Ogni colonia (cioè ogni puntino sulla superficie del terreno di coltura) è originata da un’unica cellula batterica ed è quindi composta da cloni.

Clonaggio molecolare
VIDEO

Ricorda

Il termine “libreria” è un anglismo e il suo uso in italiano è un po’ improprio. Infatti, in inglese library significa “biblioteca”. Tuttavia, il termine “libreria” si è ormai diffuso nella comunità scientifica ed è quello comunemente impiegato.

6.8

Le librerie di DNA

La tecnica del clonaggio permette di creare delle vere e proprie librerie di DNA, o genoteche.

Una libreria è una raccolta di frammenti di DNA provenienti da uno stesso organismo.

Si parla di librerie genomiche se contengono sequenze di DNA direttamente riconducibili al genoma di un organismo. Per creare una libreria di questo tipo, l’intero genoma di un organismo è ridotto in brevi frammenti, ognuno dei quali è inserito all’interno di un vettore.

Le librerie di cDNA, invece, sono composte da frammenti di DNA ottenuti per trascrizione inversa a partire da RNA messaggeri; di conseguenza, esse rendono conto solo dei geni effettivamente espressi da un determinato organismo o tessuto. La procedura che porta alla formazione di un frammento di cDNA è la seguente 6.8 :

1. si seleziona il filamento di mRNA; nel caso di mRNA proveniente da cellule eucariotiche, si utilizza il trascritto maturo (privo degli introni);

2. l’enzima trascrittasi inversa sintetizza un filamento di DNA complementare all’mRNA;

3. la DNA polimerasi duplica il filamento di DNA, ottenendo così un doppio filamento la cui sequenza corrisponde perfettamente al trascritto originario e, quindi, alla proteina per cui codifica;

4. il cDNA è poi inserito nel plasmide grazie all’intervento degli enzimi endonucleasi e ligasi.

Grazie al cDNA è possibile far produrre proteine eucariotiche ai batteri: questi, infatti, non possono eseguire lo splicing e quindi non producono proteine funzionali a partire da geni eucariotici; il cDNA, costituito da soli esoni, può invece essere espresso con successo anche dalle cellule procariotiche.

Come identificare un gene in una libreria

Una libreria contiene moltissimi frammenti di DNA diversi: per individuarne uno in particolare, si deve ricorrere a delle sequenze di DNA dette sonde.

Una sonda è una porzione di DNA complementare alla sequenza da identificare, resa visibile grazie all’aggiunta di molecole fluorescenti o di atomi radioattivi.

I passaggi necessari per ottenere una molecola di cDNA.

Per utilizzare le sonde, i batteri della libreria sono fatti crescere in una piastra Petri su un terreno di coltura solido, generalmente a base di agar, una gelatina ottenuta a partire da un’alga 1 . Ogni colonia è originata dalla divisione di un singolo batterio e contiene quindi i cloni dello stesso frammento di DNA esogeno. Premendo un filtro di nitrocellulosa sulla piastra, alcune cellule di ciascuna colonia vi rimangono appiccicate 2 . A questo punto, si aggiunge una soluzione che causa la lisi della membrana cellulare e la denaturazione del DNA (ossia la separazione dei due filamenti) e si aggiunge la sonda, che lega i frammenti di DNA complementari 3 . Poiché le sonde contengono una molecola fluorescente o un atomo radioattivo, le parti del filtro che contengono DNA legato alla sonda sono visibili al microscopio a fluorescenza o attraverso l’impressione di una lastra radiografica. Dal momento che la disposizione delle varie colonie nella piastra è resa in maniera speculare sul filtro, è possibile risalire alla colonia contenente la sequenza di DNA di interesse 4 . Questa tecnica prende il nome di ibridazione su colonia, dove il termine ibridazione si riferisce all’appaiamento tra il DNA contenuto all’interno dei batteri e quello della sonda.

contenenti il DNA di interesse

6.9 La tecnica dell’ibridazione su colonia permette di identificare i cloni contenenti un determinato frammento genico all’interno di una genoteca.

6.3 La reazione a catena della polimerasi

L’isolamento di un singolo gene da un genoma è un processo lungo e complesso. Di conseguenza, una volta identificata e selezionata la sequenza di interesse, si tende a farne un gran numero di copie, così da poterle utilizzare in un secondo momento.

L’amplificazione del DNA è il processo attraverso il quale si ottiene una grande quantità di copie di una specifica sequenza di DNA.

La tecnica del clonaggio, affrontata nel Paragrafo precedente può essere utilizzata per amplificare una data sequenza di DNA. Fino a qualche decennio fa, questa tecnica era molto utilizzata per l’amplificazione; tuttavia, oggi è usata raramente per questo scopo, e solamente per i frammenti di DNA di grandi dimensioni. Per frammenti più brevi esiste una tecnica molto più rapida e conveniente, la reazione a catena della polimerasi, ideata dallo scienziato Kary Mullis e nota molto spesso con il suo acronimo PCR (polymerase chain reaction).

PODCAST

Kary Banks Mullis è un biochimico statunitense noto per aver ideato la reazione a catena della polimerasi, o PCR. Per questa straordinaria tecnica vinse il premio Nobel per la chimica nel 1993. Ascolta il podcast e scopri come questo scienziato ha messo a punto una delle tecniche fondamentali della biologia molecolare.

terreno di coltura a base di agar
piastra Petri

6.10 Gli strumenti impiegati per la PCR sono ormai quasi completamente automatizzati e permettono di amplificare molti campioni di DNA in breve tempo.

• Kary Banks Mullis

• La reazione a catena della polimerasi

Risposta breve

1. Che tipo di DNA polimerasi si usa nella PCR?

2. A che cosa serve lo stadio di innalzamento della temperatura all’inizio di ogni ciclo di PCR?

6.11 Il ciclo di funzionamento della PCR.

La PCR è una tecnica potentissima che consente di produrre in provetta un numero pressoché illimitato di copie di un segmento di DNA a partire da un numero piccolissimo di molecole che servono da stampo 6.10 .

Nel sistema di reazione non ci sono cellule; tutte le componenti necessarie alla sintesi del DNA si trovano disciolte in una soluzione tampone e sono:

 il DNA stampo;

 due primer di DNA lunghi una ventina di basi complementari alle estremità 3′ di ciascun filamento del DNA stampo;

 i quattro deossinucleotidi trifosfati (dATP, dTTP, dGTP, dCTP);

 una particolare DNA polimerasi termostabile.

Il processo è composto da varie fasi che si ripetono ciclicamente e che possono essere riassunte come elencato di seguito 6.11 .

1. La prima fase della PCR consiste in un innalzamento della temperatura della miscela di reazione fino a 94 ­98 °C in modo da ottenere la denaturazione del DNA stampo, che si separa nei due singoli filamenti. Per questo motivo è necessario utilizzare una polimerasi termostabile (che resiste alle alte temperature), come la DNA polimerasi di Thermus aquaticus, la Taq polimerasi.

2. In seguito, la temperatura è abbassata a circa 55­65 °C per permettere ai due primer di appaiarsi alle regioni complementari in modo da creare un breve tratto di DNA a doppio filamento seguito dal filamento singolo del DNA stampo. Infatti, come abbiamo visto nell’Unità 5, la DNA polimerasi non è in grado di sintetizzare un nuovo filamento ex novo, ma soltanto di allungare un filamento esistente.

3. A questo punto, la DNA polimerasi allunga il primer aggiungendo i nucleotidi complementari appropriati, scorrendo lungo tutto il filamento stampo in direzione 5′→3′. La temperatura ottimale delle DNA polimerasi usate nella PCR è circa di 72 °C.

4. Finita la copia, il processo si ripete. Ogni filamento presente nel sistema di reazione funge da stampo per il ciclo successivo. La quantità di DNA aumenta quindi in maniera esponenziale: dopo un numero contenuto di cicli si possono così ottenere quantità significative di DNA.

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6.4 Estrazione e separazione del DNA

Finora abbiamo visto diverse tecniche che ci permettono di inserire un gene all’interno di un vettore, di creare una libreria di frammenti di DNA e di ottenere innumerevoli copie di una particolare sequenza. Ma come si ottiene il DNA da cui partire? Per prima cosa, è necessario prelevarlo dalla cellula di origine con un procedimento detto estrazione.

Estrazione del DNA

Il DNA è contenuto in tutte le cellule e può essere rilasciato mediante una lisi degli involucri cellulari. La lisi delle cellule animali, prive di parete, può essere facilmente ottenuta utilizzando un tensioattivo (un detergente), cioè una sostanza che separa i lipidi che costituiscono la membrana cellulare e l’involucro nucleare. In questo modo, il contenuto cellulare e quello nucleare si disperdono nella soluzione. È importante che nella soluzione siano presenti anche sostanze per inibire gli enzimi che potrebbero degradare il DNA. La soluzione che si ottiene dalla lisi delle cellule è anche chiamata lisato cellulare. Per le cellule vegetali e per i batteri, entrambi dotati di pareti piuttosto resistenti, occorrono metodi più aggressivi che consentano di danneggiare o rompere la parete causando la fuoriuscita degli acidi nucleici. Quando si lisa una cellula, tuttavia, non è solo il DNA a fuoriuscire: tutto il materiale che prima era delimitato dalla membrana si riversa all’esterno. Per rimuovere la maggior parte di questo materiale è sufficiente la filtrazione della soluzione e l’aggiunta di proteasi (specifici enzimi che degradano le proteine).

In seguito, alla soluzione sono aggiunti dei sali: il DNA rilasciato dalle cellule lisate, carico negativamente per la presenza dei gruppi fosfato, si lega agli ioni positivi dei sali e con l’aggiunta di etanolo freddo precipita sotto forma di una massa biancastra che rimane sospesa nel liquido. È quindi possibile recuperarlo arrotolando questa massa intorno a uno stecchino di legno, un po’ come si fa con lo zucchero filato: questa operazione prende il nome di spooling 6.12 . In molti casi, questo ammasso deve essere ulteriormente purificato attraverso dei lavaggi in etanolo o altri solventi, centrifugazione e/o altri metodi prima di essere avviato ai successivi stadi.

In alternativa, il lisato cellulare può essere disciolto in fenolo e cloroformio. In seguito a centrifugazione si otterranno tre differenti fasi: una fase organica sul fondo contenente composti idrofobi, una fase intermedia composta dalle proteine denaturate e una fase acquosa superficiale in cui è presente il DNA. In seguito a diversi lavaggi con etanolo freddo si ottiene, anche in questo caso, la precipitazione del DNA. A questo punto si rimuove il surnatante e si ridiscioglie il DNA in acqua.

L’elettroforesi del DNA

È possibile separare i frammenti di DNA ottenuti dalla lisi cellulare impiegando la tecnica della elettroforesi su gel. In questo processo, un campione di DNA è fatto correre attraverso una matrice gelatinosa (costituita da agarosio o da poliacrilammide) che agisce come un setaccio, separando i vari frammenti in funzione della loro dimensione. La scelta del gel dipende dalla tipologia di esperimento, anche se in genere l’agarosio è quello più utilizzato. La poliacrilammide, costituisce un setaccio più fine e permette di separare frammenti di DNA di piccole dimensioni.

6.12 Lo spooling del DNA è simile al procedimento con cui si avvolge lo zucchero filato intorno allo stecco.

6.13 Campioni di DNA di diversa lunghezza si separano mediante elettroforesi. (a) Il DNA durante la migrazione è invisibile, (b) ma in seguito è sottoposto a colorazione con un agente intercalante fluorescente che permette di visualizzarlo sotto forma di bande.

frammenti di DNA di differenti lunghezze

Nell’elettroforesi 6.13 , una soluzione contenente il campione di DNA è posta all’interno di alcuni pozzetti situati a un’estremità del gel; poi, sul gel è applicato un campo elettrico tramite due elettrodi: il catodo, carico negativamente, si trova in prossimità del campione e l’anodo, carico positivamente, si trova invece all’estremità opposta. Gli acidi nucleici sono caratterizzati dalla presenza di numerose cariche negative dovute al gruppo fosfato di ogni nucleotide. Essi quindi tendono a muoversi sotto l’azione del campo elettrico, migrando verso l’anodo. In assenza del gel, la velocità di migrazione dei frammenti di DNA non varierebbe. Infatti, essendo il numero di cariche negative su ogni nucleotide costante, anche il rapporto carica/massa è costante: frammenti più lunghi hanno una massa maggiore ma anche un numero di cariche proporzionalmente maggiore. Tuttavia, il gel ha una struttura a maglie che funge da setaccio: a parità di condizioni, le molecole di dimensioni minori migrano più velocemente di quelle a dimensioni maggiori. In questo modo, i vari frammenti di DNA si distribuiscono sulla lunghezza del gel, con i più piccoli vicini all’anodo e quelli più grandi vicini al catodo. Oltre alla lunghezza dei frammenti, anche la conformazione del DNA è importante e si osserva che il DNA circolare migra più lentamente di quello lineare.

Al termine della corsa elettroforetica è possibile visualizzare il DNA colorando il gel con un colorante che si intercala ai nucleotidi ed emette luce fluorescente se irradiato con una luce ultravioletta 6.14a . Il campione può essere recuperato dal gel rimuovendo separatamente le bande che corrispondono a diverse lunghezze. È possibile stimare le dimensioni delle molecole di DNA confrontando la posizione di ciascuna banda con quella delle bande di un DNA marker a peso molecolare noto.

generatore di corrente

catodo anodo gel

direzione della migrazione

1. Come si effettua l’estrazione del DNA da cellule vegetali?

2. Quali frammenti di DNA migrano più velocemente durante l’elettroforesi?

3. Che cosa è il rapporto carica/ massa nel DNA? A cosa è dovuto?

frammenti più lunghi

generatore di corrente

catodo anodo frammenti più corti

L’elettroforesi può essere utilizzata, oltre che per gli acidi nucleici, anche per le proteine; in questo caso, si utilizza esclusivamente il gel di poliacrilammide.

Inoltre, poiché la carica complessiva delle proteine dipende dalla loro struttura primaria, il campione è trattato con delle sostanze anioniche che si legano alle proteine, conferendo loro una carica negativa proporzionale alla loro lunghezza. Un esempio di queste sostanze è il sodio dodecilsolfato, o SDS, un tensioattivo che denatura le proteine e si intercala a intervalli regolari lungo la catena peptidica; tuttavia, è bene ricordare che non tutte le sostanze anioniche causano anche la denaturazione 6.14b .

6.14 (a) Visualizzazione del DNA ai raggi UV dopo la corsa elettroforetica e l’aggiunta del colorante. Il marker è nei pozzetti agli estremi. (b) L’elettroforesi può essere svolta anche con campioni proteici. In questo caso il marker è centrale. a b

Risposta

6.5 Il DNA e le analisi forensi

La maggior parte del DNA di ognuno di noi è uguale a quello di qualsiasi altro essere umano. In media, condividiamo circa il 99,9% dell’informazione genetica. Ciò che ci rende geneticamente diversi l’uno dall’altro è quella piccola parte rimanente, che comunque consta di alcuni milioni di paia di basi. Queste differenze sono impiegate per distinguere due individui sulla base dell’analisi del loro DNA contenuto in diversi campioni biologici. Questo processo è detto DNA fingerprinting o identificazione genetica.

Analisi dei minisatelliti

Le prime applicazioni furono sviluppate alla fine degli anni Ottanta del XX secolo e si basavano sull’analisi dei minisatelliti, brevi sequenze di DNA ripetuto, lunghe qualche decina di basi, che mostrano grande variabilità da individuo a individuo. Il DNA estratto da un campione biologico rinvenuto (sangue, capelli, pelle, ecc.) è frammentato con l’impiego di enzimi di restrizione. I frammenti così ottenuti sono separati tramite elettroforesi ed evidenziati per ibridazione con sonde radioattive 6.15 . La rilevazione della radioattività permette di visualizzare facilmente sulla piastra alcune bande (una trentina) dove è avvenuta l’ibridazione tra i frammenti marcati e le corrispondenti porzioni di DNA nel campione. La posizione delle bande è detta impronta digitale genetica (DNA fingerprint) perché dipende dalla particolare composizione dei minisatelliti 6.16 Questa tecnica è chiamata DNA fingerprinting.

DNA

campione biologico

frammenti di DNA ottenuti con enzimi di restrizione

elettroforesi su gel

il DNA è trasferito su una membrana di nylon

ibridazione con sonde radioattive lettura della lastra

Applicazioni del DNA fingerprinting

Il DNA fingerprinting è utile nella scienza forense, cioè nell’applicazione di metodi scientifici per rinvenire prove da impiegare in un processo. È possibile prelevare un campione a partire da materiale raccolto sul luogo di un delitto e confrontare il DNA ottenuto con quello di un sospetto. In molti Stati esiste una banca dati di DNA fingerprint ottenute da persone incriminate in precedenza con la quale fare eventuali confronti. Altri impieghi forensi sono la determinazione della paternità o maternità o l’identificazione di un cadavere irriconoscibile per altri motivi. Il DNA fingerprinting viene impiegato anche in ambito sanitario nella diagnosi di malattie ereditarie, come la fibrosi cistica.

• Il DNA e le scienze forensi

• Scienze forensi: applicazioni ed esempi

• Il DNA fingerprinting

6.15 Analisi dei minisatelliti. campione A campione B campione C

6.16 L’impronta genetica di un individuo (a sinistra) è confrontata con quella di tre campioni. La perfetta corrispondenza con il campione B permette l’identificazione univoca.

1. Che cosa sono i minisatelliti?

2. In che cosa consiste l’identificazione genetica?

3. Quali sono le applicazioni del DNA fingerprinting? Risposta breve

Il sequenziamento del DNA

6.17 Moderno apparecchio per il sequenziamento del DNA con il metodo di Sanger automatizzato.

6.6 Il sequenziamento del DNA

Dalla conoscenza dell’intero patrimonio genetico di un organismo è possibile ottenere molte informazioni importanti sulla relazione tra genotipo e fenotipo, sull’espressione genica, sulla variabilità genetica ecc. In particolare, l’attenzione degli scienziati è rivolta verso quegli organismi che hanno interesse industriale o biomedico, in modo da poterne sfruttare le caratteristiche in maniera migliore o, nel caso dell’essere umano, in modo da comprendere il ruolo giocato dalla genetica nella salute umana e nel comportamento. Il primo passo per la conoscenza del genoma di un organismo richiede che il suo DNA sia sequenziato.

Il sequenziamento del DNA consiste nella determinazione della sequenza esatta dei nucleotidi che lo costituiscono.

La determinazione della sequenza di nucleotidi di un frammento di DNA o di un intero genoma è un aspetto cruciale nella comprensione del suo ruolo biologico e nello sviluppo di eventuali applicazioni biotecnologiche. Leggere la sequenza dei nucleotidi che compongono un filamento di DNA non è affatto un’operazione semplice e fino a pochi anni fa il procedimento era lento e molto costoso. Oggi, grazie alle recenti innovazioni tecnologiche, è invece possibile sequenziare interi genomi in un tempo relativamente breve.

Il metodo dei terminatori di catena

Oggi è possibile leggere la sequenza di un filamento di DNA impiegando una versione modificata della tecnica della PCR: il metodo dei terminatori di catena o metodo di Sanger, dal nome dello scienziato che lo sviluppò negli anni Settanta del secolo scorso. Lo sviluppo di metodologie automatizzate ha inoltre contribuito a realizzare dei sistemi di che permettono di sequenziare frammenti lunghi fino ad alcune migliaia di basi 6.17 . Dopo aver amplificato il filamento di DNA da analizzare, si procede secondo le seguenti fasi 6.18

1. Il DNA stampo da analizzare, a singolo filamento, è suddiviso in quattro aliquote e in ogni recipiente si aggiungono: l’enzima DNA polimerasi, i quattro deossinucleotidi­trifosfati (dNTP: dATP, dCTP, dGTP, dTTP) e gli opportuni primer.

2. In ogni recipiente si aggiunge anche una certa quantità (circa 1 nucleotide ogni 100) di un didesossinucleotide specifico. Un didesossinucleotide (o terminatore, ddNTP) è analogo a un nucleotide ma manca del gruppo 3′ OH, quindi non è in grado di legarsi a un successivo nucleotide e impedisce l’allungamento ulteriore del filamento. Nel primo recipiente si aggiunge un’adenina modificata, A*, nel secondo una C*, e così via. Ognuno dei nucleotidi modificati è anche legato a un fluoroforo (o sonda fluorescente) in grado di emettere luce quando è colpito da un fascio laser. Ogni nucleotide è legato a un fluoroforo di colore diverso (per esempio, A* blu, T* giallo ecc.).

3. In ogni recipiente, la DNA polimerasi ricopia fedelmente il filamento. Ogni tanto, però, anziché incorporare un nucleotide “normale” (per esempio A) usa un nucleotide modificato (A*) interrompendo la sintesi. Di conseguenza, in ogni aliquota si genera una serie di frammenti di lunghezza differente, ciascuno dei quali termina in corrispondenza del relativo nucleotide modificato.

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4. Le quattro miscele di frammenti ottenute in provetta sono separate in base alla lunghezza, ricorrendo a una particolare elettroforesi capillare. Per ogni frammento, grazie al colore della relativa sonda fluorescente, è identificato il nucleotide terminale. Mettendo in ordine i frammenti ottenuti nelle quattro provette in base alla lunghezza e leggendo il relativo nucleotide modificato, è così possibile ricostruire la sequenza complessiva.

dei frammenti

Attualmente, tutte queste operazioni sono effettuate da un sequenziatore automatico che restituisce il risultato sotto forma di un cromatogramma costituito da una sequenza di picchi colorati; ogni colore corrisponde a un tipo di nucleotide 6.19

Esistono anche altre tecniche di sequenziamento di nuova generazione (Next Genertation Sequencing, NGS), non più basate sul metodo Sanger, che consentono di ottenere decine di migliaia di sequenze in tempi molto più rapidi e con costi relativamente inferiori. Nella tecnica del pirosequenziamento, per esempio, si registra la luce emessa durante l’aggiunta di un nucleotide da parte della DNA polimerasi alla catena in crescita.

Oggi sono infine disponibili tecniche di sequenziamento di terza generazione che permettono di sequenziare in tempo reale frammenti di DNA lunghi anche 300 mila paia di basi. Utilizzando queste tecniche è quindi possibile sequenziare interi genomi in poche ore.

L’utilizzo di una tecnica di sequenziamento piuttosto che un’altra dipende dalle necessità sperimentali.

AGCTCATGCGTATAG

AGCTCATGCGTATA

AGCTCATGCGTAT

AGCTCATGCGTA

AGCTCATGCGT

AGCTCATGCG

AGCTCATGC

AGCTCATG

AGCTCAT

AGCTCA

AGCTC

AGCT AGC AG A

6.18 Le fasi del sequenziamento del DNA.

6.19 Cromatogramma risultante da un sequenziamento automatico basato sul metodo di Sanger.

I metodi di frammentazione del genoma

Con l’eccezione del sequenziamento di terza generazione, le altre tecniche di sequenziamento non sono in grado di processare filamenti più lunghi di qualche migliaio di basi. In ogni caso, nessun metodo di sequenziamento sviluppato finora ci permette di sequenziare l’intero genoma di organismi più complessi come quello umano, o anche solo un cromosoma, in un’unica volta. È quindi necessario frammentare le molecole di DNA in frammenti più piccoli utilizzando, per esempio, delle endonucleasi per poi riassemblare le sequenze dei singoli frammenti in un’unica lunga sequenza.

DNA polimerasi

vettore sequenziamento

Esistono due diversi approcci per tale operazione.

 Primer walking 6.20a . Il DNA è diviso in frammenti abbastanza lunghi che sono poi inseriti all’interno di vettori. Per ogni inserto, si procede quindi nella preparazione di un primer con una sequenza complementare alla regione del vettore immediatamente precedente all’inserto, dopodiché si avvia il sequenziamento. Poiché non è possibile sequenziare filamenti di DNA troppo lunghi, si otterrà solamente la sequenza della prima porzione dell’inserto.

A questo punto, si utilizza la parte terminale di questa sequenza per disegnare un nuovo primer e si avvia un secondo ciclo di sequenziamento; questi passaggi sono ripetuti fino a ottenere la sequenza dell’intero inserto. Partendo dalla sequenza nota del vettore, quindi, si “cammina” lungo l’inserto utilizzando la fine dell’ultima sequenza ottenuta come punto di partenza.

 Shotgun 6.20b . In questa tecnica, invece, si parte da diverse copie di un frammento di DNA molto lungo (anche un intero cromosoma) che sono spezzettate in segmenti abbastanza brevi da essere sequenziati in una volta sola. Questi segmenti sono poi inseriti all’interno di vettori e clonati e, infine, si procede al sequenziamento di ogni inserto utilizzando un primer ottenuto sempre dalla sequenza del vettore.

Dal momento che la frantumazione è completamente casuale, le copie del cromosoma sono spezzettate in punti diversi, cosicché si otterranno vari frammenti con porzioni sovrapponibili. Una volta ottenute tutte le sequenze dei singoli frammenti, si ricostruisce la sequenza originaria lavorando come con un puzzle e facendo combaciare i vari pezzi.

Sebbene tra i due il procedimento dello shotgun possa sembrare più difficile da portare a termine, in effetti si è dimostrato essere il più rapido. Quando si ricorre a questo metodo, infatti, una volta ottenute le sequenze dei frammenti, sono i computer a occuparsi di risolvere questo gigantesco puzzle. I progetti di sequenziamento richiedono naturalmente l’impiego di computer potentissimi, in grado di mettere insieme tutti i pezzi correttamente in un tempo accettabile. La tecnica shotgun è semplice e rapida, ma presenta alcune difficoltà con genomi complessi che contengono molte sequenze ripetute, come quello umano. Queste ripetizioni complicano l’assemblaggio delle sequenze poiché il computer non riesce ad assegnare una posizione univoca a queste sequenze identiche.

inserto da sequenziare

DNA da sequenziare DNA

frammenti di DNA clonati e parzialmente sovrapposti

primer ottenuto dalla sequenza del vettore

primer ottenuto dall’ultima porzione della nuova sequenza

6.20 Le due tecniche di frammentazione del genoma a confronto: (a) primer walking e (b) shotgun. a b

sequenza completa dell’inserto sequenze dei singoli frammenti

sequenza completa

Il Progetto Genoma Umano

Inizialmente, gli scienziati sequenziarono il genoma di organismi molto semplici, di interesse particolare per la ricerca scientifica. Il primo genoma a essere completamente sequenziato fu quello del batteriofago MS2 nel 1976, a cui fecero seguito quelli del primo batterio (Haemophilus influenzae, nel 1995) e del primo organismo eucariotico (Saccharomyces cerevisiae, nel 1996). Questi studi servirono da punto di partenza per spostare l’indagine verso organismi più complessi fino a che, nel 2003, non si ottenne il sequenziamento del primo genoma umano grazie al Progetto Genoma Umano, (Human Genome Project, o HGP) 6.21 .

Gli scopi dello HGP erano molteplici:

 determinare la sequenza dei circa tre miliardi di coppie di nucleotidi nel DNA umano;

 identificare le porzioni di DNA contenenti dei geni (si stima che queste siano circa 20 000­25 000);

 costruire un database per conservare e rendere liberamente accessibili queste informazioni agli scienziati di tutto il mondo;

 sviluppare e raffinare gli strumenti impiegati per l’analisi dei dati;

 favorire il trasferimento di queste tecnologie verso l’industria privata;

 affrontare gli aspetti etici, legali e sociali coinvolti.

Lo HGP era finanziato principalmente da organizzazioni statali ed enti di ricerca pubblici; a capo del progetto fu prima il biochimico e genetista statunitense James Watson, uno dei due scopritori della struttura del DNA, e poi il genetista statunitense Francis Collins. Nel 1994, però, apparve sulla scena un’azienda privata, la Celera Genomics, fondata dal biologo e imprenditore statunitense Craig Venter, che si propose di portare a compimento il sequenziamento del DNA umano in un tempo minore e con minor costo 6.22 . Nacque così una vera e propria gara tra i due gruppi di ricerca. Questa gara non era soltanto una questione di prestigio: la Celera Genomics, infatti, voleva brevettare alcuni dei geni scoperti in modo da garantirsi lo sfruttamento commerciale delle relative applicazioni, quali nuovi farmaci. Il risultato è che oggi una piccola parte delle sequenze del genoma umano è coperta da brevetto. Grazie allo sviluppo di tecniche sempre più avanzate, è ora possibile sequenziare il genoma di un organismo in modo sempre più rapido ed economico e il numero di organismi dei quali è stato sequenziato il genoma cresce di anno in anno; per esempio, è stato ormai sequenziato il genoma del frumento. Conoscere la sequenza di nucleotidi del genoma non rivela tuttavia in modo automatico le informazioni in essa contenute. Alcune regioni del genoma sono costituite da geni che codificano per RNA o proteine, mentre altre sono regioni non codificanti, come le sequenze regolatrici dell’espressione genica. In ogni caso, è necessario studiarne le funzioni e le interazioni per capirne appieno il significato. Questo lavoro è ben lungi dall’essere completato e impegnerà ancora a lungo la comunità scientifica. Nel frattempo, come molte altre grandi imprese scientifiche, anche il Progetto Genoma Umano ha avuto ricadute ed effetti ben al di là dei suoi scopi diretti. Infatti, è stato necessario sviluppare tecniche e metodologie nuove per affrontare e risolvere i problemi posti da una sfida tanto grande. Queste tecniche innovative spaziano dal campo della biologia a quello dell’informatica e sono ora disponibili per essere impiegate in ambiti anche molto diversi da quelli pensati inizialmente.

6.21 Il logo dello HGP.
6.22 L’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton (al centro) insieme a Craig Venter (a sinistra) e a Francis Collins (a destra).

1. Qual è il ruolo dei didesossinucelotidi nel metodo di Sanger?

2. A che cosa serve il metodo shotgun?

3. Quando è stato completato lo HGP e quali erano i suoi obiettivi?

6.23 La crescita del numero di sequenze contenute nel database GenBank negli anni.

L’annotazione del genoma

Una volta ottenuta la sequenza di un intero genoma o di una porzione di esso, il passo successivo è l’annotazione del genoma. Questo processo consiste nell’identificare la posizione sul cromosoma e la struttura di geni e altre regioni di interesse. In generale, l'annotazione può essere suddivisa in due fasi.

 Predizione genica, in cui si cerca di prevedere le posizioni dei geni. Nella predizione genica ab initio, si analizza il genoma alla ricerca di sequenze note, come promotori, codoni di inizio e codoni di stop. Nella predizione genica guidata da evidenze sperimentali, invece, si analizzano vari tipi di informazioni sperimentali, quali la sequenza di un trascritto di RNA o di una proteina, per cercare di capire quale possa essere la corrispondente sequenza del gene che li ha originati. In genere si impiegano entrambi i metodi per ottenere una migliore caratterizzazione del DNA.

 Annotazione manuale, in cui gli scienziati analizzano i risultati ottenuti dalla predizione genica per cercare di individuare un particolare gene o sequenza che permetta di spiegare una specifica problematica.

Una volta ottenuta una sequenza annotata, è possibile compararla con una analoga sequenza di un altro individuo o perfino di un altro organismo per identificare somiglianze e differenze. In questo modo, per esempio, siamo venuti a sapere che il genoma del topo è molto simile a quello umano, il che ne fa un ottimo sistema di studio. Dei circa 4000 geni studiati finora, meno di dieci sono stati trovati solo in una delle due specie e non anche nell’altra.

La bioinformatica

Tutti i metodi di predizione e di comparazione genica si basano sull’impiego di analisi automatizzate con strumenti tipici della bioinformatica.

La bioinformatica nasce dall’incontro tra informatica e biologia e il suo scopo è sviluppare e applicare strumenti e metodologie computazionali per risolvere problemi tipici della ricerca biologica.

Le moderne tecniche di sequenziamento producono una grande quantità di dati che necessitano di metodi innovativi per la loro analisi e conservazione. Per questo motivo, sono stati sviluppati database (depositi di dati) contenti le informazioni ottenute dagli esperimenti condotti in tutto il mondo e sono stati messi a punto algoritmi di ricerca in modo da poterle consultare agevolmente tramite una semplice interfaccia web. Importanti esempi di database sono GenBank, che contiene più di 200 milioni di sequenze geniche 6.23 , e Protein Data Bank (PBD) che, invece, archivia la struttura tridimensionale di molte proteine.

Risposta breve

La ricerca e la comparazione dei dati contenuti in questi database richiede l’impiego di software specializzati, in grado di leggere rapidamente milioni di sequenze e di confrontarle con altre alla ricerca di similitudini o analogie. Gli algoritmi impiegati fanno spesso uso delle più avanzate tecniche di analisi, oggi sempre più diffuse in molti campi per trattare i cosiddetti big data, come sistemi di intelligenza artificiale e computer ad alte prestazioni. Oltre all’analisi dei dati, la bioinformatica si occupa anche di produrne di nuovi impiegando metodi per simulare all’interno di un computer il funzionamento di diversi sistemi biologici in veri e propri esperimenti virtuali 6.24 . È questo il campo di discipline come la dinamica molecolare, che cerca di modellizzare la dinamica di insiemi di molecole complesse simulando il movimento degli atomi che le costituiscono, o della biologia dei sistemi, che simula il comportamento dei complessi network di reazioni chimiche che costituiscono il metabolismo o una sua parte, cercando di prevedere le risposte a variazioni come l’espressione di un gene o la presenza di un farmaco.

6.7 Dalla genomica alle altre scienze omiche

La genetica si occupa nel dettaglio di uno o pochi geni per volta. A volte è però utile avere una visione d’insieme sulla totalità del materiale genetico di un organismo. Di questo approccio si occupa una disciplina strettamente connessa.

La genomica è lo studio della struttura, della composizione e dell’evoluzione dei genomi.

La genomica si differenzia poi in varie branche, dalla genomica comparativa, che mette a confronto i genomi di specie diverse, alla genomica strutturale, che studia la posizione dei singoli geni sui cromosomi. Le scoperte scientifiche conseguenti al completamento del Progetto Genoma Umano sono state molte e importanti e a volte hanno messo in discussione teorie già esistenti. Uno dei risultati di questo progetto è stato l’aver contato l’esatto numero dei geni contenuti nel genoma umano. Prima del completamento dello HGP era stato fatto, solo su base computazionale, un conto teorico basato sui metabolismi noti e quindi sulle proteine in essi coinvolte e si era arrivati a una stima di circa 105 geni; il Progetto Genoma ne ha contati 104. Da questo risultato è partita una serie di studi che ha portato a rivedere la concezione “riduzionista” della genetica, fino ad allora fondante, basata sulla seguente affermazione: “ogni funzione si può ridurre a un gene, c’è un gene per tutte le funzioni”. Divenne chiaro che, per comprendere questi risultati, era fondamentale studiare le interazioni tra i geni e i loro prodotti.

6.24 Nella moderna biologia, agli esperimenti condotti (a) in vivo su animali o (b) in vitro su culture cellulari, si aggiungono anche gli esperimenti (c) in silico, condotti al computer.

6.25 L’assenza di luce emessa (colore grigio) indica che nessun cDNA si è legato alla sonda; la luce verde e quella rossa indicano la presenza, rispettivamente, del cDNA del campione 1 e del campione 2; la luce gialla, infine, indica che si sono legati cDNA di entrambi i campioni.

Nella moderna interpretazione delle scienze della vita, lo studio degli esseri viventi procede attraverso un approccio “olistico”, cioè guardando non solo al genoma di un organismo ma anche a come questo venga espresso e alle complesse relazioni tra tutti i prodotti del metabolismo, proteine e altre molecole regolatrici. L’idea di fondo è, infatti, che il risultante dall’unione dei componenti sia maggiore della semplice somma delle singole unità e che le relazioni reciproche tra le unità siano cruciali.

Oggi, oltre alla genomica, si riconoscono molte altre scienze omiche, che coinvolgono altri aspetti della complessa macchina metabolica di ogni essere vivente.

Trascrittomica

Una delle scienze omiche più importati si occupa dei prodotti della trascrizione. La trascrittomica, detta anche genomica funzionale, studia l’mRNA presente in una cellula, cercando di comprendere quali siano i geni espressi in particolari condizioni o in particolari organismi.

In questa disciplina si ricorre principalmente a due tecniche già affrontate nel corso dell’Unità: la sintesi di cDNA a partire da RNA e l’ibridazione degli acidi nucleici, con una sonda complementare. Lo studio dell’mRNA prodotto da una cellula (il cui insieme è detto trascrittoma) avviene per lo più tramite la tecnica del microarray a DNA, o chip a DNA. Il microarray non è altro che una piccola piastra nella quale sono disposte ordinatamente migliaia di sonde diverse. La progettazione delle sonde in genere avviene tramite l’impiego di appositi strumenti bioinformatici che individuano sequenze di qualche decina di nucleotidi complementari al target e con poche probabilità di essere presenti in altri trascritti. La tecnica del microarray a DNA può essere utilizzata per mettere a confronto i profili di espressione genica di due campioni di cellule, tessuti o organismi diversi; per esempio, per confrontare l’mRNA presente in un tessuto malato e quello di un tessuto sano 6.25

1. L’mRNA proveniente dai due tessuti è estratto e purificato.

2. Per ognuno dei campioni è sintetizzato il corrispondente cDNA tramite una trascrittasi inversa. I cDNA così ottenuti sono denaturati per ottenere molecole a singolo filamento ed etichettati impiegando delle molecole fluorescenti; per esempio, si utilizza una molecola verde (Cy3) per marcare il cDNA proveniente dal tessuto sano e una rossa (Cy5) per quello del tessuto malato.

3. Successivamente, i due cDNA sono fatti ibridizzare sullo stesso microarray contenente le sonde di interesse; in questo modo, i cDNA si legano alle sonde complementari e rimangono così “fissati” sul chip.

4. Infine, il microarray è irradiato con un laser che stimola l’emissione di fluorescenza da parte dei cDNA. Ogni posizione del microarray (e quindi ogni sonda) emetterà una luce con un diverso rapporto Cy3/Cy5 a seconda dell’espressione dei relativi geni target nei due campioni.

I microarray di DNA

Proteomica

Le proteine hanno un importante ruolo nel metabolismo e nella struttura cellulare. La conoscenza delle proteine presenti in una cellula, tessuto o organismo in particolari condizioni fornisce molte informazioni.

La proteomica è lo studio del proteoma, ossia dell’insieme di tutte le proteine di una cellula, di un tessuto o di un intero organismo.

Al contrario degli acidi nucleici, le proteine variano considerevolmente in struttura e proprietà fisiche e chimiche oltre che in abbondanza relativa. Inoltre, nelle cellule eucariotiche il numero di proteine è molto superiore al numero di geni.

L’elettroforesi bidimensionale su gel di poliacrilammide

Il primo problema consiste nel separare e indentificare le proteine presenti in un campione. Una delle tecniche più impiegate è l’elettroforesi bidimensionale su gel di poliacrilammide, o 2D-PAGE (2D polyacrylamide gel electrophoresis). Il suo nome è dovuto al fatto che le proteine sono separate in una dimensione a seconda del loro punto isoelettrico e in un’altra a seconda della loro massa impiegando gel e trattamenti diversi nelle due fasi 6.26 . Il risultato finale è una distribuzione del campione di proteine in una serie di macchie sul gel. Si possono infine confrontare gel ottenuti da campioni ed esperimenti differenti.

le proteine sono separate in base al loro punto isoelettrico

La spettrometria di massa

Ricorda Il punto isoelettrico delle proteine è affrontato nell’Unità 2.

le proteine sono separate in base alla loro massa

anodo

Alcune proteine di massa molto piccola o molto grande o di carica elevata non sono risolte molto bene tramite la 2D­PAGE. Si procede quindi alla rimozione fisica delle proteine dal gel dell’elettroforesi e l’impiego di altri metodi di identificazione, come la spettrometria di massa 6.27 . Questa tecnica permette di distinguere la massa di molecole in forma ionizzata in fase vapore, separandole in base al loro rapporto massa/carica (m/z).

Altre scienze omiche

Acidi nucleici e proteine non sono le uniche molecole che svolgono un ruolo fondamentale nel metabolismo cellulare. Ciò ha portato alla nascita di ulteriori scienze omiche, tra le quali rivestono grande importanza la metabolomica (che studia i metaboliti secondari di un organismo come gli amminoacidi, i carboidrati, i fosfati, i composti azotati, i polioli, i polifenoli ecc.) e la lipidomica (che invece studia i lipidi, come quelli presenti nelle membrane cellulari). Queste tecniche impiegano molto spesso un qualche tipo di spettrometria di massa, accoppiata a diverse tecniche cromatografiche.

6.26 La 2D-PAGE prevede una separazione delle proteine lungo due dimensioni.

6.27 Spettrometro di massa.

6.8 Le piante e gli animali geneticamente modificati

Le incredibili possibilità offerte dalla tecnologia del DNA ricombinante hanno già trovato molteplici applicazioni nel campo agroalimentare e il numero di tali applicazioni è certamente destinato ad aumentare nel prossimo futuro. Il sequenziamento dei genomi di piante coltivate e animali da allevamento è alla base di ogni applicazione del DNA ricombinante in questo settore. Per questo motivo sono stati completati o sono in corso parecchi progetti di sequenziamento del DNA di organismi interessanti per l’agricoltura o l’allevamento, quali il riso, l’uva, la vacca o l’ape da miele. Questi progetti forniscono le basi per poter selezionare con maggiore consapevolezza le varianti più vantaggiose o produttive; inoltre, permettono di modificare il loro genoma per inserire geni, anche di provenienza diversa, in grado di fornire nuove caratteristiche o modificare le sequenze regolatrici di geni già presenti per migliorarne le prestazioni. Gli organismi il cui patrimonio genetico è stato modificato con tecniche di DNA ricombinante sono spesso indicati come organismi geneticamente modificati o OGM.

L’impiego in agricoltura

Il settore agricolo è quello in cui la sperimentazione e le applicazioni di tecniche OGM sono più progredite, anche grazie al fatto che per gli scienziati è più semplice far sviluppare intere piante a partire da cellule modificate coltivate in laboratorio piuttosto che creare animali geneticamente modificati (GM). Le prime colture di tipo OGM sono state introdotte negli Stati Uniti nel 1996; già dopo pochi anni, la maggior parte dei semi di cotone, di mais e di soia piantati negli Stati Uniti era di tipo OGM. Anche in molti altri Paesi come Canada, Cina, Brasile e Argentina le coltivazioni OGM sono sempre più diffuse. Molte di queste piante sono state modificate per offrire una maggiore resistenza alle malattie incorporando, per esempio, il gene di Bacillus thuringiensis, che permette di produrre una tossina insetticida. B. thuringiensis (Bt, 6.28 ) è un batterio del suolo che, quando si trova in condizioni ambientali poco favorevoli, dà origine a spore.

Una spora è una forma di resistenza che si sviluppa all’interno di una cellula (detta cellula madre della spora) e consente di superare le condizioni avverse.

Insieme alla spora, nella cellula madre del Bt è contenuta anche una proteina cristallizzata a forma di piramide che è letale per le larve di alcuni insetti , mentre è innocua per i vertebrati, quindi anche per l’essere umano. Il batterio in sé, quindi, è un insetticida naturale che vive sulla superficie delle piante: le larve che si nutrono delle foglie, infatti, ingeriscono anche Bt e la sua tossina, che le uccide.

Ibridi, chimere e OGM
VIDEO
6.28 Immagine al SEM del Bacillus thuringiensis
1,5 μm SEM (falsi colori)

Bt è stato utilizzato come insetticida spray già dalla metà del secolo scorso. La sua applicazione biotecnologica è più recente ed è stata ottenuta trasferendo i geni che codificano la sua tossina nel genoma del mais 6.29 e poi di altre colture. La pianta GM produce da sola la tossina Bt. La larva dell’insetto, nutrendosi della pianta, ingerisce la tossina e muore; quindi il mais, per esempio, diventa resistente alla piralide (un comune parassita). In queste piantagioni è possibile impiegare una quantità minore di pesticidi chimici senza pregiudicare la quantità di raccolto.

In altri casi, l’ingegneria genetica ha permesso di introdurre geni in grado di arricchire le qualità nutritive di alcune piante. È questo il caso del riso dorato Golden Rice, nel quale sono stati inseriti due geni, uno proveniente dal fiore di narciso e uno dal batterio Erwinia uredovora, che permettono di produrre una sostanza nota come beta­carotene, che è un precursore della vitamina A. Questo tipo di alimento potrebbe essere molto utile per tutte quelle popolazioni asiatiche la cui dieta, che si basa sul riso, è povera di vitamina A.

DNA

il gene Bt è tagliato con delle endonucleasi

inserimento del gene in una cassetta di espressione promotore terminatore

L’impiego nella zootecnia

il plasmide contenente il transgene è moltiplicato in un batterio ospite

vettore plasmidico

il transgene è inserito nel genoma del mais cellula di mais

6.29 Il procedimento utilizzato per ottenere il mais transgenico Bt.

Rispetto a quanto avviene nel campo agricolo, la produzione di animali GM è a uno stadio meno sviluppato. Questo perché la procedura necessaria per creare un animale a partire da una cellula coltivata in laboratorio è in genere più complessa. Inoltre, gli animali, rispetto alla maggior parte delle piante, sono molto meno prolifici e più lenti nella crescita; di conseguenza, la sperimentazione è più lenta perché si deve attendere più tempo per poter studiare le generazioni che si originano a partire da un animale modificato. In molti casi, l’inserimento di geni ha avuto come scopo quello di esaltare caratteristiche favorevoli già presenti, per ottenere animali il cui allevamento sia più vantaggioso. Per esempio, è stato così sviluppato un tipo di salmone che produce una quantità maggiore di ormone della crescita e può quindi raggiungere dimensioni molto maggiori delle specie naturali.

gene della tossina Bt
batterio
mais Bt

Risposta breve

1. Quale vantaggio ha l’utilizzo della tossina Bt?

2. In quale applicazione sono sfruttati dei geni di narciso?

In altre sperimentazioni, i geni inseriti hanno permesso di donare agli animali GM delle proprietà nuove, caratteristiche di altri organismi viventi. In questo modo è stato prodotto GloFish® 6.30 , un pesce da acquario geneticamente modificato in modo da sviluppare un colore fluorescente nei toni dell’arancio, del verde e del giallo. La proteina responsabile della fluorescenza è la GFP (proteina fluorescente verde, dall’inglese green fluorescent protein) proveniente dalla medusa Aequorea victoria e di cui sono state create in laboratorio diverse varianti di altri colori.

La scoperta della GFP, isolata per la prima volta nel 1962, valse il premio Nobel per la chimica nel 2008 al biochimico statunitense Osamu Shimomura. Questa proteina è molto utilizzata nelle applicazioni biotecnologiche in diversi settori, sia come gene reporter o marcatore di selezione sia come marcatore di proteine. In quest’ultimo caso, la sequenza codificante per la GFP è inserita a valle di quella di una proteina di interesse e ne permette la visualizzazione al microscopio a fluorescenza. In questo modo si possono ottenere informazioni sulla quantità di proteina espressa e sulla sua localizzazione all’interno delle cellule. L’Enviropig™ (dalle parole inglesi environment, ambiente, e pig, maiale), invece, è un maiale nel cui genoma è stato trasferito il gene per l’enzima fitasi, che gli permette di digerire l’acido fitico, una molecola contenente fosforo presente nel mais e in altri alimenti. In questo modo il letame prodotto contiene fino al 70% di fosforo in meno e l’allevamento ha un minore impatto ambientale. La produzione di fosforo dagli allevamenti è infatti una delle cause di inquinamento poiché determina un’eccessiva crescita di alghe e altri organismi (eutrofizzazione). Oltre che per applicazioni di questo genere, però, lo sviluppo di animali GM sembra essere molto promettente anche per produrre sostanze di grande interesse, specialmente nel campo farmaceutico. Di recente alcuni gruppi di ricerca sono riusciti a inserire nel genoma di una gallina i geni umani responsabili per la produzione di proteine essenziali per il nostro sistema immunitario e utili come terapia contro diverse patologie, tra cui alcuni tumori: IFN­α­2a, che ha un effetto antivirale e antitumorale molto potente, e GM­CSF, che stimola i tessuti danneggiati a ripararsi. Le proteine sintetizzate non hanno alcun effetto sulla vita e il comportamento delle galline, ma l’albume delle loro uova contiene concentrazioni così alte delle due proteine che si prevede che il costo di produzione potrà scendere fino a cento volte 6.31 . Altre tecnologie in via di sviluppo riguardano invece alcuni mammiferi e l’obiettivo è far secernere loro latte contenente farmaci o altre sostanze importanti per la salute. In questo modo, bevendo un semplice bicchiere di latte potremo integrare la nostra dieta o curare alcune malattie. Addirittura, In futuro, dal latte si potranno perfino ottenere nuovi materiali: una sperimentazione ha portato allo sviluppo di latte di capra contenente una proteina simile alla seta del ragno, che potrà essere impiegata per produrre materiali ad alta resistenza.

6.30 Esemplari di GloFish® in un acquario. Sono prodotte diverse specie, in varie colorazioni.
6.31 Le uova di galline OGM potrebbero presto diventare una sorgente di diversi tipi di farmaci.

Gli animali per la ricerca scientifica

Tra gli animali GM più diffusi ci sono quelli in cui le modifiche genetiche non hanno lo scopo di migliorarne le caratteristiche bensì di permettere di studiare gli effetti di particolari geni. È questo il caso dei topi knock-out 6.32

In un topo knock-out uno o più geni sono stati inattivati (knocked-out), eliminando porzioni di DNA o sostituendole con altre non funzionali.

I topi knock­out sono impiegati per comprendere il ruolo di uno o più geni, studiando gli effetti del loro silenziamento sul metabolismo, lo sviluppo e il comportamento dell’animale in questione. Poiché esseri umani e topi condividono una vasta porzione del genoma, gli studi sui topi knock­out sono di grande importanza per scoprire il ruolo di geni umani e la loro relazione con alcune malattie. Per esempio, i topi knock­out sono usati come animali modello per lo studio di diversi tipi di tumori e malattie neurodegenerative, come Alzheimer e Parkinson.

La clonazione

La clonazione consiste nell’insieme di tecniche con le quali è possibile creare un individuo con un patrimonio genetico identico a un altro.

Il primo mammifero a essere clonato fu la pecora Dolly, nel 1996. Da allora, sono stati clonati numerosi altri mammiferi tra i quali vacche, capre, cavalli, topi e gatti, ma anche anfibi, come le rane, e invertebrati come i moscerini della frutta (Drosophila melanogaster).

La tecnica più comune per la clonazione prevede l’utilizzo di un ovulo non fertilizzato, che contiene tutto il complesso macchinario biochimico per poter sviluppare un embrione, dal quale è però rimosso il nucleo. Nella cellula privata del nucleo (e quindi di materiale genetico) è poi inserito il nucleo di una cellula somatica adulta. In questo modo si ottiene una cellula con un corredo genetico completo e in grado di svilupparsi in un embrione. Una volta ottenuto un embrione composto da poche cellule, queste sono impiantate nell’utero di una madre surrogata, dove lo sviluppo prosegue fino alla nascita.

Sebbene oggi siano clonati numerosi altri animali, il processo non è ancora del tutto perfezionato. Per esempio, molte delle cellule ottenute non sono in grado di andare incontro a divisione; inoltre, solo alcuni degli embrioni formati si sviluppano normalmente.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi gli animali clonati sono fisiologicamente indistinguibili da quelli ottenuti con fecondazione naturale o con tecniche in vitro. L’interesse per la clonazione di animali (in particolare animali da reddito come vacche e pecore) risiede non solo nella possibilità di ottenere “copie” di animali con caratteristiche desiderabili, ma anche nella relativa facilità con cui si potrebbero produrre animali GM. Si potrebbe infatti operare il trasferimento genico su cellule somatiche, facili da coltivare, per poi trasferire il nucleo con il genoma modificato in un ovocita e ottenere un nuovo organismo con le proprietà desiderate.

Un altro aspetto interessante della clonazione animale, inoltre, consiste nella possibilità di recuperare specie animali ormai estinte. Un parziale successo è stato già raggiunto con lo stambecco dei Pirenei, che si è estinto nel 2000 6.33 . Sebbene in teoria la clonazione di esseri umani potrebbe essere portata a termine con tecniche analoghe a quelle viste finora, esistono numerosi ostacoli di ordine etico che impediscono la sua applicazione.

1. Quale vantaggio hanno i salmoni sviluppati tramite l’ingegneria genetica?

2. Quale applicazione può avere il latte di capre transgeniche? Risposta breve

6.32 In questo topo knock-out, ottenuto nel 1998 in Scozia, la modificazione del genoma ha determinato l’obesità dell’animale.

6.33 Lo stambecco dei Pirenei era una sottospecie dello stambecco iberico.

6.34 Il glutammato monosodico

(il sale di sodio dell’acido glutammico) è ampiamente utilizzato nell’industria alimentare come esaltatore di sapidità. Per esempio, si trova nei dadi e nei preparati per brodo.

6.9 Biotecnologie ambientali e applicazioni industriali

Molti dei problemi ambientali e delle sfide che ci attendono nel prossimo futuro sono originati dalla nostra attuale tecnologia, basata sulla produzione di energia da idrocarburi fossili e sull’impiego di solventi inquinanti e altre sostanze pericolose a livello industriale. Le biotecnologie promettono di risolvere o mitigare molti di questi problemi agendo su più fronti, poiché permettono di produrre beni attraverso processi con un impatto ambientale minore. Come abbiamo già visto, alcune piante GM hanno rese più elevate, quindi le loro culture richiedono meno suolo e si limita il disboscamento; altre sono invece resistenti parassiti e richiedono quindi un minor uso di pesticidi. Le biotecnologie industriali, invece, fanno largo uso di microrganismi per la produzione di solventi come per esempio l’acetone, l’etanolo e il butanolo, ma anche per altri prodotti utilizzati nell’industria alimentare come l’acido glutammico 6.34 , l’acido citrico e la lisina. Tutti questi processi hanno in genere un minore impatto ambientale e un minore costo rispetto alle tecnologie impiegate fino a pochi decenni fa. Inoltre, applicazioni basate sulle biotecnologie saranno in grado di rimediare ai danni fatti in passato, aiutando a ridurre l’inquinamento che affligge il nostro Pianeta.

I biocombustibili

I biocombustibili e i biocarburanti costituiscono risorse energetiche biodegradabili, rinnovabili e, in genere, meno nocive di quelle ottenute dal petrolio. Sono utilizzabili per la trazione (biocarburanti), il riscaldamento e l’industria. Tutti i biocombustibili sono derivati dalla trasformazione di biomasse, definite come qualunque massa di sostanza organica biodegradabile ottenuta da colture specifiche o da scarti dell’agricoltura, dell’industria e anche dai rifiuti urbani. Le biomasse sono trasformate in biocombustibili mediante processi chimici o biochimici a opera di microrganismi.

Molecole organiche: energia dalle biomasse

Hai incontrato la fermentazione alcolica nell’Unità 3.

Oggi si mira a ottenere biocarburanti di seconda generazione a partire da residui e scarti piuttosto che da colture dedicate, così da non competere con quelle a fine alimentare. Si parla però già di biocombustibili di terza e quarta generazione, dove le biotecnologie sono applicate per ottenere biomasse da colture di microrganismi e processi sempre più efficienti e sostenibili.

I biocombustibili già in produzione sono il bioetanolo, il biodiesel e il biogas.

Bioetanolo

Bioetanolo è il nome che è dato all’etanolo prodotto dalla fermentazione di zuccheri a opera dei lieviti. In passato si utilizzavano biomasse ricche di zuccheri (mais, vinacce, barbabietole), mentre oggi ci si sta orientando verso la produzione di bioetanolo a partire da biomasse legnose, come residui di coltivazioni agricole e forestali e dell’industria agroalimentare.

Tutti questi metodi di produzione permettono di avere un bilancio favorevole del diossido di carbonio.

Gli zuccheri degli scarti vegetali non possono però essere degradati direttamente dai microrganismi che conducono la fermentazione alcolica. I tessuti vegetali sono infatti costituiti da cellulosa e da emicellulosa in una matrice di lignina. I polisaccaridi vegetali, quindi, devono prima essere liberati dalla lignina nella quale sono intrappolati e solo successivamente possono subire un processo di idrolisi che rilascia monosaccaridi fermentabili 6.35 .

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biomassa (ligno-cellulosa)

conversione enzimatica in zuccheri fermentazione recupero del materiale

pretrattamento

facilita l’attacco enzimatico di cellulosa ed idrolisi dei polisaccaridi fermentazione alcolica di esosi e pentosi distillazione

Siamo oggi in grado di isolare microrganismi ed enzimi che possono condurre in modo efficiente l’idrolisi di cellulosa ed emicellulosa, anche in presenza di lignina. Attraverso le biotecnologie sono stati ottenuti ceppi di lievito ricombinanti capaci di fermentare i pentosi derivati dalle emicellulose (oltre agli esosi, comune substrato dei lieviti). Il bioetanolo può essere utilizzato nei motori a benzina, miscelato con il carburante tradizionale in una percentuale variabile tra il 5 e il 10%.

