VOCI DELLA GUERRA CIVILE

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XIII. La guerra è finita

Con animo e sentimenti tra loro diversi gli italiani accolgono la fine del conflitto armato: l’ora di una «fine» che non scocca contemporaneamente sull’intero territorio nazionale, ma che si sminuzza in una serie di eventi i quali suggellano la cessazione dei combattimenti in aree diverse. La Liberazione non è una data sola, ma è un avvenimento che si scagliona nel tempo, ritmato dal passo degli eserciti della Grande Alleanza antifascista, in sanguinosa ascesa verso il Nord della penisola. E non è nemmeno un evento che tutte e tutti vivano con lo stesso entusiasmo. In ogni luogo chi ha vissuto quei due anni di tregenda esprime passioni intonate alla propria individuale esperienza cosicché nell’affresco di esultanza attribuito convenzionalmente a quei giorni possiamo intravvedere patimenti o gioie che sono stati ignorati. Guardiamo i vinti: la fine del conflitto segna per coloro che si sono schierati nelle forze armate della repubblica fascista una lacerazione definitiva nella loro vita. Le memorie che sono raccolte nell’Archivio dei Diari ci mostrano tuttavia che non vi fu una corale ribellione di fronte alla vittoria partigiana e alla loro stessa sconfitta; ma che ci furono reazioni diverse tra loro, che scompaginano i facili schemi in cui i fascisti repubblicani sono solitamente inquadrati. Ci sono coloro che dall’ultimo fronte mussoliniano sono stati attirati in nome di ciò che sentivano come un dovere patriottico e che anche nella sconfitta ritengono di non avere soggettivamente sbagliato pur riconoscendo la legittimità della vittoria dell’altra parte. «[…]ho visto arrivare quattro camionette che si sono fermate nel centro della piazza e contemporaneamente ho sentito gridare: “Gli americani, sono arrivati gli americani! […]”», ricorda Franco Barracani, giovane pisano che si è arruolato nell’esercito fascista per «dovere», dovere non verso il fascismo ma verso l’Italia.


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