IUVENTAS Rivista Nr. 5 / II

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IUVENTAS

Parte 2

Rivista Antroposofica

1 - Kaspar Hauser, il nostro bambino a cura della Redazione, settembre 2024

2 - Kaspar Hauser: Ein kleines Gedicht / Kaspar Hauser - Una piccola poesia 1832

3 - Modellbau in Malsch a cura della Redazione

2. Dal Cuore dell’Europa per la Pace

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4 - L’“abolizione” dello spirito: l’enigma del Canone XI - L’anno 869 e il suo significato nel destino dell’Europa di Terry Boardman, 2008 pg. 20

5 - I tre mantra meditativi dati a Helmuth von Moltke da Rudolf Steiner 1914 pg. 29

6 - Querela Pacis: Il lamento per la pace di Erasmo da Rotterdam, 1517

7 - Manifesto - Il coraggio per la Pace di Antonio Mimmo, aprile 2024

8 - Lettera ad un soldato di Antonio Mimmo

3. Antroposofia nel Mondo

9 - Riscoprire il senso della “comunità”: appunti da un diario di viaggio in Giappone nella piccola comunità antroposofica di Matsue di Antonio Mimmo,

10 - Un viaggio lungo l’anno interiore dell’anima con il Calendario dell’Anima antroposofico di Angela Stintzing con illustrazioni di Karl König

11 - 100 anni di pubblicazioni: libri, appunti, conferenze Nel 2025 si chiuderà la pubblicazione dell’opera completa di Rudolf Steiner, nel centenario della sua dipartita di Giovanni Tobia De Benedetti, settembre 2024

4. Antroposofia nel quotidiano

12 - C. Wiechert – Un cuore per i bambini intevista a cura di Kata Szabados, 2024

13 - S. Pintor – La fortuna di essere insegnante (Waldorf) intevista a cura di Kata Szabados, 2024

14 - P. Kleinfercher – “ (Per) una pedagogia in legame col mondo spirituale” intevista a cura di Kata Szabados, 2024

15 - Fercher von Steinwand (1828-1902) Cori cosmici (Kosmische Chöre) traduzione dal tedesco a cura di Tina Iacobaccio

16 - Michaeli 1924 - 2024

Dall’ultimo discorso di Rudolf Steiner, tenuto alla vigilia della festa di San Michele dell’anno 1924

17 - Appunti per una preparazione interiore alla festa di Michele di Ita Wegman, annotazione su un taccuino (non datata)

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3. AntroposofiA

Disegno ad inchiostro di Nicolás Gemelli

“E’ così importante avere ovunque questi piccoli centri, la cosa dovrebbe assumere una dimensione internazionale. In questi tempi impazziti, dove tutto tende all’autocrazia, la collaborazione tra le persone che appartengono a nazioni diverse, ha naturalmente una efficacia straordinaria.”1

“[...] Dica a tutti che sono continuamente impegnata interiormente con l’edificazione del nuovo, che deve pure sorgere per l’umanità [...] così che gruppi di uomini devono sentire la reciproca appartenenza, per considerare se stessi come parti integranti di questo lavoro di costruzione.”2

““La sua forza portante appartiene già ai nostri aneliti volti a cercare di sperimentare il Cristo mediante la comunità. Questo è il problema più grande che noi abbiamo da risolvere. E che per realizzare questa comunità sarà sempre necessario che vi siano persone che si allontanano per ricongiungersi più tardi, mi appare come una necessità che può essere confrontata con un andare nella morte e ricevere pensieri di resurrezione.”3

1 - Lettera di Ita Wegman a Nora Baditz-Stein, Riechen, 19 settembre 1939

2 - Lettera di Ita Wegman a Wilhelm Goyert, Ascona, 17 gennaio 1941

3 - Lettera di Ita Wegman a Anni Ruhtenberg, Ascona, 7 ottobre 1942

di Antonio Mimmo, settembre 2024

„Heilsam ist nur, wenn im Spiegel der Menschenseele sich bildet die ganze Gemeinschaft und in der Gemeinschaft lebet der Einzelseele Kraft“

5. November 1920 - Rudolf Steiner (GA 40, S. 298)

Mi sono spesso chiesto quali significati abbia la parola comunità al giorno d’oggi e in quali forme essa si identifichi. La prima cosa a cui si potrebbe pensare sono quelle realtà che vedono l’incontro e la relazione tra più individui che condividono uno stesso ambiente e che sono normalmente unite da interessi comuni. Si potrebbe quindi pensare in primo luogo alla famiglia, ad un gruppo di amici, ma anche a quelle strutture organizzative e sociali in cui viviamo quotidianamente e di cui facciamo parte, in maniera fisica e molto spesso anche in maniera virtuale.

Questo vivere quotidianamente immersi in qualcosa, che nelle sue diverse forme si può definire comunità, mi ha fatto rendere conto da un lato di aver a che fare con un termine che nel suo complesso è molto vasto, dall’altro di non essermi mai realmente confrontato con il suo significato, dandolo spesso

“È salutare solo quando

l’intera comunità si forma nello specchio dell’anima umana e la forza dell’anima individuale vive nella comunità”

5. Novembre 1920 - Rudolf Steiner (GA 40, P. 298)

per scontato, così tanto da ignorare il suo valore. Spesso le abitudini ci intrappolano in un circolo vizioso che annebbia la nostra vista, non permettendoci di guardare oltre a quello che conosciamo. A volte si ha bisogno di cambiare prospettiva per poter rivolgere uno sguardo nuovo a quello che si conosce solo in maniera superficiale.

Non a caso è stato solo durante e dopo il mio viaggio in Giappone che ho riscoperto e rivalorizzato il significato di questo termine.

Quella che vorrei descrivere in quest’articolo è una piccola comunità che a mio avviso cerca di vivere seguendo quello che Steiner ha espresso nelle sue parole il 5 novembre 1920 rispecchiando, sotto molti aspetti, quello che c’è di più salutare e che si crea quando più persone decidono di condividere la

Appunti dA un diArio
Allenamento. Foto dell’autore.

stessa via, pur rispettando e sostenendo la crescita personale di ogni singolo individuo.

Dopo aver passato alcune notti a Tokyo ed essermi perso in quella vastità metropolitana così grande, così moderna, così indaffarata e allo stesso tempo misteriosa e antica, volai con la mia compagna a Yonago per poi raggiungere in auto Matsue, capitale della prefettura di Shimane. In questa città, così diversa dalla metropoli, circondata dalla bellezza della natura e situata tra il mare del Giappone e i due laghi Nakaumi e Shinji, incontrai la sua famiglia ed entrai in contatto con i membri del dōjō della famiglia Ito.

Tradizionalmente un dōjō (dal giapponese 道場, dōjō, letteralmente tradotto come “luogo dove si segue la via”) è un luogo in cui vengono insegnate principalmente le arti marziali e le loro relative filosofie annesse. Si può dire la stessa cosa per il dōjō Ito, il quale fondatore Tomo Ito, insegna da molti anni alcune delle tipiche arti marziali giapponesi, tra cui il karate, il kenjutsu (arte della spada) e il shurikenjutsu (lancio dei dardi). Ma non è solo la via dell’esercizio e dell’apprendimento prettamente fisico ad essere seguita in questo ambiente. Anche l’apprendimento e l’esercizio spirituale trovano la loro espressione attraverso lo studio collettivo di testi antroposofici e buddisti, sotto la guida di Tomo e di sua moglie Kaoru Ito. A queste sessioni di studio sono invitati giovani ed adulti che vogliano avvicinarsi alle conoscenze superiori senza necessariamente dover avere un bagaglio di preconoscenza.

Quella sera del 25 dicembre si sarebbe celebrata una festa con tutti i membri frequentatori del dōjō. La grande sala principale dai pavimenti in legno e porte scorrevoli era per metà occupata da diverse sedie per ospitare un pubblico di circa una trentina di persone. Mi venne spiegato che in queste occasioni ogni membro è invitato a preparare a suo modo una piccolo contributo artistico da presentare agli altri ospiti: esibizioni canore, piccoli spettacoli teatrali, sketch comici, esibizioni musicali con strumenti tradizionali e non, si susseguirono tra risate e applausi.

Venni accolto in maniera molto calorosa da una piccola comunità molto affiatata, i cui membri si dedicano non solo all’apprendimento delle arti marziali e allo studio della spiritualità, ma anche alla valorizzazione delle tradizioni della cultura Giapponese e all’educazione dei bambini. Nelle due settimane che seguirono infatti, corrispondente al periodo di pausa dalle scuole ordinarie, iniziò nel dōjō la cosiddetta “scuola invernale” per un piccolo gruppo di età compresa tra i cinque e i dieci anni.

Osservai con attenzione tutte le attività, previste durante le due settimane, che iniziarono già dal primo mattino con delle lezioni di Sumai (dal giapponese 素舞い, sumai), disciplina che insegna ai bambini i movimenti di base per il successivo apprendimento delle arti marziali. Ad un adeguato riscaldamento, seguirono diversi esercizi motori mirati allo sviluppo dei riflessi, della coordinazione e dell’autodifesa. Malgrado la concentrazione e la serietà nel mostrare i movimenti e nell’eseguire gli esercizi, l’atmosfera creata da Tomo fu sempre giocosa e mai rigida nei sui intenti. I

bambini stavano allenando il proprio corpo e la propria mente divertendosi.

Nella seconda parte della mattina, dopo l’allenamento ed una meritata pausa usata prevalentemente per giocare, il gruppo si cimentò nella preparazione di un piccolo spettacolo teatrale scritto da una delle bambine. Aiutammo i bambini a memorizzare le proprie battute, cercando di dare loro indicazioni sul come preparare le diverse scene. Inoltre venne deciso di far recitare alcune frasi dello spettacolo in altre lingue, tra cui il cinese, l’italiano, il tedesco e l’inglese. Questa scelta non fu solo dovuta alla nostra presenza, ma anche alla voglia di incoraggiare le nuove generazioni a sviluppare un interesse per le altre lingue usando il teatro come strumento di mediazione.

Finita la sessione di prove per lo spettacolo, ci spostammo nel piccolo giardino sul retro del dōjō per iniziare i preparativi della cottura del riso in maniera tradizionale. Sotto la supervisione di alcuni membri, il gruppo venne guidato nelle diverse fasi di preparazione: lavaggio del riso, accensione del fuoco utilizzando il metodo del trapano a mano e cottura. Rimasi molto colpito della dedizione con cui gli adulti si dedicarono a questa forma di educazione basata principalmente sull’esperienza e il pieno coinvolgimento, senza voler precludere ma accompagnare, anche in mansioni a primo impatto complicate, ogni bambino.

In quei momenti pensai spesso alla contrapposizione tra la vita in una grande metropoli come Tokyo e quella più rurale di una piccola città. Nella parte pomeridiana, si svolsero attività di gioco con i bambini rimasti mentre Kaoru e Tomo si prepararono per la sessione serale di allenamento e di studio riservata agli adulti. Questa routine si susseguì per tutto il periodo della mia permanenza.

Le sessioni serali riservate agli adulti iniziarono con gli allenamenti di Kenjutsu (dal giapponese 剣術, kenjutsu, letteralmente tradotto come “arte della spada”) per poi passare alle sessioni teoriche che per dodici serate, chiamate “serate dell’epifania”, compresero per quest’anno lo studio del testo sanscrito Gaṇḍavyūhasūtra. Questo testo è considerato essere il più importante ed ultimo capitolo dell’Avataṃsakasūtra (conosciuto in italiano con il titolo “Il Grande sutra dell’ornamento fiorito dei Buddha” e in giapponese con il nome “華厳経, Kegonkyō” o “Kegon-Sutra”) quale descrive il percorso spirituale fatto dal giovane Sudhana (conosciuto anche con il nome cinese “Shancai Tongzi”) per raggiungere la via dell’iniziazione e della consapevolezza spirituale attraverso l’insegnamento impartitogli da 54 maestri che incontrerà durante il suo cammino. La crescita spirituale del giovane Sudhana non rappresenta soltanto l’arricchimento per il suo essere, ma anche per tutti coloro che entreranno in contatto con lui: uno dei motivi principali del suo pellegrinare sulla via della consapevolezza spirituale è, infatti, quello di aiutare e dedicarsi al prossimo.

Malgrado la barriera linguistica, resa meno imponente dalle traduzioni della mia compagna, presi parte a queste sessioni seduto in cerchio con gli altri partecipanti con molto interesse. Alle nozioni derivanti dai testi della cultura buddista si

collegarono anche riflessioni e testi antroposofici, valorizzando ancor di più il tema ricorrente dello sviluppo dell’Io interiore e della moralità. Una delle cose che più apprezzai durante quelle serate fu l’apertura al dialogo, dando spazio a domande, incertezze e commenti che favorirono la comprensione di queste tematiche così complesse.

Prendendo appunti nel mio diario, cercai di riflettere sulle esperienze vissute nelle settimane della mia permanenza. Furono diciotto giorni molto intensi in cui essere parte di quella quotidianità fu certamente molto diverso, dato il nuovo ambiente e la lontananza da tutto quello che a me era famigliare, ma allo stesso tempo pieno di un significato nuovo. Non fu comunque facile fare ordine tra i pensieri scritti nero su bianco e mi resi subito conto di avere tante domande a cui trovai adeguate risposte solo dopo aver lasciato il Giappone.

Durante una conversazione privata parlai nuovamente con il maestro Tomo del periodo trascorso insieme. Gli chiesi di spiegarmi i motivi della scelta di dedicarsi al Kegon-Sutra, del perché presentare ai membri del suo dōjō i suoi insegnamenti e di cercare di caratterizzare l’influenza che questo testo possa avere su quella piccola comunità antroposofica e i suoi singoli individui. Quella che segue è una sintesi delle sue più importanti riflessioni:

“Uno degli obbiettivi che questa comunità insegue è quello di collegare le conoscenze spirituali occidentali con quelle orientali. L’antroposofia è una disciplina che permette di costruire questo ponte e che fin ora ci ha insegnato che le persone hanno bisogno di riunirsi in comunità per lavorare insieme e lasciare che l’impulso dell’arcangelo Michele penetri le loro azioni.”

“Sudhana rappresenta un modello da seguire per chi intraprende la via dello sviluppo spirituale, che certamente richiede tempo e dedizione. Ogni individuo all’interno della comunità sa di aver a che fare con un processo

di sviluppo che non ha una linea di arrivo, bensì rappresenta una via che si perpetua durante tutto il corso della vita. Persino i maestri incontrati da Sudhana affermano che, benché già illuminati dalle consapevolezze spirituali, si trovano ancora sulla via dell’apprendimento.”

“Non si tratta di creare una comunità perfetta. Ogni individuo porta con se il suo bagaglio di esperienze e molto spesso si può arrivare a contrasti e differenze di opinioni che devono essere rispettate. La cosa più importante non è necessariamente creare legami d’amicizia, bensì capire il valore della collaborazione che porterà frutti a tutti gli individui, in quanto lo sviluppo individuale passa anche attraverso quello che succede all’interno di una comunità. Accompagnare, ad esempio, i bambini durante il loro percorso di sviluppo e vedere la loro crescita è una grande ricompensa, in quanto non sono solo loro a crescere ma anche noi stessi.”

Questa esperienza mi ha mostrato quanto, nella nostra società, ci sia bisogno di guardare alla comunità con occhi nuovi, riferendosi ad essa come a qualcosa che non rappresenti solo una realtà a sè, confinata nei suoi interessi e nelle sue mansioni, ma che ha a che fare con la crescita reciproca, sia all’interno che al di fuori del suo organismo.

Sono convinto che indipendentemente dal tipo di comunità, se pervasa di moralità, rispetto reciproco e collaborazione, i frutti di questa crescita avranno un impatto molto positivo sulla società moderna, che soffre della mancanza di uno sano spirito collettivo.