Biodiesel

Il biodiesel è un biocombustibile prodotto a partire da un olio vegetale attraverso un processo di transesterificazione:

2 OH

O C R2

2 O C R3

trigliceride

OH glicerolo

2 OH

3 O C R1

3 O C R2

trigliceride + alcol metilico = glicerolo + esteri metilici degli acidi grassi

I trigliceridi sono posti a reagire in eccesso di alcol metilico, in presenza di un catalizzatore alcalino. È invece necessario la riprogettazione di parte del motore se si vuole usare biodiesel puro poiché, altrimenti, le sue caratteristiche porterebbero a un veloce deterioramento delle guarnizioni e altri componenti. Si ottengono così esteri monoalchilici di acidi grassi a catena lunga utilizzabili nei motori diesel. L’uso del biodiesel miscelato al gasolio, in percentuali comprese tra il 2 e il 30% in volume, non richiede alcuna modifica dei motori diesel. Si ottiene inoltre, come sottoprodotto, il glicerolo (conosciuto anche come glicerina) che, dopo essere stato raffinato, è venduto alle industrie farmaceutiche e cosmetiche 6.36

Le materie prime per la produzione del biodiesel sono gli oli (per esempio, olio di soia, di colza, di girasole, di palma) e gli oli vegetali esausti. Tuttavia, l’uso per fini energetici di prodotti alimentari ad alto valore, come l’olio vegetale, pone problemi di ordine etico perché sottrae spazio e risorse alle produzioni alimentari.

La produzione di biodiesel di seconda generazione prevede la coltivazione di microalghe, la cui produttività è elevata e il contenuto di lipidi estraibili può essere molto superiore a quello dei semi oleosi 6.37 . Sono stati inoltre progettati e costruiti impianti di coltivazione delle microalghe sempre più funzionali e a basso costo e per mettere a punto tecniche di raccolta e metodi di estrazione e conversione dei lipidi sempre più efficienti.

etanolo

6.35 Schema di un impianto per la produzione di bioetanolo da biomasse vegetali. olio vegetale

catalizzatore metanolo

per biodiesel. 3CH3OH CH2 O C R1

biodiesel grezzo

glicerina grezza

6.36 Il processo di transesterificazione utilizzato per ottenere biodiesel dai trigliceridi.

6.37

la produzione di

Impianto per
microalghe

6.38 Il biorisanamento può essere utile nel caso di disastri ambientali come lo sversamento di petrolio in

Risposta breve

1. A partire da cosa è prodotto il biodiesel?

2. Come si produce il biogas?

3. Quali tecniche possono essere utilizzate per sanare le aree inquinate dalla dispersione di petrolio?

4. Come sono strutturati i biofiltri?

Biogas

Il biogas, o gas biologico, si produce tramite digestione anaerobica: la sostanza organica presente nelle biomasse, in condizioni di assenza di ossigeno (anaerobiosi), è trasformata in una miscela gassosa costituita principalmente da metano (CH4) e diossido di carbonio (CO2). La digestione anaerobica avviene all’interno di appositi reattori anaerobici (digestori), a opera di comunità microbiche miste che svolgono diversi tipi di metabolismo in successione. La materia organica è inizialmente idrolizzata a molecole più semplici (zuccheri, amminoacidi, lipidi) dai batteri eterotrofi. I monomeri liberati sono utilizzati da batteri anaerobi fermentanti che rilasciano CO2, H2 e derivati di acidi organici (acetato). Successivamente intervengono gli archei, un gruppo di procarioti differenti dai batteri, che conducono la metanogenesi, cioè la conversione dell’acetato in metano. Si ottiene un biogas utilizzabile direttamente nella produzione di energia elettrica e/o termica. Dal biogas si può ricavare il biometano mediante rimozione di CO2 (il processo è denominato upgrading). Il residuo (digestato), ancora ricco di sostanza organica, è in genere riutilizzato come fertilizzante. I principali substrati utilizzati per la produzione di biogas sono gli scarti zootecnici, i residui colturali e gli scarti agro­alimentari.

Il biorisanamento

Uno dei principali effetti dell’impatto dell’essere umano sull’ambiente è l’inquinamento. Gli inquinanti organici sono costituiti da molecole persistenti e scarsamente degradabili, come gli idrocarburi. Queste sostanze sono rilasciate nell’ambiente, per cause accidentali o volontariamente, con effetti letali sugli organismi e stravolgimento dell’equilibrio degli ecosistemi.

Un tipico esempio di inquinamento ambientale accidentale è quello determinato da sversamenti derivati da incidenti a petroliere o piattaforme petrolifere off-shore. In entrambi i casi, tonnellate di petrolio sono riversate in mare con effetti disastrosi, dal momento che il petrolio è una miscela complessa di idrocarburi e altre sostanze tossiche per piante e animali 6.38 . Sono state adottate numerose strategie per rimuovere il petrolio dagli ambienti contaminati, come la rimozione per via meccanica, manuale o mediante l’aggiunta di tensioattivi, che facilitano il processo di dispersione del petrolio greggio. L’ambiente, tuttavia, ha una capacità intrinseca di smaltimento di sostanze contaminanti, dovuta all’attività catabolica di microorganismi che sfruttano tali composti organici come substrato di crescita.

Lo sfruttamento di questi microrganismi è definito biorisanamento o biorimedio (dall’inglese bioremediation) ed è un mezzo efficace, economico e sostenibile per la bonifica di ambienti inquinati. I prodotti di degradazione delle molecole inquinanti sono il diossido di carbonio, l’acqua e la biomassa microbica.

La biofiltrazione

È possibile impiegare microorganismi come i batteri anche per la rimozione di sostanze inquinanti attraverso l’impiego di biofiltri. Il loro funzionamento si basa sulla capacità di alcuni procarioti di ossidare molte sostanze, tra cui diversi composti organici volatili. I biofiltri sono costituiti da un supporto sul quale è depositato il materiale filtrante, costituito da un biofilm (una “pellicola” formata da uno strato di batteri) che è mantenuto nelle opportune condizioni di umidità e temperatura. Come supporto si impiegano spesso materiali di recupero come scarti della lavorazione del legno. La biofiltrazione è impiegata per rimuovere odori sgradevoli o composti tossici sia da effluenti gassosi sia da acque reflue.

mare.

6.10 Biotecnologie per la salute umana

Da sempre la medicina impiega sostanze di origine biologica per la cura della salute umana. Oggigiorno, grazie alle moderne conoscenze sul funzionamento degli esseri viventi, siamo in grado di ottimizzare la loro produzione e di crearne di nuove. Ben presto saremo anche in grado di adattare le cure a ogni individuo, tenendo conto del suo genotipo; potremo influenzare il nostro fenotipo regolando finemente l’espressione genica in modo artificiale o addirittura modificare il nostro genoma per curare malattie genetiche e, forse, dotarci di nuove capacità.

La produzione di antibiotici

Gli antibiotici sono delle molecole prodotte da microrganismi (funghi e batteri) che inibiscono o uccidono selettivamente altri microrganismi. Il primo antibiotico, la penicillina, fu scoperto quasi per caso da Alexander Fleming (18811955), il quale si accorse che una muffa (Penicillum notatum 6.39 ), cresciuta come contaminante, bloccava la crescita del batterio patogeno Staphylococcus aureus in coltura.

Dalla straordinaria scoperta della penicillina, molti altri antibiotici sono stati isolati e purificati e a tutt’oggi gli antibiotici costituiscono un’importantissima forma di difesa contro i patogeni. Gli antibiotici naturali sono dei metaboliti secondari, così definiti perché non risultano indispensabili per la vita dell’organismo che li produce, a differenza dei metaboliti primari e sono secreti nell’ambiente circostante. Si tratta di molecole molto diverse tra loro, che agiscono bloccando un enzima o interferendo con la permeabilità cellulare, con la sintesi proteica o con la replicazione del DNA.

La penicillina, per esempio, fa parte degli antibiotici beta­lattamici, il cui nome deriva dalla presenza di una struttura centrale chiamata anello lattamico 6.40 . La penicillina interferisce con la sintesi della parete batterica legandosi all’enzima che catalizza la polimerizzazione del peptidoglicano. La cellula batterica con una parete indebolita non è più in grado di contrastare la pressione osmotica e va incontro a lisi.

I microrganismi devono però potersi difendere dalla molecola antibiotica che essi stessi producono e quindi hanno evoluto vari meccanismi di resistenza. Tali meccanismi sono determinati geneticamente e consentono alla cellula che li produce di distruggere o neutralizzare l’antibiotico prodotto. Per esempio, un meccanismo di resistenza agli antibiotici beta­lattamici si basa sull’enzima beta­lattamasi, che rompe l’anello lattamico al centro della molecola, neutralizzandola. Purtroppo, i geni responsabili della resistenza possono essere trasferiti con diversi meccanismi tra specie diverse, conferendo resistenza anche a microrganismi che erano precedentemente sensibili. In caso di infezione causata da un patogeno resistente agli antibiotici beta­lattamici, una terapia a base di penicillina sarebbe quindi inutile.

Le biotecnologie hanno permesso di ottenere rese sempre maggiori migliorando i processi di produzione su larga scala di antibiotici, grazie anche a fermentatori sempre più grandi e sofisticati 6.41 . La conoscenza delle basi genetiche delle vie biosintetiche ha consentito di intervenire, mediante tecniche di ingegneria genetica, sulla regolazione della via biosintetica dell’antibiotico per produrne di più. È anche possibile modificare parti della molecola antibiotica prodotta per renderla più efficace o per contrastare il meccanismo di resistenza del batterio patogeno. Negli ultimi anni questo fenomeno si sta intensificando, mettendo a rischio la salute pubblica.

Fotografia

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Hai affrontato i meccanismi del trasferimento genico orizzontale nell’Unità 5.

6.40 La struttura generale delle penicilline (antibiotici beta-lattamici).

6.41 Impianto di un’industria farmaceutica adibita alla produzione di penicillina.

6.39
al SEM della muffa Penicillum notatum
5 μm SEM (falsi colori)

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Un antigene è una molecola proteica che è riconosciuta e legata da un anticorpo.

antigene

catena

pesante

catena leggera sito di legame per l’antigene

La produzione di altri farmaci

Il genoma e l’apparato metabolico cellulare dei batteri costituiscono un sistema abbastanza semplice, in cui gli interventi di ingegneria genetica risultano fattibili e soprattutto efficaci. Per esempio, è possibile inserire all’interno di un batterio E. coli tratti di geni umani che codificano per piccole proteine. Oggi possono essere prodotti da batteri appositamente “ingegnerizzati” l’insulina, il fattore VIII della coagulazione e la somatotropina, molecole importanti rispettivamente per la cura del diabete, di alcune forme di emofilia o di casi di deficit di ormone della crescita.

La relativa facilità della tecnica è accompagnata da un enorme vantaggio in termini di tollerabilità nell’uso farmacologico di queste sostanze prodotte in vitro Queste molecole, infatti, sono strutturalmente, chimicamente e biologicamente equivalenti a quelle prodotte dal nostro corpo. Prima dello sviluppo di queste applicazioni biotecnologiche, si doveva ricorrere a proteine simili estratte dal plasma di animali, con possibilità non infrequenti di reazioni immunologiche avverse, specialmente in soggetti costretti ad assumerne continuamente. Inoltre, oggi l’uso di bioreattori industriali permette coltivazioni di enormi quantità di batteri transgenici e questo rende anche economicamente sostenibile il processo di sintesi di questi farmaci biotecnologici.

La produzione di anticorpi monoclonali

Gli anticorpi 6.42 sono proteine ad alto peso molecolare prodotte dai linfociti B attivati (plasmacellule). Il loro ruolo è di distinguere tutto ciò che compone il nostro organismo, detto in generale self (che in inglese significa “se stesso”) da quello che invece non ne fa parte, il non-self. La distinzione tra self e non­self è alla base del funzionamento del sistema immunitario che aggredisce gli agenti estranei, senza danneggiare il nostro organismo. La capacità di riconoscere specifiche molecole ha fatto degli anticorpi un ottimo strumento da utilizzare in campo biotecnologico. Per esempio, anticorpi diretti contro alcuni antigeni virali e coniugati con una molecola fluorescente sono usati in diagnostica: se aggiunti a vetrini da microscopio di un campione di tessuto che si sospetta essere contaminato, gli anticorpi fluorescenti possono a evidenziare la presenza di virus. La loro grande specificità per un determinato antigene è garanzia di significatività delle analisi.

Sintetizzare chimicamente anticorpi in laboratorio è a oggi impossibile perché non può essere riprodotta la specificità di legame che ogni tipo di anticorpo ottiene grazie a complesse modifiche post­trascrizionali. È allora conveniente utilizzare un sistema animale e cellulare opportunamente “istruito” a sintetizzare anticorpi diretti contro un certo antigene 6.43

1. La prima fase è l’immunizzazione di conigli da laboratorio con l’antigene, iniettando negli animali una sospensione non letale di molecole antigeniche per ottenere una risposta immunitaria verso queste molecole e la conseguente produzione di anticorpi in grado di legarle.

2. In seguito, si fondono le plasmacellule del coniglio immunizzato con cellule di mieloma (tumore delle plasmacellule), secondo un processo chiamato fusione cellulare che produce cellule ibride tumorali, gli ibridomi, in grado di produrre anticorpi e proliferare velocemente.

6.42 Rappresentazione schematica di un anticorpo.

3. La terza fase consiste nella selezione dell’unico clone cellulare di ibridoma più idoneo per specificità e quantità di produzione: gli anticorpi così prodotti prendono il nome di anticorpi monoclonali e hanno un’elevata specificità di legame al proprio antigene.

cellule di mieloma

Oggi gli anticorpi monoclonali ottenuti da ibridomi si utilizzano anche nella terapia di alcuni tumori, come quello al seno o alcuni tipi di leucemie. Nelle cellule di questi tumori, infatti, sono state individuate delle proteine non fisiologiche, codificate da geni mutati che causano l’insorgenza del tumore. Lo sviluppo di anticorpi in grado di riconoscere, legare e disattivare queste proteine patologiche ha portato allo sviluppo di farmaci dal caratteristico suffisso “mab” (acronimo dell’inglese monoclonal antibody, anticorpo monoclonale) per curare alcune forme di tumore con discrete possibilità di successo.

Vaccini ricombinanti e vaccini a mRNA

Le moderne biotecnologie hanno rivoluzionato il modo in cui è prodotta una classe di farmaci molto importanti per la salute umana e animale, i vaccini.

I vaccini sono farmaci in grado di stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi per combattere un agente patogeno quale un batterio o un virus.

L’impiego dei vaccini ha permesso di eradicare del tutto malattie un tempo pericolose e a volte fatali, come il vaiolo, e di ridurre in modo significativo la diffusione di altre, come la poliomielite. Molti vaccini sono costituiti da agenti patogeni attenuati che, pur dando origine alla risposta immunitaria, non sono in grado di causare la malattia, o solo in modo molto lieve; in altri casi si usano agenti patogeni inattivati, cioè che sono stati uccisi; altri ancora sono invece costituiti dalle sole tossine o componenti proteiche purificate dal patogeno stesso. Lo sviluppo delle biotecnologie ha permesso di produrre nuovi vaccini, più efficaci e spesso con minori effetti collaterali.

I vaccini ricombinanti sono prodotti impiegando cellule di lievito. Una porzione specifica di DNA del batterio o del virus verso il quale si vuole sviluppare la protezione è inserita nel DNA del lievito. Questa porzione codifica per una o più proteine presenti sulla superficie del patogeno. Il sistema di trascrizione/ traduzione del lievito produce la proteina, o le proteine, che sono poi purificate e impiegate come ingredienti per il vaccino. Le proteine sono riconosciute dall’organismo come non­self e, in molti casi, questo è sufficiente a far scattare la risposta immunitaria. Tra i più noti vaccini ricombinanti ricordiamo quello contro l’epatite B, la meningite B e il papilloma virus umano (HPV) 6.44 . I vaccini ad acidi nucleici, invece, sono il prodotto della ricerca più recente, possono essere a DNA o a mRNA e funzionano in modo diverso.

6.43 Processo attraverso il quale si ottengono anticorpi monoclonali.

Risposta breve

1. Come possono essere prodotti gli antibiotici grazie alle biotecnologie?

2. Che cos’è un ibridoma?

3. Perché alcuni anticorpi sono detti monoclonali?

6.44 Il papilloma virus è il principale responsabile del tumore della cervice uterina oltre che di altri tumori in sede genitale.

6.45 Vaccino a mRNA e risposta immunitaria.

I vaccini a mRNA sono costituiti da un filamento di mRNA sintetizzato in laboratorio e inserito in una nanoparticella lipidica, una struttura formata da un doppio strato lipidico, simile alla membrana di una cellula, ma più piccola. Questo “contenitore” ha il duplice scopo di preservare il filamento di mRNA quando entra nell’organismo e favorirne l’ingresso nella cellula tramite la fusione con la membrana cellulare. Una volta che il filamento di mRNA estraneo si trova nel citoplasma, esso è trattato come qualsiasi altro mRNA ed è tradotto. Dopo pochi giorni, il filamento di mRNA è degradato dall’organismo, ma le proteine prodotte sono sufficienti a indurre la risposta immunitaria 6.45 . I primi vaccini a mRNA sono stati impiegati per combattere SARS­CoV­2 , responsabile della pandemia da COVID­19. Inoltre, proprio per lo sviluppo dei vaccini a mRNA, la biochimica ungherese Katalin Karikó e il medico statunitense Drew Weissman hanno vinto il premio Nobel per la medicina nel 2023. I vaccini a mRNA sono semplici e veloci da sviluppare e possono essere adattati per rispondere a eventuali mutazioni degli agenti patogeni “riscrivendo” il filamento di mRNA.

la dose di vaccino contiene milioni di nanoparticelle lipidiche

una nanoparticella lipidica trasporta diverse molecole di mRNA proteina Spike del virus i ribosomi producono diverse copie della porzione di proteina

ogni nanoparticella lipidica si fonde con la membrana citoplasmatica delle cellule bersaglio e rilascia il carico di mRNA nel citosol

sono prodotti gli grado di neutralizzare un’eventuale infezione virale da SARS-CoV-2 plasmacellula

le porzioni di proteina sono rilasciate nel sangue dove attivano le cellule del sistema immunitario

Farmacogenetica e farmacogenomica

Grazie al continuo approfondimento delle conoscenze genetiche, oggi sappiamo che la variabilità genetica ci rende tutti diversi e che alcune peculiarità metaboliche di ognuno di noi dipendono dal nostro stesso corredo genetico. Quando la farmacologia, in una visione moderna, tiene conto di particolari genotipi diventa farmacogenetica.

La farmacogenetica studia come le variazioni del DNA di ciascun individuo incidono sulla risposta ai farmaci. La farmacogenomica, invece, usa un approccio ancora più ampio e cerca di prevedere quale sia l’influenza dell’intero genoma di un individuo sulla sua risposta a una terapia farmacologica.

L’obiettivo è sviluppare una medicina personalizzata per ogni paziente sulla base del suo genotipo. È così possibile ottimizzare la terapia con un dosaggio personalizzato, limitare al massimo gli effetti collaterali indesiderati e ricorrere a eventuali farmaci alternativi.

L’approccio farmacogenetico permette di conoscere in anticipo la terapia migliore per il paziente, senza necessità di ricorrere al sistema di “prova ed errore” comunemente usato, nel quale solo dopo aver notato una mancata risposta alla terapia o degli effetti indesiderati si cambia la dose o il tipo di farmaco prescritto. Questo permette, per esempio, di ottimizzare la dose di farmaci antitumorali nella cura del tumore al seno o la scelta del farmaco antitrombotico da impiegare per trattare alcuni problemi cardiovascolari, in base alle caratteristiche genetiche di ognuno di noi.

La terapia cellulare

Alcune forme di leucemia sono dovute a trasformazione neoplastica (tumorale) di cellule staminali ematopoietiche del midollo osseo, cioè quelle cellule che producono continuamente nuove cellule del sangue 6.46 . A partire dagli anni Novanta del XX secolo è stato possibile curare gli individui affetti da queste patologie trapiantando cellule midollari provenienti da donatori sani compatibili. Tuttavia, questo trapianto in alcuni casi può portare al danneggiamento da parte di queste cellule estranee nei confronti dei tessuti sani del paziente causando la malattia del trapianto contro ospite (GvH, graft versus host).

Grazie alle biotecnologie, oggi è possibile curare queste leucemie prelevando cellule ematopoietiche sane da donatori compatibili e trapiantandole nel paziente, dopo averle opportunamente ingegnerizzate.

Nelle cellule del donatore, prima di infonderle al ricevente, è inserito un gene di origine virale che codifica per una particolare versione dell’enzima timidina chinasi. La presenza di questa proteina rende le cellule vulnerabili all’azione di specifici farmaci antivirali (detti molecola­innesco) che determinano la morte della cellula.

Di norma queste cellule sono attive e vitali; tuttavia, in caso di una esagerata GvH, si somministra al paziente la molecola­innesco e si favorisce la scomparsa delle cellule trapiantate fonte delle reazioni problematiche. Anche se il paziente dovrà nuovamente sottoporsi a trapianto, questa soluzione di terapia cellulare rappresenta una grande frontiera raggiunta, dal momento che in passato molti pazienti, sopravvissuti ai trapianti tradizionali, non superavano la malattia da GvH.

L’ingegneria dei tessuti

Le tecniche avanzate di coltivazione di cellule in vitro, unite alla possibilità di ottenere materiali polimerici biocompatibili, ha aperto oggi la possibilità di creare in laboratorio strati di pelle, cornea o tessuto osseo.

La grande innovazione apportata da queste tecniche biotecnologiche sta nel fatto che l’eventuale tessuto “sintetico” potrebbe essere ottenuto a partire da cellule dello stesso soggetto a cui poi verrà trapiantato, annullando di fatto le reazioni di rigetto.

La tecnica si basa sulla costruzione di bioreattori specifici, con all’interno un supporto di materiale biocompatibile con una geometria specifica, chiamato scaffold, attorno al quale sono fatte crescere le cellule. È importante che lo scaffold sia bioriassorbibile e che quindi si degradi completamente dopo aver assolto al suo compito.

È così possibile oggi trapiantare pelle autologa (cioè dello stesso soggetto) a persone vittime di ustioni estese della pelle, oppure sostituire la cornea a chi ha subito lesioni gravi; infine sono in corso esperimenti su animali per ricreare valvole cardiache o tratti di coronarie.

6.46 Cellule staminali emapoietiche: queste cellule si trovano nel midollo osseo rosso e danno origine a tutte le cellule del sangue (eritrociti, leucociti ecc.).
5 μm SEM (falsi colori)

6.47 Schema di un percorso di terapia genica con uso di vettori adenovirali.

La terapia genica

Una nuova applicazione clinica della genetica è la terapia genica.

La terapia genica consiste nella sostituzione di un gene responsabile di una malattia con una copia funzionante.

Questa terapia è efficace solo nei casi in cui la patologia è determinata dal difetto o dall’assenza di un singolo gene o al massimo di pochi geni. Tale terapia è applicabile in caso di malattie di tipo ereditario; per esempio, sono state sviluppate terapie geniche sperimentali contro: distrofia muscolare, leucemie, immunodeficienza (ADA­SCID e X­SCID), fibrosi cistica, anemia falciforme ed emofilia. Nonostante il campo di applicazione possa sembrare vasto, sono molte le difficoltà da superare, anche economiche, e non si è ancora giunti a un utilizzo generalizzato della terapia genica. Un modo per poter inserire i geni “corretti” nelle cellule del paziente è utilizzare i vettori virali. In una particolare tecnica, detta AAVGT (adeno-associated virus-mediated gene therapy), sono eliminate le sequenze geniche patogene dal genoma del virus e al loro posto è inserito il gene umano richiesto 6.47 .

le cellule del paziente geneticamente modificate vengono reinserite nel paziente

in laboratorio, viene alterato un virus in modo che non possa replicarsi

vengono prelevate delle cellule dal paziente

viene inserito un gene nel virus

il virus modificato viene aggiunto alle cellule prelevate dal paziente

Pur essendo una tecnica messa a punto ormai da più di un decennio, questo tipo di terapia presenta alcuni effetti collaterali e per questo motivo si tratta ancora di terapie sperimentali. Il problema più importante è connesso al fenomeno della ricombinazione tra il DNA, che porta il gene sano, e il DNA genomico della cellula, che contiene il DNA difettivo. Infatti, non è scontato che la ricombinazione avvenga in maniera omologa, cioè scambiando tratti di DNA che si riferiscono agli stessi geni, e non in regioni casuali del genoma; questo può causare, per esempio, l’insorgenza di tumori.

Un altro metodo di trasferimento genico fa uso di liposomi 6.48 , delle vescicole sferiche costituite da un doppio strato di fosfolipidi che, in un ambiente acquoso, si dispongono con le teste polari verso l’acqua e le code apolari verso l’interno, delimitando un volume interno che può contenere il gene che si vuole trasferire. I liposomi, avendo una struttura simile a quella della membrana cellulare, possono fondersi con essa rilasciando all’interno della cellula il proprio contenuto, oppure possono entrare nella cellula per endocitosi. Il DNA così entrato può arrivare fino al nucleo e integrarsi con il DNA genomico cellulare grazie a meccanismi di ricombinazione.

La terapia genica
VIDEO

liposoma

gene terapeutico

il DNA esogeno contenente il gene terapeutico è inserito nel liposoma

il DNA esogeno si integra nel genoma della cellula bersaglio nucleo citoplasma

il DNA esogeno è liberato all’interno della cellula bersaglio

fusione del liposoma con la membrana della cellula bersaglio

Per quanto più sicuro rispetto all’AAVGT, anche il protocollo di trasferimento genico con liposomi ha alcuni punti deboli: per esempio, occorre utilizzare una grande quantità di liposomi per aumentare le probabilità di successo. Un limite di entrambi questi metodi di trasferimento genico è dato dal fatto che le cellule ricombinanti ottenute, pur possedendo nel loro genoma il gene sano, dopo un certo tempo non lo esprimono più o lo esprimono in misura ridotta. L’espressione genica negli eucarioti è un fenomeno di grande complessità ed è quindi facile immaginare che la semplice presenza del gene non sia sufficiente a garantire la sua espressione.

Le terapie con cellule staminali

La terapia genica potrebbe risultare molto più efficace grazie all’impiego di cellule staminali. Queste sono cellule in grado di dare origine ad almeno un tipo di cellule differenziate. Esistono diversi tipi di cellule staminali, che si possono classificare in base alla loro capacità di differenziamento.

 Le cellule staminali totipotenti si formano nei primissimi stadi dello sviluppo embrionale. Esse sono in grado di dare origine a un intero individuo perché possono differenziarsi in tutti i tessuti dell’organismo e negli annessi embrionali, come la placenta.

 Le cellule staminali pluripotenti sono quelle che si originano nelle fasi successive dello sviluppo embrionale, quando per differenziamento si formano i foglietti embrionali. Esse non sono in grado di dare origine a un nuovo embrione ma possono comunque dare origine a qualsiasi tipo cellulare di un organismo adulto.

 Le cellule staminali multipotenti sono in grado di dare origine a più tipi cellulari anche se non tutti, perché hanno iniziato il processo di differenziamento e si trovano anche negli organismi adulti. Ne sono un esempio le cellule ematopoietiche, che possono dare origine a tutte le cellule del sangue.

 Infine, le cellule staminali unipotenti sono cellule non specializzate in grado di dare origine un solo tipo di cellule adulte differenziate, oltre a generare un’altra staminale unipotente.

È oggi possibile coltivare in laboratorio sia cellule pluripotenti embrionali (provenienti da un embrione a uno stadio molto immaturo dello sviluppo) sia cellule multipotenti. Tuttavia, esistono forti limiti etici all’impiego di cellule staminali embrionali umane nella ricerca e nella terapia medica.

6.48 Schema di un percorso di terapia genica con uso di particelle liposomiche come vettori.

Risposta breve

1. Che tipo di vettore si impiega per trasportare l’mRNA nei vaccini?

2. Di che cosa si occupa la famacogenomica?

3. Che cosa si impiega nella teraopia cellulare?

6.49 Le cellule iPSC sono molto promettenti per il trattamento di numerose malattie.

Negli ultimi anni, sono state sviluppate cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC, induced pluripotent staminal cells), che risolvono il problema etico. Queste cellule sono create in laboratorio a partire da cellule somatiche adulte tramite un processo opposto al differenziamento cellulare. Si “riprogramma” la cellula inserendo geni che esprimono dei fattori di trascrizione tipici delle cellule embrionali 6.49 . Queste cellule si potrebbero impiegare anche nella terapia genica: si preleva una cellula matura da un paziente affetto da una malattia genetica, si inserisce una copia del gene funzionante e si converte la cellula così modificata in iPSC; a questo punto si fa poi differenziare la staminale nel tipo cellulare adatto, che è infine reimpiantato nel paziente.

alcune cellule differenziate sono prelevate dal paziente

le cellule differenziate sono trasformate in cellule staminali tramite l’inserzione di alcuni geni per mezzo di vettori virali

le cellule differenziate sono inserite nel paziente

COLLEGA Letteratura inglese

Progresso scientifico e visione del mondo, tra speranze e paure

Opera: Brave new world (1932)

Autore: Aldous Huxley

La storia di Brave new world (tradotta in Il mondo nuovo) è ambientata nel 2540, anno identificato anche come AF 632. AF sta per “After Ford”, in quanto la catena di montaggio di Henry Ford è venerata come una divinità da tutti coloro che fanno parte di questa società conformista e distopica del futuro. I protagonisti sono l’outsider Bernard Marx e John “il selvaggio”, che rappresenta lo scontro tra il mondo distopico e i valori tradizionali. Qui, le leggi naturali sono sostituite da metodi artificiali, la società è caratterizzata dal controllo estremo e da un rigido sistema di caste e la scienza e la tecnologia controllano

iPSC sono fatte differenziare nel tipo cellulare desiderato

ogni aspetto della vita umana senza essere a loro volta sottoposte a un controllo etico. I bambini sono creati fuori dall’utero e clonati. Agli embrioni in provette e incubatrici sono somministrate diverse molecole e ormoni per condizionarli in classi sociali predeterminate: gli individui appartenenti alla classe Alfa sono allevati per essere leader, mentre quelli della classe Epsilon per essere lavoratori umili. Gran parte dell’inquietudine in questo romanzo può essere ricondotta alla fiducia nella tecnologia e nella scienza come rimedio ai problemi causati dalle malattie e dalla guerra, diffusa negli anni in qui è stato scritto. Brave new world è un racconto ammonitore, attuale ancora oggi, sui pericoli del sacrificio dell’individualità e del pensiero critico in nome di una stabilità e felicità superficiali. Solleva inoltre importanti questioni etiche sul ruolo della scienza, della tecnologia e del governo nel plasmare la società umana.

Da qui, l’importanza nella società moderna attuale della supervisione sulla scienza e sulla tecnologia da parte delle commissioni bioetiche, sia nazionali sia internazionali. Questi enti forniscono consulenza ai governi affinché questi promulghino leggi che regolamentano gli aspetti etici della ricerca scientifica e tecnologica. Tecnologie come la terapia genica, la clonazione e l’utilizzo di cellule staminali embrionali sono infatti sottoposte a severe regolamentazioni, promosse e condivise dalla comunità scientifica.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Filosofia). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

vettore virale

6.11 Editing genomico e CRISPR-Cas9

Modificare il patrimonio genetico di un organismo, che sia una pianta, un animale o un microrganismo, presenta alcune limitazioni, tra cui non poter assicurare con certezza che l’inserimento del gene per ricombinazione omologa avvenga in un punto preciso del DNA, senza provocare danni altrove. Esistono tuttavia tecniche che permettono un controllo più raffinato sulle modifiche che sono effettuate.

L’editing genomico consiste nella possibilità di modificare porzioni del DNA con grande precisione, direttamente nella sua posizione naturale nel genoma. Semplificando, si "taglia e cuce" il DNA in posizioni specifiche, effettuando modifiche che possono riparare o modificare un determinato gene. Esistono diversi strumenti in editing genomico, come le nucleasi a dita di zinco, ZFN, e la TALEN. Ormai da un decennio, tuttavia, la tecnica nota come CRISPR/Cas9 ha mostrato una efficacia e una versatilità tali da soppiantare tutte le altre tecniche in moltissime applicazioni 6.50 .

CRISPR è l’acronimo di Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, e indica un gruppo di sequenze di DNA utilizzate dai batteri per difendersi dai virus. Queste sequenze consentono al batterio di ricordare una precedente infezione e di attaccare subito il virus nel caso si ripresenti. All’interno delle CRISPR, infatti, sono incorporate piccole porzioni del genoma virale. La loro traduzione dà origine a un filamento di RNA guida (sgRNA) che permette l’attacco di una speciale nucleasi, detta Cas9, la quale taglia il genoma virale proprio in corrispondenza del punto di ibridazione con l’RNA guida. La tecnologia CRISPR/Cas9 sfrutta questo meccanismo naturale. In laboratorio sono sintetizzate specifiche sequenze guida capaci di legarsi a determinati punti del DNA dell’ospite. In questo modo, è possibile far dirigere Cas9 verso bersagli specifici quali un particolare gene o una particolare sequenza. Nella cellula bersaglio si iniettano: le proteine Cas9, una o più sequenze di RNA guida e, eventualmente, il DNA esogeno che si vuole inserire nel sito di taglio. Il complesso sgRNA­Cas9 cerca nel genoma cellulare le sequenze che corrispondono a quelle della sequenza guida e, una volta individuata, Cas9 svolge la doppia elica la taglia su entrambi i filamenti. Gli enzimi di riparazione del DNA genomico della cellula aggiustano il filamento interrotto, eventualmente integrando la porzione di DNA esogeno 6.51 .

siti di taglio di Cas9

RNA guida

tentativo di riparare il DNA DNA bersaglio a) silenziamento genico b) editing genico

ricombinazione omologa

il gene originale è distrutto un nuovo gene è integrato nel DNA

CRISPR/Cas9 è una tecnica di editing veloce, efficiente e precisa. Inoltre, progettare e sintetizzare nuove sequenze guida è facile e poco costoso. Tra le molte applicazioni, quelle più promettenti riguardano la terapia genica, per la quale sono tuttavia ancora in corso diversi studi.

6.50 Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 2020 per l’invenzione della tecnica CRISPR/Cas9.

Editing genetico con sistema CRISPR/Cas9

6.51 La tecnica CRISPR/Cas9.

VIDEO

U6 Ripassa con metodo

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BIOTECNOLOGIE

applicazioni che impiegano per sviluppare e produrre beni

Quali tecniche sono utilizzate?

frammento di DNA di interesse

VETTORE

può essere di o di

molecole di DNA con materiale genetico proveniente da diversi organismi. È alla base dell’ e del . DNA RICOMBINANTE

Quali elementi richiede?

endonucleasi che tagliano il DNA a doppio filamento in corrispondenza di sequenze palindromiche

salda tra loro vettore e inserto

quali altre tecniche di editing esistono?

Quali sono le tecniche impiegate?

È usato per produrre che cosa?

LIBRERIE DI DNA

possono essere o

organismi il cui patrimonio genetico è stato modificato

In quali settori sono utilizzati?

CRISPR/CAS9

Permette un editing genomico più preciso

sono prodotte:

• piante GM resistenti a parassiti e/o con migliori resa e proprietà nutrizionali

• animali GM con proprietà favorevoli, minor impatto ambientale o capaci di produrre farmaci

MEDICO

sono prodotti farmaci, come gli , e ; sono sviluppate inoltre nuove terapie, , anche grazie all’utilizzo di cellule

AMBIENTALE E INDUSTRIALE

sono una possibile soluzione ai danni causati dall’ e dall’uso di fonti fossili, sostituibili con

usata per separare in base alla massa sia il DNA sia le proteine; quello di DNA è utile nelle analisi forensi

il primo metodo è stato quello di Sanger o metodo dei terminatori di catena SEQUENZIAMENTO DEL DNA

Cosa nacque in seguito al sequenziamento del genoma umano con HGP?

acronimo di , è una tecnica per ottenere grandi quantità di una regione di DNA di interesse PCR a partire dalla quale sono nate la e le altre scienze omiche: e

U6 Conoscenze e abilità

6.1-2 Le biotecnologie e il DNA ricombinante

1 Vero o falso?

a. Le biotecnologie moderne prevedono la conoscenza della biologia cellulare e molecolare e della genetica, ma non della biochimica V F

b. Il DNA ricombinante è ottenuto dall’unione di materiale genetico proveniente da due o più organismi diversi. V F

2 Che cosa sono le biotecnologie?

3 Descrivi i passaggi necessari per ottenere una molecola di DNA ricombinante.

4 Qual è il compito degli enzimi di restrizione?

5 In quali categorie si dividono gli enzimi di restrizione?

6 Quali sono gli elementi essenziali di un vettore plasmidico?

7 Qual è la differenza fra un vettore di espressione e un vettore di clonaggio?

8 Che cosa è una libreria genomica?

9 Quale di queste sequenze è palindromica?

GACGAC GACGTC ACCGGA AGCACG

10 La trasfezione consiste: nell’impiego di vettori virali su procarioti nell’impiego di cloruro di calcio e di un vettore virale nell’incorporazione di materiale genetico estraneo in una cellula eucariotica nel clonaggio di un gene procariotico

11 La competenza può essere indotta: mediante shock termico mediante variazioni di pH grazie all’intervento di enzimi di restrizione nessuna delle risposte precedenti: la competenza non può essere mai indotta

12 Ti aspetti che il cDNA inserito in un plasmide sia: più corto rispetto al gene eucariotico corrispondente più lungo rispetto al gene eucariotico corrispondente a singolo filamento privo degli esoni

13 Nella tecnica della ibridazione su colonia: si usa un frammento di RNA come sonda si usa un frammento di DNA come sonda non serve rompere la membrana cellulare dei cloni si sfrutta la capacità di appaiamento degli amminoacidi complementari

14 Quali frammenti si otterrebbero facendo agire l’enzima BamHI su questa sequenza di DNA a doppio filamento?

5´-ATTGAGGATCCGTAATGTGTCCTGATCACGCTCCACG-3´

3´-TAACTCCTAGGCATTACACAGGACTAGTGCGAGGTGC-5´

15 Quali frammenti si otterrebbero facendo agire l’enzima HpaI su questa sequenza di DNA a doppio filamento?

5´-ATCCCAGCTGCGTATGTTAACATCAGCTGTCCACG-3´

3´-TACCGTCGACGCATACAATTGTAGTCGACAGGTGC-5´

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

16 Considera il seguente frammento di DNA: 5´–TAGTACCTTATGTTAGCACCACGATTCG–3´ 3´–ATCATGGAATACAATCGTGGTGCTAAGC–5´

Individua la sequenza palindromica e poi disegna le estremità di taglio di due ipotetici enzimi di restrizione che determinano uno un taglio simmetrico e l’altro un taglio asimmetrico.

6.3 La reazione a catena della polimerasi

17 Vero o falso?

a. Nella PCR, i primer si appaiano alle estremità 5’ di ciascun filamento del DNA che si vuole amplificare V F

b. La quantità di DNA ottenuta con la PCR aumenta in modo esponenziale ad ogni ciclo V F

18 Quali sono le componenti necessarie per la PCR?

19 Quali sono le fasi della PCR?

20 La reazione a catena della polimerasi si usa per: clonare una data sequenza di DNA amplificare una data sequenza di DNA sequenziare un frammento di DNA nessuna delle risposte precedenti

21 Nella PCR, la denaturazione del DNA avviene per: abbassamento della temperatura aumento del pH diminuzione del pH innalzamento della temperatura

22 Quante copie si otterrebbero, a partire da dodici copie di un doppio filamento di DNA, impiegando la tecnica della PCR per cinque cicli?

6.4-5 DNA: dall’estrazione e separazione alle analisi forensi

23 Vero o falso?

a. La lisi delle cellule vegetali si effettua con la stessa procedura delle cellule animali V F

b. Nell’elettroforesi su gel, i frammenti di DNA più piccoli migrano più velocemente verso l’anodo V F

c. I minisatelliti sono brevi sequenze di DNA ripetuto che mostrano grande variabilità tra individui. V F

24 Come si può estrarre il DNA?

25 Che cos’è l’elettroforesi?

26 Quali gel possono essere utilizzati per l’elettroforesi?

27 In che cosa consiste l’analisi dei minisatelliti?

28 Quali sono le applicazioni non forensi del DNA fingerprinting?

29 Frammenti di DNA migrano in un gel di agarosio con una velocità che varia in funzione: della massa della temperatura del pH del punto isoelettrico

30 La velocità di migrazione di un campione di DNA su una piastra da elettroforesi:

è direttamente proporzionale alla sua massa aumenta con l’aumentare della sua massa diminuisce con l’aumentare della sua massa è indipendente dalla sua massa

31 Le proteine possono essere sottoposte a corsa elettroforetica: dopo essere state frammentate con delle proteasi dopo essere state denaturate dopo che è stata conferita loro una carica negativa nessuna delle risposte precedenti

6.6 Il sequenziamento del DNA

32 Vero o falso?

a. I didesossinucleotidi utilizzati nel metodo di Sanger mancano del gruppo 3΄ OH, impedendo l’allungamento del filamento. V F

b. Il primer walking richiede l’uso di molteplici primer che si legano casualmente lungo tutto il genoma. V F

33 Perché il sequenziamento con metodo di Sanger è detto anche metodo dei terminatori di catena?

34 Descrivi le quattro fasi del sequenziamento di Sanger.

35 In che cosa la predizione genica ab initio differisce dalla predizione genica guidata?

36 Nel sequenziamento di Sanger, per ricostruire la sequenza complessiva di un frammento, è sufficiente: valutare il solo nucleotide terminale di ogni frammento

valutare unicamente la lunghezza di ogni frammento ordinare i frammenti ottenuti in base alla lunghezza e valutare lo specifico nucleotide terminale valutare il nucleotide terminale dei frammenti a più alto peso molecolare

37 Quale tra questi non era uno scopo del Progetto di HGP?

Determinare la sequenza del DNA umano

Determinare tutte le mutazioni causa delle principali malattie genetiche

Costruire un database per conservare e rendere accessibili queste informazioni

Identificare le porzioni di DNA contenenti geni

38 La bioinformatica: applica strumenti e metodologie propri dell’informatica allo studio della biologia permette la creazione di database di sequenze geniche o di strutture proteiche è resa necessaria dall’enorme quantità di dati forniti dalle moderne tecniche di biologia molecolare tutte le risposte precedenti sono corrette

39 Quali sequenze si otterrebbero in un sequenziamento di Sanger nella miscela in cui, oltre alla sequenza 3´-ATTCGTATATTGAGA-5´, è presente adenina didesossinucleotide?

6.7

40 Quale sarà il filamento di lunghezza maggiore ottenibile in un sequenziamento di Sanger nella miscela in cui, oltre alla sequenza 3´-ATTCGTATATTGAGA-5´, è presente citosina didesossinucleotide?

Dalla genomica alle altre scienze omiche

41 Vero o falso?

a. La trascrittomica analizza le sequenze di DNA presenti nel genoma di un organismo V F

b. La genomica funzionale mira a comprendere le funzioni dei geni e delle loro interazioni V F

42 Di che cosa si occupa la genomica?

43 Che cos’è il proteoma? E il trascrittoma?

44 Descrivi i passaggi di un esperimento con microarray.

45 Nella tecnica del microarray una sonda è: un polinucleotide con sequenza complementare a uno specifico target un polinucleotide di sequenza ignota un filamento di mRNA maturo un nucleotide marcato con un gruppo fluorescente

46 La 2D-PAGE: è una normale elettroforesi può essere utilizzata per separare sia le proteine sia gli acidi nucleici non separa le proteine esclusivamente in funzione della loro massa tutte le risposte precedenti sono corrette

47 La spettrometria di massa separa le molecole in base: alla massa alla carica al rapporto m/z alla carica negativa

6.8 Le piante e gli animali geneticamente modificati

48 Vero o falso?

a. Alcuni OGM sono progettati per aumentare la resa agricola o limitare l’uso di pesticidi V F

b. La modificazione genetica delle piante può includere l’inserimento di geni di batteri V F

49 Che cosa sono gli OGM?

50 Perché la produzione di animali GM è a uno stadio meno sviluppato rispetto a quanto avviene in campo agricolo?

51 Uno specifico gene del Bacillus thuringiensis è incorporato in alcune piante per: far produrre a queste piante una tossina insetticida aumentare la produzione di frutti far produrre a queste piante un antibiotico nessuna delle risposte precedenti

52 Quale delle seguenti affermazioni sul Golden Rice è falsa?

È un riso in cui sono stati inseriti due geni, uno del fiore di narciso e uno batterico

È ricco di beta-carotene

È ricco di vitamina C

È un alimento molto utile per le popolazioni che assumono poca vitamina A

53 Quali sono le sostanze farmacologiche che possono essere prodotte dagli animali transgenici?

54 Che cos’è un topo knock-out? In che cosa si differenzia da un topo GM?

55 Quale delle seguenti affermazioni sulla clonazione è vera? È un sinonimo di clonaggio È stata realizzata per la prima volta nel 1996 con la clonazione della pecora Dolly Prevede l’inserimento del nucleo di una cellula adulta in un oocita privo di materiale genetico Nessuna delle risposte precedenti

6.9 Biotecnologie ambientali e applicazioni industriali

56 Vero o falso?

a. Le biotecnologie ambientali utilizzano microrganismi per la bonifica dei siti contaminati

b. La biofiltrazione rimuove composti tossici da scarti di tipo solido e gassoso

57 Che cos’è il biorisanamento?

58 Che cos’è il biogas?

59 Che cos’e un biofiltro?

60 Attualmente, il bioetanolo di seconda generazione: è prodotto grazie all’intervento di virus è prodotto a partire da biomasse legnose e scarti è usato da solo come carburante per i motori a benzina

è prodotto a partire da biomasse ricche di zuccheri come mais, vinacce e barbabietole

61 Il biodiesel: si produce a partire da biomasse forestali e scarti vegetali produce la glicerina come sottoprodotto di lavorazione può essere sostituito al normale gasolio nelle macchine con motore diesel

è prodotto grazie alla metanogenesi effettuata dagli archei

62 L’impiego di OGM nella zootecnia può essere utilizzato: per produrre sostanze terapeutiche per aumentare la resa di alcuni animali da allevamento per conferire determinate caratteristiche fisiche agli animali

tutte le risposte precedenti

6.10 Biotecnologie per la salute umana

63 Vero o falso?

a. Gli antibiotici prodotti con tecniche biotecnologiche hanno spesso minori effetti collaterali rispetto a quelli tradizionali V F

b. I vaccini ricombinanti possono essere prodotti in piante geneticamente modificate V F

c. La terapia genica è già utilizzata come trattamento standard per molte malattie V F

d. Le cellule iPSC sono ottenute riprogrammando cellule somatiche mature in uno stato totipotente V F

64 Come agisce la penicillina?

65 Come si possono ottenere anticorpi in laboratorio?

66 Qual è la differenza tra farmacogenetica e farmacogenomica?

67 Che cos’è un tessuto sintetico?

68 Che cosa si intende per terapia genica?

69 Spiega la seguente affermazione: “Le cellule staminali sono cellule che possono differenziarsi in qualsiasi tipo cellulare”.

70 La beta-lattamasi:

è un microrganismo che degrada la penicillina è un antibiotico

un enzima che rompe l’anello lattamico della penicillina è un batterio resistente alla penicillina

71 Quale delle seguenti affermazioni sulle cellule staminali è falsa?

Sono in grado di differenziarsi in diversi tipi cellulari

Possono essere create in laboratorio a partire da cellule adulte

Si trovano sia nell’embrione sia nell’adulto

Possono essere utilizzate per curare alcune leucemie

72 Quale tra i seguenti è un punto debole del trasferimento genico con i liposomi?

Occorrono molti liposomi contenenti il DNA per aumentare la possibilità di successo I liposomi si rompono facilmente durante il trasferimento

Non presenta alcuna criticità

I liposomi non riescono facilmente a fondersi con la cellula bersaglio

73 La tecnica di terapia genica AAVGT: dipende dalla ricombinazione eterologa tra il DNA virale e quello della cellula bersaglio

sfrutta il genoma di un fago per inserire un gene sano in una cellula umana

sfrutta il genoma di un adenovirus per inserire un gene sano in una cellula umana

è caratterizzata da una buona probabilità di successo

6.11 Editing genomico e CRISPR/Cas9

74 Vero o falso?

a. Il sistema CRISPR/Cas9 può essere utilizzato solo nelle cellule umane e non in altri organismi V F

b. La sgRNA determina la specificità del taglio del DNA V F

75 Quale componente del sistema CRISPR/Cas9 è responsabile del taglio della sequenza bersaglio?

L’enzima Cas9

L’RNA guida

La DNA polimerasi

La trascrittasi inversa

76 Quale delle seguenti affermazioni è corretta riguardo il sistema CRISPR/Cas9?

è un sistema artificiale creato in laboratorio

è una tecnologia che può modificare il DNA di molti organismi

non può essere utilizzato nelle piante

è una tecnica di editing veloce ma poco precisa

6 Competenze

77 INGLESE What is Golden Rice?

78 INGLESE What are antibodies?

79 INGLESE A spore is: a kind of cell a bacterium a form of resistance that allows to overcome adverse conditions a virus

80 INGLESE A hybridoma is: a fusion cell obtained from rabbit immunized pancreatic cells with tumor plasmacells an antibody an engineered bacterium a fusion cell obtained from rabbit immunized lymphocytes with tumor plasmacells

81 PROBLEM SOLVING Un biologo molecolare effettua un esperimento di clonaggio genico: crea un vettore ricombinante e lo impiega per trasformare delle cellule batteriche. Si rende conto, però, di aver impiegato un vettore privo di gene reporter. Ipotizza, in base alle tecniche che hai studiato, la strategia che potrebbe adottare per verificare se il vettore contiene realmente il frammento di DNA esogeno.

82 SOSTENIBILITÀ Immagina di poter dare a un imprenditore del settore alimentare un suggerimento su come impiegare gli scarti vegetali derivanti dalla sua industria. Elabora un’idea che gli permetta, nel suo piccolo, di dare un contributo alla riduzione del diossido di carbonio, responsabile dei cambiamenti climatici.

83 METODO INDUTTIVO La figura sottostante rappresenta un campione di DNA: le linee verdi verticali indicano i siti riconosciuti da un enzima di restrizione A, mentre le linee blu indicano i siti riconosciuti da un enzima di restrizione B. Osserva i risultati ottenuti dopo che il campione di DNA è stato sottoposto a una corsa elettroforetica: quale dei due enzimi di restrizione è stato utilizzato per frammentare il campione?

84 PROBLEM SOLVING Un docente di biologia vuole preparare per i suoi allievi un’esercitazione che illustri la tecnica di amplificazione del DNA mediante PCR. Dispone, presso i laboratori scolastici, di tutto il materiale necessario, con l’eccezione del termociclatore (uno strumento in grado di far variare ciclicamente la temperatura e i tempi per cui essa è mantenuta costante). Credi che si possa allestire un esperimento di PCR in assenza del termociclatore?

85 METODO INDUTTIVO La figura sottostante rappresenta il risultato di una elettroforesi sul materiale ottenuto tramite sequenziamento con il metodo di Sanger. I colori corrispondono ai nucleotidi secondo questo schema: A=verde; T=rosso; C=nero; G=blu. Sapendo che l’anodo era collocato nella parte inferiore della piastra, deduci la sequenza del filamento analizzato.

86 APPRENDIMENTO COOPERATIVO L’impiego di vaccini a mRNA ha provocato in alcuni il timore sul fatto che possa condurre a una modifica del genoma umano. Lavorando in gruppo, documentatevi sull’argomento impiegando tutte le risorse che ritenete idonee e preparate una campagna d’informazione (anche social) per fugare ogni dubbio in proposito.

87 PROBLEM SOLVING Immagina di voler stabilire, analizzando la lunghezza di alcuni frammenti di restrizione, quali possono essere i figli dei due genitori esaminati e quali sicuramente non possono esserlo. I profili dei genitori sono caratterizzati da frammenti di restrizione di: 15, 8 e 5 Kpb per la madre; 11, 7 e 6 Kpb per il padre. Invece, i possibili figli sono: soggetto A 15, 11, 6 Kpb; soggetto B 13, 8, 5 Kpb; soggetto C 16, 10, 3 Kpb. Prima di fare le tue considerazioni, disegna la piastra elettroforetica.

88 DIGITALE Prepara una presentazione di tre slide sui pro e i contro della tecnica del DNA ricombinante: una riassuntiva della tecnica, una sui pro e l’ultima sui contro. Suggerimento: prova a partire da questo sito https://q3.hubscuola.it/recombinantdna

89 PROGETTARE Fai una ricerca in Internet su quali animali sono stati clonati finora e con quale tecnica. Scrivi e registra un breve episodio di un podcast.

90 PROBLEM SOLVING Vuoi ottenere un unico plasmide che contenga entrambi i geni A e B a partire da un plasmide che contiene il solo gene A e un altro plasmide che contiene il solo gene B. Descrivi la procedura da impiegare.

91 APPRENDIMENTO COOPERATIVO La terapia genica applicata agli esseri umani è un argomento che può sollevare controversie e diversi dubbi etici. Documentatevi facendo una ricerca in Internet e poi organizzate un dibattito in classe. Suddividetevi in due gruppi e assegnate in maniera casuale quale gruppo deve sostenere le posizioni a favore della terapia genica (pro) e quale quelle contrarie (contro).

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Descrivi la struttura e la funzione di un vettore genico usando le seguenti parole chiave: origine di replicazione • polylinker • marcatore di selezione • gene reporter • plasmide • vettore virale • vettore di clonaggio • vettore di espressione

2 Descrivi il processo di sequenziamento del DNA usando le seguenti parole chiave:

Sanger • terminatori • frammenti • elettroforesi capillare • sonda fluorescente • cromatogramma • primer walking • shotgun • NGS • pirosequenziamento

3 Spiega come avviene la produzione di anticorpi monoclonali utilizzando le seguenti parole chiave: antigene • anticorpo • immunizzazione • self • non-self • ibridoma • fusione cellulare • plasmacellule • cellule di mieloma • clone

4 Spiega l’utilizzo di piante e animali geneticamente modificati nelle biotecnologie del settore agroalimentare usando le seguenti parole chiave: OGM • organismi transgenici • spora • tossina Bt • mais Bt • golden rice • GFP • GloFish® • Enviropig™

5 Spiega cosa sono le biotecnologie ambientali usando le seguenti parole chiave: biomasse • biocarburanti • biodiesel • biogas • metanogenesi • bietanolo • biorisanamento • biofiltrazione

Prova a partire così

6 Quali sono i passaggi di un esperimento di elettroforesi su gel di DNA?

Il campione di DNA è caricato all’interno di alcuni situati a un’estremità del gel, una matrice gelatinosa che agisce come un ; può essere di agarosio o di . Al gel è applicato un tramite due elettrodi: il campione è caricato in corrispondenza del , carico , e migra verso l’anodo carico , all’estremità opposta.

7 Quali tipologie di vaccini esistono?

I vaccini possono essere costituiti da agenti patogeni , cioè vivi ma incapaci di dare la malattia, o , cioè uccisi. I vaccini sono invece costituiti da proteine superficiali del patogeno, prodotte da lieviti e purificate. Infine, ci sono i vaccini ad , i più noti dei quali sono quelli a .

8 In che cosa consiste la terapia genica?

La terapia genica è una tecnica in cui un responsabile di una malattia è sostituito con una funzionante. Una possibilità prevede l’impiego di dai quali sono eliminate le sequenze geniche patogene, come nel caso della tecnica . Un altro metodo utilizza invece i . La terapia genica potrebbe risultare ancora più efficace se si utilizzano cellule .

Organizza il discorso

9 Illustra il ruolo delle librerie di DNA.

Prova a seguire questa scaletta:

Spiega che cos’è una libreria e quali tipologie esistono

Descrivi come si crea una libreria genomica

Descrivi come si crea una libreria di cDNA

Illustra il metodo di identificazione di un gene di interesse all’interno di una libreria

10 Spiega come funziona la reazione a catena della polimerasi (PCR).

Prova a seguire questa scaletta:

Illustra quali sono i componenti di una soluzione per PCR

Spiega le ragioni per cui si utilizzano particolari DNA polimerasi

Descrivi i diversi passaggi di una reazione di PCR

Spiega in che modo si raggiungono grandi quantità di DNA a ogni ciclo di PCR

11 UN PASSO IN PIÙ Spiega quali sono i vantaggi e i possibili rischi dell’editing genetico con CRISPR/Cas9, facendo riferimento ad almeno una possibile applicazione per ogni settore delle biotecnologie.

Simula un colloquio di esame

12 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

Breve storia dell’editing genomico

marcatore di selezione (

Werner Arber scopre che i batteri si difendono dai virus grazie alla loro capacità di riconoscere il DNA estraneo grazie a specifici enzimi di restrizione (endonucleasi). Per questa scoperta vince il Nobel per la medicina nel 1978.

