II. Le eredità del passato
La memoria del fascismo è il campo di una battaglia ideale in cui ancor oggi si affrontano gli opposti schieramenti del fascismo e dell’antifascismo; ma in quegli anni decisivi fascisti e antifascisti erano inframmezzati dai plotoni degli indecisi, dei neutrali, e di coloro che serbavano la loro fedeltà per valori diversi, non necessariamente più alti o, al contrario, meno degni di rispetto. Negli anni cruciali del 1943-1945 questa complessità di idee e di scelte si è fissata in modelli ripetuti nei decenni seguenti, e nemmeno la distanza del tempo ha stemperato l’acredine dei vinti o la collera dei vincitori. I diari e le memorie riflettono l’universo primigenio da cui è nata la coscienza degli italiani nel dopoguerra; e rileggere e ripensare queste testimonianze aiuta anche a capire sia le incertezze, sia le indecisioni della coscienza civile degli italiani, sia la violenza e la tenacia delle certezze acquisite. Sovente sono quanto mai labili e confusi i ricordi della vita prima del conflitto. Per la gran parte, benché non per tutti, agisce una idealizzazione del passato, che si manifesta in modi anche opposti, con l’inasprimento o l’addolcimento dei sentimenti e delle stesse circostanze in cui i ricordi si collocano, soprattutto quando affiorano temi cruciali per comprendere la collocazione personale e ideale delle persone. Nemmeno su quello che sembrerebbe dover essere il cuore della memoria per il periodo fascista (il si o il no alla dittatura) è facile cogliere se ci sia stata e che valore abbia avuto l’adesione al fascismo, alla sua cultura e alla sua ideologia. O se ci sia stata partecipazione all’attività organizzativa del regime. Né è più semplice capire quale sia stato l’orientamento nei confronti delle opposizioni antifasciste. Se si fa eccezione per coloro che hanno sperimentato una presenza attiva nell’antifascismo fin dagli anni del regime trionfante