Allenamento. Foto dell’autore.
Preparazione del riso. Foto dell’autore.
Allenamento. Foto dell’autore.
Cottura del riso. Foto dell’autore
un viAggio lungo l’Anno interiore dell’AniMA con il cAlendArio dell’AniMA Antroposofico

Lavorando con il Calendario dell’Anima di Rudolf Steiner – forse in un’organizzazione antroposofica oppure durante le meditazioni a casa – il desiderio può nascere non solo di recitare o leggere i versetti settimanali in un rituale quotidiano, ma di collegare in modo più profondo, di compenetrarsi nello stato d’animo di ogni versetto giungendo così gradatamente a una comprensione profonda. Così il ponte verso lo spirituale può ricreare se stesso continuamente (24° versetto) e con il lavoro interiore la propria essenza può essere esplorata (3° versetto), cosicché l’universo intero può realizzarsi nell’uomo. Facendo questa strada, una compagnia competente può essere utile – da una parte per non smettere di dedicarsi ai

versetti regolarmente e dall’altra per ricevere dei consigli su come si possa ottenere un accesso individuale cosicché il proprio tessere animico in immagine, possa trovar compimento nelle impressioni del corso dell’anno, come dice Rudolf Steiner nella prefazione del Calendario dell’Anima (1912/13). E poi nella prefazione della seconda edizione: … solo allora, tramite tale partecipazione, [l’anima] troverà se stessa davvero. Sentirà come tramite questo, sorgeranno le forze, che la rafforzano dall’interno. Karl König quando è stato internato sull’isola di Man nel 1940, ha fatto un’illustrazione in matite colorate per ogni versetto e ha dato delle conferenze per i compagni di prigionia che naturalmente non avevano tutti un background antroposofico. Sulla base di

queste illustrazioni Richard Steel del Karl König Institut offre delle riflessioni settimanali online sul Calendario dell’Anima che rappresentano un tale accompagnamento per il viaggio interiore. Così diventa possibile esplorare lo stato d’animo di ogni versetto al proprio passo, facendo così un viaggio tutto individuale con il Calendario dell’Anima lungo l’anno interiore.

Ma questo viaggio non è egoistico, poiché il proprio lavoro interiore è un contributo cruciale per l’evoluzione della terra: a novembre veniamo a conoscenza di questo direttamente tramite il 33° versetto:

Così sento solo ora il mondo che partecipa al di fuori della mia anima … potrebbe trovare in sé solo la morte.

Visti i disastri ambientali e climatici attuali, forse adesso è ora di prendere queste parole sul serio! Quest’interessamento è perciò il centro di diverse manifestazioni, congressi, conferenze ed esposizioni del Karl König Institut che trattano esattamente quest’argomento. Le 52 illustrazioni del Calendario dell’Anima hanno per la prima volta attraversato l’Atlantico e verranno esposte in diversi luoghi negli USA e in Canada. L’invito per un viaggio interiore è allo stesso tempo un appello a dare un contributo interiore alla situazione del mondo. Perché in primavera (50° versetto) veniamo a sapere lo sconvolgente:

Parla all’io dell’uomo rivelandosi potentemente … la voglia di divenire dell’esistenza dell’universo: portando in te la mia vita … raggiungo la mia vera meta.

Forse sorge la domanda se l’internet sia lo strumento adatto a questo lavoro. Nell’area linguistica inglese, in Germania e in Cina dove questo viaggio interiore è già partito, il formato online si è dimostrato davvero utile dando la possibilità di andare avanti al proprio ritmo e allo stesso tempo di essere in contatto con altri. Così una comunità si è formata in tutto il mondo che “s’incontra” per scambiarsi. Che bello che il www possa essere usato pure in questo modo!

Dunque, partire per questo viaggio interiore conviene!

Per ulteriori informazioni rivolgetevi ad Angela Stintzing dell’ufficio del Karl König Institut: a.stintzing@karlkoeniginstitute.org https://www.karlkoeniginstitute.org/lang/italian.asp

100 Anni di pubblicAzioni: libri, Appunti, conferenze

nel 2025 si chiuderà lA pubblicAzione dell’operA coMpletA di rudolf steiner, nel centenArio dellA suA dipArtitA

Nachlassverwaltung

Di fronte all’entrata ovest del Goetheanum si erge un piccolo edificio particolarissimo, dalle forme rotondeggianti, estremamente accoglienti, che sembra non accorgersi troppo dell’imponenza del suo vicino. In effetti Haus Duldeck è stata costruita prima, già nel 1915, come ringraziamento per la famiglia Grosheintz, la quale aveva donato la maggior parte del terreno su cui sarebbe stato costruito il primo e poi il secondo Goetheanum. Dal 2002 la casa è sede dell’Archivio Rudolf Steiner, ente preposto in primo luogo all’amministrazione del lascito, quindi anche alla ricerca e alla pubblicazione

dell’opera scientifica ed artistica di Rudolf Steiner. Dal 2016 l’Archivio lavora ad un ambizioso progetto decennale, pubblicando ogni anno un cospicuo numero di volumi: finire l’edizione dell’opera omnia di Rudolf Steiner, ciò che include anche la pubblicazione in formato digitale delle centinaia di quadernini e fogli di appunti compilati da Steiner. Questo progetto editoriale, il Notitianum (giacché Notizbücher sono i quaderni di appunti in questione), sarà l’unico a non chiudersi entro marzo 2025, continuando ancora almeno per tutto l’anno. La mole del lavoro è davvero imponente. I trascriventi,

di Giovanni Tobia De Benedetti, settembre 2024
Haus Duldeck vista da nord-est. Foto di Otto Rietmann, 1925 © Rudolf Steiner

che lavorano quasi tutti senza remunerazione, ricopiano quanto scritto nella pagina di appunti, così che chi consulterà l’opera vedrà da un lato la scansione della pagina di quaderno, dall’altro la trascrizione, correlata di alcuni segni diacritici e qualche osservazione.

Nel 2016, all’inizio del progetto, mancavano all’appello 60 volumi della GA (Gesamtausgabe, l’opera omnia, appunto). La tabella di marcia è stata rispettata, e ad oggi ne mancano meno di una decina. Non solo l’équipe ha lavorato all’edizione dei volumi mancanti, ma anche alla riedizione dei volumi di meno recente pubblicazione.

Questa eroica fatica ha tuttavia inferto pesanti colpi al bilancio dell’istituzione, che ogni anno deve far fronte a spese molto importanti. Nel ringraziare tutti i donatori (in gran parte privati), l’Archivio ricorda agli amici e a tutti coloro che si interessino alle attività di pubblicazione in ambito

antroposofico che ogni anno una copia del suo magazine viene inviata a tutti coloro che abbiano fatto una donazione di 500 €/CHF nell’anno in corso.

I Notizenbücher, quaderni di appunti di Rudolf Steiner, conservati oggi in questo modo, in una fila abbastanza lunga di cassettoni d’archivio, ordinati cronologicamente.

Di fronte, protetta da una vetrata, è conservata la biblioteca originale di Rudolf Steiner, i cui libri si trovano ancora oggi nell’ordine in cui furono lasciati.

Nell’Archivio è possibile prenotare una visita per tutti gli interessati. I collaboratori dell’Archivio fanna da guida (in varie lingue, su richiesta anche in italiano) e raccontano tanti altri dettagli interessanti. Al piano terra c’è una sala di lettura accessibile per i visitatori e studiosi, che offre accessibilità a

Haus Duldeck vista da nord-est. Foto di Roland Halfen, 2020 © Rudolf Steiner Nachlassverwaltung

tutti i libri di recente pubblicazione. L’uso dell’archivio può avvenire previo prenotazione. Un piano sotto invece si trova la biblioteca personale di Rudolf Steiner, visibile attraverso una vetrata. Nella sala ci sono i disegni alla lavagna originali che Steiner fece per illustrare alcune delle sue conferenze.

La Redazione ringrazia l’editore Péter Barna e il dirigente dell’Archivio David Marc Hoffmann per il permesso e per la visita guidata!

Foto © Rudolf Steiner Nachlassverwaltung

4. Antroposofi

Max Wolffhügel, Michaeli Tafelbild ( disegno alla lavagna, San Michele)

“Noi possiamo essere grati ad ogni anima che ora è discesa coraggiosamente per partecipare al caos della vita fisica, grati per questo coraggio, poiché dalle nuove generazioni molto verrà fatto per il miglioramento del mondo. E così i genitori e gli amici hanno il dovere di accogliere la giovane anima a braccia aperte dandole anche tutte le possibilità di una educazione e di una armonizzazione dell’animo adeguate”1

1 - Ita Wegman a Gertrud Schaub, Ascona, 12 giugno 1941

un cuore per i bAMbini

Intervista a Christof Wiechert marzo 2024

a cura di Kata Szabados1

Nato nel 1945, Christof Wiechert è stato un allievo della scuola Waldorf dell’Aia (Den Haag, Olanda). Dopo lo studio in Pedagogia e Geografia è diventato insegnante presso la scuola Waldorf Den Haag nella quale ha lavorato per 30 anni. Durante questo periodo, ha co-fondato il seminario statale di formazione per insegnanti Waldorf nei Paesi Bassi e per molti anni è stato membro del consiglio direttivo della Società Antroposofica dei Paesi Bassi. Insieme ad Ate Koopmans ha sviluppato il corso “L’arte del colloquio pedagogico” („Die Kunst der Kinderbesprechung“) Conferenziere attivo in Olanda e all’estero, dal settembre 1999 collabora alla presidenza della Sezione Pedagogica della Libera Università di Scienza dello Spirito presso il Goetheanum di Dornach/ CH, che ha diretto dall’ottobre 2001 al dicembre 2010. Ad oggi continua a lavorare per la Libera Università di Scienza dello Spirito del Goetheanum e si dedica a temi educativi e antroposofici nei Paesi Bassi e all’estero. E’ sposato ed è padre di 5 figli.

Vorrei chiederle qualcosa su di lei, se è possibile. Come e quando ha conosciuto l’antroposofia?

Può chiederlo, sì. Sono nato in una famiglia antroposofica quindi la scoperta dell’antroposofia non è stata una ricerca da parte mia, semplicemente ci sono cresciuto.

Le è stato sempre chiaro che anche Lei avrebbe seguito questa strada?

Un giorno uno deve chiedersi: è questa la mia strada? E lì sono stato aiutato molto perché era ancora l’epoca in cui bisognava arruolarsi nell’esercito. Così ho iniziato una carriera come ufficiale. E lì si è molto lontani dal mondo Waldorf. Poi mi divenne chiaro che quello non era il mio futuro, ma che il mio futuro sarebbe stato nella Scuola Waldorf, e così mi sono deciso per l’antroposofia. Durante il periodo militare, visto che lì si ha molto tempo libero, ho letto tutte le opere fondamentali.

Questa è anche la domanda successiva. Quali sono state, per Lei, le letture più influenti? (e non solo quelle antroposofiche).

Allora da giovane leggevo ogni giorno, al mattino presto, La filosofia della libertà. E mi hanno fatto una grande impressione le opere scientifiche di Goethe. Queste sono tuttora una fonte di ispirazione per me.

Leggeva i testi antroposofici in tedesco o in olandese?

Sempre in tedesco, perché sono stato cresciuto bilingue, tedesco-olandese.

Che bello! E aveva anche un suo maestro spirituale?

Sì, due. Uno era il presidente della Società Antroposofica olandese all’epoca, Ate Koopmans. Egli ha lavorato con un piccolo gruppo di persone sull’Antropologia, in maniera proprio fondamentale. Ma in un senso più ampliato, mettendo alla prova le leggi della reincarnazione e del karma, per così dire. Steiner lo ho fatto, naturalmente, nelle conferenze sul karma. Ma sempre su personaggi storici. E noi abbiamo cercato di farlo su persone vive, su noi stessi e questa è stata una scuola molto significativa per me. Ate Koopmans, lui è la stella luminosa sopra la mia anima. Il mio secondo maestro spirituale è il nostro medico scolastico e di famiglia, il dottor Soesman, l’autore del libro sui dodici sensi. Lui è un uomo da cui ho imparato infinitamente tanto.

Chi è Rudolf Steiner per Lei?

Da giovane ho letto tutta la letteratura secondaria scritta da persone che avevano ancora conosciuto Steiner perché volevo sapere: ha anche vissuto secondo i suoi insegnamenti? Poi ho capito abbastanza velocemente che Steiner era in realtà l’unico (è stato simile per Dag Hammarskjöld) che viveva secondo i suoi insegnamenti. Lui è quello che dice di essere. E allora si sa che è un iniziato. E questo per me, spiritualmente, è stato ciò da cui ho tratto la mia linfa vitale. Ancora oggi, naturalmente.

Qual è secondo Lei il rapporto ideale tra l’antroposofia e un insegnante Waldorf? Questo non sempre è così facile.

Sì, non è così facile. Sa, la cosa più importante in assoluto è che un insegnante abbia un cuore per i bambini. E se questo cuore viene poi riempito anche delle visioni di un’antropologia scientifico-spirituale, allora è una buona cosa. Ma oggi come insegnante bisogna avere un forte lato ideale oltre a quello professionale perché, voglio dire, il materialismo è onnipresente. Quindi bisogna rivolgersi anche ad una fonte diversa per poter ritrovarsi. Mi sono spesso chiesto cosa ne sarebbe stato di me senza l’antroposofia. Beh, non credo molto Tornando alla domanda, il rapporto tra antroposofia e insegnanti è sempre qualcosa di auspicabile.

Nel gruppo con i colleghi del corso abbiamo anche discusso del fatto che, soprattutto in Germania, c’è ormai una tendenza e cioè quella di inserire insegnanti nelle scuole Waldorf che però non hanno nulla a che fare con l’antroposofia.

Succede molto spesso. Non solo in Germania, per esempio in America questa problematica è proprio attuale. In alcune scuole non si può più nemmeno parlare di Steiner. Questo fenomeno provoca alti e bassi, come un movimento ondulatorio. Credo però che sia anche un movimento salutare, perché bisogna pensare che ormai abbiamo avuto 100 anni di scuola Waldorf. Non si può più vivere di tradizione, non si può. Bisogna rinnovarla dal suo interno, ritrovare nuovamente l’antroposofia. Ci sono persone che vogliono questo rinnovamento e persone che invece non lo vogliono. Si deciderà. Naturalmente dobbiamo sperare che noi nelle scuole Waldorf avremo ancora abbastanza persone che lo vogliono.

Abbiamo bisogno di una rinascita dell’antroposofia, è necessario. Quella vecchia non è più sostenibile, dopo tre generazioni è semplicemente finita.

Per questo ci troviamo in una situazione di crisi, del resto anche in Italia. Lì ci sono alcune scuole veramente eccellenti e purtroppo molte altre parecchio improvvisate.

Qual è il pericolo? Di che cosa dobbiamo essere consapevoli ed attenti per evitare che quello che succede qui in Germania non succeda in Italia?

Sì, beh, il grande problema nei ‘vecchi paesi Waldorf’, è la questione sociale.

Ci sono infiniti problemi di rigidità e di mentalità ottuse nei collegi degli insegnanti. Non abbiamo ancora trovato la risposta giusta, cioè la convivenza pacifica e produttiva all’interno del collegio, che fa fiorire e prosperare la scuola.

Vede, Steiner disse un giorno a Oxford che la riunione del Collegio è il cuore della scuola. Si vedono tante scuole malate di cuore perché non gestiscono bene le riunioni del Collegio. Ma è la riunione del Collegio che costruisce la comunità. Ed è proprio questo che dobbiamo riscoprire, come funziona. L’ho appena vissuto in Cina. Quando è presente questa cosa è davvero meraviglioso e rappresenta una vera forza di guarigione nel collegio ...e di conseguenza lo è anche per le famiglie e per i bambini.

È molto interessante l’esempio che ci ha raccontato della scuola steineriana cinese: lì nel collegio viene svolto un serio lavoro antroposofico da alcuni insegnanti, come Lei diceva, è proprio questo il nocciolo della questione… Esatto, è proprio questo il punto. Non dobbiamo necessariamente avere una scuola Waldorf composta solo da antroposofi. È un’assurdità, non esiste. Ma ci deve essere un nucleo che prende sul serio la scienza dello spirito. Con questo esempio dalla Cina, abbiamo visto come 10-15 persone che lavorano insieme spiritualmente, trasformano l’intera atmosfera della scuola. È stato veramente impressionante

Bastano anche poche persone per fare questo lavoro?

Durante la mia esperienza in Cina è stata una donna che ha preso l’iniziativa: per un’ora al mattino studiava contenuti di antroposofia. E poi si sono affiancati a lei 10, 15 colleghi di un collegio di 60 persone. E così che funziona.

Pensa che funzionerebbe anche con due persone? Con uno solo no, ma magari con due, tre che iniziano a lavorare in questo modo?

Se parliamo di un collegio di 60 insegnnati, non farà tanto. Ma se parliamo di un collegio di 10 persone, allora sì, dovrebbe funzionare, credo.

Come vede il futuro del movimento della scuola Waldorf? In generale, in Germania, in Olanda?

Come abbiamo detto prima, credo che ci troviamo in una vera e propria crisi esistenziale. E questo è un colpo di fortuna. Alcune scuole non ci saranno più. E forse, speriamo, ci sarà una riflessione tra gli insegnanti su ciò che vogliamo veramente. E allora l’antroposofia potrà rinascere, per così dire. Rinascere, negli uomini, non dall’esterno. Nell’interiorità degli uomini… e a quel punto l’antroposofia sarà una forza infinita. Ma ora siamo in questo momento di decisione. Penso che nei prossimi 10 anni vedremo molte scuole steineriane del mondo occidentale diventare scuole normali, pubbliche. Ma vedremo anche molte scuole steineriane ritrovare la loro essenza, per così dire.