Paul Berg utilizza gli enzimi di restrizione, insieme ad altri enzimi, per isolare e trasferire numerosi geni del virus SV40 nel cromosoma del batterio E. coli. Per i suoi esperimenti, vince il Nobel per la chimica nel 1980.

Stanley Norman Cohen e Herbert Boyer, grazie all’esperimento di Berg, creano il primo organismo geneticamente modificato della storia: un E. coli che ha acquisito la resistenza a due diversi antibiotici in seguito all’incorporazione di un plasmide ingegnerizzato, contenente due geni provenienti da due diversi plasmidi di partenza. Nasce la tecnologia del DNA ricombinante e quindi l’ingegneria genetica.

Hamilton Othanel Smith isola e caratterizza la prima nucleasi di restrizione (HindII) dimostrando che agisce su una sequenza nucleotidica specifica. Condivide il premio Nobel per la medicina nel 1978 con Werner Arber e Daniel Nathans. Quest’ultimo sfrutta la specificità del taglio di questi enzimi per mappare alcune sequenze di DNA.

Alla Genentech Inc. sviluppano un processo biotecnologico per produrre insulina umana sintetica inserendo il suo gene in un batterio E. Coli, per poi farla esprimere dal batterio stesso.

Mary-Dell Chilton, Jeff Schell e Marc van Montagu producono la prima pianta transgenica utilizzando il batterio Agrobacterium tumefaciens per trasferire nella pianta di tabacco i geni per la resistenza a un antibiotico.

HpaI polylinker

Negli Stati Uniti l’Agenzia americana per gli alimenti e i medicinali (U.S. Food and Drug Administration, FDA), approva il primo vaccino prodotto con tecniche di ingegneria genetica. Si tratta del vaccino contro l’epatite B.

Il gruppo di ricerca guidato da Dana Carroll utilizza l’ingegneria genetica per sviluppare enzimi artificiali noti come zinc fingers nucleases (nucleasi a dita di zinco, ZFN) che tagliano specifiche sequenze di DNA: il dominio proteico che taglia il DNA è lo stesso degli enzimi di restrizione, ma il sito di legame sul DNA è cambiato con il dominio zinc finger. Creano così delle endonucleasi artificiali, alternative ai classici enzimi di restrizione, e caratterizzate da una maggior precisione di taglio.

L’Agenzia europea del farmaco (European Medicines Agency, EMA) e l’Agenzia americana per gli alimenti e i medicinali (U.S. Food and Drug Administration, FDA) autorizzano la prima terapia genica per il trattamento della beta-talassemia e dell’anemia falciforme basata sull’editing genomico con CRISPR/Cas9: Casgevy.

Ian Wilmut realizza la prima clonazione di un organismo complesso attraverso la tecnica del trasferimento nucleare di cellule somatiche: nasce così la pecora Dolly.

Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier studiano CRISPR/Cas9, il sistema di difesa dei batteri da virus e plasmidi esogeni, e lo sfruttano per mettere a punto una tecnologia di ingegneria genetica di altissima precisione. Per il loro lavoro sulla tecnologia di editing genomico CRISPR/Cas9 vinceranno il premio Nobel per la chimica nel 2020.

2010

2012

I gruppi di ricerca guidati da Jae Keith Joung e Dan Voytas progettano un’altra classe di nucleasi artificiali, chiamate transcription activator-like effector nucleases (nucleasi effettrici simili agli attivatori della trascrizione, TALEN), con un meccanismo simile alle ZFN ma più economico e semplice da utilizzare.

Esamina e discuti L’obiettivo principale della comunità scientifica è di affinare le tecnologie di ingegneria genetica e renderle più affidabili e precise, evitando effetti indesiderati dati dalla modifica di sequenze di DNA in modo casuale. Con il sistema CRISPR/Cas9 questo traguardo è molto vicino. Questa tecnica può essere utilizzata sia in vitro su culture cellulari, sia in vivo su piante e animali; soprattutto in quest’ultimo caso comporta importanti questioni bioetiche. In particolare, l’uso della tecnica sugli esseri umani è vietato, ma non sulle culture cellulari umane. Approfondisci l’argomento e allestisci un dibattito in classe. Quali sono gli enti che regolamentano l’uso dell’editing genomico? Qual è la differenza in ambito scientifico e bioetico dell’uso di queste tecniche su cellule o su interi organismi?

Approfondisci con il podcast

Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier

Tema C Understanding Our World With CRISPR/Cas9 applied to gene therapy

CRISPR/Cas9 system is a powerful and innovative technique with applications ranging from industrial purposes to basic biological research. In the biomedical field, its applications are highly limited and regulated from a bioethical point of view; one of these is gene therapy.

The first gene therapy using CRISPR/Cas9

Although CRISPR/Cas9 system genome editing technique was developed in 2012, the first therapy based on it became available only in November 2023, with the European Commission’s approval of Casgevy. This therapy can treatment of transfusion-dependent beta-thalassemia (TDT) and severe sickle cell disease (SCD), both common hereditary genetic disorders. TDT and SCD are both conditions caused by different mutations in the HBB gene, which encodes for the beta chain of haemoglobin, the protein responsible for transporting oxygen in red blood cells. These mutations lead to reduced or absent haemoglobin production, resulting in insufficient oxygen supply to tissues and symptoms such as chronic fatigue, respiratory difficulties, and severe pain. Classical therapy for these conditions often involves transfusions 1

How does Casgevy work?

Casgevy implies collecting stem cells from the patient’s bone marrow, from which red blood cells are produced. These cells are genetically modified using the CRISPR/Cas9 system and then reinfused into the patient. The goal is not the replacement of the defective HBB gene with a functional one, but keeping active the gene encoding for foetal haemoglobin. This protein is typically only expressed during foetal development and replaced after birth by adult haemoglobin.

Scientists have synthesized a single guide RNA (sgRNA) targeting BCL11A gene, which encodes for a silencer of the foetal haemoglobin gene 2 . Through binding of the synthetic sgRNA, Cas9 protein cuts the target sequence and deactivates it. Without the inhibitor, foetal haemoglobin, which does not carry the anomalies of adult haemoglobin, is produced and functional. This allows red blood cells to regain their normal function and restore oxygen levels in the blood.

CRITICAL THINKING

■ Casgevy is the first gene therapy treatment based on CRISPR/Cas9 technology, marking an important milestone in the fight against genetic diseases. This method could be used in the future to cure many other genetic diseases. Search online for information about another new CRISPR/Cas9-based gene therapies, even if still in early experi-

mental phases of research, and briefly describe it.

■ The advent of gene therapies has opened an important chapter in medical history. However, the cost of these treatments remains a barrier. The cost of Casgevy therapy is approximately 2 million euros per treatment. Therefore, careful management of

these therapies is crucial to avoid socioeconomic disparities in access to treatments: economically disadvantaged patient could not afford the Casgevy treatment. What could be a possible solution? In class, coordinated by your teacher, debate about this topic, then prepare an awareness campaign about this topic.

1 Close-up of a blood bag for transfusions.
2 BCL11A protein

Tema C Educazione civica

L’impatto

In collaborazione con

delle piante GM sulla biodiversità

L’essere umano ha sempre cercato di selezionare piante e animali con caratteristiche più utili e desiderabili per diversi motivi, come una maggior resa agricola o di processi microbici, migliori proprietà organolettiche, maggior produzione di materie prime o anche solo per motivi estetici. Con l’avvento delle tecniche del DNA ricombinante e del clonaggio, è diventato possibile apportare modifiche mirate in specifiche sequenze del DNA degli organismi, generando così OGM (organismi geneticamente modificati).

L’editing genomico e le sue applicazioni

Negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi metodi, ancora più avanzati, per modificare in modo preciso ed efficace il patrimonio genetico di piante, animali e microrganismi: le tecniche di editing genomico. La più nota tecnica di editing genomico è CRISPR/Cas9, che sfrutta un sistema molecolare batterico per difendersi dalle infezioni virali e che è valso il premio Nobel per la chimica a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna nel 2020. Le possibili applicazioni dell’editing genomico sono numerose e spaziano in diversi settori. In ambito sanitario, questa tecnica può essere utilizzata per correggere sequenze mutate responsabili di malattie genetiche e tumori; in ambito industriale possono essere creati nuovi materiali o degradati rifiuti e scarti; in ambito agroalimentare può essere utilizzato per creare piante GM coltivabili con caratteristiche specifiche.

La maggior parte degli OGM prodotti dalla comunità scientifica sono microrganismi utilizzati per i più disparati usi, dalla ricerca all’industria. L’utilizzo dell’editing genomico e, in generale, la creazione di OGM è fonte di dibattito, in particolare in ambito agroalimentare. In questo settore, nel linguaggio comune, per OGM si intendono le piante GM coltivate per l’uso alimentare umano o come mangime nell’allevamento.

Approfondisci con la sitografia e svolgi l’attività Che cos’è un OGM?

Pro e contro: l’importanza della biodiversità e della regolamentazione

L’editing genomico applicato alle specie vegetali ha come obiettivi il di miglioramento delle caratteristiche organolettiche o della resa, la produzione di nutrienti normalmente non presenti o l’introduzione di geni che conferiscono la resistenza a condizioni ambientali avverse o dall’infezione di virus, batteri o parassiti nocivi. Le piante GM più coltivate sono soia , mais, cotone e colza 1

Un aspetto importante quando si parla di colture di piante GM è la tutela della biodiversità. La creazione di cultivar predominanti può portare alla coltura estensiva di poche varietà, con una conseguente riduzione della biodiversità. Inoltre, in alcuni casi, le piante GM possono diffondersi anche in ambiente naturale, entrare in competizione con le specie selvatiche e determinarne l’eventuale scomparsa. Mentre alcune piante GM sono ideate per resistere ai parassiti, riducendo l’uso di pesticidi, altre sono state invece progettate per resistere agli erbicidi; è quest’ultimo il caso delle piante resistenti al glifosato, un pesticida altamente inquinante. In questo modo, nei campi irrorati da pesticidi sopravvive solo la pianta GM e il raccolto è preservato da altre piante infestanti. Le conseguenze sono molteplici: non solo si ha un impoverimento della diversità vegetale, ma sono anche minacciate le tante specie di impollinatori e si verifica l’ inquinamento del suolo e delle falde acquifere. È poi possibile che si sviluppino piante infestanti resistenti a quel determinato erbicida, obbligando all’uso di diserbanti spesso ancora più nocivi.

Questi esempi evidenziano l’importanza che la creazione e la coltivazione di varietà GM di piante sia sottoposta a scrupolosi controlli a livello sia scientifico sia legislativo, per tutelare l’ambiente e la sua varietà. La biodiversità alla base di ogni ecosistema ne rafforza la produttività, aiuta a combattere i cambiamenti climatici e contribuisce alla riduzione dell’impatto di eventi naturali estremi; ci assicura inoltre aria pulita, acqua potabile e terreni di buona qualità.

Tema C Autoverifica

Svolgi il test in modalità autocorrettiva sul libro digitale

Dalla biologia molecolare alle biotecnologie

1 Nelle cellule eucariotiche, il trascritto primario di mRNA (o pre-mRNA):

può essere immediatamente tradotto in proteina è prodotto dalla DNA polimerasi può uscire dal nucleo non appena è stato sintetizzato

è presente nel citoplasma contiene sia introni sia esoni

(Odontoiatria e protesi dentaria, aa 2016-2017)

2 La sequenza nucleotidica CUGAUCGUAAUGCGC codifica per gli amminoacidi Leu-Ile-Val-Met-Arg. Una mutazione che provoca la delezione del settimo nucleotide (G) quale dei seguenti eventi comporterebbe?

L’amminoacido Val verrebbe sostituito

Un cambiamento di tutta la sequenza amminoacidica dopo l’inserimento dell’amminoacido Ile

L’interruzione della catena amminoacidica

L’amminoacido Ile verrebbe sostituito

Nessun cambiamento grazie alla ridondanza del codice genetico

(Veterinaria, aa 2020-2021)

6 Nei procarioti l’operone è: l’unità funzionale della trascrizione il sito di legame per il repressore posto tra promotore e geni strutturali un plasmide utilizzato come vettore genico un fattore della trascrizione una polimerasi in grado di trascrivere più geni contemporaneamente

(Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, aa 2018-2019)

7 Quale tra i seguenti completamenti NON è corretto?

I trasposoni sono sequenze di DNA che... possono essere coinvolte nell’insorgenza dei tumori possono spostarsi nel DNA di una cellula sono responsabili della trasformazione batterica costituiscono un’alta percentuale del genoma umano

sono in grado di duplicarsi indipendentemente dal cromosoma in cui si trovano

(Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, aa 2011-2012)

8 Quale è la caratteristica fondamentale dei retrovirus?

Avere un genoma costituito da DNA

3 Cosa sono gli introni?

Sequenze non codificanti di un gene strutturale che interrompono la sequenza codificante

Le sequenze codificanti di un gene strutturale che si attivano nel nucleo

Piccole proteine cariche positivamente che nelle cellule eucariotiche sono costituenti fondamentali della cromatina, insieme al DNA

Complessi formati da rRNA e ribonucleotidi

Sequenze di riconoscimento per la traduzione dell’mRNA.

(Medicina e odontoiatria, aa 2017-2018)

4 Quali sono le principali macromolecole che costituiscono i virus?

Proteine

Proteine e acidi nucleici

Molecole complesse in parte sconosciute

Idrocarburi e carboidrati

Lipidi e zuccheri

(Veterinaria, aa 2016-2017)

5 Quale tra le seguenti affermazioni sui virus è FALSA?

Sono parassiti endocellulari obbligati

Sono parassiti di organismi animali, vegetali o batteri

Sono incapaci di sintesi proteica autonoma

Possono contenere DNA o RNA

Hanno dimensioni variabili tra 10μm e 100μm

(Veterinaria, aa 2017-2018)

Avere un genoma costituito da RNA

Non possedere trascriptasi inversa

Essere dotati di flagelli per il movimento

Non essere in grado di infettare le cellule animali (Veterinaria, aa 2020-2021)

9 L’elettroforesi su gel è una tecnica comunemente utilizzata per l’analisi del DNA. Quale delle seguenti affermazioni relative a questa tecnica è corretta?

Fa migrare i frammenti di dimensioni maggiori più velocemente

Richiede l’utilizzo di nucleotidi marcati con fluorocromi

Permette di amplificare frammenti di DNA

Permette di identificare le sequenze dei frammenti di DNA analizzati

Permette di separare frammenti di DNA in base alle loro dimensioni

(Veterinaria, aa 2011-2012)

10 Which of the following is/are features of HIV?

1. It has a capsid

2. It contains DNA

3. It has ribosomes

1 only

2 only

3 only

1 and 3 only

2 and 3 only

(Medicine and surgery, aa 2020-2021)

DDinamica e risorse del sistema Terra

Hai mai sentito parlare del lago di Pergusa in Sicilia? Sai che questo, come altri laghi ed ecosistemi nel mondo, sta scomparendo a causa del cambiamento climatico? Scoprirai in che modo le attività antropiche hanno causato il cambiamento climatico e come questo dovrà essere affrontato per un futuro più sostenibile.

Scienze della Terra

Studia l'U7 e l'U8 per capire la struttura interna della Terra e approfondirne la dinamica. In U9 scoprirai invece la dinamica dell’atmosfera e i fenomeni meteorologici. Infine, in U10 studierai le risorse del sistema Terra, le fonti di energia e come tutto ciò può portarci a un futuro sostenibile.

Consulta la linea del tempo a pagina 316 e scopri la storia delle Conferenze delle Parti (COP) sul cambiamento climatico e come i governi mondiali stanno cercando di rispondere alla crisi climatica, dal primo Summit della Terra a Rio de Janeiro nel 1993 alla COP28 nel 2023 a Dubai.

Attraverso l’attribution science, la comunità scientifica è in grado di capire se un determinato fenomeno atmosferico estremo è davvero causato dal riscaldamento globale. Rifletti con le proposte a pagina 318.

Il cambiamento climatico sta causando o amplificando alcuni fenomeni atmosferici estremi. È quindi necessario trovare nuovi sistemi per difenderci dai danni causati da questi eventi e, se possibile, prevenirli. Informati con la scheda a pagina 319.

Leggi una sintesi dei contenuti anche nelle altre lingue che stai studiando Accedi alle presentazioni LIM

CLIL

7 La struttura interna della Terra

7.1 Blue marble è il risultato dell’unione di diversi scatti effettuati da VIIRS (Visible /Infrared Imager Radiometer Suite), uno strumento di altissima tecnologia installato a bordo del satellite di osservazione Suomi NPP.

7.1 La Terra, un sistema da conservare

Il 25 gennaio 2012 la NASA ha pubblicato Blue Marble, una straordinaria fotografia della Terra dallo spazio. Il nostro Pianeta brilla sullo sfondo dello spazio nero e mette in mostra i suoi colori: l’azzurro delle acque, il bianco delle nuvole, il marrone delle rocce della superficie terrestre, il verde della copertura vegetale 7.1 .

La Terra è uno dei pianeti interni del Sistema solare, il terzo partendo dal Sole. Le sue dimensioni di pianeta di media grandezza fanno sì che possa trattenere attorno a sé un’atmosfera che protegge gli esseri viventi dai raggi cosmici nocivi. Inoltre, la presenza di una atmosfera e la distanza Terra-Sole (circa 150 milioni di km) determinano una temperatura media superficiale di circa 15 °C che spiega la presenza sul Pianeta di una grande abbondanza di acqua allo stato liquido. Queste particolari condizioni chimico-fisiche permisero, circa 3,9 miliardi di anni fa, la formazione delle prime molecole organiche e, in seguito, la comparsa delle cellule primordiali dalle quali prese l’avvio l’evoluzione degli organismi.

L’esplorazione del Sistema solare, iniziata nella seconda metà del secolo scorso, ha messo in evidenza le straordinarie particolarità della Terra. Un esempio è la composizione della miscela di gas che forma l’atmosfera terrestre, simile a quella dei pianeti più vicini - Marte e Venere - ma molto diversa dalla composizione che si potrebbe prevedere sulla base delle caratteristiche chimico-fisiche della Terra.

Il rapporto tra la concentrazione di ossigeno e diossido di carbonio, in particolare, è spiegabile solo con la presenza degli esseri viventi che, con il loro metabolismo, hanno creato queste condizioni e le mantengono nel tempo. Il nostro Pianeta è, pertanto, un complesso e delicato sistema, risultato delle molteplici interazioni tra le sfere geochimiche - atmosfera, idrosfera, litosfera - e la biosfera.

La Terra è un sistema chiuso, che riceve energia dalla stella Sole e ricicla la materia di cui è costituito attraverso processi ciclici che avvengono al suo interno, tra cui i più importanti sono il ciclo dell’acqua e il ciclo del carbonio.

Il sistema Terra richiede un costante apporto di energia per conservarsi in una condizione di equilibrio, cioè mantenere ordine al suo interno e tra le funzioni dei suoi costituenti. Questa energia serve infatti negli innumerevoli e incessanti scambi di materia che avvengono tra le sfere biogeochimiche.

La maggior parte di questa energia proviene dal Sole, ma la Terra possiede anche una propria energia endogena, in parte residuo dell’energia posseduta al

momento della sua formazione, in parte derivata dal decadimento degli isotopi radioattivi contenuti nelle rocce. L’energia solare e l’energia endogena contribuiscono non solo a mantenere l’equilibrio del sistema Terra, ma anche a mettere in moto i processi di trasformazione del Pianeta che da più di 4 miliardi di anni determinano l’evoluzione della Terra.

Gli esseri umani sono parte del sistema Terra e ne sono responsabili

Gli esseri umani fanno parte della biosfera e, dunque, di questo complesso sistema ma, a differenza di tutti gli altri viventi, hanno sviluppato la capacità di modificare profondamente l’ambiente fin dalla loro comparsa come specie. Questo processo si è accentuato negli ultimi due secoli, in particolare dagli anni Cinquanta del secolo scorso, per effetto dello sviluppo della tecnologia applicata ai processi produttivi: si è verificato un aumento dei consumi di materie prime e combustibili fossili, necessari per sostenere i ritmi della produzione agricola e industriale, per i trasporti e per le necessità quotidiane. Oggi sappiamo che i cambiamenti indotti dalle attività umane stanno modificando profondamente gli equilibri del sistema terrestre, forse in maniera irreversibile, mettendo a rischio l’ambiente e la nostra stessa sopravvivenza come specie 7.2 .  La stessa diffusione della pandemia da COVID-19 potrebbe avere delle correlazioni con il cambiamento climatico e l’impatto devastante delle attività umane sugli ecosistemi, anche se l’ipotesi è ancora al vaglio degli scienziati. Il contrasto al cambiamento climatico richiede una radicale trasformazione dei sistemi produttivi, a partire dallo sfruttamento delle riserve energetiche e minerarie. Nei prossimi anni la transizione energetica determinerà una progressiva riduzione dei combustibili fossili e il passaggio all’uso delle energie rinnovabili, ma per sostenere questo processo sarà necessario reperire nuove risorse minerarie utilizzate nelle tecnologie energetiche rinnovabili, come il silicio per i pannelli fotovoltaici e litio, nichel e cobalto utilizzati nelle batterie dei motori elettrici. Affinché questo percorso di decarbonizzazione non provochi ulteriori gravi impatti sul sistema Terra, si dovrà tener conto non solo degli aspetti economici e sociali, ma anche delle problematiche legate ai tempi di formazione dei giacimenti e alla loro produttività, prevedendo una radicale ristrutturazione dei metodi di estrazione. È quindi necessario e non più prorogabile conoscere sempre meglio i processi che avvengono all’interno del sistema Terra, essere consapevoli dei processi di formazione delle materie prime e dell’origine delle diverse fonti di energia, per agire in modo da modificare i comportamenti individuali e collettivi e rendere sostenibile nel tempo l’utilizzo del Pianeta e delle sue risorse.

c

7.2 (a) Foresta del monte Jezera (Repubblica Ceca) distrutta dalle piogge acide. (b) Spiaggia a Jimbaran (Bali, Indonesia) ricoperta di spazzatura trasportata dalle acque inquinate dell’oceano. (c) Chuquicamata, in Cile, la piu grande miniera di rame a cielo aperto del mondo. a b

Raggio equatoriale

6,378 · 106 m

Raggio polare 6,357 · 106 m

Lunghezza dell’Equatore 4,0077 · 107 m

Massa 5,975 · 1024 kg

Volume 1,083 · 1012 km3

Densità

media 5527 kg/m3

Superficie totale 5,1 · 1014 m2

7.2 Densità e composizione dei materiali terrestri

Viviamo su un pianeta roccioso di medie dimensioni, la cui forma ricorda un ellissoide schiacciato ai poli più che una sfera: il raggio terrestre polare, cioè la distanza tra il centro della Terra e uno dei due poli, misura 6357 km, mentre all’Equatore raggiunge i 6378 km. La Tab. 7.1 contiene, oltre alle lunghezze dei raggi, i dati relativi ad alcune delle principali misure della Terra.

La massa e il volume del nostro Pianeta, da cui si ricava poi la densità media, sono stati calcolati indirettamente.

Già nel III sec. a.C. l’astronomo Eratostene di Cirene era riuscito, attraverso semplici misurazioni e l’applicazione di calcoli geometrici, a determinare con una buona approssimazione la lunghezza della circonferenza terrestre, che oggi sappiamo corrispondere a 4,0077 · 107 m.

7.3 Le rocce ultrabasiche che affiorano nel parco di Gros Morne in Canada si sono formate a circa 50 km di profondità.

Dalla misura della circonferenza si può poi ricavare il volume del Pianeta, che risulta 1,083 ∙ 1012 km3. La massa è invece calcolabile utilizzando la Legge di Gravitazione universale di Newton ed è pari a 5,975 ∙ 1024 kg. Dal rapporto tra massa e volume è quindi ricavabile la densità media della Terra, che corrisponde a 5527 kg/m3. Le misure dirette della densità delle rocce che compongono gli strati più superficiali della Terra danno invece un valore medio di densità pari a 2,85 g/cm3. La grande differenza tra densità media del Pianeta e quella degli strati superficiali può essere spiegata solo ammettendo che la porzione esterna della Terra sia costituita da materiali a bassa densità e che gli strati più interni siano invece costituiti da materiali più densi. Il modo migliore per conoscere la composizione dei materiali che formano l’interno della Terra è l’indagine diretta, cioè l’analisi di i campioni di rocce provenienti da miniere profonde e pozzi di perforazione, o prelevati da formazioni rocciose che si sono consolidate all’interno del Pianeta, fino alla profondità di 100 km, e che affiorano in molte aree della superficie terrestre 7.3 .

Nonostante le tecnologie a nostra disposizione, ancora oggi è impossibile eseguire perforazioni che raggiungano le zone più profonde del Pianeta: conosciamo direttamente la composizione delle rocce solo dei primi 11/12 km di profondità, molto poco rispetto alla lunghezza media del raggio terrestre 7.4 .

La geochimica ha il compito di determinare la composizione chimica dei materiali che formano la Terra.

I dati raccolti sulla la composizione dei campioni rocciosi provenienti da diverse località hanno permesso ai geochimici di stabilire che le rocce che formano la crosta, lo strato superficiale della Terra, sono più leggere perché formate da minerali silicatici ricchi di alluminio, sodio e potassio.

Le rocce che formano gli strati più in profondità sono, invece, più dense e pesanti perché formate da minerali ricchi di ferro, calcio e magnesio. La maggior parte delle conoscenze che oggi abbiamo dell’interno della Terra sono state ottenute attraverso metodi di indagine indiretta, come l’analisi geochimica di frammenti di asteroidi che raggiungono la Terra, le meteoriti. Partendo dal presupposto che tutte le componenti del Sistema solare abbiano un’unica origine, gli studiosi distinguono due categorie di asteroidi: quelli che, come la Terra, hanno subìto processi di differenziazione chimica, che ha determinato la migrazione degli elementi pesanti verso il centro e di quelli più leggeri verso la superficie, e gli asteroidi che non hanno subìto una tale differenziazione 7.5

7.4 Il pozzo più profondo del mondo (circa 12 km) si trova in Russia, nella penisola di Kola.
Tabella 7.1 Le misure della Terra

condriti

distruzione

impatto con la Terra

condensazione

meteoriti primitive fusione aggregazione

meteoriti differenziate

acondriti sideroliti

distruzione sideriti

separazione

cristallizzazione frazionata

Gli asteroidi indifferenziati danno origine a meteoriti primitive, dette condriti; viceversa, si generano meteoriti differenziate. Poiché hanno subìto lo stesso processo di differenziamento della Terra, sono proprio queste ultime a poter fornire informazioni sulla composizione degli strati più profondi del nostro Pianeta. A seconda delle loro caratteristiche, le meteoriti differenziate si dividono in diverse tipologie.

 Le acondriti somigliano molto alle rocce silicatiche superficiali del nostro Pianeta e presentano anche uguali valori di densità.

 Le sideroliti sono formate da silicati ma anche da una lega di ferro-nichel e per questo hanno una densità maggiore.

 Le sideriti sono costituite esclusivamente da una lega ferro-nichel e sono caratterizzate dalla densità più elevata 7.6 .

Le sideriti possono essere considerate analoghe, per composizione, alle rocce che costituiscono il nucleo, la parte più interna del Pianeta. Infatti, dalla media tra i valori di densità delle tre tipologie di meteoriti differenziate si ottiene un valore molto simile a quello della densità media terrestre.

Ricorda

Con il termine asteroide si indicano i corpi rocciosi che risalgono alle prime fasi della formazione del Sistema solare. I meteoriti sono ciò che rimane, dopo il passaggio attraverso l’atmosfera, dei frammenti di asteroidi che cadono sulla superficie terrestre. Sono detti meteore i meteoriti che si incendiano passando attraverso gli strati atmosferici.

Le informazioni ricavate attraverso i metodi di analisi dirette e indirette ci permettono di formulare un’ipotesi riguardo alla disposizione dei materiali all’interno del Pianeta. Tali materiali sono disposti in strati sovrapposti proprio secondo la loro densità: quelli più superficiali che formano la crosta terrestre hanno una densità di circa 2,7-2,8 g/cm3, mentre quelli che formano lo strato sottostante hanno una densità media di 4,5 g/cm3. Il passaggio dalle rocce superficiali più leggere a quelle profonde più dense avviene con gradualità. Già nella crosta, infatti, è possibile distinguere le rocce che formano i continenti da quelle presenti nei fondali oceanici: la crosta continentale è formata da rocce leggere mentre la crosta oceanica è formata da rocce più dense e pesanti.

I minerali

1. Qual è il valore della densità media della crosta terrestre?

2. Che cosa determina l’elevata densità del nucleo?

3. Perché lo studio della composizione dei meteoriti fornisce informazioni sulla composizione dell’interno della Terra?

4. Che cosa determina la struttura a strati che caratterizza l’interno della Terra?

Risposta breve
7.5 Schema di formazione dei diversi tipi di meteoriti.
7.6 (a) Acondrite, (b) siderolite.

• Cosa sono i terremoti

• I terremoti

onde superficiali onde di volume

epicentro ipocentro faglia

7.7 Rappresentazione degli elementi di un terremoto. Le onde sismiche si propagano dall’ipocentro posto sul piano di faglia.

7.3 La struttura interna del Pianeta e la sismologia

Dati utili per studiare la struttura dell’interno della Terra sono forniti dalla sismologia, la scienza che studia le caratteristiche dei terremoti.

I terremoti, o sismi, sono vibrazioni della superficie terrestre provocate da un’improvvisa liberazione di energia in un punto all’interno della crosta.

Ogni tipo di roccia può deformarsi entro certi limiti: si comporta cioè come un corpo elastico, che modifica temporaneamente la propria forma se sottoposto a uno sforzo. Se lo sforzo di compressione supera il limite di elasticità, i blocchi rocciosi si deformano in modo plastico, cioè irreversibile. Qualora lo sforzo aumenti e raggiunga un valore critico (carico di rottura), il corpo roccioso si rompe all’improvviso in un dato punto. La rottura causa la liberazione tutta in una volta dell’energia accumulata nel tempo sotto forma di onde elastiche, le onde sismiche, che si trasmettono in tutte le direzioni e generano un terremoto. I terremoti sono spesso associati alla formazione di grandi fratture della crosta terrestre, le faglie. È lungo i piani di faglia che avviene lo spostamento dei blocchi rocciosi messi in movimento dall’improvvisa liberazione di energia.

L’ipocentro o fuoco è il punto posto in profondità, sotto la crosta terrestre, dove ha origine la rottura, e la conseguente formazione del piano di faglia, mentre l’epicentro è la proiezione dell’ipocentro sulla superficie terrestre 7.7 .

Durante un terremoto si generano onde di volume, che si propagano in tutte le direzioni attraverso le rocce della crosta terrestre, e onde di superficie, che si sviluppano all’interfaccia tra le onde di volume e una superficie di discontinuità, come l’interfaccia aria-superficie terrestre.

Le onde di volume si distinguono in onde P e onde S.

Le onde P sono dette anche longitudinali, perché le particelle dei materiali che attraversano vibrano avanti e indietro nella stessa direzione di propagazione delle onde.

Il passaggio delle onde P produce modificazioni di volume e di forma nei materiali attraversati; possono viaggiare sia attraverso i materiali solidi, come le rocce, sia nei materiali allo stato liquido, come magma o acqua, e anche nei gas 7.8 .

direzione di oscillazione delle particelle del mezzo

direzione di propagazione dilatazione compressione

onde P (longitudinali) a

7. 8 (a) Le onde P provocano vibrazioni delle particelle nella stessa direzione di propagazione delle onde. (b) Si può rappresentare il movimento delle singole particelle con una molla (con un’estremità legata a un sostegno) che viene prima compressa e poi dilatata.

a riposo dilatazionecompressione compressione direzione dell’onda

movimento delle particelle

Le onde P sono dette anche primarie perché sono le prime a essere registrate dal sismografo. Sono infatti le più veloci: si propagano nelle rocce con una velocità variabile tra i 5,5 e i 13,6 km/s.

Le onde S sono dette trasversali perché le particelle dei materiali che attraversano vibrano perpendicolarmente alla direzione di propagazione delle onde.

Le onde S producono solo variazioni di forma; possono attraversare solo materiali solidi e non liquidi né gassosi, perché questi ultimi non oppongono resistenza ai cambiamenti di forma 7.9 .

direzione di propagazione dell’onda

onde S (trasversali)

a riposo

sollecitazione

direzione dell’onda

direzione dell’onda movimento delle particelle movimento delle particelle

Le onde S sono più lente delle P: si propagano con una velocità che varia fra 3,5 e 7,3 km/s; arrivano ai sismografi dopo le onde P e, per questo motivo, sono anche dette secondarie.

Le onde di superficie, dette anche onde lunghe o onde L, interessano soltanto gli strati rocciosi vicini alla superficie terrestre. Esistono diversi tipi di onde di superficie 7.10 .

Le onde di Rayleigh conferiscono un movimento ellittico alle particelle del mezzo che attraversano; le onde di Love provocano movimenti trasversali rispetto alla direzione di propagazione dell’onda.

Onde di Rayleigh

7.9 (a) Le onde S provocano vibrazioni delle particelle perpendicolari alla direzione di propagazione delle onde. (b) Si può rappresentare il movimento delle singole particelle con un pezzo di spago teso (con un’estremità legata a un sostegno) che viene fatto oscillare perpendicolarmente rispetto alla sua direzione.

7.10 Le onde di superficie di dividono in (a) onde di Rayleigh e (b) onde di Love.

direzione di propagazione dell’onda
Onde di Love
direzione di propagazione dell’onda

il pendolo è vincolato e oscilla in un unico piano

spostamento verticale a b

spostamento orizzontale massa metallica cilindro rotante

7.11 Sismografi per la misurazione degli spostamenti (a) verticali e (b) orizzontali.

Per rilevare le onde sismiche e misurarne la durata e intensità si utilizza il sismografo, uno strumento costruito sul principio del pendolo. Su un telaio metallico fissato al suolo è posizionata una massa sospesa in grado di oscillare; quest’ultima è a sua volta collegata a un pennino che scrive su un foglio di carta avvolto su un cilindro rotante. Quando il suolo è scosso dalle onde sismiche, il telaio e il cilindro rotante vibrano, mentre la massa sospesa resta ferma per inerzia: in tal modo, il pennino segna sulla carta i movimenti del sostegno, che sono gli stessi del terreno 7.11 . Esistono diversi tipi di sismografi, ognuno dei quali registra i movimenti in una delle tre dimensioni dello spazio.

Il tracciato del pennino è il sismogramma e dalla sua lettura è possibile ricavare la potenza e la durata del terremoto, la posizione dell’epicentro e la profondità dell’ipocentro, insieme a molte altre informazioni sulle caratteristiche fisiche delle rocce attraversate dalle onde sismiche 7.12

7.12 Esempio di sismogramma: si riconoscono gli arrivi in successione delle onde P, S e delle onde superficiali, dopo le quali si registra l’ampiezza massima delle oscillazioni. arrivo delle onde P

La localizzazione degli epicentri dei sismi

Per determinare con precisione la posizione dell’epicentro di un terremoto, i sismologi si basano sulla differenza di velocità tra le onde P e le onde S. Maggiore è l’intervallo di tempo tra l’arrivo al sismografo della prima onda P e della prima onda S, tanto maggiore è la distanza tra l’epicentro e la stazione sismica. Esiste quindi una proporzionalità diretta.

Dall’elaborazione dei sismogrammi dei terremoti è possibile costruire le curve dei tempi di propagazione delle onde P e S, chiamate dromocrone, e risalire alla distanza tra il punto di rilevazione e l’epicentro del sisma. Tale distanza è calcolata da più stazioni sismiche per lo stesso evento. Sono poi tracciate le circonferenze aventi come raggi le distanze e come centro le stazioni sismiche: dalla loro intersezione è possibile determinare l’area dove è localizzato l’epicentro 7.13 .

7.13 (a) Il grafico mostra le curve delle dromocrone realizzate sulla base dei dati di tre stazioni sismiche. (b) L’intersezione delle circonferenze aventi come raggi le distanze epicentrali permette di determinare la posizione reale dell’epicentro.

Macerata

Le

scale sismometriche

Per valutare l’energia liberata da un sisma si utilizzano le scale sismometriche. La prima fu quella proposta nel 1897 dal sismologo e vulcanologo italiano Giuseppe Mercalli (1850-1914) e in seguito perfezionata dal fisico italiano Adolfo Cancani e dal geologo tedesco August Heinrich Sieberg, da cui il nome di scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg).

La scala MCS misura l’intensità dei sismi in base agli effetti prodotti sull’ambiente e sulle opere umane.

È una scala empirica composta da dodici valori di intensità, indicati con i numeri romani da I a XII e basati sulla percezione del sisma e sui danni provocati a edifici e infrastrutture: il livello I corrisponde a un evento sismico percepito solo dagli strumenti, mentre il livello XII corrisponde a un sisma catastrofico che provoca la distruzione quasi totale dei manufatti umani e un profondo cambiamento della morfologia del paesaggio naturale.

Malgrado sia empirica e qualitativa, la scala MCS è utilizzata ancora oggi: le persone coinvolte nell’evento compilano un questionario macrosismico e questi dati sono utilizzati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per valutare, attraverso analisi statistiche, il grado di intensità del sisma. È così possibile suddividere l’area interessata da un terremoto in una serie di fasce concentriche rispetto all’epicentro, divise da linee chiamate isosisme, che congiungono tutti i punti nei quali il terremoto ha avuto la stessa intensità 7.14 .

Per determinare con precisione la quantità di energia liberata da un sisma si utilizza un’altra scala sismometrica, ideata nel 1935 dal fisico e sismologo americano Charles Richter (1900-1985).

La scala Richter utilizza come unità di misura la magnitudo, che esprime la quantità di energia liberata da un sisma in corrispondenza del suo epicentro.

La magnitudo è determinata facendo riferimento all’oscillazione più ampia rilevata nel sismogramma ed è corretta in funzione della distanza del sismografo dall’epicentro. La scala è su base logaritmica decimale, cioè ciascuna unità di scala è dieci volte maggiore di quella precedente, e non ha un limite superiore. Il valore di magnitudo più alto mai registrato è 9,5 ed è stato rilevato durante il terremoto del 1960 a Valdivia, in Cile. Mentre la scala Richter è univoca e calcolata in base ai dati delle onde sismiche, la scala MCS è invece più qualitativa e dipende da fattori come la densità abitativa nella zona in cui avviene il sisma. Tra le due scale non esiste quindi una corrispondenza precisa Tab. 7.2 : un terremoto di magnitudo 9 corrisponde a un livello I nella scala MCS, nel deserto, ma a un livello XII in una metropoli.

Tabella 7.2 Confronto tra la scala Richter e quella MCS (in zone abitate)

Magnitudo (scala Richter) Livello (scala MCS)

Effetti del sisma

1,0-2,9 I registrato solo dai sismografi

3,0-4,9 II-VI sisma percepito dalla popolazione ma senza che si registrino danni

5,0-5,9 VII causa danni limitati, ma non alle infrastrutture

6,0-6,9 VIII-IX causa danni limitati alle infrastrutture

oltre 7 X-XII causa gravi danni alle infrastrutture e la loro distruzione in corrispondenza dell’epicentro

7.14 La carta delle isosisme permette di visualizzare l’area interessata dal sisma e di localizzare l’epicentro, che si trova racchiuso dall’isosisma più interna.

Risposta breve

1. Perché la MCS è definita una scala empirica?

2. Su quali parametri si basano i dodici livelli di intensità della scala Mercalli?

3. Che cosa sono le isosisme?

4. Che valore esprime la magnitudo di un sisma?

5. Qual è il limite massimo della scala Richter?

1. Quali fattori determinano l’elevato rischio sismico del territorio italiano?

2. Com’è definita la pericolosità sismica?

3. Quali condizioni rendono gli edifici vulnerabili?

4. Perché l’esposizione sismica del territorio italiano è elevata?

Il rischio sismico del territorio italiano

L’Italia è uno dei territori a maggiore rischio sismico dell’area mediterranea. La sua sismicità è dovuta alla sua particolare posizione rispetto alle placche tettoniche (che studieremo nell’Unità 8) e alla conseguente presenza di forti spinte compressive. I fenomeni sismici si localizzano in prevalenza nella parte centro meridionale della penisola lungo la dorsale appenninica, in Calabria e Sicilia e in alcune aree del nord, tra cui il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Un territorio presenta un’elevata pericolosità sismica quanto maggiore è la probabilità che, in un intervallo di tempo considerato, si verifichi un terremoto di una certa magnitudo.

Le conseguenze di un sisma dipendono invece dalle caratteristiche degli edifici sottoposti alle scosse sismiche e in particolare dalla loro vulnerabilità, ovvero la predisposizione di una costruzione a essere danneggiata da una scossa sismica. Quanto più un edificio è vulnerabile (per la scadente qualità dei materiali, per modalità di costruzione inadeguate, per la scarsa manutenzione), tanto maggiori saranno le conseguenze che ci si deve aspettare in seguito alle oscillazioni a cui la struttura sarà sottoposta.

Infine, la maggiore o minore presenza di beni a rischio, anche in termini di beni culturali, e la conseguente possibilità di subire danni economici e perdite di vite umane è definita esposizione.

La combinazione di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione determina il rischio sismico di un territorio ed è la misura dei danni che ci si può attendere in un dato intervallo di tempo.

Alla penisola italiana è attribuito un livello di pericolosità sismica medio-alto, per la frequenza e l’intensità dei fenomeni sismici che si verificano. Anche la vulnerabilità è molto elevata, a causa della fragilità del patrimonio edilizio italiano e delle sue infrastrutture, industriali, produttive e pubbliche. L’esposizione, inoltre, si attesta su valori altissimi, in considerazione dell’alta densità abitativa e della presenza di un enorme patrimonio storico, artistico e monumentale. Recenti studi di pericolosità hanno fornito alle Regioni nuovi e aggiornati strumenti per la classificazione del proprio territorio in riferimento alla pericolosità sismica. Oltre all’energia liberata dagli eventi sismici, un altro parametro per valutare il rischio sismico è l’accelerazione orizzontale massima: grazie a particolari strumenti chiamati accelerometri, è stato possibile misurare l’accelerazione subita dal suolo al passaggio delle onde sismiche.

In base ai dati raccolti, il territorio italiano è suddiviso in quattro zone con una diversa pericolosità 7.15

 Zona 1, estremamente pericolosa: la probabilità che si verifichi un sisma di magnitudo elevata è molto alta.

 Zona 2, dove sono possibili sismi di magnitudo elevata.

 Zona 3, dove è meno probabile che si verifichino sismi a elevata magnitudo rispetto alla zona 1 e 2.

 Zona 4, meno pericolosa: la probabilità che si verifichi un sisma è molto bassa. Le aree a maggiore pericolosità sono localizzate lungo l’Appennino centro-meridionale, in Calabria e in alcune aree della Sicilia e del Friuli-Venezia Giulia; sono invece aree a bassa pericolosità sismica parte della Puglia e del Trentino-Alto Adige.

In Sardegna e in gran parte dell’Italia settentrionale la probabilità che si verifichino sismi è molto ridotta, ma non assente in quanto non esistono zone completamente asismiche.

Risposta breve
Come difendersi dai terremoti

Zona 4

Zona 3

Zona 2

Zona 1

Lo studio delle onde sismiche e l’interno della Terra

Lo studio della propagazione delle onde sismiche è l’indagine indiretta più utilizzata per ricostruire la composizione e la struttura dell’interno della Terra. In particolare, i geofisici utilizzano le onde di volume, la cui velocità di propagazione negli strati profondi dipende dalle caratteristiche dei materiali attraversati e in particolare dalla loro densità e viscosità (ricordiamo che le onde S non si propagano nei liquidi). La misurazione dei tempi impiegati da queste onde per attraversare distanze note ha evidenziato che l’interno della Terra non è omogeneo ma presenta specifiche superfici di discontinuità a profondità ben precise.

Le superfici di discontinuità sono involucri concentrici che separano strati rocciosi con diverse caratteristiche chimico-fisiche.

In genere, variazioni della velocità di propagazione delle onde di volume e deviazioni della loro traiettoria sono dovuti all’aumento della densità dei materiali attraversati, a cambiamenti della composizione delle rocce degli strati o a passaggi da uno stato fisico a un altro.

Un primo aumento di densità delle rocce si registra a circa 30-70 km sotto i continenti e 6-10 km sotto gli oceani in corrispondenza di quella che è chiamata discontinuità di Mohorovičic, o Moho, dal nome dello scienziato croato Andrija Mohorovičic che per primo la identificò studiando il terremoto di Zagabria nel 1906. La Moho separa la crosta dallo strato sottostante, il mantello, nel quale le onde si propagano più velocemente perché composto da rocce più dense e pesanti.

A 2900 km di profondità è stata individuata un’altra superficie sferica che separa il mantello dal nucleo sottostante, la discontinuità di Gutenberg. Fu il geofisico tedesco Beno Gutenberg a ipotizzarne l’esistenza dopo la scoperta delle zone d’ombra delle onde P e S 7.16 . In corrispondenza di questa superficie di discontinuità le onde P sono drasticamente rallentate (la velocità passa da 13 km/s a 8 km/s) e le onde S scompaiono completamente: il fenomeno può essere spiegato solo ipotizzando che i materiali che formano lo strato esterno del nucleo si trovino allo stato liquido.

7.15 Mappa della classificazione sismica del territorio italiano pubblicata nel 2023.

7.16 La zona d’ombra è una fascia di ampiezza compresa tra 105° e 140° entro la quale le onde P non sono registrate perché, a una certa profondità, sono deviate dal nucleo. Le onde S non sono registrate da 103° in poi.

1. Quali sono gli elementi che caratterizzano un sisma?

2. Quali caratteristiche presentano le onde di volume generate da un terremoto?

3. Quali sono gli effetti delle onde di superficie?

Risposta breve

A 5170 km di profondità un’ulteriore superficie, la discontinuità di Lehmann, separa il nucleo esterno liquido dal nucleo interno formato da materiali solidi. Si deve la scoperta alla scienziata danese Inge Lehmann, che analizzò i sismogrammi dei terremoti generati dalle esplosioni nucleari sperimentali eseguite in alcune zone del Pianeta negli anni Sessanta del secolo scorso. Lehmann ipotizzò che i fenomeni di riflessione e rifrazione subiti dalle onde P e l’aumento della loro velocità di propagazione fossero spiegati dalla presenza di materiali solidi nella parte più interna del nucleo.

Le rocce ignee a b

La suddivisione in crosta, mantello e nucleo (esterno e interno), derivata dallo studio della propagazione delle onde sismiche, corrisponde a una stratificazione interna del Pianeta di natura prevalentemente chimica 7.17 .

crosta

7.17 (a) Andamento della velocità delle onde sismiche e (b) superfici di discontinuità.

7.18 Confronto tra la composizione litologica delle crosta continentale e della crosta oceanica.

crosta continentale crosta oceanica

sedimenti e rocce sedimentarie sedimenti oceanici basalti a cuscino gabbri Moho

gneiss e graniti granuliti

Moho

discontinuità di Gutenberg

mantello nucleo esterno nucleo interno

discontinuità Moho

Crosta

discontinuità di Lehmann

Risposta breve

1. Che cosa sono le superfici di discontinuità?

2. Come sono state individuate?

3. A quali profondità di trovano?

4. Qual è la composizione litologica della crosta continentale e di quella oceanica?

La crosta occupa circa l’1,4% del volume totale della Terra. Lo studio della propagazione delle onde sismiche ha mostrato che la Moho si estende a profondità diverse al di sotto della crosta, permettendo di identificare due diversi tipi di crosta, la crosta continentale e la crosta oceanica.

La crosta continentale ha uno spessore compreso fra 30 e 70 km al di sotto dei rilievi montuosi. Ha una densità media di 2,8 g/cm3 ed è costituita prevalentemente da rocce a composizione acida, graniti in superficie e, più in profondità, rocce metamorfiche via via più basiche.

La crosta oceanica, che forma i fondali degli oceani, ha uno spessore compreso tra 6 e 10 km. Ha una densità media di 3 g/cm3 e presenta una struttura e una composizione piuttosto omogenee: uno strato di sedimenti oceanici copre gli strati sottostanti composti da rocce a composizione basica 7.18 .

Mantello

Il mantello occupa circa l’83% del volume terrestre ed è lo strato più esteso all’interno del Pianeta. Il mantello è caratterizzato da un forte incremento di temperatura e pressione con l’aumentare della profondità; la densità passa da 3 a 5,6 g/cm3. Le rocce di cui è formato sono peridotiti, rocce di tipo ultrabasico ricche di ferro e magnesio, di cui raramente si rinvengono frammenti portati in superficie da magmi profondi che risalgono dal mantello.

Nucleo

Il nucleo occupa circa il 16% del volume terrestre. È diviso dalla discontinuità di Lehmann in un nucleo esterno liquido e un nucleo interno solido. All’interno del nucleo la temperatura aumenta fino a 4000 °C e la pressione fino a 3600 kbar, mentre la densità presenta valori compresi tra 10 e 13,5 g/cm3 attribuibile alla presenza di una lega di ferro e nichel con l’aggiunta di elementi più leggeri come zolfo o silicio.

Litosfera, astenosfera e mesosfera

Esaminando le variazioni delle modalità di propagazione delle onde sismiche all’interno del mantello, Gutenberg aveva notato una riduzione della velocità delle onde P e S a una profondità compresa tra 70 e 200 km. Il fenomeno è oggi spiegato dalla presenza della peridotite che, a queste profondità, diventa più viscosa a causa di una parziale fusione dei minerali che la formano. I geofisici, proprio considerando le caratteristiche fisiche delle rocce, hanno individuato e proposto un’ulteriore suddivisione dell’interno della Terra basata sulla reologia dei materiali, cioè sulle loro modalità di risposta alle sollecitazioni meccaniche. Questa classificazione, fondamentale per comprendere la teoria della tettonica delle placche di cui parleremo nell'Unità 8, non è di tipo chimico ma esclusivamente fisico e prevede tre strati:

 la litosfera, il cui spessore è in media di 60-70 km sotto gli oceani e 110-150 km sotto i continenti, è formata dalla crosta e dalla porzione superficiale del mantello (detto mantello litosferico) che si comporta in modo rigido;

 l’astenosfera si estende fino a 410 km di profondità ed è caratterizzata da una diminuzione della velocità di propagazione delle onde sismiche in quanto lo strato è costituito da peridotite resa più plastica dalla presenza di materiale allo stato fuso negli interstizi tra i minerali;

 la mesosfera è una porzione profonda del mantello che arriva fino a 660 km, al limite con il mantello inferiore, dove la velocità delle onde sismiche torna ad aumentare perché le rocce tornano a essere solide e molto dense. Questa suddivisione contempla anch’essa la distinzione tra nucleo esterno (liquido) e nucleo interno (solido) 7.19 .

7.19 Modelli della struttura interna della Terra basati sulle caratteristiche chimiche e sulle caratteristiche reologiche delle rocce.

Risposta breve

1. Quali sono le caratteristiche del mantello?

2. Come si presenta la struttura del nucleo?

3. Qual è la temperatura massima raggiunta all’interno del nucleo?

4. Su quali caratteristiche si basa la suddivisione dell’interno della Terra in litosfera, astenosfera e mesosfera?

Moho crosta continentale mantello litosferico (70-100 km)
litosfera (70-100 km)

7.20 Carta del flusso termico terrestre. La quantità di energia dispersa dalla Terra in un anno è pari a 50 volte l’energia liberata da tutti i sismi e le eruzioni vulcaniche nello stesso periodo.

7.4 Il calore terrestre

Le eruzioni vulcaniche, i geyser, le sorgenti di acque termali e le temperature elevate nei pozzi e nelle gallerie delle miniere sono prove che la Terra possiede un’energia interna (calore endogeno), in aggiunta all’energia che riceve dal Sole. Il Pianeta irradia nello spazio sia il calore solare sia quello interno.

Si definisce flusso di calore la quantità di energia termica che si allontana dalla Terra per unità di area nell’unità di tempo.

L’unità di misura è l’HFU (Heat Flow Unit), equivalente a 1 μcal/cm2 o a 42 milliwatt per metro quadrato. Nei continenti il flusso medio di calore è di 1,5 HFU, mentre nei bacini oceanici è circa 1,3 HFU 7.20 .

04060

L’origine del calore endogeno è spiegata a partire dalle ipotesi sulla storia della formazione della Pianeta e in particolare dal processo che gli scienziati hanno definito catastrofe del ferro 7.21 .

La Terra primordiale cominciò a formarsi circa 4,5 miliardi di anni fa per accrezione, cioè per aggregazione di polveri e frammenti rocciosi in rotazione attorno al Sole. Durante l’aumento di volume, il Pianeta era anche bombardato da comete e meteoriti. L’accrescimento della massa e il conseguente aumento di peso degli strati in formazione, insieme a processi di decadimento radioattivo, determinarono un progressivo aumento della temperatura. Il riscaldamento provocò la fusione quasi totale del Pianeta.

Una volta raggiunti i 1200 °C, il ferro e altri elementi pesanti, come nichel e cobalto, sprofondarono verso l’interno del Pianeta, mentre gli elementi più leggeri (alluminio, sodio, potassio e silicio) si spostarono verso l’esterno, originando la struttura a strati concentrici descritta nel paragrafo precedente. La dislocazione di materiali con diversa densità determinò la liberazione di un’enorme quantità di energia chiamata calore latente fossile e che ancora oggi è responsabile, per circa il 30%, dell’energia interna della Terra.

Il calore fossile primordiale, tuttavia, non è sufficiente per giustificare l’entità del calore che proviene dall’interno della Terra ed è liberato in superficie. Si ritiene che maggior parte del calore terrestre sia prodotta dal processo di decadimento degli isotopi radioattivi di elementi come uranio, torio e potassio (238U, 235U, 232 Th ,40K ) presenti nelle rocce che compongono la crosta.

bombardamento meteorico fusione quasi totale del Pianeta e migrazione dei materiali più pesanti al centro e di quelli più leggeri in superficie

dell’interno della Terra differenziazione in strati

Le rocce più ricche di elementi radioattivi sono quelle acide, mentre le rocce basiche ne contengono quantità molto piccole. I nuclei instabili di questi isotopi emettono particelle subatomiche ed energia per raggiungere la stabilità e trasformarsi in isotopi o in altri elementi più stabili. Il processo di decadimento libera circa il 40% del flusso di calore sulla superficie terrestre.

La variazione di calore all’interno della Terra è data dal gradiente geotermico, inteso come aumento della temperatura in rapporto alla profondità. Dalle misurazioni effettuate nei pozzi di idrocarburi e nelle miniere 7.22 , il gradiente è in media di 3 °C ogni 100 m di profondità, ma questo valore può aumentare di molto nelle aree interessate da attività vulcanica.

Il grado geotermico corrisponde, invece, all’intervallo di profondità in corrispondenza del quale si registra un aumento della temperatura di 1 °C e in media risulta essere 33 m.

Se il valore di gradiente si mantenesse costante, anche negli strati più profondi si raggiungerebbero, già a 1000 km, temperature di circa 30000 °C. Questo presupporrebbe lo stato fuso della quasi totalità dell’interno della Terra in contrasto con le ipotesi date dallo studio delle onde sismiche. Dalle informazioni raccolte su densità e composizione dei materiali che formano l’interno del Pianeta, si ipotizza una temperatura nel nucleo terrestre compresa fra 3700 e 4300 °C, con un gradiente geotermico che diminuisce via via fino a raggiungere valori di circa 0,7-0,8 °C/km. È stato possibile raggiungere queste conclusioni mettendo in relazione le temperature di fusione dei minerali che formano gli strati interni della Terra con l’incremento della pressione all’aumentare della profondità.

7.21 Le fasi della catastrofe del ferro.

7.22 Nella miniera d’oro di Tautona, in Sudafrica, una delle più profonde al mondo, si raggiunge la temperatura di 55 °C. Per permettere ai minatori di lavorare sono installati impianti di raffreddamento nelle gallerie.

7.23 La geoterma (in rosso) rappresenta l’aumento della temperatura con la profondità, mentre le altre curve rappresentano l’andamento del punto di fusione dei materiali del mantello (in verde) e di quelli che formano il nucleo (in blu).

