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Conclusioni
Alla luce dell’analisi effettuata, si può concludere che la realizzazione di un buon reportage, in quanto espressione di un giornalismo libero e riflessivo, non può prescindere dal rapporto diretto e partecipativo del giornalista con la realtà investigata. Barzini, Parise, Buzzati, Montanelli, Oriana Fallaci, Mo, Terzani testimoniano che vivere gli eventi è l’unico modo per poterli raccontare e non semplicemente descrivere. In base agli studi compiuti mi sembra di poter affermare che la differenza tra il giornalismo di notizie e il giornalismo di reportage è che il primo produce un lettore che sa, il secondo un lettore che comprende perché offre le chiavi di lettura della realtà. Considerando la qualità di scrittura si deduce che il reportage rappresenta un genere ibrido, a metà tra giornalismo e letteratura, poiché supera gli schemi delle tecniche giornalistiche e ricorre all’arte letteraria, dando vita ad un linguaggio creativo, stilisticamente e retoricamente elaborato però mai oscuro. Si tratta di una scrittura che, soffermandosi sui particolari, indugiando su persone e luoghi, crea un forte effetto di presenza in grado di catturare il lettore, coinvolgendolo anche a livello patemico. Facendo riferimento, in particolare, all’analisi testuale dei reportage di Terzani, è possibile trarre diverse conclusioni. Riguardo alla loro impaginazione sul Corriere della Sera, gli articoli cominciano tutti in prima pagina nella zone del taglio alto e il seguito occupa due pagine intere di una sezione speciale, appositamente creata e denominata La lettera. Il Corriere, dunque, pone in massima evidenza pezzi dalla firma prestigiosa ma, allo stesso tempo, li isola per segnalarne anche graficamente la distanza dalla propria linea editoriale, essendo un giornale tradizionalmente volto allo stile enunciazionale del quotidiano-
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istituzione. I titoli paradigmatici dei reportage sono incentrati sui protagonisti delle storie e trascinano il lettore nel cuore delle vicende, utilizzando una carica letteraria che permea la realtà dell’emotività di un racconto. Riguardo agli incipit, le lettere di Terzani sfuggono ad una classificazione tradizionale, in quanto si dilatano per molte righe, esprimendo stati d’animo, costruendo metafore fortemente coinvolgenti, descrivendo immagini emblematicamente contrastanti. L’inviato utilizza una tecnica soggettiva di narrazione: scrive in prima persona, evidenzia le sue reazioni emotive e, soprattutto, vive come protagonista i fatti che racconta. L’organizzazione discorsiva è molto elaborata; al racconto degli avvenimenti si alternano digressioni storiche, esempi personali, interrogativi e commenti. Il linguaggio è creativo, curato, non ripiega mai su stereotipi, formule obsolete o espressioni popolari che lo avvicinino al parlato. Gli espedienti retorici più utilizzati sono le anafore, che rafforzano attraverso la ripetizione il senso del racconto, i traslati, che danno alla narrazione maggiore espressività e i climax, che accelerano il ritmo del testo. In Terzani si evince la tendenza ad
individualizzare fortemente i protagonisti delle vicende, attribuendo loro un nome, un’età, un ruolo tematico, spesso anche una caratterizzazione figurativa. I luoghi, descritti nei dettagli, subiscono un processo di umanizzazione: hanno una storia, un’identità socio-politica e culturale. Considerando la componente patemica, nei reportage si alternano sentimenti euforici e disforici. Trapela, infatti, la rabbia nei confronti del presente, la nostalgia per un lontano passato leggendario, ma anche la speranza in futuro di pace. Per quanto concerne chiarezza e comprensibilità linguistica, l’indice di leggibilità Gulpease calcolato per gli articoli di Terzani è 51,51. Se mettiamo in relazione tale valore con il grado di scolarizzazione del lettore, la scrittura di Terzani risulta facile soltanto per chi ha la licenza superiore, difficile per chi ha la licenza
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media, molto difficile per chi ha la licenza elementare. I reportage considerati, dunque, si offrono ad una lettura indipendente ad un livello alto di istruzione, mentre ad un livello medio-basso richiedono una lettura scolastica.
L’esame sul reportage che ho appena concluso vuole essere un contributo, seppur minimo, affinché l’irrefrenabile processo di evoluzione tecnologica non ne decreti la fine. Le nuove tecnologie, infatti, stanno corrodendo il presupposto del reportage: tendono a virtualizzare il rapporto del giornalista con la realtà, negando la testimonianza diretta lì dove i fatti accadono. Il risultato è
un’informazione omologata e massificata per mano di gruppi mediatici con ambizioni planetarie. Mentre i satelliti registrano e trasmettono a distanza simulacri di realtà, gli inviati restano chiusi nelle stanze d’albergo, a pochi metri dallo svolgersi degli eventi, e guardano la CNN, scrivendo pezzi che risulteranno tristemente identici. Schiacciando un bottone, a tavolino, è possibile ottenere tutte le informazioni ma è impossibile realizzare un reportage , perché non si sente l’odore delle cose. Oggi le notizie sono immediate ma tutte uguali e non lasciano spazio alla riflessione e all’interpretazione. Il giornalismo di reportage, dunque, viene soppiantato da un giornalismo di hotel, asettico, senza occhi, senza orecchie. Guerre vergognose hanno ormai dimostrato che lo scontro tra Occidente e mondo islamico, che coinvolge irrimediabilmente le nostre vite, potrà essere superato soltanto attraverso il dialogo. Tale scenario complesso e pericoloso rende a maggior ragione necessaria un’informazione che vada oltre la cronaca, che si soffermi sulla realtà sociale, che si apra al confronto e si sforzi di cercare un punto di incontro tra le diverse culture per provare ad avvicinarle. Difendere il giornalismo riflessivo è una sfida che investe l’intera società in quanto è sul pluralismo dell’informazione e sulla coscienza critica dell’opinione
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pubblica che si fonda la democrazia. Nell’ultima intervista1 rilasciata Tiziano Terzani esprime speranza nei confronti del futuro del giornalismo e alla domanda “Ha ancora senso fare il giornalista?” risponde: ”…bisognerebbe che i giovani avessero il coraggio di rinunciare all’idea di fare carriera, guadagnare tanti soldi per fare un lavoro più genuino, di scoperta, di esplorazione. Secondo me la professione si può sempre fare, bisogna farla con coraggio, con inventiva, con fantasia... la realtà non si capisce con la testa, si capisce con l’intuito e riportando il cuore nell’analisi di tutto e questo da spazio a un giornalismo forse nuovo…” Sperando nella rinascita del giornalismo libero, interpretativo e riflessivo, non politicamente ma eticamente corretto, sono state scritte queste pagine.
Desidero ringraziare vivamente il sito www.tizianoterzani.com per aver reso disponibile una ricchissima raccolta di materiale su Terzani, la cui consultazione è stata determinante nella realizzazione di questa tesi. GOVINDA HARE!
1 Anam il Senza nome. L’ultima intervista a Tiziano Terzani, regia di Mario Zanot, 2004 204