Questo è un aspetto. L’altra cosa è che ora vedo molto, per esempio in Olanda, come gli impulsi delle scuole Waldorf stiano entrando nelle scuole statali e come le scuole statali lo stiano apprezzando. Prima lo rifiutavano sempre. Oggi vediamo tendenze in cui, ad esempio, tre o quattro classi Waldorf sono ospitate in una grande scuola statale e le scuole statali dicono: “Ecco, questo è ciò che in realtà vogliamo!” Dieci anni fa dicevano solo “No”. Si tratta di un grande cambiamento, dobbiamo prestare molta attenzione a come si svilupperà. Quindi, per rispondere alla sua domanda: come sarà il futuro? A mio parere o fallisce, o rinascerà, oppure troveremo un’unione con persone che sentono nel loro cuore che questo è ciò che vogliono anche loro. Anche se non hanno avuto quella formazione.

Il suo pensiero è molto interessante e cioè che questo processo potrebbe partire dalla periferia, non dall’Europa.

E’ così. Potrebbe benissimo essere che dalla periferia arrivino forze risanatrici verso il cuore.

Lei ha visitato tantissime scuole Waldorf, in tutto il mondo. Cosa potremmo imparare dall’India, per esempio?

L’India è un Paese in cui le scuole Waldorf che ci sono hanno molto successo. Hanno anche una certa dimensione. Quindi avere 700 alunni è normale. A Hyderabad, per esempio. Ci sono due scuole molto grandi, molto importanti e due più piccole. Anche la scuola di Bangalore sta iniziando ora. Anche Pune sta iniziando. Sì, proprio come in Cina, anche qui si vede un forte idealismo. Non si tratta solo di idealismo ‘di testa’, ma lo si vive anche. È un’esperienza molto bella.

Anche in America del Sud c’è una vera e propria crescita del movimento Waldorf.

In Nord America invece c’è più una decrescita. Ora ci sono molte, molte crisi dovute all’intero dibattito sul gender. Questo è infinitamente insensato, per così dire. Si aspetta e si vedrà, cosa ne rimane.

Mentre qui in Europa bisogna vedere cosa succede.

In Germania si hanno difficoltà con le scuole Waldorf, stanno

davvero lottando.

In Olanda c’è una grande ripresa e c’è una grande ripresa anche in Belgio. Sono due paesi piccoli ma l’Olanda ha più di 100 scuole Waldorf, per quanto piccolo sia il paese!

Anche la Svizzera e la Repubblica Ceca stanno andando bene.

Pensa che le scuole Waldorf abbiano anche un ruolo nella spiritualizzazione della società?

Non la scuola in sé ma le persone che ci lavorano, forse. Potrebbe essere così.

Riportava qualcosa di scientifico-spirituale ai genitori delle sue classi?

Sì, naturalmente. Le riunioni di classe erano la mia specialità! Erano sempre incontri ben definiti. Non parlavo esplicitamente di antroposofia. Ho sempre parlato in modo spirituale-scientifico. Ma in modo tale che fosse convincente, cioè che parlassi della realtà, della quotidianità, non dalla teoria. Se si rappresenta l’antroposofia in modo teorico invece essa rimane per così dire…fredda.

La collaborazione con i genitori è sempre stata molto piacevole ma questo perché io mi ci trovavo bene, non è una cosa comune.

Faceva delle meditazioni o degli esercizi di sostegno per la sua attività di insegnamento?

Sì, naturalmente. Rudolf Steiner ha dato tre meditazioni significative. Bisogna coltivarle bene. Recitarle una volta all’anno, all’apertura della scuola, non aiuta. Bisogna praticarle e coltivarle.

Qual è la cosa più importante quando si fonda una scuola?

La cosa importante quando si fonda una scuola è che ci sia un gruppo di persone che vogliano davvero costruire qualcosa insieme.

Lei ha anche detto che allearsi in questo senso oggi è l’esoterismo moderno2

Sì, è così. Per una vita esoterica è necessario avere un insieme di persone ben ‘accordate’, in sintonia e non di persone che seguono solo le proprie intenzioni. Questo è abbastanza essenziale.

Ha notato qualcosa di comune o universale come valore, nelle tante scuole Waldorf che ha avuto modo di visitare?

Sì, l’universale. Questa è una domanda interessante. Ovunque nel mondo si entri in una scuola Waldorf, si capisce sempre che è una scuola Waldorf! C’è qualcosa che è sempre presente, in ogni scuola. E credo che abbia a che fare con l’aspetto dell’universalmente umano (‘das Allgemeinmenschliche’).

Per quante difficoltà abbiamo, abbiamo ancora luoghi di quella umanità

Ora abbiamo un nuovo professore qui. Viene da un mondo accademico del tutto normale. Ha tagliato gran parte del suo stipendio perché vuole essere qui adesso, perché sente che questo universalmente umano è in realtà il terreno su cui ci si deve

sviluppare. È davvero ammirevole.

E quali sono, secondo lei, i compromessi necessari che si devono fare in una scuola Waldorf?

Beh, il compromesso più grande che dobbiamo fare è quello di dare agli allievi ciò di cui hanno bisogno per la loro vita. In altre parole, un diploma.

E questo è ovviamente il compromesso più grande. Qui facciamo l’Abitur. Come si chiama in Italia? Diploma, sì, la maturità, ecco. Li prepariamo in modo che possano farlo. E questo è un compromesso, ovviamente, perché preferiremmo fare altre cose.

Ma se uno studente Waldorf vuole studiare medicina, deve essere in grado di farlo con quello che aveva imparato alla scuola Waldorf. Quindi questo è già qualcosa. Ho accompagnato per un po’ una scuola di lingua italiana in Ticino, a Lugano, credo. Ora stanno facendo il Baccalaureate Internazionale per garantire questo passaggio. È un grosso compromesso, ovviamente. Alcuni dicono: “è terribile, non lo possiamo fare”. Altri dicono che è giusto farlo. Questi sono i più grandi compromessi che noi abbiamo. E poi, naturalmente, ci sono gli ‘hardliner’ che dicono: ma come!? Come insegnanti però abbiamo una responsabilità sociale. Vuol dire la responsabilità di garantire che i nostri studenti possano seguire il percorso professionale che desiderano. Dobbiamo renderglielo possibile.

Come vede invece il futuro del movimento antroposofico?

Mi auguro che il movimento antroposofico, come quello Waldorf, ritorni al suo vero compito. E il suo vero compito è coltivare la vita spirituale. Ora possiamo vedere che ci sono importanti guerre di trincea che ci stanno portando lontano dal vero compito.

In Germania, per esempio, lo possiamo vedere in questo momento. E ora, all’Assemblea Generale di Dornach, ci sarà ancora una volta una marea infinita di proposte che non hanno assolutamente nulla a che fare con l’essenziale. Questo è già un bel problema.

Qual è il ruolo dei giovani oggi? E qual sarebbe la responsabilità delle generazioni più anziane?

Non lo so. Penso che sia essenziale che i giovani non siano ostacolati dagli anziani nell’assumere il loro ruolo. D’altra parte i giovani devono farsi avanti con molto più coraggio e dire: guardate, noi questa cosa la vogliamo così. E’ questo il punto.

In Olanda, ad esempio, il movimento giovanile nell’antroposofia è molto forte adesso e sta crescendo. Quindi sì, loro sono persone che vogliono qualcosa. Vogliono qualcosa nella sfera sociale, vogliono qualcosa nella sfera professionale. Ma si vede che la Società Antroposofica in generale soffre di un forte invecchiamento che la porta ad indurirsi, ad essere poco dinamica.

E questo è ciò che tutti speriamo passi. Quindi, in realtà, la società in generale si trova in una sorta di modalità di crisi da questo punto di vista. Non in tutti i paesi, ma in generale sì.

E per questo nuovo ritrovamento di sé, questa rinascita

dell’Antroposofia, pensa che dovremmo comunque ritornare alla fonte, cioè agli scritti di Rudolf Steiner?

Certo che dovremmo. Assolutamente, assolutamente. Voglio dire, Steiner, le sue opere, le sue conferenze, i suoi cicli di conferenze sono talmente universali. Quindi penso che sarà valido ancor per qualche centinaio di anni che la gente si orienterà su questo.

Sì, e credo che ci siano dei malintesi al riguardo –“si parla di un rinnovamento, ma quindi non più con Steiner...”

Sì, adesso ci piacerebbe da morire suonare Bach, ma senza Bach.

Una domanda sulla triarticolazione sociale. Anche la scuola potrebbe essere un luogo per questo ideale?

Potrebbe, potrebbe.

Dovrebbe?

Beh, avete un esempio meraviglioso in Italia con la bellissima scuola in provincia di Venezia. Conegliano. Questo edificio scolastico è stato realizzato grazie alla collaborazione tra l’agricoltura, la banca e la Società Antroposofica. Loro hanno realizzato questo edificio affinché gli insegnanti potessero entrarvi. Un esempio archetipico della triarticolazione sociale. Mi sono tolto il cappello. All’epoca ero presente anche all’inaugurazione. Devo dire che è stato molto significativo. Molto importante.

Quindi, in linea di principio è giusto, naturalmente. Ma come sa, molte scuole si trovano in un’incredibile dipendenza finanziaria - o dallo Stato o dagli sponsor. E la realizzazione della triarticolazione veramente non viene dallo Stato. In Germania e in Olanda, ad esempio, le scuole sono finanziate dallo Stato. Questo è molto bello, naturalmente, ma non rende la triarticolazione così facile. In Svizzera, dove tutto è pagato privatamente, sarebbe più facile realizzare la triarticolazione, eppure questo raramente avviene.

Si tratta quindi di un compito che va assunto. Ci sono alcune piccole scuole che lo fanno, ma non è semplice.

Pensa che questo ideale sarà un giorno raggiungibile anche nella direzione politica in Europa?

Finora la politica e il mondo scientifico-accademico hanno respinto con veemenza tutto ciò che proviene dalla scienza dello spirito. È ancora così. In realtà speravamo che questa situazione fosse già un po’ superata e invece no. Vediamo un fortissimo irrigidimento intellettuale in tutto il mondo. Questo è un grande enigma, perché io ho sempre pensato che il materialismo sarebbe stato già superato, ma non è ancora così purtroppo. Ci sono molte nuove iniziative però, come la protezione delle specie, l’intero movimento ecologico, che fanno un po’ sperare. Sono piccoli semi di speranza.

E i semi li abbiamo anche nei bambini nelle nostre scuole.

Certo! Ecco perché è così importante che le scuole sopravvivano!

Pensa che la scuola Waldorf possa essere anche un luogo dove le persone possano trovare l’anima, lo spirituale? O che in seguito i bambini-Waldorf di un volta possano “tornare” all’antroposofia, avvicinarsi ad essa con più immediatezza?

In realtà non è questo il compito della scuola Waldorf. Il compito della scuola Waldorf è salvare il pensare, la salute attraverso l’apprendimento e poi anche quello di creare una nuova socialità. Queste sono le nostre tre missioni. E queste sono universalmente umane, e non prettamente di ispirazione antroposofica. Se gli ex-allievi, dopo la scuola, ritrovano l’antroposofia, è naturalmente meraviglioso. Ma non è il nostro lavoro, come questo si può vedere dai numeri. Non tutti gli ex-allievi diventano antroposofi.

Che cosa ha imparato dai bambini? Ha avuto davvero tante classi...

Sì, sì, sì. Vivere con gli allievi mi ha insegnato quali sono le forze della vita. E che si può rimanere flessibili, giovani ed energici, perché appunto si interagisce con i bambini. E questo è naturalmente un dono incredibile.

Ha un messaggio per i giovani lettori o per il pubblico italiano in generale?

Sì, imparate a entusiasmarvi per tutto ciò che accade nel mondo. Partecipate e non rifiutate niente.

Questo è valido anche per insegnanti principianti.

Naturalmente.

Le festività, il ciclo dell’anno, hanno un significato per Lei?

È sicuramente molto importante per lo sviluppo dei bambini, che vivano le feste dell’anno. Abbiamo visto nella ricerca sulla resilienza che questo è uno stimolo importante per la salute.

Sperimentare i ritmi dell’anno. Naturalmente, l’abbiamo sempre fatto e festeggiato a scuola.

Ecco perché è così importante per la vita scolastica intera

Di sicuro!

Se il Collegio è il cuore, forse le festività sono l’anima dell’organismo Scuola, può essere?

Sì, Steiner dice che la riunione del Collegio è il cuore, ma dice anche sempre che è l’anima della scuola, il collegio. Le feste sono, per così dire, il momento in cui si festeggia insieme alla Terra, le sue metamorfosi, con queste feste annuali. I bambini amano tantissimo farlo! Per noi è una prova della nostra creatività.

La mia ultima domanda, se posso chiederglielo, su cosa sta lavorando nel prossimo futuro? Lei è molto attivo.

Il movimento Waldorf è diventato, diciamo, un po’ rigido, inflessibile, un po’ poco creativo. Quello che spero per gli anni che mi saranno dati è di riportarlo alla flessibilità, alla creatività, all’originalità e non tanto alla struttura. La questione della struttura è ovviamente importante, ma non è la questione più importante.

Nel prossimo futuro sto lavorando affinché la vita torni nelle scuole e la flessibilità, l’originalità e la gioia di imparare siano presenti. Il mestiere dell’insegnante è un mestiere molto bello e non è un mestiere difficile, non è un mestiere stressante. Se ci occupiamo dei bambini in modo tale che anche loro abbiano la gioia di imparare, allora abbiamo fatto tutto quello che doveva essere fatto.

Allora, auguri a Lei per tutto!

Sì, anche a lei!

Grazie mille.

Note

1 - L’intervista è stata svolta in lingua tedesca ed è stata tradotta in italiano successivamente. La revisione del testo italiano è a cura di Margherita Mazzoli.

2 - Zusammengehen è letteralmente ‘andare insieme’, quindi nella stessa direzione, volendo la stessa cosa.(NdR)

lA fortunA di essere insegnAnte (WAldorf)

Ritratto-intervista a Shàntih Pintor

giugno 2024

a cura di Kata Szabados1

Come hai conosciuto l’antroposofia?

Allora, è stato un incontro che non posso separare da quella che è stata la mia infanzia, perché quando ho iniziato la prima elementare, l’ho iniziata in una scuola pubblica e non stavo bene, nel senso che tutti i giorni mi veniva mal di pancia, mi veniva addirittura da rimettere. Mia mamma ovviamente si è preoccupata per questo mio disagio e ha cominciato a portarmi da pediatri, da medici, soltanto che non se ne veniva a capo perché ero sano come un pesce, anzi appena uscivo da scuola ero molto vivace ed ero anche bello forte fisicamente. Ho iniziato anche la seconda elementare nella stessa scuola pubblica però stavo ancora peggio.

Al che mia mamma a un certo punto è capitata nello studio di un pediatra, il dottor Cantoni, che era un medico antroposofo che le era stato consigliato da un’amica e questo medico dopo avermi visitato aveva detto, indicando il cielo con un dito: “Guardi signora che il suo figlio ha solo nostalgia di casa”

e mia mamma aveva risposto: “Ma no, siamo usciti solo da dieci minuti” e allora lui ha indicato di nuovo il cielo e ha detto: “No signora non ha capito, suo figlio ha nostalgia di casa”. Il dottor Cantoni allora aveva ascoltato un po’ la storia, il racconto di mia mamma e l’aveva indirizzata alla scuola steneriana di Via Clericetti a Milano e di lì a poco tempo sono stato spostato e lì ho iniziato a star bene. Naturalmente questo non è stato propriamente il mio incontro con l’antroposofia ma mia madre dice che quello è stato il modo in cui io l’ho accompagnata all’antroposofia: mia madre ha iniziato lì a studiare autonomamente i testi di Rudolf Steiner, poi ha cominciato a seguire gruppi di studio, è diventata socia della Fondazione Antroposofica Milanese e questo studio, che le ha letteralmente cambiato la vita, e tuttora va avanti ad approfondirlo.