Risposta breve

1. Come si definisce il flusso termico terrestre?

2. Quali sono le ipotesi più accreditate per spiegare l’origine del calore interno della Terra?

3. Quali informazioni fornisce l’andamento della curva geoterma?

4. Qual è la modalità di propagazione del calore all’interno della Terra?

La geoterma è la curva che mette in relazione la temperatura con la profondità. La geoterma mostra l’andamento del gradiente geotermico ed è ottenuta utilizzando modelli fisico-matematici applicati ai materiali che formano l’interno della Terra. Esaminiamo il grafico che mostra l’andamento della geoterma e della curva delle temperature di fusione dei materiali che formano gli strati interni 7.23 Quando la geoterma si trova sotto la curva di fusione (nella litosfera, nella mesosfera, nel mantello inferiore e nel nucleo interno) le temperature sono minori di quelle di fusione dei materiali, che quindi si troveranno allo stato solido, quando invece la geoterma si trova al di sopra (nell’astenosfera e nel nucleo esterno) i materiali sono allo stato fuso o parzialmente fuso. Queste osservazioni si accordano con la riduzione della velocità di propagazione delle onde sismiche nell’astenosfera (che è plastica e viscosa) e con l’assenza di propagazione delle onde S nel nucleo esterno (che è allo stato liquido).

curva d’inizio fusione del mantello il nucleo fonde

la geoterma è sotto il punto di fusione

la geoterma è sopra il punto di fusione

temperatura di fusione del nucleo

STATO SOLIDO

la geoterma è sotto il punto di fusione

mantello nucleo esterno fuso nucleo interno

La propagazione del calore all’interno della Terra

Il calore si può propagare per irraggiamento, conduzione e convezione 7.24

 La trasmissione del calore per irraggiamento comporta l’emissione di radiazioni luminose con lunghezze d’onda comprese nel campo delle radiazioni visibili e dell’infrarosso. La propagazione per irraggiamento non può avvenire all’interno del Pianeta, in quanto costituito in prevalenza da materiali opachi.

 La trasmissione per conduzione determina il passaggio di energia da un corpo più caldo a uno più freddo. Il calore si trasferisce sotto forma di energia cinetica: le particelle che formano i due corpi a contatto vibrano e si urtano, trasferendo energia alle particelle vicine. Il fenomeno interessa prevalentemente i solidi, ma le rocce sono cattive conduttrici di calore e quindi la propagazione per conduzione avviene molto lentamente.

 La trasmissione per convezione, che interessa prevalentemente i fluidi, determina la propagazione del calore per spostamento di materia.

L’emissione di calore da parte della Terra avviene per convezione. Il meccanismo con cui il calore si trasferisce dal nucleo agli strati più superficiali prevede l’esistenza, all’interno del mantello, di moti convettivi, mediante i quali porzioni di materia più calda risalgono per effetto della loro minore densità. Il fenomeno è facilmente osservabile all’interno di un recipiente colmo d’acqua, posto su una fonte di calore: l’aumento di energia cinetica delle molecole d’acqua fa sì che l’acqua riscaldata, leggera e meno densa, risalga verso l’alto, mentre il resto della massa d’acqua, più fredda e densa, discende verso il fondo del recipiente creando dei circuiti chiusi chiamati celle convettive

STATO FUSO

conduzione

convezione

irraggiamento

Un fenomeno simile avverrebbe nel mantello: a causa del riscaldamento da parte del nucleo, la densità delle rocce diminuisce e queste, più leggere, risalgono verso la superficie; lungo il loro percorso le rocce si raffreddano, diventano pesanti e ridiscendono verso le profondità del mantello, creando dei veri e propri circuiti di materia, le correnti di convezione.

Le correnti di convezione sono movimenti di masse di rocce fluide che interessano il mantello e permettono al calore endogeno di risalire in superficie.

Le correnti di convezione sono anche responsabili dei movimenti della litosfera e all’origine di gran parte dei fenomeni sismici e vulcanici 7.25 .

corrente calda ascendente

nucleo

corrente fredda discendente

7.24 Le modalità di propagazione del calore.

corrente fredda discendente

corrente calda ascendente

7.25 Rappresentazione del modello dei moti convettivi che avvengono all’interno del mantello.

7.5 Il

vulcanismo

Le correnti di convezione del mantello sono all’origine del vulcanismo, un complesso di fenomeni riconducibili all’attività endogena, che provoca il trasferimento di imponenti masse di materiali fusi, e quindi di energia, dall’interno della Terra verso l’esterno. Il processo ha inizio a una profondità compresa tra i 15 e i 100 km, all’interno della crosta, ma anche nella parte superiore del mantello, dove si creano localmente le condizioni per cui le rocce iniziano a fondere, come l’aumento delle temperature, la riduzione di pressione e il sopraggiungere di materiali fluidi. La fusione dei materiali avviene gradualmente fino a formare gocce di magma, ovvero materiale roccioso fuso, che si separano via via dal residuo solido. Il magma, meno denso delle rocce solide, esercita una pressione sulle pareti rocciose circostanti creando un reticolo di fratture dentro le quali si può insinuare, muoversi e infine riunirsi in un’unica massa a forma di goccia, chiamata diapiro. I diapiri in risalita si uniscono in masse sempre più grandi che si accumulano in prossimità della superficie terrestre all’interno delle camere magmatiche. Qui i materiali fluidi ad alta temperatura, a contatto con le rocce circostanti più fredde, si muovono all’interno di celle convettive che rimescolano continuamente i magmi e favoriscono la formazione di grosse bolle di gas 7.26

sito di una eruzione laterale camera magmatica

crosta oceanica

ipocentri di terremoto mantello superiore

diapiro

fratture riempite di magma

roccia parzialmente fusa

A questo punto il magma può subire la spinta necessaria per cominciare la sua risalita, più o meno veloce, verso la superficie. La mobilità del magma dipende da molti fattori, in particolare dalla sua composizione chimica.

Si distinguono tre tipi fondamentali di magmi:

 magmi basici, che contengono meno del 50% di silice (SiO2) e presentano una temperatura tra i 1000 e i 1200 °C;

 magmi acidi, con oltre il 70% di silice e temperature intorno agli 800 °C;

 magmi intermedi, che contengono percentuali di silice intorno al 60%.

7.26 Formazione e risalita del magma.
materiale roccioso molto caldo ma solido

Composizione chimica e temperature determinano inoltre la viscosità del magma. Un alto contenuto di silice rende il magma viscoso; al contrario un magma con minor quantità di silice è più fluido. La fluidità dipende, inoltre, dalla quantità e dalla tipologia di gas disciolti nel magma, che possono essere vapore acqueo, diossido di carbonio, anidride solforosa e monossido di carbonio, oltre a composti dell’azoto, del cloro e del fluoro.

Questi gas hanno un ruolo importante nella risalita del magma verso la superficie. Se l’energia dei gas presenti non è sufficiente per superare la resistenza delle rocce sovrastanti, il magma rimane intrappolato dentro la crosta, si raffredda lentamente e dà origine ad ammassi di rocce ignee intrusive. Se, invece l’energia dei gas è sufficiente, il magma è spinto attraverso le fratture della crosta fino a fuoriuscire in superficie (eruzione). Il canale attraverso cui il magma erutta è chiamato condotto vulcanico, di cui il cratere è la sommità. Oltre a quello principale, è possibile che si formino anche condotti e crateri secondari, di dimensioni minori.

Una volta all’esterno, il magma subisce una brusca riduzione di temperatura e di pressione con la conseguente liberazione dei gas contenuti al suo interno. In seguito a tale processo il magma prende il nome di lava. Quest’ultima, raffreddandosi, dà origine a rocce ignee effusive.

I materiali espulsi durante un’eruzione, si depositano sulla superficie della crosta e formano l’edificio (o cono) vulcanico, che può avere diverse forme in base a diversi fattori, quali la tipologia di magma e la modalità di eruzione.

Un vulcano è la struttura geologica attraverso cui il magma, dagli strati superiori del mantello raggiunge la superficie della crosta ed è formato dalla camera magmatica, dal condotto e dall’edificio vulcanico 7.27 .

Risposta breve

1. Quali sono le fasi del processo del vulcanismo?

2. Su quale criterio si basa la classificazione dei magmi?

3. Quali temperature raggiungono i magmi?

4. Da che cosa dipende la viscosità di un magma?

5. Come si presenta la struttura di un vulcano?

I vulcani
VIDEO
7.27 Struttura di un vulcano.

7.28 (a) I vulcani a scudo hanno una caratteristica forma larga e appiattita. (b) Ne è un esempio il vulcano Kilauea sull’isola più estesa dell’arcipelago delle Hawaii, nell’Oceano Pacifico.

Classificazione dei vulcani

La composizione chimica e la temperatura dei magmi e le condizioni geologiche nelle quali essi escono in superficie, danno origine a diversi tipi di eruzioni e di vulcani.

Magmi fluidi e poveri di gas, come quelli basici, danno origine a eruzioni effusive, caratterizzate da fuoriuscite di fiumi di lava fluida. Durante la risalita, i gas si liberano in modo graduale sotto forma di bolle che rendono il magma ancora più fluido e spumeggiante. Se il condotto vulcanico è ostruito da materiali rocciosi consolidati o da detriti, la pressione del magma fa saltare il tappo roccioso e i gas si liberano con violenza, trascinando in aria spruzzi di lava, che in seguito trabocca e scorre sotto forma di colate laviche lungo i pendii. Il progressivo raffreddamento della lava dà origine a edifici vulcanici dalla forma larga e appiattita, chiamati vulcani a scudo 7.28a .

I più famosi vulcani di questa tipologia sono quelli dell’arcipelago delle Hawaii: le lave sono così fluide che spesso ristagnano nei crateri, dove formano laghi dai quali scendono verso valle fiumi di lava incandescente 7.28b

b

Quando le eruzioni effusive avvengono in ambiente sottomarino, la lava si raffredda bruscamente a contatto con l’acqua e la superficie assume un aspetto vetroso. L’arrivo di nuova lava sgretola la crosta e dalle fratture sgorga la lava che, raffreddandosi, tende ad assumere una forma sferoidale detta pillow lava, o lava a cuscino 7.29 . Magmi acidi e viscosi risalgono più lentamente il condotto vulcanico e alimentano eruzioni esplosive. I gas contenuti nel magma non riescono a espandersi a causa della sua elevata viscosità ed esercitano una forte pressione all’interno del materiale fuso. Quando la pressione supera la resistenza del materiale sovrastante, avviene una violenta esplosione. I gas surriscaldati si espandono rapidamente trascinando in alto nell’atmosfera frammenti rocciosi e lava polverizzata in minuscole gocce.

Si forma così una colata piroclastica, detta anche nube ardente, che consiste in una gigantesca nuvola incandescente e una sospensione di frammenti roventi, gas e vapori ad altissima energia. In seguito, la nube ardente ricade sul vulcano e il materiale scende lungo i pendii.

Le eruzioni alimentate da magma acido o intermedio danno origine a stratovulcani (o vulcani compositi), che presentano edifici vulcanici con una tipica forma a cono 7.30a . I vulcani più famosi di questo tipo sono il Fujiyama in Giappone, il Vesuvio e l’Etna in Italia 7.30b .

I fenomeni vulcanici
7.29 Lave a cuscino lungo la costa delle isole Hawaii.
a

In occasione di eruzioni particolarmente violente, la sommità dello stratovulcano può essere distrutta e sprofondare parzialmente dando origine a una caldera. Nel tempo, il fondo delle caldere si ricopre di sedimenti impermeabili all’acqua e può ospitare laghi: hanno questa origine il Lago di Bolsena e quello di Bracciano, nell’Italia centrale, e il Crater Lake, negli Stati Uniti 7.31 I vulcani a scudo e gli stratovulcani sono anche detti vulcani centrali poiché la lava fuoriesce da una zona ristretta della crosta terrestre. Quando l’emissione di lava avviene lungo fessure allungate della crosta siamo invece in presenza di vulcani lineari 7.32 . Nelle eruzioni lineari, la fuoriuscita di lava acida forma allineamenti di piccoli coni lungo le spaccature della crosta, mentre la lava basica si espande lateralmente alle fessure formando piatti tavolati costituiti da colate sovrapposte, i plateaux basaltici. I più estesi plateaux basaltici sono quelli del Deccan, che forma buona parte della penisola indiana, e quello dell’America Meridionale, esteso tra il Brasile e il Paraguay.

Esistono anche altri tipi di eruzioni dovuti a diversi fattori geologici che possono avvenire, anche in uno stesso vulcano e in periodi differenti. La classificazione delle eruzioni fa anche riferimento al tipo di vulcani nei quali avviene con maggior frequenza. Per esempio, le eruzioni di tipo stromboliano sono caratteristiche dello Stromboli, il vulcano dell’arcipelago delle Eolie.

Il vulcanismo della penisola italiana

Il territorio della penisola italiana è di recente formazione: così come la vediamo oggi, esiste solo da poco più di due milioni di anni, ma le diverse zone si sono formate in periodi diversi e molto lontani tra loro. Questo puzzle di formazioni rocciose è ancora in via di assestamento, anche perché in Italia sono presenti molti vulcani. Alcuni di questi sono ancora attivi, cioè hanno eruttato in tempi recenti, mentre altri non eruttano da diverso tempo e sono detti quiescenti. Lo stato di quiescenza è tuttavia temporaneo e un vulcano può tornare attivo.

7.30 (a) Gli stratovulcani, o vulcani compositi, sono caratterizzati da una forma a cono formatosi dal deposito di materiale dalla nube ardente in seguito a eruzioni esplosive. (b) Colata piroclastica del 14 luglio 2021 dell’Etna, in Sicilia.

7.31 Il Crater Lake, in Oregon, che occupa la caldera originata dal crollo del monte Mazama.

7.32 (a) I vulcani lineari non presentano un edificio vulcanico perché la lava fuoriesce dalle fessure direttamente sulla crosta. (b) Ne è un esempio il vulcano Holuhraun in Islanda, la cui fessura si estende per circa 10 km.

Risposta breve

1. Perché gli edifici vulcanici prodotti da eruzioni effusive assumono una forma larga e appiattita?

2. Che cos’è una nube ardente?

3. Come si formano gli stratovulcani?

4. In che cosa differiscono vulcani centrali e vulcani lineari?

Il Vesuvio

Il Vesuvio si trova in Campania, a est di Napoli, ed è in realtà parte del complesso del Somma-Vesuvio. Questo complesso è composto da un edificio più antico, il Somma, una caldera all’interno della quale si è formato un cono più giovane, il Vesuvio, in seguito all’eruzione del 79 d.C. che distrusse le città di Ercolano, Stabia e Pompei e provocò la morte di circa duemila persone 7.33 . Dopo l’ultima eruzione del 1944, avvenuta durante la Seconda guerra mondiale e durata circa 10 giorni, il Vesuvio è in uno stadio di quiescenza. Tuttavia, la continua emissione di vapore acqueo e gas in corrispondenza del cratere indica che l’attività eruttiva potrebbe riprendere. In passato, infatti, è stato ricostruito che i periodi di attività vulcanica del Vesuvio si sono alternati a periodi di inattività in cui il magma all’interno del vulcano si è “ricaricato” per poi fuoriuscire con eruzioni di tipo esplosivo.

7.33 Il complesso vulcanico del Somma-Vesuvio.

COLLEGA Letteratura Latina

Il Vesuvio e la prima eruzione pliniana mai descritta

Opera: Lettere, libro VI, n. 16 e 20 (circa 107 d.C.)

Autore: Plinio il Giovane

Sull’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che annichilì le fiorenti città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis, abbiamo una testimonianza: due lettere che Plinio il Giovane inviò a Tacito circa trent’anni dopo l’evento su sollecitazione dell’amico, che stava scrivendo le Historiae

Plinio il Giovane, allora diciottenne, si trovava con la madre nella villa di Miseno, all’estremità occidentale del golfo di Napoli, un luogo perfetto per osservare, con precisione e meraviglia, le fasi dell’eruzione 7.a. Nelle sue lettere racconta le scosse sismiche, il ritirarsi del mare, la nube “a forma di pino marittimo”e i bagliori al suo interno, oltre alla pioggia di cenere, pomice e lapilli. Non racconta tuttavia, perché non ne ha un resoconto diretto, gli effetti dell’eruzione su Ercolano e sulla più

lontana Pompei. Le lettere indicano che l’eruzione fu il 24 agosto, ma recenti studi e scoperte archeologiche fanno propendere per il mese di ottobre.

La fortuna letteraria di questo passo ha fatto sì che le eruzioni vulcaniche con queste caratteristiche siano state definite“pliniane”. In queste lettere, Plinio narra anche gli ultimi momenti della vita di suo zio Plinio il Vecchio. Questi, comandante della flotta romana di stanza a Miseno, si prodigò per evacuare da Stabia quella parte della popolazione che si era accalcata sulla riva del mare, sotto la pioggia di materiale vulcanico, coi pochi beni salvati. Attardatosi per osservare da vicino il fenomeno e impedito nel ritorno dal mare in tempesta, egli morì soffocato dalle ceneri. Si concluse così la vita di un servitore dello Stato ma anche di un uomo dalla profonda cultura. Durante le sue campagne militari, Plinio il Vecchio aveva infatti raccolto materiale per numerosi volumi di storia, andati purtroppo perduti; in seguito aveva ordinato nei 37 libri della Naturalis Historia tutte le conoscenze disponibili di zoologia, botanica, geologia,

mineralogia, medicina. L’opera fu letta e riutilizzata in tutto il Medioevo sia per la ricchezza dei dati sia per gli aneddoti e le curiosità di cui è disseminata.

7.a Incisione di Thomas Burke (fine XVIII secolo) che rappresenta il giovane Plinio, assorto nello studio, mentre viene sollecitato a mettersi in salvo con la madre.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Fisica). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

Somma
Vesuvio

I Campi Flegrei

I Campi Flegrei sono una vasta caldera di diametro compreso tra i 12 e i 15 km e costituiscono un supervulcano, un sistema di una trentina di vulcani formatasi circa 60 mila anni. Malgrado la vicinanza al Vesuvio, non c’è un collegamento diretto tra i due vulcani: la camera magmatica che alimenta i Campi Flegrei si trova a circa 4 km di profondità ed è localizzata sotto la città di Pozzuoli, mentre quella del Vesuvio è in una posizione differente. Studi recenti, tuttavia, proverebbero che i due complessi vulcanici hanno in comune una camera magmatica più profonda, a oltre 10 km di profondità, che alimenta entrambi.

I Campi Flegrei sono caratterizzati dal fenomeno del bradisismo, ovvero l’alternanza di fasi di lento abbassamento (subsidenza) e più rapido sollevamento del livello del suolo in corrispondenza della caldera. Questo fenomeno è direttamente collegato al movimento dei magmi sotterranei. Inoltre, le fasi di sollevamento sono accompagnate da sciami sismici, fenomeno che prevede il verificarsi di più scosse di terremoto una di seguito all’altra. Questi sismi, in genere, non raggiungono magnitudo elevate, ma poiché sono molto superficiali, sono avvertiti dalla popolazione e possono provocare danni agli edifici 7.34 . L’attività vulcanica e il bradisismo nei Campi Flegrei sono in costante evoluzione. Dal 2005, la caldera è in una fase di sollevamento che, dal 2006 a oggi, ha superato 1 m e nel corso del 2023 è stato registrato un aumento della frequenza dei terremoti.

L’Etna

L’Etna si trova in Sicilia e, con i suoi 3300 metri di altezza, è il vulcano attivo più alto d’Europa. Le sue eruzioni iniziarono 500 mila anni fa nelle acque di un vasto golfo, che fu progressivamente colmato dalle colate laviche. Con il tempo, l’edificio vulcanico è emerso dalle acque e ha assunto la forma di un vulcano composito dalle pendici ripide. Gli episodi della storia eruttiva dell’Etna sono stati riportati negli annali storici perché nel territorio, malgrado la pericolosità, sono sempre esistiti insediamenti umani. Le eruzioni più catastrofiche si verificarono nel XVI e nel XVII secolo: nel 1669 un’eruzione distrusse buona parte della città di Catania. Nonostante sia un vulcano dal comportamento prevalentemente effusivo, a partire dal 1986 si è avuto un notevole incremento di eruzioni esplosive di media intensità, caratterizzate da violente esplosioni e dall’emissione di sbuffi di gas e di fontane di lava. Gli episodi possono durare da decine di minuti a pochi giorni, durante i quali si formano nubi alte fino a 10 km, i cui materiali poi si disperdono per centinaia di km di distanza.

Le isole vulcaniche e i vulcani sottomarini

L’arcipelago delle Eolie, a nord-est delle coste della Sicilia, ospita due vulcani: Stromboli, che presenta un’attività eruttiva continua, e Vulcano, che alterna periodi di attività a lunghi periodi di quiescenza. A nord dell’arcipelago e non lontano dalle coste della Calabria, invece, si elevano dal fondale del Tirreno tre imponenti vulcani: il Magnaghi, un vulcano spento, il Vavilov ed il Marsili, entrambi attivi. Il Marsili, il più grande dei tre, misura 70 km di lunghezza e 30 km di larghezza, si eleva per circa 3000 m dal fondale fino a 450 m al di sotto delle acque. Questo vulcano è costantemente tenuto sotto controllo dai ricercatori dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) per rilevare anche i minimi segni di attività. Se, infatti, avvenisse una forte eruzione sottomarina, le onde sismiche potrebbero generare violente onde (maremoto) che si abbatterebbero sulle isole Eolie e sui litorali della Calabria, della Sicilia settentrionale e della Campania. Infine, un’altra isola vulcanica è rappresentata dal Monte Epomeno, nell’Isola di Ischia a nord del Golfo di Napoli, e Pantelleria, isola che si trova tra la Sicilia e le coste della Tunisia.

7.34 Le tre colonne più alte del Tempio di Serapide, a Pozzuoli, mostrano fori di litodomi fino ad un’altezza di 6,30 m dal pavimento dell’edificio, che attestano la sommersione dovuta a bradisismo avvenuta in epoca medievale.

Risposta breve

1. Quali caratteristiche presentano i vulcani dei Campi Flegrei?

2. Che cos’è il bradisismo?

3. Che tipo di edificio vulcanico è quello dell’Etna e qual è stata la sua attività vulcanica nella storia?

4. Perché l’attività dei vulcani sottomarini del Tirreno è costantemente monitorata?

7.35 Campione di magnetite.

Sulla sua superficie è ben visibile la limatura di ferro attratta dal minerale.

Ricorda

Come hai studiato in fisica, le linee di forza servono a descrivere un campo e sono tracciate in modo tale che siano tangenti alla direzione del campo in ogni punto.

7.6 Il campo magnetico

L’esistenza delle proprietà magnetiche possedute da particolari tipi minerali è nota fin dall’antichità. Oltre 2500 anni fa, i Greci erano infatti già a conoscenza delle caratteristiche di un minerale chiamato magnetite, in grado di attrarre frammenti di ferro posti nelle sue vicinanze 7.35 . Secoli dopo, nel III d.C., i Cinesi, osservando l’allineamento dei materiali magnetici secondo la direzione Nord-Sud, inventarono il primo prototipo di bussola, perfezionata ad Amalfi nella prima metà del XIII secolo; questo strumento rese possibili le grandi scoperte geografiche del XV e XVI secolo. Il merito di aver dato una spiegazione al fenomeno del magnetismo terrestre va allo scienziato inglese William Gilbert: fu il primo a ipotizzare che la Terra stessa fosse un enorme magnete sferico in grado di generare un campo di forze che fa orientare l’ago della bussola in direzione Nord-Sud. Nel 1832 lo scienziato tedesco Karl Friedrich Gauss stabilì la prima configurazione del campo magnetico terrestre e l’andamento delle rispettive linee di forza. Egli ipotizzò che il campo magnetico terrestre fosse originato da un dipolo magnetico composto da minerali ferromagnetici posizionato nel centro della Terra con una serie di linee di forza che si estendono nello spazio 7.36 .

asse di rotazione

polo Nord magnetico

7.36 L’andamento delle linee di forza del campo magnetico sarebbe determinato dalla presenza di un dipolo magnetico al centro della Terra inclinato di 11° 30’ rispetto all’asse di rotazione.

Ricorda

Il plasma è un particolare stato della materia in cui il gas è ionizzato e quindi costituito da un insieme di elettroni e ioni, pur avendo una carica elettrica totale nulla.

polo Nord

polo Sud geografico geografico

11° 30’

polo Sud magnetico

In realtà le linee di forza non sono come quelle di un teorico dipolo magnetico a causa dell’interazione con il vento solare. Il vento solare può essere considerato come un plasma, un particolare stato della materia prodotto dall’attività solare e dotato di un proprio campo magnetico distorto per effetto del movimento. L’interazione tra vento solare e campo magnetico terrestre provoca la deformazione di quest’ultimo conferendogli una forma a goccia con la coda allungata in direzione opposta al Sole 7.37 .

7.37 Il campo magnetico terrestre crea una specie di scudo attorno alla Terra, proteggendola dai raggi cosmici e dalle particelle cariche del vento solare.

Al di sopra di una certa temperatura, detta punto di Curie, i materiali perdono le loro proprietà magnetiche permanenti. Il punto di Curie del ferro è di 770 °C, temperatura già raggiunta a 20 km di profondità nella crosta. Nel nucleo le temperature variano fra 3700 e 4300 °C, quindi i materiali ricchi di ferro che lo compongono non possono mantenere le loro proprietà magnetiche. Studi basati sulle particolari caratteristiche del campo magnetico della Terra condussero il fisico tedesco Walter Maurice Elsasser e il geofisico britannico Edward Crisp Bullard a formulare il modello della dinamo ad autoeccitazione per spiegarne l’origine 7.38 . Il modello parte da tre presupposti:

 la presenza di un debole campo magnetico iniziale non uniforme;

 la presenza di un nucleo composto da materiali conduttori fusi;

 la possibilità di movimenti all’interno del nucleo.

Il nucleo esterno è costituito da una lega di ferro, (che è un ottimo conduttore elettrico) allo stato fuso e si comporta, per effetto del flusso dei suoi materiali, come un elettromagnete. I movimenti nel nucleo fuso inducono una corrente che produce un campo magnetico; questo a sua volta, induce una nuova corrente nel nucleo, quindi un nuovo campo magnetico e così via. Il modello è stato accettato dalla maggior parte degli scienziati, ma ancora oggi non è stata data una spiegazione convincente sul meccanismo che avrebbe avviato il processo di attivazione del campo magnetico nelle fasi iniziali della storia del Pianeta.

asse di rotazione terrestre

movimenti a spirale nel nucleo esterno crosta terrestre

nucleo esterno

Ricorda

Un elettromagnete è un dispositivo in grado di generare un campo magnetico sfruttando una corrente elettrica.

7.38 Modello che illustra la probabile origine del campo magnetico terrestre.

Sole vento solare onda d’urto
magnetopausa

Risposta breve

1. Quale spiegazione dell’origine del campo magnetico terrestre fu formulata da Karl Friedrich Gauss?

2. In che modo il vento solare interferisce con il campo magnetico terrestre?

3. Che cosa sostiene la teoria della dinamo ad autoeccitazione?

4. Quali sono le grandezze che definiscono il campo magnetico?

7.39 Il Polo Nord magnetico si trova in Canada, sull’isola Principe di Galles.

Le misure per definire il campo magnetico terrestre

La nomenclatura che definisce i poli magnetici Nord e Sud è solo una convenzione dovuta al modo in cui si orienta una bussola per effetto delle linee di forza. Osservando con attenzione la Figura 7.36 si può notare che:

 il polo Nord magnetico e il Polo Sud magnetico non coincidono con i rispettivi poli geografici;

 le linee di forza del campo magnetico escono dall’emisfero sud (emisfero australe) ed entrano nell’emisfero nord (emisfero boreale);

 l’ago di una bussola si orienta secondo la proiezione delle linee di forza sulla superficie per cui il nord della bussola si orienta verso il polo di segno opposto.

Per definire esattamente il campo magnetico terrestre (c.m.t.) sono necessari due importanti parametri angolari: la declinazione e l’inclinazione magnetica. Il dipolo magnetico terrestre è attualmente inclinato di 11° 30’ rispetto all’asse terrestre, il che determina che il Polo Nord magnetico non coincida esattamente con quello geografico.

In una determinata località, la declinazione magnetica corrisponde all’angolo che si forma tra la direzione indicata dall’ago della bussola e la direzione del Nord geografico.

Muovendosi sul medesimo meridiano l’angolo che esprime la declinazione magnetica tenderà ad aumentare avvicinandosi ai poli.

Attualmente il Polo Nord magnetico si trova a 74° di latitudine N e 100° di longitudine O, in un’isola dell’arcipelago canadese 7.39 , mentre il Polo Sud magnetico si trova in Antartide, a circa 68° di latitudine S e a 156° di longitudine E. Leggendo il valore dell’angolo di declinazione magnetica che è riportato sulla carta di una determinata località, è possibile correggere la direzione indicata dall’ago della bussola e individuare con precisione il Nord geografico.

Le linee di forza del c.m.t. sono parallele alla superficie terrestre solo all’Equatore, mentre l’inclinazione rispetto alla superficie aumenta con la latitudine, fino ad avere linee di forza praticamente perpendicolari ai poli.

L’angolo tra le linee di forza e la superficie terrestre, misurato con una bussola dotata di un ago libero di muoversi nelle tre dimensioni, fornisce il valore dell’inclinazione magnetica.

Infine, la forza del c.m.t. è misurabile con il magnetometro, uno strumento in grado di registrare l’intensità del campo magnetico di una località 7.40 .

L’intensità del campo magnetico esprime la forza esercitata su ogni punto della superficie terrestre e nell’atmosfera sovrastante.

L’unità di misura nel Sistema Internazionale è il tesla (T), 1 T = 1 N/ (A m), ma poiché l’intensità del c.m.t. non è particolarmente elevata si utilizza il nanotesla (nT = 10 9 T) oppure il gaus (G), che è un sottomultiplo del tesla (1 T = 104 G).

7.40 Magnetometro usato dai geofisici per lo studio della magnetizzazione dei fondali marini.

L’intensità del c.m.t. è in media 0,5 G: aumenta procedendo verso i poli e diminuisce verso l’Equatore. Questa intensità può aumentare localmente per la presenza di altri deboli campi magnetici, per esempio quelli generati dai materiali ferromagnetici che compongono alcune formazioni rocciose oppure quelli prodotti da correnti elettriche originate dall’interazione del vento solare con il c.m.t. stesso.

U7 Ripassa con metodo

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TERRA

il pianeta Terra può essere descritto come un sistema ed è formato da biosfera, idrosfera, atmosfera e

Da che cosa dipende la sua energia endogena?

Da che cosa dipende?

la quantità di energia che la Terra emette per unità di area nell’unità di tempo

Quali fenomeni endogeni spiega?

VULCANISMO

dal e dal decadimento di radioattivi di elementi della crosta

il processo di formazione e fuoriuscita dei trasferiti dai moti del mantello

Qual è la sua struttura interna?

STRUTTURA A STRATI

Partendo dalla superficie si trovano la , divisa in terreste e oceanica, il e il nucleo, a sua volta diviso in nucleo e nucleo

Quale fenomeno è stato analizzato per spiegarne la struttura?

metodi di indagine che può essere , come l’analisi delle rocce, o come l’analisi di frammenti di asteroidi e meteoriti

SISMOGRAFI

tracciano le onde propagate dai sismi, producendo un dal quale si ricavano informazioni sul sisma stesso

Come sono registrati?

hanno origine da un’improvvisa liberazione di energia da un punto interno della crosta detto

Come sono misurati?

SCALA MCS

è una scala divisa in livelli di intensità

è quantitativa e utilizza come unità di misura la

U7 Conoscenze e abilità

7.1

La Terra, un sistema da conservare

1 Vero o falso?

a. La Terra ha caratteristiche di un sistema aperto V F

b. Il sistema Terra ha bisogno dell’energia solare per mantenere l’equilibrio V F

2 Quali condizioni hanno reso possibile la comparsa della vita sul Pianeta?

3 In che modo gli esseri umani stanno mettendo in pericolo il sistema Terra?

7.2 Densità e composizione dei materiali terrestri

4 Vero o falso?

a. La crosta ha una densità media di 3,3 g/cm3 V F

b. La composizione delle acondriti è simile a quella delle rocce della crosta V F

c. La struttura a strati dell’interno della Terra dipende dalla diversa densità delle rocce V F

5 In che modo è possibile calcolare la densità media della Terra?

6 Di che cosa si occupa la geochimica?

7 Quale tra le seguenti può essere considerata un’indagine diretta?

Indagine sismica

Studio delle meteoriti

Studio di campioni di roccia prelevati da pozzi di perforazione

Calcolo della densità media

8 Qual è la densità media delle rocce che formano la parte più interna del Pianeta?

Circa 2,7-2,8 g/cm3

2,2 g/cm3

4,5 g/cm3 10 g/cm3

7.3 La struttura interna del Pianeta e la sismologia

9 Vero o falso?

a. La Moho si trova a una profondità di circa 30-70 km V F

b. La discontinuità di Lehmann si trova a una profondità di 2900 km V F

c. La crosta continentale è composta in prevalenza da rocce basiche V F

10 In quali condizioni si verifica un terremoto?

11 Da quali strati è formato l’interno della Terra?

12 Perché lo studio dei terremoti fornisce importanti informazioni sulle caratteristiche dell’interno della Terra?

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

13 Quali sono i punti che identificano un sisma?

14 Quali informazioni si possono ricavare dalla lettura di un sismogramma?

15 Qual è la principale differenza tra suddivisione chimica e suddivisione reologica dell’interno della Terra?

16 Che cos’è la litosfera?

17 Le onde P: sono longitudinali attraversano materiali solidi, liquidi e gassosi raggiungono per primi i sismografi tutte le risposte sono corrette

18 La scala MCS: è divisa in 12 valori di magnitudo misura la quantità di energia liberata da un sisma è una scala sismometrica empirica non ha un limite superiore

19 Qual è la corretta definizione di rischio sismico?

La predisposizione degli edifici a essere danneggiati da un terremoto

La frequenza con cui si verificano terremoti di una certa magnitudo in un territorio

Il rischio di perdita di vite umane in un territorio colpito da un sisma

La combinazione di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione sismica di un territorio

20 Quale delle seguenti affermazioni riguardanti il mantello non è corretta?

È lo strato di maggiore spessore all’interno della Terra

Occupa un volume corrispondente all’ 80% del Pianeta

È composto da rocce ultrabasiche

È composto da rocce a composizione acida

21 Che cos’è l’astenosfera?

Lo strato liquido del nucleo

Lo strato del mantello formato da materiali viscosi

La parte superiore del mantello formato da materiali solidi

L’involucro solido e rigido che copre il Pianeta

22 Quale dei seguenti livelli non rientra nella suddivisione reologica dell’interno della Terra?

Litosfera

Astenosfera

Crosta

Mesosfera

23 Quale delle seguenti affermazioni sulle onde S non è corretta?

Passano attraverso tutte le superfici di discontinuità

Non possono attraversare lo strato esterno del nucleo

In corrispondenza delle superfici di discontinuità

sono riflesse e rifratte

Sono di tipo longitudinale

7.4 Il calore terrestre

24 Vero o falso?

a. Il grado geotermico corrisponde all’intervallo di profondità per il quale si registra un aumento di temperatura di 1 °C V F

b. La conduzione è la modalità di propagazione del calore nei fluidi

c. Le correnti di convezione sono movimenti di masse fluide presenti nel mantello

F

F

25 Quale si ipotizza possa essere la temperatura effettivamente raggiunta all’interno del nucleo?

26 Spiega che cos’è il flusso di calore terrestre.

27 Descrivi il fenomeno chiamato dagli scienziati catastrofe del ferro. Quali relazioni legano questo fenomeno all’origine del calore interno della Terra?

28 Illustra il processo di decadimento degli isotopi radioattivi che è in gran parte responsabile del calore interno del Pianeta. In quale strato della Terra avviene questo fenomeno?

29 La geoterma:

è una curva che mette in relazione la temperatura interna della Terra con la profondità è l’intervallo di profondità per il quale si registra un aumento di temperatura di 1 °C corrisponde all’aumento della temperatura in rapporto alla profondità è la stessa cosa del gradiente geotermico

30 Qual è il gradiente termico medio negli strati più superficiali della litosfera?

18 °C/km

30 °C/km

45 °C/km

120 °C/km

31 All’interno della Terra il calore si propaga: per irraggiamento prevalentemente per conduzione prevalentemente per convezione sia per conduzione che per convezione

7.5 Il vulcanismo

32 Vero o falso?

a. I magmi si formano nella crosta e nella parte superiore del mantello

b. I magmi basici hanno una temperatura inferiore rispetto a quelli acidi

c. L’elevata viscosità di un magma dipende dalla scarsità di silice

d. Le eruzioni esplosive sono accompagnate da ingenti emissioni di gas

33 Come sono classificati i magmi?

36 In che modo la presenza di gas influisce sui magmi e sulle caratteristiche delle eruzioni in superficie?

37 I vulcani a scudo: sono edifici vulcanici costruiti da successive eruzioni esplosive sono edifici vulcanici costruiti da successive eruzioni di lave acide sono localizzati sui fondo degli oceani sono edifici vulcanici costruiti da successive eruzioni effusive di lave basiche

38 I Campi Flegrei: sono costituiti da un sistema di circa 30 vulcani hanno la conformazione di una vasta caldera non hanno collegamenti diretti con il Vesuvio tutte le affermazioni sono corrette

7.6

Il campo magnetico

39 Vero o falso?

a. Gauss ipotizzò che il campo magnetico terrestre avesse le caratteristiche di un dipolo magnetico V F

b. L’andamento delle linee di forza del campo magnetico risente dell’azione del vento solare V F

c. L’origine del campo magnetico risiederebbe nello stato fluido dei materiali che compongono il nucleo esterno V F

40 Qual era l’ipotesi sull’origine del campo magnetico terrestre formulata da Gauss?

41 Dai la definizione di “inclinazione magnetica” e “declinazione magnetica”.

42 Che cos’è il punto di Curie? Perché mise in discussione l’ipotesi del dipolo magnetico?

43 Il campo magnetico della Terra: è soggetto a periodiche inversioni è originato dai flussi di materiali ferromagnetici che formano il nucleo esterno polarizza i minerali ricchi di ferro contenuti nelle rocce basiche tutte le affermazioni sono corrette

F

F

F

34 Quali fenomeni che avvengono all’interno di una camera magmatica?

35 In che modo i movimenti convettivi all’interno del mantello determinano la fusione delle rocce e la formazione dei magmi?

44 L’intensità del campo magnetico: diminuisce procedendo verso i poli si misura in gauss ha valori medi intorno a 0,5 G sono vere b e c

45 I poli magnetici: si invertono periodicamente coincidono con i poli geografici rimangono fissi nelle loro posizioni non risentono delle variazioni che avvengono nel nucleo

46 Illustra il modello della dinamo ad autoeccitazione.

47 Quali effetti produce l’interazione del vento solare con l linee di forza del c.m.t.?

48 INGLESE Which chemical-physical conditions made life on Earth possible?

49 INGLESE Explain why the Earth is considered a close system.

50 INGLESE What information does the study of meteorites provide?

51 INGLESE Which are the elements characteristic of a seism?

52 INGLESE Which one of the following is not a feature of a seism?

Hypocenter

Seismic waves

Epicenter

Volcano eruption

53 INGLESE What does geochemisty study?

The chemical composition of rocks

The physical structure of the Earth’s surface

The formation of minerals and rocks

The movement of tectonic plates

54 METODO INDUTTIVO Quando avviene un terremoto, ogni stazione sismica registra un sismogramma dal quale è possibile ricavare l’intervallo di tempo che separa l’arrivo delle onde P da quello delle onde S. Per trasformare questi intervalli di tempo in distanze si usa un diagramma dove sono riportate le dromocrone, le curve dei tempi di propagazione delle onde simiche.

dell’epicentro (km) 2000 4000 6000

Osserva il diagramma e rispondi alle domande.

a. Quale curva si riferisce alle onde P e quale alle onde S?

b. Quale delle due onde è più lenta?

c. A cosa serve determinare queste distanze?

55 SOSTENIBILITÀ Qual è la pericolosità sismica del nostro Paese? Quali azioni si possono mettere in atto per ridurre il rischio nelle zone ad alta pericolosità? Fai una ricerca in Internet sul sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e poi realizza un volantino per illustrare la pericolosità sismica in Italia.

56 PROGETTARE L’8 maggio 1902, il vulcano La Pelée, nell’isola della Martinica eruttò con straordinaria violenza: una fortissima esplosione distrusse la sommità dell’edificio vulcanico liberando un’imponente nube ardente che precipitò verso il mare distruggendo la città di Saint Pierre e provocando la morte di circa 28 000 persone. L’eruzione continuò nei mesi successivi e, nella primavera del 1904, una guglia di lava solidificata, alta più di 400 m, fuoriuscì dal cratere. La Spina di Pelée, come fu chiamata, fu distrutta da successive esplosioni dopo pochi mesi.

Rispondi alle seguenti domande.

a. Quale ipotizzi fosse la composizione della lava eruttata dal vulcano?

b. Di quale tipologia di vulcano si tratta? Motiva le tue risposte.

57 PENSIERO CRITICO Consulta in Internet il Piano nazionale di protezione civile per il rischio vulcanico al Vesuvio (https://q3.hubscuola.it/pc-vesuvio) e osserva la mappa: riportano le zone a diverso rischio vulcanico dell’area vesuviana. Rispondi quindi alle seguenti domande.

a. Che cosa indica il termine flussi piroclastici?

b. Che tipo di eruzione si prevede che sia quella che concluderà il periodo di quiescenza del Vesuvio?

c. Che cosa indicano i colori delle diverse zone?

Raccogli tutte le informazioni trovate ed elabora lo script di un podcast per sensibilizzare la popolazione della Regione Campania sui rischi e sui piani di evacuazione in caso di ripresa dell’attività vulcanica.

58 INTELLIGENZA ARTIFICIALE Identifica la tipologia di vulcano rappresentata nell’immagine sottostante e descrivi brevemente le sue caratteristiche. Successivamente, con l’aiuto dell’insegnante chiedi a un chatbot di intelligenza artificiale generativa di descrivere la tipologia di vulcano individuata e confronta il tuo elaborato con la risposta ottenuta. Sono presenti delle differenze? Controlla l’accuratezza delle informazioni con il libro di testo e commenta i risultati in classe.

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Spiega in che modo è stato possibile determinare la composizione e la densità dei materiali che formano l’interno della Terra utilizzando le seguenti parole-chiave: metodi di indagine diretta • perforazioni • metodi di indagine indiretta • geochimica • meteoriti differenziate

2 Spiega in che modo le indagini sismologiche forniscono informazioni sulla struttura interna del Pianeta utilizzando le seguenti parole-chiave: onde sismiche • onde di volume • velocità di propagazione • composizione delle rocce • stato fisico delle rocce

3 Spiega il processo di formazione dei magmi che alimentano l’attività vulcanica terrestre utilizzando le seguenti parole-chiave: calore endogeno • diapiro • composizione dei magmi • eruzioni effusive • eruzioni esplosive

4 Spiega come si determina il rischio sismico di un territorio utilizzando le seguenti parole chiave: esposizione • vulnerabilità • pericolosità sismica • zone sismiche • accelerazione orizzontale massima • danni

Prova a partire così

5 Che cosa sono le superfici di discontinuità?

Le superfici di discontinuità sono involucri concentrici che dividono con diversa composizione e diverse caratteristiche

6 Quali strati sono stati individuati all’interno della Terra e quali caratteristiche presentano?

Lo strato più superficiale è la , formata da rocce a composizione e distinta in e Seguono lo strato del composto da rocce e, al centro del Pianeta, il suddiviso a sua volta in e , caratterizzati da un diverso stato .

7 Qual è l’origine del calore interno della Terra?

Gli scienziati ritengono che una parte sia il residuo del calore derivato dal processo chiamato che ipotizza sia avvenuta la quasi totale del Pianeta nelle prime fasi della sua formazione, mentre il resto è stato prodotto dal di elementi della crosta.

8 Quali sono i parametri che definiscono il c.m.t.?

I parametri sono tre: la magnetica che corrisponde all’angolo tra la direzione del Nord magnetico e quella del Nord , la magnetica che corrisponde all’angolo che si forma tra le del c.m.t. e la superficie del Pianeta e l’ del c.m.t che si misura col magnetometro.

Organizza il discorso

9 Descrivi l’evoluzione storica delle ipotesi sull’origine del magnetismo terrestre.

Prova a seguire questa scaletta:

Conoscenza dei fenomeni magnetici nell’antichità

Ipotesi di Karl Friedrich Gauss: un dipolo magnetico all’interno della Terra

La scoperta del punto di Curie e la crisi dell’ipotesi di Gauss

L’ipotesi di Edward Bullard e Walter Elsasser: la dinamo ad autoeccitazionedi Gauss

10 Su cosa si basa la suddivisione reologica dell’interno della Terra?

Prova a seguire questa scaletta:

Variazione della velocità di propagazione delle onde sismiche in corrispondenza della parte superiore del mantello

Distinzione delle rocce in base alla reologia dei materiali

Suddivisione in strati sulla base delle loro caratteristiche fisiche

Descrizione di litosfera, astenosfera e mesosfera

11 UN PASSO IN PIÙ Spiega quali sono le principali tipologie di vulcani e le loro caratteristiche fornendo alcuni esempi di vulcani noti.

Simula un colloquio d’esame

12 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

8 La dinamica terrestre

8.1 La teoria della deriva dei continenti

I dati raccolti attraverso le misure della superfice terrestre, a partire dalla metà del XIX secolo, dimostravano che la crosta terrestre non è immutabile ma può subire movimenti verticali. La branca della geofisica che permise questa scoperta, oltre a fornire ulteriori prove a sostegno della struttura a strati della Terra, è la gravimetria, che studia e misura il campo gravitazione e gli effetti della forza di gravità sul Pianeta.

Grazie ai gravimetri, gli strumenti usati per misurare l’accelerazione di gravità, è stato scoperto che la forza di gravità non è la stessa in ogni punto della superficie terrestre. In prossimità di grandi ammassi rocciosi, come i rilievi montuosi, i gravimetri registrano anomalie gravitazionali, cioè variazioni rispetto ai valori previsti considerando la densità dei materiali che formano la crosta. Il fenomeno si spiega solo ammettendo che, in profondità, la crosta sprofondi nel mantello: lo spessore della crosta continentale è quindi maggiore dove si elevano le montagne perché le loro “radici” affondano nel mantello, proprio come la chiglia di una nave affonda maggiormente in mare quando è carica; al contrario, la crosta oceanica affonda di poco nel mantello sottostante. Il fenomeno per cui le masse continentali “galleggiano” in una situazione di equilibrio sulle rocce più plastiche del mantello è chiamato isostasia 8.1

8.1 (a) Le porzioni di crosta, continentale e oceanica tendono raggiungere un equilibrio di galleggiamento all’interno del mantello sottostante, più denso e plastico: quanto più elevata è la parte che emerge in superficie, tanto più affonda nel mantello in modo analogo a (b) una nave con più o meno carico.

Si parla tuttavia anche di equilibrio isostatico, perché può cambiare nel corso del tempo: i processi erosivi che sottraggono materiali alla crosta, depositandoli altrove, alleggeriscono le masse di porzioni della crosta; viceversa la formazione di calotte glaciali in superficie o la fuoriuscita di lava dai vulcani ne aumentano il peso. A causa di queste variazioni si innescano movimenti verticali, verso l’alto o verso il basso, chiamati aggiustamenti isostatici.

È quanto accadde nell’ultimo periodo glaciale, circa 20 000 anni fa, quando grandi coltri di ghiaccio coprirono la maggior parte dell’emisfero boreale: il peso del ghiaccio fece sprofondare di qualche centinaio di metri la crosta continentale della regione scandinava.

crosta continentale
crosta oceanica mantello

In seguito, quando la calotta cominciò a ritirarsi a causa della fusione del ghiaccio, si innescò un lento sollevamento del territorio, tuttora in corso. L’idea invece che continenti e oceani avessero cambiato forma, dimensioni e disposizione sulla superficie della Terra, nel corso della sua storia, aveva già preso forma nel XV secolo, con i grandi viaggi di esplorazione che portarono i navigatori europei alla scoperta di nuovi territori. Fu durante questi viaggi in nave che furono realizzate le carte geografiche che rappresentavano in maniera sempre più precisa il profilo costiero dei continenti.

Nel 1596 il cartografo olandese Abraham Ortelius, famoso per aver realizzato il primo atlante moderno, suggerì che i continenti avevano occupato posizioni differenti da quelle che osserviamo oggi. La sua teoria era che le Americhe erano state allontanate dall’Europa e dall’Africa da terremoti e inondazioni. Da quel momento altri studiosi iniziarono a studiare la somiglianza delle linee di costa.

Nel 1620 il filosofo naturalista Francesco Bacone sottolineò il sorprendente adattamento a incastro delle coste dell’America meridionale e dell’Africa occidentale che si affacciano sull’Atlantico. Due secoli dopo, nel 1858, il geografo francese Antonio Snider-Pellegrini realizzò delle carte che illustravano i movimenti dei continenti a sostegno dell’ipotesi che un tempo fossero uniti in un unico blocco, in seguito fratturatosi 8.2 . Agli inizi del XX secolo Alfred Wegener, geologo, meteorologo ed esploratore tedesco, colpito anch’egli dalla coincidenza tra le linee di costa sulle due sponde dell’Atlantico, si convinse che l’ipotesi che i continenti un tempo fossero stati uniti fosse corretta e si dedicò, a partire dal 1911, alla ricerca di ulteriori prove. Nel 1912, nel corso di due successive conferenze della Società Geologica di Francoforte sul Meno, Wegener annunciò la teoria della deriva dei continenti. Pochi anni dopo pubblicò l’opera The origin of continents and oceans (dall’inglese, “L’origine dei continenti e degli oceani”), in cui formulava la teoria. Secondo Wegener, circa 300 milioni di anni fa, i continenti formavano una singola massa, chiamata Pangea, circondata da un unico grande oceano, la Panthalassa 8.3 .

All’interno del supercontinente si potevano distinguere due grandi aree, separate da un grande golfo chiamato Tetide: a nord Laurasia, comprendente Nord America, Europa e Asia, a sud Gondwana, comprendente Sud America, Africa, Antartide, Madagascar, India e Australia.

8.2 Carta realizzata da Antonio Snider-Pellegrini nel 1858 a sostegno dell’ipotesi che i continenti africano e sudamericano fossero stati un tempo uniti in un unico blocco.

8.3

Ricostruzione della Pangea

8.4 La corrispondenza tra le rocce che affiorano nelle catene montuose paleozoiche costituiscono una prova a sostegno della teoria di Wegener.

La Pangea si sarebbe frammentata, a partire da circa 200 milioni di anni fa, e da allora i singoli frammenti continentali avrebbero subito un lento e continuo allontanamento l’uno dall’altro, andando alla “deriva” come iceberg trasportati dalle correnti. Le prove apportate da Wegener a sostegno della teoria sono le somiglianze litologiche: se era vero che un tempo i continenti erano stati uniti, allora le rocce che oggi affiorano sulle due sponde opposte dell’oceano avrebbero dovuto corrispondere per età e per tipo. Queste prove furono trovate in corrispondenza delle fasce montuose che terminano lungo una costa e riappaiono con le stesse caratteristiche al di là dell’oceano, come accade per la catena degli Appalachi, posizionata nel nord-est degli Stati Uniti, che ha il suo corrispettivo nell’Africa settentrionale 8.4 .

La scala cronostratigrafica

8.5 Resti fossili degli stessi organismi sono stati ritrovati in aree dei continenti che oggi sono separati dall’oceano, ma che un tempo dovevano essere uniti in un unico blocco.

Ricorda

Le tilliti sono depositi caratteristici dell’ambiente glaciale. Sono formate da sedimenti di diverse dimensioni depositati o trasportati dai ghiacciai. Il loro ritrovamento è un sicuro indizio di un episodio glaciale del passato o ancora in atto.

Altre prove derivano da studi paleontologici sulla distribuzione di piante e animali nelle diverse ere geologiche, che confermavano l’idea che i continenti fossero stati, almeno fino a un certo momento, uniti tra loro. Questi dati sono raccolti nella scala cronostratigrafica, una sorta di "calendario geologico". Sono infatti stati ritrovati resti di organismi che non avrebbero mai potuto diffondersi sui continenti attraversando i vasti oceani che oggi li separano. I resti fossili della felce Glossopteris, ritrovati in Africa, Australia, Antartide e Sud America, dimostravano che la pianta era diffusa in tutti i continenti dell’emisfero meridionale durante l’era mesozoica. Invece, i resti fossili di Mesosaurus sono stati rinvenuti sia in Sud America sia nell’Africa occidentale e meridionale: questo rettile vive nelle lagune salmastre e nei mari poco profondi e non avrebbe mai potuto attraversare a nuoto l’Oceano Atlantico 8.5

Catene caledoniane (470-350 milioni di anni fa)
Catene erciniche (350-200 milioni di anni fa)
Africa
Sudamerica
Antartide
India Australia
Mesosaurus Glossopteris Lystrosaurus Cynognatus

Un’altra prova era costituita dalle somiglianze paleoclimatiche ricostruite attraverso lo studio delle tilliti, depositi di rocce sedimentarie caratteristici degli ambienti glaciali. Le ricerche condussero lo scienziato al ritrovamento di paleotilliti formatesi durante le glaciazioni Permo-carbonifere (fra 350 e 250 milioni di anni fa), che coprono estese aree dell’Africa meridionale, del Sud America, dell’India e dell’Australia. La loro distribuzione poteva essere spiegata solo ammettendo che i continenti dell’emisfero meridionale fossero stati riuniti, insieme all’Antartide, in un unico blocco su cui si era estesa una coltre glaciale 8.6 .

Wegener fu il primo a proporre un meccanismo in grado di spiegare il movimento dei continenti: ipotizzò che la rotazione della Terra generasse forze centrifughe e di marea in grado di far spostare i continenti rispetto ai sottostanti fondali oceanici. Inoltre associò la formazione delle catene montuose all’attrito causato dallo scorrere dei continenti o alla collisione tra di essi. Come spesso accade per le teorie rivoluzionarie, Wegener non venne creduto, perché i meccanismi proposti per giustificare la “deriva” non venivano ritenuti tali da permettere lo spostamento di masse continentali. Wegener, inoltre, proponeva una velocità di allontanamento America-Europa troppo elevata e obiettivamente poco verosimile (circa 250 cm/anno).

La teoria della deriva dei continenti fu dimenticata per due decenni, fino agli anni Trenta del secolo scorso grazie agli studi di geofisica sullo stato termico dell’interno della Terra. Fu però solo agli inizi degli anni Sessanta che la teoria di Wegener fu ripresa in considerazione per l’elaborazione della teoria della tettonica delle placche (che vedremo in seguito).

8.6 (a) Attuale distribuzione delle tilliti. (b) Estensione della calotta durante la glaciazione del Paleozoico.

Risposta breve

1. In che cosa consiste il fenomeno dell’isostasia?

2. Che cosa sosteneva la teoria della deriva dei continenti formulata da Alfred Wegener?

3. Quali furono le prove portate dallo scienziato a sostegno della sua teoria?

4. Perché la teoria della deriva dei continenti non fu accettata dal mondo scientifico di allora?

5. Quali furono i principali meriti delle ricerche di Wegener?

Spagna e Portogallo
Italia
Turchia

8.2 L’esplorazione degli oceani e la teoria dell’espansione dei fondali

Nel corso delle ricerche oceanografiche condotte prima per scopi bellici, poi esclusivamente scientifici, a partire dalla Seconda guerra mondiale, sono stati raccolti molti dati sui fondali oceanici. Durante il conflitto, infatti, l’impiego delle flotte di sommergibili richiedeva una conoscenza sempre più approfondita delle profondità e dei fondali marini. Un grande contributo fu dato dall’invenzione dell’ecoscandaglio, strumento che misura la profondità dell’oceano in modo continuo durante la navigazione. Sono state così ricostruite dettagliate e ampie aree dei fondali marini. Nel secondo dopoguerra strumenti di rilevazione più sofisticati, come il sonar, permisero la costruzione di carte molto dettagliate della morfologia dei fondali oceanici.

Le carte evidenziarono come il fondale oceanico fosse tutt’altro che uniforme e costituito piuttosto da una serie di forme morfologiche diverse 8.7 .

Il margine dei continenti che si prolunga al di sotto delle acque costituisce la piattaforma continentale. Per morfologia e composizione delle rocce che la formano, la piattaforma appartiene alle terre emerse, anche se può estendersi per molti kilometri quadrati al di sotto delle acque oceaniche. La piattaforma raggiunge una profondità media di 200 metri ed è coperta da uno spesso strato di sedimenti di origine continentale. Procedendo verso il mare aperto, la piattaforma è bruscamente interrotta da un pendio che prende il nome di scarpata continentale. Lungo questo pendio i sedimenti della piattaforma franano in profondità e danno origine a correnti di torbida, cioè flussi di fluido con materiale solido in sospensione. Queste correnti incidono la scarpata e formano gole strette e profonde, i canyon sottomarini Oltre la scarpata continentale iniziano le piane abissali, distese vaste e uniformi che coprono la maggior parte dei fondali oceanici. Le piane sono interrotte in vari punti dalla presenza di avvallamenti e rilievi sottomarini.

Le fosse oceaniche sono depressioni allungate e molto profonde (tra gli 8 e gli 11 km di profondità) localizzate in prossimità di alcuni margini continentali (come nel Pacifico) o di archi insulari.

La dinamica terrestre
VIDEO
piana abissale
guyot
seamount
zoccolo continentale fossa oceanica
rift valley scarpata continentale dorsale mediooceanica piattaforma continentale
canyon sottomarino rift valley correnti di torbida
8.7 Morfologia del fondale oceanico.

