Rivista donna

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A questi principi si era uniformato il Re Giovanni II quando poco prima di morire regolò col suo testamento la successione tra i suoi tre figli nel seguente modo. Enrico, il maggiore di età nato dalla prima moglie Maria d'Aragona avrebbe ereditato la corona col titolo di Enrico IV. Seguivano quindi gli altri due figli avuti dalle seconde nozze con Isabella del Portogallo: Alfonso che pur essendo più piccolo di due anni d’Isabella la precedeva in quanto maschio, avrebbe ricevuto il titolo di Principe delle Asturie in quanto era l’erede ufficiale della Corona. Isabella era soltanto terza nella linea di successione. Le sue chances di diventare Regina di Castiglia erano molto poche. Avrebbe potuto ereditare la Corona solo in caso di premorienza per di più senza lasciare prole di entrambe i suoi fratelli. Una circostanza non impossibile ma poco probabile, anche perché avere un proprio erede al trono rappresentava un'importante condizione di stabilità per chi regnava. Questa era anche l'opinione di Enrico IV. Non avendo avuto figli dalla moglie Bianca d’Aviz dopo 1 3 anni di matrimonio ottenne dal Papa la dispensa per sposare in seconde nozze Giovanna del Portogallo. Finalmente nel 1 462, passati due anni dalle nozze, ebbe il piacere di annunciare la nascita di Giovanna, che come si soleva dire fu “giurata” dalle Cortes come erede ufficiale della Corona e prese il titolo che in precedenza era di Alfonso, di Principessa delle Asturie. La nascita di Giovanna faceva dunque saltare la linea preesistente di successione. Questa, infatti, passava dalla discendenza di Giovanni II a quella di Enrico IV. Tanto Alfonso quanto Isabella uscivano dalla linea diretta ereditaria. Di per sé la questione non era complicata, ma lo diventò ben presto perché si cominciò a sostenere che Giovanna non fosse figlia "legittima" di Enrico. Si trattava di voci diffuse artatamente in forme sempre più sfacciate e offensive per l’onore del Re e della Regina. Chiamare Giovanna non per nome ma come "la figlia della Regina" o peggio ancora "la Beltraneja", con allusione trasparente al Conte Beltran de la Cueva suo presunto padre, faceva parte di una propaganda volta a minare l’autorità del Sovrano e a raccogliere contro di lui, con il pretesto di una causa giusta, la maggior parte della nobiltà. D’altro canto, contraddire apertamente la parola del Re, senza valide ragioni, significava macchiarsi di ribellione e tradimento. Se la vicenda prese realmente questa brutta inclinazione, le ragioni non vanno ricercate sul piano della legalità e del diritto. La questione della successone funzionò da catalizzatore per un insieme di ambizioni personali, di contrasti di interesse, di reazioni al malgoverno del Re che amava distribuire onori e cariche importanti a persone di scarse capacità, provenienti per di più dai ranghi più bassi della nobiltà. Sotto la guida del potentissimo Juan Pacheco, Marchese di Villena già favorito del Re che si sentiva scavalcato dal più giovane e meno esperto Conte de la Cueva e si costituì in seno alla grande nobiltà e con l’appoggio dell'influente Alfonso Carrillo, arcivescovo di Toledo, una fazione ribelle (la cosiddetta Liga nobiliaria) che in breve tempo giunse a deporre Enrico IV con l'accusa di "tirannia". E poiché occorreva legittimare la rivolta con un nuovo sovrano, permaneva il rifiuto di riconoscere a Giovanna il diritto di Corona, si trovò la soluzione resuscitando la linea dinastica preesistente alla sua nascita. Così Alfonso che era allora appena dodicenne fu acclamato Re col titolo di Alfonso XII di Castiglia. In seguito sarebbe stato ricordato come Alfonso l’Innocente in ragione della sua giovane età ma, soprattutto, perché inserito in un gioco più grande di lui come una docile di pedina nelle mani del marchese di Villena e dai suoi alleati della Liga. Per tre anni il regno di Castiglia si trovò territorialmente diviso in due contrapposte obbedienze monarchiche. In quegli anni Isabella si trovava nel territorio occupato dagli insorti, essendosi ritirata ad Arévalo tempo prima dell’inizio del conflitto non amando i costumi mondani della Corte. Aveva compiuto i sedici anni e c’era già nell’ambiente a lei vicino chi pensava come fra’ Martín de Cordoba, a coltivare nella giovane donna le virtù necessarie al suo futuro da regina. Naturalmente non mancava chi invece pensava, come l’intrigante onnipresente marchese di Villena, di poter trarre vantaggi più immediati dall’essere Isabella ormai in età di prendere marito. Mentre incominciavano a farsi avanti alcuni pretendenti, il marchese di Villena propose a Enrico IV un compromesso. Avrebbe abbondonato la Liga e unito le forze sue e della sua famiglia a quelle del Re per sopprimere la rivolta se Enrico avesse concesso la mano di Isabella a suo fratello Pedro Girón, Maestro dell’Ordine di Calatrava. Il retro pensiero nella mente di entrambi era la possibilità di risolvere la questione della successione al trono ciascuno a proprio vantaggio, una volta sedata la ribellione. L’accordo fu fatto ma a farlo fallire sopraggiunse la morte dello sposo, che peraltro liberò Isabella da un non gradito matrimonio.


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