Io, dopo aver frequentato la scuola dalla seconda alla nona, ho sentito fortissimo l’esigenza di sperimentare qualcos’altro quindi sono andato via, ho fatto un percorso nella scuola pubblica,

le superiori le ho fatte in un liceo artistico tradizionale. In quel periodo ho cominciato, mano a mano che entravo sempre più nell’adolescenza, ad avere un atteggiamento sempre più di rifiuto nei confronti di tutto. Stavo diventando veramente un grande nichilista, sfiduciato nei confronti di ogni cosa, un po’ deluso da non sapevo neanche io che cosa. Mia mamma ogni tanto provava a entrare in camera mia proponendomi una lettura, si vede che ero un po’ piccolino ancora e mi ricordo che la mandavo via malamente, anche in maniera un po’ brusca e respingevo questi suoi tentativi di darmi un po’ di conforto attraverso le letture di Steiner. Evidentemente però il momento doveva arrivare perché intorno ai vent’anni sono andato veramente in fondo a questa crisi; c’è stato un giorno quando ormai ero vicino al compimento dei 21 anni in cui di mia spontanea iniziativa sono andato in camera di mia madre dove c’era una grande, c’è tutt’ora, una grande libreria con praticamente tutto ciò che è stato pubblicato di Rudolf Steiner in italiano. Sono andato dritto su La filosofia della libertà. Non so perché, l’ho presa, sono andato nella mia camera, mi sono messo sotto a leggere però non ho superato il guardiano della soglia, nel senso che, arrivato al secondo capitolo, ho detto no, ok, qui non ci siamo, non è il testo giusto per cominciare. Allora sono tornato, l’ho rimesso a posto e ho iniziato in un modo un po’ particolare perché ho cominciato dai testi sulla Cristologia.

Io che avevo sempre avuto una fortissima, quasi una repulsione spontanea per tutto quello che mi si era avvicinato e accostato negli anni precedenti, una repulsione incondizionata per il cattolicesimo, (le volte in cui ero andato a messa in chiesa mi ero sentito molto a disagio) chissà perché, sono capitato su quei testi! Lì ho cominciato a vedere, a presentire che c’era qualcosa, però non avevo ancora le basi quindi era veramente un carpire delle immagini un po’ confuse. Però da lì è iniziato questo viaggio bellissimo.

Contemporaneamente ho cominciato a studiarmi i testi fondamentali perché ne ho riconosciuto la necessità, ho cominciato a chiedere suggerimenti a mia mamma sui testi da affrontare e poi da lì ho cominciato a studiare l’antroposofia. L’ho incontrata di fatto a 21 anni spaccati, qualche tempo dopo ho capito che quello poteva avere un significato. Poi sono iniziati i miei studi artistici e dopo aver terminato il liceo artistico mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. E lì è successa un’altra cosa che trovo veramente molto bella da raccontare nella mia biografia perché c’era stato un giorno in cui vi erano le presentazioni dei corsi di storia dell’arte. Era un giorno molto importante perché così come era avvenuto per pittura e per le altre materie fondamentali, avrei avuto l’occasione di mettere il naso in tutte le aule, conoscere i diversi professori, farmi un’idea di quale sarebbe stato il loro corso.

Io sono arrivato tutto contento, pieno di aspettativa quella mattina per poi accorgermi di avere sbagliato giorno perché le presentazioni dei corsi erano avvenute il giorno prima. Allora un po’ nel panico sono andato in segreteria e ho esposto il mio problema e questa signora (che poi è diventata una mia cara amica, era la prima volta che mi vedeva) parla con qualcuno che si trovava nella stanza sul retro e dice, parole testuali: “Dove lo mandiamo questo che si è perso le presentazioni dei corsi di storia dell’arte?” e risponde una voce fuori campo da dietro che dice: “Mandalo da d’Avossa che ha pochi iscritti” e io ho

pensato, andiamo bene se ha pochi iscritti e così comunque ormai la frittata era fatta e quindi vado da questo professor Antonio d’Avossa, senza aver visto la presentazione del suo corso. All’inizio lui - era napoletano, un uomo abbastanza ruvido nei modi - ha iniziato il corso terrorizzandoci, dicendo “Adesso voi siete in 140, alla fine di questo corso sarete la metà. Io sono uno dei professori che pretendono di più in tutta l’Accademia quindi sappiate fin dall’inizio che il giorno dell’esame almeno la metà di voi avrà rinunciato ed è meglio che rinunciate oggi.” - Io ero agghiacciato. Poi cominciano a girare i fogli con la bibliografia che il professor Antonio d’Avossa consigliava; fra vari libri di storia dell’arte o monografie su singoli artisti in fondo comincio a leggere “Le Api, Rudolf Steiner” e una serie di altri testi di Steiner. Io, puoi immaginare come mi sono sentito, no? Il famoso caso, no? Il problema del caso.

In Antonio d’Avossa ho incontrato una persona straordinaria, una persona che sì, era molto esigente con i suoi studenti ma ogni sua lezione ci faceva toccare veramente il cielo con un dito e visitare il mondo con uno sguardo talmente aperto e pieno di meraviglia che ogni sua lezione veramente ti faceva uscire arricchito. Era inoltre un insegnante che era attento e quindi sapeva dare i consigli anche dal punto di vista letterario, artistico, sapeva dare i consigli giusti in maniera differenziata. Ha cominciato ad accompagnarci nello studio, poi io sono riuscito in qualche modo a entrare in un rapporto un po’ più confidenziale con lui quindi ho iniziato anche a girare per mostre insieme a lui. E’ diventato il mio relatore quando ho preparato la tesi (me l’ha fatta scrivere due volte, ma questo non è importante, perché la prima volta mi ha detto “Questo è un trattato antroposofico, ora dobbiamo scrivere una tesi che possa essere discussa all’Accademia di Brera”) e proprio quando mi ha riconsegnato la tesi definitiva dicendomi, ok ci siamo, possiamo andare, mi ha detto: “Tu lo sai che dovresti fare l’insegnante? Dovresti considerare l’idea di diventare insegnante di storia dell’arte”. Io non avevo mai pensato in vita mia che questo sarebbe mai accaduto, fare l’insegnante in generale. Non ci avevo mai pensato minimamente e quella è stata la prima volta in cui ho cominciato a ragionare su questa eventualità. Avevo finito l’Accademia, dovevo fare il servizio civile al posto del militare come obiettore di coscienza, non avevo idee sul futuro e lui me ne aveva data una. Peraltro, devo a lui una bellissima opportunità che ho avuto perché lui mi ha presentato per la prima volta questo artista tedesco Josef Beuys del quale io mi sono platonicamente innamorato, ma perdutamente. E’ stato un mio grande amore in Accademia a tal punto che studiando Josef Beuys e venendo a sapere che la sua mecenate, quello che aveva sponsorizzato tutta la sua opera per buona parte della sua attività artistica, era ancora in vita - la baronessa Lucrezia De Domizio Durini il cui marito, il barone Durini era stato quello che effettivamente aveva seguito Beuys in tutte le iniziative insieme alla baronessa stessa, aveva pagato la maggior parte di queste iniziative di tasca sua e soprattutto aveva fotografato quasi ogni momento della vita di Beuys per tutto quel periodo. Poi il barone Durini era morto durante un incidente nautico o comunque era annegato vicino alla sua barca a vela mentre conduceva degli studi scientifici in un’isola delle Seychelles a Praslin ed era rimasta la baronessa Durini che da quel momento in poi si era occupata di continuare il suo lavoro di mecenate per giovani artisti anche dopo la scomparsa di

Beuys. Quando ho saputo che la baronessa Durini era ancora in vita, mi sono informato, lei aveva uno studio a Milano però durante il periodo estivo si recava in questa tenuta che aveva a Bolognano. Io sono salito in macchina e sono andato dalla baronessa Durini senza preavviso perché non avrei avuto alcun modo di contattarla. Mi sono presentato a casa sua un giorno in cui lei non c’era, è arrivato il maggiordomo, mi ha detto che la baronessa si trovava in Puglia per delle conferenze su Beuys. Io mi ero fatto 700 chilometri per andarla a trovare e gliel’ho spiegato, ho detto: “Guardi io rimango qui ancora qualche giorno” e lui: “Mi lasci il suo numero di telefono che quando la baronessa tornerà dirò del suo passaggio”. Morale della favola, due giorni dopo mi chiama il maggiordomo dicendo che la baronessa Durini mi aspettava al mattino seguente a tal ora. Io contentissimo, nel frattempo ero rimasto due giorni in un agriturismo lì vicino. Tra l’altro, apro e chiudo la parentesi, nell’agriturismo c’era una colonia di bambini; uno degli animatori di questi bambini si era ammalato proprio il giorno in cui dovevano partire per un giro in montagna e dovevano fermarsi fuori per la notte. Io ormai ero lì da due giorni, una cosa che oggi sarebbe folle, gli altri animatori mi avevano preso in simpatia e mi hanno detto: “Senti, qua siamo in difficoltà, i bambini sono tanti, tu ci sembri un ragazzo a posto, vieni con noi” e quindi in quei due giorni ero partito per la montagna. Lì è stato bello perché quella sera abbiamo acceso un fuoco, dopo cena ci siamo messi intorno, la classica situazione, la chitarra, i canti e a un certo punto qualcuno aveva lanciato l’idea di raccontare qualcosa. Io non avevo mai raccontato niente a nessuno e in quel periodo stavo leggendo La vocazione teatrale di Wilhelm Meister di Goethe. Non avevo altro da raccontare, era l’unica cosa fresca che avevo - peraltro non l’avevo neanche finito - e quindi mi son trovato con bambini di diversa età, bambini e ragazzini, intorno a un fuoco in montagna sotto il cielo stellato raccontare La vocazione teatrale di Wilhelm Meister... poi torno e mi trovo ad essere invitato dalla baronessa Durini che mi ha preso molto in simpatia quel giorno e il settembre successivo mi ha preso come assistente per riordinare l’archivio fotografico di Josef Beuys!

Erano i messaggi che stavano arrivando, era un momento in cui mi capitavano tantissime cose meravigliose. Durante il servizio civile mi sono iscritto al corso di formazione in pedagogia steineriana di Clericetti, facendo ritorno nella scuola che avevo lasciato. Lì ho incontrato tante persone meravigliose, ho incontrato alcuni miei ex-insegnanti e ci sarebbero tante cose belle da raccontare di quel periodo, ma, per fare in breve, lì mi sono convinto che fare l’insegnante era proprio quello che volevo.

Dopo due anni di corso mi hanno dato la cattedra di storia dell’arte nel liceo scientifico di Clericetti e quindi la proposta di d’Avossa si era avverata!

Ad un anno di distanza dal mio ingresso nel collegio del liceo, dopo solo un anno di insegnamento ho incontrato un giorno la maestra Luciana Pederiva (come fa lei che ti recluta sulle scale, ne ho sentiti diversi che sono stati reclutati sulle scale). Io stavo salendo di fretta perché avevo epoca e lei stava scendendo, mi ha fermato: “Senti, noi stiamo per aprire una scuola” - era verso la fine dell’anno scolastico- “Stiamo per aprire una nuova scuola nella zona sud di Milano.” Insomma, mi ha chiesto se avessi il desiderio di diventare il primo insegnante di questa scuola. Io le ho chiesto sfacciatamente un mese di tempo per pensarci perché volevo che finisse il mese, almeno

l’anno scolastico, ero appena entrato. Lei ha cominciato dopo dieci giorni a volere una risposta, sono andato a trovarli, ho conosciuto un gruppo di genitori affiatatissimi, belli; ho conosciuto gli amministratori che nel frattempo, dopo quattro anni di lavoro progettuale per la scuola, avevano addirittura fatto la formazione da insegnanti Waldorf per saper dirigere una scuola Waldorf come si deve e ho incontrato anche nel nucleo degli insegnanti la maestra Giovanna Chiantelli che conoscevo da quando ero bambino; lei si occupava della formazione dei nuovi insegnanti che un domani avrebbero preso la classe, tra i quali anche il mio caro collega Alessio. Nel corso di formazione insegnava già il maestro Tommaso, quindi ho fatto anche la conoscenza di persone che poi si sono rivelate dei miei, posso dire, fratelli del destino. Ho detto di sì. E quindi la scuola Cometa è partita.

Sei quindi il primo insegnante di Cometa ?

Sono stato il primo maestro di classe di Cometa, sì.

Eravate sempre in quell’edificio?

No, eravamo in un altro edificio che ci era stato dato in affitto in una scuola pubblica in un quartiere di periferia di Milano, tra l’altro era un edificio anche abbastanza fatiscente, di fronte a delle case popolari. C’era un clima di pesantezza in quel quartiere, era tutto un po’ in rovina e mi ricordo che quando sono arrivato, ho detto: accipicchia, qua sarà dura! Soltanto che c’era una tale ondata di entusiasmo per l’apertura di questa scuola! Peraltro è una scuola nata per necessità perché questi genitori avevano il desiderio di fare in modo che i loro bimbi che avevano fatto l’asilo insieme, proseguissero il percorso. Né nella scuola di Via Pini né nella scuola di Via Clericetti c’era la possibilità di accogliere così tanti bambini.

Quanti erano?

14 all’inizio, se n’è aggiunto un altro alla fine; però non c’era né per l’una né per l’altra scuola la possibilità di accoglierli quindi la nuova scuola doveva nascere e loro erano stati così lungimiranti da riuscire a fare questi conti con 3-4 anni di anticipo. E questi genitori erano talmente pieni di entusiasmo che nell’arco di brevissimo tempo è successa una magia per cui entravi in questo primo edificio di Cometa che era veramente un impatto che ti colpiva la pancia da quanto era brutto, ma quando entravi nell’unica aula che era stata allestita, sembrava di essere in un paesino della Svizzera in una scuola Waldorf avviata da tantissimi anni, velature alle pareti, tutto curato, cattedra fatta a mano dai genitori, banchi realizzati a mano, tutto meraviglioso, il profumo...e lì ho iniziato. Siamo stati lì per 3 anni, il secondo maestro è stato il maestro Alessio poi è arrivato il maestro Giampietro Pirola e poi via via, dopo il terzo anno ci siamo spostati, siamo rimasti nel nuovo edificio altri 3 anni poi la scuola continuava a crescere quindi ci siamo spostati definitivamente nella scuola in cui siamo adesso.

Quindi a 21 anni la prima lettura antroposofica, poi a 27- 28 sei già in Cometa con la tua prima classe... com’è stato essere il primo insegnante di una scuola? Avevi comunque persone di riferimento a cui chiedere,

magari Luciana Pederiva, Giovanna Chiantelli?

Ripensandoci adesso si erano create tutte le condizioni perché quello potesse essere possibile. Io non sono stato la prima scelta; loro erano già in accordo con un’insegnante di grande esperienza che, se non erro, nel mese di aprile o di maggio dell’anno scolastico che precedeva l’apertura della scuola, li ha lasciati. Quindi si sono trovati in difficoltà e dalla maestra di grande esperienza sono arrivati a quello che aveva appena cominciato!

…. che ha fatto però la scuola Waldorf…

Sì, ho fatto la scuola Waldorf, ero in conclusione del corso di formazione, studiavo l’antroposofia con passione, ero veramente pieno di entusiasmo. Ripensandoci c’erano veramente tutte le condizioni perché potesse succedere, perché non avevo famiglia ancora, non avevo i miei due figli; sì, ero già fidanzato con la mia attuale moglie ma ero comunque molto libero. Ero anche a Milano, insomma c’erano tutte delle circostanze favorevoli anche dal punto di vista biografico-personale. Avevo le idee assolutamente chiare su tutto il ciclo, nel senso che dal punto di vista didattico non solo l’avevo già vissuto ma col corso di formazione era stato un risvegliarsi continuamente dell’ ‘ecco perché si fa così’ e tutto mi si era chiarito in maniera nitida. Poi ero diventato veramente secchione, durante il periodo di corso di formazione ho studiato veramente tanto e quindi avevo questa visuale prospettica su tutto. Quando mi è stato chiesto di diventare maestro di classe, visto che avevamo anche un gruppo di amministratori formidabile, mi è stato detto: “Guarda che dobbiamo lavorare in anticipo, tu sulla base del piano di studi, anno dopo anno devi saperci dire esattamente tutto quello che serve per l’anno dopo e ce lo devi dire un anno prima perché almeno noi abbiamo il tempo di realizzarlo” e così è stato. Quindi oltre al mio entusiasmo e le condizioni della mia vita che me le permettevano, c’era un consiglio di amministrazione solidissimo che lavorava veramente così. La parte economica era a sostegno del progetto, era veramente un capolavoro perché erano in aiuto del collegio! “Voi diteci di che cosa avete bisogno e noi creiamo i presupposti.” E’ durata per anni questa atmosfera meravigliosa in cui era tutto un’avventura bella e fondata su delle basi molto sane.