La più profonda e nota fossa oceanica è la Fossa delle Marianne: situata nella parte nord-occidentale dell’Oceano Pacifico, è lunga circa 2500 km e profonda circa 11 000 km.

Le dorsali medio-oceaniche sono lunghe catene di vulcani che si innalzano dalla piana abissale, da una profondità media di 4-5 km fino a 2000 m di altezza.

Le dorsali presentano una stretta depressione in corrispondenza di un asse centrale rispetto al quale sono simmetriche, le rift valley, e delle serie di fratture trasversali fra loro parallele e perpendicolari alla dorsale stessa, chiamate faglie trasformi 8.8 .

In molti casi i rilievi più alti delle dorsali possono emergere dalle acque e formare delle isole, come l’Islanda, le isole Azzorre e l’isola di Sant’Elena nell’Oceano Atlantico. I rilievi che rimangono sommersi si dividono invece in due gruppi: i seamount (montagna sottomarina) sono vulcani sottomarini isolati o vulcani allineati in una catena e la cui l’attività vulcanica interessa solo una sua estremità; quando invece l’edificio vulcanico presenta una forma tronco-conica prende il nome di guyot.

Le esplorazioni dei fondali oceanici fornirono ai ricercatori molte informazioni. I prelievi di campioni del fondo marino evidenziarono che esso è costituito alla base da rocce di composizione basaltica, e da coperture sedimentarie. Queste ultime sono costituite sia da materiale di natura inorganica (soprattutto minerali argillosi), sia da gusci di microorganismi (carbonatici e silicei) che, una volta morti, decantano sul fondo in milioni di anni, a formare strati spessi diversi metri. I prelievi mostrarono che le coperture sedimentarie diventavano sempre più spesse man mano che ci si allontanava dalla dorsale oceanica e il loro spessore era del tutto incompatibile con l’ipotesi che fosse il risultato di un accumulo di sedimenti avvenuto negli oltre quattro miliardi di anni dell’intera storia della Terra. Inoltre, la misura del flusso di calore emesso dai fondali oceanici evidenziò come quello rilevato in corrispondenza delle dorsali oceaniche fosse superiore rispetto ad altri punti, suggerendo che sotto le dorsali fosse presente un magma a elevate temperature. Tutte queste importanti scoperte permisero a Harry H. Hess, geologo e ammiraglio statunitense, di formulare, nel 1962, una nuova teoria che chiamò dell’espansione dei fondali oceanici. Egli ipotizzò che le dorsali oceaniche fossero zone di risalita di magma che, solidificando, formava nuova crosta e contemporaneamente provocava l’allontanamento dei due settori di crosta oceanica adiacenti alla dorsale 8.9 . In questo modo Hess giustificava sia l’alto flusso di calore in corrispondenza delle dorsali, sia l’assenza di sedimenti sulla dorsale e lo spessore crescente allontanandosi dalla dorsale stessa.

dorsale oceanica

faglia trasforme rift valley

8.8 Dalle fratture che si aprono lungo le dorsali oceaniche fuoriescono getti di acque surriscaldate, ricche di gas, minerali e composti dello zolfo, chiamati camini idrotermali.

8.9 Fasi dell’espansione del fondale oceanico in corrispondenza di una dorsale.

(a) Il magma in risalita nel mantello (b) fuoriesce dalla dorsale e genera nuova crosta oceanica.

crosta oceanica
crosta continentale
magma a b

Risposta breve

1. Quali sono gli elementi strutturali delle dorsali oceaniche?

2. Dove sono localizzate le fosse oceaniche?

3. Quali sono le caratteristiche litologiche della piattaforma continentale?

4. Quali sono gli elementi morfologici delle piane abissali?

8.10 Le bande blu, che indicano la fasce di anomalia magnetica positiva, e quelle grigie, che indicano le fasce di anomalia magnetica negativa, appaiono disposte simmetricamente rispetto alla dorsale oceanica.

Dal momento che lungo le dorsali si ha la formazione di nuova crosta, il volume della Terra dovrebbe aumentare nel tempo, mentre invece è pressoché costante. Hess propose un meccanismo di compensazione. Se si verifica una continua produzione di crosta, deve esistere qualche luogo della superficie terrestre dove questa è continuamente consumata e “riassorbita”. Questi luoghi corrispondono alle fosse oceaniche, strutture dei fondali oceanici sismicamente molto attive, dove la crosta oceanica è riassorbita e ritorna nel mantello.

Hess immaginava quindi i continenti come dei blocchi soggetti a un trasporto passivo per effetto della formazione e della consumazione di crosta oceanica.

Prove a sostegno della teoria

dell’espansione dei fondali oceanici

Quando i ricercatori eseguirono le prime misure di intensità magnetica dei fondali oceanici, utilizzando i magnetometri, si aspettavano di rilevare un valore costante. Questo perché sapevano che le rocce dei fondali marini sono ricche di ferro e ritenevano che durante la loro formazione si fossero magnetizzate seguendo la stessa direzione del campo magnetico terrestre attuale. Le misurazioni segnalarono invece diverse anomalie magnetiche.

Si definisce anomalia magnetica la differenza tra l’intensità magnetica teorica di una località e il valore effettivamente misurato dal magnetometro.

Se il valore dell’intensità magnetica registrata dagli strumenti è superiore a quella teorica si parla di anomalia magnetica positiva, perché si somma all’intensità del c.m.t. attuale, mentre se l’intensità registrata è minore si tratta di un’anomalia magnetica negativa. Contrariamente alle attese, allontanandosi in direzione perpendicolare alla dorsale oceanica, i magnetometri registrarono zone di anomalia positiva (o normale) alternate a zone di anomalia negativa (o inversa) 8.10 .

Tabella 8.1 Punto di Curie di alcuni materiali ferromagnetici

MaterialeTemperatura (K)

Cobalto 1394

Ferro 1043

Ematite 893

Magnetite853

Nichel 632

Il fenomeno si spiega con il comportamento dei minerali magnetici: i minerali ferromagnetici mantengono la magnetizzazione acquisita al momento della loro formazione, anche quando il campo magnetico si annulla, mentre i minerali paramagnetici la perdono. È importante anche la temperatura di consolidamento dei minerali: il magnetismo diventa permanente solo al di sotto del punto di Curie Tab. 8.1 . Nei materiali caldi, come i magmi, il moto dei minerali ferriferi (che possono essere magnetizzati) è intenso perché non subisce le forze indotte dal campo magnetico. Quando la temperatura del magma scende al di sotto del punto di Curie, i minerali ferromagnetici cristallizzano orientandosi secondo il campo magnetico di quel luogo e di quel momento. Una volta che il magma diventa roccia l’orientazione magnetica rimane registrata, in qualche modo fossilizzata nella roccia stessa (magnetizzazione termoresidua).

anomalia positiva
anomalia negativa
dorsale oceanica
crosta oceanica

Il paleomagnetismo ricostruisce il campo magnetico terrestre del passato attraverso lo studio dei minerali magnetici presenti nelle rocce.

Alle indagini magnetiche compiute sulle rocce dei fondali oceanici se ne aggiunsero altre eseguite sulla terraferma, e si trovò che in tutto il mondo gli strati di roccia registravano uno schema di inversioni di polarità che, datate mediante i metodi di datazione radiometrica, si rivelarono tra loro perfettamente sincrone, tanto da permettere agli studiosi di ricostruire una scala delle polarità magnetiche, o scala geomagnetica 8.11 . Si è quindi arrivati alla conclusione che durante la storia della Terra la polarità del suo campo magnetico si è ripetutamente invertita.

Ricorda I metodi di datazione radiometrici si basano sulle misure della radioattività residua di rocce e di resti organici e sull’analisi dei prodotti che si formano nel processo di decadimento degli isotopi radioattivi che entrano a far parte del reticolo cristallino dei minerali al momento della loro formazione.

Analizzando le anomalie magnetiche, si è visto che gli strati di roccia polarizzati formano bande simmetriche e di uguale ampiezza ai due lati della dorsale. Inoltre, la datazione di questi strati indica che quelli più vicini alla dorsale sono giovani e di recente formazione, e diventano sempre meno recenti man mano che ci si allontana dalla dorsale stessa.

Queste osservazioni portarono i geofisici americani Fred Vine e Drummond Matthews, nel 1963, ad affermare che si potesse misurare l’orientamento del campo magnetico terrestre a partire da quello delle colate laviche raffreddate in un dato momento. Le rocce, date da lave solidificate e magnetizzate, sono spinte progressivamente più lontane dalla dorsale dall’emissione di nuovo magma. Quest’ultimo si solidificherà e magnetizzerà anch’esso in rocce con orientamento uguale a quello del campo magnetico terrestre in quel momento: se il c.m.t. cambia tra una colata e l’altra, si registrerà un’anomalia magnetica fra strati con polarizzazioni diverse 8.12 .

dorsale oceanica

Come abbiamo già visto, le dorsali sono lunghe strutture che attraversano gli oceani e presentano la stessa struttura: l’asse centrale è occupato dalla rift valley, una spaccatura profonda fino a 2 km e larga dai 20 ai 40 km e suddivisa in tronconi di diverse dimensioni dalle faglie trasformi ad essa perpendicolari.

8.11 La scala delle polarità magnetiche mostra che, nel corso della storia della Terra, si sono verificate moltissime inversioni di polarità del c.m.t.

polarità normale polarità inversa

8.12 Il fondo oceanico in formazione registra la polarità del campo magnetico terrestre di quel momento. Questo meccanismo ha permesso la formazione di bande di rocce magnetizzate con polarità normale e inversa.

Età (Ma)
Età (Ma)
Giurassico
Cretaceo

8.13 Direzione di spostamenti dei blocchi litosferici lungo le faglie trasformi.

Risposta breve

1. Quali sono le cause della magnetizzazione ternoresidua delle rocce?

2. Come è stata realizzata la scala delle polarità magnetiche?

3. In che modo è stata determinata l’età delle rocce che formano i fondali oceanici?

4. Che cosa sosteneva la teoria dell’espansione dei fondali oceanici?

8.14 Fasi di formazione degli strati di sedimenti oceanici. Si nota l’inspessimento degli strati allontanandosi dalla dorsale, come conseguenza dell’espansione dell’oceano.

Il fondale oceanico si muove in direzioni opposte rispetto alla rift valley, anche nei tratti in corrispondenza delle faglie trasformi: i due tronconi successivi di rift valley non si allontanano ma “scivolano” tra loro. La velocità di espansione di un oceano, inoltre, è pressoché la stessa in corrispondenza dei diversi tratti di rift. Tutti questi dati fanno pensare che la segmentazione delle dorsali sia avvenuta nella fase iniziale della formazione dell’oceano, e non per effetto delle faglie trasformi.

In corrispondenza della rift valley, la generazione di nuova crosta oceanica ai due lati è accompagnata da un’intensa attività sismica, che via via diminuisce di intensità allontanandosi verso il mare aperto. L’attività sismica è molto intensa anche lungo i tratti di faglia trasforme dove lo spostamento delle rocce avviene in direzione opposta nei due tronconi di rift 8.13 .

In questo modo il fondale oceanico, espandendosi alla velocità di qualche centimetro l’anno, allontana tra loro i continenti che si trovano ai suoi margini. L’11 agosto del 1968 partì la prima spedizione oceanografica del DSDP (Deep Sea Drilling Project). La nave oceanografica Glomar Challenger era in grado di perforare i fondali fino a circa 2 km ed estrarre campioni cilindrici di sedimenti rocciosi, chiamate carote. Negli anni che seguirono furono effettuati carotaggi negli oceani ma anche nel Mar Mediterraneo e nel Mar Rosso.

Lo studio dei sedimenti prelevati dai fondali oceanici tra il Sud America e l’Africa confermò che la crosta dell’Oceano Atlantico era più antica allontanandosi dalla dorsale oceanica e mostrò che i sedimenti più antichi non superavano mai l’età di 200 milioni di anni. Inoltre, lo strato sedimentario sopra la crosta oceanica era più spesso e più antico nelle aree lontane dalla dorsale 8.14 . Questi dati portarono a ipotizzare che che l’Oceano Atlantico avesse iniziato ad aprirsi a partire da 200 milioni di anni fa: da un lato la progressiva apertura dell’oceano provocava l’allontanamento delle Americhe rispetto al blocco euroasiatico, dall’altro determinava la formazione di crosta sempre più giovane su cui si accumulavano sedimenti sempre più recenti.

Le rocce sedimentarie

8.3 La teoria della tettonica delle placche

Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso i numerosi dati raccolti grazie a studi e ricerche compiuti in tutto il mondo condussero alla formulazione della teoria della tettonica delle placche, una teoria unificante e organica in grado di spiegare sia i fenomeni endogeni che caratterizzano la dinamica terrestre, sia i processi alla base dell’attuale conformazione della superficie terrestre. La teoria spiega il comportamento della litosfera, l’involucro solido e rigido che poggia sull’astenosfera. Questo “guscio roccioso” non è continuo e compatto, ma è suddiviso in porzioni, le placche litosferiche 8.15

discontinuità Mohorovicic

litosfera continentale 110-150 km

Le placche sono porzioni di litosfera in continuo e lento movimento le une rispetto alle altre; attualmente si contano circa 20 placche, 12 placche principali e altre secondarie.

Le dimensioni delle placche sono variabili: la placca pacifica, che comprende quasi completamente l’oceano, è una delle più estese, mentre la placca adriatica, che comprende il Mar Ionio, il Mar Adriatico e l’Italia nord-orientale, è una delle placche minori 8.16 .

8.15 Struttura e composizione di una placca litosferica e dell’astenosfera sottostante.

8.16 La carta mostra la suddivisione della litosfera nelle placche principali.

crosta oceanica
litosfera oceanica 60-100 km
mantello litosferico solido
mantello astenosferico plastico
mare
crosta continentale
mantello litosferico solido
Placca nordamericana
Placca Juan de Fuca
Placca delle Cocos
Placca del Pacifico
Placca di Nazca
Placca dei Caraibi
Placca delle Sandwich
Placca antartica
Placca africana
Placca Egea Placca adriatica
Placca euroasiatica
Placca turca
Placca araba
Placca delle Filippine
Placca indo-australiana
Placca sudamericana
margini divergenti
margini convergenti

(

Risposta breve

1. Quali sono le caratteristiche delle placche litosferiche?

2. Sulla base di quali osservazioni sono stati individuati i margini delle placche?

3. Quali caratteristiche presentano i margini continentali?

4. Da quali tipi di margini sono delimitate le placche?

Le superfici di contatto tra placche adiacenti sono sede di fenomeni sismici e vulcanici. Il primo a notare che terremoti e vulcani si concentrano soprattutto lungo i margini dei continenti fu il geologo giapponese Kiyoo Wadati. Guardando una mappa della distribuzione dei sismi sulla Terra, si nota che gli epicentri non sono distribuiti casualmente ma si dispongono su allineamenti abbastanza definiti lungo i margini continentali che corrispondono ai limiti tra le placche. Una localizzazione simile si può osservare anche sulla mappa che mostra la distribuzione dei vulcani terrestri 8.17 .

Dal confronto tra le carte delle Figure 8.16 e 8.17 possiamo notare che:

 nella maggior parte dei casi una placca è costituita sia da crosta oceanica sia da crosta continentale, più raramente da sola crosta oceanica o da sola crosta continentale;

 alcuni margini continentali, chiamati attivi (per esempio la costa occidentale americana) sono anche limiti di placca e sono caratterizzati da un gran numero di terremoti anche molto intensi;

 alcuni margini continentali, chiamati passivi (per esempio la costa orientale americana e quella occidentale del continente africano) non sono limiti di placca e quindi non presentano fenomeni sismici e vulcanici;

 i margini continentali trasformi, tipici degli oceani in espansione, formano ripide scarpate lungo la piattaforma continentale.

Secondo la teoria della tettonica delle placche, diversamente da quanto ipotizzato da Wegener, non sono i continenti a muoversi sopra i fondali oceanici, ma l’intera litosfera (sia essa oceanica o continentale) che si sposta al di sopra dell’astenosfera per effetto di movimenti di materiali fluidi che risalgono dal mantello. Le placche si muovono su una superficie sferica e l’effettiva direzione di movimento è osservabile solo in corrispondenza delle faglie trasformi.

A seconda di come le placche si muovono le une rispetto alle altre si distinguono margini di placca divergenti, convergenti e conservativi 8.18 . Non tutte le placche sono delimitate dai tre tipi di margini: la placca africana, per esempio, è delimitata da margini divergenti e tende ad accrescersi, mentre la placca pacifica è destinata a ridurre la sua superficie perché presenta soprattutto margini convergenti.

vulcani attivi in epoche storiche dorsali oceaniche
8.17 (a) Carta della distribuzione dei sismi sulla Terra.
b) Carta della distribuzione dei vulcani sulla Terra.
8.18 I margini delle placche litosferiche.

Margini divergenti

Guardando le figure 8.16 e 8.17b si può notare come le dorsali oceaniche costituiscano dei limiti tra le placche. Dai rift risalgono continuamente magmi fluidi che formano blocchi di pillow lava. Si forma così nuova crosta basaltica che spinge lateralmente le placche adiacenti con velocità tra i 2 e i 10 cm/anno. È questa la ragione per cui tali margini sono detti divergenti o costruttivi 8.19 I margini divergenti sono caratterizzati da sismi di bassa intensità con ipocentri piuttosto superficiali.

dorsale fossa

crosta continentale faglie trasformi

Il processo di creazione di una nuova dorsale oceanica, e la conseguente apertura di un nuovo oceano, inizia con la formazione di un rift continentale, in genere innescato da un’anomalia termica al di sotto della litosfera continentale. L’aumento della temperatura provoca una dilatazione termica dei corpi rocciosi e la loro fratturazione. La crosta sovrastante si assottiglia e si crea una depressione, che spesso è occupata da un lago, chiamato lago tettonico; se il processo continua, si verifica la separazione della litosfera continentale in due blocchi. La continua fuoriuscita di magma e la produzione di nuova crosta oceanica dà origine a veri e propri mari che, nel corso di milioni di anni, diventano oceani; la loro espansione fa allontanare reciprocamente le due porzioni di crosta continentale, che sono trasportate passivamente sull’astenosfera sottostante. Un processo simile si sta verificando in Africa orientale dove un rift continentale ha dato origine, nella parte più a sud, a numerosi laghi tettonici e, a nord, a bacini marini, il Mar Rosso e il golfo di Aden, destinati a diventare nuovi oceani 8.20 . rigonfiamento

8.19 Struttura di un margine divergente.

8.20 (a) Fasi del processo di apertura di un bacino oceanico. (1) Formazione di un rift continentale, (2) formazione di un lago tettonico, (3) apertura di un nuovo oceano. (b) Rift africano.

magma in risalita
astenosfera
braccio di mare poco profondo
Nilo MarRosso Penisola Arabica rift continentali depressione di Afar L. Vittoria L. Tanganica L. Nyasa

Margini convergenti

L’area superficiale della Terra rimane costante nel tempo: se in alcuni punti della superficie terrestre si forma nuova crosta, devono esistere altri punti in cui altre porzioni di crosta sono consumate.

Ciò si verifica lungo i margini convergenti o distruttivi, in corrispondenza dei quali porzioni di litosfera composte da materiali più densi vanno in subduzione, cioè scivolano al di sotto di altre porzioni di litosfera meno densa. Le placche si immergono nel mantello lungo una specie di piano inclinato fino a raggiungere l’astenosfera, a circa 700 km di profondità, dove fondono completamente. All’identificazione della struttura a piano inclinato dei margini convergenti erano pervenuti, lavorando indipendentemente tra il 1925 e il 1950, il geologo giapponese Kiyoo Wadati e il sismologo statunitense Hugo Benioff, da cui il nome di piano di Wadati-Benioff o più comunemente piano di Benioff 8.21 . Studiando la distribuzione degli ipocentri, entrambi avevano notato infatti che i sismi profondi disegnavano un piano inclinato sotto le principali aree vulcaniche.

8.21 Distribuzione degli ipocentri dei terremoti al disotto delle aree vulcaniche. Gli ipocentri si localizzano sopra un piano inclinato.

La litosfera che va in subduzione, chiamata slab, è sempre quella oceanica, poiché è più densa rispetto a quella continentale. Questo spiega perché le porzioni più antiche e stabili della crosta continentale hanno età anche di 3,8 miliardi di anni, mentre la crosta oceanica ha non più di 200 milioni di anni.

La convergenza, tuttavia, può avvenire non solo tra una placca oceanica e una continentale, ma anche tra due placche oceaniche o due placche continentali.

Convergenza tra due placche oceaniche

La crosta oceanica subduce sotto un’altra crosta oceanica. In questo caso, la differenza di densità tra croste della stessa tipologia è dovuta alle diverse età delle due placche: più la crosta è “vecchia” più è fredda e densa.

La placca oceanica in subduzione dapprima subisce un incurvamento per poi immergersi nell’astenosfera generando, per il forte attrito, una serie di terremoti profondi i cui ipocentri si allineano lungo il piano di Benioff fino a una profondità di circa 600-700 km.

Sul fondale oceanico, in corrispondenza della subduzione, si creano profonde depressioni, le fosse oceaniche, a ridosso delle quali si forma un cuneo di accrezione, ovvero un accumulo di sedimenti e di porzioni di crosta che sono stati “raschiati” dalla superficie durante la subduzione.

In profondità, invece, la fusione della crosta oceanica, unita a quella dei sedimenti composti da minerali ricchi di acqua (come quelli che formano le argille), determina la produzione di magma andesitico.

Questo magma risale poi verso la superficie, e crea un allineamento di isole vulcaniche detto arco vulcanico insulare.

crosta oceanica fossa vulcani continentali crosta continentale
ipocentri dei terremoti
piano

In alcuni casi, come conseguenza di ulteriori movimenti di distensione della crosta, dietro l’arco vulcanico si crea una depressione che viene occupata da un piccolo ma profondo bacino oceanico, chiamato bacino marginale o di retroarco, contrapposto al bacino di avanarco che si trova tra l’arco vulcanico insulare e la fossa oceanica. L’arcipelago del Giappone e il retrostante Mar del Giappone ne sono un esempio 8.22 .

bacino di retroarco

bacino di avanarco

cuneo di accrezione

Convergenza tra placca oceanica e continentale

Una densa placca oceanica si immerge, lungo il piano di Benioff, al di sotto di una placca continentale. Anche in questo caso si forma una profonda fossa oceanica, un cuneo di accrezione e una catena di vulcani, ma in più la crosta continentale sovrastante subisce un corrugamento. Questo fa sì che, alle spalle dell’arco vulcanico, si formi una catena di vulcani allineati lungo il margine del continente. Il magma in risalita cambia la sua composizione mescolandosi con le rocce ricche in silice che costituiscono la crosta continentale. Poiché più viscoso, il magma ha una maggiore tendenza a rimanere all’interno della crosta formando grandi rocce ignee intrusive. Un esempio di questo tipo di convergenza è la costa pacifica sud-orientale con la fossa del Perù/Cile e la catena delle Ande. In questo tipo di convergenza si creano delle depressioni sulla crosta continentale dall’altro lato delle catene vulcaniche rispetto all’oceano, che assumono l’aspetto di aree pianeggianti e dove si depositano i prodotti delle eruzioni dei vulcani adiacenti e i sedimenti erosi dai rilievi. Pianure e altopiani di questo tipo sono il gran Chaco e le Pampas a ridosso delle Ande 8.23 .

8.22 (a) Schema di convergenza tra placche oceaniche e (b) foto da satellite dell’arcipelago del Giappone.

8.23 (a) Schema di convergenza tra una placca oceanica e una continentale.

(b) Foto da satellite dell’America meridionale. È visibile la catena delle Ande a ovest.

crosta continentale
100 km
astenosfera magma in risalita piano di Benioff
fossa oceanica
arco vulcanico insulare
fossa
100 km astenosfera
litosfera oceanica in subduzione
crosta oceanica
arco vulcanico litosfera fusione parziale

Risposta breve

1. Quali sono le fasi del processo che porta all’apertura di un bacino oceanico?

2. Perché i margini divergenti sono detti anche costruttivi?

3. Che cosa accade in corrispondenza dei margini convergenti?

4. Quale elemento strutturale caratterizza un margine convergente?

5. Quale tipo di convergenza determina la formazione di un arco vulcanico?

8.24 (a) Schema di collisione tra due placche continentali con formazione di una catena montuosa. (b) Foto da satellite del subcontinente indiano. È visibile la catena dell’Himalaya.

Convergenza tra due placche continentali

Quando la placca oceanica in subduzione trasporta con sé crosta continentale, può accadere che la convergenza provochi la collisione delle due placche continentali. Data la bassa densità di entrambe le placche, nessuna delle due riesce ad andare in subduzione. Si generano quindi corrugamenti, sovrascorrimenti e un forte ispessimento della litosfera, che provocano il sollevamento di una catena montuosa e un’intensa attività sismica. L’Himalaya e le Alpi sono il risultato della collisione tra due placche continentali 8.24 .

Le rocce metamorfiche

I processi orogenetici

Secondo la teoria della tettonica delle placche, la formazione di montagne è una conseguenza dello spostamento delle placche litosferiche.

La formazione di una catena montuosa prende il nome di orogenesi.

Tale processo avviene ai margini di placche convergenti, in seguito allo scontro fra una placca continentale e una placca costituita da crosta oceanica già completamente in subduzione, ma che trasporta con sé anche crosta continentale. Lo scontro genera forze di compressione in grado di fratturare, deformare e metamorfosare gli spessi strati di sedimenti depositati lungo i margini dei continenti nel corso di milioni di anni. Inoltre, la fusione della parte di crosta oceanica in subduzione dà origine a magma che risale verso la superficie e si infiltra nei depositi sedimentari, trasformandoli ulteriormente.

Il processo orogenetico ha inizio in realtà con la formazione di un nuovo bacino oceanico, a cui fa seguito la sua chiusura. Durante le prime fasi dell’orogenesi, i margini dei continenti sono passivi, non coincidono con un margine di placca e sono tettonicamente inattivi. I continenti e la crosta oceanica in formazione fanno parte di una stessa placca e il principale fenomeno che ha luogo è la sedimentazione. A un certo punto si può formare un margine convergente attivo, con una zona di subduzione dove i sedimenti deposti in profondità iniziano a fondere. I magmi generati dalla fusione risalgono fino a formare archi vulcanici insulari sulla crosta oceanica, oppure in prossimità del continente. Il sollevamento di una catena montuosa determina la crescita in estensione dei continenti. L’orogenesi, tuttavia, può avvenire anche con un meccanismo diverso: la collisione dei blocchi di accrezione. Si tratta di vere e proprie isole continentali che vanno alla deriva nell’oceano e che, nel corso del tempo, possono collidere tra loro o con gli altri continenti.

catena montuosa
placca oceanica
oceanica

I movimenti delle placche sottopongono le rocce a forze di compressione molto intense, in grado di deformarle fino al superamento di un valore critico, il carico di rottura, e quindi di provocarne la fratturazione. Si formano così le faglie.

Le faglie sono fratture delle rocce caratterizzate da: il piano di faglia, cioè il piano lungo il quale scivolano i blocchi rocciosi; il tetto, ovvero il blocco roccioso posto sopra il piano di faglia; e il letto, il blocco roccioso sottostante. L’entità dello spostamento lungo il piano di faglia è chiamato rigetto

A seconda delle posizioni reciproche date dallo spostamento in direzione verticale di tetto e letto, si distinguono le faglie dirette e le faglie inverse. Un terzo tipo di faglie sono quelle trasformi, in cui la direzione di spostamento dei blocchi è orizzontale 8.25 . Sottoposte a pressione e temperatura prossime a quelle superficiali, le rocce sedimentarie e ben stratificate, come argille e calcari, hanno un comportamento plastico e si piegano facilmente per azione delle forze endogene occasionali. La maggior parte delle rocce profonde acquista, invece, un comportamento plastico, in condizioni di pressione e temperatura elevate, solo se sottoposte a sollecitazioni continue. Le rocce formano diversi tipi di pieghe e le principali sono le anticlinali, con la convessità rivolta verso l’alto, e le sinclinali, con la convessità verso il basso 8.26a . Inoltre, la piega può essere dritta, inclinata o rovesciata a seconda dell’inclinazione dell’asse su cui avviene il ripiegamento. Quando le forze che agiscono nella crosta sono intense e prolungate, può avvenire un sovrascorrimento, cioè la formazione di una piega rovesciata che si adagia sopra le pieghe contigue 8.26b . Se il sovrascorrimento è esteso si formano le falde di ricoprimento. Quando l’erosione fluviale o glaciale riesce a incidere la falda sovrascorsa (quella sovrastante), si forma una struttura chiamata finestra tettonica in cui affiorano le rocce sottostanti al sovrascorrimento.

piega diritta

8.25 Tipi di faglie.

8.26 (a) Tipi di pieghe e (b) fasi di evoluzione di una piega a sovrascorrimento.

piega inclinata

piega rovesciata

La catena alpino-himalayana

Il processo orogenetico che portò al sollevamento della catena alpino-himalayana iniziò nel Mesozoico, circa 200 milioni di anni fa, quando ebbe inizio l’espansione della Tetide e la separazione della Pangea in due blocchi continentali, la Laurasia a nord, e il Gondwana a sud. Questa espansione si arrestò nel Cretaceo, circa 130 milioni di anni fa, quando l’apertura dell’Oceano Atlantico causò l’avvicinamento e la successiva subduzione della placca africana, appartenente al Gondwana, al di sotto di quella euroasiatica, appartenente alla Laurasia.

Risposta breve

1. Qual è la prima fase dell’orogenesi?

2. Quali caratteristiche presenta un margine attivo?

3. Quali sono gli elementi di una faglia?

4. Quanti tipi di faglie esistono?

5. Come si formano le pieghe?

faglia diretta letto tetto
rigetto
faglia inversa

Circa 45 milioni di anni fa, la collisione tra Africa e India da un lato ed Europa e Asia dall’altro diede origine al sistema di catene montuose che si estende dall’Atlante e dalla Betica (in Marocco e Spagna) ai Pirenei e alle Alpi, dalle Dinaridi e dalle Ellenidi alla catena di Tauro, fino al Karakorum e alla catena dell’Himalaya 8.27 .

8.27 La carta mostra le catene montuose originate dall’orogenesi alpino-himalayana.

8.28 La carta illustra in modo semplificato l’orogenesi alpinohimalayana nel bacino del Mar Mediterraneo. Le linee rappresentano le zone in cui si è verificata la subduzione con i triangoli posti sulla porzione sotto cui si sviluppa la subduzione. Le linee blu rappresentano le Alpi e quelle rosse gli Appennini.

Le Alpi si originarono nella prima fase dell’orogenesi, mentre gli Appennini si sollevarono in una fase più tardiva 8.28

africana

L’inizio della subduzione vide l’immersione di una porzione di mare della litosfera oceanica della placca europea sotto la litosfera continentale africana. Subdotta interamente la litosfera oceanica, le due masse continentali si scontrarono e originarono delle falde di ricoprimento. Queste strutture tettoniche permettono di ritrovare, anche sulla cima delle Alpi, frammenti di crosta continentale europea e africana e delle relative coperture sedimentarie, insieme a porzioni di crosta oceanica che prendono il nome di sequenze ofiolitiche.

Una sequenza ofiolitica è la prova della presenza di un oceano che in passato separava i continenti; è composta da ofioliti 8.29 , frammenti di rocce e sedimenti originati nei fondali oceanici, poi sollevati per effetto dell’orogenesi.

Circa 7 milioni di anni fa, iniziò la formazione della catena appenninica. Il sollevamento della parte più orientale della catena è tuttora in corso ed è legato alla spinta generata dall’espansione del Mar Tirreno e dalla conseguente subduzione sotto la placca europea di quella adriatica a est e di quella del Mar Ionio a sud. È questa la causa dell’attività sismica in quest’area dell’Italia.

Le catene alpine e appenniniche presentano una complessità strutturale superiore alla catena dell’Himalaya: mentre la collisione tra il subcontinente indiano e il continente euroasiatico avvenne secondo una direzione perpendicolare, la direzione di quella tra la placca africana e quella euroasiatica fu inclinata 8.30 .

Placca europea
Placca
8.29 Affioramento di ofioliti nell’Appennino settentrionale.

India fosse

a b

La catena delle Ande e il Nord America

Anche la catena delle Ande in Sud America si è sollevata in seguito alla convergenza avvenuta tra due placche, quella di Nazca, costituita da litosfera oceanica, e la placca sudamericana, formata da litosfera continentale in corrispondenza del margine di collisione. Circa 200 milioni di anni fa, la subduzione sottopose le rocce sedimentarie del margine continentale a una fortissima pressione: i sedimenti, piegati e sollevati, andarono a formare i primi rilievi della Cordigliera orientale, mentre i magmi andesitici di rifusione diedero origine a un arco vulcanico nel mare antistante la costa 8.31

Tra 100 e 60 milioni di anni avvenne un nuovo processo di subduzione che portò alla formazione di un altro arco vulcanico, esteso tra la Cordigliera orientale e il vecchio arco ormai inattivo. Il procedere della spinta tettonica e le successive intrusioni magmatiche sollevarono i rilievi della Cordigliera occidentale, mentre il bacino tra le due cordigliere cominciò a riempirsi dei sedimenti erosi dalle montagne, trasformandosi progressivamente nell’altopiano andino.

Placca dei Caraibi

Placca pacifica

Placca delle Cocos

Placca sudamericana

Placca di Nazca

fossa del Perù-Cile

dorsale del Pacifico

dorsale atlantica

vulcani attivi

Il margine nordorientale del continente nordamericano è invece un esempio di collisione di blocchi di accrezione. Negli ultimi 200 milioni di anni il margine del continente si è accresciuto grazie all’accumulo caotico di pezzi di monti sottomarini, lembi di crosta oceanica e blocchi di accrezione provenienti anche da luoghi molto distanti, che raccontano una storia geologica diversa da quella dei blocchi vicini, come testimonia la presenza nelle rocce di fossili marini che si ritrovano, per esempio in Alaska.

8.30 (a) 70 milioni di anni fa l’India era divisa dal continente asiatico da un oceano. (b) Circa 10 milioni di anni fa avvenne la collisione che sollevò la catena dell’Himalaya.

8.31 La placca di Nazca, costituita da crosta oceanica, va in subduzione in corrispondenza della fossa Perù-Cile, immergendosi sotto la placca continentale sudamericana.

Risposta breve

1. Quali fenomeni hanno caratterizzato le fasi di sollevamento della Cordigliera delle Ande?

2. Quali sono state le fasi dell’orogenesi alpinohimalayana?

3. Da quali rocce è formata una sequenza ofiolitica?

4. Che cosa avviene in corrispondenza di un margine conservativo?

8.32 (a) La faglia di San Andreas è un esempio di faglia in cui il movimento si sviluppa su tutto il piano di faglia con lo spostamento di un blocco rispetto all’altro. (b) Foto aerea della faglia di San Andreas.

Margini conservativi

I margini conservativi sono quelli in cui non si ha né formazione né distruzione di crosta ma solo movimenti relativi tra placche adiacenti. Un margine di questo tipo si trova in corrispondenza della faglia di San Andreas, in California, che si allunga nella zona di contatto tra la placca nordamericana e quella del Pacifico. Le placche scivolano l’una accanto all’altra in direzione opposta generando forti attriti fra i blocchi rocciosi e terremoti molto intensi, come quello che nel 1906 distrusse la città di San Francisco. La situazione in prossimità della faglia di San Andreas è, in realtà, più complessa a causa della presenza di una giunzione tripla (caso non unico) in cui si intersecano un margine divergente, uno convergente e uno trasforme 8.32

8.33 Secondo l’ipotesi delle celle convettive, le placche sono trascinate dai movimenti convettivi dei materiali dell’astenosfera.

pacifica

8.4 Le forze che muovono le placche

Attualmente gli scienziati non sono riusciti a fornire una spiegazione del meccanismo della tettonica a placche che sia sostenuta da prove certe e indubitabili, anche se appare chiaro a tutti che le celle convettive presenti nel mantello hanno un ruolo fondamentale nel mettere in movimento le placche.

Uno dei principali meccanismi teorizzati è connesso alla continua emissione di calore da parte della Terra per effetto del nucleo interno. Il calore si trasferisce dal nucleo agli strati più superficiali e prevede l’esistenza di moti convettivi nell’astenosfera: porzioni di materia più calda risalgono per effetto della minore densità. Tali moti eserciterebbero una forza di trazione sulla litosfera rigida sovrastante, generando un margine divergente quando le masse calde di due celle adiacenti risalgono, e un margine convergente quando, una volta raffreddate, ridiscendono nel mantello 8.33 .

Quando sono riscaldate, le rocce hanno densità minore e, diventate “leggere”, risalgono spingendo verso il basso masse di rocce più fredde. Alcuni geofisici considerano la struttura delle celle convettive a due livelli, uno per il mantello superiore, piu plastico, e uno per il mantello inferiore.

placca
placca nordamericana

Le celle più vicine al nucleo, in condizioni di densità maggiore, si muovono più lentamente e trasmettono il calore che innesca il movimento delle celle convettive superiori, responsabili dei movimenti tettonici.

Negli ultimi decenni sono state sollevate diverse perplessità sul modello delle celle convettive. Per esempio, è impossibile disegnare una disposizione globale di celle che spieghi la complessa geometria dei limiti di placca sulla litosfera. Alcuni studiosi propongono altri meccanismi che integrano quello delle celle convettive. Uno di questi ipotizza che le placche si muovano in risposta a due forze: la spinta esercitata da una dorsale in espansione e la forza di trazione da parte dello slab in subduzione. Il materiale eruttato in corrispondenza di una dorsale oceanica si trova in una posizione più elevata rispetto alle aree di subduzione: questo fa sì che i magmi dei margini di espansione esercitino un’elevata pressione laterale che spinge le placche verso i margini convergenti 8.34 . Un’altra ipotesi considera le placche non come porzioni di litosfera trascinate passivamente ma come la parte superiore, fredda e rigida, di una cella convettiva. Questo prevede che la litosfera, raggiunta la profondità di 700 km, sia fusa per effetto del calore e trascinata verso il basso dalle colonne discendenti della cella convettiva 8.35 . L’ultima ipotesi è quella dei pennacchi termici: flussi di materiali molto caldi che risalgono in superficie direttamente e da zone molto più profonde del mantello. La loro esistenza sarebbe provata dai punti caldi che, come vedremo, sono caratterizzati dalla presenza di vulcani molto attivi. I pennacchi avrebbero il ruolo di motore delle placche in quanto, risalendo, sarebbero in grado di generare delle spinte orizzontali tra le stesse celle convettive 8.36

I punti caldi

Non tutti i vulcani si trovano nei margini di placca; alcuni si trovano nel mezzo e non sono connessi con zone di subduzione o dorsali oceaniche. Il fenomeno, denominato vulcanismo interplacca 8.37 , si manifesta in numerose aree all’interno di placche sia oceaniche sia continentali, come per esempio in corrispondenza delle isole Hawaii (placca pacifica), delle Canarie e dell’isola della Réunion (placca africana) e del Parco nazionale di Yellowstone (placca nordamericana). Il vulcanismo interplacca è caratterizzato da eruzioni piuttosto intense accompagnate da effusioni di lave basiche ricche di calcio e altri minerali alcalini. I geologi chiamano queste aree attive punti caldi, in inglese hot spots. L’origine della formazione dei punti caldi è spiegata con la presenza di pennacchi alimentati da lave che provengono direttamente da zone profonde del mantello. Alcuni di essi si trovano abbastanza vicino a dorsali medio-oceaniche, come quello situato in corrispondenza dell’Islanda, che probabilmente ha contribuito in gran parte alla formazione dell’isola vulcanica.

8.34 Nella zona della dorsale la placca è spinta lateralmente mentre nella zona di fossa è trascinata verso il basso.

8.35 Secondo questa teoria, la placca litosferica costituisce la parte superiore cella convettiva.

esterno

8.36 Secondo la teoria dei pennacchi termici, sarebbero questi a generare le spinte orizzontali all’interno delle celle convettive.

8.37 La carta mostra la distribuzione dei punti caldi attivi.

litosfera pennacchio punto caldo mantello nucleo

Risposta breve

1. Quale ruolo è svolto dalle celle convettive presenti nell’astenosfera?

2. Quali sono le ipotesi proposte dai geologi per spiegare i movimenti delle placche litosferiche?

3. Come si formano i punti caldi?

8.38 Processo di formazione delle isole Hawaii. L’attività dei punti caldi (che dura in media 100 milioni di anni) e la loro localizzazione sono un valido metodo per identificare la direzione del movimento delle placche litosferiche.

L’esempio più famoso di punto caldo è rappresentato dalle Hawaii, un arcipelago di isole al centro dell’Oceano Pacifico. Le isole fanno parte di una lunga catena di vulcani e rilievi sottomarini, la catena Hawaii-Emperor, della quale solo l’estremità sudorientale è attiva, con i vulcani Mauna Loa e Kilauea. Risalendo lungo la dorsale, in direzione nord-ovest, si incontrano solo vulcani estinti e via via più antichi, come l’atollo di Midway, originatosi al di sopra di un vulcano risalente a circa 25 milioni di anni fa. I vulcani risultano ancora più antichi nella parte più settentrionale della catena, dove le rocce hanno un’età compresa tra 40 e 70 milioni di anni. La particolare conformazione della catena è stata spiegata associandola all’esistenza di un punto caldo. L’hot spot, alimentato da lave molto profonde che risalgono dal mantello (probabilmente al limite con il nucleo), è rimasto fisso nella sua posizione rispetto al movimento della placca sovrastante. Via via che la placca pacifica subisce uno spostamento, per effetto della formazione di nuova crosta nella dorsale oceanica, il punto caldo origina un nuovo vulcano; quando il pennacchio termico cessa di alimentarlo, il vulcano si estingue mentre al suo fianco se ne formerà uno nuovo 8.38

COLLEGA Letteratura francese

Da esplorazioni geologiche ad avventure letterarie e ritorno

Opera: Viaggio al centro della Terra (1864)

Autore: Jules Verne

Il romanzo Viaggio al centro della Terra narra l’esplorazione di un vulcano spento, presso Reykjavík, da parte di un eccentrico geologo tedesco, il professor Lidenbrock, e del suo timoroso nipote Axel, con l’aiuto di un calmissimo pescatore islandese pieno di risorse che fa loro da guida. L’obiettivo è raggiungere il centro della Terra emulando un alchimista del XVI secolo che, compiuta l’impresa, ha lasciato un foglio di indicazioni cifrate in un antico manoscritto. Dopo innumerevoli pericoli e visioni stupefacenti, i tre riemergono in tutt’altra zona dell’emisfero.

Jules Verne fu uno studioso appassionato e sistematico delle scienze naturali, il cui archivio comprendeva migliaia di schede

bibliografiche di opere di scienza, geografia, tecnologia. Egli utilizzò proprio queste sue conoscenze per descrivere la varietà dei luoghi, come canali lavici, rocce granitiche e fiumi sotterranei, e per far discutere i personaggi sull’interpretazione dei fenomeni osservati e delle misurazioni effettuate. Per lo studente, seguire criticamente i ragionamenti di zio e nipote può quindi costituire un utile ripasso.

Il libro presenta anche tematiche di paleontologia fantastica, perché i tre incontrano distese di ossa di creature estinte, per di più di ere geologiche diverse. Addirittura intravedono, in una foresta di conifere, un gigante di forma umana che custodisce un branco di mastodonti e, in un mare gelatinoso che percorrono con una zattera, vedono lottare un ittiosauro con un plesiosauro.

Oltre che come avventura scientifica, il romanzo si può leggere come percorso di iniziazione del giovane Axel. Il personaggio cresce psicologicamente inoltrandosi nelle

viscere della Terra. Inizialmente scettico e pauroso, egli condivide sempre più l’entusiasmo dello zio, fino a proporre lui stesso l’espediente che, in maniera imprevista, consentirà ai tre di tornare in superficie, in mezzo a un’eruzione vulcanica. Questa simbolica rinascita, dopo aver rischiato la vita, gli permetterà finalmente di sposare la ragazza che ama, di cui lo zio è tutore. Jules Verne fu un autore molto prolifico ed è fra i più tradotti al mondo: scrisse oltre 60 romanzi, in gran parte di avventura e fantascienza, molti dei quali divenuti classici della letteratura, non solo per ragazzi. La critica novecentesca, che ne ha indagato ideologia, tecniche narrative e simbologie, gli ha riconosciuto una notevole dignità letteraria.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Fisica). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

Punto caldo Molokai
litosfera
Oahu Kauai Maui Hawaii Hawaii
catena sottomarina Hawaii
catena sottomarina Emperor Seamount direzione di movimento della zolla

U8 Ripassa con metodo

Scarica la mappa modificabile. Leggi e ascolta la sintesi dell’Unità.

Completa la mappa con i termini mancanti. Puoi confrontarla con la mappa completa accessibile dal codice QR.

DINAMICA TERRESTRE

La crosta terrestre, distinta in crosta continentale e oceanica, è in continuo movimento e in equilibrio dinamico con gli strati più interni della terra

Quali spiegazioni sono state date ai movimenti della crosta?

fenomeno secondo cui le masse continentali galleggiano in equilibrio sul mantello; spiega come avvengono i soli movimenti

TEORIA DELLA DERIVA DEI CONTINENTI

elaborata da agli inizi del XX secolo per spiegare i soli movimenti dei continenti

Che cosa ipotizza?

Quali sono le prove?

spiega come si forma nuova crosta oceanica, fenomeno che permette anche di misurare il e le sue inversioni nel corso della storia in origine esisteva un unico supercontinente, chiamato , e un unico oceano, chiamato le somiglianze e , lo studio delle rocce alle due sponde, e studi

TEORIA DELL’ESPANZIONE DEI FONDALI

Quali sono le prove?

le indagini magnetiche dei fondali studiate dal

elaborata a partire dagli anni Sessanta del Novecento per spiegare i movimenti della crosta terrestre e i fenomeni endogeni; fu ispirata dalla teoria di Wegener

Quali fenomeni geologici spiega? Che cosa prevede esistano?

FENOMENI VULCANICI E SISMICI

i vulcani e gli ipocentri sono localizzati lungo i margini di placca il processo che porta alla formazione di catene montuose lungo i margini convergenti in cui si scontrano porzioni di crosta continentale

FORMAZIONE DI OCEANI

il processo avviene in corrispondenza delle , margini di placca divergenti presenti nei fondali

la litosfera non è un guscio unico ma suddiviso in porzioni

Quali strutture si trovano alle loro estremità?

possono essere divergenti, convergenti o conservativi

U8 Conoscenze e abilità

8.1 La teoria della deriva dei continenti

1 Vero o falso?

a. La gravimetria studia e misura il campo gravitazionale terrestre V F

b. Sulla crosta terrestre si registrano anomalie gravitazionali in corrispondenza dei rilievi montuosi V F

c. 4,5 miliardi di anni fa i continenti erano riuniti in un unico blocco V F

d. La distribuzione delle tilliti nei continenti dell’emisfero australe costituisce una prova a sostegno della teoria di Wegener V F

e. Wegener non fornì prove convincenti relativamente all’origine delle forze in grado di muovere i continenti V F

2 Quale fenomeno è responsabile dei movimenti verticali dei blocchi continentali secondo Wegener?

3 Quali caratteristiche geografiche dell’Africa e del Sud America suggerirono a Wegener l’idea della passata esistenza di un unico blocco continentale?

4 Quali delle seguenti prove era incompatibile con la teoria della deriva dei continenti di Wegener?

Somiglianze litologiche

Studi paleontologici

Ricostruzione della distribuzione delle tilliti nell’emisfero australe

Stima della velocità di allontanamento dei continenti

5 Quale delle seguenti affermazioni relative alla deriva dei continenti è falsa?

Era supportata da prove geologiche

Era supportata da prove paleontologiche È stata ripresa dalla geologia moderna

Fu accettata con entusiasmo dagli scienziati contemporanei di Wegener

6 Quale affermazione non può essere attribuita a Wegener?

La litosfera è divisa in grandi blocchi

200 milioni di anni fa è esistita la Pangea

Gli attuali continenti sono derivati dalla fratturazione della Pangea

I continenti si muovono per azione dalla forza di gravità

8.2 L’esplorazione degli oceani e la teoria dell’espansione dei fondali

7 Vero o falso?

a. Rift e faglie trasformi sono elementi strutturali delle dorsali oceaniche V F

b. La piattaforma continentale ha la stessa composizione litologica delle piane abissali V F

c. In prossimità delle dorsali gli strati sedimentari che coprono le piane abissali sono molto spessi V F

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

d. I seamount sono isole vulcaniche prodotte dall’attività vulcanica delle dorsali V F

e. La polarità del c.m.t si è invertita molte volte nel corso della storia della Terra V F

f. Fred Vine e Drummond Matthews proposero la teoria dell’espansione degli oceani V F

8 Quali dati hanno permesso di formulare la teoria dell’espansione dei fondali oceanici?

9 Qual è il meccanismo che muove i continenti secondo la teoria dell’espansione dei fondali oceanici?

10 Che cos’è la scala delle polarità magnetiche?

11 Come si muove il fondale marino lungo una faglia trasforme?

12 Quale tra le seguenti caratteristiche del fondo oceanico non fu scoperta grazie all’utilizzo dell’ecoscandaglio?

Le dorsali oceaniche

Le fosse oceaniche

Il rift continentale

I seamounts

13 Un’anomalia magnetica è positiva quando: il suo valore si somma a quello del c.m.t. il suo valore è minore di quello del c.m.t. la direzione del c.m.t. coincide con quella attuale sono presenti rocce povere di minerali ferromagnetici

14 L’età delle rocce che formano il fondale dell’Oceano

Atlantico:

è di circa 4 miliardi di anni

è stata calcolata grazie agli studi del magnetismo fossile

è compresa tra 150 e 200 milioni di anni sono vere b e c

15 La magnetizzazione termoresidua: si riscontra in tutti i tipi di rocce si riscontra nelle rocce ricche di minerali ferromagnetici

è una caratteristica solo delle rocce ignee si riscontra solo nelle rocce dei fondali oceanici

8.3-4 La teoria della tettonica a placche e le forze che le muovono

16 Vero o falso?

a. La litosfera è suddivisa in 20 placche più o meno delle stesse dimensioni V F

b. I margini continentali corrispondono sempre a limiti di placca V F

c. La prima fase del processo di apertura di un oceano è la formazione di un rift continentale V F

d. Lungo il piano di Benioff sono localizzati gli ipocentri dei sismi che avvengono in corrispondenza di un margine divergente V F

e. Gli archi vulcanici insulari si formano a causa della collisione tra una placca oceanica e una continentale

f. In una piega inversa il tetto si trova al di sotto del blocco del letto

g. Le pieghe anticlinali hanno la convessità rivolta verso il basso

h. Il sollevamento della catena delle Ande è avvenuto attraverso due fasi successive di convergenza e subduzione

i. 45 milioni di anni fa si sono sollevati i rilevi della catena alpina

17 Che cosa sono le placche litosferiche?

18 In che modo è stato possibile individuare i margini che dividono le placche tra di loro?

19 Come si definisce il processo di orogenesi?

20 Come si formano le falde di ricoprimento?

21 Riassumi i modelli che spiegano le cause del movimento delle placche.

22 Che cos’è il fenomeno geologico chiamato finestra tettonica?

23 Un margine continentale passivo: è un margine divergente è un margine di subduzione non è un vero margine di placca nessuna delle definizioni è corretta

24 L’espansione dei fondali oceanici avviene lungo: tutti i tipi di margini i margini trascorrenti i margini convergenti i margini divergenti

25 Le dorsali oceaniche sono caratterizzate da: sismi con ipocentri poco profondi lunghe faglie che le suddividono in tronconi estesi archi vulcanici insulari sono vere a e b

26 I margini convergenti: si trovano lungo le dorsali oceaniche sono le zone dove due placche si allontanano sono le zone dove due placche si muovono l’una a fianco dell’altra sono le zone dove avviene il sollevamento di nuove catene montuose

27 Il piano di Benioff:

è la superficie inclinata sulla quale si localizzano gli ipocentri dei terremoti profondi lungo un margine distruttivo

è il piano inclinato lungo il quale avviene la subduzione si trova in corrispondenza dei margini convergenti tutte le affermazioni sono vere

28 L’arcipelago del Giappone:

è formato da vulcani che appartengono a una dorsale oceanica

è un arco vulcanico insulare

è formato da seamonts si estende in corrispondenza di un margine divergente

29 Quale di queste affermazioni non è corretta?

L’orogenesi è una conseguenza dei movimenti delle placche litosferiche

Le catene montuose possono sollevarsi in qualsiasi area delle placche

L’orogenesi ha luogo lungo margini di placca convergenti

L’orogenesi innesca processi metamorfici

30 La catena delle Ande: fu sollevata in seguito a due successive collisioni tra la placca oceanica di Natzca e quella continentale sudamericana

è il risultato dello scontro fra due placche continentali

è il risultato dello scontro fra due placche oceaniche nessuna risposta è corretta

31 Quale delle seguenti affermazioni riguardanti la Tetide non è corretta?

Si aprì circa 150 milioni di anni fa Occupava la posizione dell’attuale Oceano Atlantico Iniziò a chiudersi circa 100 milioni di anni fa Metteva in comunicazione l’Oceano Pacifico con l’Oceano Atlantico

32 Lungo un margine conservativo si verifica: la produzione di nuova crosta la distruzione della crosta la deposizione di sedimenti lo scivolamento di una placca rispetto a un’altra

33 Quello di San Andreas in California è un margine: divergente convergente conservativo trasforme

34 Gli studiosi ritengono che i punti caldi abbiano origine: nella crosta nell’astenosfera nel mantello profondo nel nucleo

35 Quale delle seguenti affermazioni non è corretta? I punti caldi: si trovano in corrispondenza dei pennacchi termici si trovano anche all’interno delle aree continentali sono fenomeni di vulcanismo di interplacca si muovono insieme alla placca a cui appartengono

36 L’Islanda: fa parte di un arco insulare è una parte emergente della dorsale medioatlantica si trova in prossimità di un punto caldo sono vere b e c

37 Quali aspetti della teoria della deriva continentale furono ripresi dalla teoria della tettonica delle placche?

38 Perché la composizione di un magma in una zona di dorsale è diversa da quella in una zona di subduzione?

39 Elenca le caratteristiche geologiche che accomunano la catena delle Alpi e la catena degli Appennini.

40 Quali informazioni hanno raccolto i ricercatori studiando le caratteristiche della catena Hawaii-Emperor?

41 Le celle convettive sembrano essere la causa del movimento delle placche litosferiche: spiega come avviene la loro formazione nell’astenosfera.

42 INGLESE What do isostatic adjustments of the crust cause?

43 INGLESE What did the theory of continental drift propose?

44 INGLESE What data allowed for the formulation of the theory of seafloor spreading?

45 INGLESE What are the types of lithospheric plate margins?

46 INGLESE Benioff plane forms: in the first phase of the orogenetic cycle, when an ocean opens in correspondence of a passive continental margin when a passive margin turns into a convergent margin during the final phases of plates collisions

47 METODO INDUTTIVO Osserva il seguente disegno e rispondi alle domande.

49 PROBLEM SOLVING Il terremoto del 6 aprile 2009 è stato generato dall’attivazione della faglia di Paganica, dal nome della località dove questa struttura geologica è osservabile in superficie. La faglia era già nota prima dell’evento sismico e riportata sulle carte geologiche della regione Abruzzo. Dopo il sisma del 2009 sono state effettuate indagini paleosismologiche per meglio comprendere l’attività della faglia nelle ultime migliaia di anni e per cercare di definire ogni quanto tempo si attiva. Rispondi alle seguenti domande.

a. Quali placche sono responsabili dei fenomeni sismici che interessano l’area appenninica?

b. La faglia di Paganica è una faglia diretta: che cosa significa?

c. Qual è lo scopo delle ricerche paleosismologiche?

d. Quali dati possono fornire le indagini paleosismologiche riguardo ai criteri da adottare per la ricostruzione dei centri abitati?

50 METODO INDUTTIVO Osserva il disegno e rispondi alle domande.

a. Quale tipo di margine è rappresentato?

b. In quale fase del processo orogenico si colloca?

c. Come evolve nel tempo questo tipo di margine?

48 METODO INDUTTIVO La fotografia è stata scattata in Islanda nel Parco nazionale di Pingvellir. Spiega l’origine della struttura rappresentata rispondendo alle seguenti domande

a. Che cosa rappresentano le bande nere e le bande bianche nella crosta oceanica?

b. Durante una campagna oceanografica sono prelevate delle carote ed eseguite le analisi di paleomagnetismo nei campioni di basalto della carota A e della carota B. Ti aspetti che siano trovate delle differenze? Perché?

c. Confrontando la carota A con la C, come pensi che sia lo spessore della copertura sedimentaria? Perché?

d. Utilizza la scala delle polarità magnetiche e osserva la carota C: quale età ti aspetti abbia il sedimento (indicato con *) subito sopra la crosta oceanica?