Inoltre avevo due persone di riferimento che erano la maestra Luciana Pederiva e la maestra Giovanna Chiantelli – la prima dal punto di vista del lavoro di collegio perché la maestra Luciana partecipava ai collegi dell’apertura della scuola, lei era nell’asilo Giro giro tondo ancora; dal punto di vista didattico invece avevo la maestra Giovanna Chiantelli che in qualsiasi momento del giorno o della sera era disposta ad accogliermi o di presenza o telefonicamente per aiutarmi e sostenermi. Ogni anno andavo a casa sua sul finire dell’anno scolastico, e lei mi faceva una specie di settimana di aggiornamento intensiva in un giorno e uscivo con una pila di quadernoni, libri, quaderni di appunti...mi lasciava tutto quello che era stato il suo lavoro di una vita, suddiviso anno per anno e quindi insomma ero veramente molto, molto sostenuto. Dall’altro lato invece ho ripetuto il terzo anno della formazione in Clericetti - il motivo era stato in realtà perché non avevo fatto in tempo, visto che insegnavo storia dell’arte non avevo potuto frequentare le lezioni di pittura e di euritmia fino in

fondo e quando mi hanno detto che prima di poter discutere la tesi dovevo colmare quelle lacune ho detto: sentite, rifaccio tutto l’anno. Quindi durante il primo anno di Cometa frequentavo anche il corso di formazione. Ma è stato egoistico perché almeno avevo ancora un piede anche in Clericetti e potevo parlare con gli insegnanti che erano i miei formatori costantemente.

Però era anche per i bambini, no?

Sì, certo era anche per i bambini senz’altro ma per me era veramente di conforto avere così tante persone che mi potessero in qualche modo sostenere e così poi di anno in anno è nata la scuola, è diventata sempre più grande.

Quindi adesso è un’emozione no? Se tu pensi che c’è quella scuola che ha cresciuto tanti bambini...

Sì, diciamo che è una grande emozione, è una cosa che mi dà molta soddisfazione ma non si tratta di un senso di appagamento mio, come se io avessi realizzato qualcosa. Anzi lì ho vissuto una delle esperienze sociali più importanti della mia vita, ho visto una confluenza di forze talmente bella e ed armoniosa… non è durato per sempre perché poi purtroppo ci sono stati anche i problemi con quella stessa amministrazione che ci aveva avviato, però io sono pienamente consapevole del fatto che da solo non avrei potuto neanche immaginarlo o pensarlo quello che poi si è realizzato.

Adesso faccio un salto. Questa esperienza dei primi anni così belli, sembrano quasi perfetti...facendo un collegamento a quel discorso delle comunità pentecostali del futuro di cui parlava Stefano Gasperi, tu vedi una possibilità che queste comunità possano nascere all’interno di scuole steineriane, oggi, o prossimamente?

Allora, io credo che siamo ancora lontani dalla realizzazione di questo e credo che sia necessario partire dalla realtà del presente. Naturalmente esiste l’ideale e, se vogliamo incarnarlo, questo ideale va coltivato ma se vogliamo che questo ideale possa veramente incarnarsi e che non siano soltanto delle immagini, delle belle parole, come un anelito vago, allora bisogna veramente partire dalla realtà. E la realtà non può essere che il tessuto sociale della scuola. In questo senso è vero quello che sentivamo l’altra sera, che ci sono dei circoli anche forse un po’ autoreferenziali dove tutto è facile, il gruppo di studio, questa stessa settimana di aggiornamento a Oriago che mantiene una struttura se vogliamo piramidale - anche se siamo fra pari c’è comunque uno che è chiamato a portare e gli altri ad accogliere ma siamo tutti molto ben disposti nel farlo: vogliamo tutti la stessa cosa, siamo felici di essere qua, ci sentiamo nutriti dall’essere qui - è facile, è molto facile. Stessa cosa succede nei corsi di formazione, siamo lì perché abbiamo scelto. Stessa cosa succede nei gruppi di studio - è facile anche lì. Nei gruppi classe, nei collegi anche - nei collegi ci sono già delle difficoltà maggiori da superare e anche questo è uno dei punti di partenza: cominciamo a realizzare qualche cosa di concreto nei collegi... però anche lì, ponendo per ipotesi che il collegio funzioni, abbiamo comunque una certa facilitazione nel senso che, se siamo onesti, nel luogo

in cui ci troviamo siamo lì perché vogliamo aderire all’ideale della Scuola Waldorf, no?

Ma l’ambito dove è più difficile, parallelamente al lavoro di collegio, sono le comunità dei genitori, la classe, banalmente la classe! Perché lì c’è la vera eterogeneità del tessuto sociale. Io sono convinto che, in futuro, noi insegnanti non potremmo più accontentarci di curare la nostra classe, dimenticandoci del tessuto sociale di genitori.

Questo tessuto sociale dei genitori, della provenienza di questi bambini, è veramente sfidante oggi. Sarà sempre di più, pare. Con le nuove generazioni dei genitori che sono ovviamente in una simbiosi con il mondo digitale.

Certo. E poi il fatto che oggi ci siamo già così tanto abituati a questo mondo digitale, come per dire lo sappiamo, no? Ma non è sotto controllo quel problema! Ed è un problema nuovo. I genitori che sono cresciuti col cellulare in mano sono precisamente, dal punto di vista anagrafico, quelli che mandano i bambini in prima classe quest’anno, l’anno scorso. Cioè noi negli ultimi due anni, tre anni, abbiamo la prima generazione di genitori che sono cresciuti con il cellulare in mano. Quindi è una cosa veramente nuova quello che succederà nei prossimi anni.

Anche il discorso della cultura digitale va approfondito, ovvero ci dobbiamo chiedere, quanto poi queste famiglie siano in grado di gestire questi strumenti, quanto siano in grado di avere la sensibilità sui danni che fanno questi strumenti. Questa è un’opera culturale che forse oggi spetta soltanto alle scuole Waldorf.

Sì, dove ancora esistono lavagne.

Esatto. E dove ancora esiste forse la sensibilità per capire che cosa succede se i bambini usufruiscono di questi sistemi. Ma questo appunto è solo uno dei problemi, ma è uno dei principali problemi.

Cioè manca sempre di più la sensibilità per vedere il mondo con gli occhi dei bambini.

Che però forse potrebbe essere un lavoro di autoeducazione su tutti gli adulti, no? Perché se tu fai un lavoro, osservi il tuo bambino. Quindi secondo te, c’entra questo bellissimo tema dell’autoeducazione? Cioè, come rispondere a questi problemi di oggi? Noi, come maestri Waldorf...?

Certo. Sì. Io parto dal concreto, quindi non voglio fare un discorso astratto; ho avuto tante esperienze in questo senso, ma parto dall’ultima esperienza. Io quest’anno ho realizzato una riunione di classe, l’ultima riunione di classe di quest’anno, nella quale avevo due possibilità. O raccontare ai genitori la meraviglia di tutto quello che abbiamo fatto quest’anno in una sintesi, perché sarebbe stata una sintesi bellissima, perché ho una classe meravigliosa, abbiamo fatto delle cose bellissime. Anziché fare questa retrospettiva, che sarebbe stata molto appagante e avrebbe permesso a tutti di iniziare l’estate con il cuore leggero e l’anima trapunta di luce, ho deciso di fare un’altra cosa. Ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima. Nell’ultimo mese di scuola mi sono annotato su un quaderno tante affermazioni, tanti contenuti che erano

stati portati dai miei alunni riguardo a film, video, cellulari, videogiochi, un certo tipo di musica che avevano ascoltato (non necessariamente perché i genitori fossero degli sconsiderati, ma perché magari avevano fratelli maggiori che avevano maggiore libertà e quindi magari non avevano la sensibilità di spegnere quando c’erano i fratelli più piccoli...). Mi sono stupito perché in un mese ho captato tante di quelle cose che giorno per giorno lasciavo sfuggire, ma messe tutte insieme sono diventate un vero pugno nella pancia.

All’ultima riunione, dopo aver fatto una premessa nella quale dicevo quanto fosse stato bello l’anno scolastico e lo hanno sentito nel mio entusiasmo, nel mio calore che non gli stavo dando contentino ma gli stavo restituendo un’immagine reale, ho detto però: sento che abbiamo il dovere di lavorare su una cosa. Io ho dei bambini che hanno concluso la terza classe, stiamo parlando di bambini di nove anni; gli ho letto tutto quello che mi ero annotato, naturalmente non c’erano nomi, ho esposto le cose e i genitori sono rimasti esterrefatti, colpiti, e alcuni, due persone in particolare, avevano le lacrime agli occhi. Estato un forte impatto emotivo, eravamo proprio sul piano dell’astralità. Abbiamo parlato un po’ di quanto avevo presentato, ma la cosa è rimasta lì in sospeso, ci siamo salutati senza aver risolto nulla anche perché c’era troppa emotività. Poi l’anno scolastico è andato verso il termine ma c’è stata una scia lunga, una coda di questa riunione per cui venivo a sapere che un genitore era ancora sconvolto, che la mamma non era riuscita ad addormentarsi, che un’altra mamma si era arrabbiata, che un altro genitore aveva giudicato l’altra famiglia. Quindi stavano nascendo sentimenti antisociali! Io non avevo giudicato quello che i bambini avevano fatto, l’avevo solo esposto come un elenco telefonico, le cose che avevano detto, né più né meno. Non avevo espresso neanche un giudizio! Subito però era successo qualcosa di brutto, perché quello che si stava muovendo - chi era sconvolto, chi non dormiva, chi giudicava l’altro, chi si arrabbiava - erano tutte cose brutte. Allora ho aspettato che l’anno scolastico finisse e ho indetto una riunione scolastica ad anno concluso, non l’avevo mai fatto in vent’anni, i genitori stupiti, riunione straordinaria. È stata una delle poche riunioni in cui la maggior parte delle famiglie erano presenti tant’è che non l’abbiamo potuta fare nella mia aula, ma l’abbiamo dovuta fare nell’atrio davanti al teatro perché c’erano 45 persone! Ed è stato veramente bello. E lì che cosa è successo? Io ho introdotto la riunione, mettendo al centro che noi in quel momento avevamo un’opportunità meravigliosa, una sfida sociale, nel senso che ci trovavamo lì non perché ci eravamo scelti fra di noi, ma siamo stati chiamati da un ideale comune, abbiamo riconosciuto che questa scuola è il nostro posto, e ho detto loro: i vostri figli vi hanno portato qui.

A un certo punto ho lasciato parlare i genitori. E’stato molto bello perché si era creato un clima di ascolto in cui all’inizio è sembrato quasi un cerchio, sai tipo gli alcolisti anonimi: c’erano persone che raccontavano la loro debolezza e i genitori, uno dopo l’altro, mano a mano che andavamo avanti prendevano coraggio, hanno cominciato a uscire da questa dimensione del “ti attacco”, del “metto fuori gli artigli”. Hanno cominciato a esporre il loro problema. Erano problemi molto pratici; a un certo punto ho detto: bene, che cosa facciamo? Noi abbiamo un’opportunità meravigliosa adesso che ci siamo presentati veramente. Ho detto ai genitori: permettetemi di non essere qui

oggi come insegnante, lasciatemi essere qui come genitore in modo che anche io vi possa portare le mie difficoltà con i miei figli, che non sono diverse dalle vostre. In breve, siamo arrivati a guardarci in faccia e dire: da adesso vogliamo impegnarci tutti insieme. Nessuno di noi misurerà l’impegno dell’altro, ma ciascuno di noi cercherà di fare il proprio passo affinché i figli dell’altro ricevano il dono.

Ciascuno di noi provi con le proprie forze, nella misura in cui riesce, sapendo che ormai siamo trasparenti, a fare quello che può, tenendo conto del fatto che le nostre scelte educative, nel momento in cui siamo in una comunità, ricadono sulla questione educativa in generale, di tutti! E ho detto: se facciamo così, questo è come un raggio di luce che poi irradia dappertutto! E potremmo essere talmente virtuosi da concretizzare qualche cosa che oggi è veramente innovativo, no? Ci siamo lasciati benissimo. E lì la cosa che mi è piaciuta tanto è che, a parte questo inizio dove ciascuno esponeva, lì c’era ancora molto sentimento, ma alla fine l’atmosfera che si respirava non era più su quel piano lì, era un’atmosfera compenetrata di volontà.

Tu ti preparavi a quell’incontro, intendo anche spiritualmente? Perché era forse il tuo io che guidava quel gruppo in quel momento, la tua presenza d’animo.

Sì sì, ne sono stato anche consapevole. Sarei poco sincero se dicessi che sono una persona che segue con costanza un percorso di tipo meditativo orientato sull’esercizio metodico. Io sono uno di quei tanti debolucci che hanno iniziato mille volte gli esercizi per poi perdersi. Direi una bugia, altrimenti.

Però c’è una cosa che io faccio da tanti anni con tutto me stesso, che è la mia via ed è l’elaborazione dell’Antropologia. Quella è la mia strada, io quel testo lo amo. Su quel testo io ci lavoro tantissimo, l’ho portato per sette anni al corso di formazione, l’ho interamente trascritto. L’ho voluto trascrivere perché volevo che proprio diventasse mio. Dopo averlo trascritto interamente, ho cercato di cogliere il disegno complessivo che questo testo poteva darmi.

Ma il fatto di trascriverlo mi ha permesso comunque di oggettivarlo. Non ho mai smesso di lavorarci, ormai posso dire con tutta sincerità di aver perso il conto delle volte in cui ho letto l’Antropologia. Ma proprio anche dall’inizio alla fine, non lo so più! Dieci, dodici, non lo so. E poi non si può considerare a spezzoni.

Quello è il mio modo di prepararmi. Io torno sempre lì, infatti la domanda che facevo a Stefano Gasperi era orientata per quello. Mi domandavo sinceramente se quello potesse essere la via per gli insegnanti. La mia domanda era se per noi insegnanti quello può essere considerato il testo fondamentale dal quale cercare di ricavare un lavoro esoterico. Perché il lavoro esoterico, per come lo intendo io, al di là di quello che può essere l’esperienza meditativa che si può avere recitando un mantra, lo si può fare anche meditando sulle immagini dell’Antropologia

E quando passa nel corpo puoi cominciare a godere dei frutti reali di un lavoro di tipo esoterico, nel senso che quello che è anche il ricordare, l’antropologia, quel ricordare di cui si parla nella 302a non è più un ricordare mnemonico, ma è un ricordare di tipo ispirato, che nel momento in cui stai parlando è un ricordare che esce dalle membra.

Quello che descrivi, può essere simile come processo, a quel ‘ricordo karmico’, che il primo Goetaheanum doveva svegliare nelle persone che ci entravano3?

Sì, io credo che c’entri, sì, ma anche quello che è la nostra capacità di elaborare con il pensiero, un contenuto antroposofico oggi, è il rispecchiamento esatto di quello che noi abbiamo compiuto nella nostra vita precedente e di come si è elaborato nella vita prenatale. Questo è il rispecchiamento della nostra attività rappresentativa. Noi siamo il risultato di questa rielaborazione che è avvenuta prima di nascere e in questo senso tutto il lavoro che noi possiamo fare è un risultato di questa elaborazione che abbiamo compiuto prima di nascere. Noi non possiamo godere di altro che dello strumento che ci siamo dati e in questo senso senz’altro sì, è anche un ricordare di questo tipo.

C’è poi questo dimenticare i concetti, quello che tu avevi letto e studiato, per poi averlo dentro di te, così da poter sviluppare un pensare che però va subito nell’agire. Quindi tutto quello che tu hai avuto, hai imparato, dovresti arrivare a riuscire a mettere subito in pratica.

Mi viene in mente da un lato l’’intuizione morale’ di cui si parla ne La filosofia della libertà e dall’altro mi viene in mente l’’istinto pedagogico’ di cui si parla nell’Antropologia

Perché quando si parla dell’intuizione morale stiamo parlando in realtà di un lavoro di autoeducazione che ti ha portato a trasformare. Fino a trasformare te stesso, a tal punto che quello che tu intuitivamente arrivi a portare nell’agire è di per sé morale. Questo può succedere senza più passare per una elaborazione di pensiero e questo succede anche nel momento in cui si arriva a un istinto pedagogico. Quando Steiner parla di istinto pedagogico vuol dire che attraverso l’autoeducazione tu hai studiato tutta la teoria, l’hai digerita e nel momento in cui ti trovi nella vita di tutti i giorni e non è che puoi fermarti nella vita di classe a riflettere un momento, a pensare cosa farebbe il vero antroposofo. Hai bisogno di portare subito l’azione intuitivamente e quello è l’istinto pedagogico. Sembra quasi una dicotomia, no? Se è istinto come fa a essere pedagogico? Invece sì, perché può diventare istinto anche qualche cosa che abbiamo trasformato in noi.

Si può vedere un certo parallelismo, da questo punto di vista, tra quello che fa un medico con i pazienti e il maestro con i bambini. Fare il maestro può essere un lavoro esoterico; quotidiano, ma estremamente profondo. In più, avere queste immagini ti aiuta ad arrivare in quei momenti molto ispirati, no? In cui tu agisci magari, ma non sai - solo dopo capisci che era un momento di quel tipo, molto ispirato.

Sì, è una situazione che io cerco di frequentare, per così dire, cerco di mettere in atto in maniera sempre più consapevole, anche quando mi tocca per destino di parlare di fronte ad altri maestri, come succede qui a Oriago, o quando devo fare una conferenza come ho fatto l’altro giorno, o quando mi trovo in classe con i bambini, o quando porto avanti il gruppo di studio con le famiglie di Cometa su Teosofia. In che senso dico che è una cosa che cerco di frequentare? Io non ho tempo di prepararmi a livello di studio su tutto questo. Non puoi

prepararti su tutti i fronti. Arriva un certo punto in cui dici, o trovo un altro modo, oppure rinuncio, perché non posso tutte le volte per un’ora di gruppo di studio studiare dieci ore, perché ho una famiglia, ho dei figli, ho la classe, i quaderni da correggere, la spesa, ho mille cose da fare. Quindi ho passato un periodo in cui ero anche un po’ in crisi, fin quando ho detto, ok, senti, lascia andare, non puoi tenere tutto. Se la vita ti sta chiamando a fare questo, questo e questo, o lasci andare, oppure provi a vedere che cosa succede se ti affidi, che non vuol dire smettere di prepararsi. Però ho cominciato a elaborare nuovi pensieri, ho detto che io non studio più per la lezione che devo fare al corso di formazione, o per il gruppo di studio, o per la conferenza, ma studio quello che ho voglia di studiare, faccio il mio percorso. E quando mi trovo lì, vediamo che cosa succede in quel momento. E lì mi sono accorto di una cosa meravigliosa, che è un equilibrio dinamico, nel senso che l’essere umano non può raggiungere un equilibrio statico, fermo, perfetto. L’equilibrio dinamico nel momento in cui si parla di questo tipo di ispirazione, consiste nel fatto di riuscire a osservarsi intimamente.

Quando comincia questo flusso in cui tutto quello che tu hai fatto tuo, inizia ad uscire, ci sono due stati d’animo fondamentali ai quali bisogna stare attenti. E’ Il Rappresentante dell’Umanità4, che rappresenta due stati d’animo fondamentali: uno è quello che ci porta nel momento in cui sentiamo le nostre parole, quella vocina che ti dice sottilmente come sei bravo, che ti porta all’esaltazione, e quello è il primo tranello. L’altro invece è quello che vorrebbe fare in modo che l’intelletto riuscisse sempre a tenere tutto in quadro perfetto, con degli artigli, in maniera rigida. Uno di queste voci genera esaltazione, l’altra genera paura, perché non riesce a tenere, quindi rigidità, paura.

Nel momento in cui si impara a frequentare questa oscillazione, cercando di mantenere l’equilibrio, allora ci si accorge piano piano che non stai più portando te stesso, che non lo fai più per te, e che il tuo farti veicolo di determinati contenuti diventa efficace nel mondo. E questo è successo in quella riunione, e questo è un lavoro esoterico, per come l’ho capito io. E la mia esperienza è proprio quella, di imparare; con alcuni colleghi noi condividiamo tanto il nostro cammino interiore, fra noi, fra pochi intimi.

Non nel collegio, ma proprio nel privato?

Questa è più una affinità elettiva, in cui ci sono alcuni incontri dove ci si capisce quando si parla di queste cose, c’è un interesse immediato, dove parliamo la stessa lingua e condividiamo le stesse esperienze, perché le stiamo sperimentando. E’ un percorso, e questo deriva effettivamente dall’incontro con l’Antroposofia, che deve essere prima di tutto un lavoro sulla tua anima.

Quindi la riunione di cui parlavamo prima, quei momenti di grazia in cui sei in classe, e anche in classe non ti devi far prendere né da uno né dall’altro, né dall’esaltazione né dalla mania di controllo, è l’equilibrio sempre dinamico. E la cosa bella è che se si mantiene l’attenzione su queste due polarità, non sei più concentrato su di te! E quando non sei più concentrato su di te, quell’intuizione passa, perché crei un vuoto, c’è uno spazio, ma uno spazio dove le tue forze sono lì in mezzo, per tenere queste due cose. Allora crei quello spazio in

cui qualcosa può passare, in cui lo spirito può diventare attivo.

E Il Rappresentante dell’Umanità, che bada queste due forze, come anche San Michele, non uccide quelle forze, ma le domina. Nel 302a dove Steiner dice alla fine5, che più di tutti, è l’educatore, l’insegnante che è chiamato a far rinascere, a far riportare una giusta festa di San Michele. Quindi abbiamo proprio questa immagine del maestro-San Michele, che quando entra nella classe idealmente dovrebbe avere questa immagine e consapevolezza.

Certo. E infatti una delle prerogative, uno degli attributi di San Michele è la bilancia. E stiamo parlando proprio di questo equilibrio.

E riportare queste immagini anche magari in questi contesti di aggiornamento a così tanti maestri, è importante, no? Parlare di questo, dare queste immagini potenti...

Io le porto sempre, insieme alla didattica, insieme alla “valigetta”, ci tengo tanto a portare queste cose, altrimenti non avrebbe senso. Ognuno poi ha il proprio cammino. Il mio cammino era quello del dover imparare a godere un po’ meno del riscontro positivo che ti può arrivare dal mondo nel momento in cui porti queste cose. Riuscire pian piano a portarle in maniera più equilibrata, sempre più impersonale, sempre più per la cosa in sé.

In esoterismo si dice ‘recidere il male alla radice’. Che vuol dire togliere questa radice dell’egoismo. È radicata molto profondamente. E tutti noi siamo profondamente egoisti, però rispetto all’antroposofia possiamo avere quell’ambito in cui ci è dato, anche in classe, di avere un mandato. “Tu, da quel momento a quell’altro momento, avvicinati il più possibile al tuo ideale di te stesso. Vai più vicino che puoi al tuo ideale di te stesso.” È una fatica pazzesca, però hai ‘da quel momento a quel momento’.

Però non vuol dire che dopo puoi lasciarti andare, anche se il rischio è quello, eh? Perché nel momento in cui uno si impegna a fondo, il momento immediatamente successivo è quello in cui è più facile cadere. Sempre. Quella è un’altra fregatura, anche quello è luciferico, no? Perché tu sai di aver fatto bene, non te ne accorgi e quella sottile esaltazione ti insinua nell’anima e quella apre la porta ad Arimane.

È sempre Lucifero che spalanca la porta ad Arimane. Anche antropologicamente è stato così. E avviene così, quella sottile esaltazione che poi ti porta a essere un po’ più leggero e quindi fai quello che non devi. Per questo bisogna stare attenti anche nel momento successivo.

Però in quell’arco di tempo in cui ci imponiamo di avvicinarci il più possibile a quello che è il nostro ideale, quello è già un tentativo importante che si può fare. Pensa se ogni insegnante prova a far così!

Io ho avuto anche la ‘fortuna’ di attraversare periodi difficili da quando insegno, personali, in cui magari mi sembrava che il mio mondo stesse andando a rotoli, in cui soffrivo per cose che accadevano fuori dalla scuola e ho vissuto l’esperienza del dire, ok, tutto questo lasciamolo fuori dalla porta...

E quando scopri che succede, anche lì, non è per forza bruta, non è che tu spingi fuori dalla porta; è una cosa delicatissima.

Anche lì, ti affidi, no?

Esatto, ti affidi; anche a quello che ti viene dai bimbi, no? Tu ti mantieni nell’apertura, lasci che loro arrivino e ti accorgi che anche in quei momenti difficili poi le cose invece vanno bene. Poi magari esci dalla porta il pomeriggio e di nuovo ti arriva il tuo carico da portare...

E’ interessante pensare a come i nostri bambini che arrivano oggi nelle classi, portino con loro compiti forse determinanti per un futuro, compiti per i quali li possiamo in un certo senso preparare. In questi anni privilegiati c’è la reggenza di Michele, ma il periodo dell’anima cosciente arriverà, quel momento nei prossimi decenni in cui uno deve veramente agire, e questo potrà creare una divisione.

Sì, devo dire che questo è un pensiero che tendenzialmente faccio a prescindere dal contesto storico che si sta per presentare. Questo è stato il motivo che poi mi ha infiammato di entusiasmo quando ho cominciato di diventare insegnante. Io se non fossi stato preso per il collo e portato per fare l’insegnante, probabilmente sarei diventato un ecoterrorista, o qualcosa del genere. Penso che avrei imbracciato le armi in qualche modo, oppure mi sarei ritirato in qualche eremo, mi sarei isolato dal mondo con un atteggiamento un po’ schifato e aristocratico. O combatti il mondo e distruggi tutto quello che non ti va, oppure te ne isoli, mandi tutto a ramengo, ti occupi del tuo piccolo orticello.

Quindi il fatto di diventare insegnante mi ha fatto pensare fin dall’inizio, che questo potesse portare soddisfazione laddove io avevo insoddisfazione, nel senso di poter portare cambiamenti concreti per il futuro, partendo dal piccolo.

E anche dai piccoli!

Esatto! Quindi sì, è senz’altro un pensiero che faccio. Non riesco però a sentire come mio, il fatto di avere una progettualità specifica, di considerare il mio operato come un rafforzamento specifico per questo futuro che ci attende.

La cosa che cerco di fare, è di partire dalla realtà che ho di fronte ogni giorno: sono i bambini, ciascuno dei quali mi fa vedere che c’è qualcuno che vuole manifestarsi in un certo modo, e mi fa vedere che c’è magari qualcosa che glielo impedisce parzialmente. E io mi concentro su quello. Cerco di fare in modo che colui che vuole manifestarsi, possa farlo e quindi mi occupo delle piccole paure e turbamenti quotidiani, di tutte quelle piccole cose che non vanno, per trasformarle invece in qualcosa che funziona. E gioisco intimamente ogni volta che uno dei miei bimbi fa una piccola conquista!

Intanto l’insegnante del ciclo I-VIII, deve rinunciare a vedere i frutti del proprio lavoro con immediatezza. E quando vedrà i frutti del proprio lavoro, non li riconoscerà, perché saranno misti a tutto quello che l’individuo sarà riuscito a conquistarsi entrando nella vita. Quindi in un certo senso è un privilegio, perché noi non possiamo godere dei frutti del nostro lavoro. E questo è un lusso, perché è un dono a perdere: agire per amore dell’azione! Io ritengo che fare l’insegnante sia uno dei lussi più grandi che si possa avere nell’era dell’anima cosciente perché hai la possibilità di far coincidere la tua professione con un cammino di conoscenza. Questo va ripetuto nei corsi di

formazione: guardate che voi siete fortunatissimi, di aver scelto una strada così!

Ecco, per quanto riguarda il futuro, i miei ex-alunni del primo ciclo adesso hanno 25 anni, quindi sto già vedendo ragazzi che sono diventati grandi. E succedono cose meravigliose Però, appunto, nel quotidiano non ho una progettualità a lungo termine. Mi baso sulle piccole cose di ogni giorno. Consapevolezza sì, nel senso che ho un’immagine dell’universo, del cosmo, della vita, ho l’immagine che ci è data dall’antroposofia. Non è una progettualità, ma questo è un ‘tendere a’. Come fare un lungo viaggio senza ancora vedere la meta però tieni la rotta, ecco.

Alcuni temi attuali, importanti per il futuro, in antroposofia?

Allora, io vedo le scuole, vedo la situazione da un punto di vista particolare che è quello della scuola. Probabilmente se fossi un agricoltore biodinamico o un architetto ti direi delle cose diverse. Però forse tutti quanti alla fine si converge verso un tema, che è quello che abbiamo trattato anche prima: il tema sociale, che Stefano Gasperi trattava l’altra sera. Cioè colmare la distanza fra l’io e il tu. E questa distanza può essere colmata soltanto se una buona volta riusciamo a riconoscere veramente nell’altro lo stesso sforzo spirituale che riconosciamo nella nostra bolla. Se questa bolla scoppia, nell’altro riusciamo veramente a riconoscere la stessa tensione, e quel vuoto si colma. Perché allora non ti senti più soltanto tu ‘divino’ -oggi tutti si sentono in qualche modo divini, magari non dichiaratamente, ma anche il peggior ateo dichiarato, nel suo ateismo si sente una divinità: ‘chi c’è al centro dell’universo? Io!’-

E questa qua è la bolla che deve scoppiare. Per me questo è il tema fondamentale, il tema sociale. Poi come affrontarlo - ieri sera si è parlato di questo anche nelle domande conclusive, si è sfiorato il tema della triarticolazione dell’organismo sociale. Si parla della difesa della medicina, di quella dell’agricoltura, della difesa dei bambini. Oggi siamo in una dimensione che è quella della difesa. E laddove c’è una difesa vuol dire che c’è un attacco. Io credo che in qualsiasi contesto comunque, il punto di partenza sia lavorare sul tessuto sociale.

Un’altra delle urgenze è cominciare ad avere il coraggio di avvicinare veramente le persone a una visione spirituale della vita. In ogni contesto, sì.

Portando esempi banali, magari fai una pedagogica e lì parli anche di spirito.

Certo! Assolutamente sì. Nelle riunioni di classe ne parli, rasserenando i genitori, dicendo quello che Steiner amava spesso dire: prendetelo come ipotesi di lavoro. E’meraviglioso, perché se tu dici a una persona: ascolta, senti quello che ti dico, e gli parli di una visione spirituale per la quale lui magari non è pronto o che non vuol sentire, allora stai facendo un’imposizione. E questo è spiritualmente sbagliato, stai influendo un destino, generi antipatia - non si fa. Però se tu dici: cari genitori, noi ci troviamo qui perché tutti quanti abbiamo riconosciuto in questa scuola una certa qualità che riteniamo giusta e favorevole per l’educazione dei bimbi. Ma questa scuola è retta da un buono spirito, che è l’Antroposofia. Sarebbe folle se io vi chiedessi di diventare tutti antroposofi perché avete mandato i vostri figli qui, non vi arriverà mai da

parte mia questa richiesta. Però posso chiedervi di ascoltare alcuni dei fondamenti dell’antroposofia e non di prenderli come delle verità, ma di prenderli come ipotesi di lavoro. Un discorso come questo porta i genitori ad ascoltare con serenità, con apertura. Poi magari nell’arco di otto anni alcune persone vengono raggiunte. Magari tante! Io ho avuto una volta uno scultore, era papà di una mia alunna; era uno tosto, faceva sculture di ferro gigantesche, uno che spostava tonnellate di metalli, un uomo forte e rude, dichiaratamente ateo. Fin dalla prima mi aveva piantato giù delle questioni, sulla Madonna Sistina che non andava bene, in seconda i santi non andavano bene, in terza l’Antico Testamento non andava bene, non andava mai bene niente, era una roba terribile! Però veniva alle riunioni di classe, era quello che mi piantava giù le grane, sbuffava, era anche abbastanza carismatico come tipo. Lo scultore in terza classe ci aveva invitati nel suo studio perché aveva un bel tornio e sapeva fare il vasaio perché prima di diventare scultore era stato un vasaio fin da quando era bambino. Quindi nell’epoca dedicata ai mestieri, avevo portato i bambini a fare i vasi da lui. E lui da quell’anno per anni e anni ha accolto tutte le terze classi a fare i vasi ed è diventato uno dei più energici sostenitori della scuola Waldorf. Quante cose erano cambiate!

Ha operato lo spirito!

Esatto, e questi cambiamenti possono arrivare! Quindi operare nel sociale! E il tessuto sociale dei genitori nella scuola è forse l’ambito più interessante; è raggiungibile nell’immediato, fa parte del nostro lavoro, sono loro che sono venuti a bussare alla porta quindi è lecito che tu gli dica qualcosa. Ci sono tutte le prerogative perché le cose possano funzionare.

Pensando al futuro non lontano, nel mondo non vanno molto bene le cose. Quindi, come sarà la scuola Waldorf fra 50 anni nel mondo?

Io ho un’esperienza del mondo che è nulla, ho viaggiato poco nella mia vita; ho viaggiato da ragazzo come può viaggiare un ragazzo curioso. Devo dire che sono talmente impegnato perché faccio mille cose (anche al di fuori del mio orticello), ma sono impegnato in un ambito che è piuttosto ristretto. Quindi mi riesce difficile dire come sarà nel mondo. Io posso dire però una cosa: che ho una incrollabile fiducia nei confronti del futuro! Non una fiducia piena di attesa da parte della provvidenza. Una fiducia piena di buona volontà, per fare un po’ come dice il detto popolare, “Aiutati e il ciel t’aiuta”. Io questa fiducia nel futuro ce l’ho incrollabile: fiducia nel futuro, nei giovani, nei futuri insegnanti Waldorf che verranno, nei giovani insegnanti che stanno iniziando adesso, nei miei colleghi. Anche se poi guardandosi intorno si vedono mille cose che funzionano in modo imperfetto. Però tutta la natura che ci circonda è un continuo ricrearsi di equilibri laddove si generano imperfezioni. E sono quelle, in fondo, che ti portano avanti.