51 DIGITALE La carta sottostante mostra la complessa situazione tettonica della zona sudorientale dell’Asia, caratterizzata dalla presenza di archi vulcanici, tipici di zone di subduzione. Prepara una presentazione per la classe che descriva le diverse strutture di quest’area e che comprenda una spiegazione approfondita della legenda e dei simboli grafici utilizzati nella carta.

a. Osserva la carta della figura 8.17b a pagina 260: in corrispondenza di quale struttura si trova l’Islanda?

b. Quale relazione lega le aree di distensione della crosta con la formazione di un rift?

c. Di che tipo di roccia pensi siano le pareti verticali che delimitano lo specchio d’acqua?

Placca

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Spiega in che modo avviene il fenomeno dell’isostasia utilizzando le seguenti parole-chiave: gravimetro • anomalia gravitazionale • crosta continentale • crosta oceanica • assestamenti isostatici

2 Spiega perché la teoria della deriva dei continenti non fu accettata gli scienziati contemporanei di Wegener utilizzando le seguenti parole-chiave:

Pangea • Panthalassa • prove litologiche • prove paleontologiche • cause dei movimenti continentali • forza gravitazionale

3 Spiega in che modo l’analisi del magnetismo delle rocce dei fondali ha fornito prove a sostegno della teoria dell’espansione degli oceani utilizzando le seguenti parole-chiave: magnetometro • anomalie magnetiche • minerali magnetici • paleomagnetismo • scala geomagnetica

4 Illustra le teorie che sono state proposte per spiegare i movimenti delle placche litosferiche utilizzando le seguenti parole chiave: trasferimento di calore • pennacchi termici • moti convettivi • astenosfera • celle convettive • litosfera

Prova a partire così

5 Quali sono i fondamenti della teoria della tettonica delle placche?

La litosfera, l’involucro solido e roccioso che avvolge la Terra, è diviso in grandi porzioni, le che sono circa di cui 12 di maggiori dimensioni; queste porzioni di litosfera si muovono l’una rispetto all’altra con movimenti lenti e continui lungo i loro .

6 Quali fenomeni avvengono in corrispondenza dei margini divergenti?

Lungo i margini divergenti fuoriescono lave che, raffreddandosi, formano nuova crosta , che spinge lateralmente le placche adiacenti e determina l’apertura di nuovi

7 Quali sono le fasi della sequenza orogenetica? Inizialmente si apre un che successivamente si chiude. In questa fase i margini di placca sono tettonicamente e l’unico fenomeno che ha luogo è la . Dopo un certo tempo si forma un margine , cioè una zona di dove i materiali sono trascinati in profondità, fondono e poi risalgono determinando la formazione dei .

8 Che cosa sono i punti caldi?

I punti caldi sono aree vulcaniche attive che non si trovano nei margini di , ma sono nel mezzo. Questi punti non sono connessi a fenomeni di o . Questo fenomeno si chiama . L’esempio più famoso è dato dalle isole .

Organizza il discorso

9 Descrivi l’evoluzione storica delle ipotesi sui movimenti della crosta e sulla formazione delle strutture della superficie terrestre.

Prova a seguire questa scaletta:

I viaggi di navigazione del XV secolo e la prima cartografia dei continenti

Ipotesi di Abraham Ortelius, Francesco Bacone e Antonio Snider-Pellegrini

La teoria di Alfred Wegener

L’esplorazione oceanografica fornisce prove a sostegno della teoria dell’espansione dei fondali

La teoria della tettonica delle placche: una teoria unificante

10 Perché i margini convergenti, detti anche distruttivi, sono in realtà i luoghi dove si formano nuovi vulcani e montagne?

Prova a seguire questa scaletta:

Il fenomeno della subduzione e la scoperta del piano di Wadati-Benioff

Convergenza tra due placche oceaniche: la formazione degli archi vulcanici

Convergenza tra due placche continentali: l’orogenesi alpino-himalayana

Convergenza tra una placca oceanica e una continentale: la formazione delle cordigliere delle Ande

11 UN PASSO IN PIÙ Illustra le ipotesi oggi più accreditate sull’origine delle forze in grado di muovere le placche litosferiche.

Simula un colloquio d’esame

12 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

9 La dinamica dell’atmosfera

9.1 Il diagramma mostra la composizione percentuale dell’aria secca e priva di inquinanti.

9.1 Le caratteristiche dell’atmosfera

L’involucro di gas che avvolge il nostro Pianeta è l’atmosfera. Gli scienziati ritengono che una prima forma di atmosfera abbia avvolto la Terra circa 4,5 miliardi di anni fa. Dopo le prime fasi di accrezione, il Pianeta era abbastanza freddo da trattenere i gas liberati dalle eruzioni vulcaniche, cioè diossido di carbonio (CO2), diossido di zolfo (SO2), ammoniaca (NH3), metano (CH4) e vapore acqueo (H2O).

Circa 3,8 miliardi di anni fa, la temperatura superficiale scese sotto i 100 °C e il vapore acqueo cominciò a condensarsi e a formare gli oceani. Il CO2 prima si disciolse nelle acque e poi, circa 3,7 miliardi di anni fa, cominciò a precipitare sotto forma carbonati in depositi rocciosi (stromatoliti), prodotti con l’intermediazione delle prime comunità batteriche. La comparsa di organismi fotosintetici, come le alghe, portò alla produzione di ossigeno (O2) che si diffuse nell’atmosfera, dove reagì con i raggi UV a dare molecole di ozono (O3) in grado di assorbire le radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. Lo sviluppo delle piante pluricellulari sulla terraferma (circa 500 milioni di anni fa), portò l’O2 a concentrazioni simili a quelle attuali; allo stesso tempo, la decomposizione dei vegetali produsse un aumento di azoto (N2) in atmosfera. L’origine dell’atmosfera terrestre è quindi il risultato di un’interazione dinamica tra sfere geochimiche e biosfera, processo ancora in atto.

La composizione e la struttura dell’atmosfera

L’atmosfera ha molte importanti funzioni. Per esempio, protegge la Terra dalle radiazioni nocive e dai frammenti rocciosi provenienti dallo spazio e mantiene sulla sua superficie una temperatura adatta alla vita.

L’atmosfera è una soluzione di gas non omogenea che cambia composizione con l’altitudine ed è quindi suddivisa in strati. Lo strato a diretto contatto con la superficie terrestre è in genere chiamiamo aria. Un dato volume di aria secca, cioè priva di vapore acqueo, è composto da circa il 78% di azoto, il 21% di ossigeno, lo 0,9% di argon e lo 0,04% di diossido di carbonio 9.1 . Gli strati più bassi dell’atmosfera contengono anche concentrazioni variabili di vapore acqueo, che proviene per lo più dall’evaporazione delle acque oceaniche. È presente, inoltre, pulviscolo atmosferico formato da microscopiche particelle solide (ceneri vulcaniche, spore, pollini e fuliggini), che fungono da nuclei di condensazione delle molecole di vapore acqueo per la formazione di nubi. Infine, l’aria contiene composti gassosi di origine antropica liberati anche dalla combustione degli idrocarburi, tra cui ossidi di carbonio, zolfo e azoto. Questi gas, insieme alle polveri sottili prodotte da processi industriali e dal traffico veicolare, sono la causa primaria dell’inquinamento atmosferico. Tale fenomeno è stato provocato dalle attività umane a partire dalla Rivoluzione industriale, avvenuta in Europa nel XVIII secolo.

All’aumentare dell’altitudine, i gas diventano più rarefatti. Gli strati superiori dell’atmosfera, con il loro peso, comprimono i gas a bassa quota, facendo diventare l’aria più densa. Anche la composizione della miscela gassosa si modifica con l’aumento dell’altitudine. In base a queste caratteristiche si distingue la bassa atmosfera, fino ai 90 km di altezza, dall’alta atmosfera, che si estende al di sopra di questa quota fino a circa 10 000 km. La bassa atmosfera contiene quasi la metà dell’intera massa dei gas atmosferici. I continui movimenti convettivi attivati dal riscaldamento della superficie del Pianeta rimescolano la miscela di gas, mantenendo costante la composizione dell’aria.

L’atmosfera ha una struttura a strati sovrapposti, detti sfere: troposfera, stratosfera, mesosfera, termosfera, ed esosfera. Le sfere sono intervallate dalle pause in cui la temperatura inverte l’andamento rispetto allo strato sottostante: tropopausa, stratopausa, mesopausa, termopausa 9.2 . Troposfera, stratosfera e mesosfera hanno composizioni omogenee e sono per questo riunite nella omosfera

La termosfera, invece, presenta una stratificazione con in basso il gas più pesante (N2) seguito a quote maggiori da O2, He e H2; per questo è detta eterosfera

Risposta breve

1. Qual è la composizione dell’atmosfera?

2. In che cosa si differenziano la bassa e l’alta atmosfera?

3. Quali sono le principali fonti di inquinamento dell’atmosfera?

4. Quali sono le principali caratteristiche della mesosfera?

5. In quale strato si estende la frangia dell’atmosfera?

9.2 Struttura a strati dell’atmosfera.

L’esosfera, estesa fino il limite esterno dell’atmosfera, è composta da particelle di idrogeno ed elio rarefatte, dotate di elevatissima energia cinetica (fino alla temperatura di circa 2000 °C). A circa 2500 km di quota, dove i gas non risentono più dell’attrazione gravitazionale terrestre, si forma la frangia dell’atmosfera, che sfuma verso lo spazio.

La termosfera è estesa fino a 400-500 km di quota. L’agitazione termica delle molecole di azoto e ossigeno presenti, causata dall’assorbimento delle radiazioni solari di lunghezza d’onda corta, determina l’aumento fino a 1000 °C della temperatura, chiamata temperatura cinetica in quanto esprime l’energia cinetica media delle molecole. L’aumento della temperatura favorisce la ionizzazione, cioè la formazione di particelle elettricamente cariche che rendono lo strato riflettente nei confronti delle onde radio. La collisione tra le particelle cariche e quelle del vento solare libera i lampi di luce colorata delle aurore polari.

La mesosfera, estesa fino a 90 km di quota, è caratterizzata da una crescente rarefazione dei gas più leggeri e dall’assenza di vapore acqueo. Il gradiente termico verticale ritorna negativo in quanto non si forma più l’ozono. È in questo strato che gran parte delle meteore che intercettano la traiettoria terrestre sono bruciate.

La stratosfera, estesa da 10 km fino a 50 km di quota, ha composizione simile alla troposfera ma i gas sono più rarefatti e tendono a stratificarsi per l’assenza di moti convettivi. L’inizio della stratosfera è segnato da un gradiente termico verticale positivo: l’aumento della temperatura fino a 0 °C è dovuto alla formazione dell’ozono (O3), un gas che assorbe la maggior parte delle radiazioni ultraviolette in entrata nell’atmosfera.

La troposfera si estende dalla superficie terrestre fino a 6-8 km di quota ai poli, e fino a 15-17 km all’Equatore. Qui avvengono i principali fenomeni atmosferici ed è contenuta la quasi totalità del vapore acqueo. La temperatura diminuisce di circa 0,6 °C ogni 100 metri di altezza, valore che rappresenta il gradiente termico verticale. Questo squilibrio termico è all’origine dei moti convettivi che rimescolano i gas troposferici.

9.2 Il riscaldamento dell’atmosfera

La sorgente primaria di calore nell’atmosfera è il Sole. Si definisce insolazione la quantità di energia solare che raggiunge la superficie terrestre. L’energia giunge alla Terra sotto forma di radiazioni, cioè di onde elettromagnetiche. La maggior parte sono “onde corte” con lunghezze d’onda relativamente piccole, comprese tra 0,17 e 4 μm. La Terra riceve questo tipo di radiazioni, le assorbe e le converte in calore sotto forma di “onde lunghe”, cioè radiazioni con lunghezze d’onda comprese tra 4 e 80 μm. Il sistema Terra, quindi, riceve ed emette energia di continuo.

La differenza tra energia solare in entrata ed energia terrestre in uscita costituisce il bilancio termico, o bilancio radiativo della Terra 9.3 .

Ponendo uguale a 100 la radiazione solare che raggiunge il limite superiore dell’atmosfera, circa il 35% costituisce l’albedo terrestre, cioè la quantità di radiazioni incidenti e in seguito riflesse in tutte le direzioni, che determina il potere riflettente del nostro Pianeta. In particolare, il 31% delle radiazioni è riflessa da nubi, pulviscolo atmosferico e molecole di gas atmosferici, mentre il 4% da specchi d’acqua, ghiacciai e vegetazione. Del restante 65% di radiazione solare, il 18% è assorbito dall’atmosfera, principalmente da ozono, diossido di carbonio e vapore acqueo e il 47% da terre emerse, acqua e vegetazione. Questa energia non provoca il riscaldamento progressivo del Pianeta: la differenza tra uscite ed entrate di energia è nullo. L’energia assorbita dalla superficie terrestre, infatti, è utilizzata in parte per riscaldare l’atmosfera sovrastante, che a sua volta disperde l’energia nello spazio, in parte per l’evaporazione delle acque superficiali. Quando il vapore acqueo condensa nell’atmosfera e forma le nubi, si libera calore latente che si disperde anch’esso nello spazio. L’insolazione non è uguale su tutto il globo: le basse latitudini equatoriali ricevono più calore poiché l’angolo di incidenza dei raggi solari con la superficie terrestre è maggiore, al contrario delle alte latitudini dove l’angolo d’incidenza dei raggi è minore e quindi il calore si distribuisce su una superficie più ampia. Il calore emesso dalla Terra dipende, inoltre, dalla distribuzione delle terre emerse e dei mari: l’acqua, infatti, si scalda più lentamente rispetto alle terre emerse e altrettanto lentamente cede il calore accumulato. Le differenze di temperatura sono equilibrate principalmente dalle correnti marine e dai movimenti delle masse d’aria che distribuiscono il calore su tutto Pianeta.

riflessa
9.3 Il bilancio termico della Terra.
Lo spettro elettromagnetico

L’effetto serra

Dall’esame del bilancio termico appare evidente che soltanto il 65% dell’energia solare è a disposizione del sistema Terra e che la quantità di radiazioni assorbite e riemesse dalle terre emerse e dagli oceani supera di molto la quantità assorbita dall’atmosfera. La temperatura media dell’atmosfera dovrebbe essere di circa -18 °C, mentre la temperatura media della troposfera è circa 15 °C. Il calore dello strato più basso dell’atmosfera proviene in gran parte dalla superficie terrestre che si riscalda e cede energia termica. Come abbiamo visto, la superfice del Pianeta assorbe radiazioni solari a onda corta che riemette come onde lunghe che fanno parte dell’infrarosso termico. Queste onde elettromagnetiche non riescono a riattraversare del tutto l’atmosfera perché bloccate e assorbite da gas come il vapore acqueo, il diossido di carbonio, gli ossidi di azoto e il metano. Le radiazioni aumentano l’energia cinetica delle molecole di questi particolari gas e provocano un aumento della temperatura dell’aria. Il fenomeno è spiegabile sulla base della loro composizione chimica: mentre le molecole formate da atomi uguali, come O2 e N2, lasciano passare le radiazioni infrarosse, le molecole formate da atomi diversi, come il CO2, sono in grado di intercettare queste onde, di entrare in vibrazione e di aumentare la propria energia cinetica. Vapore acqueo, diossido di carbonio, metano e ossidi di azoto sono noti come gas serra in quanto producono lo stesso effetto di riscaldamento chiamato effetto serra, che si verifica per l’appunto all'interno delle serre 9.4 .

PODCAST

L’effetto serra è un fenomeno che avviene nell’atmosfera: l’aria si lascia attraversare dalle radiazioni a onda corta provenienti dal Sole e intercetta e riflette la maggior parte delle radiazioni a onda lunga emesse dalla superficie terrestre.

L’effetto serra è di grande importanza per il mantenimento delle condizioni termiche adatte alla vita: se le concentrazioni di gas serra aumentano, il fenomeno subisce un incremento e le temperature dell’atmosfera terrestre crescono. Da più di un secolo e mezzo, dall’avvento della Rivoluzione industriale, le emissioni di CO2 derivate dalle attività umane sono progressivamente aumentate, facendo salire la concentrazione del gas da 0,028% a 0,040%. Anche la concentrazione di metano è più che raddoppiata. Queste variazioni hanno avuto effetti diretti sulla temperatura media del Pianeta: a oggi la temperatura della troposfera è in aumento a un ritmo di 0,2° C per decennio ed entro la fine del secolo attuale l’innalzamento della temperatura potrebbe attestarsi tra 2,1 e 5,7 °C.

Mario José Molina è un chimico messicano che studiò l’impatto sulla chimica dell’atmosfera, in particolare sullo strato di ozono, dei gas CFC (clorofluorocarburi). Questi composti a lungo utilizzati nelle bombolette spray, sono stati individuati come responsabili del buco dell’ozono. Per le sue ricerche sui CFC, egli vinse il premio Nobel per la chimica nel 1995. Ascolta il podcast e scopri come questo scienziato e il suo lavoro hanno influenzato le politiche ambientali mondiali.

9.4 Confronto tra (a) il riscaldamento all’interno di una serra e (b) quello nella troposfera.

Risposta breve

1. Come si definisce l’insolazione?

2. Che cos’è il bilancio termico terrestre?

3. Quali superfici contribuiscono a elevare il valore dell’albedo terrestre al 35%?

4. Da quali fattori dipende il diverso riscaldamento della superficie terrestre?

5. In che cosa consiste il fenomeno chiamato effetto serra?

6. Quali sono le conseguenze dell’effetto serra per il Pianeta e per la vita?

L’effetto serra
VIDEO
radiazione dal Sole (onde corte)
CO2 e altri gas serra
radiazione della Terra (onde lunghe)
radiazione terrestre a onde lunghe
radiazione solare a onde corte

9.5 Per misurare la temperatura dell’aria e calcolare l’escursione termica si utilizza il termometro a minima e a massima.

9.3 Tempo e fenomeni meteorologici complessi

La temperatura, la pressione e l’umidità dell’aria sono gli elementi che caratterizzano il tempo atmosferico, cioè le grandezze fisiche che determinano le condizioni meteorologiche in una località.

Il tempo atmosferico è l’insieme dei fenomeni meteorologici che avvengono in modo irregolare nella troposfera in intervalli di tempo piuttosto brevi.

La temperatura

Come abbiamo già visto, il riscaldamento della troposfera dipende soprattutto dal calore che proviene dalla superficie terrestre. Tuttavia, le temperature nelle diverse aree del globo sono molto variabili e dipendono da diversi fattori: altitudine, latitudine, distribuzione delle terre emerse e mari. Nelle regioni polari si possono registrare temperature di -50 °C, mentre nelle zone desertiche il termometro può toccare i 50 °C. Inoltre, nella stessa località, le temperature raggiunte durante il dì possono variare di molto rispetto a quelle di notte.

L’escursione termica è la differenza tra la temperatura massima e quella minima.

La differenza tra la temperatura media del mese più caldo e quella del mese più freddo è l’escursione termica annua, mentre l’escursione termica giornaliera è la differenza tra la temperatura minima e quella massima registrate nelle 24 ore in una determinata località 9.5

La copertura vegetale agisce in maniera determinante sull’escursione termica di una località: le piante, restituendo acqua all’atmosfera attraverso la traspirazione, influiscono sull’umidità dell’aria facendo aumentare l’effetto serra. Se l’umidità è elevata, la differenza tra la quantità di radiazioni solari che raggiungono il suolo e la quantità di radiazioni riflesse è minore, e l’escursione termica è ridotta. Il contrario accade nelle località prive di copertura vegetale, come i deserti, dove tutte le radiazioni solari sono riflesse quasi completamente, determinando forti differenze di temperatura tra il dì e la notte. La distribuzione delle temperature sulla superficie terrestre è rappresentata dalla carta delle isoterme, le linee che congiungono tutti i punti con uguale temperatura 9.6 .

9.6 Carte mondiali delle isoterme del NOAA/ESRL Physical science division. Le mappe mostrano la climatologia (anni 1968-1996) della temperatura dell’aria a 2 m dalla superficie, a (a) gennaio e (b) luglio. °C °C

La pressione

La forza di gravità esercita un’attrazione sull’aria.

La pressione atmosferica è la pressione (forza peso) esercitata dalla colonna di aria sovrastante per unità di superficie di 1 cm2

Il matematico e fisico italiano Evangelista Torricelli fu il primo a misurarla. Nel 1643, dimostrò che al livello del mare, a 0 °C e alla latitudine di 45° la pressione atmosferica equivale alla pressione esercitata da una colonna di mercurio alta 760 mm e con sezione di 1 cm2. La pressione, definita normale, così misurata fu espressa in atmosfere per cui 1 atm = 760 mmHg (o torr). Oggi, lo strumento usato per misurare la pressione atmosferica e il barometro 9.7 .

Nel Sistema Internazionale la pressione si esprime in pascal (Pa), ossia newton su metri quadri (N/m2), e si ha che 1 atm = 101 325 Pa. Poiché però il Pa è un’unità molto piccola, si usa spesso il bar (1 bar = 10-5 Pa) o il mbar (grandezza spesso usata in meteorologia), cosicché 1 atm = 1013,2 mbar Tab. 9.1 .

Tabella 9.1 Unità di misura della pressione e fattori di conversione

Valori superiori a 1013,2 mbar corrispondono ad alta pressione, mentre valori minori indicano bassa pressione.

Anche la pressione, come la temperatura, varia in funzione di diversi fattori.

 Altitudine: più ci si allontana dalla superficie terrestre minore è la quantità di aria sovrastante, di conseguenza la pressione diminuisce con la quota; inoltre, poiché una maggiore pressione implica una compressione dei gas in un volume minore, a quote via via più elevate avremo anche una diminuzione della densità delle masse d’aria 9.8

 Temperatura: l’aumento di energia cinetica associato al riscaldamento di una massa d’aria la fa espandere, ne riduce la densità e la fa salire verso l’alto, con una conseguente diminuzione della pressione.

 Umidità: a parità di temperatura, un volume di aria umida è meno denso di uno di aria secca, per cui l’aumento di vapore acqueo provoca una risalita della massa d’aria e una diminuzione di pressione.

La distribuzione della pressione atmosferica sulla superficie terrestre può essere analizzata ricorrendo alla carta delle isobare, linee che congiungono i punti di uguale pressione atmosferica corretti rispetto al livello del mare e alla temperatura di 0 °C. Osservando la carta si nota che le isobare delimitano delle zone concentriche: dove i valori di pressione indicati dalle isobare aumentano procedendo dalla periferia al centro si trova un’area anticiclonica di alta pressione, dove invece i valori decrescono verso il centro è localizzata un’area ciclonica di bassa pressione.

Misurare la pressione atmosferica permette di realizzare le previsioni del tempo, perché dalle sue variazioni dipendono le condizioni meteorologiche in una località; è questa la ragione per cui la carta delle isobare è chiamata anche carta del tempo ( 9.9 , a pagina seguente).

9.8 Variazione della pressione con l’altitudine.

9.7 Un barometro aneroide.
cima di una montagna livello del mare

Le masse d’aria si spostano e originano i venti.

I venti sono flussi orizzontali di masse d’aria che si spostano dalle zone di alta pressione verso quelle di bassa pressione.

La velocità di un vento dipende dal gradiente di pressione, ossia dalla variazione di pressione per unità di lunghezza (in Pa/m), che graficamente è espresso da quanto le isobare sono vicine tra di loro. Dall’area anticiclonica i venti escono ruotando in senso orario verso l’area ciclonica dove entrano ruotando in senso antiorario 9.10 .

9.10 Rappresentazione dei movimenti del vento dall’area anticiclonica (A) a quella anticiclonica (B).

La presenza di gradienti di pressione con aree di bassa e alta pressione permanenti determina la formazione di venti planetari che hanno direzioni fisse: ne sono esempi gli alisei, che spirano verso le aree cicloniche equatoriali, i venti occidentali, che spirano verso le aree cicloniche subpolari, la stessa area di bassa pressione verso la quale convergono i venti polari che hanno origine dalle aree delle alte pressioni polari 9.11 .

9.9 Carta delle isobare.
I venti

Le variazioni periodiche dei gradienti di pressione sono invece all’origine dei venti regionali periodici, come i monsoni che cambiano direzione a seconda della stagione, dei venti locali periodici, come le brezze di mare e di terra che cambiano direzione nel corso del giorno, e dei venti locali variabili 9.12 .

zona polare di alta pressione fronte polare

venti polari

zona subpolare di bassa pressione

60°

zona dei venti occidentali di Sud-Ovest

zona subtropicale di alta pressione con venti variabili venti alisei di Nord-Est

zona delle basse pressioni equatoriali venti alisei di Sud-Est

zona subtropicale di alta pressione con venti variabili zona dei venti occidentali di Nord-Ovest

zona subpolare di bassa pressione

fronte polare

NORD-OVEST maestrale 315°

OVEST ponente 270°

30°

60°

venti polari

zona polare di alta pressione

9.11 Circolazione atmosferica generale.

L’umidità

NORD-EST grecale 45°

292° 30’

240° 10’ ONO ponente maestrale

SUD-OVEST libeccio

NORD tramontana 0° NNO maestrale tramontana 333° 37’ NNE grecale tramontana 22° 30’ NEE grecale levante 67° 30’ ESE levante scirocco 112° 30’ SSE ostro scirocco 157° 30’ SSO ostro libeccio 202’37° OSO ponente libeccio

SUD-EST scirocco 135°

225° SUD mezzogiorno o ostro 180° EST levante 90°

9.12 La rosa dei venti è un diagramma nel quale i venti sono denominati in base all’area di provenienza.

Un’importante caratteristica della troposfera è l’umidità, cioè la quantità di vapore acqueo presente nell’aria. Essa è prodotta dall’evaporazione dell’acqua dal mare e delle acque continentali e dalla traspirazione delle piante. La quantità massima di vapore che può essere contenuta in un determinato volume d’aria dipende dalla sua temperatura: quanto più l’aria è calda, tanto più vapore può contenere.

L’umidità assoluta è la quantità in grammi di vapore d’acqua contenuta in un metro cubo d’aria a una determinata temperatura.

L’umidità dell’aria che è riportata nei bollettini meteorologici è invece l’umidità relativa, che si misura con uno strumento chiamato igrometro 9.13 .

L’umidità relativa è il rapporto tra l’umidità assoluta e la quantità di vapor d’acqua che lo stesso volume d’aria potrebbe contenere, in condizione di saturazione, alla stessa temperatura.

L’aria raggiunge la saturazione quando la quantità di vapore è pari al 100% di umidità, cioè il valore massimo che il volume d’aria può contenere. In questa condizione parte del vapore condensa e ritorna allo stato liquido. La temperatura alla quale il vapore comincia a condensare si chiama punto di rugiada. La condensazione (o il brinamento qualora il vapore passi direttamente allo stato solido) è aiutata dalla presenza di particelle di pulviscolo atmosferico che diventano nuclei di condensazione attorno ai quali si aggregano le goccioline di acqua liquida. È questo il fenomeno che dà origine alla rugiada e alla brina, quando avviene al suolo, alla nebbia, quando si compie negli strati bassi della troposfera, e alle nubi quando avviene in quota.

9.13 Il funzionamento dell’igrometro a capello si basa sulla proprietà dei capelli di modificare la loro lunghezza in funzione dell’umidità dell’aria.

9.14 Rappresentazione dei diversi tipi di nubi.

Risposta breve

1. Come si definisce il tempo atmosferico?

2. Quali fattori determinano variazioni della pressione atmosferica?

3. Come si definisce l’umidità relativa?

4. Come avviene la formazione delle nubi e delle precipitazioni?

Una nube può formarsi o per afflusso di vapore acqueo o perché la temperatura di una massa d’aria scende al di sotto della temperatura di condensazione. Quest’ultimo evento può verificarsi in tre casi:

 per contatto tra due masse d’aria a diversa temperatura, per cui quella più fredda e densa si dispone sotto quella calda che subisce così una risalita e, quindi, un raffreddamento;

 per convezione, dove una massa d’aria calda risale, si dilata e, poi si raffredda;

 per la presenza di un rilievo topografico lungo cui una massa di aria calda è costretta a risalire e a raffreddarsi.

La condensazione fa sì che si liberi calore latente, che tende a compensare il raffreddamento. In base all’altezza a cui si formano le nubi si distinguono nubi basse, nubi medie, nubi alte e nubi a sviluppo verticale 9.14 e Tab. 9.2 .

Tabella 9.2 Classificazione delle nubi

Tipi di nubi Forma e spessore

nubi alte (oltre i 6000 m)

nubi medie (tra i 2000 e i 6000 m)

cirri fiocchi filamentosi bianchi e sottili

cirrostrati sottile strato uniforme bianco e fibroso

cirrocumuli fiocchi bianchi e globulari (“cielo a pecorelle“)

altocumuli masse rotondeggianti bianche o grigie, isolate o collegate altostrati strati uniformi di colore grigio

nubi basse (al di sotto dei 2000 m) strati quasi trasparenti, ma molto estesi nembostrati grigi, spessi ed estesi, coprono il Sole e producono pioggie non intense cumuli con base piatta e scura e sommità in continua e rapida trasformazione

nubi a sviluppo verticale cumulonembi

con il massimo sviluppo verticale, base piatta e sommità turbolenta a forma di incudine o pennacchio. Producono temporali e acquazzoni stratocumuli bianchi o strati non continui (a scacchiera)

Non appena le goccioline d’acqua diventano abbastanza grandi e pesanti, vincono le correnti ascensionali (i movimenti di masse d’aria in direzione verticale) presenti nelle nubi e cadono al suolo in forma di pioggia. Se invece la diminuzione della temperatura implica un brinamento da vapore a ghiaccio, si ha la formazione dei cristalli di neve. La grandine invece è formata da cristalli di ghiaccio a strati formati nei cumulonembi per effetto di moti convettivi: le goccioline d’acqua portate verso l’alto congelano e per gravità ricadono verso il basso, dove sono ricoperti da un altro strato di acqua che congela nuovamente quando il chicco è riportato in alto dai moti turbolenti all’interno della nube.

La circolazione generale dell’atmosfera

Il differente spessore della troposfera all’equatore e ai poli e la diversa temperatura media al suolo sono la causa dello squilibrio termico che è l’origine più probabile dei moti convettivi nella troposfera. Secondo questo modello, chiamato modello termico, masse d’aria a diversa temperatura si spostano mediante moti convettivi.

Se la Terra non fosse soggetta a una rotazione, le masse d’aria riscaldate in prossimità della superficie alle basse latitudini, in conseguenza della minore densità, si sposterebbero linearmente negli strati più alti della troposfera per poi muoversi verso le più alte latitudini dove, raffreddate, scenderebbero nuovamente per chiudere una cella, come teorizzato nel 1735 da George Hadley.

In realtà il sistema è complicato, in parte dalla disposizione relativa di terre emerse e oceani, ma soprattutto dal movimento rotazionale della Terra. Ciò fa sì che il movimento delle masse d’aria non sia lineare ma risulti deviato dalla rotazione terrestre a causa dell’effetto Coriolis

Le masse d’aria ad alta quota, che si spostano dall’Equatore verso Nord, subiscono una deviazione a Est raffreddandosi prima di riuscire a raggiungere il polo e scendendo di quota intorno ai 30° di latitudine. In prossimità della superficie terrestre, la massa d’aria in discesa si divide in due, un ramo torna verso l’Equatore (deviando a Ovest) e genera i venti alisei, un altro va verso Nord (deviando a Est) e dà origine ai venti occidentali. Si parla in questo caso di zona di divergenza. Sempre per effetto della deviazione verso Est, la corrente di superficie in movimento dalle medie latitudini verso Nord si scalda abbastanza da risalire in quota a circa 60° di latitudine, dove però si scontra con la corrente di superficie proveniente dai poli, anch’essa in risalita, formando una zona di convergenza. L’aria che così risale di quota si suddivide nuovamente nella parte alta della troposfera per chiudere la cella convettiva di media latitudine, da un lato, e quella polare dall’altro. Per finire, un’altra zona di convergenza tra correnti di superficie si sviluppa all’equatore per l’incontro delle due zone tropicali. Nel complesso si sviluppano tre sistemi di celle convettive su ogni emisfero, le celle di Hadley (tropicali), le celle di Ferrel (di media latitudine) e le celle polari 9.15 .

cella polare

cella di Ferrel

cella di Hadley

30°

cella di Hadley

cella di Ferrel

cella polare

La circolazione nell’alta troposfera

Nell’alta troposfera, le condizioni di pressione sono invertite rispetto al suolo, con zone di alta pressione all’Equatore e di bassa pressione ai poli. Per questa ragione, mancando l’attrito con la superficie terrestre, i venti in quota si muovono ad alta velocità con direzione parallela alle isobare. La conseguenza è lo spostamento di masse d’aria dall’Equatore verso Nord con una forte deviazione verso Est: si genera un movimento lungo i paralleli che forma le correnti occidentali, interrotte nella fascia intertropicale dalle correnti orientali 9.16 .

Ricorda

L’effetto Coriolis, o forza di Coriolis, è una dinamica atmosferica che influisce sulla direzione dei venti. A causa della rotazione ovest-est della Terra, le masse d’aria che si muovono dai poli verso le zone equatoriali subiscono una deviazione verso est, nell’emisfero boreale, e verso ovest nell’emisfero australe.

9.15 Modello di circolazione generale nella troposfera.

9.16 Circolazione atmosferica generale.

9.17 Andamento delle correnti a getto polare e subtropicale.

Le precipitazioni

Risposta breve

1. Quali sono i sistemi di celle convettive che si formano nella troposfera?

2. Che cosa sono le correnti a getto?

3. Quale relazione lega le onde di Rossby e la formazione di aree cicloniche e anticicloniche?

9.18 I fronti mobili.

nubi stratiformi

Alle medie latitudini le correnti occidentali possono raggiungere la velocità di 500 km/h formando le correnti a getto: si tratta di veri e propri “fiumi d’aria”, profondi alcuni kilometri e larghi fino a 500 km, che circolano con andamento sinuoso attorno al globo. In ogni emisfero ne sono presenti due: la corrente a getto del fronte polare, che si muove tra 45° e 65° di latitudine, e la corrente a getto subtropicale, tra 25° e 30° di latitudine 9.17 . Le correnti a getto si spostano verso i poli d’estate e verso i tropici d’inverno; durante questi spostamenti stagionali, si verificano delle oscillazioni cicliche della durata di qualche settimana, durante le quali si formano onde orizzontali molto ampie, dette onde di Rossby. Queste, approfondendosi fino a una certa ampiezza, possono spezzarsi e provocare la formazione di aree cicloniche e anticicloniche isolate. Questo spiegherebbe la discontinuità delle aree di bassa e alta pressione e il loro comportamento stagionale. Questo appena descritto è il modello dinamico, il quale più che essere alternativo al modello termico, si integra con esso per spiegare i fenomeni che avvengono nella bassa troposfera.

Le perturbazioni e i fronti

La continua formazione di cicloni e anticicloni temporanei, che cambiano frequentemente la loro posizione, determina l’instabilità nelle condizioni meteorologiche. Dal momento che negli anticicloni l’aria più densa si muove verso il basso e verso l’esterno, dove si riscalda, le zone di alta pressione sono associate a condizioni di bel tempo, poiché si ha una diminuzione dell’umidità relativa e non si formano nubi. Al contrario, i cicloni danno luogo a movimenti dell’aria dall’esterno verso il centro (dove risale) che causano il raffreddamento dell’aria e la formazione di nubi e precipitazioni; per questo i cicloni sono identificati con le perturbazioni atmosferiche. Le perturbazioni si distinguono in base alla latitudine alla quale si sviluppano.

 Cicloni extratropicali che si verificano alle medie latitudini (fra 30° e 60°) con estensioni di diverse migliaia di kilometri. Queste perturbazioni sono provocate dall’incontro di masse d’aria calda e umida di provenienza tropicale con masse d’aria fredda e secca di provenienza polare. A seconda che la massa di aria calda avanzi dietro quella fredda, fronte caldo, o viceversa, fronte freddo, si generano condizioni diverse: nel primo caso avremo nubi stratificate e precipitazioni deboli e persistenti; nel secondo, invece, imponenti sistemi cumuliformi e precipitazioni di tipo temporalesco violente. Il fronte occluso rappresenta la presenza simultanea delle due situazioni precedenti: in questo caso una massa di aria fredda si muove velocemente verso una massa calda preceduta, a sua volta, da un’altra massa di aria fredda. Appena i due fronti freddi si incontrano, l’aria calda viene spinta in alto e si formano masse cumuliformi, per l’incontro con l’aria fredda che precede, e nubi stratificate, per la sovrapposizione con l’aria fredda che segue. In questo caso si ha un rapido abbassamento delle temperature al suolo e fenomeni meteorologici inizialmente molto intensi ma destinati a placarsi per assenza di alimentazione di aria calda 9.18 .

stratiformi cumulonembi cumulonembi fronte occluso

VIDEO
aria calda
FRONTE CALDO
FRONTE FREDDO
FRONTE OCCLUSO
aria fredda
aria fredda aria calda
aria più fredda aria meno fredda

 Cicloni tropicali, ovvero perturbazioni che riguardano le basse latitudini (tra 5° e 30°), localizzate in una zona ristretta dove possono produrre effetti catastrofici. Le perturbazioni si originano per forti differenze di pressione, mentre sono minime le differenze di temperatura; di conseguenza non si formano fronti, come nel caso dei cicloni extratropicali, ma vortici di aria con zone di bassissima pressione al centro, dette occhio del ciclone. Intorno, l’aria calda e umida si solleva in correnti ascendenti e vorticose la cui velocità può superare anche i 200 km/h 9.19 .

A seconda delle zone in cui si manifestano, i cicloni prendono il nome di uragani, nell’Oceano Atlantico e Pacifico meridionale, tornado in America centro-settentrionale, tifoni nell’Oceano Pacifico settentrionale e willy-willies in Australia nord-occidentale.

Le previsioni del tempo

Quanto finora analizzato è connesso alla meteorologia, la scienza che studia i fenomeni fisici che avvengono nella troposfera e che sono responsabili del tempo atmosferico. Nel corso degli anni le esigenze di programmazione legate alle attività umane hanno richiesto sempre di più la conoscenza dell’evoluzione del tempo atmosferico per realizzare previsioni del tempo sempre più precise. Una previsione meteorologica ha come base di partenza una complessa raccolta di dati relativi a temperatura, pressione, umidità, velocità e direzione dei venti e piovosità. Per fare ciò, sono utilizzati vari strumenti che comprendono le stazioni meteorologiche (a bordo di navi o sulla terraferma), i palloni sonda, particolari palloni aerostatici su cui sono montati rilevatori metereologici, e i satelliti. I dati sono elaborati attraverso modelli matematici probabilistici che permettono di calcolare la probabilità con la quale può evolvere lo stato dell’atmosfera. Esistono diversi modelli, ciascuno adattato a una data area sulla base delle caratteristiche ambientali e morfologiche. Quanto elaborato permette di realizzare le carte sinottiche del tempo in cui, sulle linee delle isobare, sono riportate rappresentazioni grafiche che indicano fronti, copertura nuvolosa e relativa tipologia di precipitazione 9.20 .

9.19 Movimento dell’aria in un ciclone tropicale.

• Le previsioni del tempo

• APPassionati di meteo

2. Che cos’è la carta sinottica del tempo? Risposta breve

1. Quali metodi e quali strumenti sono usati per realizzare le previsioni del tempo?

9.20 La carta sinottica del tempo.

VIDEO

9.21 Il sistema della circolazione termoalina. In azzurro sono segnalate le correnti fredde, in rosso quelle calde e superficiali.

9.22 Distribuzione dei biomi in riferimento alla latitudine e all’altitudine.

Le correnti oceaniche

Lo squilibrio termico dato dal differente irraggiamento a diverse latitudini è la causa dei movimenti dell’atmosfera all’interno delle celle convettive, che favoriscono la ridistribuzione del calore. A questo riequilibrio termico contribuisce anche il sistema di circolazione globale delle correnti oceaniche. Le correnti superficiali e quelle profonde sono generate da gradienti di densità delle acque, prodotti a loro volta da gradienti di temperatura e salinità. Ciò dà origine della circolazione termoalina, un gigantesco movimento convettivo delle acque oceaniche che agisce come un “nastro trasportatore” di calore a tutte le latitudini, anche se in tempi molto lunghi 9.21 . Le acque calde delle correnti superficiali si muovono verso le alte latitudini, diventano più fredde e dense e sprofondano negli abissi (downwelling, dal verbo to well, sgorgare); le acque delle correnti profonde, fredde e salate, scorrono sul fondale e riemergono alle basse latitudini (upwelling) dove si ricongiungono a quelle superficiali.

9.4 I climi della Terra

Il clima comprende le condizioni atmosferiche che si verificano mediamente in una determinata e vasta area e in un periodo di almeno 30 anni.

Le specie vegetali, insieme alle specie animali e ai microrganismi, costituiscono un sistema che dipende direttamente delle caratteristiche climatiche. Un complesso di organismi che si è adattato a vivere in un certo ambiente e in particolari condizioni climatiche è chiamato bioma 9.22 .

boschi di latifoglie

foreste di sempreverdi

tropicali

tundra
foreste
Gli ambienti e i biomi
VIDEO

La classificazione dei climi non è di facile attuazione per la difficoltà di incasellare in schemi rigidi la grandissima varietà di climi presenti sul Pianeta. Tuttavia, lo studio delle coperture vegetali, insieme alla raccolta dei dati relativi a temperatura, pressione, piovosità mensili e annuali delle diverse regioni della Terra, mediati su più anni, sono alla base della classificazione dei climi di Köppen, dal meteorologo Wladimir Köppen che la propose nel 1918. Questa classificazione individua cinque gruppi climatici Tab. 9.3 che riguardano vaste aree della Terra, suddivisi a loro volta in altri tipi di climi 9.23 . I gruppi climatici sono disposti in successione secondo latitudini crescenti.

Gruppi

Tipi climatici Bioma

A megatermici (caldi umidi) equatoriale (senza stagione secca); tropicale (o della savana); monsonico

foresta pluviale; savana; giungla

Risposta breve

1. Come si definisce il clima?

2. Quali sono gli elementi e i fattori del clima?

3. Su quali criteri si basa la classificazione dei climi di Köppen?

tm maggiore di 18 °C per tutto l’anno

B aridi predesertico; desertico steppa; deserto deserti caldi: tm maggiore di 18 °C deserti freddi: tm minore di 18 °C

C mesotermici (temperati)

D microtermici (temperati freddi)

fresco-umido (senza stagione secca); sinico (con inverno secco) foresta decidua; macchia mediterranea; foresta subtropicale

tm mese più freddo compresa tra –3 °C e 18 °C

fresco-umido (senza stagione secca e con estate calda); freddo-secco (con inverno secco e prolungato)

foresta decidua; foresta di conifere tm mese più freddo minore di –3 °C tm mese più caldo compresa tra 10 °C e 22 °C

E nivali (polari)subpolare; polare tundra

tm mese più caldo minore di 10 °C

freddo a estate calda freddo a inverno prolungato Equatore

equatoriale e monsonico della savana predesertico desertico desertico freddo sinico mediterraneo temperato fresco

9.23 Distribuzione dei tipi climatici secondo Köppen.

di alta montagna subpolare del gelo perenne

Climi megatermici (A)
Climi mesotermici (C)
Climi microtermici (D)
Climi nivali (E)
Climi aridi (B)
Tabella 9.3 Classificazione di Köppen

9.24 (a) Nel mese di maggio del 2023, l’Emilia-Romagna è sata colpita da violente alluvioni, che causarono l’inondazione di diverse aree con ingenti danni per la popolazione. (b) Nel 2022 e nel 2023, invece, il Po ha registrato un lungo periodo di siccità a causa di una prolungata mancanza di precipitazioni che ne ha ridotto la portata anche del 30%.

9.5 Il cambiamento climatico

Il clima, così come l’intero Pianeta, si comporta come un sistema costituito da atmosfera, idrosfera, criosfera (permafrost e ghiacciai), litosfera e biosfera in equilibrio tra loro. Il clima evolve nel tempo sia per effetto dei fenomeni che avvengono al suo interno, sia a causa di fattori esterni, per esempio i cambiamenti indotti dalla specie umana. Sono proprio questi cambiamenti che stanno in tempi relativamente recenti alterando le condizioni dell’atmosfera, provocando, di conseguenza, un mutamento del clima. Come abbiamo visto, le attività umane degli ultimi due secoli hanno infatti provocato un aumento delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra, determinando un innalzamento della temperatura terrestre. Questo riscaldamento globale, o Global Warming, ha forti impatti sui sistemi naturali e umani. Eventi estremi come alluvioni, siccità, aumento del livello del mare, hanno effetti sugli ecosistemi e impattano gravemente sulle società umane, sul sostentamento, i servizi, le infrastrutture e anche sulla salute 9.24 .

La comunità internazionale ha preso atto del Global Warming e delle sue conseguenze, e avviato iniziative quali il Protocollo di Kyoto (1997) o l’Accordo di Parigi (2015). Nel 1988, per volere del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (United Nations Environment Programme, UNEP) e dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (World Meteorological Organization, WMO), è stato istituito Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) allo scopo di monitorare i cambiamenti climatici in atto e di formulare previsioni per il futuro.

Ogni sette anni, IPCC pubblica un rapporto che tratta le basi fisico-scientifiche del cambiamento climatico, i temi relativi a impatti, vulnerabilità, adattamento e mitigazione, oltre a un documento di sintesi.

Nel quinto Rapporto AR/5 del 2014, l’IPCC ha fornito una definizione di cambiamento climatico, condivisa da tutti gli Stati membri.

Il cambiamento climatico è “un cambiamento dello stato del clima che può essere identificato (per esempio, utilizzando test statistici) da cambiamenti nella media e/o nella variabilità delle sue proprietà”.

Nel marzo 2023, l’IPCC ha completato il Sesto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici (AR/6) con la pubblicazione del rapporto di sintesi che integra i risultati dei tre gruppi di lavoro e tre rapporti speciali pubblicati tra il 2018 e il 2022. L’AR/6 ha reso disponibili dati aggiornati e accurati per documentare le nostre conoscenze sul cambiamento climatico e sul suo impatto nei confronti di ambiente, società ed economia.

I cambiamenti climatici VIDEO

L’IPCC conferma che gli aumenti delle concentrazioni di gas serra, a partire dal 1750, sono senza dubbio causati dalle attività umane. Dal 2011, le concentrazioni dei gas serra in atmosfera hanno continuato ad aumentare. La concentrazione di diossido di carbonio registrata nel 2023 (420 ppm) è la più alta degli ultimi 2 milioni di anni, mentre le concentrazioni di metano e di ossido di azoto hanno raggiunto il picco degli ultimi 800 000 anni. Il 42% del totale dei gas serra di origine antropica è stato emesso negli ultimi 30 anni 9.25a . La temperatura media globale, rispetto al periodo 1850-1900, è aumentata di 1,1 °C e l’incremento è dovuto alle attività umane 9.25b . La temperatura media è aumentata di più sulle terre emerse (+1,59 °C) rispetto agli oceani (+0,88 °C).

A partire dal 1970, la temperatura superficiale globale è aumentata più velocemente che in qualsiasi altro periodo di 50 anni degli ultimi 2000 anni. Gli estremi di caldo e le ondate di calore sono diventati più frequenti e più intensi in molte aree. Durante il decennio 2011-2020 le temperature hanno superato quelle del più recente periodo caldo, risalente a circa 6500 anni fa. Circa il 90% dell’aumento di energia del sistema climatico è immagazzinato negli oceani. Conseguenza diretta del fenomeno è l’innalzamento del livello medio del mare, che è aumentato di 0,20 m tra il 1901 e il 2018. Nel periodo 1971-2018, l’espansione termica delle acque ha contributo per il 50% all’innalzamento del livello del mare, alla fusione dei ghiacciai per il 22%, alla riduzione delle calotte di ghiaccio per il 20% e ai cambiamenti nell’immagazzinamento delle acque terrestri per l’8%.

Anche la velocità con cui avvengono questi cambiamenti è aumentata. Negli ultimi 100 anni, l’oceano si è riscaldato più velocemente che dalla fine dell’ultima glaciazione (circa 11 000 anni fa) e il livello medio del mare è aumentato più rapidamente che in ogni secolo precedente degli ultimi 3000 anni. Nel periodo 2011-2020, la massa dello strato di ghiaccio è diminuita, sono state rilevate riduzioni dei ghiacciai in tutto il mondo e la neve primaverile è diminuita. La media annuale dell’area di ghiaccio marino della Groenlandia e dell’Artico ha raggiunto il livello più basso dal 1850. Le precipitazioni globali medie sono aumentate dal 1950 e più rapidamente dal 1980. Si prevede che le precipitazioni tenderanno ad aumentare alle medie latitudini dell’emisfero boreale, mentre ad altre latitudini la tendenza potrebbe essere negativa. Sono inoltre aumentate le zone con frequenti precipitazioni di forte intensità, con un conseguente aumento del rischio di inondazione. Infine, è stato confermato che sono aumentati, a partire dal 1970, gli eventi estremi sul livello del mare, come alluvioni costiere e trombe d’aria.

Ricorda

ppm, acronimo della sigla inglese Parts Per Million (parti per milione) è un’unità di misura usata per esprimere la concentrazione di una sostanza presente in una soluzione o miscela. ppb, è invece acronimo della sigla inglese Parts Per Billion (parti per miliardo), ed è anch’essa usata per esprimere la concentrazione.

9.25 (a) Variazione delle concentrazioni dei gas a effetto serra. (b) Variazioni della temperatura media globale.

Risposta breve

1. Di che cosa si occupa l’IPCC?

2. Qual è la definizione di cambiamento climatico condiviso dalla comunità internazionale?

3. Qual è il valore raggiunto la concentrazione di CO2 nell’atmosfera nel 2023?

4. Di quanto sono aumentati i valori medi della temperatura sulle terre emerse e sui mari?

5. Quali fattori hanno contribuito all’innalzamento di 0,20 m del livello medio dei mari?

Diossido di carbonio Metano Monossido di azoto

9.26 Fotografia ravvicinata di una macchia solare.

La precessione degli equinozi è un movimento millenario della Terra. Consiste in una rotazione dell’asse terrestre attorno alla perpendicolare all’eclittica che si compie in circa 25 000 anni.

Le cause delle variazioni del clima

I cambiamenti climatici terresti, avvenuti in tempi molto lunghi sin dalla formazione dell’atmosfera, possono originarsi da diversi fenomeni di variabilità naturale, distinti tra fattori naturali esterni al sistema, come le fluttuazioni dell’attività solare e le variazioni dei parametri orbitali, e fattori naturali interni, come l’attività vulcanica. Alcuni di questi fattori hanno la peculiarità di mostrare una ciclicità.

I cambiamenti più recenti sono invece avvenuti in tempi molto più brevi e dipendono per la maggior parte da fattori non naturali, ovvero da attività antropiche.

Fluttuazioni nella quantità di radiazione emessa dal Sole

La radiazione solare dipende dalle esplosioni che si verificano sulla superficie solare ed è influenzata dalla comparsa delle macchie solari, aree interessate da una particolare attività magnetica nel Sole. Tali eventi, che hanno una ciclicità media di circa 11 anni, possono provocare variazioni della temperatura terrestre 9.26 .

Variazioni nei parametri orbitali

La quantità di radiazione che giunge sulla Terra dipende anche da tre parametri orbitali che variano ciclicamente. Il primo è la direzione verso cui è inclinato l’asse terrestre, che attualmente punta verso la Stella polare e che nell’arco di circa 21 000 anni descrive un moto doppio-conico provocando la precessione degli equinozi. Il secondo è l’obliquità dell’asse che, oltre a cambiare orientazione, oscilla tra 21,5° e 24,5° rispetto la verticale, tornando alla posizione di partenza circa ogni 40 000 anni. Infine, l’eccentricità dell’orbita terrestre intorno al Sole, che è ellittica ma tende a essere più o meno schiacciata ogni 100 000 anni. La sovrapposizione di questi effetti produce una continua variazione nel calore che arriva alla Terra.

Attività vulcanica

Le grandi eruzioni esplosive immettono nell’atmosfera enormi quantità di ceneri, gas e goccioline di acidi, per esempio di acido solforico, che possono raggiungere la base della stratosfera e formare uno strato di materiale in grado di schermare una parte dei raggi solari. La conseguenza è quindi un raffreddamento globale negli anni successivi all’eruzione. Gli effetti delle eruzioni vulcaniche sono in genere di breve durata.

Attività antropiche

A influire maggiormente sui cambiamenti climatici sono però i fattori antropogenici, indotti dalla crescita della popolazione umana e dalle sue attività. Agli albori della civiltà, circa nel 4000 a.C., l’umanità mondiale era stimata di poche decine di milioni, nel 1850 ha raggiunto il miliardo e, nel 2024, è superiore agli 8 miliardi. È facile dedurre che questa ingente popolazione ha anche bisogno di quantità sempre maggiori di risorse in termini di agricoltura, allevamenti, materiali da costruzione (legno e pietre), minerali per i metalli e petrolio per i carburanti e le plastiche; è un dato di fatto che, parallelamente all’aumento della popolazione, si sia verificato un aumento delle temperature superficiali medie.

Per riuscire a comprendere fino a che punto gli esseri umani influenzino il cambiamento climatico, sono stati utilizzati dei modelli numerici per ricostruire l’andamento della temperatura globale dall’era preindustriale in poi.

Le simulazioni dimostrano che, considerando solo i fenomeni naturali come l’attività solare e vulcanica, dal 1850 a oggi si sarebbe dovuto verificare un leggero

Ricorda

raffreddamento del sistema Terra e le altre variazioni naturali avrebbero avuto un ruolo troppo piccolo per spiegare il riscaldamento che invece è stato registrato. Al contrario, inserendo i fattori antropogenici, i modelli climatici sono in grado di simulare su scala globale il riscaldamento effettivamente osservato 9.27 . La comunità scientifica concorda quindi nel ritenere che le attività umane rappresentino la causa principale del riscaldamento globale in atto. Quest’ultimo, in sintesi, può essere ricondotto a quattro principali fattori antropogenici: incremento della popolazione, aumento del consumo dei combustibili fossili, agricoltura e allevamento intensivo e deforestazione.

Dati osservati

Fattori antropogenici e naturali

Fattori antropogenici

Fattori naturali variazione

9.27 Il grafico rappresenta il risultato delle simulazioni tenendo conto solo dei fattori naturali (linea in azzurro), solo dei fattori antropogenici (linea in rosso) e combinando i due fattori (linea in verde . La linea gialla rappresenta i dati empirici raccolti.

COLLEGA Letteratura inglese

La natura inviolabile che si ribella all’essere umano

Opera: The Rime of the Ancient Mariner, Lyrical Ballads (1789)

Autore: Samuel Taylor Coleridge

The Rime of the Ancient Mariner è considerato come manifesto del romanticismo inglese. Il personaggio principale del poema di Coleridge è un anonimo e anziano marinaio che incontra tre giovani che si stanno recando a un banchetto di nozze. Il marinaio trattiene uno di loro e per raccontargli le sue passate avventure in mare. Su una nave bloccata dai ghiacci vicino al Polo Sud, il marinaio e il suo equipaggio avevano ricevuto la visita di un albatros, un grande uccello di mare considerato da sempre di buon auspicio 9.a. Difatti, proprio col suo arrivo, la nave riuscì a liberarsi dai ghiacci e a proseguire la navigazione verso nord, sempre seguita dal gigantesco uccello. A un certo punto, inspiegabilmente, il marinaio sparò all’albatros e lo uccise, attirando così una maledizione sulla nave e sul suo equipaggio. Unico sopravvissuto ai misteriosi agenti soprannaturali, solo e disperato, il vecchio marinaio capì allora che la penitenza per il suo atto distruttivo

sarebbe stato vagare per il mondo raccontando la sua terribile storia. L’uccisione dell’albatros può essere interpretata come un tentativo da parte dell’essere umano di dominare la natura. Coleridge presenta la natura come un elemento vivo, potente e sublime nel senso romantico del termine. La natura, ci suggerisce l’autore, è creazione divina e chi interagisce con la natura lo fa indirettamente anche con il mondo spirituale. Pertanto, tentare di dominare la natura è un affronto al mondo spirituale, una mancanza morale e un peccato. La conseguente punizione si presenta come una combinazione di naturale e spirituale o soprannaturale, che si manifesta nel poema ogni volta che gli spiriti insorgono e trascinano o fermano la nave. Solo quando il marinaio impara a convivere con il mondo naturale e a valorizzarlo, la punizione contro di lui si attenua. Il poema, quindi, pone l’apprezzamento e la valorizzazione della natura non solo come importante in sé, ma soprattutto come una necessità spirituale per l’individuo.

Tutto ciò può essere letto in chiave contemporanea per quanto riguarda i cambiamenti climatici di origine antropica. L’essere umano ha dimenticato il proprio rapporto con la natura e ne subisce le

inevitabili conseguenze. Analogamente, la soluzione può essere data dalla consapevolezza delle proprie azioni e cercare di porre rimedio.

9.a Un albatros in volo.

Un passo in più Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Letteratura italiana). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

Risposta breve

1. Quali fenomeni naturali influiscono sulle variazioni del clima?

2. Qual è il ruolo dei fattori antropogenici nel cambiamento climatico?

3. Quali processi di retroazione mette in atto un sistema in risposta ai cambiamenti?

4. Quali sono le conseguenze della fusione di vaste aree di permafrost?

I processi di feedback

Tra i fattori che rendono difficile l’interpretazione del clima e le previsioni sulla sua evoluzione, ci sono i processi di retroazione, o feedback, messi in atto dai sistemi come meccanismi regolatori. Questi meccanismi tendono ad amplificare gli effetti di un fenomeno (feedback positivi) o a ridurli (feedback negativi). Anche il sistema Terra risponde al riscaldamento dell’atmosfera, o al suo raffreddamento, innescando dei meccanismi che tendono a rinforzare o a contrastare i cambiamenti della temperatura. Alcuni di questi processi sono da tempo oggetto della ricerca scientifica.

 Cambiamento nell’albedo della Terra. L’albedo è il rapporto tra l’energia riflessa dal Pianeta e l’energia incidente ed è pari a circa 0,35. La fusione dei ghiacci dovuta al riscaldamento globale innesca un feedback positivo: oceani e aree continentali prive di copertura glaciale assorbono maggiori quantità di radiazione solare, con conseguente riduzione dei valori dell’albedo e ulteriore aumento della temperatura atmosferica 9.28 .

 Variazioni del vapore acqueo. L’innalzamento della temperatura causa un aumento della concentrazione atmosferica di vapore acqueo e, quindi, della copertura nuvolosa. Nubi basse e stratificate sembrano avere un effetto riflettente, mentre quelle ad alta quota mostrano un maggior effetto serra.

 Alterazioni delle correnti oceaniche. Il riscaldamento globale potrebbe avere un’influenza sul sistema della circolazione termoalina. Nell’Oceano Atlantico, a causa della fusione dei ghiacci polari, quantità sempre maggiori di acque dolci si stanno riversando nella Corrente nord-atlantica, rendendola meno densa. Se questo processo continua, fino a raggiungere un valore critico, l’acqua marina non sarà più in grado di inabissarsi, provocando l’alterazione della Corrente del Golfo.

 Fusione del permafrost. Il permafrost è un terreno caratteristico delle aree settentrionali dell’emisfero boreale, composto da uno strato superiore popolato da batteri e microrganismi, e da uno profondo perennemente gelato. Il riscaldamento in atto favorisce l’attività dei microrganismi superficiali e la fusione degli strati gelati e contenenti gas serra. Il rilascio del metano e dei gas intrappolati nel permafrost rappresenta un feedback positivo 9.29 .

 Aumento della temperatura degli oceani. L’aumento della temperatura provoca una diminuzione della capacità di assorbimento del diossido di carbonio da parte delle acque oceaniche. Il CO2 che rimane in atmosfera innesca un feedback positivo.

9.28 L’estensione dei ghiacci delle regioni artiche rilevata a settembre del 2020. La linea gialla corrisponde ai valori medi registrati fino a qualche decennio fa. La fusione dei ghiacci innesca un feedback positivo.

9.29 Scogliera di permafrost nella località Stinky Bluffs (scogliere puzzolenti) in Alaska (USA), chiamata così poiché la loro fusione causa la liberazione di gas, tra cui il metano.

9.6 Mitigazione climatica e adattamento

Si calcola che, a livello mondiale, ogni anno siano immesse nell’atmosfera circa 51 miliardi di tonnellate di gas serra. Nel 2020 le emissioni sono calate di circa 2,7 miliardi di tonnellate a causa del rallentamento delle attività produttive dovuto alla pandemia da COVID-19, ma nel 2023 le emissioni hanno ripreso a crescere, aumentando dell’1,1% rispetto al periodo pre-pandemico. Nella comunità scientifica, alcuni ritengono che tra le concause della stessa pandemia ci sia anche il cambiamento climatico in atto. I mutamenti degli ecosistemi causati dal riscaldamento globale, insieme agli interventi invasivi sul territorio (come il disboscamento intensivo) hanno favorito il passaggio di virus in nuovi ambienti e in popolazioni animali diverse, arrivando a infettare anche l’essere umano. La comunità internazionale ha dovuto prendere coscienza della necessità immediata di intervenire sui cambiamenti climatici e di mettere un freno alle emissioni di CO2 e di gas serra. L’Unione europea ha varato una Legge europea sul clima, all’interno del Green Deal europeo avviato nel 2019. Obiettivo della legge è quello di raggiungere un impatto climatico zero entro il 2050, mettendo in atto misure tecnologiche, misure basate sugli ecosistemi e misure che favoriscano il cambiamento dei comportamenti dei singoli per raggiungere la neutralità climatica. Nell’aprile 2021, i paesi dell’UE hanno firmato un accordo nel quale si impegnano a ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, in modo da mantenere al di sotto dei 2 °C l’aumento della temperatura. I concetti chiave sui quali si basano gli interventi delle nazioni in materia di riduzione dell’impatto ambientale causato dai cambiamenti climatici sono due: mitigazione e adattamento.

La mitigazione comprende tutte le azioni volte a ridurre la quantità di gas serra nell’atmosfera intervenendo direttamente sulle cause, con lo scopo di diminuire le fonti di rilascio dei gas e potenziarne le fonti di assorbimento.

L’aumento dell’efficienza energetica, l’utilizzo di tecnologie a basse emissioni di carbonio, il rimboschimento e la salvaguardia delle foreste fanno parte di un sistema di approcci diversi volto al raggiungimento degli obiettivi della mitigazione climatica 9.30 . Malgrado gli interventi di mitigazione che sono stati avviati, il cambiamento climatico in atto continua: le temperature sono in aumento, l’andamento delle precipitazioni sta cambiando, ghiaccio e neve fondono a ritmi sempre più elevati, il livello del mare si sta innalzando e gli eventi meteorologici estremi, quali inondazioni e siccità, sono più frequenti e intensi in molte aree del Pianeta. Sono quindi necessarie azioni complementari, che rientrano nel concetto di adattamento climatico.

9.30 L’impiego di autobus a trazione elettrica per il trasporto urbano rientra nelle attività per la mitigazione climatica messe in atto in molte città.

Risposta breve

1. Che cosa significa il termine “neutralità climatica”?

2. Quali sono le principali differenze tra “mitigazione climatica” e “adattamento climatico”?

3. Quali interventi favoriscono il raggiungimento degli obiettivi della mitigazione climatica?

4. Quali tipi di strategie sono state messe in atto dall’UE per favorire l’adattamento climatico?

9.31 Il bosco verticale realizzato a Milano su progetto dell’architetto Stefano Boeri è un esempio di edificio realizzato secondo criteri di bioedilizia.

L’adattamento è un processo di adeguamento al clima e ai suoi effetti presenti e futuri.

Mentre con la mitigazione i risultati sono attesi nel lungo periodo, gli effetti delle azioni di adattamento si devono verificare nell’immediato. Si tratta di strategie che, pur differendo dagli interventi di mitigazione per costi, scala temporale e scala spaziale, sono a essi complementari, come sottolineato dall’IPCC e dai rapporti dell’UE.

Nel 2021 la Commissione Europea ha adottato una nuova Strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Secondo la nuova strategia, un adattamento più efficace deve essere basato su un’ampia base di conoscenze dei cambiamenti climatici facilmente accessibili a tutti, come la Piattaforma Climate ADAPT, che la Commissione intende potenziare dal punto di vista sia delle informazioni rese disponibili, sia dell’estensione della rete di utenti. Le informazioni sono necessarie per integrare le politiche di adattamento in ogni settore. Ad alluvioni e uragani più intensi sono da contrapporre nuove infrastrutture, per esempio strade con miglior capacità di drenaggio o resistenza al vento, mentre agli incendi che sempre più di frequente si sviluppano in occasione delle ondate di calore è necessario rispondere con sistemi di evacuazione più efficaci, per evitare tragedie in termini di vite umane.

Le aree urbane risentono maggiormente delle conseguenze del cambiamento climatico: occupano circa il 3% della superficie del Pianeta, ospitano circa il 55% della popolazione mondiale (una proporzione destinata a aumentare nei prossimi decenni), consumano più di due terzi dell’energia mondiale e immettono nell’atmosfera circa il 75% di CO2. Inoltre, il 90% delle aree urbane, che si estende lungo le zone costiere, è ad alto rischio per alcuni degli eventi più devastanti dei cambiamenti climatici, come l’innalzamento del livello del mare e i fenomeni meteorologici estremi.

Molte città europee, come Amsterdam, Rotterdam e Milano, hanno messo in atto una serie di interventi per affrontare i cambiamenti climatici e dare un volto nuovo al tessuto urbano. Per esempio, è stata incentivata la mobilità sostenibile e favoriti i progetti di green building (bioedilizia, bioarchitettura) che prevedono la costruzione di edifici sostenibili per quel che riguarda i materiali edilizi impiegati (facili da reperire e il più possibile riciclabili), l’efficienza energetica, l’uso di energie rinnovabili, la scelta dei materiali di rivestimento, che possono essere coperture vegetali e piante in grado di contribuire alla mitigazione del microclima degli edifici 9.31 . Aumentare la copertura vegetale in ogni area disponibile dello spazio urbano (tetti e facciate degli edifici, strade, scuole, stadi) e, ampliando la visuale, piantare miliardi di alberi in tutto il Pianeta rappresenterebbero gli interventi di mitigazione climatica più efficaci, in grado di contenere sensibilmente le concentrazioni di CO2 e di allungare in questo modo di qualche decennio il tempo a nostra disposizione per modificare i sistemi produttivi, le strutture dei nostri insediamenti, le nostre abitudini di vita.

Ai concetti di mitigazione e adattamento oggi si associa quello di resilienza climatica, che si applica in particolar modo ai sistemi sociali: con resilienza si intende la capacità di una comunità di affrontare il cambiamento senza perdere la propria identità, di affrontare le difficoltà senza chiudersi alle trasformazioni ma anche mantenendo salde le proprie radici. In questa direzione si sta muovendo anche l’Italia, che nel recente PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha previsto ingenti investimenti nel settore della transizione ecologica per affrontare le sfide del cambiamento climatico.

U9 Ripassa con metodo

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ATMOSFERA

è l’involucro di

che avvolge il Pianeta,lo protegge dalle nocive e dai meteoriti e mantiene la temperatura superficiale adatta alla vita

Quali gas contiene l’aria?

ARIA SECCA GAS SERRA

al 78 %

O2 al Ar allo 0,9 % allo 0,04 %

CO2, CH4, H2O allo stato di vapore e ossidi di azoto

EFFETTO SERRA

determina l’aumento della media della Terra perché riflette i raggi a onda lunga emessi dalla superficie

Si quale fenomeno è responsabile il suo aumento?

provoca la fusione dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari e fenomeni atmosferici estremi

Qual è la sua struttura?

STRUTTURA A SFERE

L’atmosfera ha una struttura a strati sovrapposti: , , mesosfera, stratosfera e troposfera (la più alla superficie terrestre)

Quali fenomeni avvengono nella troposfera?

che comprende le condizioni del tempo che si verificano in periodi di almeno anni

Su quale caratteristica del nostro Pianeta causa cambiamenti?

TEMPO E FENOMENI METEREOLOGICI

Quali elementi lo caratterizzano?

TEMPERATURA

dipende da fattori come altitudine, latitudine, distribuzione di terre emerse e mari

si misura con il barometro e varia in funzione dell’ e della temperatura che si misura con l’ e può essere assoluta o

UMIDITÀ

U9 Conoscenze e abilità

1 Vero o falso?

a. I gas atmosferici si concentrano nella bassa atmosfera V F

b. Il gas più abbondante nell’aria è l’ossigeno molecolare V F

c. Il pulviscolo atmosferico ha un ruolo importante nel processo di formazione delle precipitazioni

F

2 Quale era la composizione dell’atmosfera primordiale?

3 Attraverso quale processo biochimico l’atmosfera si è arricchita di azoto molecolare?

4 Quali sono le differenze tra bassa e alta atmosfera?

5 Quali fenomeni avvengono nella mesosfera?

6 Quali sono le caratteristiche fisico-chimiche della frangia dell’atmosfera?

7 La bassa atmosfera: corrisponde alla troposfera comprende troposfera, stratosfera e mesosfera si estende fino a 90 km di altezza sono vere b e c

8 Il 21% della miscela di gas atmosferici è costituita da: azoto molecolare diossido di carbonio ossigeno molecolare vapore acqueo

9 La reazione di formazione dello strato di ozono: si verifica nella stratosfera è innescata dall’energia delle radiazioni ultraviolette avviene a circa 50 km di altezza tutte le risposte sono corrette

10 La ionizzazione dei gas atmosferici: ha luogo nella stratopausa determina la formazione dello stato di ozono origina le aurore polari è causa della rarefazione delle molecole

11 Qual è la principale differenza tra l’atmosfera terrestre e quella degli altri pianeti? Perché?

12 In cosa consiste l’inquinamento atmosferico causato dalle attività produttive?

13 Quali condizioni sono all’origine dei movimenti convettivi all’interno della troposfera?

14 Qual è l’origine delle particelle che compongono il pulviscolo atmosferico?

15 Che cosa sono le pause? Quali condizioni si realizzano al loro interno?

16 Il gradiente termico verticale nella troposfera equivale a:

6 °C ogni 1000 metri di quota

10 °C ogni 100 metri di quota

2 calorie per centimetro quadrato nessuna risposta è corretta

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

9.2 Il riscaldamento dell’atmosfera

17 Vero o falso?

a. Il potere riflettente della Terra corrisponde al suo albedo V F

b. La superficie terrestre riceve la quasi totalità delle radiazioni solari V F

c. L’insolazione è uniforme su tutta la superficie del Pianeta V F

d. I gas serra intercettano le radiazioni a onda corta riflesse dalla superficie terrestre V F

e. L’effetto serra è un fenomeno che danneggia la vita V F

18 Partendo da una quantità 100 di energia proveniente dal Sole si può affermare che: l’intera quantità raggiunge la superficie terrestre

25 parti sono riflesse dalle nubi e dall’atmosfera e tornano nello spazio

5 parti sono assorbite dai gas atmosferici 47 parti sono assorbite dalle rocce e dalle componenti della superficie terrestre

19 I gas serra: permettono alla Terra di mantenere una temperatura media superficiale di 15 °C sono responsabili della riflessione delle radiazioni solari nello spazio assorbono e riemettono le radiazioni a onda corta possono ostacolare la formazione dello strato di ozono

20 Descrivi brevemente il bilancio termico della Terra.

21 Perché l’insolazione non è uguale in tutte le aree del Pianeta?

22 Quale caratteristica chimica rende alcuni gas della troposfera responsabili dell’effetto serra?

23 Quali fattori hanno stanno provocando l’incremento dell’effetto serra?

9.3 Tempo e fenomeni meteorologici complessi

24 Vero o falso?

a. La troposfera è riscaldata in prevalenza dalla radiazione emessa dalla superficie terrestre V F

b. Un volume di aria umida esercita una pressione minore dello stesso volume di aria secca V F

c. In un’area anticiclonica la pressione è inferiore a 1013 mbar V F

d. Le brezze sono venti periodici V F

e. L’umidità assoluta è la quantità di vapore che è contenuta in un metro cubo d’aria quando raggiunge la saturazione V F

f. Le celle di Hadley si trovano alle medie latitudini V F

g. Le correnti a getto si muovono nell’alta troposfera V F

h. Le zone di bassa pressione sono associate a condizioni di bel tempo V F

i. Uragani, tornado, tifoni e willy-willies sono cicloni extratropicali V F

25 Quali sono gli elementi del tempo atmosferico?

26 Da che cosa deriva l’equazione 1 atm = 760 torr?

27 Che cos’è il gradiente di pressione?

28 Quali sono le differenze tra venti permanenti, periodici e variabili?

29 Quale delle seguenti affermazioni non è corretta? Si verifica una diminuzione di pressione quando: ci si sposta a quote più basse aumenta la temperatura diminuisce la temperatura aumenta il contenuto in vapore acqueo

30 In quale dei seguenti casi si sviluppa una nube? Quando l’aria fredda e secca risale un pendio Quando una massa d’aria si riscalda e si dilata Quando la temperatura di una massa d’aria scende al di sotto della temperatura di condensazione Quando una massa d’aria è sottosatura in vapore acqueo

31 Le perturbazioni atmosferiche: sono associate a zone anticicloniche sono associate a zone dove la pressione è superiore a 1013 millibar sono associate a zone cicloniche nessuna delle risposte è corretta

32 Le correnti occidentali e orientali: si sviluppano ad alta quota dove manca l’attrito con la superficie terrestre si sviluppano nelle zone di convergenza tra due celle convettive si sviluppano nelle zone di divergenza tra due celle convettive sono tipiche delle zone polari

33 Si avrà formazione di un ciclone quando: una massa d’aria calda avanza dietro una massa d’aria fredda due masse d’aria fredda chiudono tra loro una massa d’aria calda si formano vortici d’aria per effetto di forti differenze di pressione e minime differenze di temperatura una massa di aria fredda avanza dietro una massa di aria calda

34 Che cosa può ridurre l’escursione termica in un territorio?

35 In che modo le correnti a getto influenzano le condizioni del tempo nel corso delle stagioni?

36 Illustra e metti a confronto il modello termico e il modello dinamico usati in meteorologia per spiegare i fenomeni che avvengono nella bassa troposfera.

37 Fornisci le definizioni di umidità assoluta e umidità relativa e mettile a confronto.

38 In quale delle seguenti località si registrano escursioni termiche annue elevate?

Regione affacciata sul mare

Territorio che circonda un lago

Zona interna di un continente

Area costiera bagnata dalle acque di una corrente calda

9.4 I climi della Terra

39 Vero o falso?

a. Per definire le condizioni climatiche di una località sono sufficienti osservazioni di pochi mesi V F

b. La temperatura costituisce un fattore del clima V F

c. Le correnti oceaniche sono un fattore climatico che influisce sulla temperatura V F

d. Le regioni che hanno un clima simile appartengono allo stesso gruppo climatico V F

40 Quali sono le caratteristiche dei climi che appartengono al gruppo A?

41 A quale gruppo climatico appartengono i biomi della macchia mediterranea e della foresta decidua?

9.5-6 Il cambiamento climatico, mitigazione e adattamento

42 Vero o falso?

a. Dal 1850 la temperatura media globale è aumentata di meno di 1 °C V F

b. Secondo l’IPCC l’acidità e la salinità delle acque oceaniche si mantengono stabili V F

c. Il numero di giornate calde e di ondate di calore è aumentato dalla metà del XX secolo V F

d. Entro il 2030 l’UE vuole raggiungere la neutralità climatica V F

e. La conservazione del patrimonio forestale e il rimboschimento sono azioni di mitigazione climatica V F

f. Le strategie di adattamento hanno obiettivi a lungo termine V F

43 Che cosa contengono i rapporti pubblicati periodicamente dall’IPCC?

44 Quali di queste affermazioni sulle cause del cambiamento climatico è falsa?

I fenomeni ciclici che avvengono sul Sole influenzano la temperatura terrestre

Le eruzioni vulcaniche violente innescano un feedback positivo sul clima

La fusione dei ghiacci provoca una variazione dell’albedo terrestre

L’aumento della popolazione umana è un importante fattore antropogenico di cambiamento climatico

45 La legge europea sul clima prevede: di azzerare completamente le emissioni di CO2 entro i prossimi dieci anni di ridurre del 55% le emissioni di CO2 rispetto ai valori del 1990, entro il 2030 di mantenere l’aumento della temperatura media al di sotto di 2 °C sono vere sia b sia c

46 Quale delle seguenti affermazioni non è corretta? La mitigazione climatica: comprende tutte le azioni per ridurre le emissioni di CO2 comprende tutte le azioni per potenziare l’assorbimento de gas serra comprende tutti i processi con effetti a breve termine prevede di ottenere risultati a lungo termine

47 INGLESE Why is the Earth’s heat balance equal to zero?

48 INGLESE In which way you can define the relative humidity?

49 INGLESE Why water vapor is considered a positive feedback for global warming?

50 INGLESE What relationships exist between the climate of a region and the thermohaline circulation?

51 INGLESE The radiation, in terms of wavelenght, absorbed by greenhouse gases is the: radio waves microwaves infrared waves ultraviolet waves

52 INGLESE The wind is produced by the: movement of air masses from low to high pressure zone movement of air masses from high to low pressure zone movement of air masses from high to low temperature zone

53 METODO INDUTTIVO Osserva il seguente disegno e rispondi alle domande

aria calda

fronte stazionario aria fredda

fronte caldo

fronte freddo

fronte occluso

a. Il disegno rappresenta il processo di formazione di un particolare tipo di perturbazione: quale?

b. Descrivi le caratteristiche dei tipi di fronti rappresentati e Illustra ogni fase del processo.

54 PROGETTARE Lo sbiancamento dei coralli, o coral bleaching, è un fenomeno che si sta diffondendo nelle barriere coralline, pregiudicando la sopravvivenza di questi ecosistemi. Esegui una ricerca in Internet, raccogli informazioni sull’anatomia e la fisiologia dei coralli e rispondi alle seguenti domande.

a. Perché i coralli possono vivere solo in particolari condizioni chimico-fisiche delle acque?

b. Sai spiegare perché il riscaldamento globale è la causa principale del coral bleaching e della morte dei coralli?

Dopo aver raccolto le informazioni, scrivi lo script di una breve puntata podcast per sensibilizzare sull’argomento.

55 SOSTENIBILITÀ Secondo l’IPCC, entro la fine del secolo attuale, l’innalzamento del livello dei mari potrebbe attestarsi intorno ai 60 cm. Secondo altri ricercatori i valori sarebbero ancora più elevati: l’innalzamento di 1 metro modificherebbe il profilo costiero di vaste aree del Pianeta e provocherebbe la sommersione di molte isole oceaniche. Kiribati è un arcipelago dell’Oceania che rischia di scomparire nell’arco di pochi decenni.

Ricerca in Internet informazioni su questo Paese per comprendere i problemi che già oggi devono affrontare gli abitanti di queste isole e informati sulle iniziative di adattamento climatico che sono in atto per impedire che diventino “migranti climatici” entro qualche anno.

56 METODO INDUTTIVO Usa le tue conoscenze per ricavare informazioni dalla lettura della carta sinottica.

a. Considerando il movimento delle masse d’aria in funzione delle zone di alta e bassa pressione, da che punto cardinale ti aspetti spiri il vento in Scozia?

b. Hai prenotato un viaggio a Londra, nel sudovest della Gran Bretagna: che tipo di tempo ti aspetti di trovare?

c. Dove ritieni che ci sia una forte possibilità di pioggia?

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Descrivi la composizione chimica dell’atmosfera e spiega l’origine di questa particolare miscela gassosa utilizzando le seguenti parole chiave: accrezione terrestre • diossido di carbonio • diossido di zolfo • ammoniaca • metano • vapore acqueo • ossigeno • organismi fotosintetici • sfere geochimiche • biosfera

2 Descrivi il fenomeno dell’effetto serra utilizzando le seguenti parole chiave: insolazione • radiazioni a onda corta • radiazioni a onda lunga • gas serra • temperatura • troposfera

3 Metti a confronto la circolazione generale delle masse d’aria nella bassa troposfera con quella che avviene nell’alta troposfera utilizzando le seguenti parole-chiave: modello termico • celle di Hadley • celle di Ferrel • celle polari • correnti orientali • correnti occidentali • correnti a getto • modello dinamico

4 Illustra i criteri della classificazione dei climi di Köppen utilizzando le seguenti parole chiave: coperture vegetali • temperatura • pressione • piovosità • gruppi climatici-tipi climatici • biomi

Prova a partire così

5 Quali sono le caratteristiche del tempo atmosferico che determinano le condizioni meteorologiche? Il tempo atmosferico è l’insieme dei che avvengono irregolarmente nella in intervalli di tempo piuttosto . Gli del tempo sono temperatura, umidità e pressione dell’aria che varia in funzione della di vapore acqueo.

6 Che cosa sono le isobare e quali informazioni si ottengono dalla lettura delle carte che le rappresentano?

Le isobare sono le linee che congiungono punti di uguale atmosferica, corretti rispetto al livello del mare e alla temperatura di , espressi in Le zone concentriche dove i valori indicati dalle isobare diminuiscono procedendo dalla periferia verso il centro si chiamano aree , dove invece i valori verso il centro sono localizzate aree

7 Come si formano le perturbazioni atmosferiche e come sono distinte?

Le zone di pressione, chiamate anche , sono associate a condizioni di bel tempo, mentre nelle zone di pressione, dette cicloni, si formano nubi e . I cicloni sono quindi identificati con le atmosferiche, che si distinguono in base alla alla quale si sviluppano: i cicloni avvengono fra 30° e 60° di latitudine, mentre quelli tropicali sono perturbazioni localizzate alle basse latitudini.

Organizza il discorso

8 Descrivi il fenomeno del riscaldamento globale e illustra cause ed effetti del cambiamento climatico in atto. Prova a seguire questa scaletta:

Il riscaldamento globale è un fenomeno complesso

Esistono fenomeni di variabilità naturale che possono provocare cambiamenti del clima

Per spiegare il riscaldamento in atto è tuttavia necessario introdurre nei modelli climatici i fattori antropogenici

Gli effetti più significativi del riscaldamento globale

9 Descrivi gli interventi che possono essere realizzati per fronteggiare il cambiamento climatico. Prova a seguire questa scaletta:

L’IPCC e gli accordi internazionali sulle misure da mettere in atto per contrastare il cambiamento climatico

Le cause naturali delle variazioni del clima

Le cause antropiche del cambiamento climatico in corso

Le azioni di mitigazione e adattamento, che cosa sono e alcuni esempi

10 UN PASSO IN PIÙ Spiega le differenze tra interventi di mitigazione climatica e interventi di adattamento e illustra alcune iniziative messe in atto nella regione dove vivi per affrontare il cambiamento climatico.

Simula un colloquio d’esame

11 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

10 Le scienze per la sostenibilità

10.1 L’Antropocene

La scala cronostratigrafica

Risposta breve

1. Che cos’è la scala cronostratigrafica?

2. In quale momento della storia della Terra stiamo vivendo?

3. Sulla base di quali osservazioni alcuni scienziati hanno proposto di introdurre una nuova epoca, l’Antropocene?

Come abbiamo già visto, la scala cronostratigrafica ricostruisce la storia della Terra sulla base dello studio e del riconoscimento dei fossili e sul confronto tra serie stratigrafiche di tutto il mondo. In queste ultime sono infatti conservati i segni degli eventi geologici avvenuti in diversi periodi di tempo. Secondo questa scala, oggi viviamo nell’era cenozoica (iniziata circa 65 milioni di anni fa), nel periodo quaternario (iniziato 2 milioni di anni fa) e nell’epoca detta Olocene, che iniziò alla fine dell’ultima glaciazione dell’emisfero boreale, circa 11 700 anni fa. Nel 2000, durante un convegno scientifico, il chimico premio Nobel Paul Crutzen sostenne che, sulla base degli studi sui cambiamenti in atto nel sistema Terra, in particolare nell’atmosfera, non fosse più possibile affermare di essere nell’Olocene, ma in una nuova epoca caratterizzata dall’impatto delle specie umana sul Pianeta. Già negli anni Ottanta del secolo scorso, l’ecologo statunitense Eugene Filmore Stoermer aveva proposto di identificare questa nuova epoca con il nome di Antropocene, cioè “era dell’essere umano”. Diversamente da ogni altra epoca della storia della Terra, l’Antropocene non ha una data di inizio ufficiale. Diversi gruppi di ricercatori hanno proposto date alternative come possibile inizio di questa nuova epoca, in base a eventi della storia umana che hanno modificato in modo significativo il Pianeta Tab. 10.1 .

L’IUGS (International Union of Geological Sciences), in particolare la Subcommission on Quaternary Stratigraphy, ha assunto l’incarico di ricercare prove geologiche attendibili del passaggio all’Antropocene, effettuando analisi sui sedimenti, carotaggi nei ghiacciai artici e analisi di campioni di coralli. Nel 2024, i geologi hanno respinto la proposta di decretare la fine dell’epoca Olocene e l’inizio dell’Antropocene, poiché sostengono non sia supportata dagli standard utilizzati per definire le epoche, perché la sua datazione recente e la sua superficialità sono troppo limitate per comprendere le cause più profonde dei cambiamenti planetari provocati dalla specie umana. Oggi una definizione condivisa dalla maggior parte dei geologi è quella di evento, non epoca, Antropocene quale “evento complesso, trasformativo e in corso, analogo ad altri nel registro geologico.”

Tabella 10.1 Eventi che possono segnare l’inizio dell’Antropocene

Evento Data

Estinzione della megafauna 50 000-10 000 anni fa

Origine dell’agricoltura 11 000 anni fa Agricoltura estensiva da 8 000 anni fa a oggi

Produzione di riso da 6500 anni fa a oggi

Suoli modificati o creati dall’attività umanada 3000 a 500 anni fa

Rivoluzione industriale dal 1760 a oggi

Uso di armi nucleari ed esperimenti dal 1945 a oggi

Accumulo di residui chimici dal 1950 a oggi

10.2 Le fonti di energia non rinnovabili

Si definiscono fonti di energia tutte quelle risorse energetiche impiegate dall’essere umano per generare energia utile alla produzione di lavoro, calore o elettricità.

Le fonti di energia non rinnovabili sono associate a riserve esauribili nel medio-lungo periodo e in grado di ricostituirsi solo in milioni di anni.

La fonte primaria di energia per l’umanità è oggi costituita per circa l’80% del totale da carbone e idrocarburi, chiamati combustibili fossili perché derivati dalla lenta fossilizzazione di materiale vegetale e animale accumulatosi milioni di anni fa 10. 1 . Le ragioni del loro successo sono l’elevato rapporto energia/volume, la facilità di trasporto e stoccaggio e il costo relativamente basso. Tutti i combustibili fossili sono il risultato dell’accumulo di enormi quantità di materia organica che, nel corso di milioni di anni, sono state preservate dalla decomposizione per trasformarsi, attraverso una serie di processi di diagenesi e maturazione, in particolari rocce organiche come carboni fossili, petrolio e gas naturali. L’analisi degli aspetti micropaleontologici (cioè lo studio di fossili di organismi microscopici), mineralogici e geochimici di queste rocce forniscono interessanti informazioni sull’origine dei giacimenti di combustibili fossili:

 i depositi più grandi si sono formati negli stessi periodi di tempo in tutti i continenti e sono quindi dovuti a eventi globali;

 questi stessi eventi sono stati così catastrofici da causare l’estinzione in massa di molte specie sia marine sia terrestri;

 la formazione di tali depositi è avvenuta in periodi più caldi di quello attuale, a cui hanno sempre fatto seguito riduzioni significative delle temperature;

 in molti casi sembra esserci una relazione con le fasi di apertura di nuovi grandi rift e una massiccia attività vulcanica.

Queste osservazioni hanno portato gli studiosi a ipotizzare che l’aumento di CO2 vulcanica in atmosfera (si stimano migliaia di metri cubi in poche decine di anni) abbia prodotto un aumento delle temperature legato all’effetto serra e una perturbazione nel ciclo del carbonio a causa di un’accelerazione del flusso di carbonio dalla crosta verso l’atmosfera. Queste nuove condizioni hanno poi generato effetti a catena 10.2

VIDEO

aumento delle temperature a causa dell’effetto serra emissioni di CO2 in atmosfera

riduzione delle temperature a causa dell’assorbimento di CO2

riduzione dell’ossigeno disponibile e conseguente sedimentazione del carbonio per via dell’ambiente riducente aumento dell’evaporazione degli oceani e intensificazione nel ciclo idrologico

• Le fonti energetiche

• Energie non rinnovabili

10.1 Nelle miniere di carbone è possibile osservare l’alternanza fra strati di carbone (neri) e strati di rocce sedimentarie più chiare.

Ricorda

Con diagenesi si indica l’insieme dei processi che porta alla formazione di una roccia sedimentaria compatta a partire da sedimenti sciolti. Comprende la fase di compattazione dei sedimenti per effetto della pressione, la fase di cementazione per effetto della precipitazione chimica dei sali tra i granuli e la fase finale di litificazione che conclude il processo di formazione delle rocce sedimentarie.

• I cicli biogeochimici

• Le rocce sedimentarie

4

aumento della concentrazione di nutrienti nelle acque e proliferazione di fitoplancton e alghe

10.2 Relazione tra formazione dei depositi organici e ciclo del carbonio.

I carboni fossili

I carboni fossili sono il prodotto di processi di maturazione della materia organica vegetale che si compiono in milioni di anni. Questi processi sono avvenuti molte volte nel corso della storia della Terra e avvengono tuttora; tuttavia, i più ricchi giacimenti di carbone si sono formati circa 345 milioni di anni fa, nel periodo chiamato, per questa ragione, Carbonifero Il clima caldo-umido di quel periodo favoriva l’espansione delle paludi nelle zone costiere e la crescita di immense foreste. Tuttavia, periodiche inondazioni provocavano la morte di enormi porzioni di foresta con la ricrescita della copertura vegetale non appena le zone costiere riemergevano. I resti organici delle piante accumulati nelle zone paludose, coperti da strati di fango e sabbia, iniziavano il loro processo di diagenesi, ma il poco ossigeno presente nelle acque interstiziali era rapidamente consumato nelle prime fasi di decomposizione. Ben presto, quindi, entravano in gioco batteri anaerobi che riducevano progressivamente le quantità di idrogeno, azoto e ossigeno contenuti nella materia organica vegetale, determinando l’aumento della concentrazione di carbonio. Tale processo è detto di carbogenesi (o carbonificazione) e il risultato ultimo è il carbone oggi estratto come risorsa fossile energetica 10. 3

In base a quanto il processo di carbonificazione sia avanzato si distinguono tipi diversi di carbone, corrispondenti al loro contenuto di carbonio:

 torba, con C da 45 a 60%;

 lignite, con C da 60 a 75%;

 litantrace, con C da 75 a 92%;

 antracite, con C da 92 a 95%.

Gli idrocarburi

Petrolio e gas naturali, dei quali il principale componente è il metano, sono i prodotti finali della maturazione di particolari rocce, dette rocce madri di idrocarburi. Queste rocce si formarono prevalentemente durante l’era Mesozoica, per accumulo di materia organica di origine marina (non solo fitoplancton ma anche zooplancton o pesci).

Anche in questo caso si ritiene che le condizioni riducenti siano state innescate dall’elevato contenuto di CO2 atmosferico e che la materia organica si sia poi accumulata principalmente in due tipi di ambienti:

 in piccoli bacini chiusi caratterizzati da acque stagnanti e scarsa circolazione di ossigeno;

 sui margini continentali caratterizzati da alte concentrazioni di nutrienti nelle acque superficiali e da un’esplosione di vita vegetale.

Quando la materia organica, derivante da organismi morti, raggiunge il fondale in un ambiente in condizioni riducenti, subisce solo in parte la decomposizione a opera dell’ossigeno libero, mentre il resto dei materiali è rapidamente seppellito dai sedimenti che si depositano successivamente. Nei primi decimetri sotto l’interfaccia acqua/sedimento, tuttavia, continuano i processi di ossidazione della materia organica a opera di batteri anaerobi.

La formazione di idrocarburi liquidi o di gas metano dipende dalla temperatura e dalla profondità del seppellimento e, di conseguenza, dall’età del sedimento. A bassa profondità, dove la materia organica è ancora poco matura, l’azione dei batteri consente la formazione di metano biogenico. Quest’ultimo è così chiamato perché si genera attraverso la mediazione dell’attività metabolica dei batteri metanogeni.

10. 3 Fasi del processo di carbogenesi.
carbone sfruttabile
carbone in formazione laguna sedimenti

In uno specifico intervallo di temperatura/profondità, detta oil window, la materia organica raggiunge il grado di maturità per potersi trasformare in petrolio, una miscela di idrocarburi liquidi, mentre a temperature molto elevate la materia organica subisce un processo di dissociazione termica senza intervento di attività batterica, generando il metano termogenico. Una volta completati i processi di formazione, gli idrocarburi lasciano la roccia madre e migrano attraverso faglie o fratture fino ad accumularsi in una roccia serbatoio, caratterizzata da un’elevata porosità. Inoltre, perché si formi un giacimento, è necessario che la roccia serbatoio sia a contatto con un’altra roccia, detta trappola, generalmente una roccia impermeabile, per esempio argilla 10. 4 .

Risposta breve

1. Perché i combustibili fossili sono fonti di energia non rinnovabili?

2. Quali processi portano alla formazione delle riserve di carbone e idrocarburi?

10. 4 Una trappola di idrocarburi può essere costituita da (a) una roccia impermeabile o da (b) una situazione strutturale che blocca olio e gas a una determinata profondità.

L’energia nucleare

L’energia nucleare rientra fra le energie non rinnovabili, poiché gli elementi utilizzati per la sua produzione sono presenti in forma di minerali nelle rocce.

A differenza delle reazioni di combustione degli idrocarburi, l’energia non proviene dalla rottura di un legame chimico, ma dalla fissione di legami nucleari. Alla base di queste reazioni vi è il fenomeno fisico della radioattività, per il quale nuclei instabili o radioattivi (radionuclidi) si trasformano in nuclei più stabili (spesso a loro volta radioattivi) emettendo particelle ed energia. Il processo di fissione nucleare utilizzato nelle centrali nucleari prevede la rottura, mediante l’azione di neutroni opportunamente rallentati, di nuclei di isotopi radioattivi pesanti, principalmente uranio-235 (235U), in elementi più leggeri, neutroni e una grande quantità di energia. I neutroni prodotti provocano nuove fissioni generando una reazione a catena 10. 5

In generale questa forma di energia è considerata una delle risorse a minor impatto ambientale, in quanto non produce inquinanti atmosferici, quali solfuri, polveri o gas responsabili dell’effetto serra. I problemi ambientali sono piuttosto legati alla produzione, durante il processo di lavorazione, di minerali radioattivi e radiazioni ionizzanti.

Molto più sostenibile sarebbe la produzione e l’utilizzo di energia nucleare prodotta dalla fusione nucleare. Il processo è lo stesso che si verifica nel Sole e nelle stelle, per cui nuclei molto leggeri fondono tra di loro per generare nuclei più pesanti con emissione di energia, oltre a uno o più neutroni. Affinché ciò si verifichi i nuclei devono avere energie cinetiche tali da superare le forze repulsive e quindi devono essere portati a temperature dell’ordine di almeno 100 milioni di gradi centigradi nella forma di plasma, un gas ionizzato.

10. 5 Reazione a catena innescata dall’impatto di un neutrone su un nucleo di 235U; i prodotti della reazione sono 141Ba, 92Kr, 2 o 3 neutroni ed energia.

gas
gas
rocce sature in olio
rocce sature in olio
roccia porosa
roccia porosa
argilla argilla
argilla
argilla
rocce sature
rocce sature

Risposta breve

1. Illustra le fasi del processo di carbogenesi.

2. Come sono classificati i carboni fossili?

3. Qual è stato il processo di formazione delle rocce madri di idrocarburi?

4. Come si forma un giacimento di idrocarburi?

5. Metti a confronto il processo di fissione con il processo di fusione nucleare.

Energie rinnovabili

I principali esperimenti, in corso sin dagli anni Cinquanta, riguardano la fusione dei due isotopi dell’idrogeno, deuterio e trizio (2H e 3H) per formare elio (4He). Per ottenere in laboratorio una reazione controllata che sia economicamente vantaggiosa, è però necessario mantenere confinato in uno spazio limitato e per tempi sufficienti il plasma, in modo che l’energia liberata dalle reazioni di fusione possa compensare sia le perdite, sia l’energia usata per produrre il plasma stesso. Le ricerche sul nucleare continuano in molti Paesi: in Europa è stato avviato il progetto chiamato Divertor Tokamak Test, un simulatore ideato per testare la fattibilità tecnica della fusione nucleare. L’ENEA (ente pubblico di ricerca nazionale che opera nei settori dell’energia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie a supporto delle politiche di competitività e di sviluppo sostenibile) partecipa al progetto con l’obiettivo di sviluppare, entro il 2050 una macchina sperimentale che produca energia a basso costo, senza produzione di scorie e danni per l’ambiente.

In questi ultimi anni ingenti investimenti sono stati impiegati per la realizzazione della tecnologia Natrium, un reattore veloce raffreddato con sodio liquido e che fa funzionare piccole centrali nucleari a uranio impoverito, da integrare a fonti di energia rinnovabili.

10.3 Le fonti di energia rinnovabili

Le fonti di energia rinnovabili sono in grado di rigenerarsi e di non esaurirsi nella scala dei tempi umani.

Caratteristiche delle fonti di energia rinnovabili sono la disponibilità pressoché illimitata e l’assenza di inquinamento durante il loro utilizzo. Rientrano in questa categoria il Sole, il vento, l’acqua in movimento, il calore interno della Terra e le biomasse 10. 6 . A differenza di quelle descritte finora, le fonti di energia rinnovabili sono forme di energia che si rigenerano in tempi brevi rispetto alla durata della vita umana.

10. 6 Percentuali di energia elettrica consumata in Italia che è prodotta da fonti rinnovabili. Fonte: Terna-Rete elettrica nazionale. Idroelettrico

Biomasse

Energia solare

10. 7 Parco fotovoltaico industriale di Quinghai, in CIna, con pannelli termici e fotoelettrici e al centro la torre

Geotermico

Fotovoltaico

Il Sole è il motore principale di quasi tutti i processi terrestri e può essere considerato un’ottima risorsa energetica. Basti pensare che l’energia solare che raggiunge la Terra è pari a quella prodotta da 115 milioni di centrali nucleari. L’energia solare si può sfruttare in due modi: tramite i pannelli solari, dispositivi in grado di intercettare le radiazioni solari, concentrarle e trasferire il calore con lo scopo di produrre acqua calda o riscaldare gli edifici; oppure tramite celle fotovoltaiche, che si basano sulla capacità di alcuni materiali di produrre energia elettrica quando sono esposti ai raggi solari. Entrambi questi sistemi di utilizzo dell’energia solare necessitano però di ampi spazi per la loro installazione 10. 7 .

VIDEO
solare.
Eolico

Energia eolica

L’energia eolica si ottiene per trasformazione dell’energia cinetica dei venti in energia meccanica e, in seguito, in energia elettrica. Gli impianti eolici sono costituiti da grandi pale rotanti in leghe metalliche leggere, poste alla sommità di un sostegno e collegate a un generatore che produce elettricità. Le pale eoliche possono essere radunate in grandi parchi eolici, su alture in zone aperte, dove soffiano venti costanti per intensità e direzione. In molti Paesi, in particolare nel Nord Europa, si è sviluppato l’eolico off-shore, ovvero impianti in mare o su laghi, ad alcuni kilometri dalla costa, per sfruttare al meglio i venti 10. 8 . Questi grandi impianti, tuttavia, non sempre sono ben accetti dalle popolazioni locali a causa dell’impatto visivo che hanno sul paesaggio, e anche molti ecologi segnalano i rischi per la flora e l’avifauna locali. Malgrado questi limiti, l’energia eolica è oggi molto diffusa poiché è la più competitiva delle energie rinnovabili, con costi di produzione sempre minori.

Energia idroelettrica

L’energia idroelettrica si ottiene per trasformazione dell’energia potenziale di una massa di acqua in quiete o dell’energia cinetica di una corrente d’acqua in energia meccanica. Un flusso d’acqua aziona delle turbine e, a seguire, dei generatori che producono elettricità. Esistono impianti idroelettrici che possono o meno regolare il flusso dell’acqua: nel primo caso sono sfruttati bacini (naturali o artificiali) la cui capienza viene aumentata con la costruzione di dighe. Gli impianti idroelettrici collegati alle dighe regolano la portata del deflusso e quindi la quantità di energia prodotta; regolando i flussi dell’acqua, le dighe possono controllare le inondazioni o essere utilizzate per l’irrigazione ma possono apportare effetti negativi all’ecologia della regione.

Lo stesso principio è utilizzato negli impianti che producono energia mareomotrice, che sfruttano l’alta e la bassa marea per convogliare acqua marina e poi riversarla facendola passare attraverso le turbine 10.9 .

Energia geotermica

L’energia geotermica ha origine dal calore interno della Terra e dalla circolazione delle acque calde sotterranee. Nelle aree dove il gradiente geotermico aumenta in misura maggiore dei 3 °C di media, il calore provoca il riscaldamento delle acque sotterranee che, risalendo e perdendo pressione, passano allo stato di vapore formando geyser e soffioni.

L’energia geotermica può essere utilizzata direttamente come energia termica, incanalando in tubature le acque termali che fuoriescono dal sottosuolo, oppure può essere sfruttata per produrre energia elettrica dal vapore che risale in superficie nelle centrali geotermiche 10. 10

10.9 La centrale mereomotrice di Saint-Malo, sull’estuario del fiume Rance (Francia), è stata costruita nel 1966 ed è la prima del suo genere.
10.10 La centrale geotermica di Larderello è la più antica al mondo, ideata dall’ingegnere Francesco Giacomo de Larderel nel 1818.
10. 8 Parco eolico off-shore olandese nel mare del Nord.
Una guida all'energia della Terra

Risposta breve

1. In quali modi è possibile sfruttare l’energia solare?

2. Quale può essere l’impatto ambientale dei parchi eolici?

3. Come funziona una centrale idroelettrica?

4. Come si produce l’energia mareomotrice?

5. Quale tipo di energia è sfruttata nelle centrali geotermiche?

10.11

PODCAST

Energia dalle biomasse

L’energia da biomassa è prodotta a partire dai residui delle coltivazioni, dalle piante, dagli scarti di attività industriali come i trucioli di legno, da resti animali, da immondizia e da liquidi fognari. La produzione di energia può avvenire per combustione diretta degli scarti o per fermentazione controllata delle biomasse, grazie a una serie di processi che trasformano i residui organici in combustibili come biogas, olio o carbone 10.11 .

L’utilizzo dell’energia da biomasse non aumenta il livello di gas serra nell’atmosfera in quanto le quantità di CO2 utilizzate dai vegetali per la fotosintesi equivalgono a quelle emesse in atmosfera dall’utilizzo di energia da biomassa, senza alterazioni del ciclo del carbonio. Per questo motivo, queste risorse vengono dette carbon-neutral o carbonio-neutrali.

Stanley Whittingham, Akira Yoshino e John Bannister Goodenough sono i tre chimici che hanno sviluppato la batteria agli ioni di litio e, per questo, hanno vinto il premio Nobel per la chimica nel 2019. La loro invenzione è alla base di moderni dispositivi elettronici, come smartphones, computer portatili e auto elettriche. Ascolta il podcast e scopri come questi scienziati hanno scoperto questa tecnologia.

10.4 Le risorse minerarie

Le risorse minerarie comprendono i minerali metallici e i non metallici. Qualunque materiale che contiene elementi metallici in varie forme fa parte dei minerali metallici. I più utilizzati sono rame, alluminio e ferro, per le loro caratteristiche di resistenza, malleabilità e per la loro abbondanza. A questi se ne aggiungono numerosi altri fra cui manganese, magnesio, nichel, titanio e uranio, metalli preziosi, come oro, argento e platino, e metalli di base che entrano a far parte delle leghe, come piombo, zinco e stagno. Nei minerali non metallici rientrano salgemma, fosfato, pietre preziose, tra cui i diamanti, e pietre da costruzione, come marmo e granito, usate per la costruzione degli edifici, e rocce sedimentarie, come argilla, calcite, sabbia, usate per la produzione di cemento e calcestruzzo.

L’aumento della produzione nei settori high tech (informatica, telecomunicazioni, farmaceutica) e dei settori green (trasporto elettrico, strutture e apparati per la produzione energia rinnovabili) ha trasformato drasticamente il mercato delle risorse minerarie e aumentato la richiesta di minerali rari, così chiamati a causa della loro ridotta concentrazione nelle rocce e della conseguente difficoltà di estrazione.

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione richiedono una cinquantina di metalli rari che entrano a far parte di composti con proprietà semiconduttrici, in grado di modulare il flusso di elettricità dei dispositivi digitali. Il litio è indispensabile per la produzione delle batterie ricaricabili dei dispositivi elettronici e delle auto elettriche, il germanio è impiegato nelle fibre ottiche, l’indio nei chip elettronici, il tantalio nei condensatori dei circuiti elettrici.

Impianto per la produzione di biogas per fermentazione dei residui della lavorazione del mais.

I metalli rari più richiesti dal mercato per le particolari proprietà elettromagnetiche, ottiche, catalitiche e chimiche appartengono però alle cosiddette “terre rare”, come scandio e ittrio, e tutte quelle che appartengono alla serie dei lantanoidi. Tra le terre rare la più richiesta dal mercato è il coltan, termine che deriva dalla contrazione dei nomi delle due terre rare che contiene, columbite e tantalite. Il suo valore dipende proprio dal tenore più o meno alto di tantalite. Il coltan estratto nella Repubblica Democratica del Congo è ad alto tasso di tantalite e per questa ragione è molto richiesto dalle industrie dell’informatica. Il tantalio estratto dal coltan serve a ottimizzare il consumo di energia nei chip di nuova generazione, portando un notevole risparmio energetico e a prolungare la durata delle batterie dei dispositivi elettronici. Secondo l’IEA (International Energy Agency), entro il 2040 la produzione di elettricità richiederà tre volte in più di minerali rari, trainata dall’eolico off-shore e dal settore fotovoltaico: per il solo litio, la domanda sarà moltiplicata per 40 volte, o addirittura 75, mentre l’industria del settore della produzione di idrogeno richiederà sempre maggiori quantitativi di platino.

La distribuzione dei metalli rari nella crosta terrestre non è omogenea. Il Sudafrica è un importante produttore di platino e rodio, la Russia di palladio, gli Stati Uniti di berillio, il Brasile di niobio, la Turchia di boro, il Ruanda di tantalio, la Repubblica Democratica del Congo di cobalto 10.12 . La Cina è il primo produttore, nonché il primo consumatore, di 28 delle risorse minerarie indispensabili per l’economia mondiale. È il caso dell’antimonio, del germanio, dell’indio, del gallio, della fluorite, della grafite, del tungsteno e soprattutto delle terre rare, delle quali detiene circa il 60% della produzione mondiale.

10.5 Sviluppo sostenibile e Agenda 2030

La Grande accelerazione, termine con cui si definisce il periodo di rapida crescita della popolazione e dei consumi a partire dalla seconda metà del secolo scorso, ha permesso agli esseri umani di plasmare il Pianeta a proprio vantaggio. Per migliorare le condizioni di vita, soprattutto di una parte della popolazione umana che vive nel Nord del mondo, lo sfruttamento di materie prime ed energia necessarie al sistema produttivo mondiale ha subito un’impennata. L’uso intensivo di combustibili fossili ha determinato modificazioni importanti della composizione dell’atmosfera, producendo inquinamento, aumento delle emissioni di CO2 e progressivi cambiamenti climatici e ambientali che stanno mettendo seriamente a rischio la sopravvivenza della nostra specie e dell’intero ecosistema terrestre. L’umanità si trova davanti a una scelta decisiva: continuare lo sfruttamento intensivo delle risorse del Pianeta, oppure invertire la rotta e imboccare la strada dello sviluppo sostenibile 10.13 .

Per sviluppo sostenibile si intende una crescita economica che salvaguardi l’ambiente e le risorse della Terra per le generazioni future, estendendo una qualità di vita accettabile a tutta la popolazione mondiale.

L’espressione “sviluppo sostenibile” può sembrare una contraddizione, perché è difficile associare allo sviluppo, che prevede una crescita costante, la sostenibilità, che invece punta alla conservazione delle risorse del Pianeta. Negli ultimi anni, si sta quindi cercando di mettere a punto dei nuovi sistemi produttivi che garantiscano lo sviluppo delle attività umane e dell’economia, ma con il minor impatto possibile per il Pianeta.

10. 12 Nella Repubblica Democratica del Congo, la popolazione locale è sfruttata per l’estrazione di minerali come il cobalto.

1. Quali tipi di materiali comprendono le risorse minerarie?

2. Quali sono i principali minerali metallici?

3. Quali caratteristiche possiedono i metalli rari?

4. Qual è la distribuzione nel mondo dei metalli rari?

sviluppo ambientale sviluppo sociale sviluppo sostenibile

economico

10.13 Lo sviluppo sostenibile è il risultato dell’intersezione di tre elementi essenziali: sviluppo sociale, sviluppo economico e sviluppo ambientale.

Risposta breve
sviluppo

1. Qual è il significato di sviluppo sostenibile?

2. Quali sono i contenuti dell’Agenda 2030? Risposta breve

• La sostenibilità

• Ambiente e sviluppo sostenibile

• 17 video sugli obiettivi dell’Agenda 2030

Ridurre lo spreco e la produzione dei rifiuti è uno dei capisaldi del modello di sviluppo ecosostenibile. La modalità di approvvigionamento di materie prime, la trasformazione delle stesse e la produzione di materiale di scarto deve essere ampiamente studiata e valutata prima di immettere un prodotto sul mercato. Anche noi possiamo fare molto in questa direzione, per esempio eseguendo correttamente la raccolta differenziata e dedicandoci all’acquisto di prodotti ecosostenibili. Inoltre, si può scegliere di utilizzare fonti di energia rinnovabili e studiare nuovi sistemi per l’approvvigionamento di energia green. Nel 2015, in occasione del Summit sullo Sviluppo Sostenibile, i Capi di Stato di 193 Paesi membri dell’ONU hanno approvato l’Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile, strutturata in 17 obiettivi e 169 target, che fissa gli impegni da realizzare entro il 2030 da parte di tutti i Paesi aderenti. L’Agenda 2030, come di solito è chiamata, propone un programma d’azione internazionale per le persone, il Pianeta e la prosperità, perché riconosce il legame tra benessere umano, salute dei sistemi naturali e sfide comuni che tutti i Paesi sono chiamati ad affrontare. Gli obiettivi dell’Agenda 2030, toccano diversi ambiti, dalla lotta alla fame all’eliminazione delle disuguaglianze, dalla tutela delle risorse naturali all’affermazione di modelli di produzione e consumo sostenibili, includendo anche il concetto di sostenibilità sociale e lo sradicamento della povertà in tutte le sue forme.

La pandemia da COVID-19 ha rappresentato una sfida senza precedenti, al punto che l’ONU ha dovuto rivedere i 17 obiettivi dell’Agenda alla luce degli effetti prodotti dalla crisi sanitaria globale, come per esempio l’aumento delle diseguaglianze sociali.

In futuro, serviranno metodi sostenibili di estrazione e sfruttamento delle risorse minerarie e la creazione di una rete che connetta tutte le energie a nostra disposizione, favorendo energie rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione e della riduzione delle disuguaglianze energetiche.

10.6 Economia circolare e transizione energetica

Lo sviluppo tecnologico e produttivo avvenuto nella seconda metà del secolo scorso ha prodotto l’illusione di una disponibilità infinita di risorse, materiali e prodotti. Quest’idea è alla base dell’economia lineare (o aperta).

L’economia lineare è un modello produttivo che prevede la crescita illimitata dei prodotti.

Secondo questo modello, la vita di ogni prodotto attraversa cinque tappe 10. 14 . L’industria estrae le materie prime, le trasforma per produrre beni di consumo utilizzando lavoro ed energia, distribuisce i prodotti ai consumatori che, dopo averli utilizzati, procedono allo smaltimento degli “scarti”, cioè dei prodotti stessi diventati “rifiuti” inutilizzabili. Ogni tappa di questo sistema produttivo richiede materie prime ed energia e genera a sua volta scarti di lavorazione, acque reflue, gas serra e rifiuti, che hanno profondi impatti ambientali su acqua, suolo e aria.

VIDEO
10. 14 Le tappe dell’economia lineare.

Oggi si sta raggiungendo la consapevolezza che questo modo di sfruttare le risorse, accompagnato dalla costante crescita della popolazione umana, non è più sostenibile. Se la produzione basata sui sistemi dell’economia lineare continuasse, nel 2050 l’umanità avrebbe bisogno delle risorse di due pianeti. I limiti delle risorse disponibili e l’emergere di problemi ambientali sempre più gravi ha spinto la comunità scientifica internazionale a rivedere la relazione tra economia e ambiente per sviluppare un nuovo modello produttivo che è stato chiamato economia circolare.

L’economia circolare si occupa delle attività volte alla manutenzione e al riuso di beni di consumo già esistenti e al recupero delle materia prime.