Io vedo un futuro laborioso ma luminoso per le scuole Waldorf. Non sono un pessimista. E questo mi arriva anche da miei ex-alunni. Mi vengono a trovare ogni tanto, ad esempio un mio ex alunno mi ha detto: “Maestro, sono innamoratissimo, ho trovato una ragazza!”. Lui ha 25 anni, appena laureato alla Bocconi col massimo dei voti e fa un lavoro stranissimo,

lui mi ha detto “Io lavoro per il nemico maestro”, perché l’hanno preso a lavorare in Lussemburgo per Amazon, e lui crea modelli di intelligenza artificiale che gestiscono la gestione mondiale dei container di Amazon. E lui ha detto: “Io sono consapevole maestro che sto lavorando per il nemico, mi sto facendo un’esperienza ai massimi livelli possibili in questo ambito; ho mezzi, ho tutto per entrare veramente nel mondo per come si sta trasformando oggi, poi però vado nel magazzino – parole di un ragazzo di 25 anni! – e vedo il fattorino, che ha il doppio dei miei anni, una famiglia sulle spalle, che si ammazza di fatica tutto il giorno per avere uno stipendio da fame e mi dico: io e lui abbiamo lo stesso datore di lavoro! E lì mi dico: sto lavorando per il nemico. – e quando un ragazzo che lo vedi così brillante, dice: -Io adesso faccio tesoro di questa esperienza, poi nella mia vita so che quest’esperienza mi servirà e io non mi faccio tirare dentro questa cosa, farò la mia cosa, però voglio entrare nel mondo, in quel mondo! – io non mi immagino neanche cosa significhi fare modelli di intelligenza artificiale. E lui ha avuto il primo computer a 15 anni. E quando ti dice -ho trovato una fidanzata meravigliosa, e l’unica cosa che mi potrà separare da lei è se un domani mi dovesse dire: no, i nostri figli non andranno nella scuola steineriana...! - Quindi c’è speranza, no!?

Note

1 - Revisione del testo a cura di Margherita Mazzoli

2 - Nell’intervista si fanno vari riferimenti ai contenuti della conferenza tenuta ad Oriago il 29.06.2024 dal Dott. Stefano Gasperi, “Il Convegno di Natale e l’elemento risanatore della pedagogia Waldorf”

3 - Steiner scrive del primo edificio dopo l’incendio (GA 36, pp. 305-334, Das Goetheanum in seinen zehn Jahren. in «Das Goetheanum» II 23-26.- in italiano Il Goetheanum nei suoi dieci anni di vita 1913-1923, Gruppo Leonardo Da Vinci Milano, 1923): ”Così l’edificio non può essere altro che l’involucro il quale nelle sue forme ed immagini manifesta artisticamente il medesimo spirito che vive nella parola quando l’Antroposofia parla per mezzo di idee.”

“Rievocando così gli intendimenti dai quali era nato il Goetheanum, il dolore di averlo perduto si sente in modo tale che ad esprimerlo mancano le parole. Poiché appunto questo edificio era propriamente creato per la visione immediata. Il ricordo è pena indicibile. Perché si ricorda in stati d’animo che imperiosamente chiedono visione.”

“A chi entrava dall’ingresso principale, tutto l’insieme doveva suggerire, con linguaggio artistico: «Riconosci la vera entità dell’uomo!» Si aveva dunque voluto edificare una casa della conoscenza, non già un tempio.”

4 - Opera di Rudolf Steiner ed Edith Maryon, la scultura lignea rappresenta il Cristo al centro che tiene in equilibrio le due forze oppositrici, Arimane e Lucifero. Il gruppo ligneo scolpito è sopravvissuto all’incendio del Primo Goetheanum, non essendo ancora posto all’interno dell’edificio, suo luogo di destinazione. Nello Schreinerei Steiner ci lavorò fino all’ultimo periodo della sua vita.

5 - Rudolf Steiner, Educazione e insegnamento fondati sulla conoscenza dell’uomo. Conferenza tenuta a Stoccarda il 16.10.1923

“(per) unA pedAgogiA in legAMe col Mondo spirituAle”

Intervista a Philipp Kleinfercher

febbraio 2024

a cura di Kata Szabados1

Philipp Kleinfercher nasce in Austria. Dopo studi di germanistica, scienze della comunicazione ed economia aziendale, studia antroposofia (Grundstudium) ed arte al Goetheanum. Dalla Svizzera arriva in Italia, insegna lingua tedesca alla scuola steineriana di Milano. Diventa maestro di classe alla scuola Waldorf di Trieste dove insegna anche tedesco come lingua straniera. Si forma in pedagogia steineriana all’Accademia di Oriago. Prende la Laurea magistrale in Pedagogia Waldorf a Vienna (Zentrum für Kultur und Pädagogik in Wien, An-Institut der Alanus Hochschule). Continua la sua esperienza di insegnamento alle superiori della Rudolf Steiner Schule in Wien-Pötzleinsdorf sia come maestro di classe che di materia (Libera religione e dopo anche Tedesco e Storia ). Negli ultimi dieci anni è attivo come docente universitario (Zentrum für Kultur und Pädagogik in Wien, Freie Hochschule Stuttgart). Consegue il suo dottorato nel 2023 “summa cum laude” all’ Alanus Hochschule für Kunst und Gesellschaft. E’ autore di vari saggi e conduce ricerche in temi antroposofici, antropologici e linguistici-letterari.

Come ha conosciuto l’ antroposofia?

Allora, in tre passi, si può dire. La prima volta era quando avevo diciannove anni, inconsapevolmente; era Natale, anno 1995-96, quando mia zia mi ha raccontato di un poeta che abbiamo in famiglia. E poi ho letto le sue poesie e anche una sua biografia che ha scritto un antroposofo, ma era avvenuto tutto inconsapevolmente, questo incontro. E poi ho deciso di scrivere la tesi finale all’università su questo poeta. All’età di 2324 anni l’incontro era quindi più consapevole. Il libro che mi ha proprio fulminato, era La filosofia della libertà, e lì soprattutto il 9° capitolo; quando ho letto quello, ho riconosciuto: questa è la mia strada. Ho fatto una fotocopia di questo capitolo, andavo dieci chilometri in bicicletta dal mio miglior amico - non c’era, ma l’ho messo davanti alla sua porta dell’appartamento –“questo devi leggere, ti cambierà la vita”. Sì, e poi, diciamo, dopo, il percorso è stato esistenziale, col trasloco a Dornach, dove ho studiato un Grundstudium e poi per un anno ho fatto studi artistici e linguistici. E lì ho anche conosciuto mia moglie,

a Dornach. Avevo 24 anni.

E il nonno come si chiama?

Il nonno si chiama Johann Kleinfercher, e comunque il nome artistico è Fercher von Steinwand, perchè è nato in una valle in Carinzia, Möltall si chiama, vicino al Großglockner, la montagna più alta dell´Austria; è nato proprio sul campo, perché era il figlio di una contadina molto povera, e quasi è nato durante il lavoro, fuori nei campi. Lì c’è una roccia, che va giù proprio in questo modo – per questo si chiama Steinwand (‘muro di pietra’, N.d.R), von Steinwand.

E lui aveva un rapporto con Steiner?

Sì, si sono incontrati a Vienna, per due anni hanno avuto degli incontri, dal 1888 fino al 1890, prima della partenza di Steiner per Weimar. E lui, Steiner, era proprio nei circoli dei poeti, e attraverso questi poeti ha sentito parlare di lui. E quando si legge la sua autobiografia, Mein Lebensgang, lì descrive come si sono conosciuti; lo descrive anche in un modo umoristico: c’era una piccola taverna dove era da solo, con una bottiglia di vino davanti a sé, i due si sono avvicinati e Steiner vedeva che stava nascendo una poesia. Steiner scrive nell’autobiografia, che durante il colloquio, tutti quanti avevano trent’ anni e Steinwand sui sessanta-settant’anni, ma alla fine Steiner ha detto che lui era il più giovane tra di loro. Quindi vuol dire che spiritualmente si è tenuto giovane, ha seguito un percorso. Esistono anche in italiano le traduzioni delle poesie di Steinwand?

No, non sono state tradotte; ma c’è una poesia, che è anche nell’euritmia, tra le prime forme dell’euritmia, che Steiner ha dato sui cosidetti Cori cosmici, che sono, si può dire, la scienza occulta in poesia. Ce n’è poi un’altra, nel libro sulle forme di euritmia, da un Notizbuch di Marie Steiner; questi cori cosmici vanno dal Saturno fino a quello dell’anima cosciente con il germine del sé spirituale, questo è l’ultimo coro.

Quindi von Steinwand studiava antroposofia con Steiner? O queste cose venivano da sè?

No, venivano da sè, sì, perché l’antroposofia a questo tempo non esisteva, lui andava, cioè lui mandava a Fercher von Steinwand il suo libro Erkenntnistheorie (Grundlinien einer Erkenntnistheorie der Goetheschen Weltanschauung,GA 2, N.d.R) , ma altro no, non si sa. Ma Steiner parla in tante conferenze di questo poeta.

E questo, secondo Lei, ha qualcosa a che fare con il Suo interesse per la poesia?

Sì, io vedo che questo antenato mi ha portato l’Antroposofia, in qualche modo, sì. E’ come una conduzione, vederlo in prospettiva.

Ha preparato...

Ha preparato la strada, sì. E c’è comunque la corrente della famiglia, mi sento spiritualmente molto collegato con lui. Lui è nato nel 1828 ed è morto nel 1902. E Steiner, soprattutto

durante la prima guerra mondiale, ha parlato spesso di lui, lo vedeva come uno che aveva idee anche per una nuova socialità, per un nuovo ordine sociale.

Il Suo rapporto con l’Italia?

Il rapporto con l’Italia esiste dall’infanzia, abbiamo fatto tante vacanze in Friuli, anche in Toscana, e poi, attraverso la scuola, ho avuto per sei anni latino, e ho avuto una maestra fantastica di italiano alle superiori, per quattro anni. E poi c’era sempre questo incontro, anche con persone dell’Italia, durante l’università, poi lo studio a Firenze. Sì, è un sentirsi a casa, e c’è questo aspetto, l’amore per il paese, perché quando vado lì, mi sento come un artista; quest’aspetto di essere uomo, nel senso pieno. Nel passato, il viaggio culturale nell’Italia, nei tempi di Goethe e anche dopo, è stato parte integrativa della biografia individuale e lo vedo un po’ così. C’è un forte legame con quest’atmosfera e quando si va oltre al confine, si sente la leggerezza dell’essere e si vuole creare.

Sì, c’è tutta l’armonia e bellezza, no?

Sì, c’è bellezza, sì, anche quest’elemento dell’estetica ed armonia che è fondamentale.

Perché è diventato insegnante, maestro Waldorf?

Questo è molto interessante, perché quando ho finito la scuola, sapevo di sicuro di non voler essere mai insegnante. Questo per me era sicuro perché l’esperienza è stata strana con un sistema scolastico abbastanza sterile e freddo.

Alla fine dei miei studi ho passato poi cinque mesi in Etiopia, lì ho insegnato tedesco agli stranieri perché loro potessero studiare poi in Germania o in Austria – e questo era un po’ la preparazione per diventare maestro Waldorf, perché lì si lavorava attraverso il rapporto. - Anche le situazioni esistenziali delle persone in Etiopia mi hanno colpito: lì c’era l’aids, era fortissimo, colpiva il quaranta percento della popolazione dei giovani, sono morti anche due dei miei studenti. E quando sono tornato in Europa, era come un viaggio dalla vita nella morte. Era prima di Natale, nel 2001 e dopo qualche settimana mi sono posto la domanda: come posso trovare quest’atmosfera e il cristianesimo che ho potuto sperimentare lì? E dopo è arrivata l’Antroposofia, e diciamo, anche la pedagogia Waldorf, in qualche modo. Ho scelto la strada, quando Heinz Zimmermann, che era uno dei miei docenti a Dornach, ha tirato fuori, in una nostra conversazione, il quaderno viola sulle meditazioni per i maestri e il nesso con le gerarchie. E lì sapevo, era come un fulmine, sapevo: questa è la mia strada. Questo aspetto, che la pedagogia Waldorf è una pedagogia in legame col mondo spirituale. E questo mi dava la fiducia e la certezza di andare in questa direzione fino ad oggi.

Quale è il rapporto che un maestro steineriano può avere con l’antroposofia, anche quotidianamente?

L’ideale è che uno si sente antroposofo, vive l’antroposofia e poi insegna, quindi non viceversa; questo è l’ideale, sempre come anche Steiner dà l’immagine: l’antroposofia è la madre, la scuola Waldorf o la pedagogia è la figlia. E quando si vive questo, senza la madre la figlia non può vivere. E questa è la mia immagine ideale. Anche un lavoro antroposofico del

collegio è fondamentale, sì, altrimenti la sostanza non c’è.

La prima esperienza nell’ insegnamento, a Trieste? Perché a Trieste?

Siamo entrati in Italia dalla Svizzera con mia moglie. Sono stato per un anno anche a Milano dove ho insegnato la lingua tedesca nelle medie e anche nelle classi basse, in via Clericetti, e da lì c’era l’idea con mia moglie (lei era a Carrara) di trovare un posto dove poter vivere insieme. Ho mandato il curriculum vitae a Trento, a Trieste e a Firenze, sono andato in tutti e tre i posti e a Trieste ho avuto l’impressione che questo sarebbe diventato concreto, in qualche modo. E poi lì era strano perché mi hanno detto no, ci sono pochi bambini, poi però sono stati i genitori che hanno portato avanti la faccenda dicendo: “vogliamo conoscere questo maestro”. E il primo incontro era così forte con questi genitori, “ti vogliamo, sei il nostro maestro per i bambini”, e poi anche io sapevo che questo era ormai il mio percorso. Ho iniziato la prima classe con sei bambine nel 2005. Poi ho fatto la formazione ad Oriago.

Com’è la realtà del movimento steineriano in Italia rispetto ad Austria/ Germania secondo le sue esperienze?

In Italia si vive l’antroposofia molto più al livello del sentire, del cuore. In Austria e in Germania, è più una penetrazione col pensiero, con la coscienza e conoscenza, ma ho la sensazione che in Austria, in Germania, le cose vengano più sulla terra, in modo più concreto, ma ogni tanto manca quell’aspetto fondamentale del calore.

La pedagogia steineriana può essere definita secondo lei una ‘pedagogia curativa’, oggi?

Eh sì, penso di sì, questa è la possibilità del futuro, che in passato dai Greci l’educazione era un atto di cura, un atto di heilen, e anche nel futuro; cioè si vede già, soprattutto con l’influsso del mondo digitale, che per forza si deve equilibrare, sempre di più e in modo sempre più fondamentale, i danni che crea questa cultura. E per questo la pedagogia diventa, se si vuole o no, una pedagogia curativa. Perciò anche lavorare dallo spirito e salvare lo spirito, soprattutto nelle classi superiori, è più o meno un dovere. E’ anche una missione, in qualche modo. Cè’ il rischio che si perda questo aspetto e anche la situazione Covid ci ha mostrato, chi ha sofferto di più e cioè i giovani, che non hanno avuto questo rapporto col gruppo e la possibilità di sviluppare le facoltà spirituali oppure del pensiero. Per i piccoli, ancora c’è quell’atmosfera, quindi magari bisogna conservarla, però per i grandi effettivamente è difficile. E per gli adulti c’è Erwachsenslernen, l’autoeducazione, sì, che dà la possibilità di salvarsi in qualche modo.

Cosa ha imparato dai bambini, o dai genitori forse?

Da tutti e due; era come una prova a Trieste. Mi è stato detto, che non ascolto bene, e quindi questo ascoltare sempre di più quello che mi viene detto dalla periferia, l’ho dovuto imparare. E quindi, per arrivare alla domanda, ho imparato che il dono più grande era, di riconoscere, che i bambini sono il mio Io periferico. E qui mi ricollego all’ Italia, perché nell’unica

conferenza di Steiner tenuta in ambito accademico, che è stata tenuta a Bologna, nell’aprile 1911, è stato detto che il nostro Io non è da pensare come un’entità centrale. Infatti io mi ritrovo attraverso la periferia, attraverso i compiti che mi arrivano dai ragazzi, dai genitori e così via. E in questo c’è anche un allargamento, di altruismo, molto concreto e pratico nel fare quotidiano. Su questo parlerò anche quando farò una conferenza sul mio dottorato (Lesen als Kunst – leggere come arte). C’è la comprensione e l’io periferico da riconoscere, da trovare, da ricercare.

Quale consiglio darebbe per i maestri all’inizio della loro esperienza?