Il concetto di economia circolare e le prime applicazioni pratiche ai moderni sistemi economici e ai processi industriali risalgono agli anni Settanta. Nei sistemi produttivi dell’economia circolare, gli oggetti devono essere progettati per non avere mai fine, per essere reintrodotti nel ciclo produttivo come materie prime o reintegrati nei cicli naturali 10. 15 Oggi gli esempi di applicazione dell’economia circolare si stanno moltiplicando e toccano diversi sistemi produttivi, dall’agricoltura, al settore delle moda, alla produzione degli imballaggi. Accanto alle materie prime tradizionali, si stanno affermando le materie prime seconde, costituite dai residui della lavorazione delle materie prime o da quelli provenienti dal riciclo e dal recupero dei rifiuti. L’economia circolare richiede, naturalmente, un deciso cambiamento anche nella produzione di energia, che deve derivare esclusivamente da fonti rinnovabili. Cambiamenti radicali nell’uso delle fonti energetiche si sono verificati più volte nella storia dell’umanità, basti pensare al passaggio dall’uso del legname a quello del carbone, che ha reso possibile la Rivoluzione industriale a partire dal XVIII secolo, seguito dalla transizione dal carbone al petrolio agli inizi del secolo scorso.

In un articolo del 1966 l’economista Kenneth Boulding aveva descritto i due tipi di economia utilizzando le figure del cawboy e dell’astronauta. In questa analogia, l’economia lineare è associata al cowboy, che sfrutta risorse sempre nuove muovendosi per pianure sterminate. Al contrario, l’economia circolare è quella dell’astronauta che si trova in un sistema chiuso, come quello della navicella, con risorse limitate che devono essere ben utilizzate e rigenerate.

PROGETTAZIONE

L’economia circolare VIDEO

10. 15 Il ciclo dell’economia circolare.

MATERIE PRIME

Risposta breve

1. Quali sono le fasi dell’economia lineare?

2. Che cosa caratterizza i processi dell’economia circolare?

3. Che cosa sono le materie prime seconde?

4. Quali sono gli obiettivi della transizione energetica?

5. Quali sono le potenzialità dell’idrogeno verde?

La COP 26, la Conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dalle Nazioni Unite e tenutasi a Glasgow nell’autunno del 2021, ha introdotto per la prima volta un riferimento alla riduzione del consumo di carbone, le cui emissioni rappresentano quasi il 40% del CO2 emesso su scala globale. Nel corso della COP27, che si è tenuta a Sharm el-Sheikh nel 2022, si è ribadita la necessità di non superare la soglia di innalzamento della temperatura di 1,5° C, di ridurre in modo graduale l’uso del carbone e di eliminare i sussidi per i combustibili fossili. Oggi è in atto una nuova transizione energetica dettata in particolar modo dalla necessità di raggiungere gli obiettivi climatici previsti per i prossimi decenni: zero emissioni di CO2. L’obiettivo è quello di attivare un sistema energetico in grado di rispondere alle richieste della produzione industriale e alle necessità della popolazione. A queste esigenze può rispondere l’idrogeno, in grado non solo di produrre energia senza emissioni nocive, ma anche di connettere tra le loro le diverse fonti di energia. L’energia solare ed eolica possono essere direttamente utilizzate in loco per il funzionamento degli elettrolizzatori dove l’acqua è scomposta per ricavare “idrogeno verde”; è possibile impiegare anche gas naturale e altri combustibili fossili per ricavarne “idrogeno grigio” che richiede un successivo trattamento di cattura e sequestro di diossido di carbonio, al termine del quale diventa “idrogeno blu”. Una volta prodotto, l’idrogeno offre altri vantaggi: può essere trasportato nelle reti di gasdotti già esistenti, anche mescolato al metano, e può essere accumulato con relativa facilità, a differenza dell’elettricità che può essere stoccata solo per brevi periodi in costose batterie.

COLLEGA Letteratura inglese

Tempi difficili per il Pianeta

Opera: Tempi difficili (Hard times) (1854)

Autore: Charles Dickens

Con Hard Times, Charles Dickens esprime un amaro atto d’accusa contro l’industrializzazione che, con i suoi effetti disumanizzanti sui lavoratori, considera dannosa per la natura e per l’immaginazione umana. Il romanzo denuncia il sistema educativo attraverso la figura del signor Gradgrind, che costringe i bambini della sua scuola ad apprendere solo fatti concreti e nozioni, rendendoli incapaci di provare sentimenti ed emozioni. Questo sistema educativo era

piuttosto comune in epoca vittoriana, dove l’utilitarismo influiva su qualsiasi ambito della vita delle persone, a partire da quello dell’istruzione.

Anche il modello industriale, con il suo sistema produttivo utilitaristico, stava distaccando le persone non solo dall’ambiente naturale circostante, ma anche dalla propria sfera emotiva e immaginativa. L’autore allude più volte al parallelo tra l’educazione impoverita dei bambini in nome della realtà e della razionalità, e il crescente squilibrio ambientale, in un mondo in cui sembra che non ci sia più spazio per la fantasia. I personaggi di questo romanzo vivono e si muovono nella città industriale

immaginaria di Coketown. Per ritrarre al meglio l’atmosfera che si respira in questa città Dickens sfrutta il tema del contrasto fra natura e macchine. Grazie a vivide similitudini i colori della città sono paragonati al “volto dipinto di un selvaggio”, il movimento delle macchine a un grande “elefante in uno stato di malinconica follia”e il fumo a“interminabili serpenti”10.a Come romanziere realista critico che si preoccupa dei problemi sociali, Dickens vede la crisi ambientale alimentata dall’industrializzazione. Coketown è l’epitome della città industriale capitalista nella Gran Bretagna dell’epoca. Attraverso l’analisi dell’inquinamento dell’ambiente naturale e del tessuto sociale a Coketown, Dickens si dimostra estremamente attento alla tematica della sostenibilità ambientale e dell’alienazione della natura umana causati dall’espansione sconsiderata della civiltà industriale e al modello economico lineare.

Un passo in più

Ora prova tu a trovare il collegamento con una terza disciplina (suggerimento: Italiano). Organizza le idee in una scaletta ed esponile ad alta voce.

10.a Illustrazione del XIX secolo delle acciaierie di Barrow, in Cumbria (Inghilterra), con le colonne di fumo che escono dalle numerose ciminiere.

U10 Ripassa con metodo

Completa la mappa con i termini mancanti.

Scarica la mappa modificabile. Leggi e ascolta la sintesi dell’Unità.

Puoi confrontarla con la mappa completa accessibile dal codice QR.

LO SVILUPPO SOSTENIBILE

L’impatto dell’essere umano sul Pianeta parte da come sono sfruttate le sue risorse per produrre i beni necessari alla propria sopravvivenza

Quali categorie di risorse possiamo distinguere?

RISORSE ENERGETICHE

comprendono le risorse impiegate a produrre energia sotto forma di lavoro, ed

Come si classificano?

comprendono tutti i minerali utilizzati come materia prime nella produzione industriale

Quali sono le più richieste?

metalli rari e semiconduttori, come il

Come può essere attuato?

AGENDA 2030

stipulata nel dall’ONU e firmata da 193 Paesi, individua obiettivi e target da raggiungere entro il 2030

derivano da riserve esauribili nel mediolungo periodo e in grado di ricostituirsi solo in di anni

Quali sono?

URANIO

utilizzato nelle centrali a nucleare

sono in grado di rigenerarsi nella scala dei tempi umani

modello economico opposto aquello e che prevede il recupero delle materie prime e la transizione ecologica

Quali tipi di energia derivano da queste fonti?

sfrutta il vento

SOLARE

utilizza pannelli e celle

come carbone, gas e idrocarburi

sfrutta l’energia e potenziale delle masse d’acqua

sfrutta il calore interno della Terra

deriva dalla combustione o dalla di resti organici DA BIOMASSA

U10 Conoscenze e abilità

10.1-4 L’Antropocene, le fonti di energia e le risorse

1 Vero o falso?

a. Carboni fossili, petrolio e gas naturali sono rocce organiche

b. Il litantrace è il carbone a maggiore contenuto di carbonio

c. I giacimenti di metano si sono formati grazie all’azione di specifici batteri

d. Durante il ciclo di vita di una centrale a fissione sono prodotte scorie radioattive a elevato impatto ambientale

2 Quali sono gli utilizzi dei pannelli fotovoltaici?

3 Quali sono le caratteristiche dell’eolico off-shore?

F

F

F

F

4 Spiega per quale ragione l’energia da biomassa è considerata carbon neutral.

5 Quale proprietà fisica è comune a tutti i minerali metallici?

6 Come si colloca attualmente l’Antropocene nella scala cronostratigrafica?

Diventerà una nuova era

Diventerà una nuova epoca successiva all’Olocene

Sostituirà il Cenozoico

È considerato un evento geologico

7 Quale, tra gli eventi elencati, non può rappresentare l’inizio dell’Antropocene?

L’inizio della Rivoluzione industriale

Il secondo dopoguerra

La fine delle glaciazioni del Quaternario

L’inizio dell’uso dell’energia nucleare

8 Quale delle seguenti caratteristiche dell’energia idroelettrica non è vera?

Non provoca nessun tipo di impatto sugli ecosistemi Si ottiene per conversione di energia potenziale e cinetica di masse d’acqua

Può essere ottenuta sfruttando i flussi di marea

Per la sua produzione sono sfruttati bacini naturali o artificiali

9 Nelle centrali geotermiche: le acque termali calde sono incanalate per il riscaldamento domestico il vapore di geyser e soffioni aziona le turbine che generano elettricità si bruciano combustibili fossili per riscaldare le acque sotterranee il calore permette la fermentazione controllata di resti organici

10 Quali condizioni ambientali e quali eventi hanno in comune i processi di formazione dei combustibili fossili?

11 Quali sono i principali problemi connessi con lo sfruttamento intensivo degli idrocarburi?

12 Che cos’è il coltan e perché riveste un ruolo chiave nell’industria dell’informatica?

Svolgi altri esercizi accedendo a HUB Test.

10.5-6 Lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare

13 Vero o falso?

a. Lo sviluppo sostenibile è il principio ispiratore dell’Agenda 2030 V F

b. I processi di produzione dell’economia lineare sono in gran parte ecosostenibili V F

c. I prodotti dell’economia circolare sono destinati a trasformarsi in rifiuti non riutilizzabili V F

d. Le materie prime seconde si possono ottenere anche dal riciclo dei rifiuti V F

e. L’idrogeno verde è il risultato dell’elettrolisi del metano V F

14 Qual è l’illusione alla base dell’economia lineare?

15 In quale periodo è avvenuta la Grande accelerazione? Quali sono state le cause e gli effetti del fenomeno?

16 Sono elementi irrinunciabili per lo sviluppo sostenibile: lo sviluppo sociale lo sviluppo economico lo sviluppo ambientale tutte le risposte sono corrette

17 Quale tra i seguenti aspetti dell’Agenda 2030 non è vero? È strutturata in 17 obiettivi

Contiene 169 target È stata firmata solo da alcuni Paesi aderenti all’ONU È stata approvata nel 2015

18 Quale fase non fa parte del modello di produzione dell’economia lineare?

Recupero e riuso degli scarti

Smaltimento degli scarti

Estrazione delle materie prime Distribuzione dei prodotti

19 Che cosa sono le materie prime seconde?

Materie prime di scarso valore economico

Materie ottenute dal riciclo e dal recupero dei rifiuti

Materie usate nelle fasi finali della produzione

Scarti delle fasi intermedie dei processi produttivi

20 La transizione energetica: non è mai avvenuta nel corso della storia prevede l’aumento della produzione di energia da combustibili fossili consiste nel passaggio dall’uso di una risorsa energetica a un’altra prevede l’abbandono dell’uso di ogni tipo di fonte energetica

21 Come si pensa di sfruttare le risorse minerarie ed energetiche per raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione e della sostenibilità sociale?

22 Perché l’idrogeno, in particolare quello verde, è considerato in grado di connettere tra loro altre fonti di energia differenti, sia rinnovabili sia non rinnovabili?

23 Lo sviluppo sostenibile è il risultato dell’interazione tra sviluppo economico, sociale e ambientale. Fai alcuni esempi a sostegno di questa affermazione.

24

10 Competenze

INGLESE What are the differences between renewable and non-renewable energy sources?

25 INGLESE What will be the effects of the green economy on the mineral resources market?

26 INGLESE What is the definition of sustainable development?

27 INGLESE Why does the circular economy meet the demands of sustainable development?

28 PENSIERO CRITICO Gli studi sull’origine dei giacimenti di combustibili fossili rivestono una grande importanza nell’ambito delle previsioni degli effetti dei cambiamenti climatici in atto. Perché secondo te? Rispondi commentando il modello che mette in relazione la formazione dei depositi organici con il ciclo del carbonio.

Guida all’esposizione orale

Cura le parole

1 Fornisci la definizione di fonte di energia rinnovabile e illustrane i diversi tipi utilizzando le seguenti parole-chiave:

Sole • energia cinetica • acqua • pannelli solari • gradiente geotermico • fermentazione controllata • generatori eolici • biomassa • celle fotovoltaiche

2 Metti a confronto l’economia lineare con quella circolare utilizzando le seguenti parole chiave: materie prime • produzione • distribuzione • consumo • rifiuti • progettazione • riciclo • materie prime seconde

Prova a partire così

3 Quali sono le caratteristiche dei combustibili fossili? I combustibili fossili sono il risultato di processi di e di materia organica preservata dalla e accumulatasi in di anni. I sono il risultato della di resti animali e vegetali; ne esistono di tipi diversi a seconda della percentuale di carbonio nella loro composizione. Gli sono i prodotti della maturazione delle rocce formatesi per accumulo di resti organici.

4 Quali vantaggi apporta l’economia circolare?

Il modello produttivo dell’economia circolare offre il vantaggio di ridurre gli scarti di lavorazione e i finali. Esso richiede che gli oggetti debbano essere progettati per essere reintrodotti nel come materie prime

29 SOSTENIBILITÀ L’obiettivo 7 dell’Agenda 2030 è quello di assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni. Il potenziamento delle energie rinnovabili può essere una grande opportunità; tuttavia, l’accesso a servizi energetici moderni e il miglioramento dell’efficienza energetica presentano enormi disparità tra Paesi del Nord e del Sud del mondo. Ricerca informazioni su queste problematiche e sulle strategie messe in atto nei Paesi meno sviluppati per garantire alla popolazione energie a bassa emissione di carbonio.

30 PROGETTARE I primi dati attendibili relativi alla concentrazione di CO2 nell’atmosfera risalgono al 1958, quando furono eseguite le prime misurazioni presso l’Osservatorio Meteorologico di Mauna Loa, nelle isole Hawaii. Da allora la concentrazione del gas è monitorata in maniera costante e mostrati dalla curva Keeling, dal nome dal suo ideatore, lo scienziato Charles David Keeling. Osserva i grafici al sito https://q3.hubscuola.it/keelingcurve e realizza una campagna di sensibilizzazione sul tema sotto forma di podcast o breve video.

Organizza il discorso

5 Esponi le ragioni per le quali il modello di sviluppo sostenibile rappresenta l’unica via percorribile per garantire un futuro all’umanità e al sistema Terra. Prova a seguire questa scaletta:

Modificazione del Pianeta a opera degli esseri umani

Sfruttamento di materie prime ed energia necessarie al sistema produttivo

Conseguenze dell’utilizzo intensivo di combustibili fossili e risorse minerarie

Confronto tra modelli economici e sistemi produttivi

Risoluzioni internazionali per lo sviluppo sostenibile

6 UN PASSO IN PIÙ Illustra quali sono le tipologie di risorse minerarie e qual è il loro impatto dal punto di vista ambientale e sociale.

Simula un colloquio d’esame

7 Osserva l’immagine, prenditi alcuni minuti per pensare alle possibili connessioni interdisciplinari realizzando una mappa mentale. Poi esponila a voce.

Tema D Storie e idee delle scienze della Terra

Breve storia degli accordi sul clima

I rappresentanti di 195 Paesi riuniti a Kyoto, in Giappone, firmano durante la COP3 il primo accordo internazionale sul clima, conosciuto come Protocollo di Kyoto. Tale accordo obbliga i Paesi firmatari a emanare leggi per limitare il cambiamento climatico. Si stabilisce di ridurre del 5% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 entro il 2012.

I rappresentanti dei 196 Stati membri delle Nazioni Unite, riuniti a Rio de Janeiro per discutere i problemi dell’ambiente, firmano la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), un trattato che punta alla riduzione delle emissioni di gas serra, individuati come i principali responsabili del riscaldamento globale.

L’UNFCCC istituisce le Conference of the Parties (COP), conferenze ad alto livello tra i rappresentanti dei Paesi firmatari del trattato di Rio, da tenersi ogni anno per monitorare l’avanzamento degli interventi di contenimento del cambiamento climatico. Durante la COP1, che si tiene a Berlino, il cambiamento climatico è riconosciuto ufficialmente come un problema mondiale.

A Bali, i Paesi partecipanti alla COP13 firmano la Bali Road Map, il percorso per affrontare il cambiamento climatico in maniera condivisa mettendo a punto metodologie e procedure per l’attuazione del Protocollo di Kyoto.

In occasione della COP16 a Cancun, è approvato un pacchetto di misure per aiutare i Paesi in via di sviluppo in materia di cambiamenti climatici. Le Parti lanciano il Fondo Verde per il Clima e stabiliscono di tagliare le emissioni di gas serra dal 20% al 40% entro il 2020.

Durante la COP15 di Copenaghen, il traguardo di riduzione delle emissioni di gas serra da raggiungere entro il 2012 è spostato al 2015. Si stabilisce che non si possa superare la soglia dei 2 °C di aumento della temperatura del Pianeta.

Durante la COP18 di Doha, il Protocollo di Kyoto è esteso fino al 2020; per la prima volta si stabilisce che i Paesi ricchi debbano assumersi l’onere economico dei danni climatici subiti dai Paesi poveri.

Nella COP26 di Parigi è raggiunto il Paris Agreement, un patto climatico globale e condiviso, realizzato a partire dagli INDC, i piani nazionali forniti dai 196 Paesi membri dell’UNFCCC per il contrasto al cambiamento climatico. È ribadito l’obiettivo inderogabile di mantenere l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C, con la raccomandazione a fare di più.

Con la COP27 a Sharm el-Sheikh è istituito il fondo Loss and Damage per aiutare i Paesi in via di sviluppo colpiti del cambiamento climatico. Si stabilisce la necessità di non superare la soglia dell’innalzamento di 1,5 °C, ma si indica solo una riduzione graduale dell’uso del carbone e l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili.

2022

2015

2012

Nella COP28 di Dubai, si ribadisce l’impegno di raggiungere la neutralità climatica entro il 2030 con il superamento dei combustibili fossili e l’accelerazione dell’uso delle fonti rinnovabili e delle tecnologie a zero e a basse emissioni, tra cui il nucleare a fusione e le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio.

Giorgio Parisi, Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann (premi Nobel per la fisica nel 2021) contribuiscono alla comprensione del cambiamento climatico attraverso modelli fisici del clima terrestre. Nello stesso anno, durante la COP26 di Glasgow, le Parti si limitano a concordare una riduzione del carbone, invece che l’eliminazione definitiva, per rispondere alle richieste di Cina e India.

Approfondisci con il podcast

Giorgio Parisi e Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann

Esamina e discuti Gli studi scientifici per comprendere le cause del cambiamento climatico e prevederne l’andamento sono un utile strumento in mano ai Governi di tutto il mondo per prendere delle decisioni legislative per la transizione ecologica. Alla base degli accordi internazionali c’è la volontà di limitare l’innalzamento delle temperature globali. Si discute però su chi abbia il compito di attuare le strategie per garantire la sostenibilità del nostro sviluppo, se sia onere di governi e industrie, o di ciascuno di noi come singolo e come società civile. Approfondisci l’argomento e allestisci un dibattito in classe. Quali sono gli impatti sul clima delle scelte dei singoli cittadini, delle industrie e delle istituzioni? Le responsabilità individuali e collettive sono in qualche modo collegate tra loro?

Storie

Tema D Understanding Our World With

The climate puzzle solved by attribution science

In recent years, the relationship between global warming and extreme weather events is discussed as the challenge lies in accurately attributing specific events to climate change.

Is global warming always to blame?

Many scientific studies demonstrate that human activities have caused an increase in the average global temperature and that this, in turn, has led to a rise in the frequency and intensity of extreme weather events 1 . This does not mean, though, that all extreme weather events, such as hurricanes, floods, heatwaves, and droughts, can be always attributed to global warming. Specific analyses are needed to demonstrate such correlation. It is necessary to prove that the intensity, frequency, or timing of a particular atmospheric event deviates so significantly from the average that it can be assumed that climate change caused or worsened it. Until few years ago, scientists only described climate change as global trends, avoiding linking a single extreme event to global warming, as they lacked concrete evidence. Recently, however, attribution science has emerged as a new research branch that find out certain connections between individual extreme atmospheric events and global warming. With attribution science, we can now calculate whether, and to what

extent, a specific event was more or less likely or intense due to climate change, or if it had no connection at all.

How modelling helps

The first step in understanding the causes of a given event, it is necessary to define its characteristics, such as duration and intensity of an exceptional heatwave, volume of rainfall recorded during a storm or the severity of a hurricane, in relation to the location and season in which it occurred. Sophisticated climate models, complex simulations of the atmosphere, oceans, and land masses created using supercomputers, are then used. These models can simulate what the climate would be like if the atmosphere were in its pre-greenhouse gas emission state, before human alteration. This allows scientists to evaluate whether an extreme event could have occurred under those conditions, and if so, how likely or frequent it would have been. For example, if in reality an extreme event occurred five times in ten years and climate models suggest it would only happen once every two centuries, it is then possible to deduce that the event is a direct consequence of global warming. In other cases, these studies may reveal that a particular extreme event is not related to climate change, as it falls within the natural variability of a specific region’s climate.

CRITICAL THINKING

■ The name“extreme event”suggests its rarity. Choose among one of these types of events cited in the text above and research online how frequent are them in the area you live in and how frequent they became in recent years. Make an awareness campaign aimed at informing your fellow citizens on the causes of the altered frequency and the consequences these extreme events have. Suggestion: try and use Our World in Data website.

■ In class, divided in two groups, try to come up with some ideas on either mitigation or adaptation plan your Region can implement to fight against extreme weather events, such as drought, floods or a hurricane. Set up with a proposal of actions your local politicians could implement, in a form of a public speech.

■ Greenhouse emissions are higher in few rich Countries, but climate change

is affecting the whole world and even more some poor Countries whose emissions are significantly lower. Moreover, while rich Countries can afford to take actions against climate change and extreme events, poor Countries can’t. This implies inequalities. Set up a debate in class on which are the main consequences of this inequality and what solutions are possible.

1 Number of natural disaster events due to extreme weather, floods or drought from 1900 to 2023.

Tema D Educazione civica

In collaborazione con

Agire contro il cambiamento climatico

Il cambiamento climatico è una delle sfide più urgenti e complesse del mondo contemporaneo: i suoi effetti stanno diventando sempre più evidenti in termini sia di frequenza sia di intensità. Non è ormai più possibile illudersi che le conseguenze del cambiamento climatico siano distanti poiché ne siamo colpiti ogni giorno. In Italia, come nel resto del mondo, stiamo assistendo a un continuo aumento delle temperature medie e a sempre più frequenti periodi di siccità alternati a piogge intense e alluvioni.

Gli effetti del cambiamento climatico in Italia

L’Italia è caratterizzata da una particolare vulnerabilità al cambiamento climatico proprio per la sua posizione al centro del Mediterraneo. Studi scientifici recenti indicano il Mediterraneo come hot-spot del cambiamento climatico, ossia come luogo in cui gli effetti del riscaldamento globale si manifestano in anticipo rispetto ad altre parti del mondo e in maniera più amplificata. Nel bacino del Mediterraneo e in Europa si è assistito a un aumento delle temperature due volte maggiore della media globale rispetto agli anni Ottanta del Novecento, a una diminuzione delle precipitazioni e un incremento delle temperature del mare.

L’Osservatorio Città Clima di Legambiente si impegna nel monitoraggio degli eventi climatici estremi che colpiscono l’Italia ogni anno. Dal 2010 al 2023, ne ha registrati 1948 e quasi la metà di questi ha riguardato tre principali categorie: 684 allagamenti da pioggia, 166 esondazioni e 86 frane. Le regioni più colpite sono state Sicilia, Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, Campania, Puglia e Toscana.

Un esempio di evento climatico estremo sempre più frequente è il medicane, un termine nato dalla fusione delle due parole inglesi mediterranean hurricane 1 . Si tratta di un uragano (ciclone tropicale) mediterraneo di dimensioni più ridotte rispetto a quelli che solitamente si generano nelle fasce tropicali del Pianeta. Fenomeni di questo tipo tendono a verificarsi nel periodo che va da settembre a gennaio, quando l’acqua del Mediterraneo raggiunge le temperature più elevate e allo stesso tempo iniziano a discendere dai quadranti settentrionali le prime correnti fredde che entrano a contatto con superficie del mare. La condizione metereologica all’origine del medicane è, infatti, il gradiente di temperatura che si crea tra l’acqua e l’aria sovrastante.

L’importanza delle azioni di mitigazione e adattamento

Per combattere il cambiamento climatico è importante che siano attuati due tipi di interventi: di mitigazione e adattamento. Gli interventi di mitigazione agiscono sulle cause del cambiamento climatico, mentre le misure di adattamento cercano di limitare le sue conseguenze più impattanti. È importante la sinergia tra queste misure, in quanto gli interventi di mitigazione che realizziamo oggi influenzeranno le strategie di adattamento da attuare nel futuro.

Proprio in relazione agli eventi climatici estremi e, in particolare al medicane, di recente sono stati messi a punto nuovi metodi per monitorare questi fenomeni, basati su strumenti già utilizzati nel campo della sismologia. I violenti moti ondosi innescati dai cicloni mediterranei, infatti, esercitano una forte pressione sui fondali e sui materiali rocciosi delle coste che, a loro volta, generano onde caratteristiche, simili a microsismi di ampiezza molto bassa, che possono essere captate dalle stazioni sismiche. L’analisi della “firma sismica” dei medicane diventa, in questo modo, un metodo di localizzazione dei cicloni, in grado di ricavare la loro posizione e gli spostamenti nel tempo.

1

2020.

Approfondisci con la sitografia e svolgi l’attività Mappare il cambiamento climatico

Immagine satellitare del medicane chiamato Ianos, che ha colpito le coste greche il 17 settembre del

Svolgi il test in modalità autocorrettiva sul libro digitale

Dinamica e risorse del Sistema Terra

1

Quale delle seguenti affermazioni è corretta?

La crosta continentale è più spessa e densa di quella oceanica

La crosta oceanica è più spessa e densa di quella continentale

La crosta continentale è più spessa e meno densa di quella oceanica

La crosta oceanica è più sottile e meno densa di quella continentale

Crosta oceanica e continentale hanno lo stesso spessore ma diversa composizione

2 Con quali tecniche sono state individuate le superfici di discontinuità all’interno della Terra?

Analisi delle onde sismiche

Analisi geochimiche di campioni di roccia

Osservazione delle eruzioni vulcaniche

Studi paleontologici di campioni fossili

Analisi geochimiche di meteoriti

3 Quale meccanismo propose Alfred Wegener per spiegare il movimento dei continenti?

Le correnti oceaniche presenti nella Panthalassa

La forza centrifuga dovuta alla rotazione terrestre

L’isostasia data dalle catene montuose

Le correnti di convezione nel mantello

I movimenti della crosta terrestre dati dai sismi

4 Quale sono le prove a sostegno della teoria dell’espansione dei fondali oceanici?

La periodica inversione del campo magnetico terrestre registrata nelle rocce dei fondali oceanici

La presenza di fossili presso le delle dorsali oceaniche

L’accumulo di sedimenti lungo le fosse oceaniche

L’accumulo di sedimenti lungo le dorsali oceaniche

Le anomalie magnetiche presenti nelle rocce paramagnetiche

5 Quale delle seguenti frasi relative ai sismi è corretta?

L’epicentro è il punto all’interno della Terra dove ha origine il terremoto

L’ipocentro è la proiezione dell’epicentro sulla superficie terrestre

L’epicentro è la proiezione dell’ipocentro sulla superficie terrestre

Produce onde di superficie come le onde P e le onde S

Produce onde di volume come le onde di Love

6 Quale affermazione sulle onde sismiche è vera?

Le onde S si propagano nei liquidi e nei solidi

Le onde P si propagano solo nei gas

Le onde di superficie si propagano in modo più rapido delle onde P e S

Le onde P si propagano più velocemente delle onde S

Le onde S e le onde S si propagano alla stessa velocità

7 Le eruzioni effusive sono tipiche di:

Magmi acidi e stratovulcani

Magmi basici e vulcani a scudo

Magmi intermedi ed eruzioni esplosive

Caldere

Colate piroclastiche

8 In quale strato dell’atmosfera avvengono i fenomeni meteorologici?

Stratosfera

Mesosfera

Troposfera

Termosfera

Esosfera

9 Che cosa collegano le linee delle isoterme in una carta meteorologica?

Zone con uguale pressione atmosferica

Zone con uguale umidità relativa

Zone con uguale temperatura

Zone con vento alla stessa velocità

Zone interessate da precipitazioni

10 Che cosa comporta la fusione del permafrost?

L’aumento dell’albedo terrestre

La diminuzione del vapore acqueo nell’atmosfera

Il rilascio di gas serra come il metano

La riduzione dell’assorbimento di CO2 dagli oceani

L’aumento della concentrazione di CO2 negli oceani

11 Quale delle seguenti affermazioni sull’economia circolare è corretta?

Si basa sulla continua estrazione di materie prime non rinnovabili

Si basa sul riutilizzo degli scarti come materie prime seconde

Produce materie prime seconde come scarti

Prevede il riciclo dei soli rifiuti industriali

Non ha alcun impatto

12 Quali problemi presenta la produzione di batterie per i veicoli elettrici?

Non richiedono risorse minerarie

Richiedono grandi quantità di risorse minerarie rare

La loro produzione non ha impatto sull’ambiente

Non è possibile riciclare le risorse utilizzate nelle

batterie

Non contribuiscono alla riduzione delle emissioni di gas serra

13 L’Agenda 2030: Garantisce una crescita economica continua e illimitata

Si concentra solo sulla sostenibilità ambientale

Include il concetto di sostenibilità sociale

Promuove l’uso di risorse naturali non rinnovabili

Non è riconosciuta a livello internazionale

INDICE ANALITICO

1 2 3-propantriolo (o glicerina), 28, 64

1 2-etandiolo (o glicole etilenico), 28

1-butene, 18

A

alogenoderivati alogenuri alchilici, 26 ACE2, 173 acetato di etile, 32

acetil-coenzima A (acetil-CoA), 105 acetilazione degli istoni, 164 acetilene vedi etino

acetofenone (o fenil metil chetone), 31 acetone vedi propanone achirale, 16

- proprietà, 16 acido/i

- acetico vedi acido etanoico

- benzoico, 31

- butandioico (o acido succinico), 31

- carbossilico, 31

- desossiribonucleico vedi DNA

- etandioico (o acido ossalico), 31

- etanoico (o acido acetico), 31

- fenico vedi fenolo

- formico vedi acido metanoico

- grassi, 60

- idrossibenzoico (o acido salicilico), 31

- lattico (o acido 2-idrossipropionico), 31

- linoleico, 31

- malonico vedi acido propandioico,

- metanoico (o acido formico), 31

- n-butanoico (o acido butirrico), 31

- nucleici, 76

- oleico, 31

- ossalico vedi acido etandioico

- propandioico (o acido malonico), 31

- propanoico (o acido propionico), 31

- ribonucleico vedi RNA,

- salicilico vedi acido idrossibenzoico

- succinico vedi acido butandioico,

- tartarico (o acido 2 3-diidrossisuccinico), 31 adattamento climatico, 313 adenina, 76 adenosina trifosfato vedi ATP

Agenda 2030, 334 albedo terrestre, 296 - cambiamento nell’, 311 alcani (o paraffine), 3, 5

- ciclici, 13

- formula generale, 6

- isomeri di struttura, 7

- legami singoli negli, 3

- nomenclatura degli, 9 - ramificati, 7

- serie omologa, 6 - ciclici vedi cicloalcani alcheni, 18

- isomeria geometrica (cis-trans) degli, 21

- formula generale, 18

- nomenclatura degli, 20 - serie omologa, 18 alchini, 3, 21 - nomenclatura degli, 22 - serie omologa, 22 alcol etilico vedi etanolo alcoli vedi anche fenoli, 27 - classificazione, 28 - dioli, 28

- formula generale, 27 - gruppo funzionale ossidrile, 27 - primari, 28

- secondari, 28

- terziari, 28

- trioli, 28 aldeide salicilica (o ortoidrossibenzaldeide), 30 aldeidi, 29 - aromatiche, 30

- gruppo funzionale carbonile, 29 - nomenclatura, 30 aldosio, 50 allolattosio, 160 alogenoderivati (o alogenuri organici o aloalcani), 26 - alogenuri arilici, 26 - nomenclatura degli, 26 - primari, 26 - secondari, 26 - terziari, 26 Alpi, 276 alta atmosfera, 293 alterazioni delle correnti oceaniche, 312 amido, 57 amilopectina, 57 amilosio, 57 ammine, 33 - alifatiche, 33 - aromatiche, 33 - nomenclatura, 33 - primarie, 33 - secondarie, 33 - terziarie, 33 amminoacido/i, 69 - essenziali, 125 anabolismo, 92 anello porfirinico, 136 angolo di torsione, 14 anilina (fenilammina), 24, 33 anisolo, 28 anomalia magnetica, 264 - negativa, 264 - positiva, 264 - zone di, 264 anomeri, 52 antracene, 26 antracite, 326 Antropocene, 322 apoenzima, 98 arco vulcanico insulare, 273 area anticiclonica, 299 area ciclonica, 299 areni, 25 argonauta, 167 aria, 293 arile (Ar), 25 aromaticità, 23, 34 astenosfera, 248 atmosfera, unità di misura della, 299 atmosfera, composizione della, 293 atmosfera, struttura della, 293 atmosfera, sviluppo della, 292 ATP, 94 - sintasi, 116 attivatore, 161 attività ottica, 17 aurore polari, 295 α vedi potere rotatorio α-naftolo, 28

B bachelite, 27 Bacillus thuringiensis, 212 bacino Ligure-Piemontese, 276 bacino marginale o di retroarco, 273 barometro, 299 basi azotate, 76 bassa atmosfera, 293 batteriofago vedi fago benzaldeide, 31 benzene, 23 - nomenclatura dei derivati, 24 - nomenclatura dei derivati, 24 - orbitali molecolari, 23, 24 bifenile, 25 bilancio termico o radiativo, 296 biochimica, 48

bioma, 305 biomasse, energia da, 331 biomasse, fermentazione controllata delle, 331 blocchi di accrezione, 277 brina, 301 Bt vedi Bacillus thuringiensis butanale (o aldeide butirrica), 30 butile, 10 - isobutile, 10 - sec-butile, 10 - terz-butile, 10

CC4, 142 CAM, 143 cambiamento climatico, 307 camera magmatica, 253 cAMP, 161 campo magnetico terrestre, 255 - declinazione magnetica del, 257 - inclinazione magnetica del, 257 - intensità del, 258 - linee di forza del, 255 canyon sottomarini, 263 cappuccio, 166 capside, 169 capsomero, 169 carbogenesi (o carbonificazione), 326 carboidrati, 49 carboni fossili, 326 - diagenesi e maturazione dei, 324 - origine dei, 324 Carbonifero, 326 carbonile vedi gruppo funzionale carbonilico carbonio, 3 - classificazione degli atomi, 8 - ibridizzazioni, 3 - modello degli orbitali ibridi, 3, 24 carbossile vedi gruppo funzionale carbossilico carico di rottura, 244 carta del tempo, 299 carte meteorologiche, 305 catabolismo, 92 catastrofe del ferro, 250 catena alpino-himalayana, 275 catena appenninica, 277 catena delle Ande, 275 catena Hawaii-Emperor, 280 catena respiratoria, 114 celle convettive, 252 celle di Ferrel, 303 celle di Hadley, 303 celle fotovoltaiche, 329 celle polari, 303 cellobiosio, 55 cellula competente, 178 cellulosa, 58 centro di reazione, 137 Chargaff, regole di, 78 cheratina, 76 chetoni, 29 - aromatici, 30 - gruppo funzionale carbonile, 27, 29 - nomenclatura, 30 chetosio, 50 chilomicroni, 122 chimica organica, 3 chirale, 16 - centro (o stereocentro), 16 - proprietà, 16 chiralità, 16 ciclo catalitico, 96 ciclo di Calvin, 139 ciclo di Krebs, 112 ciclo lisogeno, 170 ciclo litico, 170

cicloalcani, 13 ciclobutano, 13 cicloesano, 13 - conformazioni, 13, 14 cicloni extratropicali, 304 cicloni tropicali, 305 ciclopentano, 13 ciclopropano, 13 cinetica enzimatica, 96 circolazione termoalina, 312 cis-2-butene, 21 citocromo, 115 citosina, 76 classificazione dei climi, 306 clima/i, 305 - fattori del, 305 - aridi, 306 - megatermici umidi, 306 - mesotermici, 306 - microtermici, 306 - nivali, 306 clorofilla, 136 cloroformio (o triclorometano), 26 cloroplasto, 135 co-repressore, 162 coda poliadenilata, 166 codice genetico, 157 codone, 157 coenzima, 98 - A, 99 - Q, 99, 115 cofattore, 98 colesterolo, 67 - sintesi del (o colesterologenesi), 123 combustibili fossili, 324 composti eterociclici, 34 - aromatici, 34 - non aromatici, 34 composti organici, 2 - formule, 8 - rappresentazione, 8 condotto vulcanico, 254 conduzione, 252 COP 26, 336 conformazione diagramma energetico, 14 conformazione eclissata, 14 conformazione sfalsata, 14 conformeri vedi anche conformazione (o isomeri conformazionali), 13, 14 - del cicloesano, 13, 14 coniugazione, 177 convergenza, 273 - tra due placche continentali, 274 - tra due placche oceaniche, 273 - tra placca oceanica e continentale, 273 convezione, 252 correnti a getto, 304 - del fronte polare, 304 correnti di convezione, 252 correnti occidentali, 303 COVID-19, 172, 241 cromatina, 154 crosta, 247 - continentale, 247 - oceanica, 247 curva di Keeling, 3 23

D deadenilasi, 167 decadimento degli isotopi radioattivi, 250 denaturazione delle proteine, 74 densità della Terra, 242 deriva dei continenti, 259 destrogiro, 17 diapiro, 253 diastereoisomeri vedi isomeri, diasteroisomeria, 15

dicer, 167 differenziamento cellulare, 163 dimetil chetone vedi propanone dimetil etere vedi etere dimetilico dinamo ad autoeccitazione, 256 dipolo magnetico, 255 disaccaridi, 55 discontinuità, 246 Divertor Tokamak Test, 328 DNA, 76 - complementare vedi cDNA, - doppia elica, 78 - nudo, 178 - polimerasi, 155 - replicazione del, 155 dorsali medio-oceaniche, 263 Drummond, 266

E economia circolare, 335 economia lineare, 335 edifici vulcanici, 254 effetto Coriolis, 303 effetto serra, 297 effettore allosterico, 102 elementi genetici mobili, 179 elettrolizzatori, 336 enantiomeri vedi isomeri enantiomeri enantiomeria, 15 endocitosi, 171 endonucleasi, 192 energia di attivazione, 95 energia endogena, 241 energia eolica, 329 energia geotermica, 330 energia idroelettrica, 330 energia libera (di Gibbs), 92 energia mareomotrice, 330 energia nucleare, 327 energia solare, 329 enhancer, 165 enzima, 95 - allosterico, 102 - di restrizione vedi endonucleasi, eolico off-shore, 330 epicentro, 244 epigenetica, 164 epimeri, 51 epossidi, 28 equatore, lunghezza dell’, 242 Era pandemica, 309 eruzioni, 254 - effusive, 254 - esplosive, 254 escursione termica, 298 - annua, 298 - giornaliera, 298 esone, 165 esosfera, 295 esosi, 50 espansione dei fondali oceanici, 263 espressione genica, 156 esteri, 32 etanale (o aldeide acetica), 30 etano, 6 etanolo (o alcol etilico), 27 etene (o etilene), 18 etere dimetilico (o dietil etere), 20 eteri, 28 - nomenclatura IUPAC, 29 eteroatomi, 34 eterocromatina, 164 eterosfera, 294 etile, 10 etilene vedi etene etino (o acetilene), 22 eucromatina, 164

F FAD, 98 faglia di San Andreas, 277 faglie trasformi, 263, 266 fago, 168

- T4, 169 - temperato, 170 - virulento, 170 falde di ricoprimento, 276 fattore di trascrizione, 165 feedback, 311 - negativi, 311 - positivi, 311 fenantrene, 26 fenilammina vedi anilina fenile, 25 fenoli vedi anche alcoli, 28 - nomenclatura, 28 fenolo (o acido fenico), 24, 27 fenotipo, 154 fermentazione, 117 - alcolica, 118 - lattica, 118 filamento lento, 156 filamento veloce, 156 filtro polarizzatore, 17 fissazione del carbonio, 135 fissione nucleare, 328 flusso di calore, 249 folding (ripiegamento), 74 fonti di energia non rinnovabili, 324 fonti di energia rinnovabili, 329 forcella di replicazione, 155 formula a linee di legame (o formula topologica), 8 formula condensata, 8 formula di struttura, 7, 8 formula molecolare, 8 formula prospettica, 5, 18 formula razionale, 8 fosfofruttochinasi, 110 fosfolipidi, 65 fosforilazione livello del substrato, 94, 111 fosforilazione ossidativa, 94, 114 fosse oceaniche 263, 273 fotofosforilazione, 139 fotolisi dell’acqua, 138 fotorespirazione, 142 fotosintesi, 134 fotosistema, 137 frammenti di Okazaki, 156 frangia dell’atmosfera, 295 fronte, 304 - caldo, 304 - freddo, 304 - occluso, 304 fruttosio, 52 furano, 34 fusione, 171 - del permafrost, 312 - nucleare, 328

G

G3P vedi gliceraldeide-3-fosfato, galattosio, 52 gene/i, 154 - costitutivi, 159 - inducibili, 159 - reprimibile, 159 - strutturali, 160 generatori eolici, 329 genomica funzionale vedi trascrittomica genotipo, 154 geochimica, 242 geoterma, 251 Gibbs, energia libera di, 92 gliceraldeide-3-fosfato, 140 glicerina, 64 glicogenesi, 107, 108 glicogenina, 108 glicogeno, 58 - sintasi, 108 glicogenolisi, 107, 108 glicole etilenico vedi 1 2-etandiolo glicolipidi, 67 glicolisi, 109 Global Warming, 307 glucagone, 107 glucidi, 49

gluconeogenesi, 125 glucosio, 52 gomma naturale (o caucciu), 35 Gondwana, 259 gradiente di pressione, 300 gradiente geotermico, 251 gradiente termico verticale, 294 grado geotermico, 251 Grande accelerazione, 323 grandine, 302 gruppi acilici, 32 gruppi alchilici (o radicali alchilici), 10, 27 gruppo funzionale, 26 - alcossilico, 29 - carbonilico (o carbonile), 29 - carbossilico (o carbossile), 31 - ossidrilico (o ossidrile), 27 guanina, 76 guyot, 263

HHFR, 178, 249 HGP (Human Genome Project) vedi Progetto Genoma Umano HIV, 171

Iibridizzazione sp, 3, 22 ibridizzazione sp2, 3, 19, 24 ibridizzazione sp3, 3, 13 ibrido di risonanza, 23 idrocarburi, 4, 326

- a catena aperta (o aciclici), 4 - a catena chiusa (o ciclici), 4 - alifatici, 4

- alifatico-aromatici (o areni), 25

- aromatici vedi anche benzene, 23

- insaturi, 4, 18, 21

- saturi, 4 idrogeno, 336 induttore, 160 inibizione enzimatica, 100 insulina, 107

International Energy Agency (AIE), 332 International Union of Geological Sciences (IUGS), 323 introne, 165 ionosfera, 295 IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), 307 ipocentro (o fuoco), 244 irraggiamento, 252 isobare, carta delle, 299 isobutano, 7 isole CpG, 164 isomeri conformazionali vedi conformeri, isomeri di struttura, 7 isomeri diastereoisomeri, 14, 21 isomeri enantiomeri, 14, 16 isomeri geometrici (o cis-trans), 14, 21 isomeri ottici, 14 isomeri stereoisomeri, 14, 16 isomeria geometrica, 15 - degli alcheni, 21 - dei cicloalcani, 15 isomeria ottica, 15 isopentano, 7 isopropile, 10 isoterme, carta delle, 298 istoni, 154

IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), 9 - regole di nomenclatura, 9

L L-amminoacidi, 70 lago tettonico, 271 lattato, 118 lattosio, 55 Laurasia, 259 lava, 254 legame/i doppio, 18, 19 legame/i glicosidico, 55

legame/i peptidico, 72 legame/i triplo, 22 legame/i π (pi greco), 19, 22 legame/i σ (sigma), 3, 19, 22 Legge europea sul clima, 313 levogiro, 17 lignite, 326 limite di elasticità, 244 lipidi, 60 lipogenesi, 123 lipolisi, 123 liposoma, 66 litantrace, 326 litosfera, 248 luce polarizzata, 17

M m-cresolo, 28 magma, 253 - acido, 253 - basico, 253 - intermedio, 253 magnetite, 255 magnetometro, 258 maltosio, 55 mantello, 248 mappa metabolica, 104 margini continentali, 270 - attivi, 270 - passivi, 270 - trasformi, 270 margini di placca, 270 - conservativi, 277 - convergenti (o distruttivi), 272 - divergenti (o costruttivi), 271 massa terrestre, 242 mesopausa, 294, 295 mesosfera, 248, 295 metabolismo, 92 - degli acidi grassi, 123 - dei lipidi, 122 - del glucosio, 106, 109, 112, 117 - delle proteine, 124 metal-energy-climate change nexus, 333 metalli preziosi, 331 metalli rari, 332 metanale (o aldeide formica), 30 metano, 5 - biogenico, 327 - metilazione degli istoni, 164 - metilazione del DNA, 164 - termogenico, 327 meteoriti, 243 - acondriti, 243 - condriti, 243 - differenziate, 243 - indifferenziate, 243 - sideriti, 243 - sideroliti, 243 meteorologia, 305 metile, 10 metodi di analisi (delle rocce), 242 - diretti, 242 - indiretti, 242 micella, 66 Michaelis-Menten, 97 millibar, 299 minerali ferromagnetici, 265 minerali metallici, 331 minerali non metallici, 331 minerali paramagnetici, 265 miRNA, 167 miscela racemica (o racemo), 17 mitigazione climatica, 313 modelli tridimensionali, 8 - a sferette e bastoncini, 8 modello dell’adattamento indotto, 96 modello di formazione dei depositi organici, 324 modello dinamico della circolazione atmosferica, 304 modello termico, 302 monomeri, 35 monosaccaridi, 50

moti convettivi, 252 - dell’astenosfera, 278 mRNA, 157 - maturazione dell’, 165 mutorotazione, 53 N

n-butano (normal-butano), 7 n-pentano (normal-pentano), 7 NAD, 98 NADP, 99 naftalene, 26 nebbia, 301 neopentano, 7 neve, 302

nomenclatura dei composti organici vedi IUPAC regole di nomenclatura, nubi, 301, 302 - nottilucenti, 295 nucleo, 248 nucleotidi, 76 nylon, 35

O

occhio del ciclone, 305 ofioliti, 277 oloenzima, 98 omega-3, 61 omega-6, 61 onde di Love, 245 onde di Rayleigh, 245 onde di volume, 244 onde lunghe o di superficie, 245 onde P longitudinali, 244 onde S trasversali, 245 onde sismiche, 244 - propagazione delle, 246 operatore, 160 operone, 160 - lac, 160 - trp, 162 orbitali ibridi, 3, 24 orbitali ibridi sp, 3, 22 orbitali ibridi sp2, 3, 19, 24 orbitali ibridi sp3, 3, 5 orbitali molecolari, teoria degli, 24 ormoni steroidei, 68 orogenesi, 274 orto-idrossibenzaldeide vedi aldeide salicilica, ossidazione degli acidi grassi, 123 ossido di cis-2-butene, 28 ossido di etilene, 28 ossido di propilene, 28 ossidrile vedi gruppo funzionale ossidrilico, ozono, 295

P paleomegnetismo, 265 Pangea, 259 pannelli solari, 329 Panthalassa, 259 parchi eolici, 330 pascal, 299 PCR vedi reazione a catena della polimerasi PE vedi polietilene, pennacchi termici, 279 pentosi, 50 PEP carbossilasi, 143 pericapside, 169 permafrost, 312 perturbazione nel ciclo del carbonio, 324 perturbazioni atmosferiche, 304 petrolio, 26 piane abissali, 263 piano di Benioff, 271 piano di polarizzazione, 17 Piattaforma CLIMATE ADAPT, 314 piattaforma continentale, 263 pietre da costruzione, 331 pietre preziose, 331 pillow-lava, 271 pilo di coniugazione, 177

pioggia, 302 piperidina, 34 piranosio, 53 pirazina, 34 pirazolo, 34 piridazina, 34 piridina, 34 pirimidina, 34 pirrolidina, 34 pirrolo, 34 piruvato, 111 - chinasi, 111 - deidrogenasi, 112 placche litosferiche, 269 plasmide, 154 polarimetro, 17 poliammidi, 35 polietilene (PE), 35 - a bassa densità (LDPE), 35 - ad alta densità (HDPE), 35 polimeri, 35 - copolimeri, 35 - naturali, 35 - omopolimeri, 35 - sintetici, 35 polinucleotidi, 35 polisaccaridi, 35, 57 polivinilcloruro (PVC), 35 potere rotatorio (α), 17 pressione, fattori della, 299 pressione normale, 299 previsioni del tempo, 305 primarie, 245 primer, 155 prisma di accrezione, 273 prodotti piroclastici, 254 proenzima, 100 profago, 170 Progetto Genoma Umano, 191, 204 proiezioni di Fischer, 16 promotore, 160 propanale (o aldeide propionica), 30 propano, 6 propanone (o dimetil chetone o acetone), 30 propenale, 30 propene, 18 propile, 10 proteine, 69 - fibrose, 76 - globulari, 76

- struttura primaria, 73 - struttura quaternaria, 75 - struttura secondaria, 74

- struttura terziaria, 74 pulviscolo atmosferico, 293 punti caldi (o hot spots), 280 punto di Curie, 256 punto di rugiada, 301 punto isoelettrico, 71

R

racemo (o miscela racemica), 17 radiazione solare, fluttuazioni nella, 310 radicali alchilici (o gruppi alchilici), 9 RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), 333 raggio terrestre, 242 reattivo di Fehling, 54 reattivo di Tollens, 54 reazione a catena, 328 - della polimerasi, 198 reazione/i accoppiata, 93 reazione/i endoergonica, 93 reazione/i esoergonica, 93 reazione/i, velocità di, 96 regolazione allosterica, 102 regolazione genica, 159 regolazione negativa, 160 regolazione positiva, 161 regole CIP vedi sistema RS regole di priorità replicone, 155 repressore traduzionale, 167

resilienza climatica, 314 retrotrasposone, 180 retrovirus, 171 ribosio, 52 ribosoma, 157 ribulosio-1 5-bisfosfato, 140 ricombinazione genetica, 176 rift continentale, 271 rift valley, 263 RISC, 167 risonanza, 23 - ibrido, 23 - strutture limite, 23 RNA, 77 - polimerasi, 156 rocce madri di idrocarburi, 326 roccia serbatoio, 327 Rossby onde di, 304 rRNA, 157 RuBisCO, 140 RuBP vedi ribulosio-1 5-bisfosfato, rugiada, 301

S saccarosio, 55 saponificazione, 64 SARS-CoV-2, 172 scala cronostratigrafica, 322 scala delle polarità magnetiche o scala geomagnetica, 265 scarpata continentale, 263 schema Z, 138 seamounts, 263 secondarie, 245 sequenza di Shine-Dalgarno, 162 sequenze ofiolitiche, 276 serie omologa degli alcani, 6 serie omologa degli alcheni, 18 serie omologa degli alchini, 22 sfere geochimiche, 240 silencer, 165 siRNA, 168 sismografo, 245 sismogramma, 246 sismologia, 244 sistema antenna, 137 sistema chiuso, 240 sistema RS, 17 - regole di priorità (o regole CIP), 17 sistema Terra, 240 sito attivo, 96 slab, 273 snRNP, 165 somiglianze litologiche, 259 somiglianze paleoclimatiche, 260 spike, 173 spillover, 174 spliceosoma, 165 splicing, 165 - alternativo, 166 stereocentro vedi chirale centro stereoisomeria, 14 steroidi, 67 stirene, 24 stratopausa, 294, 295 stroma, 135 subduzione, 271 superfici di discontinuità, 246 - di Gutenberg, 246 - di Lehmann, 247 - di Mohorovičic’ o Moho, 246 superficie totale della Terra, 242 sviluppo sostenibile, 334

T

TATA box, 165 TBP (TATA binding protein), 165 temperatura, 298 - degli oceani, aumento della, 312 tempo atmosferico, 298 terminatore, 160 termopausa, 294 termosfera, 295 terre rare, 332

terremoti o sismi, 244 tetide, 259 tetraidrofurano, 34 tettonica delle placche, 269 tilacoide, 135 timina, 76 tiofene, 34 toluene, 24 torba, 326 traduzione, 157 trans-2-butene, 21 transizione energetica, 336 trappola (di idrocarburi), 327 trascritto primario, 165 trascrizione, 156 - inversa, 171 trasduzione, 178 trasferimento genico orizzontale, 176 trasformazione, 178 trasmissione del calore, 252 trasposone, 179 trigliceridi, 63 tRNA, 157 tropopausa, 294, 295 troposfera, 294 turnover proteico, 124

U

ubichinone vedi coenzima Q ubiquitina, 100, 168 umidità, 301 - assoluta, 301 - relativa, 301 uracile, 77 urea, 2

V vapore acqueo, 293 - variazioni del, 312 variazioni del clima, 310 venti, 300 - locali periodici, 301 - locali variabili, 301 - occidentali, 300 - planetari, 300 - venti polari, 300 - regionali periodici, 301 vento solare, 255 via metabolica del glucosio, 106 via metabolica del pentosio fosfato, 120 via metabolica glicolitica, 109 via metabolica ossidativa anaerobica, 117 virione, 169 virus, 168 viscosità, 254 vitamine, 80 volume terrestre, 242 VSEPR teoria, 5, 19, 22 vulcanesimo interplacca, 280 vulcanismo, 253

Z

zona di convergenza, 303 zona di divergenza, 303 zoonosi, 174 zwitterione, 71

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ISBN 978882338227-5

© 2025 Rizzoli Education S.p.A. - Milano

Prima edizione: gennaio 2025 Tutti i diritti riservati

Ristampe:

9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 2029 2028 2027 2026 2025

Stampa: Cartoedit s.r.l. – Città di Castello (PG)

Coordinamento redazionale: Anna Spinelli

Progetto grafico: Massimo De Carli, Studio Mizar

Progetto grafico copertina: zampediverse, Carate Brianza (MB)

Impaginazione copertina e alette: Simona Corniola – Colibrì Graphic Design, Rapallo (GE) - Elisa Seghezzi

Editing, redazione e ricerca iconografica: Anna Spinelli, DuDat, Bologna

Elaborazione digitale testo e immagini e impaginazione: Studio Mizar, Bergamo Disegni e formule: Studio Breznay; Remedios Cortese (modelli molecolari); Preparé Italia, Battipaglia (SA) (formule) Revisione tecnica degli esercizi: DuDat, Bologna

Progettazione contenuti digitali: Fabio Ferri, Vincenzo Belluomo

Redazione e Realizzazione: IMMAGINA srl (videoesperienze, videolab, video molecole Avogadro audio); Giovanna Fonda (videotutorial); Salvatore Passannanti e Carmelo Sbriziolo (videolab - modelli molecolari); Kilda video (biografie), Lumina Datamatics (mappe); Antonio Martino (lezioni LIM, Attività Avogadro); Remedios Cortese (Attività Avogadro); Eicon (esercizi, realizzazione Laboratorio visuale interattivo); Dedita (Google Moduli); Bianca Franchi, Hilary Creek, Rosa Guzzetti (CLIL module); Lelia Parisi, Eleonora Palumbo (redazione CLIL module); Publi&Stampa, Conselice - RA (impaginazione CLIL module); Antonio Cavallo, (ideazione Laboratorio visuale interattivo).

Si ringrazia l’ufficio scientifico di Legambiente per la stesura delle schede di educazione civica dei Temi A, B, C e D e Marinella Torri per il Tema D.

Si ringraziano le Prof.sse Luisa Bagiotti e Raffaella Mare per la stesura delle schede Collega; Ylenia Nicolini, Fortunato Malta e Marinella Torri per le pagine STEM e le Linee del tempo; Eleonora Anzalone per la realizzazione degli esercizi con AI; Denise Trupia per la ricerca iconografica delle Linee del tempo.

In copertina:

Sorgenti calde e geyser, il Parco Nazionale di Yellowstone, Wyoming USA @ Bruce Montagne / Dembinsky Photo Associates / Alamy Foto Stock.

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