Mah, io direi queste due cose: non smettere mai di provare e non smettere mai di avere domande. Quindi quest’aspetto dell’inattività interiore, di sentirsi come frammento, Fragment; e poi la seconda cosa è mantenere la freschezza, questo però è più facile da dire.

Provare intende come...?

Also Suchen und Irrtum; provare vuol dire cercare strade nuove, nel senso di ausprobieren, questo umore, atmosfera dell’artista interiore, questo direi.

Cosa pensa delle pluriclassi nel contesto Waldorf (che tante realtà steineriane italiane devono già attuare, non avendo abbastanza bambini)? Pluriclasse è un tema molto complesso...

Sì, è una necessità economica, io direi che non è da favorire, e comunque è un enorme sforzo per i maestri; io direi almeno un maestro aiutante, un’assistente ci vuole, ci vorrebbe, anche per la salute del maestro di classe.

Quali sono i temi più importanti per i prossimi dieci anni nell’Antroposofia secondo Lei?

Il rapporto io-tu, è fondamentale, poi anche il tema del ritorno del Cristo nell’eterico, nell’ interrogarsi cosa vuol dire questo, e penso che adesso siamo nel centenario della domanda del karma. Quindi questo tema, il Cristo come signore del Karma, e penso che lì ci siano dei movimenti oppure delle domande molto forti. Ad esso è connessa anche l’arte di domandare, di porre le domande giuste, il tema del Parsifal, sì, nel momento giusto, sì.

Come vede il ruolo dei giovani in questo futuro?

Lo vedo fondamentale. Sento anche al Goetheanum che nelle riunioni, nei convegni, ci sono sempre giovani che arrivano. E c’è un altro movimento, l’altro anno sono stati fondati due Jugendseminar; c’è quello a Stoccarda che va benissimo, ed è stato fondato un seminario in Georgia, Tbilisi e in Giappone e ho sentito che c’è anche il piano di fondare un Jugendseminar a Sekem, in Egitto. L’idea che va oltre a questo è di avere in futuro un Jugendseminar internazionale, che si possa passare un trimestre a Stoccarda, un trimestre in Giappone e uno a Sekem. E questo è il futuro e penso che il tema fondamentale per i giovani sia questo aspetto del cosmopolitismo, questo

essere uomo del mondo, e di trovare il proprio Io periferico in questo. Penso sia fantastico, c’è tanto movimento al momento, secondo me, e questo mi dà coraggio e fiducia, anche al Goetheanum, dove abbiamo Nathaniel Williams che viene dagli Stati Uniti, il nuovo direttore (del Youth Section, N.d.R): lui fa dei podcast dove parla di coraggio. Ci vuole questo coraggio, e anche questi temi come il buttarsi nel niente, come dice Steiner. Attraverso l’incontro col niente, col Nichts, trovare lo Spirito e sè stesso nello Spirito. Questo secondo me, anche nell´ Era della luce, è il compito più importante.

Esisteranno le scuole Waldorf fra 20 anni?

Esisteranno sicuramente fra 20 anni; la domanda principale è se manterranno la sostanza spirituale. Questo è, comunque, la domanda, perché altrimenti diventiamo liceo Waldorf oppure una scuola statale con un bel marketing, bei colori ecc.

Su questo dobbiamo lavorare tantissimo, dobbiamo trovare un linguaggio del nostro tempo, per evitare il dogmatismo e anche l’illusionismo, questi sono i due pericoli.

Ha un caro tema antroposofico?

Ce l’ho, è sempre la domanda sull’agire del Cristo, nel sociale e nell’individuale, “Non io ma il Cristo in me”, questo anche per i maestri, sì, perchè c’è tanto dentro l’incontro coi bambini, coi genitori, quindi occorre sempre cercare di vedere nell’altro il cosidetto “secondo uomo”, come dice Steiner. E c’è un autore che era – come già menzionato - anche il mio maestro e alla fine della sua vita anche un mio amico, che era Heinz Zimmermann e apprezzo tanto i suoi scritti; tra l’altro sua moglie ha scritto una bellissima biografia su di lui e spero che un giorno venga tradotta anche in italiano, perché sarebbe bellissimo se ognuno potesse conoscere e leggere di lui.

Grazie, grazie mille!

Grazie a lei! Tante grazie! Note

cori cosMici (KosMische chöre)

traduzione

Nelle illimitate ampiezze, la nostra vecchia madre Notte

Ascolta sembra che stia litigando con il potere più segreto.

Sentiamo noi avvicinarsi il presagio?

Si è risvegliata la nostalgia?

E’ esploso un fulmine spirituale?

Scivolano sogni attraversi gli ampi spazi?

Come con le forze le forze si inebriano, Scambio beato!

Improvvisa fretta

Soffermata calma

Crescente ascolto

Cambia con un cenno

Di titubante stupore.

La sfida del raggiungere

Sale per discendere

Discende per odiare

Bianco per il pallore

Nelle ampiezze delle immagini

Odio da non toccare

Oscure diramazioni

Sboccianti inclinazioni

Creano appigli.

Pesanti pensieri

Tentennano e tramontano

sulle vaste ampiezze

Sembrano indovinare

Oppure dirigere

Quanto essi preparano.

Sono i semi

Di grandiosi atti

Tempi splendenti?

Chi sperimenta questo scombussolamento in modo creante.

Chi si è perso gustando beato.

Oppure ha sbrogliato

lasciando affiorare qualcosa di più alto.

Là si muove come un abbraccio spirituale.

I2
dal tedesco a cura di Tina Iacobaccio1

Noi che stiamo aspettando

Noi anche vincenti

Che cerchiamoe riflettiamo

Ci vediamo elevati

Al più sublime inizio.

Intrecci felici che ci circondano

e nascono dentro di noi.

Voi siete le idee.

Delicati incontri, Gioiosi baci,

Amorevoli benedizioni, Controeffusioni!

„ Belle emergenze dei primi formatori, Sapienti oratori delle regioni superiori!

Senso ed idee della vostra alleanza

Rendeteci consapevoli, noi i promotori delle vostre scoperte,

Noi, fratelli gemelli da tanto tempo!

Pensate - al pensare,

La parola creativa si annida nel conforto,

Pensate - ciò che noi osiamo

Voi lo dirigerete!

Voi siete decisi

In continua incandescenza

A sognare le cose più belle,

Di vedere sognando.

Noi, nel processo

Di forgiare cose belle.

E‘ nostro destino

Di non dover mai indugiare.

Miserabile spreco di tormentate notti.

Sappiate - loro sanno

Ciò che voi fate con diligenza.

Chi ce lo porterebbe!

Sospiri delle oscure e tristi potenze.

Vi risvegli la gemente tempesta del desiderio

Desiderio di donare.

Quali inclinazioni ancora?“

„Tormento della privazione, Coraggio del desiderio

Tempo di accogliere

Gioia del moltiplicarsi.

Quale altra inclinazione?

Dividete e spargete l‘annunciato calore, Sciami volontari!“

Ascoltate, ciò che le pensanti altezze ci comunicano.

Lasciateci andare!

Lasciate che quanto abbiamo percepito venga fatto percepire ai tempi,

Chiamate, quanto chiamato ad ergersi nel divenire, Lasciate che ciò che si cerca si ritrovi con gioia, unirsi con calore.

II

E’ un ampliamento, è un’ondata?

Quello che erompe da ogni zona?

Dove ci siamo trasferiti con amore

là c’è direzione, là c’è peso.

Ci avrebbe imbrogliato il volere e il desiderare?

Siamo potenze o non lo siamo?

Qualunque cosa essa sia, noi imploriamo luce!

E arriva in archi meravigliosi.

Ogni disputa si accompagna alla luce.

Incalzanti frequenze tenue emozioni

Ampi intrecci moto profondo

Deve riuscire presto

A penetrare attraverso le notti sospese e dolorosamente confuse.

Sopra le tenui formazioni fluttuanti.

Deve annunciarsi infiammare gli spiriti ammansire i cuori

Se ha fatto centro vi trova aperti.

Vedete la prima onda di luce?

Salutatela la più sublime la più sacra delle sorgenti.

Veloci e ancora più veloci un viso luminoso rende omaggio alla luce.

Custodisce l’immacolato essere eternamente uno della luce.

Possa celebrare il suo anelito a manifestare i colori

Svegliamo noi l’amorevole guerra, che inebriate libera scintille!

Lasciate a noi le profondità, che spumeggiano creando

Lasciate a noi il puro, quanto è sprofondato litigando

Lasciate a noi le orbite

Che sognano portando frutti,

Inseminati di iraìraggiante luminosità.

III

Mettiamo in moto, o siamo messi in moto?

Trema il soffitto, trema il fondamento!

Ha! le brezze, ah coloro che amano,

Festeggiano suonando la nostra alleanza!

Quanto sibilano, schiamazzano, sprizzano.

Attraverso questo immenso ampliamento circolare, I suoni ci danno notizia

Di quanto nel Cosmo è ancora rimasto un sogno!

Sognate voi una dimora?

Mentre noi rozzi

Cerchiamo litigi tempestosi

Osservate come si comportano

Chiedete cosa sperano

Gioiosamente colpiti

Si avvicinano le materie socievoli alle altre materie.

Solo i dissenzienti

Creano tensioni e svegliano

Segretamente e apertamente

Vogliono spaventare

Chi si è rafforzato in altro modo

Vogliono prendere in giro

Chi si occupa solo del proprio

Mediatori e creatori della coppa terrena!

Tutti i messaggeri e i figli dei raggi

Soffiano un rafforzamento

anche nei Marchi.

Anche nelle corporazioni degli ideali del mondo

Dove quel che è contenuto

Cresce e diventa portentoso.

Lasciateci sorvolare i pinnacoli celesti

Per filare Nebbia.

Quale piacere far sventolare i venti

Dirigere le nuvole

Di cullare dolcemente i suoni girovaghi

Immettere splendore nel seno della creazione

Di combattere con il suono le potenze dissidenti

Essere vincitori vezzeggiando.

Note

1 - Revisione di Philipp Kleinfercher.

2 - Rudolf Steiner e Marie Steiner successivamente hanno nominato i diversi Cori, negli appunti per un lavoro di Euritmia, I – “Saturno”, II – “Sole”, III – “Luna”.

MichAeli 1924 - 2024

Dall’ultimo discorso di Rudolf Steiner, tenuto alla vigilia della festa di San Michele dell’anno 1924. Dornach, 28 Settembre 1924, dal ciclo intitolato ”Considerazioni esoteriche sui nessi karmici”, Vol. IV, GA 238

Miei cari amici, mi è stato impossibile ieri e l’altro ieri tenervi la conferenza di S. Michele. Ma per lo stato d’animo sacro che deve venire suscitato oggi in noi e che dovrà irradiare nei nostri cuori e nelle nostre anime, per la solennità di domani dedicata a S. Michele, non volevo lasciarla trascorrere senza parlare, sia pure brevemente, a voi miei cari amici. Che io sia in grado di farlo è stato reso possibile solo per merito della cura, piena di devozione, della mia amica, la Dottoressa Ita Wegman, ed io spero che potrò oggi dirvi quello che desidero comunicarvi in rapporto appunto a questo stato d’animo di solennità. Negli ultimi tempi, miei cari amici, abbiamo avuto da parlare sovente del fluire della forza di Michele nel divenire, nell’evoluzione spirituale degli uomini sulla terra. E farà parte delle più belle conquiste, direi, dell’insegnamento antroposofico, che interpreta i segni della nostra epoca, se saremo in grado nel futuro di aggiungere alle altre feste dell’anno, una festa di Michele compenetrata dal suo giusto stato d’animo. Questo però sarà possibile solamente, quando la forza possente del pensiero di Michele, che oggi è appena sentita o solamente intuita, sarà penetrata in un gruppo numeroso di anime che allora potranno creare il giusto punto di partenza per uno stato d’animo adatto a tale solennità religiosa. Al presente possiamo suscitare un sentimento micaelita all’epoca di Michele se noi ci dedichiamo a sentimenti preparatori per una futura festa di Michele. [...]

Deve venire realizzata quest’opera, cioè: il potente compenetrarsi con la forza di Michele, con la volontà di Michele che è in realtà ciò che manifesta la volontà del Cristo, ciò che deve aprire la via per innestare la forza del Cristo in modo giusto nella vita terrena.

E questa forza di Michele potrà veramente trionfare, vincendo la forza demoniaca del drago che voi ben conoscete. Se voi cercate di accogliere questo sacro impulso di Michele in questo periodo dell’anno e farne il punto di partenza di quanto per voi, in tutta la sua potenza, in tutta la sua forza, tale pensiero

di Michele può portare a manifestazione, non solo come pensiero dell’anima vostra; ma se lo rendete vivente in tutte le vostre azioni, solo allora diventerete fedeli servitori di questo pensiero di Michele, di quanto in senso micaelita, attraverso l’Antroposofia, deve imporsi nell’evoluzione terrena. Se entro i prossimi tempi tale pensiero di Michele diverrà vivente, almeno in un gruppetto di quattro volte dodici uomini e vivrà in quattro volte dodici uomini, che però possano venire riconosciuti come tali non da se stessi, ma dalla Direzione del Goetheanum in Domach, se in questi quattro volte dodici uomini si saranno creati dei condottieri, dei capi, per la disposizione dell’anima rispondente alla festa di Michele, allora potremo guardare con fiducia alla luce che ad opera della corrente di Michele, per effetto dell’attività micaelita, si diffonderà nel futuro in tutta l’umanità.

Poiché le cose stanno così, per questo ho cercato, miei cari amici, di chiamare a raccolta tutte le mie forze per dirvi oggi almeno queste poche parole. Per dire di più la mia forza oggi non può più bastare. Ma questo è quello che oggi attraverso le poche parole volevo dire alla vostra anima: “affidarvi il compito di indagare durante l’intero corso della vostra vita sul Mistero di Lazzaro- Giovanni, onde poter conoscere in futuro chi realmente sia in ciascuno di voi, Lazzaro-Giovanni”. Accogliete questo pensiero micaelita nel senso di quanto un cuore fedele a Michele può afferrare, quando appare devoto alla luminosa radiante solare veste di Michele, che addita e guida a quanto dovrà avvenire, affinché questa veste di Michele, questa veste di luce, possa trasformarsi nelle parole cosmiche che sono le parole del Cristo e che possono trasformare il Logos cosmico nel Logos dell’intera umanità.

Perciò le parole a voi dirette siano oggi queste:

Egli, il Messaggero del Cristo indica a voi il sacro cosmico volere che regge gli uomini.

Voi, chiari esseri dei mondi eterici, portate la parola del Cristo vivente agli uomini.

Così appare l’Annunciatore del Cristo alle anime disperate ed assetate di luce: ad esse irradi la vostra parola di luce, nell’epoca cosmica dell’uomo spirituale.

Voi, discepoli della conoscenza spirituale, accogliete il saggio accennare di Michele, accogliete la parola d’amore del cosmico volere creatore, nelle mete supreme dell’anima vostra.

Appunti per unA prepArAzione interiore AllA festA di Michele

di Ita Wegman, annotazione su un taccuino (non datata) (tratto dal libro di Peter Selg, Gli ultimi tre anni. Ita Wegman ad Ascona 1940-1943, pp. 123-125)

“Come del resto nei precedenti anni di Arlesheim, anche nell’ambiente di Ita Wegman nella «Casa», le feste di Michele e di Natale costituivano gli eventi più centrali. Rudolf Steiner aveva svelato, nell’ultimo anno della sua vita e del suo lavoro e nel periodo della sua malattia, le più profonde visioni relative al mistero di Michele e alla sua relazione con l’essere del Cristo, nonché al suo significato per il compito relativo alla storia mondiale del movimento antroposofico. Ita Wegman cercò di lavorare e di operare fin dal 1924/1925 partendo da questa dimensione e nella consapevolezza delle ampie esposizioni di Steiner. In uno dei suoi taccuini di Ascona si annotò, in preparazione interiore alla festa di Michele, quanto segue:

In autunno quando la natura comincia a morire.

Davanti all’anima il simbolo della tomba. Allora si muove nell’uomo il pensiero micheliano che non si orienta, come quello pasquale, alla contemplazione. Nel periodo del solstizio [invernale, che ha inizio nel periodo NdT] autunnale si fa appello alla volontà: prendi in te stesso quei pensieri, i pensieri che sconfiggono le potenze arimaniche, pensieri che ti rendono forte, conseguire qui sulla Terra conoscenza spirituale, affinché tu possa scondiggere le potenze della morte. Pensieri pasquali di contemplazione. Questo pensiero micheliano della festa di Michele nel periodo autunnale come polo opposto al pensiero pasquale. Come si consegue la forza del vero pensiero micheliano? Il divino spirituale dei mondi superiori mi irraggia Giovanni solstizio d’estate.”

Margarita Woloschina, Erzengel Michael, 1935

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